Andco Magazine giu-lug 2013

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Tendenze

I vini delle star

moda

Kate Moss

Sport

TUTTI I COLORI DELLA Confederations Cup

Attualità Tecnologia Natura Food Arte Cinema Sport

steve mcqueen Le ultime foto di un mito

Anno 07 | giugno/luglio ‘13 | COPIA GRATUITA


®

Menu dioreFerragosto 12.30 Antipasti

Prosciutto crudo e melone, focacce con pomodoro e basilico, insalata di mare, salmone all’ananas, spada all’arancio, sarde marinate, gamberi alla catalana, mitili gratinati, cozze alla marinara

Primi Piatti

Gnocchi bacon e scamorza Fricelli all’ammiraglia

Secondi Piatti

Filetto d’orata al forno con patate e pomodorini pachino Gamberoni alla griglia

per chi non mangia pesce carne a scelta sorbetto al limone anguria e dolce della casa caffè e liquori

adulti € 35,00

Bambini € 15,00

bevande acqua gassata, naturale e bibite vini pinot nero, pinot grigio e bonarda

SIAMO APERTI TUTTO AGOSTO

Via della Stazione 1/27 • SAN MARTINO SICC. (PV) • Tel. 0382.559475 • Cell. 331.3207905 www.damariano.pv.it • info@damariano.pv.it


sommario 16

6 Cover story: Steve McQueen

40 Cinema: To the wonder

10 Tendenze: Wine stars

42 Sport/1: Lo Slacklining

16 Attualità/1: Big Sandy Shoot

44 Sport/2: Confederations Cup

18 Attualità/2: Barbie Café

48 Short message

l’ultimo ribelle IN VINO VANITAS

QUI LE SPARANO GROSSE IN A PLASTIC WORLD

CUORE, AMORE, DOLORE appesi ad un filo ALÈ, OH OH

50 And Co. Consigli

20 Tecnologia: I nuovi gadget

BAZAR FANTASIA

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26 Natura: l’Olanda dall’alto

TAVOLOZZA NATURALE

28 Moda: Kate Moss

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ABBRONZATISSIMA

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30 Food/1: Cene d’estate

AGGIUNGI IL CALDO A TAVOLA

32 Food/2: La mozzarella

che bufala ...

34 Arte: Banana Art

OPERE RICURVE

38 Musica: Abba Museum

A VOLTE RISUONANO

SEGRETERIA DI REDAZIONE C. Moretti Tel. 0382 309826 redazione@andcomagazine.it

Anno 07 Giugno/Luglio '13

una pubblicazione Adverum Srl Via R. Brichetti, 40 27100 Pavia Tel. (+39) 0382 309826 fax (+39) 0382 308672 www.adverum.net info@adverum.net

Bimestrale a diffusione gratuita Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 675 del 18/03/2007

DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo direttore@andcomagazine.it

Impaginazione e grafica Adverum Srl

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collaboratori Daniela Capone, Simona Rapparelli, Tommaso Montagna

ADV designer grafica@adverum.net

Art Director Paolo Armani linea@paoloarmani.it Marketing, pubblicità ed eventi speciali Adverum Srl marketing@adverum.net Stampa Tipografica DERTHONA s.r.l. Strada Vicinale Ribrocca 6/5 15057 Tortona (AL)

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SIAMO UNA CITTÀ DI

SAPERI E CULTURA Matteo Mognaschi, neo assessore alla Cultura in Comune, il ustra il suo primo impegno: la Festa del Ticino Fare l’assessore alla Cultura, Turismo e Marketing Territoriale della Città di Pavia è un grande privilegio e una grande occasione dal momento che in questa città abbiamo tantissime potenzialità. Fino a pochi mesi fa mai mi sarei immaginato di ricoprire questo incarico, ma oggi posso dire che riuscire a fare qualcosa per la propria città è una delle più grandi soddisfazioni per chi fa politica. E dal momento che Pavia è una Città di saperi e cultura, l’incarico in questo contesto risulta particolarmente entusiasmante. Se penso che questa estate siamo riusciti a organizzare 160 eventi all’interno della Festa del Ticino, credo veramente che la sinergia fra il Comune e la rete di associazioni ed enti che si occupano di cultura abbia funzionato molto bene. Per la stagione autunnoinverno stiamo già pensando ad un calendario altrettanto interessante, con una chicca eccezionale rappresentata dalla mostra dedicata a Monet. La Festa del Ticino Musica, arte, cinema, poesia, laboratori e conferenze, visite guidate e passioni. È tornata anche per questo 2013 la tanto attesa Festa del Ticino, che nell’arco di 100 giorni (dal 1° giugno scorso e fino all’8 settembre) propone un ricco programma di iniziative culturali e di intrattenimento, per accompagnare l’estate dei pavesi e di quanti visiteranno l’antica capitale longobarda. Gli eventi in cartellone alternano momenti e personaggi legati al territorio a esperienze internazionali, per gettare un occhio al di fuori, senza dimenticare le radici e le bellezze artistiche e culturali locali. Da “Cinema sotto le Stelle”, che dal 25 giugno prossimo presenterà una ricca selezione di film dove

l’estetica vince sull’etica e la bellezza salva il mondo alle mostre personali, in Castello e nello Spazio per le Arti contem-poranee dell Broletto, di due ce-Matteo Mognaschi lebri sonaggi dell’arte percontemporanea (Ernesto Ornati, il 31 agosto e Franco Battiato, il 1° settembre). Dai concerti di alcuni dei più interessanti nomi del panorama rap attuale (i Gemelli Diversi, il 6 settembre) e del mondo della musica roots (James Maddock il 10 luglio, Garland Jeffreys il 17 e Sacri Cuori Social Club il 24) alla Silent Disco, in anteprima dai paesi anglosassoni, al jazz scandinavo (Jukka Perko Streamline Jazztet, il 12 luglio), fino a un grande nome della musica italiana, Niccolò Fabi, che il 4 settembre suonerà al Castello Visconteo. Dagli omaggi ai poeti e dai corsi di scrittura della Biblioteca Bonetta ai laboratori creativi della Biblioteca Ragazzi, passando per le visite guidate tra immagini sacre e profane, per i pellegrinaggi cittadini e i tour in bicicletta. Fino ad arrivare alla Notte Bianca e allo spettacolo pirotecnico, che chiude il festival domenica 8 settembre. In autunno in Castello, è in programma invece una importante mostra dedicata a Monet.

COMUNE DI PAVIA ASSESSORATO ALLA CULTURA, TURISMO, PROMOZIONE DELLA CITTA’, MARKETING TERRITORIALE E RAPPORTI CON L’UNIVERSITA’ TEL. 0382.399343

www.comune.pv.it/festadelticino www. ww w com w. cco om mu unnee.p e.pppv. v.it it/f /fes esta taddeeltic tade ta ltic lt icin ino in o


editoriale GIUGNO LUGLIO 2013

FREDDIE, MARILYN E STEVE

Chi ci segue regolarmente sa che una caratteristica di questa pubblicazione è avere sempre un personaggio forte in copertina. Che sia un attore, una persona di cultura, un comico, un imprenditore o una soubrette. Ma sa anche che ci piace, ogni tanto, variare sul tema, andando a ripescare, quando ne abbiamo l’occasione, grandi del passato. Gente rimasta nell’immaginario collettivo malgrado il destino li abbia portati via da tempo. L’abbiamo fatto con Freddie Mercury, leader dei Queen, e la cosa è piaciuta. Poi, esattamente un anno fa, sulla nostra prima pagina è arrivata Marilyn Monroe, e questo giornale non è più stato lo stesso: è arrivato lontanissimo, oltreoceano e oltre, perfino dove – accidenti – non viene (ancora, chi lo sa?) distribuito. Ad oggi, il numero con Marilyn in copertina è il più richiesto della storia di And Co. Magazine: ci sono arrivare migliaia di richieste, da ogni parte del mondo, da parte di ammiratori, collezionisti e persone innamorate perdutamente di Norma Jean Baker, incuranti di un dettaglio anagrafico piuttosto significativo: se n’è andata il 5 agosto 1962, ben 51 anni fa. Ma questa è stata la dimostrazione che la nostra scelta ha colto nel segno, colpendo con più decisione di quanto a volte faccia un volto noto, che si vede in tivù. Ci riproviamo, questa volta, con Steve McQueen, il duro di Hollywood per eccellenza, faccia da schiaffi di decine di film e uomo abituato a fare a pugni con il destino. Abbiamo avuto l’opportunità di mettere le mani su alcune sue foto inedite, scattate dall’ultima moglie dell’attore 35 anni fa e finora mai viste prima, e non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione. Anche Steve è morto tanti anni fa, 33 per essere precisi, a soli cinquant’anni, e ancora oggi la sua popolarità non conosce flessioni: la sua immagine finisce spesso nelle pubblicità, come icona di un modo di vivere che continua a funzionare. E altri omaggi arriveranno, nei prossimi mesi, a gente che ha lasciato un segno così profondo nella storia da diventare indelebile. Facciamo la nostra parte, anche noi, perché quei segni non si cancellino mai.

