Set / Ott 2010
Anno II
Poste Italiane spa - spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, CNS VI • Contiene IP
N°
11
PaTreVe
Un ponte tra l’Italia e il resto del mondo La Torre
Dalla riforma sanitaria americana ad un piano per l’Italia
Il Mercato
La terra frana. Presentata dal Consiglio Nazionale dei Geologi la ricerca Terra e Sviluppo. Decalogo della Terra 2010
Mose - Bocca di Malamocco (VE)
CARPENTERIA METALLICA PROGETTAZIONE COSTRUZIONI CHIAVI IN MANO
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EST
indica un territorio reale come il Veneto di oggi e ideale come il Veneto che vogliamo
EST
segnala una direzione, verso oriente, verso un’area destinata allo sviluppo e a cui l’economia del Veneto da sempre guarda e che si va allargando a Nord come a Sud
EST
vuol dire essere, esserci per essere protagonista
EST
afferma il ruolo dell’edilizia quale motore dell’economia
EST
è la rivista del mondo delle costruzioni promossa da ANCE Veneto e dalle Associazioni Provinciali
Edilizia Sviluppo Territorio UN TERRITORIO DA ESPLORARE EST è un progetto culturale che si declina in un percorso guidato e che ha come riferimento un’idea, o meglio un’idealità. Un territorio ideale che ha nelle sue città la sua forza. Un percorso che vuole richiamarsi al Rinascimento e che trova in luoghi simbolici la propria sostanza. Così si entra da una Porta (Editoriale) e si arriva in un Teatro (In primo piano), dove ci si rappresenta e ci si confronta attraverso un tema (In scena), Gli attori (la politica) e il Dietro le quinte (i commenti dei tecnici). In coda l’anticipazione sul tema in scena nel prossimo numero: In cartellone e, a volte, la possibilità di approfondire temi trattati nei numeri scorsi ne La replica Si attraversano un Labirinto (L’inchiesta), il Palazzo comunale (l’indagine sui comuni del Veneto) e La torre (osservatorio). Si attraversa La Piazza (Gli articoli di approfondimento): luogo del confronto e delle idee per nuove tematiche. Ci si ferma a riflettere sul Mercato (focus economico) e ad ammirare da un Belvedere (inserto architettura) le opere che verranno, siano esse case, viadotti, scuole, ospedali. Si riparte dalla complessità del Cantiere con i suoi materiali, le macchine, la tecnologia e le innovazioni. Il percorso si chiude con nuove notizie, strumenti per approfondire le conoscenze attingendo alla Biblioteca e si conclude con l’informazione “locale” scandita dai rintocchi del Campanile (ANCE news), in attesa del prossimo viaggio…
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Potenza e agilità senza confronti
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La collaborazione pluriennale con marchi leader del settore quali Liebherr e Neuson, fa sì che ACM offra un’ampia gamma di macchine movimento terra personalizzabili secondo le specifiche necessità. Ma ACM è molto di più: dalla consulenza alla vendita, dall’assistenza al noleggio, è un gruppo di persone che punta a costruire un rapporto unico con il cliente per dare sempre una mano nel migliorare l’attività dell’impresa.
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Editoriale Nemo propheta in patria
di Stefano Pelliciari Presidente ANCE Veneto
Lo scorso 5 novembre sono stato invitato a colazione, nella veste di rappresentante dei costruttori veneti, da sua eminenza dr. Peter Ramsauer, Ministro dei Trasporti, delle Costruzioni e dello Sviluppo Urbano della Repubblica Federale di Germania. Per capirci, l’omologo del nostro Ministro Matteoli ma…tedesco. È stato un incontro molto interessante (di questo informerò i nostri associati in seguito) al quale purtroppo non hanno potuto partecipare né il governatore Luca Zaia né l’assessore Renato Chisso, che pure erano stati invitati. Quello che mi preme comunicare è che questo incontro è stato per me una grande iniezione di fiducia, dopo molti mesi passati a combattere per gli interessi della nostra categoria non solo senza risultati, ma addirittura senza risposte. Nel Ministro tedesco ho trovato un interlocutore attento ai problemi dei costruttori e in particolare ai problemi dei costruttori veneti. Non ho potuto fare a meno di mettere in relazione i fatti dell’alluvione di questi giorni con questo incontro straordinario e ne ho tratto le conclusioni che, in definitiva, dobbiamo pensare ad arrangiarci come abbiamo sempre fatto se vogliamo che le cose migliorino, magari con l’aiuto di coloro che, effettivamente, hanno interesse a darcelo. Per questo dico “nemo propheta in patria”. Nel momento in cui questa rivista va in stampa, il Veneto sta ancora affrontando le conseguenze di una delle calamità naturali più gravi degli ultimi decenni. Ancora scossi dai danni provocati dall’alluvione, molti si sono interrogati sulle cause e sugli interventi da adottare per mettere in stato di sicurezza il nostro territorio. Interrogativi di cui in realtà conosciamo bene la risposta. Gli ingegneri e i costruttori veneti, con i tecnici della Protezione Civile, sanno benissimo cosa occorre fare e hanno evidenziato più volte che è la mancata manutenzione e prevenzione del rischio idro-geologico ad aggravare i danni potenziali delle piene dei fiumi. Non sono quindi d’accordo con il presidente degli industriali di Vicenza, Roberto Zuccato, quando dice che “stiamo pagando il prezzo della cementificazione e del boom” e non sono d’accordo neanche con lo scrittore Fernando Camon quando dice che i veneti si sono “scoperti” umani e vulnerabili: nessuno fa un buon servizio con l’autoflagellazione a cose fatte! La verità è che è piovuto molto, forse anche molto meno di quello che potrebbe piovere. È ora di finirla, da parte di chi adesso cerca i colpevoli, di fingere di non accorgersi che tra questi ci sono anche coloro che, impedendo un sacco di cose, ritengono di fare ambientalismo. Basta semplicemente ricordare un fatto storico. Durante gli anni di governo della Serenissima Repubblica, i fiumi sono stati irreggimentati all’interno di argini consentendo di avere insediamenti stabili (città, strade, ferrovie, ecc.). Per moltissimi anni, gli alvei sono stati scavati e puliti. Negli anni ‘90 ci hanno detto che non si possono (più) scavare gli alvei, tagliare alberi e piante che impediscono lo scorrere dell’acqua e che in occasione della piena producono dighe e, naturalmente, tracimazioni e rotture. Lo sappiamo, lo abbiamo sempre detto e, invece che polemiche, cerchiamo di ragionare su quello che serve fare possibilmente prima della piena grave che potrebbe provocare non solo un disastro economico ma anche molte vittime. La ridda di polemiche e di accuse seguita al disastro ha riproposto un baillame che conosciamo molto bene e che accompagna ormai i dibattiti pubblici su opere importanti e discusse, con il solo risultato di rinviare sine die decisioni urgenti. Riflettendo allora sugli ultimi fatti di attualità mi chiedo: vogliamo progettare qualcosa o ci limiteremo alla “fantomatica” richiesta della dichiarazione dello stato di calamità naturale restando poi in attesa di risarcimenti che non arriveranno mai e del prossimo temporale? Di nuovo “nemo est propheta in patria”. Il Veneto è all’avanguardia nell’ingegnerizzazione idraulica, quello che è mancato fino ad oggi è stata la manutenzione ordinaria e un’adeguata gestione dell’ambiente e del territorio in relazione alle evoluzioni climatiche che ormai rappresentano una certezza. Abbiamo aziende specializzate nella difesa idrogeologica che rappresentano una risorsa insostituibile di 5 vanto esperienza, conoscenza del territorio e tecnologie: sono il nostro storico e attuale, le migliori d’Italia. Non sviliamo questo patrimonio.
Set / Ott 2010 Anno II Numero
11
Edilizia Sviluppo Territorio
PaTreVe
Il tema del momento sul palcoscenico di EST
IL FARO
Il ponte tra l’Italia e il resto del mondo 12
Giunta regionale sotto la lente
In Scena
16
PaTreVe: una locomotiva per le casse italiane • Una nuova struttura portuale permetterà a Venezia di controllare i traffici dall’Oriente • Veneto City, il polo dell'eccellenza veneta
Gli Attori
25
Venezia come Singapore: la city-region italiana • A colloquio con Gianni De Michelis
28
«Puntiamo sulla logistica per aumentare lo sviluppo» • Intervista a Marino Zorzato, Vicepresidente della Regione Veneto
32
Brugnaro: la chimica resta al centro dello sviluppo di Porto Marghera • Intervista a Luigi Brugnaro, Presidente Confindustria Venezia
34
Le opportunità vanno ricercate nella pianificazione e nel social housing • Intervista all’Arch. Roberto D’Agostino
38
Province unite per una programmazione urbanistica sovracomunale • Intervista a Leonardo Muraro, Presidente dell’Unione Regionale Province del Veneto
IL TEATRO
Dietro le quinte
32
Brugnaro: la chimica resta al centro dello sviluppo di Porto Marghera
46
Nella scuola delle meraviglie Edilizia Sviluppo Territorio
LA TORRE
42 Dalla riforma sanitaria americana ad un piano per l’Italia • Intervista a Gino Gumirato, Dir. amministrativo ASL di Roma
IL BELVEDERE
46 Nella scuola delle meraviglie La Scuola Elementare di Ponzano: una “barchessa” rossa legata al suolo da un filo trasparente
L’intervista a 360°
Il Focus dedicato all’architettura
50 Integrazione, cultura e sostenibilità • A colloquio con l’Arch. Alessandra Segantini di C+S ASSOCIATI 55 XII Edizione del Premio Architettura Città di Oderzo. La Giuria assegna premi speciali ad opere venete
ANCE VENETO ASSOCIAZIONE REGIONALE COSTRUTTORI EDILI
EST Edilizia Sviluppo Territorio
IL MERCATO Le soluzioni per essere competitivi
Proprietà Editoriale
71 Il bacino del Po: criticità e risorse • Intervista a Francesco Puma, Segretario Generale dell’Autorità di bacino del fiume Po
ANCE Veneto Piazza De Gasperi Alcide, 45/A 35131 Padova (PD) info@anceveneto.it
Editore
S.I.C.E.T.A. S.r.l. Via Bonifacio, 8 31100 Treviso
LA PIAZZA Libere opinioni
Zelio Pirani
In occasione del trentennale della fondazione dell’Ente il Formedil ha pubblicato il volume La chiave di volta. Lavoro, imprese e professionalità
Direttore Editoriale Alfredo Martini
82 Calzoni: il mercato non riconosce la formazione • Intervista a Massimo Calzoni, Presidente Formedil
Redazione
A cura di Strategie & Comunicazione est@strategiecomunicazione.com
84 Una fiera dedicata alle strade • Intervista a Carlo Giavarini, Presidente di SITEB
Progetto Grafico e impaginazione Aurora Milazzo
Stampa
LA BIBLIOTECA 90 In Veneto la scuola è digitalizzata • Campi fotovoltaici: Recensioni, segnalazioni, news
Concessionaria per la pubblicità O.E.P.I. s.n.c. - Piazza Cittadella, 9 37122 Verona Tel. 045 59 60 36 r.a. Fax 045 80 01 490
76 Il nord visto Matarrese: cogliere le reciproche opportunità • A colloquio con Salvatore Matarrese 80 Tra storia e memoria: recuperare il passato per guardare al futuro
Direttore Responsabile
UTVI Tipolito Srl - Vicenza
68 La terra frana. Presentata dal Consiglio Nazionale dei Geologi la ricerca Terra e Sviluppo. Decalogo della Terra 2010
IL CAMPANILE
record italiano • Turismo enogastronomico tra i Colli Berici • San Martino in cantina La chiave di volta
Lavoro, imprese e professionalità Per una storia del sistema bilaterale della formazione edile
92 ANCE Venezia • ANCE Vicenza
ANCE Informa
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Tra storia e memoria: recuperare il passato per guardare al futuro
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CONSOLIDAMENTO FONDAZIONI
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Il Faro: uno sguardo costante sulle attività del Governo Regionale di cui monitorare gli impegni presi rispetto alle principali questioni di interesse dell'industria delle costruzioni. Ogni numero illuminerà i lettori sui progressi fatti e sui punti ancora da sviluppare. Luca Zaia ha stravinto le elezioni con quasi mezzo milione di voti in più del suo predecessore Galan, ha messo insieme il nuovo governo del Veneto a tempo di record, parte con un tasso di gradimento stellare, l’80 per cento, secondo un sondaggio da lui stesso citato nel discorso programmatico di insediamento davanti al parlamento regionale. Un discorso ricco di citazioni alte, di richiami ai valori, di “orgoglio veneto” e di aperture a tutte le forze, politiche, economiche e della società civile, per fare insieme le molte cose che ci sono da fare. La visione è chiara e condivisa: la crisi greca ci ha ricordato in modo drammatico quali siano le conseguenze di una sussidiarietà irresponsabilmente generosa: comportamenti viziosi non sanzionati portano alla rovina tutti e distruggono la ricchezza creata con fatica dai comportamenti virtuosi. Per dirla come il ministro Renato Brunetta, abbiamo inventato un sistema che premia le cicale e punisce le formiche. E ora dobbiamo rapidamente cambiare registro. Stabilito una volta per tutte che su questo la pensiamo esattamente come Zaia, proviamo a entrare nel merito degli impegni presi dal nuovo governatore per fare del Veneto uno dei motori dell’Europa che marcia sulla strada della crescita e del federalismo. Con una raccomandazione che speriamo il governatore voglia accogliere con la concretezza e la cultura del fare che ha mostrato di possedere da Ministro: per qualche anno, diciamo almeno un paio, metta nel cassetto i sondaggi e metta dei paletti alla ricerca del consenso di tutti, che va giustamente ricercato, ma poi bisogna decidere anche contro l’interesse di qualcuno per fare quello di tutti. Abbiamo gli stessi obiettivi. ANCE Veneto ha scritto nel “Patto per il Veneto del futuro”, un documento pubblicato subito prima delle elezioni, di un Veneto “modello globale di sviluppo e sostenibilità” e ha messo ai primi punti delle cose da fare per conseguire questo obiettivo la riforma dello Statuto regionale. Esattamente come Zaia nel suo discorso programmatico. Proviamo in questa pagina ad entrare nel dettaglio impegnandoci a una verifica puntuale e costruttiva dell’azione del nuovo governo regionale proprio nella visione di un sistema di imprese – quello delle costruzioni – che si propone come “consulente tecnico” che può affiancare l’amministrazione per aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi di crescita e sviluppo. 12
Statuto e Patto di Stabilità
IL FARO
Un nuovo Statuto regionale è uno degli obiettivi di questa legislatura il cui conseguimento misurerà la capacità del Veneto di fare efficacemente “lobby” a livello nazionale e internazionale. Uno degli obiettivi condivisi che si vogliono conseguire con il nuovo Statuto è una riformulazione del Patto di Stabilità interno fondato sul principio di responsabilità e capace di declinare l’autonomia federale fino al livello delle amministrazioni comunali. Su un punto sono tutti d’accordo, la maggioranza che governa l’Italia e molti esponenti delle opposizioni, bisogna inventare un sistema che premi gli amministratori locali virtuosi, consentendo loro di continuare a “spendere bene” come hanno mostrato di saper fare, e che punisca quelli viziosi che hanno speso male – cioè hanno distrutto ricchezza – togliendo loro le risorse. è sul come si raggiunge questo obiettivo che si misurerà la politica regionale. Magari accogliendo la proposta di ANCE Veneto di legittimare la figura del costruttore/promotore, vale a dire imprese radicate, che conoscono il territorio e che possono interloquire e collaborare con le amministrazioni avanzando proposte di riqualificazione e sviluppo delle città e del territorio. Vediamo invece un rischio nella ricerca del consenso e dell’unanimismo a tutti i costi e nel coinvolgimento di tutti gli enti territoriali in tutte le scelte generali della Regione. Francamente, almeno in questa fase, il pericolo di un nuovo “centralismo regionale” evocato da Zaia ci sembra abbastanza remoto. Sarà un happy problem una volta costruita una regione forte, padrona delle sue scelte economiche e finanziarie. Zaia aveva chiesto nel discorso di insediamento un nuovo regolamento d’aula entro i primi cento giorni. Ma la materia è di esclusiva competenza del Consiglio regionale e la proposta di revisione non ha ancora iniziato l’esame in Commissione. Per lo statuto invece la scadenza di Zaia per averne uno nuovo è fine anno.
Efficienza energetica È questo il vero test della sensibilità ambientale del nuovo governo del Veneto, una sensibilità da declinare con il verbo fare e non con il non fare della Val di Susa. È l’opportunità di dimostrare concretamente come l’impegno ambientale può essere un potente motore di crescita. Il Veneto parte avvantaggiato. Tra le regioni italiane è uno dei casi avanzati nell’introduzione delle certificazioni energetiche degli edifici pubblici e privati. Ha i numeri per diventare una case history europea, un modello simile a quelli scandinavi e nord europei a cui guardano i governi di tutto il mondo. Serve una spinta in più a un sistema di imprese che è probabilmente in Italia già il più sensibile e orientato all’efficienza energetica. Cosa serve? Incentivi al risparmio energetico che si inseriscano nel Piano Casa, normativa regionale per la certificazione, incentivi e linee di credito dedicate alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici, premialità. Non ci sono aggiornamenti.
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Sburocratizzazione è il grande obiettivo “interno” della riforma dello Statuto. Così come è il grande obiettivo del governo nazionale annunciato pochi giorni fa agli imprenditori riuniti a Santa Margherita Ligure dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Un disboscamento che deve iniziare dalla stessa Regione per proseguire sfoltendo tutti i rami della pubblica amministrazione locale. La burocrazia non viene eletta, ma fa comunque parte del territorio, può svolgere un ruolo positivo non solo ritirandosi, ma anche mettendo la sua esperienza e la sua conoscenza dell’ostruzionismo al servizio di un governo che voglia fare invece di frenare. Nella lotta alla burocratizzazione occorre un po’ di ”astuzia della ragione”. Non si può immaginare la burocrazia locale (e quella nazionale) solo come una specie di parassita da eliminare con il DDT. Bisogna individuare le risorse migliori, le competenze e portarle dalla propria parte premiando, anche qui, i virtuosi – stessa logica che si intende applicare agli amministratori – e punendo i viziosi. E soprattutto eliminare il sistema delle convenienze che alimenta l’ostruzionismo burocratico, iniziando magari anche dalle imprese: chi vive di contenziosi, di ricorsi, di quella che il Ministro Maurizio Sacconi chiama la litigiosità temeraria deve essere individuato, emarginato e possibilmente sanzionato. Il vicepresidente Marino Zorzato sta lavorando alla cura dimagrante della burocrazia regionale.
Infrastrutture e competitività Sono due voci che non si possono separare. La competitività di un territorio è fatta di tutti quei fattori di efficienza e di risparmio sui costi che sono esterne all’impresa, infrastrutture, quindi, materiali e immateriali. Alta velocità ferroviaria, sistema ferroviario metropolitano regionale, viabilità primaria ma, nel Veneto, anche se non soprattutto, secondaria. Ma anche ricerca, sistema universitario raccordato con quello delle imprese. Capacità di confrontarsi non solo con il governo centrale, ma anche a livello internazionale, sulla realizzazione dei Corridoi Europei 1 e 5. Il tutto deve essere funzionale a una crescita ordinata e efficace allo sviluppo delle città – innanzitutto la grande area metropolitana di Venezia – e delle aree industriali. È vero che in passato la crescita è stata disordinata e priva di un disegno organico, però è anche fondamentale sottolineare che di crescita stiamo parlando, non di ritorni a immaginarie bucoliche età dell’oro. Il Veneto ha come benchmark la Baviera, non la Carinzia. In questa ottica, in un’ottica di crescita economica – ordinata, rispettosa dell’ambiente e del territorio ma sempre crescita – si colloca il problema della riqualificazione di Porto Marghera. C’è un grande tema di recupero ambientale legato al disinquinamento del territorio veneziano e della laguna. Ma nella cornice di un disegno più ampio che miri alla trasformazione di Porto Marghera in una piattaforma logistica, anzi “della” piattaforma logistica che connette il Mediterraneo all’Europa Nord Orientale. Non ci sono aggiornamenti.
