i personaggi
Cristina Chiabot to Penelope Cruz Chris Lemmon
l’evento
I 110 anni della Harley Davidson
SpecialI scuole sapori d’italia
Cinema | Design Eventi | Food Motori | Tradizioni
MATTEO BRANCIAMORE Cesaroni per sempre
Anno 06 dic. ‘12/Gen. ‘13 COPIA GRATUITA
editoriale dic. ‘12 gen. ‘13
NON CI FERMIAMO MAI Abbiamo appena mandato negli archivi un anno che non ha lasciato molto spazio alla fantasia di tutti quanti. Ma per noi, che ogni mese ci danniamo l’anima per riempire queste pagine, senza che vengano mai fuori i mal di pancia, le delusioni e le gioie di aver colpito nel segno, non basta neanche la crisi a fermarci. Sappiamo bene che il mondo tira i remi in barca e aspetta chissà che. Ma in fondo a noi non importa, e con l’incoscienza di chi crede profondamente in quello che fa, siamo ormai quasi pronti a partire con altre iniziative editoriali che andranno a rimpolpare molto presto l’offerta di carta e non solo (ne parliamo più avanti) che parte dalla nostra casa editrice. Stiamo affinando le armi per dare ancora di più, e toccare segmenti dove finora non c’eravamo mai addentrati, perché siamo convinti che chi si ferma è perduto. Calma, non insistete: avremo modo più avanti di svelare tutto in dettaglio, per adesso accontentatevi di scoprire la nostra testata anche sul web. Siamo partiti da poco, molto c’è ancora da fare, ma www.andcomagazine.it esiste, è fra noi. Così come Lady’s, il mensile free press dedicato all’universo femminile, che per adesso si limita a tornare in pista solo in versione internet, ma siccome nella vita non si sa mai, potrebbe anche riapparire in forma cartacea. Molto dipende dalla fortuna, ma molto di più dai carpiati delle economie mondiali su cui non abbiamo alcun modo di intervenire. Ma ci siamo, più vivi che mai, e pronti a mandare in archivio un altro anno.
DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo
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sommario 40 24
6 Cover Story: Matteo Branciamore
NON È UN PAESE PER GIOVANI
10 Anniversari: i 110 anni Harley Davidson
BORN IN THE U.S.A.
14 L’intervista: Cristina Chiabotto
MISS SEMPLICITÀ
16 Speciale Scuole/1: gli Open Day
PIACERE, SONO LA TUA PROSSIMA SCUOLA
20 Speciale Scuole/2: L’orientamento
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LA STRADA GIUSTA
38 Design: Micasa Lab
… PER PICCINA CHE TUA SIA
40 Eventi: Penelope Cruz 2013
IO NON HO PAURA
42 Il personaggio: Chris Lemmon
TUTTO SUO PADRE
44 Cinema: Quartet
L’ETÀ DELL’ORO
46 Motori: I benzinai no logo
IL PIENO A MENO
48 And Co. NEWS 50 Novità in libreria
24 Speciale Sapori Italiani
PICCOLO MONDO BUONO
34 Food: il Frietmuseum
SIAMO FRITTI
36 Tradizioni: Patrimoni Immateriali Unesco
Anno 06 Dicembre '12/gennaio '13
una pubblicazione Adverum Srl Via R. Brichetti, 40 27100 Pavia Tel. (+39) 0382 309826 fax (+39) 0382 308672 www.adverum.net info@adverum.net
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DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo direttore@andcomagazine.it
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SALVIAMO IL SALVABILE SEGRETERIA DI REDAZIONE C. Moretti Tel. 0382 309826 redazione@andcomagazine.it Hanno collaborato a questo numero Daniela Capone, Simona Rapparelli, Tommaso Montagna Impaginazione e grafica Adverum Srl
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Art Director Paolo Armani linea@paoloarmani.it Marketing, pubblicità ed eventi speciali Adverum Srl marketing@adverum.net Stampa Tipografica DERTHONA s.r.l. Strada Vicinale Ribrocca 6/5 15057 Tortona (AL)
ADV designer Michela Morini grafica@adverum.net dic. ‘12/Gen. ‘13|5
COVER STORY Matteo Branciamore
NON È UN PAESE PEr
giovani 6|dic. ‘12/Gen. ‘13
A
ppassionano milioni di persone, che una volta alla settimana, in orario serale, finiscono per dimenticare i problemi del quotidiano per addentrarsi nei pasticci di altre famiglie. Succede soprattutto per I Cesaroni, fiction nata nel 2006 prendendo ispirazione dalla serie spagnola Los Serrano, e diventata una delle più seguite di tutti i tempi. Merito della trama, semplice ma efficace, e del cast, per lo più composto da attori dalla carriera ormai consolidata come Claudio Amendola, Antonello Fassari, Elena Sofia Ricci e Max Tortora. Ma anche delle “nuove leve”, cercate con cura dalla produzione per scovare facce e temperamenti giusti. Matteo Branciamore, romano classe 1981, ai Cesaroni deve molto: a lui è toccato il ruolo di Marco, figlio di Amendola nella finzione, scelto fra tanti per dare volto e voce ad un ragazzo impacciato, sognatore e romantico. Va da sé: in breve tempo, Matteo diventa una star, con tanto di fan club in rete e migliaia di ragazze pronte a salire sull’altare insieme a lui. Sarà anche merito del suo cognome, che in qualche modo racchiude la parola amore. Ma per Matteo, i Cesaroni è solo un capitolo nella galleria della sua rincorsa al mondo dello spettacolo. Dopo le superiori lascia l’università attirato da un corso di recitazione e inizia a collezionare piccole parti in teatro, in alcune fiction televisive e al cinema: poca cosa, ma chi vuole entrare in quel mondo non trova mai qualcuno a dirti benvenuto, aspettavamo solo te. Il ruolo di Marco gli apre anche le porte verso un mondo che non conosceva: quello della musica. La produzione gli offre l’opportunità di cantare quella che è destinata a diventare la sigla dei Cesaroni e inizia un altro capitolo: qattro dei cinque album composti finora da Branciamore, tutti diventati colonna sonora della fiction, vendono decine di migliaia di copie. Fra una serie e l’altra Matteo trova il tempo di dedicarsi al cinema, interpretando Manolo in “5”, di Francesco Maria Dominedò. Poi, nel 2012, torna ad interpretare Marco nella quinta serie de I Cesaroni, voluta a furor di popolo e terminata da poco.Sul futuro delle vicende della famiglia della Garbatella, quartiere dove Roma è rimasta dei romani, ancora nulla si sa. Ma Matteo non è tipo da restare ad aspettare: da poco
I Cesaroni, la fiction dove interpreta Marco, gli ha dato il successo ed una carriera ancora tutta da scrivere. Ma non chiedetegli di parlare di musica, e nemmeno di meritocrazia di Germano Longo foto di Alessandro Rabboni e GIANLUCA SARAGO’
ha ultimato le riprese di Barabba, miniserie diretta da Roger Young dove interpreta Giuda al fianco di Billy Zane, il celebre cattivo di Titanic. Scusaci la domanda, ma le nostre lettrici non ci perdonerebbero la dimenticanza: gira voce che nella prossima serie dei Cesaroni non ci sarai e in rete migliaia di fans si chiedono cosa ne sarà delle tue storie d’amore… Non so ancora nulla, lo giuro. Credo che l’idea della produzione sia di andare avanti, perché abbiamo chiuso la quinta serie con una media di 5 milioni di share a puntata e non è una cosa che oggi si possa ignorare. Ma non so se gli sceneggiatori sono già al lavoro e se io ci sarò ancora, come d’altra parte non lo sa il resto del cast. Ci racconti come, quando e perché sei stato scelto ne “I Cesaroni”? Facevo centinaia di provini, poi mi è arrivata notizia che Mediaset cercava gente per una nuova fiction e mi sono presentato. Ho superato i primi due, poi mi hanno chiesto di preparare una canzone, perché loro cercavano un giovane attore che sapesse anche cantare. Ho passato le selezioni, ma la mia estate del 2005, per preparami alle riprese, l’ho trascorsa a studiare canto e chitarra. Il resto si sa: ho interpretato, ma purtroppo non scritto, o sarei molto più ricco, la sigla de I Cesaroni (Adesso che ci siete voi, ndr). 5 dic. ‘12/Gen. ‘13|7
Nella fiction sei circondato da grandi professionisti, fra l’altro quasi tutti romani come te: cos’hai imparato da loro? È stata la più grande scuola della mia vita: ogni serie richiede circa nove mesi di riprese e vivi fianco a fianco per tanto tempo con persone che hanno un grande talento. Ogni dritta, suggerimento e indicazione per me è oro, sempre.
arrivare ai più giovani, dove c’è il mio personaggio. Con Alessandra Mastronardi e Ludovico Fremont, quelli con cui avevo più scene, siamo diventati veramente amici e spesso usciamo insieme. Anche con Amendola, che interpreta mio padre, ma in realtà mi trovo benissimo con tutto il cast: è un gruppo fantastico, e credo che traspaia guardando la televisione.
nelle vendite, ma quello è un altro mestiere difficile. In più, qui non siamo in America: se dici che canti e reciti non riescono a capire come inquadrarti. Ma io sono più a mio agio sul set che in sala d’incisione, e mi rendo conto che per andare avanti con la musica dovrei studiare ancora molto e forse non avrei la testa giusta per vivere in tournée.