DIRETTORE

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COVER STORY Steve McQueen

ANTIDIVO PER ECCELLENZA, ATTIRATO DA TUTTI GLI ECCESSI E I PECCATI, ANCORA OGGI INCARNA I VALORI DEL DURO SENZA REGOLE. A 33 ANNI DALLA MORTE, IL DIVO AMERICANO RIEMERGE IN ALCUNE IMMAGINI INEDITE, SCATTATE DAL SUO ULTIMO CAPRICCIO: UNA MOGLIE GIOVANISSIMA

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’è chi sogna per tutta la propria esistenza, una vita come quella di Steve McQueen: folle, irruenta e sempre spinta verso l’eccesso in ogni cosa, donne, alcol, droghe e motori. Quanto basta per ridurre l’uomo in cenere, secondo un detto popolare, in fondo ancora una volta confermato proprio dalla parabola diventata leggenda di McQueen, uno a cui il conto finale è arrivato quando aveva compiuto appena - e soltanto - 50 anni. Da quel momento, Steve entra nella speciale galleria delle icone, dove hanno diritto d’ingresso solo pochissimi nomi, quelli di chi ha vissuto al massimo, lasciandosi dietro le spalle un alone di immortalità: Marilyn Mon-

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di Germano Longo photo Barbara Minty roe, Elvis Presley, James Dean e lui, Steve McQueen. Forse l’unico, di questo piccolo elenco, ad essersela goduta fino alla fine, sapendo che ogni giorno era buono per diventare l’ultimo e non andava sprecato. L’unico, anche, a non aver badato alla carriera, ai pericoli, ai rischi e a quello che diceva la gente, l’opinione pubblica. Sempre dritto, con lo sguardo stretto, strafottente e tagliente, incurante delle raccomandazioni dei registi, con cui litigava regolarmente quando questi gli proponevano una controfigura per le scene più pericolose e lui rifiutava, perché quelle erano la cosa più divertente, e il resto solo un modo per finanziare le sue passioni.


RIBELLE Figlio di uno stunt man che abbandona in fretta casa e responsabilità, Terence Steven McQueen nasce a Beech Grove, Indiana, e cresce nel Missouri, a casa di uno zio, ma fa il diavolo a quattro per tornare con la mamma, che raggiunge a Los Angeles a 13 anni. Proprio lì iniziano i problemi: Steve va male a scuola, ruba, entra ed esce da gang di strada, vivendo sulla pelle il lato più duro della sconfinata L.A. La madre lo spedisce in una sorta di riformatorio, e quando esce Steve mette la firma per diventare un Marines. Ma anche la vita militare è piena di obblighi e ordini, troppi per uno come lui. Si congeda nel 1950 ed entra nell’Actor’s Studio di Lee Strasberg, allora fucina newyorkese di talenti della recitazione. Sul grande schermo debutta nel 1956, ma è soltanto quattro anni dopo che ottiene una parte fatta apposta per lui ne “I magnifici sette”, western ispirato a “I sette samurai” di Akira Kurosawa. Interpreta in tutto trenta film, fra il 1953 ed il 1980, ma ci sono ruoli che gli restano addosso come un marchio di fabbrica: è John Reese, sergente eroe di guerra degradato per insubordinazione, ne “L’infer-

mo è per gli eroi”. La consacrazione arriva nel 1963 con il ruolo di Virgil Hilts ne “La grande fuga”: Steve interpreta un capitano americano che tenta l’evasione da un campo di concentramento tedesco in sella ad una Triumph TT 650, mandando agli archivi una delle più famose scene del cinema. 5

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Nel 1968 arriva il ruolo che lo consacra a padre putativo di tutti i duri dello schermo, presenti e futuri: Bullit. Il film racconta le vicende poco pulite di un tenente della squadra omicidi di San Francisco dai modi bruschi che attraversa i saliscendi di Frisco a bordo della celebre Ford Mustang GT 390 Fastback di colore verde. Basterebbe il ruolo di Frank Bullit, per assicuragli un posto fra i grandi del cinema, ma quello è il suo momento e Steve non sbaglia un colpo: nel 1972 sbanca i botteghini con il poliziesco “Getaway!” e un anno dopo è la volta di “Papillon”, dove McQueen veste i panni di Henri Charrière, ergastolano senza colpe in un carcere della Guyana Francese. Ma nella vita del duro di Hollywood qualcosa non va più come dovrebbe: inizia ad avere problemi respiratori, gli propongono meno film e la sua popolarità cala senza rispetto, come riesce solo dalle parti di Hollywood. Gli diagnosticano un tumore ai polmoni dovuto probabilmente alla prolungata esposizione all’amianto: i medici americani lo danno per spacciato ma McQueen non si arrende, vola in Messico dove lo operano per asportargli il male, ma muore alle 15:45 del 7 novembre 1980 dopo due attacchi cardiaci. Per sua stessa volontà viene cremato, e due giorni dopo le sue ceneri disperse nell’oceano. Da allora, il suo nome

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occhio privato Quelle in queste pagine sono foto mai viste prima, rimaste gelosamente custodite da Barbara Minty (nella foto qui a sinistra, ripresa in moto con Steve) per 33 anni. Negli scatti, il divo americano appare per lo più stanco, provato e invecchiato. Colpa della malattia che lo sta divorando, e che lo porterà alla morte pochi mesi dopo.

oscilla fra il cinema e la passione smodata per i motori. Nel corso della sua vita colleziona auto, moto e aerei, partecipa a gare massacranti e finanzia addirittura un film ispirato alla 24 Ore di Le Mans che però è un fiasco al botteghino. Si sposa tre volte, l’ultima con Barbara Minty, qualche mese prima di morire. È una modella dal viso pulito, ha 24 anni, 23 meno di quello che sta diventando suo marito, che invece ha

la barba incolta e il viso segnato da tanti troppo. Ma certe cose non hanno alcuna importanza, nemmeno l’idea di dividere un hangar, invece di una casa, dove McQueen ha raccolto gli oltre cento modelli di auto e moto della sua sconfinata collezione. Vivono insieme tre anni a mezzo, gli ultimi di Steve, che ormai è stanco e sempre più provato da quella che sta per diventare la sua condanna senza appello. Ed è proprio Barbara, oggi un’elegante signora di mezza età, ad aver svelato al mondo alcune immagini, scattate nei loro momenti privati, che raccontano Steve McQueen forse meno duro del personaggio che il mondo gli ha attaccato addosso come un adesivo indelebile, ma sicuramente più triste, consapevole che il tramonto non è un viale, ma un percorso che non ammette svolte. Una collezione privata, rimasta per tanto tempo nel cassetto perché tirarla fuori voleva dire rinnovare il dolore, da poco diventata un libro iconografico che in America è andato e ruba, ed una mostra, ospitata in Europa all’Hangar-7 di Salisburgo, spazio espositivo di proprietà della Red Bull. Il titolo, “Steve McQueen, The Last Mile”, è il racconto per immagini dell’ultimo miglio di quest’icona immortale del cinema e della ribellione. Uno a cui forse perfino la morte si è messa d’impegno, per riuscire a dirgli basta. 7