Expo 2015 È una data simbolica. L’Expò di Milano coincide con la conclusione della legislatura appena avviata in Veneto. Tutti sono d’accordo sul fatto che il Nordest può giocarsi un ruolo da protagonista in questo importante evento internazionale, d’altra parte il Nordest inizia a Bergamo e, invece, Milano tende a guardare più verso Torino. Oltretutto il tema dell’alimentazione e dell’eccellenza agro alimentare è molto più facile da declinare nel Nordest che nel vecchio triangolo industriale, a meno che non immaginiamo l’Expò come una versione allargata della sagra del tartufo di Alba. Eppure nessuno per ora riesce a uscire dalla suggestione degli slogan e dei richiami storici e geografici e ad avanzare proposte concrete realizzabili nei 5 anni che ancora mancano. Qui ci vuole un colpo d’ala. Qui Zaia ha l’occasione per volare. Non ci sono aggiornamenti. 14
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ed il conseguente prelievo di campioni per l’esecuzione di esami e prove. Acquisisce responsabilità anche la figura del Direttore dei Lavori, che in cantiere ha compiti di controllo e vigilanza che gli derivano dalla funzione che svolge: egli, infatti, ha l’obbligo di verificate i materiali accertandosi che gli stessi siano conformi alla normativa tecnica vigente. “ Il Direttore Lavori ha la specifica responsabilità dell’accettazione dei materiali ”. In altre parole, il suddetto professionista deve verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa che siano osservate le norme e che ci sia corrispondenza dei materiale impiegati con le caratteristiche indicate nei contratti stipulati. Si precisa altresì che sia il produttore che l’acquirente, agendo nel mancato rispetto di quanto sopra esposto, potranno ricadere in sanzioni amministrative e penali sino al sequestro dei manufatti ed al fermo cantiere. Al fine di poter fornire un prodotto che rispetti tutte le normative richieste, la ns. azienda seguita dall’Ente Certificante ICMQ, ha ottenuto a decorrere dal 27 Luglio 2009, “ IL CERTIFICATO DI CONTROLLO DELLA PRODUZIONE IN FABBRICA - NR. 1305-CPD-0922 ” di cui alleghiamo copia. A disposizione per ulteriori chiarimenti in merito, cogliamo l’occasione per porgere distinti saluti.
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PaTreVe
Una locomotiva per le casse italiane di Gennaro Barbieri
Il Veneto si prepara alla fase due: dopo il successo del modello Nord-Est e superata almeno la fase più acuta della crisi economica globale, ora deve guardare al futuro con ambizioni internazionali. E il cardine su cui queste ambizioni si imperniano e vengono rappresentate è la city-region italiana, meglio nota nello slogan del Ministro Sacconi che ha inventato l’efficace immagine della “piastra” logistica al servizio dei flussi economici che si intersecano nella grande area metropolitana che gravita attorno a Venezia. In questo numero EST cerca di fare il punto sui fatti, sui progetti e sulle diverse posizioni sul tavolo dando voce ai protagonisti. Da
Gianni De Michelis che immagina
per Venezia un futuro alla Singapore, la città stato simbolo della modernizzazione del Sud Est asiatico, al Presidente degli industriali di Venezia
Luigi Brugnaro che
rivendica, insieme alla necessità di progettare il futuro, il dovere di conservare la grande vocazione industriale dell’area veneziana simbolizzata dalla chimica di Marghera. Ci sono poi, giustamente, le posizioni critiche, come quella dell’ex assessore all’urbanistica di Venezia
Roberto D’Agostino, preoccupato di uno sviluppo immobiliare non suf-
ficientemente calibrato dal punto di vista urbanistico. E ci sono le proposte forti per interventi capaci di disegnare il futuro, espresse dal vicepresidente della Regione
Marino
Zorzato che non vede alternatività e incompatibilità tra lo sviluppo infrastrutturale e quello immobiliare. L’obiettivo di questa panoramica non è semplicemente descrittivo. È il tentativo di mettere sul tavolo tutte le carte per favorire la comprensione di quale sia la posta in gioco e favorire la discussione. Perché si arrivi a conclusioni condivise in tempi rapidi e si passi dalle parole ai progetti esecutivi e cantierabili.
Segue
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U
n’analisi elaborata dall’Ocse lo scorso gennaio ha inserito la city-region di Venezia tra le realtà più dinamiche e produttive d’Europa. Si tratta infatti di una zona caratterizzata da un Pil pro capite pari a 32.941 dollari statunitensi, ben oltre la media del nostro Paese e paragonabile a quello di Toronto e Barcellona. Il dossier focalizza un’area metropolitana che comprende le province di Venezia, Padova e Treviso (per questo è chiamata con l’acronimo PaTreVe) ed include circa 2 milioni di abitanti. La risorsa fondamentale è rappresentata dal turismo, poiché attira circa 39,5 milioni di visitatori ogni anno. Sotto il profilo economico costituisce un’autentica locomotiva per le casse italiane: garantisce il 23% di tutte le esportazioni nazionali e oltre il 40% dei beni di lusso italiani venduti all’estero. Il tasso di crescita annuale dell’area è pari al 3%, oltre il 50% in più rispetto alla media delle altre città-regioni monitorate dall’Ocse. Per intenderci, si tratta di una performance sui livelli di realtà come Londra, Stoccolma e Houston. Il tasso di disoccupazione (3,5% in base agli ultimi rilevamenti effettuati nel 2008) è inferiore rispetto a quello di regioni nel complesso più ricche, come San Diego, Melbourne, Phoenix e Tokyo. La city-region di Venezia ricopre un ruolo chiave per l’intero Nordest che si candida a diventare un ponte geografico, economico e culturale tra
l’Italia ed il resto del mondo. Il Nordest presenta infatti una collocazione strategica che denota una doppia centralità: verso il Mediterraneo e verso Est, dai Balcani alla Russia. I flussi commerciali che arrivano per via marittima dall’Oceano Indiano passano dal Canale di Suez e attraversano l’Adriatico per poi essere smistati sul suolo europeo. Per questo l’Adriatico rappresenta il naturale baricentro di un disegno strategico che ambisca a costruire solide relazioni tra Mediterraneo e Golfo, puntando sul Medio Oriente come cerniera dei grandi traffici del pianeta. La mappa globale degli scambi ha subito radicali modifiche negli ultimi vent’anni, con la fine della Guerra Fredda e l’ascesa delle economie asiatiche (Cina, India, Sud-Est asiatico). Un tale cambiamento ha determinato l’intensificazione dei traffici via Mediterraneo: il transit-time dei porti mediterranei sta diventando più vantaggioso rispetto agli scali nordeuropei, grazie alle enormi potenzialità di crescita presenti nell’Europa dell’Est-Sud-Est e in Nordafrica. Attualmente il bacino del Mediterraneo movimenta 32,3 milioni di Teu che, secondo gli analisti, potrebbero diventare 59 milioni nel 2015. L’Italia sta traendo un ingente vantaggio da queste dinamiche: nel nostro Paese la portualità è passata da una movimentazione di 3 milioni di Teu (Twenty-Foot Equivalent Unit) di fine anni Novanta agli attuali 9,5 milioni.
Sotto il profilo economico costituisce un’autentica locomotiva per le casse italiane: garantisce il
23% di tutte le esportazioni nazionali e oltre il 40% dei beni di lusso italiani venduti all’estero
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In scena
L’Italia sta traendo un ingente vantaggio da queste dinamiche: nel nostro Paese
la portualità è passata da una movimentazione di 3 milioni di Teu di fine anni Novanta
agli attuali 9,5 milioni
ordest, zio Sacconi Dialogo a N helis e Mauri ic M e D i n n Gia
Le coordinate di riferimento sono mutate rapidamente ed è quindi fondamentale riconsiderare alcuni elementi, soprattutto sotto il profilo infrastrutturale. Nel libro Dialogo a Nordest, uscito nel gennaio 2010 e scritto a quattro mani da Gianni De Michelis e Maurizio Sacconi, viene evidenziata la nuova funzione che il Corridoio 5 sta assumendo rispetto a quando fu pensato. Secondo i due autori bisogna quindi riformularne i termini, conservando la proiezione Venezia – Kiev ed aggiungendo un ramo sud-occidentale che raggiunga il Tirreno via Orte e Civitavecchia, così da rendere il Corridoio 5 un perno di quelle autostrade del mare su cui l’Unione Europea punta fortemente. Il rischio è infatti che il Nordest diventi subalterno all’asse Atene-SofiaBudapest-Vienna-Praga-Norimberga-Dresda (Corridoio 10) che ambisce anch’esso a trasformarsi nel principale aggregatore strategico di un nuovo assetto comunitario. Segue
In scena
Una nuova struttura portuale permetterà a Venezia di controllare i traffici dall’Oriente
Un’altra infrastruttura determinante per lo sviluppo del Nordest è rappresentata dal porto d’altura di Venezia, racchiuso in un progetto che è stato presentato ufficialmente lo scorso 23 settembre. Il terminal sarà pronto tra circa 5 anni e costerà 1,382 miliardi di euro, quasi tutti in project financing, e diventerà la prima struttura portuale off-shore mai realizzata nel Mediterraneo. Il progetto prevede una piattaforma posizionata a circa 14 chilometri dalla costa, fondali adatti ad accogliere imbarcazioni oceaniche di capacità compresa tra i 6mila e i 14mila Teu, una zona dedicata al trasbordo dei container che potrà movimentare da 1,5 a 3 milioni di Teu e un’area in grado di gestire una capacità massima di 7 milioni di tonnellate di petrolio grezzo in cui le navi scaricheranno direttamente su un oleodotto marino, collegato alle raffinerie di Porto Marghera e Mantova. La struttura sostituirà il porto petroli di San Leonardo ed eliminerà la maggior parte delle navi commerciali della laguna, dove transiteranno soltanto le chiatte che preleveranno le merci dalle imbarcazioni transatlantiche ormeggiate nel nuovo porto. Il progetto nasce dall’ambizione di rendere il Nordest un crocevia per i traffici dall’Oriente, valorizzando la posizione strategica che consente a Venezia di essere il porto adriatico più vicino per transit time ai mercati orientali: 16 giorni a Singapore, 20 a Shangai. La fattibilità dell’opera è sostenuta dal presidente dell’Autorità portuale veneziana, Paolo Costa, che spiega come «il terminal off-shore avrà una duplice funzione di porto a sé stante per le operazioni di transhipment e di banchina in acqua profonda di Venezia. L’unione di queste due funzioni – sottolinea – garantisce le economie di scala e rende ipotizzabile il ricorso ad una partnership pubblico-privata». Favorevoli al progetto anche il Presidente di Confindustria Veneto Angelo Tomat, il Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e il Ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli che osserva come «si tratti di una proposta progettuale strategica e antesignana perché il sistema portuale dell’Alto Adriatico possa competere con i porti del Nord Europa. L’Italia – aggiunge – non ha espresso a pieno tutte le sue potenzialità. Per questo il Governo non può che impegnarsi a far decollare il progetto il prima possibile». Segue 21
Secondo quanto indicato dal progetto, attraverso la
bonifica ed il recupero delle superfici di Porto Marghera saranno realizzate aree logistiche e distripark Stesso entusiasmo ha espresso il Ministro Renato Brunetta: «Siamo di fronte ad una congiuntura assolutamente favorevole sotto il profilo tecnologico, progettuale ed economico, per far passare da 1 a 10 l’offerta di questo sistema portuale. Una congiuntura che il Governo farà di tutto per cogliere». Per quanto concerne i finanziamenti, lo Stato garantirebbe i fondi per la costruzione della diga a mare, a protezione della piattaforma, e le strutture del porto petrolifero. Il resto sarebbe ad appannaggio di investitori privati: il primo soggetto coinvolto in questo senso è stato Unicredit Logistics. Il Vicepresidente della società, Maurizio Maresca, ha spiegato che «il gruppo è disponibile a mettere a disposizione tutti i finanziamenti necessari per i progetti che dimostrano di poter funzionare». L’unico ostacolo risiederebbe nel mancato completamento della Venezia - Monaco perché 22
«solo se i corridoi verticali sono più efficienti – sottolinea Maresca – i grandi armatori internazionali localizzerebbero i loro traffici sui porti italiani». La partita delle grandi navi presenta comunque molteplici implicazioni. La struttura off-shore, per esprimere piena funzionalità, deve essere integrata e posta in relazione con altre realtà. A questo proposito Giorgio Orsoni, nel suo discorso di insediamento spiegò di voler «verificare la possibilità di trasferire il porto passeggeri nella zona industriale di Marghera». L’intenzione del sindaco è infatti quella di trasferire a Marghera, nelle banchine ristrutturate dall’ex Alumix, le navi di nuova generazione di circa 300 mila tonnellate. Le imbarcazioni rappresentano un evidente veicolo di ricchezza, ma pongono dei problemi di compatibilità con l’ambiente lagunare. Inoltre il terminal in mare non risolverebbe i problemi delle rotture di carico, poiché i container
dovrebbero comunque essere trasbordati al largo su navi più piccole, con aumento dei costi e del tempo impiegato. Oltre alla questione della viabilità navale, Porto Marghera assume un ruolo fondamentale anche per l’operatività della piattaforma off-shore. Sarà lì che sarà posizionato il nuovo container terminal di 90 ettari dal quale i carichi verranno inoltrati alle destinazioni dell’entroterra. Infatti, secondo quanto indicato dal progetto, attraverso la bonifica ed il recupero delle superfici di Porto Marghera saranno realizzate aree logistiche e distripark dove i container saranno lavorati e collegati via ferrovia e via strada alle arterie di comunicazione che collegano il Nordest con la Lombardia e con i principali mercati dell’Europa centrale ed orientale. C’è però anche chi manifesta contrarietà alla realizzazione del progetto. Tra le posizioni critiche si registra quella di Claudio Boniciolli, Presiden-
te uscente dell’autorità portuale di Trieste ed ex Presidente del porto di Venezia. Secondo Boniciolli la piattaforma off-shore non rappresenta «la soluzione dei problemi relativi alla portualità dell’Adriatico. La costruzione di un porto su un’isola in mare – spiega – pone dei problema estremamente seri. E poi resta il quesito: perché fare un’isola in mezzo al mare quando, a pochi chilometri, c’è Trieste che con i collegamenti stradali e ferroviari adeguati può servire il Nordest altrettanto bene? I soldi mica possiamo buttarli via. Mettiamo in piedi cose fattibili e ragionevoli, senza sforzi immensi e senza mutare la struttura geografica delle nostre coste. Inoltre bisogna rilevare che tutti assieme, oggi, nell’Alto Adriatico facciamo 1,2 milioni di Teu. Mi pare un po’ pochino per progettare porti da 10 milioni di Teu, che – conclude – sono i traffici che fa oggi tutta l’Italia, compreso il transhipment». Segue 23
Veneto City, il polo dell'eccellenza veneta universitari, ospedali e centri commerciali. Veneto City non ha, tuttavia, raccolto consensi unanimi. Il Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni sostiene che il progetto è «la conseguenza dell’impotenza dimostrata a Porto Marghera e creerebbe un polo di sviluppo dell’edificato in un’area che non ne ha assolutamente bisogno». Una campagna di mobilitazione contro il progetto è stata poi organizzata dai comitati ambientalisti, Legambiente, Idv e dal movimento di Beppe Grillo. Le questioni sollevate riguardano innanzitutto l’elevato rischio idraulico cui sarebbe soggetta l’area su cui è stata ideata Veneto City: l’edificazione del centro polifunzionale aumenterebbe il pericolo di esondazioni ed alluvioni. Un Un’altra sfida che il Nordest deve vincere per completare il suo processo di crescita, riguarda Veneto City, l’enorme progetto immobiliare che ambisce a realizzare un polo di riferimento per il terziario nella provincia di Venezia, sfruttando la localizzazione strategica e le risorse infrastrutturali dell’area. La proposta iniziale interessava soltanto la zona compresa nel comune di Dolo, ma l’idea si è successivamente estesa arrivando a comprendere anche parte di Pianiga e Mirano. Le ipotesi emerse sino ad ora prevedono 2 milioni di mc su circa 600.000 mq edificabili lungo 56 ettari. La zona è già, per buona metà, occupata da capannoni industriali e strutture commerciali. Tuttavia l’idea dei promotori del progetto (Giuseppe Stefanel, Fabio Biasuzzi, Luigi Endrizzi, Olindo Andrighetti e Giancarlo Selci) è quella di riqualificare interamente il territorio, organizzando un polo che aggreghi attività direzionali e di servizio alle imprese. Un modo per valorizzare le eccellenze produttive, organizzando expo del tessile, dell’elettronica, della meccanica, dell’arredamento e del calzaturiero. Ma anche un luogo di progettazione e di ricerca, una sede policentrica per imprese, istituzioni, uno spazio per strutture sportive, edifici 24
parere negativo circa nuovi insediamenti produttivi nell’area è giunto lo scorso 14 ottobre dalla Salvaguardia che, in una relazione, vieta «l’urbanizzazione e l’edificazione di aree a rischio allagamento». Tra esse è presente anche quella in cui dovrebbe sorgere Veneto City. Un'altra criticità individuata dagli oppositori è quella relativa al traffico. I progettisti hanno calcolato che, una volta ultimato il progetto, la zona accoglierebbe un flusso di circa 70.500 veicoli al giorno. Per questo i timori si concentrano sul possibile corto circuito della viabilità del Graticolato, del Miranese e della Riviera.
Venezia come Singapore: la city-region italiana A colloquio con Gianni De Michelis
di Gennaro Barbieri
I
l progetto di Veneto City, le infrastrutture da potenziare, la nuova configurazione dei traffici commerciali che restituisce al Mediterraneo piena centralità. Sono alcune delle sfide che il Nordest deve vincere per imporsi come piattaforma logistica all’interno dei nuovi assetti europei. La collocazione strategica rappresenta infatti una potenzialità enorme, un’occasione irripetibile su cui investire. Ne abbiamo parlato con Gianni De Michelis, protagonista assoluto della
Prima Repubblica e grande conoscitore della realtà veneta: la sua esperienza politica iniziò proprio come consigliere ed assessore del Comune di Venezia. Sono trascorsi decenni, ma non ha smesso di occuparsi del suo territorio: lo scorso gennaio ha pubblicato “Dialogo a Nordest”, scritto a quattro mani con Maurizio Sacconi. Un volume che analizza nel dettaglio il futuro del Nordest, tra difficoltà strutturali e un enorme patrimonio di risorse da valorizzare. Segue 25
Il modello migliore è certamente Singapore perché rappresenta una realtà più autonoma soprattutto sotto il profilo istituzionale e ricorda chiaramente
il prototipo di una city-region
Veneto City è stata definita la più grande partita immobiliare sul tavolo del Nordest. È stata anche definita come il segno del riscatto contro il declino incombente. Si riconosce in questa visione o la trova riduttiva e un po’ “di cortile”? Veneto City riguarda un progetto concreto realizzato all’altezza di Dolo, all’incrocio tra il Passante e l’attuale autostrada Venezia-Padova. Si tratta di un’operazione immobiliare collocata in un’area centrale e strategica, ma che per essere funzionale va inserita in un contesto molto più vasto. È infatti necessario un sistema metropolitano più largo ed adeguato alla funzione centrale del Nordest all’interno dell’Europa. Negli ultimi vent’anni il Nordest ha perso numerose occasioni, basti pensare al rallentamento dei lavori per il Corridoio 5 e all’Expo del 2010, ed oggi rischia di ritrovarsi ad avere un ruolo periferico negli assetti continentali. Per comprendere questa dinamica, è utile confrontare il rapporto tra il Nordest e la Slovenia: vent’anni fa c’era un abisso in termini di ricchezze, oggi il divario si è definitivamente colmato. Per recuperare il tempo perso bisogna quindi realizzare nel cuore del Nordest un sistema metropolitano che includa circa 2 milioni di abitanti e che sia in grado di esprimere un’effettiva centralità, concentrando tutte le funzioni (da quella universitaria a quella finanziaria) in maniera organica. In un simile quadro Veneto City 26
rappresenta soltanto un tassello del mosaico, ma le sfide fondamentali da vincere sono altre. Proviamo a volare alto. La vocazione di Venezia da sempre è guardare a Est. Quale modello possiamo immaginare? Le offriamo tre opzioni: Singapore, Hong Kong, Shangai… ma se ne ha in mente una quarta… Tra i tre proposti, il modello migliore è certamente Singapore perché rappresenta una realtà più autonoma soprattutto sotto il profilo istituzionale e ricorda chiaramente il prototipo di una city-region. È proprio da esempi del genere che è necessario ripartire per restituire al Nordest la sua funzione strategica. Riavviciniamoci all’Europa. E in particolare alla macroregione che secondo molti sta prendendo forma e che include Baviera, Austria, Slovenia, Nordest italiano fino all’Emilia e forse alle Marche. Che ruolo può avere Venezia oltre a quello ovvio di sbocco sul mare a livello di sistema-macroregione? All’interno di questa macroregione bisogna inserire anche Slovacchia, Ungheria e Croazia, mentre per quanto riguarda l’Italia includerei pure la parte della Lombardia che comprende Bergamo e Brescia. L’intera area può trarre giovamento dalle opportunità fornite dai nuovi traffici commerciali, poiché presenta una migliore collocazione rispetto al Nordovest.
Veneto City dovrà
rappresentare una porzione di un progetto ben più ampio. In ogni caso occorrono capitali
internazionali, ma soprattutto elementi in grado di attrarre funzioni finanziarie, produttive e di ricerca che presentino un carattere sovranazionale.