C’è qualcuno con cui ti sei trovato più in sintonia e che continui a vedere anche lontano dal set? I Cesaroni si articola su tre storie parallele, a cominciare dai grandi, diciamo così, per
E la musica, dove la mettiamo? Bella parentesi oppure sotto sotto si nasconde la voglia di inventarsi un’altra carriera? No, per carità. Io sono un attore, ho cantato in cinque cd che sono anche andati bene
C’è qualche grande attore a cui ti ispiri quando reciti, e qualche grande cantante che invece ammiri quando canti? Vivo di cinema, vedo tanti film e tanti attori straordinari, ma la recitazione per me è
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Quello della musica l’ho appena sfiorato, e non abbastanza da capirne i problemi. In televisione vedo tante cose che non vanno e che non mi spiego: attori che continuano a fare flop e lavorano sempre, ed altri che invece hanno successo ma non li chiama mai nessuno. Eppure nell’ambiente c’è tanto talento, ho dei colleghi di una bravura straordinaria che non hanno mai avuto un’occasione, ed è un peccato. Il problema è il ricambio generazionale, che in Italia non funziona come dovrebbe: non è un paese per giovani, per dirla usando il titolo di un film.
un fatto istintivo, che arriva da dentro. Così sul set finisco sempre per fare di testa mia, senza ispirarmi a nessuno. Lo stesso per la musica, ascolto di tutto, da Jovanotti alla classica, ma per cantare non cerco uno stile a cui aggrapparmi, faccio da me. E invece c’è qualche regista con cui ti piacerebbe lavorare? Perfino troppi. Da Sorrentino a Verdone, ma senza dimenticare Tornatore, Muccino… meglio che smetta, o ne nomino troppi. Ma è più difficile il mondo della musica o quello della televisione?
Roma ti ha dato tutto: famiglia, lavoro, successo. Quali sono le cose che cambieresti della tua città? Tante cose. Roma è una città di straordinaria bellezza, ma chi ci vive sa che è invivibile. Può capitarti di stare fermo in macchina per ore senza sapere il perché: frequentarla provoca stress. A noi puoi dirlo: quanto c’è di simile in te rispetto al ruolo che ti ha dato la notorietà? Ben poco. A parte l’età diversa, Marco ha un modo di fare distante dal mio: è introverso, ed io no. In effetti, la televisione porta la gente a chiedersi se somigli al personaggio, e per questo mi diverto a spiazzare chi mi segue: da poco ho interpretato un broker viscido e attaccato ai soldi in una miniserie (The last day, ndr) e c’è chi è rimasto sorpreso. Ma il più stupito in fondo sono io: faccio l’attore, recito la parte che mi danno che quasi corrisponde al mio carattere, ed è una fortuna: pensate quanti spietati assassini dovrebbero nascondersi fra gli attori, altrimenti… 7
AMICI E COMPAGNI In alto il cast al completo de “I Cesaroni”, fiction di successo trasmessa sulle reti Mediaset. Nell’altra pagina Branciamore (seduto, con i piedi sul tavolino) con gli altri interpreti della miniserie “The last day”, in cui interpreta un broker senza scrupoli. dic. ‘12/Gen. ‘13|9
anniversari 110 anni Harley Davidson
N
on c’era molto da fare a Milwaukee, in Wisconsin, agli inizi del Novecento. Chicago era a quasi 150 km: un’immensità, ma nulla rispetto alla Germania, addirittura dall’altra parte del mare, dove qualcuno aveva appena inventato una strana cosa chiamata motocicletta: due ruote invece di quattro, un motore e null’altro a dividerti dal vento. William Harley e Arthur Davidson, ventenni di Milwaukee alla ricerca di qualcosa da fare per riempire le loro giornate, si
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innamorano subito dell’idea dei tedeschi. Si chiudono in garage e ne escono solo quando hanno messo insieme il loro primo modello. Cinque anni dopo, nel 1906, da quello che ancora oggi è il cuore dell’azienda, in Juneau Avenue, escono 150 esemplari, con previsioni di aumento delle vendite straordinarie. Così tanto da scatenare il mercato: da lì a poco, in America si contano oltre 100 marchi motociclistici diversi, decisi a spartirsi il mercato delle due ruote. La guerra smorza le speranze di tutti, e quando il mondo finisce di darsele, la Harley Davidson entra diretta negli ideali di chi almeno una volta nella vita ha sognato California. Sono gli anni della protesta e della controtendenza, illuminati da film come “Easy Rider”, che inneggia alla libertà, ai cieli azzurri e agli spazi infiniti del
“coast to coast”. Dennis Hopper e Peter Fonda, sui loro chopper Harley Davidson Panhead, sono il giro di boa di un’epoca, e la migliore delle pubblicità per il marchio di Milwaukee. Bella, rombante e coloratissima, la Harley Davidson sostituisce nei sogni di chiunque sia stato bambino il cavallo dei cow boy, insieme a pochi altri oggetti diventa l’interprete del sogno americano, della voglia di viaggiare senza meta e senza fretta. Ma ad infastidire questa storia si mettono di mezzo la crisi finanziaria e quella petrolifera, a cui si aggiunge la concorrenza dei giapponesi, sempre più decisi a dettare legge nel mondo delle moto. La Harley Davidson inizia a perdere pezzi e le vendite calano inesorabilmente, lasciando intravedere la parola fine alla storia dei due amici di Milwaukee. 5
BORN IN THE Stanno per partire le celebrazioni per un nuovo traguardo raggiunto dal marchio motociclistico di Milwaukee. Con una curiosa appendice in programma a Roma
A SPASSO NEL MITO In apertura la super modella Marisa Miller in una foto che rende al meglio l’idea delle moto di Milwaukee. Qui a fianco una scena di “Easy Rider”, film del 1969 che consacrò l’Harley Davidson. Nella pagina seguente, dall’alto un’immagine di “Harley Davidson & Marlboro Man”, Terminator/ Schwarzenegger sulla Fatboy e un raduno di harleysti, popolo coloratissimo.
HARLEY DAVIDSON AL CINEMA
Bisogna aspettare il 1981 perché il marchio, passato prima sotto il controllo della AMF (American Machine and Foundry), torni nelle mani giuste: 13 imprenditori, capitanati da Willie Davidson, discendente dei fondatori, rilevano l’azienda ridandole fiato: nuovo design, nuove tecnologie, nuovi processi industriali. Tutto racchiuso all’interno della Fatboy, celebrata dalle sequenze di Arnold Shwarzenegger in “Terminator”. Era il 1990, e la storia stava ricominciando. Di successo in successo si arriva al 2003, quando la Harley Davidson celebra il suo centenario, organizzando a Milwaukee il più grande raduno della storia. Ma il prossimo anno, è tempo di un nuo-
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vo traguardo: i 110 anni dell’azienda fondata dai due amici nel piccolo garage di Milwaukee. Un evento questa volta globale, che toccherà in egual modo ogni continente e in Europa, avrà a Roma, dal 13 al 16 giugno prossimi, uno dei momenti clou dell’intera operazione. In piazza San Pietro, 1.400 moto scelte attraverso una lotteria saranno benedette dal Santo Padre, che qualche mese fa ha già firmato due serbatoi Harley Davidson finiti al museo di Milwaukee. Ovunque nel mondo, dalla Nuova Zelanda al Messico, non mancheranno raduni, parate, celebrazioni e concerti, con il gran finale fissato nella città del Wisconsin fra il 31 agosto ed il 2 settembre. 7
Non c’è mito, in America, che riesca ad esaltarsi senza passare dalla capitale del cinema. E Harley Davidson non ha mai faticato ad accompagnare storie e vicende, piazzando sui propri sellini i migliori nomi fra le stelle di Hollywood. Oltre ai due chopper di Easy Rider (1969) e la Fatboy di Schwarzenegger in Terminator (1991), resta un culto per gli appassionati Harley Davidson e Marlboro Man (1991), interpretato da Mickey Rourke e Don Jonhson. Bruce Willis scappa dai suoi killer a bordo di un chopper marchiato Harley in Pulp Fiction (1994), così come fa Nicolas Cage in Ghost Rider nel 2007, stesso anno in cui John Travolta, Martin Lawrence, Tim Allen e William H. Macy guidano quattro Harley Davidson in Svalvolati on the road (Wild Hogs). Per finire la piccola carrellata con Fonzie, il duro di Milwaukee nel celebre telefilm Happy Days: basta qualche episodio perché Fonzie abbandoni la Triumph Bonneville per una Harley Davidson Ironhead. Se invece il discorso passa alle passioni personali, non c‘è che l’imbarazzo della scelta: sono passate alla storia le gite di George Clooney sulla sua Harley a spasso per i rami del lago di Como, o quelle di Brad Pitt in California.
l’intervista Cristina Chiabotto
miss IL TITOLO LE MANCA, EPPURE AVREBBE LE CARTE IN REGOLA PER VINCERLO. A TU PER TU CON LA CELEBRE SHOWGIRL RAPITA DALLA TELEVISIONE, MA NON DEL TUTTO di Simona Rapparelli
C
onoscere Cristina Chiabotto è come stare in riva al mare in un giorno d’estate: briosa, frizzante, simpatica e caratterizzata da una semplicità che traspare. E per una persona che fa parte del mondo dello spettacolo non è poco, soprattutto perché non te lo aspetti: ti spiazza con il tono allegro, ti investe di vita che pulsa, veloce ma mai distante. Partiamo da Miss Italia, il tuo trampolino di lancio. Era il 2004 ed ero davvero giovanissima, diciassettenne. Un’esperienza che ha cambiato la mia vita: frequentavo il liceo della Comunicazione a Torino e vivevo con semplicità e naturalezza tutto quello che
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una ragazzina può fare quotidianamente. All’improvviso ho sentito il bisogno di qualcosa di diverso: mi sono svegliata una mattina ed ho deciso di cercare informazioni per iscrivermi al concorso di Miss Italia partendo dal sito ufficiale della manifestazione, praticamente per gioco, perché per andare avanti dovevo inserire dei dati personali, iscrivendomi in automatico. Mi hanno contattata gli organizzatori, Vito Buonfine in particolare che è l’agente regionale Piemonte del concorso, chiamandomi a casa e ovviamente sorprendendomi. Così è iniziata la mia favola, come un gioco: ho vinto inaspettatamente e la mia vita è cambiata, appena diciottenne ho iniziato a fare cose molto belle ed importanti, senza però perdere il mio modo di essere. Mi hai anticipato, alla fine ti avrei chiesto com’è Cristina fuori dal mondo dello spettacolo... Te lo chiedo ora... Sono una persona normale, nel senso che vivo la mia vita con spontaneità. Ci sono riuscita nonostante a volte l’ambiente in cui lavoro sia patinato e ricco di tentazioni.