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tendenze Wine stars

in vino vanitas

An to ni o Ba nd er as

A C /D C

Brad Pit t e Angelina Jolie

Mick Hucknall

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SONO SEMPRE DI PIÙ, LE STELLE DEL CINEMA, DELLO SPORT E DELLA MUSICA CHE SI DANNO AL VINO, PER PASSIONE E BUSINESS. UN ELENCO CON I NOMI PIÙ CELEBRI E SPESSO INSOSPETTABILI, CON PICCOLE CURIOSITÀ

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l fenomeno è sempre più in voga nelle file di quelli che contano: prodursi il proprio vino. A Hollywood e comuni limitrofi è ormai una piccola mania, ma a parte qualche rara eccezione, curiosamente nessuno ha scelto di utilizzare i terreni della Napa Valley, molto più comodi, preferendo la vecchia Europa, Italia e Francia in prima fila. C’entra sicuramente trovare forme d’investimento alternative ai broker di Wall Street, che hanno fatto il loro tempo bruciando le fortune di molti volti noti, ma all’appello delle motivazioni sono da inserire altre


voci, cominciando da prestigio e guadagno: acquistare il vino di una star, che sia del rock, dello sport o del cinema, è un cimelio irresistibile. Anche se quella bottiglia, il piacere di essere tastata dal divo non l’ha avuta mai. Ma tant’è. L’elenco delle celebrità si allunga ogni giorno di più, anche se è quasi impossibile non iniziare dalla coppia più bella del mondo, fra i preferiti del gossip mondiale: Brad Pitt e Angelina Jolie. I due hanno acquistato il principesco Chateau Miraval in Provenza, nel sud della Francia, dove si mormora che celebreranno finalmente il loro matrimonio, iniziando a produrre il Miraval Rose, un rosato realizzato con la complicità del guru Marc Perrin le cui prime 6.000 bottiglie sono andate esaurite in poche ore con una semplice vendita online. Ma non finisce qui, perché Brad pare ormai convertito al vino in ogni sua forma, al punto da assoldare l’architetto Frank Gehry solo per dare un ordine e un aspetto di tutto rispetto alla sua cantina privata, dove custodisce un migliaio di bottiglie, molte introvabili e tutte preziosissime, per un valore di circa 5 milioni di dollari. In realtà, fra i primi a crederci fu Francis Ford Coppola, regista pluripremiato con l’Oscar, che insieme alla moglie Eleanor, nel 1975, ha sganciato un bel po’ di dollari per assicurarsi quella che oggi è conosciuta come la “NiebaumCoppola Estate Winery”: una tenuta principesca immersa fra

i vigneti di Rutherford in cui si producono migliaia di bottiglie di Cabernet, Merlot, Pennino e Zinfandel, ma anche passate di pomodoro, olio e condimenti vari. Fra le ultime produzioni di Coppola il “Sofia Blanc de Blanc”: vino bianco frizzante venduto in lattina – accidenti – e dedicato alla figlia, anch’essa regista dotata di Oscar. L’enobusiness ha attirato da tempo anche un’altra coppia, non meno famosa: Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones. I coniugi, in ognuna delle svariate dimore di cui dispongono, prestano massima attenzione alla cantina, che dev’essere ricca e piena d’ogni ben di dio. Il quartier generale della loro collezione si concentra però alle Bermude, dove Michael e Catherine possiedono una villa da cinque miliardi di dollari, che sommati ai 6,5 milioni di dollari degli incredibili vini custoditi, alzano di parecchio il valore finale. Fra gli ultimi enoentusiasti c’è anche Britney Spears, che per adesso “limita” la sua passione vinicola alla collezione, anche se si mormora sia in arrivo il suo primo vino. Nella sua villa sontuosa, sulle colline di Beverly Hills, fervono i lavori per realizzare una cantina che possa contenere tutte le delizie che Britney acquista a mani basse: durante l’ultimo viaggio italiano pare abbia immolato un milione di dollari per portarsi al di là dell’oceano quantitativi industriali di Amarone e Pomino, due fra i vini più amati dall’ex star-bambina. 5

M ad o n n a

M i cha e l D o u g la s-J o n e s e Cat h e r i n e Z e ta

Ferg ie

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Accanto a lei, in senso lato, un’altra celebrità del calibro di Drew Barrymore ha scelto di produrre il “Pinot Grigio Delle Venezie I.G.T.” L’ex bimba di “ET”, oggi potente produttrice cinematografica ha scelto il nord est italiano per la sua avventura vinicola. Italia anche per Mick Hucknall, ex voce solista dei “Simply Red”, che in onore della tinta che gli ha portato fortuna, da anni imbottiglia il “Semplicemente Rosso”, un Nero d’Avola prodotto a Pachino e commercializzato anche nelle filiali del Banco di Sicilia. E ancora Italia per Carole Bouquet, che nella sua tenuta di Pantelleria produce un ottimo Passito. Da tempo è Italia anche per Sting: l’ex leader dei Police è il proprietario de “Il Palagio”, lussuosa tenuta a Figline Valdarno, nei dintorni di Firenze, dove si producono vini dai nomi musicali (Sister moon, When we dance, Casino delle vie), olio e miele. Ha preferito invece la nativa Spagna Antonio Banderas, attore sposato con Melanie Griffith che oltre a merendine e biscotti dedica particolare attenzione ai 235 ettari della sua tenuta “Ante Banderas” di Tempranillo, nella Ribera del Duero, a sud di Madrid. Le vigne del Michigan per la “material girl” Veronica Ciccone, in arte Madonna. Suo padre, Tony Ciccone, gestisce il “Vineyard and Winery Leelanau Peninsula” dove si producono ottimi Pinot, Cabernet, Chardonnay e Gewurztraminer. L’elenco potrebbe continuare, quasi all’infinito, toccando nomi di celebrità folgorate sulla strada del mosto. Si è dato al vino, dopo aver smesso di guidare, Michael Schumacher, ormai preso dal suo vigneto di Saint-Raphael, in Costa Azzurra, mentre è risaputo l’amore di Gerard Depardieu per tutto ciò che si può bere e mangiare, culminato in una vigna di proprietà nel Bordeaux. I più accaniti fans e collezionisti sanno dell’esistenza di “Hells Bells” e “Highway to Hell”, Cabernet Sauvignon e Sauvignon Blanc prodotti dagli AC/DC, gruppo hard rock australiano, del “Fergaicious” di Fergie, voce solista dei Black Eyed Peas, il “Viognier” di Emilio Estevez, il cabernet sauvignon di Kyle MacLahlan, l’agente speciale Dale Cooper di Twin Peaks e il “Calling all angels”, char12| giugno/luglio ‘13


donnay dei Train. E gli italiani? Gianna Nannini produce tre rossi in un ex monastero di Certosa di Belriguardo, a pochi km dalla sua Siena, Paolo Rossi, l’eroe dei Mondiali di Spagna del 1982 ha una tenuta a Bucine, in provincia di Arezzo e Andrea Pirlo, centrocampista

SPIRITI DI VINI A sinistra Drew Barrymore fra le vigne del suo podere italiano dove si produce un Pinot Grigio. Dal basso in alto Carole Bouquet, una pubblicità delle cantine di Madonna Ciccone ed una della produzione di Antonio Banderas. In alto il vino degli AC/DC, una bottiglia della Barrymore ed una del Miravar Rose dei “Brangelina”. Qui a destra Britney Spears, grande appassionata di vini italiani. Qui sopra alcuni cimeli di Francis Ford Coppola esposti nella sua winery della Napa Valley.

della Juventus e della Nazionale, ha da poco acquistato dieci ettari a Capriano del Colle, nel bresciano, sicuro che il suo futuro dopo il pallone sia quello. Per chiudere in bellezza con Rocco Siffredi: la star dell’hard ha scelto Vinitaly per presentare il suo “Rocco”, un Moltepulciano d’Abruzzo piuttosto corposo. 7

TRA T TO R IA a l l a

Rocca

L’arredamento è semplice ma curato, con pavimenti in piastrelle tipo cotto, pareti spugnate azzurre e lilla con alcune riproduzioni di Botero e, nicchie riempite con alcune bottiglie e qualche ninnolo. L’illuminazione è affidata a faretti.