In questo contesto Venezia non può limitarsi a sviluppare esclusivamente la propria portualità, ma deve inserirsi in un progetto più ampio che la renda vero e proprio baricentro a livello europeo. Ciò è possibile ripartendo dalle infrastrutture, da una solida organizzazione urbana e da un’effettiva valorizzazione del turismo. L’Europa si appresta ad allargare le proprie prospettive strategiche verso est e verso sud. Venezia deve essere protagonista assoluta di questi percorsi. Il suo co-autore Maurizio Sacconi ogni volta che può parla di “piastra logistica”. Può elaborare? Immaginiamo che sulla piastra ci siano ovviamente le infrastrutture, la finanza, le università, i servizi alle imprese. Con quale mix e soprattutto con quale mission? Il Nordest è definibile "piastra logistica" in relazione alla nuova mappa degli scambi che si sta configurando. Lo è naturalmente sotto il profilo geografico, ma per diventarlo anche a livello economico è necessario sviluppare a pieno tutte le potenzialità, investendo su porti, aeroporti, strade e ferrovie. Il vero punto di svolta risiede però nella rimodulazione del Corridoio 5, realizzandone una sua variante “bassa”. Si tratta cioè di mantenere il rapporto con l’Europa dell’est attraverso l’asse Budapest – Zagabria – Lubiana – Trieste – Venezia, creando però anche una
“discesa” verso il Mediterraneo tramite Orte e Civitavecchia. Il Corridoio 5 fu pensato ed ideato prima della caduta del muro di Berlino, quando le coordinate di riferimento erano ovviamente tutt’altre. I flussi commerciali si stanno radicalmente modificando e quindi bisogna prenderne atto. La piastra logistica del Nordest va quindi inserita nel nuovo contesto determinato dall’intensificarsi dei traffici mediterranei e di conseguenza anche l’organizzazione delle infrastrutture va delineata in questo senso. Il Nordest, grazie alla sua collocazione strategica, ha enormi potenzialità. Trasformarle in realtà è la vera sfida. Con quali soldi si farà Veneto City? Capitali solo italiani? O prevalentemente internazionali? Nel secondo caso avrebbe delle preferenze? Ripeto che Veneto City dovrà rappresentare una porzione di un progetto ben più ampio. In ogni caso occorrono capitali internazionali, ma soprattutto elementi in grado di attrarre funzioni finanziarie, produttive e di ricerca che presentino un carattere sovranazionale. Il Nordest deve infatti rendersi competitivo rispetto agli altri poli metropolitani dislocati lungo il territorio europeo. È perciò indispensabile svincolarsi da una dimensione puramente italiana, affinché tutti i settori acquisiscano la capacità di relazionarsi con il contesto globale. 27
«Puntiamo sulla logistica per aumentare lo sviluppo» Intervista al Vicepresidente della Regione Veneto Marino Zorzato
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i che cosa ha bisogno in termini di infrastrutture il Veneto post–crisi? Estremizzando: cubature per la piastra logistica Venezia – Mestre – Padova o recupero ambientale a cominciare dalla laguna e da Marghera? Il Veneto alla fine della crisi economica mondiale che è in corso ha la necessità di presentarsi con un sistema di infrastrutture funzionale al ruolo che la nostra Regione dovrà necessariamente avere in ambito continentale. Il Veneto è una terra di relazioni, da sempre costituisce una cerniera tra l’Europa dell’est ed il Mediterraneo e deve rafforzare, per il proprio sviluppo economico e sociale, questo ruolo. Per far questo è appunto necessaria una rete infrastrutturale con standard europei che permetta, usciti dalla crisi, di presentarsi competitivi nel mercato europeo. Le due alternative poste nella domanda, che sembrano tra loro antitetiche, in realtà sono complementari. La Regione ha necessità di porre in essere tutta una serie di interventi di recupero ambientale, a partire dalla laguna e da Marghera, per valorizzare il territorio, ma ha anche la necessità di creare poli logistici e centri di servizio importanti affinché l’enorme traffico di attraversamento, da cui il nostro territorio è interessato, possa diventare elemento di ricchezza e di sviluppo per il territorio stesso. L’emergenza infrastrutturale del Veneto dopo trent’anni si è sostanzialmente chiusa con il Passante di Mestre, il completamento dell’A28 e la terza corsia sull’A4. Come va declinata a livello di infrastrutture la nuova centralità del Nordest che si sta delineando? Non direi che l’emergenza infrastrutture nel Veneto si è chiusa con la realizzazione di queste opere, che hanno co-
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di Lucio Leornadelli
munque alleggerito in maniera notevole il deficit infrastrutturale della regione. Rimangono importanti emergenze: è sufficiente percorrere la viabilità pedemontana trevigiana e vicentina per rendersi conto di quanto sia inadatta ai volumi di traffico che quotidianamente la interessano e come questi volumi compromettano la qualità della vita dei cittadini che vi abitano. Ma è lo stesso per la Romea, che, assieme alla Pontina, è la strada con il maggior livello di incidentalità sull’intero territorio nazionale. Quindi perché il Nordest possa mantenere il suo ruolo di centralità nei traffici europei è necessario realizzare la Pedemontana Veneta, la Romea autostradale, la Nogara – Mare e l’Alta Capacità ferroviaria, in modo tale da dare funzionalità ai corridoi transeuropei che interessano la nostra Regione. La crescita industriale del Nordovest nel secolo scorso era incentrata sulle aree metropolitane che includevano le grandi fabbriche. Oggi il futuro del Nordest si gioca sulle intersezioni delle direttrici Nord – Sud e Est – Ovest, che non coincidono necessariamente con le aree metropolitane. Come vanno attrezzati questi snodi degli scambi europei e ormai globali? Si parla di hub. Ma in concreto, cosa vuol dire? Il Veneto, soprattutto per quello che riguarda la sua area centrale, è ormai da tempo una città diffusa, una grande area metropolitana paragonabile, seppur con le dovute distinzioni dimensionali, ad aree europee, come le zone limitrofe ad Amsterdam, o americane, come il circondario di Los Angeles. È difficile quindi un paragone tra lo sviluppo industriale del Nordovest negli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso e le necessità che ha oggi il Nordest. È certo che uno degli elementi che possono
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permettere la crescita economica del Veneto nei prossimi anni è la logistica. Lo sviluppo della logistica è l’unico sistema per tradurre in ricchezza e possibilità di sviluppo il traffico di attraversamento della nostra regione, che in caso contrario rimarrebbe esclusivamente di attraversamento, riservando a noi l’inquinamento e la ricchezza ai poli di attrazione del traffico stesso. Quindi il nostro sistema autostradale e le piastre logistiche connesse devono trasformarsi in servizi a favore delle grandi correnti di traffico, proprio perché queste ultime possano diventare mezzi di sviluppo. C’è chi rivendica la priorità per interventi che aumentino l’integrazione con le grandi reti infrastrutturali internazionali e c’è chi dice che la priorità è organizzare l’area metropolitana veneta creata quasi spontaneamente in questi decenni. Cosa è più urgente? Ci sono risorse e tempi tecnici per percorrere le due strade in contemporanea? Non sono due priorità diverse, è un’unica priorità che ha il Veneto e che deve risolvere per presentarsi competitivo all’interno del contesto europeo. Segue
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«Il Veneto è stata tra le prime regioni in Italia
a sfruttare a fondo il sistema della finanza di progetto. Basta ricordare la Pedemontana Veneta, la Nogara – Mare, i sistemi di collegamento con le spiagge e, perché no, anche il Passante di Mestre».
Da un lato sussiste la necessità di completare i grandi assi infrastrutturali per dare funzionalità ai corridoi che interessano la Regione, evitando così il rischio che il Veneto rimanga escluso dai grandi traffici di circuitazione europea con le ovvie negative conseguenze sull’economia regionale. Dall’altro, occorre riorganizzare ulteriormente le infrastrutture dell’area metropolitana centrale veneta che è cresciuta tumultuosamente negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. In un momento di ristrettezza finanziaria come quello di oggi, è sicuramente difficile poter agire contestualmente su questi due fronti, ma è necessario trovare il modo di farlo. Il rischio, ripeto, è quello di avere un Veneto dal futuro non competitivo sul mercato europeo. In merito alla pianificazione urbanistica, settore di sua specifica competenza, secondo una tesi ormai consolidata, dovrebbe essere vista su una scala sovracomunale, a livello di area vasta, anche se questo comporterebbe necessariamente una rivisitazione dell'attuale programmazione legislativa regionale: qual è il suo pensiero a questo proposito? Certamente la pianificazione attuale non può prescindere dal concetto di area vasta. Ogni problema va affrontato alla scala che gli compete e con il riferimento territoriale richiesto. L’area vasta intesa come ambito di pianificazione più esteso dei confini amministrativi è un’esigenza imprescindibile, per una pianificazione consapevole. Si vedano a tal proposito le norme relative ai PATI tematici, che obbligano i Co-
muni, qualora vogliano proporre progetti di grande consistenza, alla predisposizione di Piani di assetto del territorio insieme a tutti i Comuni interessati dalla previsione. Da ultimo, molte opportunità che si potrebbero cogliere necessiterebbero della ricerca di nuove forme di finanziamento con il partenariato pubblico – privato, sfida che peraltro nel Veneto è già stata in qualche modo raccolta e che dal mondo delle costruzioni viene sollecitata. È un problema questo? E comunque come, secondo la Regione, potrebbe eventualmente essere affrontato? Il Veneto è stata tra le prime regioni in Italia a sfruttare a fondo il sistema della finanza di progetto. Basta ricordare la Pedemontana Veneta, la Nogara – Mare, i sistemi di collegamento con le spiagge e, perché no, anche il Passante di Mestre. Il sistema del partenariato pubblico – privato dovrà essere maggiormente utilizzato, a fronte della crisi della finanza pubblica. Un utilizzo dedicato, altrimenti un suo utilizzo generalizzato potrebbe tradursi in una esplosione del debito pubblico a medio termine. Il problema che deve affrontare la Regione è come garantire il coinvolgimento in questi interventi del sistema delle piccole e medie imprese regionali. Non è un tema semplice da affrontare in quanto spesso si scontra con problemi di legislazione comunitaria e nazionale, ma è un tema che stiamo affrontando e che ritengo potrà trovare soluzione. 31
Brugnaro: la chimica resta al centro dello sviluppo di Porto Marghera Intervista a Luigi Brugnaro, Presidente Confindustria Venezia
di Giuseppe Bucca
«L
a chimica è un’eccellenza veneziana e sarà ancora nel futuro industriale di Porto Marghera». Luigi Brugnaro, Presidente di Confindustria Venezia, lo ha ribadito chiaramente all’ultima assemblea generale dell’associazione. La chimica resta un settore cruciale per attrarre investitori dall’estero. Ma non di tutta la chimica si sta parlando. «Quella legata al ciclo del cloro è finita – chiarisce Brugnaro – dobbiamo rendercene conto. Chi crede o spera ancora nel salvatore della
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patria che arriva qui e riapre fabbriche chiuse o dà un futuro a realtà che non ne hanno più è un illuso e fa del male anche ai lavoratori». Confindustria Venezia è tra quelli che credono si possano mantenere solo gli impianti di Pvc e comprare da fuori il dicloroetano necessario per queste produzioni? «Sono dell’idea che prima finisce l’esperienza dei tre commissari straordinari meglio è. Pensiamo a
sostenere quelle imprese e quei comparti che possono avere un futuro, in contemporanea sviluppiamo le produzioni verdi e quelle più avanzate e meno inquinanti». Crede che si possa parlare del futuro di Porto Marghera senza affrontare definitivamente la questione delle bonifiche? «Senza le bonifiche Porto Marghera è morta perché non troverai mai un investitore disposto a buttare i soldi dalla finestra per aspettare anni senza sapere se alla fine avrà a disposizione l’area scelta. Prima di tutto bisogna restringere i confini dell’area da disinquinare alla sola area industriale. Di questa sappiamo già tutto: carotaggi, studi e analisi sono stati fatti e li mettiamo a disposizione degli investitori che non dovranno spendere soldi inutilmente. Poi certifichiamo a monte le bonifiche». Cosa vuol dire? «Creiamo delle categorie A B C già vagliate dai vari soggetti competenti, conferenze dei servizi. Ogni tipo di attività che si vuole impiantare avrà la sua tipologia di bonifica con procedure e costi certi. Poi ci sono i costi relativi alla gestione delle acque di falda. Io dico: stabiliamo un tot da pagare per ogni metro quadrato che si acquista, una cifra uguale per tutti. Non sarà più il privato a dover emungere l’acqua di falda e inviarla al depuratore, ma se ne occuperà un consorzio che potrà essere l’attuale Pif (Piano integrato Fusina). Il consorzio verificherà dove è necessario aspirare l’acqua e farà pagare una bolletta come quella per l’acquedotto. Il costo complessivo sarà diviso tra le bollette e le istituzioni che potranno accedere a fondi europei».
Al tavolo sulla crisi di Porto Marghera, riunitosi recentemente, ha ribadito che le decisioni sul futuro dell’area dovranno essere prese a Venezia e non al ministero. «Invece di riempire gli aerei per andare a Roma, chiamiamo a Venezia i funzionari governativi e facciamogli toccare con mano la situazione reale. Facciamogli vedere gli impianti e le facce di tutti noi e usciamo una volta per tutte da questa situazione di agonia». Qual è la posizione della vostra associazione sulla nuova Legge Speciale promossa dal Ministro Brunetta? «Per richiamare investimenti a Venezia bisogna pensare ad una fiscalità di vantaggio: chi viene qui avrà agevolazioni corpose».
«Senza le bonifiche Porto Marghera è morta perché non
troverai mai un investitore disposto 33 a buttare i soldi dalla finestra per aspettare anni senza sapere se alla fine avrà a disposizione l’area scelta».
Le opportunità vanno ricercate nella pianificazione e nel social housing
di Martino Almisisi
Intervista a Roberto D’Agostino, architetto e urbanista
S
e intorno a progetti come Veneto City o Tessera City crescono le aspettative, si discute delle loro potenzialità, c’è chi guarda allo sviluppo metropolitano di Venezia in un modo totalmente diverso. «Stiamo parlando di progetti nati al di fuori di qualunque pianificazione. Si tratta di iniziative immobiliari connesse al pro-
cesso di sviluppo infrastrutturale che sta caratterizzando il territorio intorno a Venezia e a Mestre, in seguito alla realizzazione del “passante” e sotto la spinta di nuovi progetti come i nuovi uffici della Regione e la crescita di progetti direzionali. Il fatto che le caratterizza è che si tratta di iniziative pensate e sviluppate da promotori
Curriculum vitae ROBERTO D'AGOSTINO Architetto e urbanista
Esperto UNESCO per i problemi delle città storiche. Esperto U.E. per i paesi dell’America Latina (Mercosur). Assessore del Comune di Venezia: all'Urbanistica e all'Edilizia Privata (1993/2000); all’Ambiente (2001); alla Pianificazione Strategica, ai Progetti Urbani (2001/2005); alle Relazioni Internazionali e Comunitarie, al Decentramento e alla Città Metropolitana, alle Politiche della residenza (2003/2005). Presidente di AUDIS (Associazione per le Aree Urbane Dismesse) (dal l998). Presidente della Società Arsenale di Venezia spa (dal 2006). Autore di saggi e articoli e curatore di mostre e convegni su argomenti di urbanistica, pianificazione territoriale e pianificazione degli insediamenti storici, pianificazione strategica. Progettista di numerose opere di architettura e di restauro monumentale ed edilizio per conto di enti pubblici e di privati con opere pubblicate in varie riviste di architettura. Autore o coautore di strumenti urbanistici generali e particolareggiati e consulente di numerose amministrazioni pubbliche italiane tra le quali: Ferrara, Trento, Rovereto, Verona, Modena, Faenza, Vittorio Veneto, Milano, Sulmona. Consulente o responsabile di progetti per conto di amministrazioni pubbliche o promossi da organismi internazionali in Francia, Repubblica Popolare Cinese, Cambogia, Bosnia, Serbia, paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay), Tanzania.
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immobiliari con finalità prevalentemente speculative che non ritrovano alcuna giustificazione all’interno dell’attuale programmazione urbanistica e nei piani di sviluppo riguardanti l’area metropolitana di Venezia». Roberto D’Agostino, architetto, ex assessore all’urbanistica del Comune di Venezia nelle giunte di Cacciari e di Costa non guarda con favore queste nuove proposte, ritenendole estranee ad un’evoluzione equilibrata e coerente dello sviluppo edilizio e urbanistico. «L’attuale situazione economica, la crisi che ha colpito pesantemente anche l’industria delle costruzioni costituisce allo stesso tempo un incentivo verso l’individuazione di nuove opportunità, nel senso che potremmo dire che “il mercato” preme sulla politica per contribuire a crearle, ma anche un freno oggettivo a trasformare idee e proposte in possibili realizzazioni. Veneto City ad esempio è un’operazione che ha visto protagoniste alcune società che negli anni passati hanno acquisito un numero elevato di aree proprio con l’obiettivo di trasformare una zona agricola e poco urbanizzata in un nuovo centro urbano con un’elevata concentrazione residenziale oltre che direzionale. Tutto ciò senza tenere conto minimamente di quelli che in questi anni sono stati gli indirizzi, le intenzioni e i programmi definiti a livello di amministrazioni locali. Si tratta di iniziative dove gli interessi sono esclusivamente privati e non trovano alcuna corrispondenza nelle strategie di sviluppo pubblico ispirate a valutazioni di interesse generale. Se poi andiamo a vedere la storia di questo progetti vediamo che le idee sono state elaborate ormai sei, sette anni fa ed hanno trovato una forma compiuta di tipo progettuale e di fattibilità anche finanziaria due anni fa, quindi a ridosso dell’esplosione della crisi. Oggi il contesto è cambiato totalmente e la mia personale opinione è che siamo di fronte a progetti che non hanno futuro. Per quanto riguarda Tessera City è recente la presa di posizione di uno degli investitori principali, il Casinò di Venezia, con la quale rinuncia sostanzialmente al progetto di trasferire l’attività in quell’area. Con l’effetto di ridimensionare
complessivamente l’intera operazione. La verità è che in questo modo si tende a forzare la mano della programmazione pubblica verso iniziative che di fatto non hanno un reale impatto positivo in termini di sviluppo per la città e l’area metropolitana di Venezia». E quale sarebbero invece secondo lei le opportunità da cogliere? In quale direzione va lo sviluppo potenziale in linea con la pianificazione attuale? «Il disegno c’è ed è chiaro, coerente e risponde ad una logica in cui l’interesse pubblico si integra perfettamente con gli interessi imprenditoriali delle costruzioni. La nuova centralità urbana va individuata nelle aree tra Mestre e Venezia, in un processo di ricucitura e di riqualificazione di aree degradate o abbandonate. Quel che va sottolineato è che non stiamo parlando di idee e programmi a venire ma di un processo in corso. Le opere si stanno realizzando. Il parco scientifico e tecnologico, la nuova università di via Torino sono due esempi molto concreti. L’obiettivo è quello di creare un polo terziario avanzato intorno al quale promuovere uno sviluppo urbano coerente ed equilibrato. L’altra centralità, connessa alla precedente, riguarda l’area intorno a piazzale Roma verso la terraferma, con la creazione della Cittadella della Giustizia e il recupero della Manifattura Tabacchi. Un progetto che si lega con i progetti infrastrutturali della monorotaia di collegamento tra l’aeroporto e appunto piazzale Roma. Così come risponde coerentemente a questa impostazione il people mover che attualmente funziona a ritmo ridotto in attesa che con il completamento dell’intero sistema di accesso alla città, lungo la direttrice Tronchetto, Marittima, Piazzale Roma possa esprimere in pieno le sue potenzialità. È questo il motivo per cui ad esempio oggi resta in funzione con un orario ridotto, in attesa di raggiungere un nuovo equilibrio economico che ne consenta l’allungamento orario. Si tratta comunque sempre di circa 600 mila passaggi dall’inaugurazione ad oggi». Segue 35
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«La sublagunare va inserita all’interno di un progetto integrato di infrastrutture volte a facilitare e allo stesso tempo rendere policentrico l’accesso a Venezia». Come si colloca la riqualificazione di Porto Marghera in questo disegno? «Si tratta di una grande sfida. La complessità dell’operazione di riqualificazione è nei numeri. Siamo di fronte alla maggiore area industriale del Paese, una delle più vaste d’Europa: 2.000 ettari. Ad oggi ne restano da bonificarne oltre 1.500. Comunque la nostra scelta, la scelta di chi ha amministrato e amministra la città e la sua vasta area, è quella di procedere guardando con attenzione al territorio evitando di consumarne ulteriormente, di creare nuove ferite, e con l'obiettivo di sviluppare opportunità concrete, basate su una reale fattibilità e avendo come riferimento l’interesse delle popolazioni. Dobbiamo puntare sulla qualità del costruire partendo da localizzazioni possibili. Ogni altro modo di procedere sinceramente mi sembra velleitario e non corrispondente all’interesse generale». Tra le nuove infrastrutture previste vi è anche la sub lagunare, di cui tra l’altro lei è uno dei progettisti e sostenitori. Quali sono i vantaggi e quali le concrete possibilità che possa venire realizzata? «La sublagunare va inserita all’interno di un progetto integrato di infrastrutture volte a facilitare e allo stesso tempo rendere policentrico l’accesso a Venezia. Quindi come un’integrazione con l’attuale sistema, con il tram e con il potenziamento delle strutture ricettive verso Mestre. Complessivamente si tratta di un investimento contenuto, circa 200 milioni pari a circa il 40% del costo totale, a carico dello Stato. La differenza è a carico dei privati in una logica di Project Financing con una concessione minima che dovrebbe oscillare tra i 20 e i 30 anni, eventualmente prorogabile. In sintesi la fattibilità c’è tutta. Ora è necessaria la volontà politica a perseguire il progetto».