Devo ringraziare la ricchezza di valori della mia famiglia, elementi che ho fatto miei portandoli anche nella mia nuova vita. Torniamo alle esperienze televisive: Sanremo, Ballando con le Stelle e Le Iene, tre trasmissioni molto diverse tra loro che ti hanno vista ricoprire ruoli differenti... Ho curato i collegamenti con la giuria demoscopica nel 2005, durante il Festival di Sanremo di quell’anno. Era la mia prima esperienza e la ritengo importante perché ho fatto parte del gruppo di lavoro di Paolo Bonolis, il presentatore. “Ballando con le Stelle” lo vedo come il mio reale inizio, ho vinto nel 2006 ed ho potuto finalmente mostrare la mia passione per il ballo, ma soprattutto mi sono fatta notare: il capo-progetto de “Le Iene” mi aveva vista durante le puntate e mi ha contattata. “Le Iene” ha segnato il mio debutto nella conduzione in diretta, un’esperienza strepitosa durante la quale ho potuto vivere la televisione in pieno. Hai lavorato con molti personaggi dello spettacolo: chi ti ha dato molto e chi invece
LA RAGAZZA “PLIN PLIN” Torinese di Moncalieri, classe 1986, trionfa nell’edizione 2004 di Miss Italia, dove è arrivata con la fascia di Miss Piemonte. La reazione è immediata: pubblicità, per cominciare, fra cui quella di un’acqua, che le darà il soprannome di “ragazza plin plin”. La televisione è la tappa successiva: Cristina passa dallo “Zecchino d’Oro” al “Festival di San Remo”, a “Ballando con le stelle”, che vince in coppia con Raimondo Todaro e le dà modo di conoscere Fabio Fulco, l’attore con cui è legata sentimentalmente. “Le Iene” aprono una stagione da protagonista, seguita da “Scherzi a parte”, i “Wind Music Award” e “Look of the year”. Nuova esperienza da quest’anno, in cui Cristina calca le scene teatrali con “Ti ricordi il varietà”, al fianco di Vittorio Gucci.
preferisci considerare meno? Sono stata molto fortunata, ho sempre avuto a che fare con persone giuste e grandi colleghi da cui imparare molto. Certo, poi è normale: può capitare la persona che si confà al tuo modo di essere e instauri subito una grande sintonia lavorativa, oppure ti può accadere il contrario. Io non ho mai vissuto particolari situazioni di tensione: solo con Luca e Paolo (Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, conduttori de “Le Iene” fino al 2011, ndr.) ci sono state un po’ di polemiche. Ma lo dico senza entrare nel merito perché conservo di tutti un ottimo ricordo che mi permette di mantenere gli insegnamenti che mi hanno fatto crescere. A proposito di maturazione e di crescita, come sei cambiata dal 2004 ad oggi? Non è stato un cambiamento ma una maturazione. La crescita è stata personale: in otto anni ho fatto moltissimo con ritmi frenetici, macinando tanta esperienza che mi ha permesso di avere sempre una testa un po’ più grande rispetto alla mia età anagrafica. Tra la radio e la tv, quale delle due? Oggi sono al mio secondo anno di Radio Kiss Kiss, con la trasmissione “Pronto Chi Sei?” ogni mattina dalle 7.00 alle 10.00: sono due mondi paralleli ma troppo diversi, legati forse dalla possibilità di raggiungere tante persone. La radio è immediatezza e contatto diretto con il pubblico, con la tv c’è più filtro, copioni scritti e registrazione. Com’è il tuo rapporto con il pubblico? È fondamentale, ma devo fare una precisazione: non mi piacciono i finti complimenti, preferisco incontrare persone sincere che mi dimostrano affetto. 7
SPECIALE SCUOLE/1 Gli Open Day
PIACERE, SONO LA TUA PROSSIMA
SCUOLA ENTRARE, GUARDARE, CAPIRE, VALUTARE: NON ESISTE ISTITUTO CHE RESISTA ALLA TENTAZIONE DI MOSTRARE DI COSA È CAPACE. PER TROVARE NUOVI ALUNNI, MA SOPRATTUTTO PERCHÉ SI TRATTA DI SCELTE IMPORTANTI, CHE AFFONDANO LE RADICI DIRETTAMENTE NEL FUTURO DI OGNI GIOVANE di Daniela Capone
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I
l senso dell’operazione è racchiuso in due semplici parole: Open Day. Un po’ poche, soprattutto perché devono bastare per illustrare e comunicare una mole notevole di informazioni a tutti, anche a chi con l’inglese non ci va d’accordo. Organizzati ormai a macchia d’olio in qualsiasi istituto della penisola, gli open day rappresentano le giornate in cui le scuole si presentano, aprono le proprie porte al mondo esterno per mostrarsi. Un passo reso necessario dalla necessità di conquistare nuovi alunni e fidelizzare chi invece già le frequenta. Ma per tutti, indistintamente, l’open day equivale ad un giorno di festa della (e non dalla) scuola, che offre la possibilità anche agli esterni di partecipare a varie iniziative, comprese microlezioni, e soprattutto mette in mostra aule, laboratori, attrezzature e palestre, ma anche chi della scuola tira le fila: dirigenti, insegnanti e studenti. 5
Giornate orientative quindi, che aiutano i ragazzi a prendere una decisione riguardo al loro futuro scolastico. Sì, perché orientare in questo caso significa dirigere, mostrare a chi le sta cercando le varie direzioni possibili, lasciando ad ognuno la possibilità di decidere quale sarà il primo mattoncino su cui costruire il proprio futuro. Magari, perché no, lasciandosi conquistare dall’aria seria a simpatica di una scuola che vista da fuori sembrava triste e invece dentro racchiude un percorso scolastico interessante. Tutto questo è il condimento di giornate piene di colloqui, incontri, confronti
e valutazioni. Poiché saper scegliere la direzione da seguire è molto importante, in fondo a qualsiasi età. E ancor di più quando si è giovani e la scelta della scuola spesso diventa una decisione di importanza fondamentale che può portare in dote anche un po’ sofferenza, poiché capita che per seguire le proprie ambizioni sia necessario separarsi da amici e compagni. Ma è un passo così importante da non potersi permettere sentimentalismi: ne va di mezzo la vita intera. Però, siccome a tutto c’è rimedio, se all’interno del nuovo ambiente si respira un’aria “amica”, il passo diventerà più facile. Durante gli open day sono molte le informazioni che genitori e studenti acquisiscono, grazie alle quali ci si può rendere meglio conto di quale indirizzo seguire, capire i possibili sbocchi lavorativi, cogliere i piani di studio e visualizzare anche le difficoltà. Ma soprattutto valutare e toccare con mano la scuola e tutti quegli spazi che messi insieme serviranno a creare la preparazione, dettaglio indicativo anche per i genitori che vivranno in prima persona l’educazione scolastica. Un ultimo pensiero per i docenti, le vere anime degli open day, la risposta a qualsiasi richiesta, i “ciceroni” attraverso cui capire i meccanismi di ogni scuola. 7
SPECIALE SCUOLA/2 L’orientamento
LA STRADA
giusta SCEGLIERE PER COSTRUIRE IL FUTURO: È QUESTO L’IMPERATIVO A CUI OGGI SI ATTIENE LA SCUOLA. COME CAMBIANO I CRITERI, I DOCENTI E LE ESIGENZE DEI GIOVANI
20|dic. ‘12/Gen. ‘13
E
ra la famiglia, un tempo, il fulcro di ogni scelta e decisione: dal proprio nucleo di origine i giovani capivano la loro strada, che spesso ricalcava quella dei genitori, lasciando poco spazio alla fantasia. Qualcosa inizia a cambiare con la rivoluzione industriale, che porta mutazioni a livello sociale e delinea nuove professioni, ridimensionando anche il ruolo della famiglia, per trasformare l’orientamento da fatto privato ad una questione sempre più collettiva. Partono le teorie e gli studi, spuntano i primi percorsi e si fa strada l’idea che ogni individuo, al di là del proprio contesto di origine, può avere talenti, aspirazioni, attitudini e interessi diversi da quelli di papà e mamma. È la scuola, di comune accordo con il mondo del lavoro, uno dei settori dove l’orientamento ha richiesto più sforzi e più attenzioni. Perché tutto parte da lì, e alla base non c’è solo e semplicemente la necessità sancita dalla legge di iscriversi ad una scuola, frequentare e arrivare in qualche modo alla fine del percorso, ma qualcosa di più profondo, che
GLI ITALIANI DI DOMANI Nell’età più critica e delicata, i giovani si trovano a dover fare scelte importantissime e fondamentali. Individuare la scuola esatta è un imperativo da cui spesso dipende buona parte del futuro.