La trattoria Alla Rocca, si trova nell’antico borgo di Rocca Grimalda proprio davanti all’antico Palazzo del Municipio. Il locale è composto da due sale e, nel periodo estivo, da un dehor esterno.

Il menù è impostato sulle ricette tipiche del territorio. La cantina propone molti piemontesi e una vasta selezione di vini di altre regioni. Cascina Rio Maggiore Rocca Grimalda (AL) Tel.: 0143873444


L’azienda del mese META GREEN

IL REGNO IN LEGNO La casa, il desiderio degli italiani, si arricchisce di un nuovo modo di intendere la propria abitazione: più pulito, efficiente, naturale e sicuro di quanto si possa pensare

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tatisticamente, gli italiani hanno il sogno della casa sulla cima dei desideri più di ogni altro europeo. Ma oggi, l’idea di poter guardare con soddisfazione una casa pensando “è mia”, deve fare i conti con una serie quasi infinita di problemi, prescrizioni e obblighi. Tralasciando la questione economica, non perché poco importante, ma poiché riempie le cronache a sufficienza, chi vuole mettere su casa deve necessariamente mettere in conto altre voci, non meno delicate del denaro, come bioedilizia, efficienza energetica, normative antisismiche ed eco-sostenibilità. L’Italia, per cominciare si attiene alle normative europee in materia di edilizia e classificazione energetica, alla ricerca di nuove costruzioni più efficienti e pensate per consumare e non sprecare, che un giorno daranno in cambio un paese costellato da edifici sani, sicuri e poco assetati di energia. È proprio la ricerca del risparmio, una delle voci che più di ogni altra sale di posizione nella classifica delle questioni che attanagliano sonni e portafogli di chi possiede, o vorrebbe farlo, un’abitazione. E in fondo, con un pizzico di malcelato orgoglio italiano, oltre al risparmio si può aggiungere la coscienza ecologica che bene o male, dopo anni di martellante sensibilizzazione, ha finalmente fatto il nido nelle coscienze degli italiani. Tutti sanno, e hanno capito, che è fondamentale salvaguardare l’ambiente dove viviamo, e per fare la propria parte basta davvero poco, piccoli gesti quotidiani da mettere insieme ad abitazioni moderne, sicure, efficienti e salvasprechi. Ma a tutto questo, va aggiunta una preoccupazione nuova, che in tempi recenti si è fatta prioritaria: l’Italia ha pagato un prezzo salatissimo alla quasi totale mancanza di costruzioni realizzate con criteri antisismici. Gli edifici di nuova concezione, com’è giusto che sia, devono tener conto anche di queste preoccupanti eventualità. Una delle risposte all’elenco di quesiti e richieste, che in altre parti del nostro pianeta sono ormai consolidate, è racchiusa nel legno. In America, Australia e Giappone, dove i terremoti sono una quasi una consuetudine quotidiana, ma anche nei paesi scandinavi, le costruzioni in legno sono le più diffuse, le uniche che riescano a mettere insieme le risposte all’elenco di problemi, prescrizioni e obblighi a cui si accennava prima. Anche in Italia, in tempi recenti, il fenomeno sta iniziando a prendere piede: tutto è iniziato dal Trentino, dove la duttilità del legname – oltre a permettere di mantenere intatti i capisaldi architettonici italiani - racchiude caratteristiche superiori alla media in materia di termoacustica e antisismica, ma anche di durata nel tempo. Da lì, l’idea della casa prefabbricata in legno sta scivolando lungo tutto lo Stivale, trascinandosi l’attenzione di migliaia di persone, sempre più convinte che se perfino nei paesi nordici, dove il freddo non scherza, preferiscono il legno, e se nei posti dove i terremoti sono frequenti le vittime si contano sulle dita di una mano, allora un motivo ci sarà. Il legno è un elemento naturale, è flessibile, duttile, rinnovabile, ed è quanto di più lontano dall’idea di inquinamento ci possa essere. Prima di diventare abitazione viene trattato con cura e perizia, accompagnato da certificazioni in ogni fase dei processi di preparazione, fino a raccogliere per strada un altro capitolo fondamentale di questa storia,


IL LEGNO E’ IL MATTONE DEL FUTURO La Meta srl nasce nel 1977 per occuparsi inizialmente di edilizia e movimento terra.Nel tempo,è cresciuta,ampliando il proprio raggio d’azione verso ogni versante del mercato abitativo. Da tempo, al core business aziendale, si è affiancata la consulenza, la progettazione e la realizzazione di impianti di risparmio energetico, con fornitura di prefabbricati ad uso residenziale, commerciale di utilità sociale. Proprio in quest’ottica rientra la collaborazione con Log House, due aziende idealmente vicine nella filosofia del “vivere bene”, in modo sano e consapevole, utilizzando le soluzioni più all’avanguardia per offrire, sempre e coL’Auditorium del Parco, munque, la migliore risposta possibicomplesso musicale crea to dall’architetto Renzo Piano per la ricostruzion e dell’Aquila le alla propria clientela.

legato alla paura che più di ogni altra balza ai primi posti nei timori degli italiani: l’infiammabilità. Oggi, oltre al trattamento del legname, esistono metodologie di costruzione legate a sezioni, connessioni e nodi, che lo rendono adatto anche a rivestire il ruolo di edifici di particolare delicatezza, come scuole e uffici pubblici. Da dimenticare del tutto anche l’idea di dover convivere con odori persistenti di colle, mastici e solventi: la tecnologia ha fatto passi avanti, e respirare all’interno di una casa realizzata con materiale prodotto dalla natura aggiunge una nota in più alla salute. Ma non è solo apparenza, dietro a tetti e pareti dall’aria naturale non si nascondono schiume pericolose, ma altre fibre presenti in natura come la canapa, che assicura lo stesso isolamento acustico e termico di un’invenzione da laboratorio. Ultima, ma non disprezzabile nota, è dedicata ancora una volta alle questioni di portafoglio, oggi per nulla trascurabili: un’abitazione prefabbricata in legno abbatte drasticamente le spese di cantiere e di conseguenza quelli di edificazione. L’unica nota preoccupante, in tutto questo, sta nella serietà dell’offerta. Sul mercato c’è davvero di tutto, per tutti i gusti e tutte le tasche, ma spesso senza alcun riguardo sui vari passaggi che fanno la differenza, dalla scelta del legname al trattamento, dalla progettazione al montaggio. META GREEN è la divisione della META SRL che dal 2009 si occupa di edilizia ed efficienza energetica, che di recente ha scelto di creare una sinergia con il marchio Log House, azienda trentina che in cinquant’anni di esperienza ha raggiunto una straordinaria eccellenza nell’edilizia in legno, riconosciuta da collaborazioni prestigiose, come l’Auditorium del Parco, complesso musicale creato dall’architetto Renzo Piano per la ricostruzione dell’Aquila, capoluogo abruzzese colpito dal devastante terremoto del 2009. Grazie a questa fitta collaborazione, META GREEN mette a disposizione di chiunque una filiera completa che inizia dall’acquisto del legname e termina con la consegna dell’abitazione. Perché non esiste posto in cui sia più bello sentirsi caldi, sicuri e a posto nei confronti del mondo che abitiamo. L’unico possibile, fino a nuovo ordine.