Se spostiamo la nostra attenzione sul tema della residenza, questione non secondaria considerata l’attuale fase del mercato immobiliare e l’emergere di una domanda che non trova risposte adeguate, dove vanno cercate le risposte? «Dopo la grande espansione di nuova edilizia, soprattutto residenziale, che ha caratterizzato la fine degli anni Novanta e i primi sei, sette anni del nuovo decennio ora si entra in una nuova fase nel segno del recupero e della riqualificazione del patrimonio esistente anche per rispondere alle esigenze di efficienza energetica e di contenimento dei costi di manutenzione e di gestione che sono destinati ad essere due fattori guida delle costruzioni dei prossimi anni. L’altro segmento di mercato su cui puntare riguarda l’edilizia sociale. Si tratta di un mercato dalle straordinarie potenzialità. Le imprese troveranno qui le nuove opportunità. Anche perché il social housing costituisce l’ambito di mercato dove si incontrano gli interessi delle amministrazioni locali e gli interessi delle imprese edili. A ciò si aggiungano la centralità posta sul social housing da parte del Governo centrale e le attenzioni della Regione. Si tratta di creare un nuovo patrimonio che risponda alle esigenze di soggetti sociali che non sono in grado di accedere al mercato libero, offrendo allo stesso tempo alle imprese di realizzare un patrimonio non convenzionato. Le soluzioni vanno cercate nella disponibilità di aree pubbliche in grado di abbassare di circa un terzo i costi e in accordi che contengano anche i profitti di mercato, così da poter offrire abitazioni di qualità in affitto a costi decisamente più bassi, con convenienza per tutti». 37
Province unite per una programmazione urbanistica sovracomunale
di Lucio Leornadelli
Intervista con il Presidente dell’Unione Regionale Province del Veneto Leonardo Muraro tati: 0,34% a Padova, 0,23% a Venezia, 0,32% a Brescia e 0,50% a Lecco. Tali dati dimostrano sul campo che i cittadini, soprattutto qui al Nord, sanno che le Amministrazioni Provinciali servono e svolgono mansioni indispensabili per la vita delle comunità locali».
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rovincia e territorio: un rapporto sempre difficile, ancor più in questo periodo poichè si parla sempre più spesso della possibile abolizione delle Province. Qual è il suo pensiero al riguardo ? «Negli ultimi anni abbiamo dovuto confrontarci sul ruolo delle Province, un dibattito spesso dai toni esasperati che ritraeva le Province come l'emblema dello spreco e ne ipotizzava la soppressione. Con grande onestà intellettuale, ma soprattutto grazie all'impegno quotidiano di buoni amministratori, abbiamo dimostrato l'infondatezza e l'incoerenza di queste tesi. I cittadini ci hanno dato ragione già a partire dalle Elezioni Provinciali del 2009, a seguito delle quali le liste “No Province” hanno ottenuto scarsi risul-
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Pianificazione urbanistica sovracomunale: è possibile ragionare oggi su questo livello e quale può essere in merito il ruolo dell’Ente Provincia? «Le Province sono un Ente di coordinamento tra Comuni ed hanno le competenze per poter operare una programmazione urbanistica sovracomunale. La Regione Veneto, per esempio, ha già ufficialmente delegato tutte le competenze di Urbanistica alla Provincia di Treviso. In questo modo, l'Ente Provincia sarà interlocutore unico dei Comuni per la redazione dei propri piani di assetto. Tale svolta è stata resa possibile grazie all'approvazione unanime, in sede di Consiglio Provinciale, del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Il nostro lavoro ha grande valenza ambientale ed è volto a ridurre il consumo di nuovo suolo. L’attenzione è massima per i corridoi ecologici per la migrazione della fauna, per l’identificazione dei corridoi fluviali, per lo stop alla cementificazione, per la lotta allo sviluppo massiccio della bioedilizia. Le aree industriali saranno ridotte in numero ed implementate in apposite aree con servizi alle aziende, dalla sicurezza a quelli per la persona. La tutela del verde e del paesaggio è necessaria anche in relazione alla promozione del territorio e dei prodotti tipici. Avremo con i Comuni un rapporto più immediato, essendo la linea di dialogo tra gli
Enti più corta ed immediata. Cercheremo di riqualificare e valorizzare l'esistente, contrastando la situazione attuale, grazie alla competenza acquisita dalle Province per programmare il futuro dei propri territori». Il tema delle infrastrutture è sempre uno dei temi di stretta attualità che, spesso, pare vedere relegate le Province in un ruolo marginale rispetto soprattutto alle grandi scelte: è proprio così? «La viabilità, specie per una regione come il Veneto, attraversata dal corridoio V, è sempre stata una priorità. Le infrastrutture diventano allora decisive per offrire a cittadini ed imprese una migliore qualità della vita. Io non credo che il ruolo delle Province sia marginale, anzi. A Treviso, per esempio, dal 1998 ad oggi abbiamo operato di concerto con i Comuni e con i concessionari stradali per mettere in sicurezza il territorio e realizzare quelle opere necessarie per la comunità. Pensate soltanto alle oltre 220 rotatorie che hanno eliminato altrettanti punti neri della nostra viabilità. Oltre 500 milioni sono stati investiti in viabilità e sicurezza stradale e ci hanno permesso di diminuire i morti sulle strade del 50%, nel rispetto dell’obiettivo fissato dalla Comunità Europea. Come presidente dell'Unione delle Province Venete, invece, ho lanciato in passato una provocazione: ho chiesto che le Province entrassero a far parte della CAV, godendo quindi degli introiti derivanti dal Passante di Mestre. Sarebbe anche questo un esempio di Federalismo infrastrutturale». Area metropolitana: ha ancora un senso e se sì come la si immagina da parte delle Province del Veneto? «L'area metropolitana può essere un concetto interessante. Noi a Treviso, però, stiamo mettendo in pratica un progetto che abbiamo definito “Area Agropolitana”, frutto di un accordo tra la Provincia di Treviso, il Comune di Treviso e Fondazione Cassamarca. Un progetto di scambio e valorizzazione di immobili voluto per dare a Treviso una nuova immagine, un nuovo rinascimento, nell'ottica dell'ottimizzazione delle risorse: la nostra Provincia sarà
«L’attenzione è massima per i corridoi ecologici per la migrazione della fauna, per l’identificazione dei corridoi fluviali, per lo stop alla cementificazione, per la lotta allo sviluppo massiccio della bioedilizia.» punto di riferimento per ambiente, storia, cultura, tecnologia, benessere a livello non solo veneto e nazionale, ma anche europeo. Un’area in cui cultura, impresa e futuro si fondono alla perfezione, di cui renderemo partecipi tutti i Comuni, le associazioni di categoria, il mondo associazionistico. Mai come oggi la Marca Trevigiana ha diritto di porsi o di pensarsi come il cuore pulsante del Veneto, sempre aperta al dialogo con le altre Province». Segue 39
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In questo contesto come vede lei dal suo “osservatorio” il futuro del Nordest, anche rispetto agli scenari internazionali e in un quadro assai complesso e articolato, che sembra giocarsi su direttrici diverse? «Il NordEst è e sarà sempre più il ponte tra est e ovest dell'Europa. Ma il Corridoio Kiev-Lisbona non deve diventare soltanto una strada. Dev'essere un'opportunità di scambio, per la cultura, per le aziende, per il turismo. Siamo stati e saremo ancora la locomotiva della nazione, per capacità imprenditoriale delle nostre aziende e produzione di Pil. Ma la crisi economica ci ha fatto riflettere sulla necessità di rinnovare il nostro sistema produttivo. La mia preoccupazione come Presidente di Provincia, al momento, è prima di tutto quella di assicurare un posto di lavoro ai cittadini espulsi dal mercato occupazionale. Bisogna farlo con politiche attive, affiancate da progetti che stimolino nuova imprenditoria tra i nostri giovani, che sono preparati e creativi. Innovazione e internazionalizzazione devono essere le parole d'ordine per le nostre imprese. Senza dimenticare però le proprie radici: in un mondo ormai globalizzato, il Nordest vuole riaffermare con forza la propria appartenenza alla storia e alla cultura veneta. In questo modo, è possibile instaurare un dialogo più sereno con le altre realtà dell'Europa e del mondo». Un’ultima domanda riguarda il ruolo delle Province: come lo immagina in un’ottica federalista? «Lo schema di decreto sull'autonomia di entrata delle Province approvato dal Consiglio dei Ministri è un tassello del grande mosaico della riforma, avviata con la legge delega e proseguita con il decreto sul Federalismo Demaniale. Il tema del federalismo fiscale e quello del federalismo istituzionale devono necessariamente essere affrontati insieme. Bisogna innanzitutto eliminare i cosiddetti enti “doppione”, quelli che di fatto svolgono competenze che possono essere tranquillamente prese in carico dalle Pro-
vince. Questo sarà uno dei primi passi per il federalismo delle Province. Approfitto però per lanciare un appello: parlando di responsabilità e trasparenza dell'amministratore si deve anche mettere in conto come far apprendere correttamente i cambiamenti futuri. Federalismo non significa che non esisteranno più prelievi, bensì che questi verranno razionalizzati e investiti direttamente sul territorio. Perché avremo sempre bisogno di scuole, strade, servizi a sostegno dei cittadini e del loro reddito, soprattutto in questo periodo di crisi. C'è infatti chi parla a sproposito ed in modo confuso di alcuni aspetti del federalismo, con la volontà di mettere in agitazione i cittadini e di insinuare dubbi sull'efficacia della riforma. Ma la legge parla chiaro: il federalismo fiscale non costerà nulla al contribuente. Il federalismo, messo in atto con responsabilità, può essere la scelta decisiva per il futuro del nostro Paese. Ma dobbiamo avere ben chiara la portata di tale riforma. L'autonomia non è solo il mezzo per restituire vigore ai tessuti locali, ma diviene anche lo strumento per costruire una nuova classe dirigente locale, capace di guidare il nostro Paese e i nostri territorio nelle sfide del cambiamento. Le sfide poste dal federalismo, sia chiaro, sono complesse e si giocano sul delicato confine della responsabilità. Il federalismo deve diventare, per il nostro Paese, una scelta virtuosa, tesa a tagliare costi inutili e sprechi. Esso può aprire una nuova stagione di crescita e deve essere realizzato concretamente e velocemente, consentendo a tutti di giocare la propria partita. Come Urpv, abbiamo promosso un'indagine per capire quali siano le opinioni degli italiani e dei veneti sul tema del federalismo istituzionale e fiscale: quasi il 90% dei cittadini veneti si dichiara favorevole al federalismo, oltre il 60% pensa che le Province debbano avere più competenze in ambito federalista. Direi che questi dati parlano da soli».
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Dalla riforma sanitaria americana ad un piano per l’Italia Intervista a Gino Gumirato di Alfredo Martini
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on vi è dubbio che molti dei problemi finanziari delle nostre Regioni dipendano dai costi del sistema sanitario. Vi sono Regioni in vera e propria crisi come il Lazio e la Campania, dove l’intera capacità di spesa è condizionata da una cattiva gestione della sanità pubblica. Ma in generale la gestione del sistema sanitario italiano si trova in una situazione di difficoltà, in un momento in cui appaiono necessarie scelte difficili ma rigorose. Soprattutto appare quanto mai necessario agire avendo una profonda conoscenza dei meccanismi, della struttura dei costi e delle reali esigenze in un mondo profondamente diverso da quello di venti anni fa. La tradizione, la storia del nostro welfare è una storia per molti aspetti virtuosa che offre importanti garanzie ai cittadini e che ne costituisce un punto fermo. Del resto i modelli alternativi come quello americano hanno mostrato crepe rilevanti mettendo a rischio l’intero equilibrio economico. Di questo ne abbiamo parlato con Gino Gumirato, che per la sua esperienza e per le sue competenze è stato chiamato dal Presidente americano Obama come consulente nella costruzione del progetto di assistenza sanitaria recentemente varato dal Congresso degli Stati Uniti.
Gino Gumirato, 45 anni, di Camposanpiero, Padova, dallo scorso febbraio è direttore amministrativo della asl Roma E. Due lauree, Gumirato mastica pane e sanità da quando, ancora studente, durante uno stage alla New York University, collabora alla fusione di due ospedali newyorkesi. Ma soprattutto è l'unico italiano ad aver partecipato alla commissione d'esperti per la riforma voluta da Barack Obama, che 42 estende l'assicurazione sanitaria ad altri 32 milioni di americani.
Partiamo proprio dalla riforma sanitaria americana. Quali sono gli obiettivi e, soprattutto, cosa cambierà e quali risultati si attendono? «La Riforma Sanitaria americana è storica e straordinaria in primo luogo perché ha sancito l’immediata rimozione di ogni clausola potenzialmente vessatoria nei contratti assicurativi e l’inizio della fine delle
in ogni caso il costo della polizza non dovrà superare il 9,5% (per i redditi più alti) o il 3% del reddito (per i redditi più bassi). Il contributo out-of-pocket (cioè il pagamento diretto, di tasca propria) non potrà superare annualmente i 5.950 dollari per un singolo o gli 11.900 dollari per una famiglia. Questa cifra di poco meno di 6.000 dollari è diventata un simbolo della Riforma: pur assicurandosi un cittadino sa che non pagherà di tasca propria, mai più, cifre superiori a quella stabilita, mentre in passato milioni di persone vivevano con l’incubo della bancarotta familiare. Segue
LA TORRE
discriminazioni di genere, tanto odiose quanto mai superate. L’obiettivo del decennio è la copertura del 95% della popolazione; il 100% è difficile da raggiungere in relazione al fatto che imponenti masse di persone immigrate non riescono a regolarizzare i loro ingressi. La sua implementazione e realizzazione passa attraverso un corposo sistema di obblighi-sanzioni per i quali tutti i cittadini e tutte le imprese saranno incentivati ed obbligati ad assicurarsi. Le famiglie di 4 persone con un reddito inferiore a 88.200 $ avranno sussidi crescenti al decrescere del reddito;
«La riforma americana è passata in Parlamento non solo per ridare a milioni di americani la possibilità di essere curati, ma anche per salvare il sistema economico nel suo complesso»
«Il merito degli Stati Uniti è stato quello di partire (umilmente) dai propri errori, per mettere al centro dello sviluppo di un Paese la propria salute».
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do grande motivo dell’urgenza di una riforma: circa l’80% del Pil americano è infatti prodotto dalle piccole imprese (considerando tali le imprese con meno di 50 dipendenti) e proprio queste aziende si sono viste negli anni costrette a pagare costi assicurativi per i propri dipendenti sempre più elevati. Per la stessa copertura assicurativa un’azienda piccola pagava fino al 30% in più di un’azienda grande (con più di 50 dipendenti): un gap ormai insostenibile nel mercato mondiale».
Presidente Obama più volte ha ribadito che Non è corretto affermare che la Riforma è un problema per l’America; «Il
la Riforma è una parte della soluzione dei problemi dell’America»
E centinaia di migliaia di persone e famiglie sono effettivamente fallite per i costi dei servizi sanitari. Le imprese godranno di numerose agevolazioni fiscali e le imprese con meno di 50 dipendenti (ed in alcuni casi con meno di 25 dipendenti), potranno avere sussidi fino al 50% dell’intero costo delle polizze per i propri dipendenti assicurati. I figli potranno entrare nell’assicurazione familiare fino a 26 anni (prima era fino a 18) ed aumenterà la copertura dei costi dei farmaci da programma Medicaid. La crescente difficoltà delle imprese ha, infatti, rappresentato il secon44
Vuol dire che la riforma sanitaria americana va vista come uno strumento di politica economica più che un provvedimento di carattere sociale? «È proprio così perché il modello storicamente idealizzato dai repubblicani americani ha prodotto il rischio del collasso del sistema economico del loro Paese: del sistema economico, non di quello della salute. La riforma americana è passata in Parlamento non solo per ridare a milioni di americani la possibilità di essere curati, ma anche per salvare il sistema economico nel suo complesso; quelle imprese costrette a pagare costi assicurativi sempre più alti per i loro dipendenti non erano più in grado di reggere nel mercato mondiale. Il differenziale dei costi aziendali dovuto ai costi assicurativi non aveva eguali nel resto del mondo: un sistema “fallito” nei prossimi quindici-vent’anni. Il Presidente Obama più volte ha ribadito che “Non è corretto affermare che la Riforma è un problema per l’America; la Riforma è una parte della soluzione dei problemi dell’America”. Peraltro la necessità di ridurre i costi per le aziende corrisponde altresì alla necessità di ridurre il deficit strutturale del Governo Federale. Il merito degli Stati Uniti è stato quello di partire (umilmente) dai propri errori, per mettere al centro dello sviluppo di un Paese la propria salute. Lo sviluppo economico di miliardi di persone passa anche attraverso la quantità e la qualità delle cure e dell’assistenza che è in grado di offrire: nessun Paese al mondo, né gli Stati Uniti, né la Cina o l’India o la Russia, possono ormai ragionare sul proprio futuro economico se contemporaneamente non partono dai propri bisogni di salute e dalle risorse che responsabilmente si possono utilizzare e che rappresentano un motore insostituibile di sviluppo. Lo chiamerei il “fattore Obama”».
La Torre Veniamo ora al nostro Paese. Qual è la situazione? «Per quanto riguarda l’Italia dobbiamo guardare al problema in un modo diverso. Ciò che deve preoccupare è che ci troviamo di fronte ad un sistema, quello sanitario, che non è assolutamente sotto controllo. Il dato economico dietro al quale spesso ci si nasconde per dire che siamo più virtuosi ad esempio degli Stati Uniti non costituisce un indicatore reale dello stato attuale della nostra sanità. È vero che in Italia la sanità incide per l’8,5% sul Pil contro il 17% degli Stati Uniti, ma come si è visto abbiamo situazioni insostenibili a livello territoriale e complessivamente scontiamo differenze da realtà a realtà del tutto inaccettabili per un Paese civile. Soprattutto non vi è un disegno di riforma che vada ad individuare quelli che sono i reali problemi, che sono di strutture e di gestione.» Cosa bisognerebbe fare secondo lei? «Sul fronte della fornitura e della qualità dei servizi va garantito un livello di professionalità, così come mi sembra necessario riportare al centro dei comportamenti di tutti un codice etico condiviso e irrinunciabile. Il Paese sta sviluppando un sentimento sempre più ampio di sfiducia nei confronti del sistema sanitario che va assolutamente evitato.
Per quanto riguarda l’equilibrio economico esso deve procedere di pari passo con la funzionalità del sistema e con una maggiore qualità dei servizi. Un obiettivo non velleitario ma perseguibile con alcune operazioni di razionalizzazione. Tra queste vi è sicuramente quella di riorganizzare e riqualificare il patrimonio edilizio, ovvero è diventata urgente e prioritaria una riforma dell’edilizia ospedaliera. Nel nostro Paese ci sono tra i 400 e i 500 ospedali che non garantiscono più dal punto di vista edilizio funzionalità sufficienti e soprattutto la loro gestione e manutenzione ha costi del tutto incompatibili con l’attuale fase economica e con il bilancio pubblico. Vanno assunte scelte coraggiose. Si deve puntare su una pianificazione puntuale e prevedere un piano di demolizione delle strutture costose e inadeguate, sostituendole con poche grandi e moderne cittadelle sanitarie. A mio parere a fronte dei 400 ospedali da demolire ne basterebbero 50 nuovi, ben localizzati, dotati di funzionalità e tecnologie d’avanguardia. Il piano potrebbe mettere a disposizione le aree che si liberano con la demolizione delle vecchie strutture coinvolgendo in questo modo l’investimento privato consentendo così di realizzare il Piano a costi compatibili per lo Stato».
«Per quanto riguarda l'Italia ciò che deve preoccupare è che ci troviamo di fronte ad un
sistema sanitario che non è assolutamente sotto controllo».
«Sul fronte della fornitura e della qualità dei servizi va garantito un livello di professionalità, così come mi sembra necessario riportare al centro dei comportamenti di tutti un codice etico condiviso e irrinunciabile».