realmente avrà ripercussioni sul futuro di ogni ragazzo. Di mezzo c’è l’età evolutiva, per molti versi dominata dall’incertezza, che spesso non permette ancora la maturità di saper guardare oltre, di spingere lo sguardo più in là del proprio presente e immaginare il domani. Per questo, l’orientamento scolastico si propone da un lato la crescita e la maturazione dell’individuo, ma dall’altro la necessità di attrezzare ogni ragazzo per affrontare i primi bivi a cui la vita obbliga chiunque stia al mondo. Saper scegliere in modo consapevole è l’imperativo, ma per arrivarci serve un percorso disseminato di concetti culturali e metodologici creato dagli insegnanti che superi l’idea un po’ restrittiva di insegnamento per approdare ad un più rassicurante idea di collaborazione. E la famiglia, è totalmente tagliata fuori? Per nulla. Non esiste percorso scolastico che non richieda l’appoggio dei genitori, l’incoraggiamento e lo scambio continuo di informazioni e suggerimenti fra casa e scuola, e viceversa. Ma è ovvio che buona parte dell’orientamento futuro di ogni giovane, secondo le teorie più recenti, avvenga fra le mura scolastiche. I docenti del nuovo millennio sono ormai distanti anni luce dalla figura della tenera maestrina dalla penna rossa pennellata da De Amicis in “Cuore”: oggi vantano preparazioni che devono includere anche una buona dose di psicologia ed essere pronti a diventare di volta in volta sperimentatori, tutor e mentori di ogni alunno. Non più semplici addetti alla cultura, che danno voti e interrogano, ma mediatori fra il mondo esterno e le energie dei più giovani, da guidare fra i paletti e i trabocchetti della crescita. Da un lato il sapere, quindi, la conoscenza, lo studio e la cultura, fra le poche cose concesse dalla vita a rendere liberi, ma dall’altro occasioni come stage, progetti, laboratori e opportunità: tutto serve per far scattare la molla all’interno di un giovane in cerca della propria strada, e costruire gli italiani di domani. 7
SPECIALE SAPORI ITALIANI
Ebbene sì, celebriamo quello che il mondo ci invidia: il cibo, visto in ogni sua forma, colore, declinazione, sapore ed esposizione. Perché solo noi sappiamo mangiare, ma anche mostrare, incuriosire e farci invidiare ciò che finisce sulle nostre tavole.
24|dic. ‘12/Gen. ‘13
piccolo mondo
buono
C
’è un gusto sottile, a sentirsi italiani quando si è all’estero. Perfino maggiore di quel senso di appartenenza che ogni italiano conserva nell’animo, quando invece si aggira per le strade del nostro paese. Perché dove arrivano gli italiani, per gli altri inizia la festa: significa cibo buono, moda, stile, fantasia, arte. In fondo, i nostri vicini europei lo sanno, gli italiani li riconosci da lontano: sono quelli che un tempo sbarcavano con le valigie di cartone e dentro il pecorino, ma con il tempo si sono raffinati: gesticolano più degli altri, parlano a voce alta, ma non sbagliano un accostamento di colore nemmeno se li ammazzi, ed il pecorino, alla fine, ce lo invidiano. Dettagli di vita di cui siamo maestri fin dalla notte dei tempi, artefici di una sapienza che si perpetua da secoli, fino a eleggere il nostro stivale come la patria assoluta del buon vivere. Ovunque nel mondo, i ristoranti italiani sono i più affollati, e quando qualcuno decide di trattarsi bene, di abbandonarsi ai piacersi della gola, non c’è altra scelta che prenotare in un ristorante italiano, lasciandosi trastullare fra specialità irripetibili, specie per chi solitamente mangia in modo triste, mentre per noi – con le uniche eccezioni imposte dalle diete – sono pura normalità. Certo, qui il discorso potrebbe prendere strade diverse, nel senso che spesso – più di quanto si creda – nei ristoranti italiani all’estero di italiano c’è ben poco, le ricette sono quelle dei trisnonni che da noi non mangia più nessuno, che gli accostamenti sono sovente pennellati sui gusti (per noi più barbari), di chi è convinto di mangiare italiano, ma da queste parti non ci è mai stato, oppure si alzerebbe inorridito. Capita. In un mondo che clona e copia di tutto, anche la cucina del Bel Paese è scimmiottata alla
meno peggio, con risultati spesso orripilanti. E in fondo, poco ci importa anche della diatriba con i cinesi, convinti di aver inventato loro la pasta: si accomodino, tanto noi la facciamo meglio. E in più, proprio la pasta rappresenta uno dei biglietti da visita più riusciti del nostro paese: ogni anno, fra lunga, corta e ripiena ne produciamo quasi tre milioni di tonnellate, ne consumiamo un milione e mezzo - sempre di tonnellate - ovvero 28 kg a testa, e ne esportiamo un milione e trecento mila. Altri discorsi, che abbiamo scelto di sfiorare appena, preferendo dedicare queste pagine ad una sorta di celebrazione del gusto italiano, delle eccellenze che rendono lo stivale marchiato con il Tricolore l’epicentro di ogni tendenza gastronomica mondiale. Un doveroso omaggio, infarcito di curiosità spesso sconosciute anche a chi da queste parti ci abita, compresa una piccola selezione dei più significativi musei dedicati a qualche italico prodotto alimentare. Un omaggio, dicevamo, perché se continuiamo a sentirci orgogliosi di essere italiani, molto lo si deve proprio a chi, nel chiuso di una cantina o nel freddo pungente di una cascina, continua imperterrito a portare avanti il lavoro dei padri, passato ai figli come probabilmente lo sarà ai nipoti, fino a trasformarlo in qualcosa che tutti ci invidiano: il sapore vero dell’Italia. 7
SPECIALE SAPORI ITALIANI
I MUSEI DEL
CIBO
Per gli altri sono semplicemente roba da mangiare, per noi patrimonio, passato, cultura. Una piccola selezione fra alcuni dei più curiosi musei dedicati a ingredienti fondamentali della nostra tradizione gastronomica: per organizzare una visita, e perché no, un assaggio.
MUSEO DEL PROSCIUTTO DI PARMA
Otto sezioni, per un ideale percorso che parte dal maiale e arriva alla salumeria, passando attraverso le antiche norcerie per approdare alle più moderne tecniche di lavorazione del prosciutto crudo, ma anche uno spaccato nell’evoluzione delle razze suine e sull’uso del sale. Il museo, ospitato nell’ex Foro Boario di Langhirano, cittadina considerata la “porta” d’ingresso della vallata, raccoglie documenti, materiali, foto e video, e organizza laboratori. Per fortuna non manca, alla fine del percorso, l’area assaggi. c/o ex Foro Boario - Via Bocchialini, 7 Langhirano (Parma) - Tel. 0521/864324 e-mail: prenotazioni.prosciutto@museidelcibo.it
MUSEO DELLA FRUTTA Tutto nasce da una collezione che risale all’Ottocento, messa insieme da Francesco Garnier Valletti, artista e scienziato di grande cultura, che cominciò a raccogliere, catalogare e riprodurre in forma plastica oltre un migliaio di mele, pere, susine, uva, albicocche, fichi, pesche e quant’altro appartenga all’universo colorato e saporito della frutta. Il museo è completato dalla fedele ricostruzione di laboratori d’analisi ottocenteschi e di una stazione di chimica agraria. Con il tempo, e le nuove prospettive dell’alimentazione, l’esposizione si è trasformata in uno spaccato attualissimo sulla biodiversità. Via Pietro Giuria, 15 Torino www.museodellafrutta.it
28|dic. ‘12/Gen. ‘13
MUSEO DEL POMODORO Pare sia arrivato in Italia intorno al XVIII secolo, trasportato dagli spagnoli che a loro volta l’avevano trovato in Messico, restando folgoranti di fronte tanta polpa colorata e gustosa. Ma è proprio qui, in Italia, che il pomodoro ha trovato il destino che meritava, trasformandosi nel monarca assoluto della nostra cucina. Il museo che lo celebra, ospitato dalla Corte di Giarola, tra i comuni di Collecchio e Ozzano Taro, in provincia di Parma, ha solo due anni di vita, ma non per questo tralascia qualcosa: storia, sviluppo, botanica, industria, tecniche di conservazione e imballaggio, ricette e cultura, intesa come pubblicità, citazioni, foto e dipinti dedicati al pomodoro. Strada Giarola, 11 - Collecchio (Parma) Tel. 333/2362839 www.museidelcibo.it
MUSEO DELLA PASTA Undici sale per otto secoli di storia, sufficienti a raccontare uno dei massimi orgogli italiani: la pasta. E per di più, quasi a sottolinearne l’importanza, ospitato all’interno di un palazzo d’epoca a pochi passi dal Quirinale e ad una manciata di metri da un altro patrimonio di Roma come la Fontana di Trevi. La carrellata museale attraversa tecniche e materiali, ma anche informazioni nutrizionali e una sorta di galleria d’arte dove la pasta è celebrata in dipinti, fotografie e film. Uno per tutti? L’insuperato Alberto Sordi, alias Nando Meliconi di “Un americano a Roma”, nella famosa scena in cui sfida un piatto di “maccaroni”. Piazza Scanderebech, 117 - Roma Tel. 06/6991109 www.museodellapasta.it
MUSEO DEL MAIALE Oltre 1000 mq di esposizione, divisi su 6 aree e 3 livelli, per raccontare e rendere omaggio ad uno dei protagonisti della storia gastronomica italiana. Aperto nel 2009 per volontà del piccolo comune di Carpineto Sinello, 800 anime in provincia di Chieti, il museo racconta l’antica cultura contadina e la lavorazione dell’unico animale di cui, secondo una leggenda popolare verissima, non si butta via niente. L’esposizione racconta il maiale in tutti i suoi aspetti, dalla storia in epoca romana ai giorni nostri, dall’allevamento al commercio, dall’arte salumiera ad un’area didattica, per far apprezzare la simpatica figura del maiale ai più piccoli. Irresistibile l’angolo finale dedicato alle degustazioni. Via Castello - Carpineto Sinello (Chieti) Tel. 0872/869135
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MUSEO DEL PANE Immancabile sulle tavole italiane, disposto a cambiare forma e nome addirittura fra città vicine, il pane è celebrato in un’esposizione nata nel 1983 per volontà della Fondazione Morando Bolognini. Cinque le sale: la prima dedicata ai cereali, la seconda, più didattica, mostra attrezzi di varie epoche e illustra il percorso che compie il cereale per trasformarsi in alimento (grano, farina, pane), la terza raccoglie oltre
500 forme diverse di pane, italiane e straniere, per finire con lo spazio che ospita impastatrici, attrezzi dei fornai, banchi da lavoro e la ricostruzione di un antico forno di paese. Curiosa anche la sezione dedicata alle tasse che nei secoli hanno gravato sul pane, spesso scatenando le sommosse popolari. Perché sul pane non si scherza. Piazza Bolognini, 2 Sant’Angelo Lodigiano (Lodi) www.castellobolognini.it/pane
GHIOTTE CURIOSITà NIGELLA LOVES ITALY È considerata la foodwriter più sexy del pianeta, ed ogni suo libro (finora ne ha scritti 10, conducendo 14 diversi programmi televisivi), diventa immediatamente un successo. Londinese, classe 1960, nella sua ultima fatica libraria Nigella Lawson ha scelto proprio l’Italia, ammettendo essere stata sedotta (ma non abbandonata) dai gusti made in Italì. Il libro, Nigellissima, raccoglie oltre 100 ricette prelevate dalle tradizioni gastronomiche italiane, da nord a sud, toccando tutto: primi, secondi e dolci.