M.E.T.A. s.r.l. Via Strada Nuova, 28 - 27050 Codevilla (PV) Tel. +39 0383.365544 / Fax +39 0383.49702 www.metapavia.com E-mail: metapavia@metapavia.com


Attualità/1 Big Sandy Shoot

qui le sparano

NON CI SONO LIMITI E RESTRIZIONI, AL PIÙ GRANDE RADUNO DEL MONDO PER GLI AMANTI DELLE ARMI DA FUOCO: DUE VOLTE ALL’ANNO, L’ARIZONA SI RIEMPIE DI CECCHINI

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embra un week end di quelli veri, con il cane e la nonna, i camper e le station wagon, le sdraio, la birra e le salsicce. Ma insieme ai sacchi a pelo e all’antizanzare, due volte all’anno migliaia di americani si precipitano a Wikieup, ridente nulla piantato nel mezzo del deserto dell’Arizona, dopo aver oliato pistole, fucili, mitragliatori, bombe a mano e qualsiasi altra delizia faccia fuoco, compreso – chi magari li tiene in garage - il carro armato o l’elicottero. Non importa e soprattutto non c’è limite, per-

ché il Big Sandy Shoot non è un raduno per boy scout o per pacifisti con il fiore in bocca, ma il più grande appuntamento del mondo dedicato ai cultori delle armi, passione che in America è da sempre eletta a sintomo di libertà. Chi non ha quel chiodo fisso, come gli europei, trova tutto un po’ esagerato, perfino barocco, ma dall’altra parte dell’oceano la gita boom boom è di quelle da non perdere: chi spara paga 250 dollari di iscrizione a patto di portarsi l’arma da casa, ma i pochi che per caso ne fossero sguarniti possono avvicinarsi al piacere


grosse noleggiando in un apposito stand la sputafuoco che più gradiscono, dalla pistola al bazooka al lanciafiamme, tanto per vedere l’effetto che fa. Oppure, perché no, scegliere semplicemente di gustarsi lo show da spettatori, pagando un biglietto di 25 dollari che vale tre belle giornate rilassanti. Il risultato è un tranquillo week end di follia, dove alla fine restano a terra circa 3,5 milioni di bossoli, sparati verso bersagli fissi o in movimento da cecchini di ogni età, dal prototipo americano con la pancia grossa e il colesterolo a palla, ai ragazzini, maschi e femmine, che prima di dar fondo al caricatore posano per le foto ricordo imbracciando il fucile da assalto, senza pensare alle imprese di alcuni loro coetanei che hanno imbarazzato l’America di recente. Gli organizzatori, perché il raduno non è autogestito, ma c’è alle

spalle un vero comitato, pensano a tutto, curando ogni rivolo del divertimento: si può sparare, tanto per cominciare, di giorno o di notte, usando mirini infrarosso e proiettili traccianti, stando tranquillamente seduti sotto una tettoia oppure strisciando sul terreno, per simulare i soldati in prima linea, o ancora salire a bordo di pick up che saltano fra le dune o per finire alzandosi in volo. E per rendere indelebile la giornata, gran finale con fuochi artificiali, rappresentati da una buona dose di esplosivo al plastico sistemato sui bersagli, da far esplodere proprio alla fine, quando tutti si sono sfogati e anche l’ultima pallottola è stata espulsa dall’ultimo otturatore. Il prossimo appuntamento è in programma dal 25 al 27 ottobre prossimi: chi sente che sta per esplodere faccia la valigia. 7

fermare gli “school shooter” Il possesso delle armi è sancito dal Secondo emendamento della Costituzione americana. Tutto ha inizio dal periodo delle occupazioni straniere e dall’epopea dei pionieri, che necessariamente dovevano difendere se stessi e le loro famiglie da pericoli d’ogni tipo. Ogni stato ha proprie regole precise, che interpretano la decisione della Corte Suprema del 2008 che dichiarava incostituzionale il divieto di possederne per gli abitanti del District of Columbia. Ma la questione è tornata drammaticamente attuale per via delle recenti stragi che hanno mietuto decine di vittime, fra cui i 20 bambini della scuola elementare Sammy Hook di Newton, tragedia che ha convinto la Casa Bianca a dover rivedere le norme che regolano il possesso delle armi. Fra le prime iniziative di Barack Obama, osteggiate dalla potente lobby dei costruttori di armi, il divieto di vendita per fucili da assalto e caricatori con più di 10 colpi, con l’aggiunta di controlli più rigorosi sugli acquirenti da parte dell’FBI, che per definire l’ondata di giovani assassini ha coniato l’inquietante termine di “school shooter”, pistolero della scuola.


attualità/2 Barbie Café

IL PRIMO VERO LOCALE DEDICATO ALLA BAMBOLA PIÙ CELEBRE DEL MONDO HA APERTO A TAIWAN, ED È IN BUONA COMPAGNIA

IN A PLASTIC

world B

arbara Millicent Roberts ha, o meglio dovrebbe avere, 54 anni. Ma i segni del tempo su di lei non si vedono: è sempre bellissima, altissima, levigatissima. Veste alla modissima e in carriera, secondo le statistiche, ha svolto centinaia di mestierissimi, facendosi fotografare con 38 specie di animali diversissimi, compresa una zebra e un leoncino. Tutto inizia nel 1954, quando Ruth Handler, capoccia della Mattel, guarda le figlie giocare con le bambole di carta e capisce che una in plastica, da vestire, svestire e pettinare può essere un business. Cinque anni dopo, nel 1959, nasce Barbie, nomignolo appunto di Barbara Millicent Roberts, la bambola più venduta della storia dell’umanità, riprodotta in milioni di esemplari e nel tempo dotata addirittura di

18| giugno/luglio ‘13


una storia personale: figlia della buona borghesia, ha sei fra fratelli e sorelle, studia alla Willows High School, in Wisconsin, ma si diploma alla Manhattan International High School di New York. Dal 1961 è fidanzata con Ken, ed il loro è un amore eterno, plastificato, al punto che qualche anno fa, quando si è sparsa la voce che i due si erano lasciati e Barbie filava con il surfista Blaine, è successo un mezzo pandemonio. Nel 2006, per fortuna, Barbie e Ken hanno fatto pace e ora si avviano verso la terza età senza neanche un accenno di cellulite o di pancetta. Ma visto che non esiste generazione di femminucce che non abbia passato qualche ora a giocare con la bambola bionda, e migliaia di collezionisti si scambiano tutt’ora i modelli storici immolando valigiate di denaro, a Taipei è nato il primo Barbie Café del mondo. Taipei non è un caso, visto che le bambole per lungo tempo erano prodotte proprio nella capitale del Taiwan, paese che da qualche anno sta vivendo una forte impennata economica, sottolineata dall’avvento di locali a tema: c’è il bar di una compagnia aerea, con cameriere-hostess, ce n’è un altro in stile ospedale dove le bibite sono servite in siringhe (finte) e flebo (vere, ma non da iniettare), c’è un ristorante che al posto dei piatti e delle sedie usa gabinetti, in scala ridotta i primi, a grandezza naturale gli altri, e per finire si segnala anche un locale dedicato a Hello Kitty. Ecco perché nessuno si è stupito, quando il Barbie Café ha aperto i battenti nella centralissima Zhongxiao road. E dire che questo non è esattamente uno scherzo di investimento: 1,7 milioni di dollari per 660 metri quadri tinti di rosa confetto e lilla, adornati con qualsiasi orpello possa ricordare la nuvola bionda: sedie con bustier a laccetto, tutù, glitter, pizzi, nastri e luccichii d’ogni sorta. I tavoli sono a forma di scarpa con tacco 15, torte, cupcake e dolcetti rappresentano bambole e vestitini riprodotti in pasta di zucchero e perfino il menù e il personale sono abbigliati con la gonnina fucsia e la coroncina in testa, come piacerebbe a Barbie. Ma intanto tutto questo piace alla Mattel, che per la prima volta nella sua storia ha dato l’ok all’operazione, trasformando l’idea di un imprenditore fantasioso in un vero e proprio luogo ufficialmente riconosciuto. Prima di uscire, è quasi d’obbligo la foto all’interno dell’enorme scatola che riproduce la confezione della Barbie: dopo aver provato per tanti anni a farla diventare una persona reale, ora si può provare a capire come ci si sente lì dentro, in attesa dei capricci di una bambina. 7

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Tecnologia I nuovi gadget

UN’INFILATA DI DIAVOLERIE ELETTRONICHE STA PER INVADERE LE NOSTRE CASE: ECCO LE PIÙ CURIOSE E STRAVAGANTI

BAZAR

FANTASIA MANGIA CHE TI PASSA Chi si sente in colpa quando mangia ha un’alleata in più: la forchetta. Si chiama Hapifork, sarà in vendita a breve a 75 euro ed è un sistema che registra ogni mangiata, comunicando al solito smartphone calorie ingerite e velocità con cui si ripetono le forchettate, creando una banca dati sulle abitudini alimentari e funzioni cardiache. Tutto si basa su un sensore che si attiva quando la forchetta entra in bocca, emettendo addirittura una vibrazione se giudica la quantità di cibo esagerata.