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Nella scuola delle meraviglie La Scuola Elementare di Ponzano: una “barchessa� rossa legata al suolo da un filo trasparente
di Laura Brogialdi 46
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lice e il Bianconiglio guidano adulti e bambini attraverso i meandri e le specificità dell’Edificio Scolastico realizzato da C+S Associati: questa la rappresentazione fiabesca voluta dallo studio architettonico e realizzata da Roberta Gorni per il sito web che illustra l’esperienza della Scuola Elementare di Ponzano. Una testimonianza concreta della partecipazione, in fase progettuale, degli insegnanti e dei bambini, che, proprio attraverso la creazione di questa metafora, hanno potuto comprendere il linguaggio con cui la loro nuova scuola veniva in itinere descritta. La scuola è simbolo di un riparo per i bambini, un tetto per la socialità e l’apprendimen-
to. Un edificio che deve essere solido – come solida è la base culturale che al suo interno si offre – e che deve pertanto essere "cucito" al suolo, come spiega Alice. Questa cucitura sottile ma stabile e sicura è rappresentata da una serie di sottili pilastri in acciaio, che sembrano sostenere la pergola ed innestarsi direttamente nel giardino che li circonda. Un progetto ambizioso nella linearità delle sue forme e nella semplicità dei materiali applicati. Un progetto che nasce e si sviluppa intorno all’idea di una funzionalità molteplice, che estende la valenza di un edificio scolastico, trasformandolo in un society building capace di porsi come fulcro del vivere quotidiano. Segue
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Scuola elementare - Ponzano Veneto (TV)
Gli spazi restano infatti a disposizione degli utenti per l’intera giornata, proponendosi pertanto come interattivi, non solo tra di loro, grazie a strutture trasparenti che si lasciano attraversare dalla luce e dalla natura circostanti, ma anche e soprattutto rispetto al vivere quotidiano della comunità che li anima. La struttura vive e si sviluppa intorno ad una corte centrale, evidente richiamo ai chiostri monastici, luoghi per eccellenza di conservazione del sapere, che si offre come luogo non solo ricreativo per i bambini, ma anche come punto di scambio tra gli stessi. Gli spazi, pensati per la vivibilità dei 375 bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni che ospitano, sono ripartiti in tre sezioni, per un totale di 15 aule standard, 5 aule dedicate a materie quali arte, informatica, lingue, musica e scienze e comprendono una palestra regolamentare per basket e pallavolo. Il progetto segue tradizione e innovazione tecnologica come suoi due vettori principali. Il primo, attraverso il richiamo di forme, colori e spazi che si ricollegano alla tradizione del lavoro della terra che caratterizzava la zona e che si è trasformato,
col tempo, in lavoro industriale. Il secondo, attraverso l’interpretazione di una sostenibilità portata avanti in termini energetici, sociali ed economici. Grazie all’orientamento delle classi, rivolte a sud est e a sud ovest in modo da poter beneficiare di una migliore esposizione ai naturali raggi del sole, all’ isolamento termico, nonché all’uso di tecnologie sofisticate quali geotermia, fotovoltaico e solare, tetto verde, camini di ventilazione naturale, utilizzo di vetri basso-emissivi, building automation, la scuola ha un consumo pari a 3,6 kwh/mc/ anno. Un esempio di "distretto industriale della conoscenza" che stimola l’ambiente culturale che lo ospita, realizzato nel rispetto dello spazio fisico circostante, delle moderne esigenze di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, attuato ad un costo di costruzione al mq pari a 960 euro. Il Progetto ha partecipato alla Biennale di Architettura "People meet in architecture" 2010, Padiglione Italia, alla Triennale di Milano, Green Life ed è stato insignito del Premio Sfide 2009 del Ministero dell’Ambiente, del Premio Equivivere 2010 e del WA Award 2010, Winner of the 7th Cycle.
Integrazione, cultura e sostenibilità
A colloquio con Alessandra Segantini
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a Scuola rispetta il principio della sostenibilità in termini energetici, sociali ed economici. In che modo è stato possibile coniugare queste diverse esigenze? Quando si parla di sostenibilità, l’immagine immediata che si prefigura nel senso comune è quella energetico-tecnologica, come se fosse sufficiente allestire qualche pannello fotovoltaico in copertura, utilizzare
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la geotermia o aggiungere qualche brise-soleil nei fronti sud per dare senso esauriente al termine. I temi energetici sono sicuramente importantissimi, ma pensiamo che dovrebbero essere considerati di default in ogni progetto e non costituirne il valore aggiunto. La scuola di Ponzano infatti, grazie al generoso isolamento termico, ai pannelli fotovoltaici, alla geotermia, alla ventilazione naturale, al preriscaldamento
invernale (preraffrescamento estivo) e sistema BSM arriva in classe A+ con un consumo di soli 3,6 kwh/ mc anno. Nei nostri progetti cerchiamo, tuttavia, di indagare la complessità che la parola 'sostenibilità' sottende. L’architettura è, per noi, un recipiente sensibile necessario ad ‘abitare’ un luogo. Il progetto si carica di responsabilità sociali nel senso che deve diventare un potenzialità da abitare e reinventare da parte della piccola comunità che vi ruota intorno. Per questo progetto abbiamo inventato una favola, incaricando Roberta Gorni, illustratrice di libri per bambini, di disegnarla, traducendo così, in un linguaggio comprensibile a tutti, i temi del progetto. La favola è stata inserita in un sito web (www.nuovascuolaponzano.it) e in alcuni totem in tutti i luoghi pubblici del Comune.
Il nuovo edificio, che i bambini con le loro insegnanti hanno contribuito a disegnare, è diventato parte della comunità durante il processo stesso di costruzione, creando aspettative, desiderio, attesa. Infine la sostenibilità è anche economica. Troppo spesso il denaro pubblico si consuma per costruire opere necessarie ad autocelebrare i loro autori più che a rispondere ai bisogni di una comunità. Il controllo dei singoli elementi del progetto permette di destinare le risorse alle parti ‘importanti’ della scuola: gli arredi fissi che i bambini toccano o su cui si siedono, un tappeto rosso necessario a non farsi male correndo all’aria aperta, o ancora il disegno di quelle superfici trasparenti che permettono a tutti di confrontarsi facendo diventare la scuola un piccolo distretto multiculturale della conoscenza. Segue
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Che tipo di materiali sono stati utilizzati per la realizzazione di un progetto che mantiene un così notevole abbattimento dei costi, considerata la spesa complessiva erogata pari a 960euro/mq compresi gli arredi? I materiali che utilizziamo nei nostri progetti sono spesso materiali molto semplici. Pensiamo che la preziosità e il valore non stiano nella materia in quanto tale, ma nel disegno accurato e nella sua lavorazione. In questo modo è possibile nobilitare un pannello di mdf ignifugo facendogli prendere il posto di una muratura in cartongesso e dilatando così la soglia tra i corridoi e le aule. Allo stesso modo il disegno accurato dei pannelli di abbattimento acustico della palestra (che generalmente stanno all’interno di un sandwich più prezioso) sono invece lasciati a vista e scanditi da listelli di legno a ricordare la geometria di un dojo giapponese. Ancora, il getto grezzo delle scale in cemento armato viene laccato direttamente in verde lasciando trasparire la forza della materia. 52
Gli spazi interni appaiono ben integrati tra loro, eppure autonomi. Qual è la loro destinazione d’uso nell’ottica di un edificio che non si propone soltanto come una scuola, ma come un vero e proprio punto di incontro e di crescita umana e culturale? Nel nostro lavoro di ricerca sul tema dell’edilizia scolastica (di prossima pubblicazione per i tipi di Skira, il libro di Maria Alessandra Segantini dal titolo Imparare dallo spazio) la trasparenza diventa uno dei temi fondamentali. Tutti gli spazi della scuola (palestra, biblioteca, mensa, ingresso, spazi di distribuzione) si "incontrano" in un grande piazza centrale colorata di rosso. Sono gli spazi collettivi della scuola, quelli dove si svolgono le funzioni pubbliche, quelli che la comunità può frequentare anche oltre l’orario scolastico, facendo diventare la scuola un nuovo "epicentro urbano". Ma nel nostro progetto anche l’aula, generalmente uno spazio chiuso e monofunzionale, si apre all’esterno, agli spazi collettivi. Mentre le facciate che guardano il giardino sono totalmente vetrate, le pareti che separano le aule dai corridoi sono opache fino a quota 130 cm in modo che i bambini possano prestare attenzione all’insegnante quando sono seduti. Segue
Scuola Elementare di Ponzano, Ponzano Veneto (TV) Progetto architettonico e direzione artistica: C+S Associati - Carlo Cappai, Maria Alessandra Segantini • www.cipiuesse.it Collaboratori: Andrea Dal Ferro, Nicola Di Pietro, Giulia Riso, Guido Stella, Mauro Tonello, Fabiana Aneghini, Matteo Bandiera Progetto strutture, impianti e direzione lavori: Favero & Milan Ingegneria S.r.l. Progetto grafico: Italo Lupi Illustrazione della favola: Roberta Gorni Sito web: Studio Visuale • www.nuovascuolaponzano.it Impresa esecutrice: Paccagnan S.p.a., Treviso Direttore di cantiere: Bruno Cisilotto Committente: Comune di Ponzano Veneto, Ponzano Patrimonio e Servizi RUP: Olivo Morao Cronologia: 2008: progetto - 2009: realizzazione Località: Ponzano Veneto, Treviso Superficie: 4.102 mq Importo lavori: 3.968.275,15 euro Fotografie: Alessandra Bello, Carlo Cappai, Pietro Savorelli Premi: Premio Sfide 2009 del Ministero Italiano dell'Ambiente 53
Le pareti stesse sono attrezzate con appendiabiti e una panca amovibile verso i corridoi nonché con una libreria nel fronte verso l’aula. La parte superiore della parete è trasparente e diventa una sorta di espositore dove si possono mostrare i lavori prodotti da ogni singola classe, trasformando i corridoi in una "strada con vetrine". Le panche, inoltre, possono essere spostate per inventare modi speciali di fare didattica all’interno o all’esterno. Il risultato è una formidabile possibilità di attraversare con lo sguardo tutta le scuola e connettersi al territorio circostante. Che tipo di interazione sussiste tra l’edificio nel suo complesso, le singole parti di cui è composto e lo spazio circostante? Proprio di questa interazione stavamo parlando. Lo sguardo può attraversare tutti gli spazi della scuola da nord a sud e da est a ovest. I bambini sono ca-
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paci di orientarsi essendo sempre presente il territorio circostante, alcuni di loro arrivano dal Ponzano Children (l’asilo di Alberto Campo Baeza per Benetton che occupa il lotto vicino). Questa permeabilità trasversale continua anche all’interno della scuola: come in un film i diversi spazi pubblici si arricchiscono della vita dei ragazzi: il portico che "cuce" con un filo rosso il tetto al suolo e dove i ragazzi possono fare lezione all’aperto, subito fuori dalla loro aula che così riesce ad ampliare la propria superficie; le aule che abbiamo appena raccontato, le stradecorridoio, sempre luminose che affacciano sulla piazza rossa vero cuore della scuola. Dalla piazza e dal grande atrio di ingresso si può guardare (senza disturbarne l’attività) la palestra che è stata incassata nel terreno per accordarsi alla "misura" del paesaggio circostante. Ancora, dalla piazza i bambini possono vedere biblioteca e mensa o traguardare quanto avviene all’interno delle classi.
xii Edizione del Premio Architettura Città di Oderzo La Giuria assegna premi speciali ad opere venete di Laura Brogialdi
I
l 25 Settembre 2010 la Giuria del Premio Architettura Città di Oderzo si è riunita per valutare i Progetti concorrenti alla XII Edizione del Premio stesso. Hanno partecipato ai lavori della Giuria: Agostino Cappelli, Renata Codello, Peter Lorenz, Carlo Magnani, Carlo Olmo, Juan Manuel Palerm. Al termine dei lavori, oltre all’assegnazione del primo premio riconosciuto al Recupero del Forte di Fortezza, sono stati selezionati sette Progetti e due ulteriori lavori sono stati insigniti delle Menzioni d’Onore dedicate alla memoria dell’Architetto Giancarlo Jus, già Vicepresidente UIA e dell’Ingegnere Alcide Gava, già Vicepresidente CNI. Spicca all’interno dei Progetti selezionati dalla Giuria, “Il teatro dentro le mura “ di Cittadella (Padova), nella cui motivazione si sottolinea come «il progetto riesca a tenere insieme restauro, riqualificazione urbana e Progetto di strutture effimere, restituendo ad uso pubblico un’area che era precedentemente un parcheggio. La qualità dell’intervento risiede nella coerenza integrata dei tre livelli, esito davvero non facilmente riscontrabile nella produzione corrente che tende a scindere restauro, progetto urbano e arredo». Il Comitato organizzativo del Premio Architettura Città di Oderzo, composto da Carlo Magnani, Gianfranco Pizzolato, Tiziana Prevedello, Giuditta Rado, Sara
Rizzo e Francesca Susanna, ha assegnato un premio speciale a Villa Girasole a Marcellise (Verona), in quanto «esempio storico di sostenibilità e innovazione sul tema dell’architettura presente nel Triveneto». La Villa, costruita per volere dell’ Ingegner Angelo Invernizzi negli anni a cavallo tra il 1929 ed il 1935, costituisce l’unico esempio italiano esistente di abitazione girevole ed è stata recentemente restaurata. «Si tratta di un’opera – sottolinea la giuria all’interno della propria motivazione – che porta in sé due temi di grande attualità: quello della consapevolezza e responsabilità ambientale dell’architettura e quello della salvaguardia e valorizzazione del patrimonio architettonico contemporaneo». La cerimonia di premiazione e di inaugurazione della mostra La visione dello spazio si terrà ad Oderzo, Palazzo Foscolo sabato 20 novembre 2010. Sin dal 1997 il piano nobile di Palazzo Foscolo è la sede della mostra del Premio Architettura in cui vengono esposti il Primo Premio e i progetti selezionati. Quest'anno sarà presente anche un regesto video dei 110 progetti pervenuti e una sorta di albo d'oro della storia delle prime 11 edizioni del Premio. Una sala della mostra sarà dedicata al Premio Speciale, assegnato a Villa Girasole. 55
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Veneto Generazione Futura: imprenditori e professionisti insieme per il Veneto di domani
Per la prima volta i giovani di ANCE Veneto, Confindustria Veneto e i Giovani Architetti hanno elaborato un progetto comune sullo sviluppo della regione e alla politica chiedono di attivare subito un tavolo permanente di confronto. I giovani studiano le strategie di sviluppo e i processi di trasformazione della regione. Per la prima volta le associazioni giovanili di ANCE Veneto, Confindustria Veneto e l’Associazione nazionale dei Giovani architetti, con il contributo delle rappresentanze di varie categorie produttive e professionali, si sono unite per condividere uno stesso progetto di sviluppo della regione. Progetto che hanno presentato il 25 ottobre scorso all’assessore regionale Roberto Ciambetti in occasione dell’ANCE Day, l’annuale convegno di ANCE Veneto Giovani che si è svolto a Villa Valmarana Morosini, sede del Cuoa, ad Altavilla Vicentina. Le argomentazioni sul “Veneto del futuro” sono state esposte nel corso di una tavola rotonda alla quale hanno partecipato, oltre all’assessore Ciambetti, anche Alessio Pajaro, presidente Ance Veneto Giovani, Gianluca Vigne, presidente Giovani imprenditori Confindustria Veneto, Luca Paschini, presidente nazionale Giovani Architetti, e Bruno Barel, docente di Diritto europeo e internazionale dell’Università di Padova. La tavola rotonda è stata moderata dal giornalista Francesco Jori. Le conclusioni affidate al presidente di Ance Veneto Stefano Pelliciari. La risposta dell’assessore regionale Roberto Ciambetti ai Giovani imprenditori ha denotato un pieno sostegno da parte delle amministrazioni locali. «Vi assicuro la piena disponibilità al dialogo e al confronto della Giunta regionale, ma dico di più: siamo noi, sono le amministrazioni pubbliche ad avvertire il bisogno di un contributo, di un supporto in termini di idee e proposte provenienti dal mondo dell’impresa e dalle associazioni di categoria del nostro territorio» sono state le parole di Roberto Ciambetti. Riferendosi poi alle ristrettezze di bilancio e ai tagli che "a cascata", dallo Stato agli Enti locali, si ripercuoteranno sull’operatività dei diversi livelli amministrativi ha poi aggiunto: «Se gli amministratori regionali vedranno limitato per la scarsità di risorse il loro margine di manovra, potranno e dovranno dedicare tempo ed energie per il raggiungimento di obiettivi non meno importanti, quali la riorganizzazione della macchina amministrativa e una maggior produttività del sistema legislativo, al fine di disporre di strumenti gestionali e normativi adeguati per realizzare quella programmazione delle politiche territoriali e infrastrutturali che voi invocate». I giovani imprenditori e professionisti si sono dati un nome, Veneto generazione futura, e hanno fissato i primi obiettivi: essere riconosciuti come nuovo soggetto politico-istituzionale che abbia voce in capitalo sulle decisioni che riguarderanno la programmazione delle politiche territoriali e infrastrutturali del Veneto del futuro e l’attivazione di un tavolo permanente di confronto condiviso da tutti gli attori politici, economici e sociali per la definizione di un piano strategico di lungo periodo. Il progetto di sviluppo condiviso è stato elaborato in occasione di tre riunioni di lavoro, ciascuna delle quali incentrata su uno specifico macro-tema: Mobilità e infrastrutture; Qualità del territorio e del paesaggio; Politica al servizio dello sviluppo sociale ed economico.
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Rassegna stampa
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SPECIALE ANCE DAY
I Giovani Costruttori: «Ecco il Veneto che vogliamo» Intervista ad Alessio Pajaro, Presidente di ANCE Veneto Giovani Hanno fatto squadra, si sono dati un nome, Veneto Generazione Futura, e hanno fissato l’obiettivo: dare un contributo alle strategie di sviluppo del Veneto che sarà e governarne i processi di trasformazione del territorio. Delle premesse del progetto dei Giovani imprenditori veneti e dei suoi sviluppi parla Alessio Pajaro, Presidente di ANCE Veneto Giovani: Presidente Pajaro, cos’è Veneto Generazione Futura? «Un nuovo movimento di idee e di confronto che riunisce giovani imprenditori e professionisti. Un laboratorio nel quale discutere e immaginare il Veneto che sarà tra 20 o 30 anni. Lo abbiamo promosso noi giovani costruttori. Abbiamo pensato: il futuro è nostro, vogliamo “costruire”, non soltanto in senso letterale, il domani delle nostre imprese e del nostro territorio. Si parla spesso del ruolo “sociale” dell’imprenditore, che non è soltanto quello di creare opportunità di lavoro e di ricchezza. L’imprenditore deve essere anche un soggetto attivo, in senso ampio, nella crescita del territorio in cui opera. Deve, insomma, contribuire in maniera fattiva a partire dalla fase di programmazione». Perché avete deciso di coinvolgere anche altre associazioni? «Si discute, in politica, della necessità di fare sintesi. Abbiamo introdotto un nuovo approccio: imprenditori e professionisti di settori diversi si riuniscono e concordano un piano di sviluppo. Rappresentiamo una sola voce. Più facile per la politica, sgravata dagli oneri di mediazione, ascoltarci. Imprenditori e Professionisti devono farsi interlocutori seri e competenti con le istituzioni, mediante le associazioni di categoria. Queste ultime devono garantire presenza e autorevolezza nei confronti di istituzioni e opinione pubblica». Cosa chiedete in concreto? «Sul piano dello sviluppo territoriale chiediamo che si dia effettiva applicazione alla legge urbanistica attraverso l’adozione di atti di indirizzo per l’attuazione degli strumenti perequativi, nonché semplificazione nelle procedure. Parlando di infrastrutture, vorremo che si discutesse sugli asset più importanti per il Veneto, logistica e turismo: porto di Venezia, Sistema Ferroviario Metropolitano regionale. Chiediamo poi sostegno all’aggregazione e all’internazionalizzazione delle imprese per la competitività globale, semplificazione normativa e burocratica, investimenti in servizi pubblici». Quali saranno le prossime mosse di Veneto Generazione Futura? «All’assessore Ciambetti abbiamo chiesto di partecipare a un tavolo che coinvolga i rappresentanti dei giovani delle diverse categorie e rappresentanti politici regionali. Vogliamo poi mettere in atto iniziative di formazione, studio e sperimentazione, finalizzate a creare un bagaglio culturale che ci permetta di essere interlocutori seri e competenti sui temi dello sviluppo della città metropolitana e degli strumenti di partnership pubblico-privato». di Giuseppe Bucca
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1• Da sinistra: Roberto Ciambetti (Ass. regionale), Bruno Barel (Docente di Diritto europeo e internazionale dell’Univ. di Padova), Francesco Jori (giornalista), Alessio Pajaro (Pres. Ance Veneto Giovani), Gianluca Vigne (Pres. Giovani imprenditori Confindustria Veneto) e Luca Paschini (Presidente nazionale Giovani Architetti) 2• Fillippo Delle Piane, Pres. Giovani imprenditori edili Ance 3• Gianluca Muraro, Pres. Giovani imprenditori edili Ance Vicenza 4• Stefano Pelliciari, Presidente ANCE Veneto
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SPECIALE ANCE DAY MOBILITà E INFRASTRUTTURE: Due le esigenze principali che il piano di sviluppo delle infrastrutture deve soddisfare: •
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La mobilità locale di corto raggio comprende gli spostamenti quotidiani all’interno del territorio regionale, per motivi di studio, lavoro, di disponibilità di servizi e che costituiscono elemento essenziale della città metropolitana La mobilità a lungo raggio riguarda i collegamenti extraregionali, nazionali, continentali fondamentali principalmente per garantire lo sviluppo economico e turistico del Veneto
Veneto Generazione Futura chiede: La costituzione di un tavolo regionale condiviso da tutti gli attori politici, economici e sociali, per la definizione di un piano strategico di lungo periodo.