PIZZA MANIA La passione per la pizza non conosce confini e in fondo dimensioni. Fra le stranezze da Guinness dei Primati spicca l’appetitosa pizza più grande del mondo, realizzata nel 1990 a Johannesburg, in Sudafrica, usando 500 kg di farina, 800 di formaggio e 900 di pomodoro, per creare una margheritona da 37 metri di diametro. Per tacere sulla pizza Royale 007, creata a New York e in vendita a 3 mila dollari, o la Louis XIII di Parigi, in vendita a 8.300 euro e sufficiente per due persone. Un bel risparmio.
GRANA PADANO D’AUTORE Sono 28, i grandi chef chiamati ad interpretare il Grana Padano per Taglio Sartoriale, inedito ricettario dedicato all’uso in cucina del formaggio Dop più consumato nel mondo, prodotto ogni anno in 5 milioni di forme. Voluto dal Consorzio del Grana Padano, Taglio Sartoriale ha richiamato 28 nomi eccellenti, fra cui Davide Oldani, Carlo Cracco e Andrea Provenzani intorno alle varie stagionature del Grana Padano, lasciandoli liberi di creare intorno al re dei formaggi italiani. Il risultato? Tortelli di cipolla e infuso di Grana Padano con carpaccio di seppia, Biscotto di Grana Padano con sfoglia d’uovo al nero di seppia, Passatelli di Grana Padano con orata e canoce alle clementine e asparagi.
FUOCO IN BOTTIGLIA È roba da intenditori, tanto è vero che vanta addirittura un club di irriducibili appassionati. Miracoli del Buttafuoco, vino DOC dell’Oltrepo’ Pavese dal carattere imperioso che si ottiene da vitigni Bonarda e Barbera e si attiene a protocollo rigidissimi: ogni bottiglia si può stappare solo dopo l’otto novembre del terzo anno successivo alla vendemmia.
SAN FORMAGGIO Anche i formaggiai hanno un santo a cui votarsi. Si tratta di San Lucio martire, al secolo Lucio di Cavargna, pastore vissuto di cui non esistono date certe riguardo a nascita e morte. La sua abitudine a regalare ai poveri il formaggio che il padrone gli regalava, gli fece guadagnare il titolo di protettore di casari, pastori e poveri in genere. Si festeggia il 12 luglio.
OLIO DA PODIO Secondo il parere della Guida Flos Olei, giunta alla quarta edizione e redatta da Marco Oreggia e Laura Marinelli, il miglior olio extravergine dell’anno è quello prodotto in Puglia dall’azienda agricola De Carlo, anche se all’interno della guida (che racchiude 488 aziende e 700 etichette provenienti da 45 paesi) non mancano riconoscimenti agli oli più celebrati di regioni come Toscana, Lazio, Umbria e Campania. Nota a margine il plauso all’olio prodotto dall’azienda Rangihoua Estate di Auckland, in Nuova Zelanda.
LA QUOTA ROSA DEL ROSSO Il suo nome è quasi un gioco di parola: Gaia Gaja, ma sul vino non scherza per niente. Anzi, secondo l’autorevole rivista inglese The Drinks Business è proprio lei, al 18° posto della classifica assoluta, la donna più influente dell’ambiente vinicolo italiano. Figlia d’arte, Gaia ha 33 anni, e dopo gli studi in California oggi dirige un impero che vale 350 mila bottiglie all’anno. Dietro di lei un’altra rampolla di una grande dinastia: Albiera Antinori, mentre il primo posto è occupato da Gina Gallo, erede dell’omonima famiglia di produttori americani che ogni anno produce 75 milioni di casse.
food Il frietmuseum
siamo
fritti L INCLUSA NELLA LISTA DEI MUSEI PIÙ STRANI DEL MONDO, UNA COLLEZIONE UNICA OSPITATA IN BELGIO, RACCONTA L’EPOPEA DEL TUBERO PIÙ DIFFUSO DEL PIANETA
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a disputa sulla paternità della patatina fritta è in corso da secoli: da una parte i belgi, che si proclamano inventori unici seguendo un manoscritto del 1781 in cui si raccontano le abitudini alimentari dei Valloni, che d’estate friggevano i piccoli pesci pescati nella Mosa e d’inverno, quando questi scarseggiavano, mettavno in padella le patate. Dall’altra i francesi, che replicano sfoderando un documento risalente al 1789, quando l’agro-
nomo Antoine Parmentier individua nella patata il vegetale che meglio si prestava a nutrire la popolazione in caso di carestia. Certo, con tutti i problemi irrisolti che abbiamo in Europa, quello del tubero passa un po’ in secondo piano, soprattutto perché la patatina fritta nel frattempo è diventata un patrimonio dell’umanità, diffusa ovunque anche se con piccole varianti riguardo a misura e taglio. Ma i belgi insistono, e pur di difendere il loro piatto nazionale non mollano: nel 2008, a Bruges, deliziosa cittadina medievale, la famiglia Van Belle crea il “Frietmuseum”, il museo della patatina fritta, ospitato nella Saaihalle, uno degli edifici più antichi della città. Una collezione, di recente inclusa nell’elenco dei musei più bizzarri del mondo, in cui in poche stanze si scorre la storia della patata, compresa una disquisizione scientifica sulle proprietà organolettiche di questo tubero umile, poco fotogenico e povero, e di tutti i passaggi che nei secoli hanno creato il mito: dalle tecniche di coltivazione a oltre 400 macchinari, inframezzati da foto e opere d’arte. Lo scorso anno, il “Frietmuseum” ha fatto registrare 70 mila visitatori: la patata tira sempre, non c’è niente da fare. 7
Tradizioni I Patrimoni Immateriali dell’Unesco
SALVIAMO IL SALVA BILE STRANEZZE E CURIOSITÀ DA UN SERISSIMO ELENCO DI TRADIZIONI MONDIALI: DAI PUB ALLE TORRI UMANE
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È
proprio l’Italia, con 47 siti, a guidare l’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco, convenzione che dal 1972 si occupa di preservare, salvare e tramandare i più straordinari reperti archeologici e luoghi naturali del mondo. Un po’ meno conosciuto, ma ugualmente importante, è invece un altro elenco, curato sempre dall’Unesco, che questa volta ha scelto di concentrarsi sui patrimoni culturali e immateriali dell’umanità. Ovvero, per essere chiari, tradizioni, usanze, costumi e dialetti, tramandati attraverso i millenni e per questo privi di documentazioni scritte, o tangibili, appunto. Il primo elenco, che includeva appena 19 voci, risale al 2001, ma già due anni dopo diventano 28 ed oggi la lista continua a crescere, in modo incessante, sfiorando
le 300 presenze. Secondo il regolamento, la tradizione da preservare è indicata dal paese, che ne fa formale richiesta, e dopo un’attenta analisi un comitato scientifico decide per l’affiliazione o meno. All’interno dell’elenco si trova davvero un po’ di tutto, dagli ideogrammi cinesi alle danze tribali di popolazioni che ancora oggi
C’È ANCHE LA PASTA In apertura una delle impressionanti torri umane di Tarragona e qui a fianco un pastore delle Canarie impegnato nel “Silbo Gomero”. Nelle altre foto un piatto di pasta, in rappresentanza della dieta mediterranea ed un gruppo di cantori sardi: due delle tradizioni che ci riguardano salvaguardate dall’elenco dell’Unesco.