A

ncora non sappiamo in che modo ricorderemo quest’anno, ma fra le poche, pochissime certezze che abbiamo, se ne fa strada una: è un anno pieno zeppo di piccole, grandi novità tecnologiche e di rivoluzioni tecnologiche. Sta arrivando la carica di un’infilata di oggetti più o meno grandi che al momento - a volte - si limitano a strappare un sorriso,

20| giugno/luglio ‘13

ma che pre sto gli esperti assicurano che entreranno nell’uso quotidiano. Una prima infornata di diavolerie è arrivata dal CES di Las Vegas, il Consumer Electronics Show, una delle più importanti fiere dedicate all’elettronica di consumo, dal 1978 vetrina del futuribile prossimo venturo che da sempre mostra la strada al mondo intero. L’ultima edizione, malgrado i venti di recessione in arrivo da ogni angolo del pianeta, ha portato in dote de cine di gadget, sospesi fra il simpatico, il necessario ed il superfluo. Ma nulla è più affascinante di ciò che non serve, giusto? 7


PERSO PER PERSO IL SEGUGIO DEI BAGAGLI Gli sbadati di tutta la terra presto non potranno più fare a meno di StickNFind: piccoli adesivi di varie dimensioni che si applicano agli oggetti che si perdono di più, dotati di antenna Bluetooth per permettere di ritrovarli nel raggio di 100 metri attraverso un’apposita “app” da scaricare sullo smartphone. La confezione è già in vendita a 25 dollari (19 euro circa) sul sito www.indiegogo.com.

La valigia non arriva e nessuno ha idea di dove sia finita? TrakDot 9, prodotto dalla GlobalTrac, nasce per risolvere l’angosciante dilemma di ogni viaggiatore, che vive perennemente col timore di non ritrovare più il proprio bagaglio. TrakDot 9 è composto da una scatoletta colorata da chiudere in valigia, che comunica via sms o email l’esatta posizione del bagaglio. In vendita a 40 euro.

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richi Con un chiaro rrot ration, alla Pa ne ge della beat er: si w Po er ow Fl ato l’hanno chiam arenza stema, all’app tratta di un si i vasi ne re ta an , da pi molto discreto muco il bluetooh di fiori. Tramite hotp ar sm llo te su nica direttamen mca e di bagnare in ne la necessità i qu Da . ta alla pian biare la terra e non rd ve ce lli po il poi, non avere usa. sarà più una sc

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INTELLIGENZA FREDDA Samsung sta per lanciare in commercio il RF4289 Wifi Refrigerator, primissimo frigorifero che tramite wi-fi si connette a internet fornendo in tempo reale il quadro completo di ciò che mantiene in fresco: dalla temperatura a cosa manca, cosa sta scadendo e cosa invece c’è in abbondanza, per evitare doppioni. Non basta, perché il frigo, nelle sue funzioni, permette connessioni ai social network come di ascoltare musica e guardare video attraverso il touchscreen da 8 pollici. Sarà in vendita entro l’anno a 2.500 euro circa.

VOGLIA DI UNA SOSTA

TASTO O NON TASTO? Alla tastiera che compare sul tablet manca l’idea dei tasti? La Tactus Morphing ha creato una soluzione che presto potrebbe rivoluzionare il mercato: si tratta di una sostanza in grado di far “emergere” la tastiera sullo schermo del tablet. La tecnologia si basa su un particolare liquido che riempie alcune membrane gonfiandole fino a ricreare i tasti.

22| giugno/luglio ‘13

C’è vasino e vasino, ma per i piccoli nell’era del 2.0 è in arrivo una novità che metterà loro la voglia di sedersi ed espletare. Alla CTA Design l’hanno chiamato iPlotty e in rete ha scatenato una valanga di proteste, perché al semplice e tenero vasino unisce la possibilità di collegare un tablet con cui il bimbo può tranquillamente giocare, senza alcuna fretta di finire e correre via. Il rischio è di allenare i più piccoli a diventare come i loro padri: futuri adulti che approfittano della sosta fisiologica per leggere e lavorare. iPotty è adatto per bimbi da sei mesi a tre anni e in America è già in vendita a 40 dollari.


ORECCHIE DA MERCANTE

Cuffiette civettuole con le orecchie? Giammai. Le Nekomimi sono un sofisticato sistema in grado di analizzare le onde cerebrali e leggere l’umore di chi le indossa, muovendosi di conseguenza. A cosa servano non è dato saperlo, ma c’è da giurarci che andranno a ruba. In vendita a 100 euro circa, in attesa della coda da applicare a gonna o pantaloni, già annunciata.

A ME GLI OCCHI Anche il touch screen sembra avere i giorni contati: Rex è l’ultimissima idea della Tobii, azienda specializzata nei controller oculari, che permette di agire sui programmi del proprio computer muovendo solamente gli occhi. Un sistema piccolissimo, grande come una chiavetta Usb, da applicare a qualsiasi computer. Al momento, Rex non è ancora in vendita ufficialmente: i 5.000 esemplari prodotti finora (venduti a quasi 1.000 dollari ciascuno), sono stati inviati a sviluppatori e programmatori per testarne la bontà.

CALIFORNIA DREAMIN

Zboard è lo skateboar d del futuro: ricorda un po’ quello di “Ritorno al futuro” ma non vola, si basa piuttosto sul principio dei Seg way, dispositivi di trasporto person ale adottati anche dalla polizia. Zbo ard, ideato da un team composto da sportivi e ingegneri california ni, è dotato di un piccolo motore ele ttrico: per muoversi è sufficiente sporgersi in avanti, e inclinarsi all’ indietro per fermarsi. Due le versio ni: Classic (8 km di autonomia a 25 km/h) e Pro che aumenta l’autonom ia a 16 km. In vendita a 650 e 950 dollari sul sito www.zboardshop.co m.

SENZA TRUCCO Fra le più curiose diavolerie esposte al CES, spicca senza dubbio il Luna, struccatore digitale dell’americana Foreo che manda di colpo in pensione i dischetti di cotone. Destinati alla pelle ci sono tre strati di silicone anallergico vibrante (14 mila pulsazioni al minuto) che struccano, idratano e aprono i pori. In vendita dalla prossima primavera, a prezzi non ancora comunicati.

giugno/luglio ‘13 |23


U

no degli aspetti più affascinanti dell’esistenza è la possibilità di lasciare un segno nel reale. Adolescere realizza un sogno, un ideale collettivo: essere il punto di riferimento per la crescita sociale, culturale e relazionale con i ragazzi, gli adolescenti e i giovani, valorizzandone la complessità di cui sono espressione, in un rinnovato patto di solidarietà con il territorio, geograficamente, culturalmente e pedagogicamente inteso. Solidarietà intesa come cultura intelligente del cambiamento. E’ un processo complesso, dinamico, che si alimenta dei saperi condivisi, della qualità e dell’ampiezza delle relazioni; non si accontenta di una mera razionalizzazione dell’esistente; è impegno e partecipazione alla propria realtà nonchè apprendimento della speranza. Adolescere è un’avventura conoscitiva in cui le originali e aperte strutture presenti nell’Oltrepò , la competenza e la vivacità intellettuale degli operatori, la loro capacità di trasformare un’idea in un progetto, ma soprattutto imparare dai successi e dagli insuccessi, i numerosi esperti con i loro saperi, gli amici, i simpatizzanti ma soprattutto i ragazzi, le famiglie e le scuole che condividono e partecipano ai progetti, sono la garanzia di un patto di reciprocità.