POLITICA AL SERVIZIO DELLO SVILUPPO SOCIALE ED ECONOMICO: La politica deve essere in grado di “farsi le domande giuste” per poter interpretare i bisogni e le istanze dei cittadini e degli operatori economici. Il mondo della politica viene percepito come lontano da imprese e cittadini. Da questa considerazione, quindi, è emersa la necessità di un coinvolgimento degli operatori privati presenti nel territorio nell’attività di definizione dei programmi, delle decisioni e degli interventi necessari alla crescita del Veneto. Veneto Generazione Futura chiede: • Semplificazione amministrativa. Occorre intervenire sull’attuale struttura burocratica a cui manca un sistema di coordinamento interno che garantisca la velocità necessaria delle procedure d'ufficio. Va sostenuto l’impegno delle Autorità regionali per la modifica dello Statuto regionale per rendere più snello e veloce l’iter legislativo regionale. • Programmazione condivisa. In ogni procedura ci si scontra con troppi livelli decisionali. Occorre creare una governance unica, forte e condivisa tra i diversi livelli amministrativi. Occorre che le istituzioni facciano sistema tra di loro e con gli operatori privati. • Interventi a sostegno del sistema economico-imprenditoriali. In considerazione dei punti di debolezza del nostro sistema economico nell’affrontare i mercati globali, è chiaro come il recupero di competitività passi anche attraverso un processo di aggregazione delle imprese e di sostegno alle politiche di internazionalizzazione.
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QUALITà DEL TERRITORIO E DEL PAESAGGIO: Da oltre sei anni dalla sua entrata in vigore, l’applicazione della Legge Urbanistica del Veneto, e dei relativi strumenti di pianificazione, risulta fortemente limitata, per due ordini di motivi: • La mancanza di più precise regole di attuazione della legge • La proliferazione dei livelli di programmazione
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Veneto Generazione Futura chiede: L’adozione di quegli atti di indirizzo mediante i quali fornire le direttive applicative agli Enti locali chiamati alla pianificazione strutturale e operativa. Definire un livello di pianificazione territoriale sovracomunale, che assicuri maggiore coordinamento negli interventi e possa risolvere il problema della carenza di personale qualificato e competente dal punto di vista tecnico e normativo nei piccoli Comuni. La collaborazione tra pubblico e privato: non è più pensabile progettare il territorio senza il contributo degli operatori privati.
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La terra frana Presentata dal Consiglio Nazionale dei Geologi la ricerca Terra e Sviluppo. Decalogo della Terra 2010 di Federica Paoli
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o scorso 13 ottobre presso la Sala della Protomoteca, in Campidoglio, il Consiglio Nazionale dei Geologi ha presentato la ricerca Terra e Sviluppo. Decalogo della Terra 2010, uno studio condotto in collaborazione con il CRESME, che per la prima volta mette insieme tutti i numeri che esprimono il grado di rischio sismico e idrogeologico del nostro Paese. C’è di che far tremare le vene e i polsi: 6 milioni di persone vivono, in Italia, in territori ad elevato rischio idrogeologico per un totale di 29.500 kmq di aree in cui eventi naturali straordinari potrebbero determinare effetti nefasti per cose e persone. Frane e alluvioni minacciano circa un milione e 260 mila edifici tra cui 6.000
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scuole e 531 ospedali. 3 milioni di persone vivono in zone ad elevato rischi sismico e 22 milioni in zone che presentano un rischio medio. Rendere sicuro il territorio, come giustamente sottolinea il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi italiani Pietro Antonio De Paola, è prioritario per non continuare a pagare ogni anno un tributo di vittime. «È necessario che cresca la consapevolezza nella società civile, così come negli amministratori locali e nei rappresentanti della politica, che abbiamo una priorità nazionale: rendere sicuro il nostro territorio» ha sottolineato De Paola. Anche in termini economici il costo complessivo della spesa per contenere il dissesto idrogeologi-
co e dei terremoti è spaventoso: la stima, su prezzi del 2009, è di 213 miliardi di euro per il periodo 1944 – 2009 mentre i danni causati da eventi franosi e alluvionali ammontano, nello stesso periodo, a circa 52 miliardi.
Lente di ingrandimento sul Veneto L’ampio studio presentato dal Consiglio Nazionale dei Geologi raccoglie ed analizza i dati scorporandoli su base regionale e provinciale. È quindi possibile avere un quadro abbastanza dettagliato della situazione veneta in relazione sia ai rischi idrogeologici che sismici. Un interessante approfondimento viene inoltre dedicato a scuole e ospedali a rischio. Partiamo con questi ultimi dati. Potenzialmente ad elevato rischio sismico è il 12,8% dei 5.686 edifici scolastici della Regione (729 edifici). La situazione è meno drammatica di quella di altre regioni dove le scuole a rischio sono la maggioranza: in Calabria il 100% degli edifici scolastici sono ad elevato rischio sismico, nelle Marche il 97,3%, in Toscana il 72,1%, in Friuli il 59,8%. Dati simili sono quelli che riguardano gli ospedali: il 12,3% (55 edifici su 447) in Veneto è a elevato rischio sismico. Se si analizzano invece i dati sugli edifici ad elevato rischio idroge-
ologico i numeri del Veneto scendono: le scuole a rischio sono 592 e gli ospedali 46. Se però mettiamo a confronto questi dati con quelli delle altre regioni il Veneto si colloca tra quelle con la maggior percentuale di edifici a rischio ed è, se pur di poco, sopra alla media nazionale sia per gli ospedali che per le scuole (dato nazionale in percentuale 9,6%, Veneto 10,4%). Sicuramente i rischi connessi al dissesto idrogeologico minacciano molto più da vicino la regione soprattutto per motivi geografici (ci siamo occupati di questo tema anche sul numero 2 di «Est»). Vediamo dunque ancor più nel dettaglio le stime e i numeri elaborati dal Consiglio nazionale dei Geologi in relazione ai rischi di natura idrogeologica, che si dividono prevalentemente in rischi di frane e di alluvioni. In Italia il territorio maggiormente interessato dalla presenza di aree ad alta criticità idrogeologica è proprio il Nord-Est: il 30% delle aree critiche ricade nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Trentino e Veneto, interessando complessivamente un’area di 8.730 kmq.In particolare nel Nord-Est ricade il 33% delle aree ad elevato rischio di alluvione, pari a 4.077 kmq. Solo in Veneto si tratta di 1.446 kmq a cui vanno sommati i 104 kmq a rischio frane. Segue
La superficie potenzialmente ad elevato rischio idrogeologico nel VENETO
TOTALE
V.a.: 1.550 Kmq % sul totale: 8,4
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V.a. 1.446 Kmq
V.a. 104 Kmq
Nel complesso 1.550 kmq della regione (pari all’8,4% della superficie totale) sono a rischio idrogeologico. In termini di popolazione questo si traduce in oltre mezzo milione di persone (10,7% degli abitanti della regione) che risiedono in aree potenzialmente ad alto rischio.
Investimenti passati e futuri Il quadro, dunque, non è rassicurante ed è evidente che c’è bisogno di risorse e di interventi sia di tipo ordinario che straordinario. Le stime del Ministero dell’Ambiente sono di 40 miliardi di euro per mettere in sicurezza solo dai rischi idrogeologici l’intero Paese. Il 68% delle risorse dovrebbe essere destinato alle 12 regioni del Centro Nord e il 32% alle 8 regioni del Sud.
Con gli attuali livelli di spesa e in assenza di calamità naturali servirebbero 33 anni per mettere al sicuro tutti i territori. Se le spese a venire hanno contorni ancora incerti, esatte sono invece le cifre già investite per la difesa del territorio e del suolo: tra il 1999 e il 2008 la spesa in conto capitale relativa all’assetto del territorio e alla difesa del suolo ha ammontato a circa 27 miliardi di euro. Tra le Regioni quella che ha speso di piÚ è proprio il Veneto (3 miliardi e 404 milioni di euro) seguita da Campania e Lombardia (rispettivamente 2.620 milioni di euro e 2.471). In percentuale però le quattro Regioni che hanno destinato piÚ risorse all’ambiente rispetto al totale delle spese in conto capitale sono il Veneto e l’Umbria (4,6%), seguite da Basilicata (4,5%) e Sardegna (4%).
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Il bacino del Po: criticità e risorse
Intervista a Francesco Puma, Segretario Generale dell’Autorità di bacino del fiume Po di Federica Paoli
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ott. Puma i dati presentati nella ricerca condotta dal Consiglio Nazionale dei Geologi disegnano un panorama preoccupante: in Italia 6 milioni di persone vivono in territori ad elevato rischio idrogeologico per un totale di 29.500 kmq di aree in cui eventi naturali straordinari potrebbero determinare effetti nefasti per cose e persone. Frane e alluvioni minacciano circa un milione e 260 mila edifici tra cui 6.000 scuole e 531 ospedali. Si tratta di un fenomeno che riguarda con entità diverse tutto il Paese. Quali sono le principali azioni che l’Autorità di bacino del fiume Po, della quale lei è Segretario Generale, porta avanti per la difesa idrogeologica e della rete idrografica di sua competenza? «Le Autorità di bacino nazionali sono amministrazioni miste Stato-Regioni e sono state istituite nel 1989 nell’ambito di un riassetto organizzativo e funzionale del settore della difesa del suolo sulla cui necessità si era ampiamente discusso per oltre vent’anni a partire dall’alluvione di Firenze del 1966. Il principale strumento dell’azione delle Autorità è il piano di bacino idrografico, attraverso il quale sono pianificate e programmate tra le altre le azioni strutturali (opere) e non strutturali (regole d’uso) necessarie per garantire condizioni adeguate di salvaguardia della vita umana e del territorio, compresi gli abitati e i beni. Da subito l’azione dell’Autorità di bacino del fiume Po è stata indirizzata a definire il quadro delle criticità esistenti e alle opzioni di intervento, con riferimento al bacino nel complesso ed alla loro collocazione sul territorio.
Fondamentali sono state le analisi condotte in seguito agli eventi alluvionali del settembre ’93 e del novembre ’94 e gli indirizzi innovativi di piano fissati per la difesa del suolo e l’assetto idrogeologico del bacino. In particolare era emerso con chiarezza che, pur tenendo conto della gravosità eccezionale degli eventi meteorici e delle portate di piena che in quegli anni si erano manifestati, l’entità dei danni riscontrati sul territorio con perdita di vite umane, allagamenti di centri abitati di importanza primaria, distruzione di infrastrutture, interruzione delle attività commerciali, industriali e agricole era da porre in relazione ad una elevata vulnerabilità del territorio. A questo si aggiungevano gli effetti di una sistematica realizzazione di interventi straordinari, attuati a seguito degli eventi alluvionali con leggi speciali, piuttosto che con le normali procedure dell’intervento ordinario. Le gravi criticità rilevate (vedi box nella pagina seguente) erano riconducibili a vari aspetti tra cui l’insufficienza del legame funzionale tra pianificazione territoriale, agricolo-forestale, urbanistica e difesa del suolo; l’insufficienza della programmazione a scala di bacino degli interventi di difesa del suolo, attuati spesso con opere locali che avevano contribuito in alcuni casi ad aumentare la vulnerabilità del territorio; l’insufficienza delle attività di manutenzione; una normativa di settore frammentaria e disorganica con procedure di approvazione e realizzazione di progetti eccessivamente formalizzate e complesse, a svantaggio della tempestività degli interventi e l’insufficienza dei presidi territoriali (in particolare 71
Criticità rilevate dall’Autorità di bacino del fiume Po: • • • • • •
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inadeguatezza diffusa delle opere di difesa sul reticolo idrografico principale e minore; bisogni e carenze di manutenzione sulle opere e sugli alvei; inadeguatezza degli argini maestri di Po; riduzione delle sezioni di piena dei corsi d’acqua per l’occupazione progressiva delle aree golenali; riduzione delle aree fluviali utili per la laminazione delle piene; aumento della concentrazione dei deflussi in ragione della progressiva canalizzazione dei corsi d’acqua e della impermeabilizzazione del territorio; insufficiente dimensionamento di numerose opere (soprattutto ponti, viadotti e rilevati ferroviari) di attraversamento dei corsi d’acqua e delle aree allagabili e carenza della manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere stesse, in rapporto alle parti esposte alle sollecitazioni dovute alle acque di piena; inadeguato dimensionamento delle opere di attraversamento del reticolo minore, spesso tombinato; situazione di erosione e di abbassamento di fondo degli alvei di numerosi corsi d’acqua con conseguente necessità di una diversa gestione, ai fini della protezione idrogeologica.
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il servizio di polizia idraulica e di piena e il servizio di monitoraggio idrogeologico). Di fronte a tale quadro, l’obiettivo primario risultava quello di invertire la tendenza a privilegiare l’intervento straordinario a favore di quello ordinario, quale elemento essenziale per assicurare il conseguimento di una condizione di maggiore sicurezza del territorio rispetto al rischio di piena, in una prospettiva che mettesse in conto, i tempi non brevi, la continuità di azione e gli strumenti finanziari e organizzativi di tipo ordinario occorrenti. Il decennio 1994-2004 è stato sicuramente caratterizzato da sforzi e investimenti considerevoli per migliorare il grado di protezione contro le piene nel bacino del Po. Inoltre gran parte dei comuni e delle province del bacino hanno adeguato i propri strumenti alla pianificazione di bacino. Più critico appare il quadro per quanto riguarda l’assetto organizzativo del sistema della difesa del suolo o più propriamente del governo del territorio e delle acque. Nonostante i tentativi anche recenti di semplificazione, il moltiplicarsi e sovrapporsi delle norme rende il quadro normativo sempre più complesso. In definitiva il settore è caratterizzato dalla presenza di molteplici livelli di governo e da una sistematica frammentazione del potere e delle competenze. Frammentazione che non è limitata, verticalmente ai diversi livelli di governo, ma riguarda anche una separazione accentuata tra livello di pianificazione e livello di gestione».
Tra i territori di competenza dell’Autorità di bacino del fiume Po figura anche il Veneto, regione nella quale viene distribuita la nostra rivista. Quali sono le criticità specifiche dell’area veneta? «Le piene del Po del 2000 e del 2002 hanno sollecitato il sistema arginale al limite delle sue capacità (in taluni casi superandolo) e hanno messo nuovamente in evidenza una tendenza all’aumento dei colmi di piena e dei volumi defluiti imponendo alcune riflessioni: fino a quando sarà possibile intervenire alzando e rinforzando le difese arginali? Quali sono gli interventi – alternativi a quelli strutturali – e le azioni che si possono programmare affinché il sistema nel suo complesso possa reggere? Il PAI individua gli interventi attivi di riduzione delle portate attraverso la laminazione nelle fasce fluviali e nelle aree di laminazione controllata individuate o da individuare. Si tratta di interventi che consentono di ridurre il colmo di piene che transita verso il tratto basso del fiume e il Delta. Si tratta di un obiettivo non facile da raggiungere e una parte importante delle attività che l’Autorità di bacino sta svolgendo è rivolta a rendere attuabili tali azioni». La presenza di criticità connesse al rischio idrogeologico non deve far dimenticare che il Po costituisce una risorsa importantissima per i territori che attraversa. Mantenendo la lente di ingrandimento
sul Veneto, quali sono, a suo parere, le prospettive di sfruttamento sostenibile e intelligente che possono essere sviluppate nell’area del bacino del Po? «Nel 2006 l’Autorità di bacino ha predisposto il Progetto Strategico Speciale “Valle del fiume Po” con lo scopo, in un’ottica territoriale fortemente integrata (ossia coinvolgendo tutti i soggetti pubblici e privati), di sostenere il raggiungimento di obiettivi qualificanti per il miglioramento delle condizioni di sicurezza delle popolazioni insediate nella valle, la tutela delle fasce fluviali, il potenziamento della rete ecologica e la conservazione quali-quantitativa della risorsa idrica, promuovendo, al contempo, la fruizione delle risorse ambientali e storico-culturali ed il turismo fluviale. Le Amministrazioni coinvolte sono: l’Autorità di bacino del fiume Po, in qualità di promotore e coordinatore, le Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, le Province rivierasche (Cuneo, Torino, Vercelli, Alessandria, Pavia, Lodi, Cremona, Mantova, Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Rovigo) ed i Parchi fluviali dell’asta fluviale e del delta Po. Al PSS “Valle del fiume Po” è stato assegnato uno stanziamento, a valere sulle risorse del FAS, Fondo per le Aree Sottoutilizzate (Delibera CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007 di attuazione del Quadro Strategico Nazionale QSN 2007-2013), con una dotazione finanziaria complessiva di 180 milioni di euro. Segue
Il PAI La pianificazione predisposta e attualmente vigente (Piano stralcio delle Fasce Fluviali approvato nel luglio del 1998, Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) approvato nel 2000, PAI Delta) si fonda sui seguenti indirizzi: • la scelta del livello di rischio idrogeologico accettabile, rispetto al quale commisurare sia la realizzazione delle opere di difesa idraulica che le scelte di pianificazione urbanistico-territoriale, i sistemi di controllo e di gestione ordinaria e straordinaria; • l’adozione del concetto di fascia fluviale, più idoneo alla predisposizione di sistemi e metodi di protezione delle piene rispetto alle possibilità offerte dalla sola gestione patrimoniale del demanio fluviale; • l’interattività tra la gestione idraulica dei corsi d’acqua, la gestione agricolo forestale dei versanti e la gestione urbanistica degli insediamenti urbani ed industriali; • i pesi e i ruoli da assegnare alle difese attive e passive in rapporto alle rispettive convenienze economiche; • una ripartizione chiara delle competenze e delle responsabilità associate; • l’adozione di procedure di manutenzione su base programmatica certa e il monitoraggio della spesa; • la regolamentazione delle attività di estrazioni di inerti degli alvei fluviali; • il potenziamento della progettazione, anche attraverso la costituzione di un parco progetti, per assicurare rapidità di attuazione degli interventi finanziati; • lo sveltimento delle procedure amministrative; • il potenziamento dei presidi territoriali; • l’autofinanziamento del settore, attraverso la destinazione di scopo dei canoni derivanti dall’uso delle risorse demaniali.
Si sono, infatti, riconosciute la coerenza e l’efficacia programmatica e attuativa della proposta di PSS ed in particolare con le Priorità 3 - Uso sostenibile ed efficiente delle risorse naturali e Priorità 5 - Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività e lo sviluppo. Il finanziamento del PSS “Valle del fiume Po” con il FAS rappresenta il volano per l’avvio nella regione fluviale del Po di una politica integrata di intervento nel settore della difesa del suolo, della tutela delle risorse idriche e ambientali e della valorizzazione del territorio, superando logiche di intervento settoriali e favorendo l’utilizzo coordinato e sinergico dei diversi strumenti finanziari a disposizione. L’attuazione del Piano presuppone una forte integrazione territoriale e la coerenza con gli obiettivi del QSN 20072013 e con le politiche europee. Con questo scopo il Piano prevede sia azioni strutturali, finalizzate a migliorare l’assetto e la gestione del fiume Po e dell’annesso territorio mediante l’individuazione di un assetto complessivo del corso d’acqua che massimizzi le funzioni ecologiche e paesaggistiche, idrauliche e di tutela delle acque sia azioni non strutturali, finalizzate a definire regole di gestione che, utilizzando tutti gli strumenti possibili (prescrizioni, meccanismi incentivanti, accordi volontari con soggetti fondamentali come i consorzi di bonifica o le associazioni agricole), puntino a realizzare il nuovo assetto del territorio desiderato. Coerentemente con questa impostazione il PSS prevede 4 linee di azione: Linea di azione 1: Il riassetto idraulico, l’aumento della capacità di laminazione nelle fasce fluviali e la ricostruzione morfologica dell'alveo di piena;
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Linea di azione 2: La conservazione dell'integrità ecologica della fascia fluviale e della risorsa idrica del fiume Po; Linea di azione 3: Il sistema della fruizione e dell'offerta culturale e turistica; Linea di azione 4: Il sistema della governance e delle reti immateriali per la conoscenza, formazione e partecipazione. La riprogrammazione di una parte considerevole dei fondi Fas a sostegno della ripresa economica per affrontare la crisi della finanza mondiale ha tuttavia determinato la sospensione del finanziamento dei finanziamenti già approvati. Il progetto ha ricevuto giudizi positivi da più parti e spero che possa essere al più presto rifinanziato.
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Il Nord visto da Sud
Matarrese: cogliere le reciproche opportunità di Alfredo Martini
S
alvatore Matarrese è un imprenditore, giovane ed erede di una grande famiglia meridionale. «Nel senso che la nostra terra di origine è la Puglia e che si colloca nel Mezzogiorno – precisa – ma la nostra attività è non solo in tutta Italia ma sempre di più in Europa e nel Mondo». Per parlare del Nord iniziamo parlando del Sud. «Per chi lavora e vive prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno il Nord resta un modello, un riferimento di successo, con un rammarico che non si sia riusciti insieme a sviluppare dei modelli integrati. Vicinanza con i mercati che contano, ma sicuramente anche una maggiore attenzione e rilevanza data all’organizzazione, ad una logica di sistema, così come una crescita più rapida non tanto in termini di ricchezza, quanto di capitalizzazione. E poi
«Se c’è un valore nella globalizzzione e nell’era della comunicazioneA diffusa è l’averci insegnato che bisogna guardare ovunque, che bisogna
allargare gli orizzonti, che non si deve avere paura, che si deve scegliere, senza pregiudizi, cercare partner, costruire reti e sistemi».