preferiscono le foreste alla civilizzazione, ma anche qualche buffa curiosità, che sembra essere inclusa per sottolineare ancora una volta che il mondo continua ad essere bello, ma anche piuttosto strano. Il Geledé, ad esempio, è la più nota festività del popolo Yoruba, che abita alcune zone di Benin, Nigeria e Togo. La festa celebra l’importanza della donna, la saggezza femminile delle anziane e delle madri, e cosa c’è di meglio – dev’essersi chiesto qualcuno qualche migliaio di anni fa – che vestirsi proprio da donna? Così, il giorno del Geledé, tutti gli uomini indossano abiti, copricapi e gioielli femminili, e da lì in poi danzano e cantano per un giorno intero. Più maschia l’usanza turca del Kirkpinar, una lotta in cui i partecipanti, prima di iniziare a menarsi, si cospargono di olio d’oliva. Non sono da meno le torri di Castells, in Catalogna: l’evento, in scena ogni due anni
a Tarragona, raduna da tutta la zona torri di altezza variabile (possono arrivare a 9 piani) composte esclusivamente da materiale umano: vince chi arriva più in alto, possibilmente senza sfracellarsi al suolo. Da citare anche il Silbo Gomero, curioso linguaggio composto da fischi e suoni in uso nelle isole Canarie: l’usanza, oggi studiata nelle scuole, si è sviluppata per vincere gole e vallate, quando ancora non c’erano cabine e cellulari. Fra le ultime richieste pervenute all’Unesco quella della Kingston University, che ha chiesto di includere nell’elenco i pub inglesi. A causa della crisi, che anche da quelle parti picchia forte, pare che ne chiudano una media di 50 ogni settimana: di questo passo sarà più facile incrociare per strada una foca monaca che un pub aperto. 7
dic. ‘12/Gen. ‘13|37
design Micasa Lab
…PER PICCINA
QUANDO LA TECNOLOGIA SI UNISCE ALLA FANTASIA È PIÙ SEMPLICE SUPERARE I CONFINI DELLA QUOTIDIANITÀ: DA UN’AZIENDA SVIZZERA, TRE PROPOSTE FUTURIBILI
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CHE TU SIA
C
i voleva il pragmatismo degli svizzeri, per aprire nuovi confini al concetto di arredamento. A Zurigo, fra i cervelli del brand Micasa, da qualche anno ha preso il via il Lab, vero dipartimento e fucina di idee nato per sperimentare e accoppiare materiali, design e funzionalità, tre tasselli fondamentali quando l’intenzione è quella di scrivere nuovi capitoli nella storia dell’interior design. Di recente, dal laboratorio delle idee svizzero è uscito il primo ventaglio di proposte: qualche pezzo appena, che però racchiude una profonda ricerca ed un gusto davvero personale nella scelta di tinte e forme inusuali. Ha un sapore futurista, da colonia spaziale, la bolla da relax ribattezzata Cocoon 1. L’idea portante è il bisogno, sempre più sentito, di appartarsi dalla confusione quotidiana, ma anche l’ancestrale ricordo piacevole del grembo materno, protettivo e caldo, che chiunque sia al mondo conserva nell’anima, forse senza saperlo. Cocoon 1 è una “bolla” trasparente con 1,80 metri di diametro dotata di cuscini coloratissimi che si può sistemare appesa al soffitto, in casa o fuori, in giardino.
Dotata di wi-fi e di un alimentatore elettrico che assicura 40 ore di luce (in optional c’è anche un angolino cottura), all’in-
terno di Cocoon 1 si può leggere, dormire, pensare, riposarsi o semplicemente guardare lo scorrere incessante del mondo dal proprio bozzolo personale. iRock è invece il nome della prima sedia a dondolo del nuovo millennio. Il design della sedia, in legno svedese laccato bianco, è volutamente retrò, ma nasconde una tecnologia sorprendente: è sufficiente dondolarsi per ricaricare il proprio iPhone o iPad, da appoggiare sull’apposito braccio ergonomico, magari ascoltando della musica attraverso le due casse integrate nella zona del poggiatesta. Un’ora di dondolamento pare assicuri fino al 35% di ricarica. Per finire in bellezza con Teteatete, tavolo multifunzionale in plastica con cui, in un futuro prossimo, i nipoti dei nostri nipoti organizzeranno i loro pic-nic, sempre che per allora sia rimasto qualche prato disponibile. In blocco unico, al peso di 35 kg complessivi, Teteatete racchiude due sedie e tavolo con piatti, bicchieri e candelabro estraibili. 7
UNA CASA PER AMICA In apertura Cocoon 1, la sfera della tranquillità che può essere sistemata ovunque. In questa pagina la sedia a dondolo iRock, con tecnologie sofisticate, ed il tavolo da pic nic Teteatete.
eventi Penelope Cruz 2013
p
La bella attrice spagnola ironizza sulle credenze popolari piĂš diffuse, dimostrando che la vita va presa con leggerezza e ironia 40|dic. ‘12/Gen. ‘13
L
o scorso anno a tenere banco erano state le profezie nefaste dei Maya, che già solo per il fatto di essere qui a parlarne, significa che erano quantomeno inesatte. Così, per l’anno nuovo, quelli della Campari ci hanno preso gusto, pensando per i prossimi 12 mesi di sfatare una volta per tutte il numero “13”, altro mito che secondo quanto si crede in buona parte del mondo, porta in dote sventure assortite solo a pronunciarlo. Eppure, guardando i 12 scatti che compongono il calendario, è davvero difficile pensare male, esattamente come un anno fa lo era stato ammirando la modella/attrice Milla Jovovich alle prese con maree, vulcani e glaciazioni
non ho
paura
che per fortuna di tutti non ci sono state. Il merito di rinnovare la speranza all’umanità questa volta è toccato a Penelope Cruz, attrice spagnola celebrata da un Oscar nel 2009 per l’interpretazione in “Vicky Cristina Barcelona” di Woody Allen. Versatile, eclettica e per nulla intimorita dai ruoli difficili, la Cruz – tornata di recente nelle sale con “Venuto al mondo” di Sergio Castellitto - ha dato vita, davanti all’obiettivo di Kristian Schuller, noto fotografo di moda, ad un ampio catalogo di superstizioni: dai gatti neri agli specchi in frantumi, dal camminare sotto le scale all’aprire gli ombrelli al chiuso. Un modo, secondo quanto dichiarato dai vertici della Campari, multinazionale del settore beverage con rapporti commerciali in quasi duecento paesi del mondo, per esorcizzare le paure e mostrare come qualsiasi difficoltà possa essere superata, mandando in soffitta le facili credenze che abbinano a semplici azioni quotidiane il potere inesistente di generare sfortune. A muovere le forme sinuose di Penelope una collezione di abiti rigorosamente di colore rosso, firmati da case di moda come Monique Lhuillier, Zac Posen, Vivienne Westwood ed Emilio Pucci, impreziositi dai gioielli Chopard e le scarpe di Ferragamo. Giunto alla quattordicesima edizione, il calendario Campari è stato interpretato, gli anni scorsi, da stelle assolute della cinematografia mondiale come Salma Hayek, Eva Mendes, Jessica Alba e la già citata Milla Jovovich. Stampato come di consuetudine in sole 9.999 copie, il calendario è un oggetto da collezione non in vendita, distribuito – così si legge nelle note ufficiali – a pochi fortunati fan del marchio Campari in tutto il mondo. 7
il personaggio Chris Lemmon
LA STORIA DEL FIGLIO DI UNO DEI PIÙ GRANDI ATTORI DI HOLLYWOOD, CHE HA DA POCO MESSO IN SCENA I SUOI RICORDI. PER VINCERE IL DOLORE E CREARE UN’ALTRA “STRANA COPPIA”
A IN VIAGGIO CON PAPÀ Chris con suo padre Jack al pianoforte: un momento di intimità fra la stella del cinema ed il suo bimbo. 42|dic. ‘12/Gen. ‘13
lcuni anni dopo la morte di suo padre Jack, l’attore e autore Chris Lemmon (sua madre era Cynthia Stone, attrice della TV) ha deciso di raccogliere in un volume le memorie di una vita passata al fianco di un’icona del grande schermo: un celebre genitore con il quale ha voluto e saputo confrontarsi. Il libro, intitolato “Twist of Lemmon”, pubblicato con la prefazione di Kevin Spacey, è diventato ora uno spettacolo teatrale scritto dallo stesso Chris, che sta girando vari palcoscenici, per raccontare e raccontarsi in una girandola di ricordi, note (da lui stesso suonate al pianoforte) risate ed emozioni. Entrambi i tuoi genitori erano attori. Tu hai cominciato come pianista classico, poi… Per la maggior parte della mia vita ho provato a diventare tutto fuorché un attore, spaventato com’ero di seguire le orme di mio padre. E comunque ero ben lontano anche dall’essere un pianista. Ma alla fine, recitare fu inevitabile. Cominciai
di Tommaso Montagna
a lavorare a 21 anni per pagarmi le bollette e continuai. Cosa ti ha spinto a scrivere il libro? “Twist of Lemmon” è stata una esperienza catartica dopo la perdita di mio padre. Jack non fu solo un genitore, ma anche il mio migliore amico. La sua scomparsa fu devastante. Trovai rincuorante mettere nero su bianco i nostri ricordi e solo dopo decisi di pubblicarli, perché sentivo di avere una storia abbastanza valida da raccontare e, cosa più importante, un tributo ad un uomo straordinario. Nel tuo show si ritrovano le atmosfere degli anni ’60. Quanto sono importanti i ricordi nella tua vita? Ottima domanda. I ricordi sono il motivo per cui ho cominciato a scrivere “Twist of Lemmon”, sono doni che riceviamo durante la vita. In parte gli anni ’60 fanno da sfondo al mio libro, dove si tocca il tema della perdita dell’innocenza, anche collegata alla realtà in cui viviamo. Una sezione dello show è dedicata agli anni ’60, decennio particolare, piazzato tra gli innocenti ’50 e i tumultuosi ’70. A proposito di ricordi, da piccolo hai sicuramente seguito tuo padre sul set… Gli facevo sempre visite a sorpresa e nel mio libro ho ricordato le più divertenti. La mia preferita è quella sul set de “La Grande corsa” (1965, ndr.). Blake Edwards, il regista, aveva dato a tutti gli attori dei golf