Reciprocità che consiste nell’essere tutti protagonisti per lo sviluppo. Sviluppo sostenibile attraverso la simpatia delle relazioni, la formazione, la cultura, il forte senso di

appartenenza alla comunità locale. Convinti che dietro l’angolo non c’è l’ignoto, ma la somma delle nostre decisioni.

Gianni Schiesaro Direttore Fondazione Adolescere.



natura L’Olanda dall’alto

tavolozza

naturale UN VOLO SULLE DISTESE DI TULIPANI NEL MOMENTO DELLA MASSIMA FIORITURA, TRASFORMA GLI SCATTI DI UN FOTOGRAFO FRANCESE IN DIPINTI DI RARA BELLEZZA

26| giugno/luglio ‘13

C

osa possono pennelli, tele e colori, quando scende in campo la natura? Architetto, pittore, paesaggista, ritrattista: non esiste campo dove il creato non sia ancora capace di stupire chi guarda, malgrado le violenze quotidiane a cui è sottoposto. Quello rappresentato in queste foto, ad esem-


paese ha potuto goderne, trasformando una passione nobiliare nel soprannome dell’Olanda, ancora oggi conosciuta come il giardino d’Europa proprio grazie ai tulipani. In ogni angolo del paese, nei mesi primaverili, fiere, concorsi e mostre dedicate al tulipano si accavallano, attirando migliaia di persone da tutto il mondo.

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z bi a. n i lp -a lla

•FLORICOLTURA •GIARDINAGGIO •PISCINE •CIBO PER ANIMALI

pio, è uno degli spettacoli più belli e incredibili messi in scena dalla natura, con la complicità dell’uomo, è vero, ma solo perché proprio in questo ha trovato un modo di ricavarne un profitto. I tulipani stanno all’Olanda come la birra sta alla Germania, sono un vanto, un motivo d’orgoglio, un business colossale, un simbolo universalmente riconosciuto, come Van Gogh, Van Basten ed il formaggio con la cera rossa intorno, per quelli che preferiscono andare sul pratico. Arrivano in Europa nel XVI secolo passando per la Turchia, ma è proprio in Olanda che prendono così piede da trasformarsi in una mania collettiva: le famiglie più facoltose facevano a gara, senza lesinarsi colpi bassi, per creare le specie più belle, colorate e soprattutto rare. Col tempo è arrivata la democratizzazione del tulipano e l’intero

E grazie alle moderne tecniche di coltura, i tulipani ci sono tutto l’anno, ma è soprattutto in primavera, nella stagione della fioritura, che l’Olanda si trasforma in una tavolozza di colori con cui nessun artista potrà mai competere: distese di colori e sfumature fino all’orizzonte, ordinati in file, separati e divise in base alla tinta, come patchwork infiniti. Chi vuole, può noleggiare un aereo e farsi un giro sui cieli d’Olanda, restando affascinato di fronte a tanta maestria. Un po’ come ha fatto il fotografo francese Normann Szkop, che ha scelto la zona di Anna Paulowna (località che deve il proprio nome all’ottava figlia dello zar Paolo I), nel nord del paese, per noleggiare un piccolo Cessna da turismo e farsi accompagnare sulle distese di tulipani con la sua macchina fotografica. Si è informato, ha chiesto e gli hanno indicato il momento migliore, quello in cui ogni foto sarebbe poi sembrata un dipinto. Il risultato è ciò che si vede in queste pagine, con il testo che si chiude qui, per togliere meno spazio possibile al talento infinito di madre natura. 7

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PRESTAGIONALE PELLET E LEGNA DA ARDERE


moda Kate Moss

LA TOP PIÙ CELEBRE, SULLA SOGLIA DELLE 40 PRIMAVERE, SI CONCEDE SENZA VELI PER QUESTIONI PUBBLICITARIE. E SONO SCATTI DESTINATI ALLA STORIA

K

atherine Ann Moss, per tutti Kate, non è nuova al mestiere di prestare il proprio corpo in campagne pubblicitarie, che siano di abbigliamento, cosmetici o quant’altro. I più informati la ricorderanno in posa per Rimmel, Dior, Chanel e via così, sempre sexy, con la sua bellezza imperfetta e l’espressione un po’ distante, come insegnano i natali inglesi. Ma l’estate del 2013, malgrado per Kate si avvicini la data fatidica dei 40 anni (li compirà il 16 gennaio prossimo), è di quelle da ricordare. E non solo per lei. La supermodella inglese, in vent’anni di carriera comparsa si calcola sulle copertine di oltre 300 riviste diverse, madre della piccola Lila Grace (nata nel 2002) e frequentatrice delle pagine scandalistiche di tutto il mondo per una certa abilità alle serate sopra le righe, diciamo così, ha accettato la proposta del marchio St. Tropez, prestando il proprio corpo ad una nuova linea di autoabbronzanti. Ma non un pezzo

del corpo, inteso come la solita coscia o ampi stralci di petto, ma il corpo per intero. E per di più totalmente nudo, come mamma l’ha fatta. Un impegno, fra i tanti che quest’estate affollano la sua agenda, a cui pare Kate abbia aderito con vivo piacere, perché da sempre utilizzatrice in prima persona dei cosmetici di cui sopra. Il risultato è quanto si vede in queste pagine, con miss Kate, ancora oggi la modella più richiesta, seconda nel cachet solo a Gisele Bundchen malgrado gli scandali che affollano la sua condotta fuori dal set (fra cui il più pesante, quello per droga del 2005), a suo agio in costume e senza, ripresa sul bordo di una piscina, segnando il tempo all’estate 2013 come nessun altro sa fare. Poco da aggiungere anche per lo stato di conservazione di miss Moss, che malgrado la dirittura d’arrivo ai 40 anni non sembra accusare i segni del tempo, mostrando un personalino che molte donne, e decisamente più giovani, nemmeno si sognano. 7

abbronzat

28| giugno/luglio ‘13


Professione “bad girl” Nativa di Croydon, sobborgo borghese della grande Londra, Kate Moss ha appena 14 anni quando Sarah Doukas, motore dell’agenzia Storm, la nota fra la folla dell’aeroporto di New York. Bella lo è, ma non sfiora la perfezione come le più grandi top del tempo: la Schiffer, la Crawford, la Macpherson. Lei risponde caricandosi sulle spalle la campagna che lancia Calvin Klein, senza timori e pudori, diventando la più celebre, la più richiesta, la più elegante, la più disubbidiente di tutte. Non c’è passerella dove non sia salita, griffe con cui non abbia siglato un contratto, magazine che non le abbia dedicato più di una copertina. I guai sembrano pioverle addosso il 15 settembre 2005, quando il “Daily Mirror” pubblica alcune foto che ritraggono Kate mentre sniffa cocaina in compagnia del musicista Pete Doherty. Sembra la fine di una carriera: qualcuno straccia i contratti, il mondo della moda le gira le spalle e tutti la condannano pubblicamente. Invece, per assurdo, lo scandalo le serve: Kate Moss torna in auge, e l’aria da “bad girl” è un trampolino per riprendere la scalata verso il successo. Non meno tormentato è il carnet delle conquiste ufficiali, che inizia con Johnny Depp, fa una tappa importante con Jefferson Hack, editore padre di sua figlia Lila Grace, e attualmente è fermo a Jamie Hince, altro musicista, sposato nel 2011 con una cerimonia di allarmante semplicità.

issima

giugno/luglio ‘13 |29


food/1 cene d’estate

AGGIUNGI C il caldo A TAVOLA

’è voglia di caldo, di vacanza, di cene con gli amici nel giardino chi può - altrimenti sul balcone, o perfino in casa. Poco importa il luogo, rispetto alla piacevole sensazione di dare il benvenuto alla stagione più bella dell’anno. E anche il mercato segue i cicli annuali, li asseconda, si sforza di trovare soluzioni nuove, diverse, suggestive, curiose e funzionali, per rendere ogni estate un po’ più indimenticabile di quella precedente. 7

A SPASSO FRA ALCUNE CURIOSITÀ SULL’ARTE DI AVERE OSPITI A CASA, O SEMPLICEMENTE DI CONCEDERSI I PIACERI DELLA BELLA STAGIONE

LA GRANDEUR DELLE BOLLICINE Il marchio Moët & Chandon, storico produttore di champagne, ha accompagnato il lungo viaggio promozionale de “Il grande Gatsby”, film-evento basato sull’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald riportato sullo schermo dal regista Baz Luhrmann con la complicità di Leonardo Di Caprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan. La grandeur degli anni Venti, che rivive sul grande schermo, ha convinto il marchio francese a seguire ogni red carpet, ogni evento pubblico e privato del film. 30| giugno/luglio ‘13

DECANTARE IL VINO Mettere in tavola oggetti curiosi assicura (capacità culinarie a parte), un inizio vincente ad ogni serata. Per questo, sono nati due nuovi decanter per il vino, creati da Riedel per celebrare i 40 anni della linea Sommelier. Il primo, Boa, si ispira all’anno cinese del Serpente e assicura una doppia decantazione che “apre” il vino ancor più velocemente. Curly, al contrario, è percorso da una striscia di cristallo rosa che ne segue la silhouette interna.