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una maggiore capacità nel gestire la cosa pubblica. Hanno fatto la differenza. In sintesi il Nord ha saputo utilizzare decisamente meglio il processo di unificazione. Con il tempo poi il modello ha finito per restare sempre più lontano. Anche grazie ad una politica di investimenti e di scelte che hanno rafforzato il modello settentrionale di riferimento del Paese. Si pensi soltanto alla diversa dotazione infrastrutturale». Questa la storia, e oggi? «Oggi le cose sono un po’ diverse. La globalizzazione sicuramente ha avvicinato ogni cosa. Lo spazio va guardato con occhi diversi non in termini di distanza ma sul piano relazionale. Se la Cina e l’Oriente sono il futuro, sono i motori dello sviluppo mondiale futuro, allora le centralità e i valori cambiano. Allora i porti del Mediter-
Cosa la preoccupa oggi dell’atteggiamento antimerdionale di molte posizioni politiche, che sembrano consolidarsi nelle regioni settentrionali? «Ancora una volta posizioni ideologiche e di chiusura, mentalità difensive rischiano di frenare, di trasformarsi in scelte sbagliate, in visioni miopi. Se c’è un valore nella globalizzzione e nell’era della comunicazione diffusa è l’averci insegnato che bisogna guardare ovunque, che bisogna allargare gli orizzonti, che non si deve avere paura, che si deve scegliere, senza pregiudizi, cercare partner, costruire reti e sistemi. Capisco che con il passato che ci portiamo dietro continuare a considerare il Mezzogiorno come un’opportunità può sembrare un azzardo, ma invece è esattamente così. Oggi la Puglia costituisce un territorio ricco di potenzialità. I nostri studenti del resto continuano a imparare e a laurearsi nelle principali università del Nord. Da sempre esiste una forte relazione che deve trovare maggiore sistematicità, deve costituire un elemento da rafforzare in modo sistematico, sostenendo strutture, esperienze, progetti basati sull’integrazione e sulla collaborazione Nord – Sud, sempre più orientati verso ambiti strategici come la logistica, il turismo, la ricerca e l’innovazione».
LA PIAZZA
raneo diventano porte destinate a nuovi sviluppi. Se il mondo meno ricco è quello che sembra destinato a produrre a ritmi decisamente superiori rispetto a quelli della vecchia Europa, ecco che la vicinanza con il Sud del Mondo diventa un’opportunità innanzitutto per il nostro Nord. Senza il Nord le potenzialità che oggi ad esempio in Puglia ci si stanno aprendo non potranno diventare concrete occasioni di sviluppo. Faccio degli esempi concreti. Penso ai Fondi Fas, alla loro naturale destinazione di investimento nel Mezzogiorno, al fatto che debbono essere spesi con oculatezza e selezionando i progetti e le proposte, ma al Sud, perché è qui una delle grandi sfide da vincere oggi, quella del primato sul Mediterraneo in termini di gestione dei flussi commerciali con l’Oriente e con l’Africa. O noi sapremo investire e creare logistica, portualità, organizzazione e gestione di reti o perderemo la sfida con la Spagna. Il Sud con il Nord, ovvero i porti meridionali e i porti del Nord insieme come sistema».
Sempre più spesso sembrano prevalere vecchi luoghi comuni e cresce una nuova diffidenza tra Nord e Sud del mondo «Il problema non è geografico, ma etico, culturale, di qualità delle persone come dei progetti. Bisogna saper scegliere, esigere trasparenza, correttezza di comportamenti, creare sinergie virtuose. I problemi del Sud da questo punto di vista non sono diversi da quelli del Nord, tranne che per quanto riguarda la struttura, le competenze, la serietà delle pubbliche amministrazioni che probabilmente sono migliori, anche se purtroppo il degrado è abbastanza diffuso. Io sono convinto che oggi il confronto non è tra Nord e Sud ma tra chi segue un modello di sviluppo virtuoso e chiede collaborazione tra pubblico e privato, vuole risposte politiche chiare e guarda senza paraocchi ideologici alle opportunità. Segue 77
La Piazza Che ci sono. Bisogna assolutamente evitare di chiudersi in una visione autoreferenziale, del confronto tra un noi e loro che è destinato a far restare il nostro Paese lontano dai trend di crescita e di sviluppo. Oggi è essenziale avere una visione unitaria, agire in una logica nazionale. Del resto la frammentazione che oggi si ritrova al Nord rischia di indebolire la competizione di sistema. Paradossalmente oggi il Sud appare più unito ed è un fattore molto positivo a cui il Nord dovrebbe guardare con interesse e non come a un rischio». A Nord si guarda alla Germania come a un riferimento anche territoriale. Cosa pensa del modello tedesco? «La Germania è un modello non c’è dubbio, sotto diversi punti di vista. Quello che è avvenuto dopo la riunificazione tra Est e Ovest è un insegnamento per tutti. Loro in venti anni hanno riequilibrato due aree che alla fine degli anni Ottanta erano molto sperequate e oggi l’Est è più che un’opportunità, è una realtà che gioca in pieno le sue potenzialità e offre all’intera Germania nuove forze, nuove risorse per guardare ai mercati dell’Est con ancora maggiore possibilità di sviluppo. Che cosa sarebbe successo se la Baviera avesse deciso di staccarsi, di rendersi autonoma ritenendo che l’investimento ad Est fosse una perdita di risorse, che avesse l’effetto di ridurre il reddito dei suoi abitanti, se si fosse chiusa in uno splendido (il loro si) isolamento? L’esperienza della Germania del resto mette a nudo le nostre criticità, soprattutto le debolezza nella gestione amministrativa, nella pianificazione delle risorse, nell’assurdità dei tempi decisionali, nella mancanza di un disegno condiviso, indipendentemente dalla collocazione politica. E la storia così si ripete». Potendo fare un appello al Nord quale sarebbe? «Operiamo insieme per valorizzare i fondi europei ad iniziare dai Fondi Fas battendoci, contro qualunque volontà di riprogrammazione, ma affinché vengano spesi rapidamente per quello che si è deciso di fare, vigilando insieme affinché svolgano concretamente la loro funzione di volano e ci aiutino a vincere come Paese la sfida portuale, della
«La Germania in vent'anni ha riequilibrato due aree che alla fine degli anni Ottanta erano molto sperequate e
oggi l’Est è più che un’opportunità,
è una realtà che gioca in pieno le sue potenzialità e offre all’intero Paese nuove forze, nuove risorse per guardare ai mercati dell’Est con ancora maggiore possibilità di sviluppo».
logistica e del controllo commerciale nel Mediterraneo. Perché è qui, oltre che nel potenziamento infrastrutturale e nel sostegno alla ricerca che si gioca la partita decisiva del nostro futuro, del Nord come del Sud». 79
Tra storia e memoria: recuperare il passato per guardare al futuro
In occasione del trentennale della fondazione dell’Ente il Formedil ha pubblicato il volume La chiave di volta. Lavoro, imprese e professionalità
di Marta Alteri
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l Formedil, Ente Nazionale per la Formazione e l’Addestramento Professionale nell’Edilizia, ha celebrato quest’anno i trenta anni dalla sua fondazione, nel 1980. La Presidenza dell’Ente (nelle persone di Massimo Calzoni e Franco Gullo, rispettivamente Presidente e Vicepresidente Formedil) ha deciso di sfruttare l’occasione del trentennale per dare alle stampe un ricco volume che, prendendo le mosse dal sistema delle 98 Scuole Edili che si riconoscono nel Formedil, ha l’ambizione di iniziare a tracciare alcune linee per una storia del sistema bilaterale della formazione edile. L’idea della Presidenza, come si legge nell’introduzione al volume, era quella di «scavare nel passato per trovare gli elementi di identità
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forte e condivisa che legano, in un disegno comune, l’esperienza articolata e complessa delle diverse Scuole Edili e dei diversi territori», con l’obiettivo di pensare al futuro con la consapevolezza del proprio passato e delle proprie origini. D’altro canto, come sottolineato da Raffaello Borghi, uno dei testimoni storici intervistati dagli autori, «la consapevolezza è una prerogativa dell’arte edile» e la trasmissione dei saperi legati al lavoro di mastri, capomastri e operai semplici è sempre avvenuta per vicinanza, per “contatto”, rubando, per così dire, il mestiere con gli occhi a chi era più esperto. Anche per questa ragione i curatori del volume – Alfredo Martini e Federica Paoli – hanno proposto di mettere al centro dello studio
La Piazza la memoria, realizzando circa cinquanta interviste a uomini e donne che hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo del sistema bilaterale della formazione in edilizia. Alla ricostruzione storica dei fatti e delle trasformazioni economico-sociali che hanno riguardato il settore edile e gli Enti preposti alla formazione sono state intrecciate le storie e i racconti di quanti hanno vissuto in prima persona questi eventi. Ne è nata, come sottolineato dagli autori, «una storia fatta di storie, di racconti, di ricordi» che, pur partendo da contesti specifici, «assurgono, per il loro elevato valore esemplificativo, al ruolo di veri e propri riferimenti interpretativi». La Storia e le sue fonti tradizionali fatte di cicli economici, dati Istat, eventi politico-sociali e bibliografia scientifica sono state intrecciate con le storie di vita dei testimoni scelti creando un racconto corale e molto leggibile. La memoria del singolo, recuperata attraverso il ricorso alla specifica metodologia della cosiddetta “storia orale”, diviene parte, grazie ad un sapiente lavoro di montaggio e di riscrittura, di una narrazione più generale nella quale, proseguono gli autori «tutto deve ritornare e tenersi, come in una costruzione ben fatta». Il volume è diviso in due parti e corredato da un appendice con documenti, cronologia e bibliografia. La prima parte, suddivisa in tre capitoli, prende le mosse dalle origini della formazione professionale in edilizia nell’età contemporanea, rintracciandone le origini nella liquidazione del sistema corporativo all’inizio del 1800. Seguendo lo sviluppo della fi-
Il FORMEDIL è l’ente paritetico nazionale per la formazione nei settori dell’edilizia e delle costruzioni. Al FORMEDIL fa capo una rete territoriale di 98 Scuole Edili che ogni anno gestiscono migliaia di corsi, ai quali partecipano operai, tecnici e addetti al settore edile. Attraverso una capillare presenza su tutto il territorio nazionale il sistema formativo voluto e gestito dalle Parti Sociali delle costruzioni e coordinato dal FORMEDIL garantisce un’offerta formativa in ogni realtà locale e per tutte le esigenze, in una logica che tende a privilegiare l’aggiornamento continuo e la crescita professionale costante per tutte le figure coinvolte nel processo produttivo edilizio.
La chiave di volta
Lavoro, imprese e professionalità Per una storia del sistema bilaterale della formazione edile
La chiave di volta. Lavoro, imprese e professionalità. Per una storia del sistema bilaterale della formazione edile, a cura di Alfredo Martini e Federica Paoli, Roma, 2010, pp. 336.
gura del mastro e del capomastro e tenendo conto dell’evoluzione del sistema corporativo, gli autori seguono un filo rosso che li porta da alcune esperienze legate al mutualismo ottocentesco alla costituzione, nel secondo dopoguerra, delle Scuole Edili come Enti bilaterali ed emanazioni contrattuali. Attraversando crisi e boom economici gli autori arrivano alle soglie degli anni Ottanta quando si fa sempre più pressante il bisogno di creare un Ente di coordinamento nazionale, il Formedil appunto, che nei suoi trenta anni di attività ha operato affinché l’arcipelago delle Scuole divenisse a tutti gli effetti un Sistema, anche grazie a fondi comunitari e ad iniziative di respiro europeo. Il volume, che raccoglie anche propositi, documenti e riflessioni sui possibili sviluppi della formazione edile in Italia, presenta nella seconda sezione una mappatura di tutte le Scuole Edili che fanno capo al Formedil descrivendone le attività e i progetti passati e presenti. Tutto il lavoro è accompagnato da numerose immagini, giusto contrappunto visivo per un racconto in cui gli sforzi di imprenditori, sindacalisti, docenti e lavoratori sono congiunti nel tentativo di creare un sistema nel quale si lavori meglio e si rispettino le regole. 81
CALZONI: il mercato non riconosce la formazione di M. M.
Come nasce l’idea di un volume che celebri 30 anni di Formazione professionale in edilizia? «Abbiamo voluto dare risalto ad un settore che spesso viene messo in ombra dal grave fenomeno degli incidenti in cantiere. Sentivamo il bisogno di dare voce a quelle esperienze positive che negli anni hanno migliorato e sostenuto il sistema bilaterale delle maestranze edili. Forte è oggi la nostra convinzione che la qualità professionale costituisce la “chiave di volta”, che la 82
formazione continua sia un’attività indispensabile per crescere, non soltanto per quanto riguarda il nostro settore, ma per l’intera economia occidentale. Eppure, se noi ci guardiamo intorno, se per un attimo scendiamo “per la strada”, nei cantieri, spostiamo l’attenzione da ciò che dovrebbe essere a quello che succede realmente, a come funziona oggi il mercato, allora forse dovremmo cambiare il metro di giudizio. Dovremmo iniziare a preoccuparci. Emerge con forza il dubbio che, il nostro impegno, i nostri sforzi, il costo di una formazione di eccellenza come quella che noi vogliamo attuare, sia insostenibile, sia un fattore anomalo, si trasformi per le migliaia di imprese del nostro sistema in un fattore a perdere, in un handicap, invece che in un concreto e strategico valore aggiunto. Da un lato, quindi, una storia “importante”, meriti e gloria e una convinzione che il sistema possa crescere andando oltre una fase dove troppo spesso ha finito per vincere l’inerzia, l’autoreferenzialità, a scapito di un efficace supporto e di una capacità di cogliere le esigenze specifiche delle imprese, per dotarsi di un sistema capillare di formazione continua e di presidio sul territorio. Dall’altro la consapevolezza crescente che, ancora una volta, – e la storia che abbiamo ricostruito ce lo conferma – la formazione costituisce un lusso, un elemento che il mercato non ritiene necessario, un mercato dove, la qualificazione, non viene premiata, bensì penalizzata nel sistema di affidamento degli appalti pubblici, nelle selezioni degli operatori, nella normativa “reale”». Lei ha posto una questione centrale: la contraddizione tra l'impegno formativo del sistema bilaterale e un mercato che non riconosce la quali-
La Piazza tà della persona e delle professionalità. Qual'è oggi la situazione? «Noi oggi viviamo in una realtà fatta di norme e di regole ridondanti spesso contraddittorie, ma, soprattutto, inapplicabili, perchè se dovessimo applicarle non saremmo in grado di fare il nostro lavoro. Le norme dovrebbero essere applicabili e soprattutto le regole concrete del mercato dovrebbero seguirne l’evoluzione. Di fatto il mercato prescinde dalle regole, anzi, in concreto, i nostri committenti non se ne curano e, chi le rispetta, chi si assume i costi della formazione, della sicurezza, di una buona e rispettosa organizzazione del lavoro e gestione del personale, finisce “fuori mercato”, non è in grado di competere. Ma come è possibile che, chi rispetta le regole, sia fuori dal mercato e chi non le rispetta prosperi e si affermi sul mercato? È tutto qui il paradosso italiano, un paradosso che sta caratterizzando sempre più questa difficile congiuntura internazionale. Un paradosso che si sta allargando e che rischia di mettere fuori gioco, di rendere obsoleto,
anacronistico nei fatti, il nostro sistema bilaterale della formazione». Cosa si può fare per cambiare le cose? «Noi oggi lanciamo questo allarme, denunciamo, forti della nostra storia, questo paradosso e chiediamo una decisa riforma del sistema di selezione e di affidamento dei lavori, una revisione della normativa sugli appalti, sulla sicurezza che sia semplice e applicabile. Chiediamo alle istituzioni di investire sui controlli, di sostenere il sistema regolare delle imprese. Chiediamo che se si condivide l’opinione che la qualità professionale e delle persone debba costituire un fattore strategico del nostro modello di sviluppo e delle nostre strategie di competitività internazionale allora si debbano creare le condizioni incentivandola per una sua concreta realizzazione. Solo in questo modo il sistema bilaterale delle costruzioni potrà avere un senso, svolgere un ruolo utile. Soltanto così i suoi costi e i suoi investimenti potranno costituire ed essere percepiti come un vantaggio e svolgere quel ruolo fondamentale a sostegno di uno sviluppo civico, sociale e anche economico del Paese».
Una fiera dedicata alle strade
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a manifestazione biennale Asphaltica giunge quest’anno alla sua quinta edizione. Nata a Padova, dalla volontà degli operatori del settore stradale facenti capo a SITEB, offre al settore dell’asfalto e della cantieristica stradale un’importante vetrina, all’interno della quale trovano spazio le più moderne soluzioni per costruzione, manutenzione e collaudo delle infrastrutture e dei servizi ad esse correlati. Nell’edizione di quest’anno, verranno dedicati tre giorni a workshop e convegni focalizzati sui temi della sicurezza, della salvaguardia della salute del cittadino e della tutela dell’ambiente. L’esistenza dell’evento stesso mette in evidenza le innumerevoli possibilità offerte dal comparto industriale, offre visibilità ai prodotti in un ambito settoriale specifico. Le aziende operanti, quali compagnie petrolifere, trasformatori di bitume, produttori di additivi e polimeri, laboratori di strade, possono riconoscersi all’interno di questa manifestazione autonoma rispetto al SAMOTER e al SAIE, che riescono solo in parte a ricomprendere tutti gli appartenenti al settore stesso. La Pubblica Amministrazione gioca un ruolo fondamentale, in quanto principale cliente di Asphaltica, dato che ad essa fa capo il sistema di appalti in materia di rifacimento del manto stradale, quindi simili opere, siano esse di manutenzione o meno, costituiscono da sempre una voce importante all’interno del budget di una PA. È all’interno di questa realtà che si sviluppa una forte esigenza di formazione e di un adeguamento tecnico sempre maggiori. D’altro canto, il nostro Paese riconosce, nella propria storia, una grande tradizione legata alla costruzione di strade ed infrastrutture risalente ad epoche lontane. «SI-
Su Asphaltica abbiamo intervistato il presidente di SITEB Carlo Giavarini
di Laura Brogialdi
TEB è il motore di Asphaltica – puntualizza Stefano Ravaioli, Coordinatore del Comitato Asphaltica e Direttore Generale di SITEB - e Asphaltica non può esistere senza. L’evento si identifica con l’Associazione e l’Associazione non può che sostenerlo sempre e comunque. SITEB è a 360° il mondo dell’asfalto, la filiera della strada, l’unico punto di riferimento per chi opera nel settore, riconosciuto anche all’estero. SITEB coinvolge l’industria petrolifera, l’industria meccanica, le costruzioni stradali, le pubbliche amministrazioni, i servizi. Ambiente, salute, sicurezza e sostenibilità sono le parole chiave dell’evento e del settore. Asfalti freddi, tiepidi, a bassa emissione, senza fumi, fonoassorbenti, colorati, trasparenti ecc sono le risposte dell’industria. Grandi lavori, risparmio energetico, economia e politica, sono gli interessi che coinvolgono l’evento.» La classe politica viene coinvolta direttamente nella realtà curata da Asphaltica: la sicurezza stradale resta una questione focale di grande importanza, che coinvolge strati diversificati della popolazione, che partono dall’ utenza giornaliera. «SITEB è forte, - conferma Ravaioli - coinvolge tutta l’industria di settore e comunica bene sia con la pubblica amministrazione che con il mondo accademico; è perfettamente inserita nel contesto europeo e capace di vedute ampie.» Novità dell’edizione di quest’anno, l’istituzione di un’Area DemoDinamica, sita nelle immediate vicinanze dei padiglioni espositivi, dedicata alla prova e alle dimostrazioni delle attrezzature e dei prodotti per la cantieristica stradale. Essa offre un arricchimento alle aziende che intendano completare la loro presenza espositiva indoor attraverso lo strumento della dimostrazione pratica.
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n che modo Asphaltica può contrastare gli elementi negativi che caratterizzano questo momento di crisi, favorendo il rilancio di un settore la cui ripresa può innegabilmente migliorare l’andamento dell’economia nazionale? Asphaltica vuole essere punto di incontro e di rilancio per il settore stradale, un settore essenziale per lo svi-
La Piazza luppo del Paese. La crisi che stiamo attraversando ha messo in dubbio molte delle nostre certezze. La grande partecipazione ad Asphaltica, in termini di espositori e di convegni, dimostra però una forte volontà di reagire e di superare questo momento negativo; ciò anche e soprattutto da parte della piccola e media industria, che tradizionalmente rappresenta una componente fondamentale dell’economia nazionale. Al contrario di altre manifestazioni internazionali, Asphaltica non sembra aver mostrato cedimenti. In un momento storico in cui occorre che la sostenibilità economica si coniughi con la sostenibilità ambientale, che ruolo hanno le innovazioni tecnologiche all’interno di Asphaltica? Durante la prima delle cinque edizioni di Asphaltica furono presentate dai partner europei alcune innovazioni rivoluzionarie, come il manto asfaltico in rulli, che si posa come una moquette, o come il recupero del calore dalle pavimentazioni stradali. Essendo molto avveniristiche, alcune di tali invenzioni sono rimaste a livello di prototipi, pur avendo avuto notevole risalto nella stampa. Asphaltica non vuole oggi presentare cose rivoluzionarie e di difficile applicazione. Vuole mostrare la capacità di innovare l’esistente e di proporre soluzioni intelligenti, pratiche ed economiche; soprattutto solu-
zioni sostenibili e amiche dell’ambiente. La struttura organizzativa di Asphaltica, in conformità con la volontà e la capacità propositiva di soluzioni sostenibili, pratiche ed economiche, dà dunque risalto alle novità tecnologiche che verranno immesse sul mercato? Asphaltica si articola, oltre che nei padiglioni di Padova Fiere, anche in vari Convegni e simposi, la maggior parte dei quali organizzati dalle Aziende espositrici. Ognuna di esse ha almeno una novità da proporre e illustrare, un prodotto o una tecnologia di nuova generazione da mostrare. Resta solo da sperare che queste proposte vengano recepite e capite anche da chi appalta i lavori, senza mortificare l’intraprendenza e la capacità di innovare, a favore della cattiva qualità a basso prezzo. Come si colloca Asphalitica all’interno della vetrina fieristica europea? Come e più degli altri anni, Asphaltica mostra anche la propria valenza internazionale, con la partecipazione di una folta delegazione Russa, del Presidente e Direttore di EAPA (European Asphalt Paving Association), dei dirigenti francesi di IBEF, IRF e Colas, del Presidente dell’ European Asphalt Mastic Association, di rappresentanze provenienti da vari Paesi Europei.