cart, addobbati in modo che assomigliassero alle macchine che usavano nel film ed ogni giorno a pranzo li guidavano per tornare al bar, gareggiando, tagliandosi la strada e facendo evoluzioni, proprio come succedeva nella pellicola. Che ricordi… Cosa ha significato per te recitare al fianco di tuo padre? Mio padre ed io ci somigliavamo molto e ci muovevamo più o meno allo stesso modo, quindi era chiaro fossimo imparentati. Dal momento che non si può essere sempre padre e figlio sulla scena, lavorammo insieme una volta soltanto. Era una commedia famigliare, scritta e diretta da Blake Edwards (Così è la vita, 1986, ndr.). Esperienze che ti hanno portato a fondare, nel 1993, una casa di produzione attraverso la quale puoi lavorare accanto a Charlie Matthau, il figlio dell’altra metà della “strana coppia”. La vostra ultima fatica è “Pubblicity Stunt” che vede Gene Hackman tra i protagonisti… Ho creato la Stone Manor Productions insieme a mia moglie e sono fiero della qualità che abbiamo raggiunto, anche se guardiamo sempre al futuro. Mio padre una volta mi disse “Se riesci ad arrivare al cuore anche solo di una persona, vorrà dire che hai fatto bene il tuo lavoro”. Ora questo è il mio credo e faccio del mio meglio ogni giorno per mantenere fede. Per quanto riguarda Charlie, sono emozionato
di lavorare con lui. “Pubblicity stunt” è una pellicola scritta da me: un omaggio alle commedie del passato e ai grandi attori che ancora sono con noi. Un ricordo incancellabile di tuo padre… Non posso dimenticare il torneo di Golf a Pebble Beach. Per 35 anni mio padre ha partecipato con un solo scopo: passare il taglio, ovvero l’esclusione dei peggiori in classifica. Non gli importava vincere. Ci ha provato per 35 anni e non è mai riuscito, ma non smise mai di tentare. Era un gentiluomo generoso, che affrontava la vita con umiltà e dignità vere. Era semplicemente Jack Lemmon. 7
CINEMA Quartet
l’età dell’ORO DISPETTI E RIVALITÀ, PER QUATTRO EX CANTANTI CHE METTONO IN SCENA UN’OPERA PER SALVARE LA LORO CASA DI RIPOSO. L’ESORDIO ALLA REGIA DI DUSTIN HOFFMAN È UN INNO ALLA TERZA ETà
P
er una volta bisogna iniziare dal regista, un signore di Los Angeles con 75 anni suonati sui documenti, 47 film all’attivo e ben tre statuette dell’Oscar sul caminetto. Eppure, anche riassunta in poche parole, alla carriera di Dustin Hoffman mancava proprio la regia, uno scoglio contro cui prima o poi chi recita finisce per cascarci. Hoffman, per passare la barricata sceglie di ispirarsi al pluripremiato documentario “Il bacio di Tosca”, realizzato nel 1986 da Daniel Schmid e ambientato in una casa di riposo per musicisti di Milano. Ma Hoffman vuole qualcosa di più e sposta la scena nella campagna inglese, immaginando la Beecham House, una villa d’epoca un
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tempo utilizzata per celebrare matrimoni diventata pensione per cantanti d’epoca in pensione, che dividono il tempo fra ricordi,
pettegolezzi e dispetti da divi. Non la solita malinconica storia di vecchietti arzilli o poco meno, e nemmeno una boccata di gioventù improvvisa alla “Cocoon”, quanto piuttosto una pellicola per molti versi divertente, spensierata, vitale, ottimistica e arguta che getta uno sguardo insolito sulla terza età. Il risultato è una regia attenta, frutto del lungo girovagare nella recitazione di Dustin Hoffman, che ha carpito da ogni regista segreti e metodi fino a trovare uno stile proprio, da mostrare nel suo debutto alla regia. Nel cast alcune vere vecchie stelle del cinema, guidate da un’impareggiabile Maggie Smith nel ruolo di protagonista. Accanto a lei Tom Courtenay, Billy Connolly e Pauline Collins, mentre per gli altri ospiti della casa di riposo, Hoffman ha voluto veri artisti in pensione. 7
la trama Gli ospiti della Beecham House sono in fibrillazione: sta per arrivare una stella di prima grandezza della lirica. Fra litigi, pettegolezzi e amori, Reginald Paget (Tom Courtenay), Wilfred Bond (Billy Connolly) e Cecily Robson (Pauline Collins) restano di sasso quando scoprono che si tratta di Jean Morton (Maggie Smith), cantate dal carattere impossibile con cui anni prima formavano un quartetto. Ma i quattro non avranno il tempo di riprendere le ostilità, perché la Beecham House è in crisi finanziaria e minaccia la chiusura. Non resta che unire le forze e tornare sulle scene per raccogliere fondi e salvare il loro piccolo paradiso immerso nel verde.
la scheda del film Regia: Dustin Hoffman - Soggetto e sceneggiatura: Ronald Harwood - Prodotto da: Finola Dwyer, Stewart Mackinnon Produttori esecutivi: Christoph Daniel, Marc Schmidheiny, Dario Suter - Direttore della fotografia: John de Borman - Montaggio: Barney Pilling - Scenografie: Andrew McAlpine - Produzione: BBC Films, Finola Dwyer Productions, Headline Pictures Distribuzione in Italia: Bim Film - Uscita nelle sale: 24 gennaio 2013.
il cast Tom Courtenay Billy Connolly Pauline Collins Maggie Smith Michael Gambon
DEBUTTO TORINESE
Dustin Hoffman non c’era, ma “Quartet” ha rappresentato il film di apertura della 30esima edizione del Torino Film Festival, rassegna ormai giunta alla sua piena maturità. Diretta da Gianni Amelio, la kermesse torinese ha aumentato le presenze di pubblico del 16% con 76mila ingressi a riempire costantemente le 11 sale del festival. Miglior film della 30esima edizione “Shell”, road movie dell’inglese
Reginald Paget Wilfred Bond Cissy Pauline Collins Cedric Livingstone
Scott Graham, ex-aequeo per il premio speciale della giuria, andato a Mario Balsamo (“Noi non siamo come James Bond”) e Tim Sutton (“Pavillon”).
motori I benzinai no logo
il pieno
me NELL’ITALIA DOVE TUTTO CRESCE MA NULLA CALA MAI, IL FENOMENO DELLE POMPE BIANCHE E’ L’UNICO CHE CERCA DI COMBATTERE IL CARO CARBURANTE. MA FRA VERITà E LEGGENDE, L’ESPANSIONE SEMBRA INARRESTABILE
È BENZINA CON IL CUORE In apertura l’insegna di un benzinaio no logo americano, con tanto di cuore e scritta “Loves”. Il fenomeno è arrivato di recente anche in Italia, spinto dai grandi circuiti degli ipermercati. 46|dic. ‘12/Gen. ‘13
un fenomeno in grande sviluppo, segno dei tempi e della disperata ricerca al risparmio che attanaglia chiunque per scelta o necessità possiede un’auto che di tanto in tanto ha bisogno di benzina o gasolio per funzionare. Inutile soffermarsi sul mercato del petrolio, che adegua al volo i prezzi alla pompa quando sale il costo al barile, ma per contro mette grande lentezza nell’abbassarli. Meglio spostare l’attenzione sui distributori “no logo”, o le pompe bianche, come sono comunemente chiamate. Il concetto, già in voga all’estero da diversi anni, sta assumendo contorni interessanti anche da noi, malgrado le perplessità e qualche sospetto, messo in giro ad arte sperando
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di bloccarne lo sviluppo, su cui sta indagando anche l’Antitrust. Ad esempio, è una leggenda popolare che vuole il carburante delle pompe bianche meno raffinato – e quindi più nocivo per salute e motori – rispetto a quello venduto nei distributori delle grandi compagnie petrolifere. Nulla di più sbagliato: il carburante è lo stesso, viene acquistato negli stessi depositi dopo essere stato lavorato nelle medesime raffinerie. La differenza la sa fa soltanto la possibilità concessa dalla legge ai distributori indipendenti di acquistare i carburanti nel libero mercato, riuscendo a strappare un prezzo migliore rispetto agli impianti legati ad un marchio, che come tale sono legati alle condizioni
non trattabili imposte dalla compagnia petrolifera. In aggiunta, per formare il prezzo finale scontato, si accoda la mancanza di personale (quasi sempre si tratta di stazioni automatizzate) e la gestione spesso familiare o in qualche caso comunale, che produce un’equazione molto in voga in questo periodo: chiedere un po’ di meno, ma a tanti. Ad alzare il velo sul fenomeno, già qualche anno fa, è stata la grande distribuzione, ovvero le catene di ipermercati che, seguendo esempi e successi rilevati in altri paesi, si è messa in testa di scalfire l’egemonia dei soliti noti creando stazioni di servizio in cui il carburante è venduto alla clientela con decise percentuali di sconto, che in alcuni casi aumenta addirittura con le raccolte punti e le promozioni. In linea di massima, per tutti, si parla di sconti che variano fra i 6 e i 10 centesimi al litro, nemmeno poco se moltiplicati per un pieno, e soprattutto se rapportati ad un anno intero di uso costante dell’automobile. Ed ecco anche spiegato il moltiplicarsi di benzinai no logo, che a metà dicembre ha toccato quota 2.564. Certamente poca cosa, se confrontata ai circa 25 mila impianti di distribuzione presenti sul territorio italiano, ma comunque sufficienti per dare una speranza concreta agli automobilisti. Come fare per scoprire il distributore più vicino a casa? Oltre a siti specializzati nell’aggiornare di continuo la mappa nazionale, ormai esistono anche “App” da consultare sullo smartphone: basta un click per risparmiare. Spargete la voce. 7
Ne w s
Vista sul Mondo LÀ, IN MEZZO AL MAR…
I sofisticati sistemi di bordo della sonda NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administyration) hanno permesso alla Nasa, l’ente spaziale americano, di diffondere alcune straordinarie immagini notturne del pianeta Terra. Lanciata un anno fa, la sonda ha impiegato 312 orbite prima di riuscire ad ottenere immagini così nitide: nella foto, lo sconfinato territorio degli Stati Uniti ripresi durante una notte dello scorso mese di aprile.