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Il buen retiro di un manager milanese
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ella pianura veneta lambita dalla presenza storica del fiume Piave e a pochi chilometri dal mare, sorge il buen retiro di un manager milanese: una residenza disegnata a forma di C impossibile da non notare, discreta ma al contempo estremamente elegante che porta la firma di Vimar con il sistema domotico By-me. La progettazione dell’edificio è stata curata dallo studio Globarch – Architettura Integrale di Treviso fondato dell’architetto Ermenegildo Anoja, che mira a creare, utilizzando varie discipline come la Bioarchitettura, la Bioclimatica, il Feng Shui e la Geobiologia, luoghi che siano sintesi di uno “spazio esistenziale”, rispettosi per l’ambiente e mirati al risparmio energetico. Il risultato è una raffinata residenza in bioedilizia, studiata in ogni singolo dettaglio e costruita con materiali ecologici, autonoma dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico grazie alla scelta di installare un impianto geotermico integrato da pannelli solari. Il semipatio centrale dell’edificio, inoltre, nei mesi invernali garantisce una valida protezione dal freddo e dai venti ed è pensato in modo da sfruttare l’apporto solare con l’apertura a sud; in estate, invece, questa stessa zona, dalle prime ore del pomeriggio, è la più ombreggiata della casa influenzando positivamente i locali che si affacciano sullo stesso. Nel giardino alberato che l’abbraccia, lo scroscio dell’acqua della fontana è un suono rilassante che rompe il silenzio nel quale è immersa l’abitazione. Le ampie vetrate riparate da porte scorrevoli brise soleil introducono ad un ambiente spazioso ed accogliente. Il soffitto ha travi a vista bianche e la purezza delle stanze è esaltata dalla luce che entra copiosa; il pavimento in rovere è spezzato a tratti dal marmo rosso, come nella cucina disegnata su misura in legno e acciaio. Sala da pranzo, soggiorno e studio occupano il resto della zona living e si affacciano sul patio centrale, un piccolo spazio intimo e riparato.
Le scelte d’arredo, a partire dal soggiorno a doppia altezza con caminetto sospeso in acciaio e il tocco vivace dei divani in pelle bianchi e rossi, spaziano da inconfondibili pezzi di design a oggetti più ricercati, come i lampadari in ferro battuto con lavorazione a foglia d’oro, frutto della sapienza di abili artigiani. Sulle pareti di cocciopesto lasciate quasi completamente spoglie, le forme regolari di Eikon spiccano senza però disturbare lo stile minimalista dell’intera abitazione. La scelta è ricaduta sul design elegante e rigoroso della placca Classic, in metallo galvanico color Nichel Satinato, con comandi nella variante grigio antracite. Accanto alla porta d’entrata, la centrale domotica By-me consente di programmare diversi possibili scenari: differenti combinazioni di funzionamento degli apparecchi elettrici, a seconda delle esigenze, da richiamare di volta in volta attraverso un unico gesto. La regolazione delle luci e l’accensione del caminetto, l’inserimento del sistema antintrusione e la garanzia di essere protetti anche dai pericoli interni (fughe di gas e perdite d’acqua) e sovraccarichi, l’avvio automatico di specifiche funzioni e la videocitofonia sono controllabili con pochi comandi e consentono di vivere la casa in una forma nuova. La domotica ha permesso di creare un’abitazione intelligente all’interno della quale le persone si muovono sicure comandando vari dispositivi dalla centrale o attraverso telecomando.
Nella zona notte, il sistema By-me è particolarmente utile per la gestione di tende e zanzariere, l’oscuramento dei lucernari o la loro apertura, il controllo delle luci. Il design Vimar si coordina perfettamente ai diversi ambienti: dal bagno con mosaici di prestigio e personalizzati alle camere da letto, essenziali e completamente bianche. Tasti e comandi sono retroilluminati e hanno inciso il logo della funzione alla quale sono destinati: frecce direzionali o regolatori on/off. Schermi al plasma, anch’essi governabili tramite Byme, sono ovunque: un particolare che racconta alla perfezione la professione del padrone di casa. In diversi punti strategici, poi, sono stati posizionati rilevatori di presenza funzionali al sistema di allarme e, contemporaneamente, pensati per attivare automaticamente piccole lampade segna passo in ciascuno dei gradini che collegano la zona giorno al piano inferiore. Il seminterrato è dedicato al relax: sauna e bagno turco per rigenerarsi e una stanza spaziosa occupata dal goliardico calcio balilla che lascia prevedere serate tra amici, magari legati dalla stessa passione rossonera che anima il proprietario. Ogni spazio e ogni particolare sono la sintesi di un lavoro corale che non ha lasciato nulla al caso, frutto di scelte minuziose riguardanti la qualità dei prodotti e le soluzioni architettoniche adottate che hanno consentito di creare una casa che, appena nata, è già perfetta. www.vimar.eu
In Veneto la scuola è digitalizzata Il Veneto vanta oggi un sistema scolastico sempre più all'avanguardia: sono oltre 400 gli insegnanti dotati dei netbook ASUS di ultima generazione con software MasterCom che permettono di sperimentare forme innovative di insegnamento e gestire la nuova didattica in modo digitale. La regione dimostra come la scuola possa informatizzarsi e ammodernarsi nell’era della digitalizzazione sfruttando i vantaggi che la tecnologia è oggi in grado di offrire anche in ambito scolastico/ didattico. Grazie ad ASUS e alla collaborazione di Master Training sono già quattro gli istituti dove ogni professore dispone di un mini PC portatile. A scuola gli insegnanti arrivano non solo più con i libri ma anche con questo strumento interattivo per svolgere la didattica, la gestione dei registri e le relazioni con studenti e famiglie. Grazie ai piccoli e leggeri netbook e al programma MasterCom - un'applicazione Web interattiva appositamente sviluppata per le scuole da Master Training - questi istituti del Veneto potranno fare a meno dei tradizionali registri cartacei per la gestione delle assenze, dei voti, delle giustificazioni e delle pagelle. Ogni alunno è dotato di un badge che consente di rilevare e registrare l'ingresso e l'uscita da scuola tramite l’invio di queste informazioni in automatico al registro elettronico rendendole così consultabili via Internet anche dai genitori. Passato e futuro che ben si collocano nel presente.
Campi fotovoltaici: record italiano In provincia di Rovigo in un territorio vocato alla coltivazione delle orticole e dei radicchi da qualche tempo si fa un gran vociare a causa di una nuova, strana, avveniristica coltura. Verso la fine ottobre di quest’anno sono state acquistate diverse decine di ettari di terreno con una grossa operazione di “project financing” per sviluppare un progetto da 17,2 milioni di euro. L’intenzione è quella di dar vita al più grande e maestoso impianto fotovoltaico d’Europa, maggiore di quelli spagnoli e olandesi: la superficie di 120 campi da calcio accorpati che produrranno la bellezza di 72 Megawatt pari al fabbisogno di 17 mila famiglie, ad un risparmio annuo di 41 mila tonnellate di CO2, l’equivalente eliminazione di 8.000 automobili. Numeri importanti, quindi, anche a livello d’investimenti e di business: gli stessi Comuni interessati all’intervento avranno ottime ricadute economiche per aver ospitato questo progetto avanzato. Gli stessi partner spagnoli sono felici d’aver condotto tale operazione in Italia che, a loro dire, rappresenta un’area altamente strategica. Oltre a 400 nuovi posti di lavoro per la costruzione del sito si svilupperanno in loco nuove figure lavorative legate al comparto e forte sarà l’indotto. Unici ed isolati sono stati alcuni accenni di polemica da parte degli agricoltori gelosi delle proprie campagne e forse ancor di più della tradizione; in realtà la polemica è subito rientrata poiché è bene precisare che l’impianto è di tipo industriale e sarà pertanto realizzato in un’area industriale e idonea. La campagna circostante potrà tranquillamente convivere con i parchi solari.
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Turismo enogastronomico tra i Colli Berici Il Consorzio 'Qualithos' che riunisce vari enti e associazioni turistiche vicentine lancia una nuova iniziativa turistica con visite guidate a vigne, cantine e distillerie. Un pacchetto turistico di due o tre giorni da trascorrere sui Colli Berici, comprensorio collinare a sud di Vicenza, tra escursioni, visite a ville storiche e cene in locali tipici per gustare i prodotti enogastronomici della terra vicentina.Tra gli obiettivi, oltre alla conoscenza del territorio, c'è anche la valorizzazione di alcuni vini locali prodotti in queste colline ed in particolare il Tai Rosso. Questo vino -già Tocai Rosso- venne probabilmente introdotto nei Berici già dal XIII secolo dai Canonici di Barbarano in contatto con i vescovi di Avignone. L'origine di questo vino è del sud della Francia e nei secoli il Tai Rosso si è ambientato perfettamente nel territorio berico tanto da essere considerato un vitigno autoctono. Nell’offerta è prevista anche la possibilità di pernottare in uno dei tanti agriturismo della zona con cena nei locali tipici; molto interessante poi è la visita alla città di Vicenza dove si possono ammirare alcuni dei gioielli palladiani.
San Martino in cantina
a cura di Mimosa Martini
Da sempre la ricorrenza di San Martino dell'11 novembre rappresenta la festa dei vignaioli, il giorno in cui si ringrazia il cielo per la raccolta della vendemmia appena conclusa. Una data importante che è giunta a noi di generazione in generazione e che il Movimento Turismo del Vino Veneto onorerà domenica 14 novembre. L'iniziativa denominata ''San Martino in Cantina!'' vedrà la presenza di oltre trenta cantine venete delle province di Treviso, Verona, Venezia, Vicenza e Padova che aderiranno alla giornata di festa. Con l’occasione si sprecheranno assaggi e degustazioni dei primi vini novelli ed anche dei grandi invecchiati con il doveroso accompagnamento dei prodotti tipici e di stagione. Questo evento rappresenta un giusto tributo alla storia poiché Martino e' il santo patrono dei vignaioli e i produttori con l’occasione aprono le loro cantine ai visitatori ed ai turisti. Una splendida giornata di festa dove poter scoprire i sapori, i profumi e i colori tipici dell'autunno veneto: è il momento dell’oca, dei marroni di bosco e dei frutti e verdure di stagione. Ogni cantina, animata da uno spirito di sana competizione, saprà offrire il meglio della produzione in un clima di serena convivialità.
di ANCE VENEZIA
Delegazione di costruttori cinesi incontra l'Associazione
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o scorso 12 settembre, una delegazione di imprenditori cinesi delle costruzioni aderenti alla CCIA (l’Associazione dei Costruttori cinese) in visita a Venezia ha incontrato una rappresentanza della nostra Associazione. La delegazione – composta dal Presidente e Vice Presidente della CCIA, dal Vice Segretario Generale della CCIA, da due rappresentanti di grandi imprese, nonché da una importante dirigente del Dipartimento della Pianificazione Finanza e Affari Esteri del Ministero dell'Edilizia e dello Sviluppo urbano e rurale cinese – si è fermata a Venezia nel corso di un viaggio di studio in Italia organizzato per ricambiare la missione in Cina compiuta dall’ANCE lo scorso anno e guidata al Presidente Buzzetti. Il soggiorno il Italia è stato l’occasione per un reciproco scambio di informazioni ed esperienze rela-
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tive alle diverse realtà che caratterizzano l'attività edile nei due paesi. Nel corso della tappa romana della delegazione, inoltre, è stata firmata un'intesa di collaborazione fra l'Ance, nella persona del Presidente ing. Paolo Buzzetti, e l'Associazione dei Costruttori cinesi (CCIA), nella persona del Presidente Mr. Zheng Yijun. L'incontro con i colleghi veneziani, in particolare, si è rilevato estremamente interessante e proficuo sotto il profilo delle opportunità di collaborazioni italo-cinesi in progetti di restauro e riqualificazione urbana così come nella formazione di maestranze e tecniche di restauro, tenuto conto dell'esigenza, espressa da parte cinese, di valorizzare i propri edifici storici magari con l'aiuto dell'expertise italiano in questo settore, nonché della cooperazione e formazione nei settori dell'alta tecnologia e
del risparmio energetico nell'edilizia, materia in cui le imprese cinesi non sono ancora allineate agli standard europei. A fare gli onori di casa il Presidente, geom. Lionello Barbuio, che ha illustrato le caratteristiche principali del settore delle costruzioni in Italia e nella nostra provincia. I costruttori cinesi nel ringraziare i colleghi veneziani per l'accoglienza hanno espresso l'auspicio che si possano aprire numerose opportunità di coordinamento e cooperazione fra imprese di costruzione italiane e cinesi sia nel vasto mercato cinese, in cui le nostre associate non sono attualmente presenti se non con limitate operazioni di nicchia, sia in mercati terzi di notevole interesse quale quello mediorientale.
Consorzio “L’Aquila ed il Leone” Nei mesi scorsi, l’Associazione si è resa promotrice di un progetto finalizzato alla costituzione di un consorzio che potesse favorire la partecipazione dei Soci alle fasi della ricostruzione post terremoto nelle zone dell’Abruzzo colpite dal sisma. Ad aderire all’iniziativa aperta a tutte le imprese associate – e coordinata da ANCE Venezia in tutte le sue fasi – una dozzina di imprese che, il 12 ottobre scorso, hanno costituito il consorzio “L’Aquila ed il Leone”. In considerazione delle capacità e della specifica esperienza delle imprese venezia-
ne da sempre impegnate nel settore del restauro e della conservazione del patrimonio culturale, si è ritenuto che queste potessero fornire un significativo contribuito per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 6 aprile 2009 e, in particolar modo, del centro storico de L'Aquila. Gli interventi su cui si ritiene di orientarsi sono riconducibili prevalentemente a lavori privati di ristrutturazione e di restauro monumentale, ma nella compagine non mancano imprese che si candidano ad operare nel campo delle infrastrutture e dell’edilizia “civile”. “Un’iniziativa interessante – commenta Lionello Barbuio, presidente di Ance Venezia – che allarga le prospettive di intervento delle nostre imprese”. “Si tratta per la maggior parte di imprese – spiega l’arch. Giovanni Salmistrari, presidente del consorzio – che si occupano di lavori privati a Venezia, che per molti versi presenta le stesse difficoltà di operare in un centro storico come quello de L’Aquila: strade strette, un patrimonio architettonico da tutelare con cura e perizia. La nostra vuole essere una scommessa. Ci proponiamo di realizzare lavori privati con un preciso biglietto da visita: la competenza con la quale abbiamo sempre trattato il restauro e la tutela di alcuni dei gioielli architettonici più importanti d’Italia presenti a Venezia. Una garanzia anche per il patrimonio del centro storico aquilano”.
di ANCE VICENZA
Gianluca Muraro
nuovo coordinatore dei Giovani edili di ANCE Vicenza
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l Gruppo Giovani edili di Confindustria Vicenza ha il suo nuovo coordinatore. Si tratta di Gianluca Muraro, che è subentrato
nell'incarico a Franco Rasotto. Muraro riceve il testimone alla vigilia di una stagione ricca di impegni, attività e appuntamenti per il Gruppo giovani edili. Il programma ha avuto il suo inizio con l’Ance Day, l'annuale convegno dei Giovani Costruttori di ANCE Veneto, quest'anno ospitato proprio da ANCE Vicenza presso la sala congressi del CUOA, sul tema Generazione futura: I giovani studiano le strategie di sviluppo e i processi di trasformazione della regione. Segue 93
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L'evento che ha visto, per la prima volta, il coinvolgimento e la collaborazione dei “Giovani” appartenenti al mondo delle professioni, ha aperto un interessante tavolo di discussione attraverso il quale, in modo trasversale, i “Giovani” si ripromettono di dare il loro contributo per un nuovo modello di sviluppo del Veneto. Quali sono le linee guida di questo suo mandato biennale a livello provinciale? «Come coordinatore dei Giovani di ANCE Vicenza ho steso, unitamente ai colleghi del consiglio (composto da ragazzi giovani e pieni di idee, ma soprattutto da imprenditori di prim’ordine per i quali l’impegno associativo non rappresenta tempo sottratto all’azienda, ma uno strumento indispensabile per la propria crescita personale e lavorativa), un programma articolato, ma che in estrema sintesi punta su due obiettivi: il rafforzamento del nostro gruppo giovani e politiche di marketing associativo; una serie di proposte formative per offrire al giovane imprenditore una maggior esperienza aziendale. Proprio in quest’ottica l’esperienza delle visite a cantieri complessi, che impongono la valutazione di tanti fattori, è particolarmente apprezzata. La nostra riflessione di partenza è che il cantiere edile si sta profondamente trasformando; intendo dire che oggi in un cantiere è più che mai necessario confrontarsi con tutti i soggetti professionali della filiera: dall’ingegnere all’architetto, dall’impiantista all’esperto di servizi tecnologici. Siamo insomma di fronte a un cantiere che impone una costante interazione tra soggetti professionali e specialistici diversi. Da questo modo di agire nuovo parte indubbiamente una crescita comune e un nuovo modo di costruire». Da qui anche il vostro impegno nel cercare esperienze e sinergie con le tante professioni tecniche della filiera costruzioni, in piena sintonia con i contenuti dell'ANCE Day regionale. «Certamente. Lo scambio di idee è vitale sia per il costruttore che per l’ingegnere o l’architetto; ma a queste figure voglio aggiungere gli impiantisti, i termotecnici, i geologi, i tecnici ambientali, i produttori
di materiali da costruzione e tutte i rappresentanti delle professioni che intervengono nel processo edilizio: oggi non possiamo più parlare solo di costruzioni rilevanti dal punto di vista estetico-architettonico o solide dal punto di vista strutturale; oggi parliamo di 'prestazione, risparmio energetico e rendimento' e per questo motivo la concertazione tra le varie competenze deve essere attuata prima che gli escavatori entrino in cantiere. A questo proposito la sinergia con i giovani architetti del Vaga si sta dimostrano particolarmente proficua». Voi Giovani, insomma, siete pronti a raccogliere le sfide tecnologiche, senza dimenticare che il cantiere è fatto di maestranze sempre più specializzate... «Proprio così. Come ci hanno insegnato i nostri padri, le maestranze rappresentano il nostro primo e vero patrimonio. La loro formazione è perciò essenziale, dà valore aggiunto all’impresa. In questo senso abbiamo promosso una serie di incontri formativi in collaborazione con Comitato Paritetico Territoriale, Scuola Edile, Cassa Edile, organismi vicentini che oggi, a livello nazionale, rappresentano il fiore all’occhiello tra gli enti bilaterali. Perciò i giovani che decidono di entrare in edilizia possono contare su strutture di prim’ordine in materia di formazione, sicurezza e rapporti contrattuali di lavoro». 95
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Portiamo innovazione nella fornitura di prodotti e servizi per l'edilizia, con l'obiettivo di essere: completi nell'offerta di prodotti e tecnologie. I prodotti migliori e le soluzioni tecnologicamente più avanzate per le imprese edili. attenti alla specificità delle esigenze. Una capacità nel soddisfare le richieste e un'attitudine alla consulenza che ci rendono molto più che semplici fornitori, ossia veri e propri collaboratori. competitivi grazie al servizio di noleggio. Un servizio di noleggio delle attrezzature comodo ed evoluto, approntato per fare risparmiare tempo e denaro. vicini a voi. Una presenza sul territorio particolarmente estesa e capillare. Padova - Via Danimarca, 10 Limena (PD) - Via del Santo, 222 Trebaseleghe (PD) - Via Malcanton, 21 Castelfranco V. (TV) - Via del Commercio, 15 Venezia - Canale Colombuola Mestre (VE) - Via Giustizia, 18 Mirano (VE) - Via Galilei, 2/g Sandon di Fossò (VE) - Via Cornio, 20 Cartigliano (VI) - Via Mazzini, 10 Pove del Grappa (VI) - Via Rea, 22 Thiene (VI) - Via Campazzi, 18