Nei cantieri di Saint Nazaire, a Nizza, sta nascendo la Preziosa, destinata a diventare l’ammiraglia della flotta MSC Crociere, e in attesa del varo, si diffondono le prime curiosità. Ad esempio l’installazione di Vertigo, lo scivolo acquatico a corpo libero più esteso mai apparso su una nave da crociera. Lungo 120 metri, lo scivolo farà parte di un grande aqua park a disposizione degli ospiti.
INQUISITI IN SALDO Non manca una sottile vena polemica, nella curiosa offerta pubblicata di recente sulle pagine italiane di eBay. In vendita sembrano esserci prima e seconda repubblica, vista l’infilata di 50 parlamentari inquisiti e ancora in carica, diventati ritratti elegantemente incorniciati. Completano l’offerta 6 ritratti di alcuni recenti Ministri della Cultura, accusati di aver degradato e umiliato il patrimonio culturale italiana. L’idea della Art of Corruption è del Museo CAM (Casoria Contemporary Art Museum), esposizione d’arte moderna e laboratorio nato nel 2005 a Casoria, in provincia di Napoli. 48|dic. ‘12/Gen. ‘13
Ne w s
BARBIE AL SANGUE
SUONALA ANCORA, SAM È una delle più celebri scene del cinema, quella in cui Rick Blaine (Humphery Bogart), chiede al pianista Sam (Dooley Wilson) di suonare ancora “As time goes bye”. Il film è Casablanca, premio Oscar nel 1944, interpretato da “Bogey” e Ingrid Bergman e per celebrarne i 40 anni dall’uscita, il pianoforte verticale del film è stato venduto all’asta nelle sale di Sotheby, a New York, per 600 mila dollari. Il compratore è rimasto anonimo, mentre l’ex proprietario, un collezionista giapponese, non ha nascosto la delusione: pensava di venderlo a un milione di dollari.
La febbre da Twilight, la saga vampiresca creata da Stephenie Meyer e diventata film, ha colpito anche Barbie, la più celebre delle bambole. È da poco disponibile sul sito www.barbiecollector.com una collezione destinata a diventare culto tanto per gli appassionati della vicenda d’amore fra l’umana Bella ed il vampiro Edward, quanto per i collezionisti di memorabilia cinematografici, composta da una galleria dei principali personaggi di Twilight, ovviamente riadattati allo stile della celebre bambola Mattel.
In barba al maiale Il regalo più gettonato dell’anno in America? Una schiuma da barba alla pancetta. Creata dalla J&D and Foods, è andata letteralmente a ruba, tanto da costringere l’azienda a razionalizzare le forniture. Il motivo di tanto successo pare sia da attribuire alla particolare morbidezza con cui lascia la pelle dopo la rasatura.
in collaborazione con la Feltrinelli Librerie
Confiteor. La storia mai raccontata. Massimo Mucchetti Cesare Geronzi. Feltrinelli Editore
Fitte nebbie. La prima indagine di Sambuco & Dell’Oro. Frilli Editore
La storia economica e finanziaria del nostro Paese ricostruita da uno dei protagonisti assoluti degli ultimi decenni. I retroscena mai raccontati dei grandi affari italiani. La storia segreta dei rapporti tra Fininvest e le banche negli anni di ferro 1993-1996. I veri autori del salvataggio della Fiat e la scalata ostile alla Montedison. Il regolamento dei conti nella Mediobanca dopo la morte di Enrico Cuccia. L’alleanza e poi la rottura con il suo delfino, Vincenzo Maranghi. La scalata (resistibile) di Ricucci al “Corriere della Sera” e i contrasti sulla nomina dei direttori del quotidiano di via Solferino. L’Opa del secolo su Telecom Italia e quelle mancate su Banca di Roma e Comit. Il caso Tronchetti. Ma anche il rapporto tra il Banco di Roma e l’Istituto per le Opere di Religione. L’amicizia con Antonio Fazio e la divaricazione del 2005 sui fronti dell’Antoveneta e di Bnl. Gli alterni rapporti con Mario Draghi, direttore del Tesoro e Governatore. Le relazioni speciali con Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi: i sì e i no. Gli incontri con Andreotti. Il tramonto del rapporto con Gianni Letta. I processi Cirio e Parmalat. L’ascesa alla presidenza di Mediobanca e di Generali e, infine, la sorprendente caduta. Passato remoto, passato prossimo, presente e uno sguardo sul futuro. Decenni di storia italiana nel dialogo senza rete tra Cesare Geronzi, uno dei più influenti banchieri italiani degli ultimi vent’anni, e Massimo Mucchetti, firma di punta del Corriere della Sera. E’ la prima volta che un banchiere del Belpaese accetta di ricostruire le sue scelte lungo un ampio confronto che non teme il contraddittorio. Geronzi non è un economista o uno studioso. La stampa britannica l’ha definito un power broker. Lui, che si sente fino in fondo banchiere, dice: “Sono stato abituato, fin da quando reggevo l’ufficio cambi della Banca d’Italia alle dirette dipendenze di Guido Carli, ad assumermi la responsabilità di decisioni importanti”.
Agenzia Investigativa Sambuco e Dell’Oro, con sede a Pavia, in Borgo Ticino. In un appartamento, dalla cui finestra si può vedere il fiume, svolgono la loro attività i nostri due detectives. Gigi Sambuco, il capo, un uomo tranquillo, riflessivo, che guarda alla vita e alle inchieste in modo disincantato, anche a causa del dolore profondo che cela nel cuore: la morte del figlio ancora bambino. Selmo Dell’Oro, il socio, viene dalla strada. Si vede e si sente. è un ex teppista, con una morale discutibile, nessun senso di responsabilità e una passione ossessiva per le donne. In questa loro prima avventura, ambientata agli albori di Tangentopoli, li troviamo alle prese con un tipo molto eccentrico, un vecchio compagno di classe di Sambuco, che chiede l’aiuto del detective per scoprire l’arcano che si cela dietro la morte violenta della sua compagna...
Il peso. Liz Moore. Neri Pozza Editore Arthur Opp è un ex insegnante obeso. Pesa più di 220 chili, ha cinquantotto anni e da più di dieci vive recluso in un fatiscente appartamento di Brooklyn. Ordina su internet tutto quello di cui ha bisogno. Il suo unico contatto con il mondo è rappresentato dalla corrispondenza con una sua ex studentessa, Charlene, una donna fragile e sola che ha un figlio, Kel. Quest’ultimo ha diciassette anni ed è una promessa del baseball collegiale. Arthur e Kel, due esistenze diametralmente opposte, si incontrano e si scoprono vicini accomunati dal medesimo amore per Charlene.
50|dic. ‘12/Gen. ‘13
La musica è tutto. Daniel Barenboim. Feltrinelli Editore Daniel Barenboim torna a riflettere sulla musica. Sulla musica che si fa, che si legge, sulla musica che si interpreta, sulla musica che si ascolta. Sulla musica che interconnette, che stringe relazioni e le riempie di senso. Fondamentalmente Barenboim ha a cuore una visione in cui, nella musica, etica ed estetica dialoghino continuamente e a livelli diversi. Se l’essenza della musica è il contrappunto (il continuo dialogo di un tema con il suo opposto) ecco che l’idea di un tutto non scomponibile nei suoi elementi domina l’opera e il lavoro del grande maestro. Eseguire bene un pezzo implica una scelta, è di per sé una sequenza di scelte. Non è diverso - dice Barenboim - da ciò che deve fare un politico. La scelta giusta. E il giusto qui produce bellezza. Ma produce bellezza se si impone quel formidabile equilibrio che da una parte guarda alla partitura e all’autore, dall’altra al nesso profondo fra gli esecutori, e dall’altra ancora al pubblico, ai luoghi dell’ascolto, a chi governa le sale, a chi governa tout court. Dice Barenboim: “Capire la musica in termini filosofici non è meno essenziale della comprensione filosofica dell’umana natura”. Capire la musica significa anche porre le condizioni perché essa diventi familiare, e trovi uno spazio non effimero nelle scuole. Il “tutto” comincia anche dall’ampiezza di un progetto educativo.
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