500 FRIGIDAIRE Si chiama “Smeg 500”, e non poteva essere altrimenti, visto che si tratta di un frigorifero ispirato al mitico frontale della piccola Fiat. Realizzato da Smeg, Fiat e lo zampino di “Italia Indipendent” di Lapo Elkann, segna in realtà il rinnovo della col-

laborazione fra l’azienda di elettrodomestici ed il marchio torinese, iniziata negli anni Cinquanta. Lo Smeg 500 (100 litri di capacità, classe energetica A+, disponibile in tre colori) va a rimpolpare la collezione “Fiat 500 Design Collection” ed è ordinabile attraverso il sito www.fiato500design.com.

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GRIGLIARE, CHE PASSIONE Sono 10, i nuovi barbeque ideati da Weber per adattarsi a gusti, esigenze e budget. La gamma si compone di modelli a gas composti da bruciatori frontali, ergonomici, pratici e compatti, dotati di piani di lavoro fissi e mobili, ganci portautensili, porta condimenti e copribombole esterno, ma anche di versioni a carbonella, con impugnature in nylon rinforzato, termometro integrato, porta-cenere removibile, ruote e griglie in acciaio cromato. Prezzi da 500 a 1.000 euro (www.barbequeweber.com).

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food/2 la mozzarella

CHE BUFALA… REGINA DELLE TAVOLE, ALIMENTO FRESCO CHE SI ADATTA AD OGNI STAGIONE, ANCHE SE D’ESTATE ATTIRA PER LA SEMPLICITÀ E LA VOCAZIONE AD ACCOMPAGNARE SFIZI GASTRONOMICI, LA MOZZARELLA DI BUFALA È UNO DEI PRODOTTI CASEARI ITALIANI PIÙ AMATI NEL MONDO

Pigliala con due dita e premi: se cola il latte va bene, altrimenti lascia perdere”. È Totò, in “Miseria e nobiltà”, trasposizione cinematografica del 1954 dell’opera teatrale di Edoardo Scarpetta, a dettare le regole della mozzarella di bufala. Una specialità tutta italiana che da tempo ha varcato i nostri confini per arrivare ovunque ci sia una tavola: definita “la principessa” della dieta mediterranea, particolare modo di cibarsi ricco di vitamine e scarso di grassi saturi, quelli che fanno più male all’organismo. Malgrado il bufalo non sia una razza bovina italiana,

32| giugno/luglio ‘13

ma asiatica, la mozzarella batte bandiera tricolore. Il nome stesso deriva dal particolare trattamento di separazione dell’impasto, conosciuto e citato fin dal XI secolo, quando i monaci di un’abbazia alle porte di Aversa offrivano a viandanti e pellegri-

ni una fetta di pane accompagnato dalla “mozza”. Da allora, la mozzarella di strada ne ha fatta, attraversando tempi e oceani, mantenendo la caratteristica di formaggio

a pasta filante molle. La mozzarella non è un prodotto stagionale, si consuma tutto l’anno, ma è proprio in estate che vive la sua massima espressione: fresca, adatta per uno spuntino e ideale per essere


mangiata a crudo, con un filo d’olio e qualche foglia di basilico ad esaltarne il gusto, o come ingrediente della pizza, altro caposaldo della cucina italiana. Va consumata fresca e conservata in frigo, immersa nel suo liquido originale, da cui

zarelle, anche la cooperativa “Le terre di Don Peppe Diana”, dedicata al prete assassinato dalla camorra a Casal di Principe nel marzo 1994. Inserita da Woody Allen in “To Rome with love” fra le bellezze della Capitale italiana insieme al Colosseo, i gradini di Piazza di Spagna e i “pizzardoni”, i vigili di Roma secondo la parlata romanesca, la mozzarella è la protagonista anche di una pellicola del 2011, diretta da Edoardo De Angelis. In “Mozzarella Stories” (nella locandina definita “una commedia malavitosa a case di caglio”), interpretata da Giampaolo Fabrizio, Luisa Ranieri, Aida Turturro e Tony Laudadio, si raccontano le vicende di un’azienda che produce bufale, nel senso di mozzarelle, e intrecci familiari. 7

va tolta una mezzora prima e immersa, se troppo fredda, in acqua calda. Da poco, a metà maggio, “l’oro bianco”, com’è chiamata secondo un’altra definizione, ha vissuto uno dei massimi momenti pubblici con “Le strade della mozzarella”, evento ospitato a Paestum, fra l’area archeologica ed il parco fluviale di Capodifiume, affidata alle sapienti mani di chef di grande talento come Massimo Bottura e Gennaro Esposito. Fra i tanti caseifici che ogni anno accorrono con le loro moz-

È un negozio di alimentari specializzato nella vendita di salumi e formaggi freschi e stagionati campani e non solo. Artigianalità, materie prime selezionate e passione sono le caratteristiche dell’attività di distribuzione al dettaglio ed all’ingrosso... È il punto di riferimento per quanti siano alla ricerca degli originali prodotti tipici campani... Consegne a domicilio ai nti e alle pizzerie... p ristoranti Tel. 0371/1210067 71/1 71 /12110067

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34| giugno/luglio ‘13

opere ricurve


S

arà che le tele costano parecchio, e di questi tempi non è il caso di scialare, oppure che la primavera è sbocciata e la frutta di stagione riempie di colori le bancarelle di frutta e verdura. Sarà tutto questo, diamolo per buono giusto il tempo di darsi una spiegazione sulla crescita continua di un filone di artisti che ha deciso di dire basta a travertino, ciliegio e onice, per dedicarsi alla decorazione delle banane. Capofila della tendenza è un giapponese dal nome ovviamente difficile: Keisuke Yamada. Costui, armato di un cucchiaio, alcuni stuzzi-

tivi e prove con centinaia di banane incise, fotografate per postarle su qualche social network e alla fine mangiate, probabilmente incidendo non poco sul bilancio familiare di casa Yamada, fino a trasformarlo in una celebrità in materia, che oggi è disponibile ad esporre in tutto il mondo, a patto di trovare una cella frigorifera dove sistemare le sue opere dopo la chiusura o un pubblico disposto a mangiarsi tutto al termine della performance. A lui, dice sicuro, basta una mezzora per finire un’opera d’arte ricca di potassio: con il cucchiaio liscia la polpa, con gli stuzzicadenti la incide a piacere. Tutto qui. 5

cadenti, molta pazienza e almeno una lente d’ingrandimento, ha iniziato anni fa a ornare ogni frutto gli portasse la mamma a fine pasto, fino a capire che è la banana, nient’altro che la banana, la tela migliore offerta da madre natura. Un giorno, si legge, ne osserva una dopo averla sbucciata e quasi per scherzo disegna un volto. Sta iniziando la seconda vita di Keisuke, 24 anni e sguardo un po’ spiritato, elettricista di giorno e bananista a tempo perso: anni di esercizi, tentagiugno/luglio ‘13 |35


Forse si tratta solo di un nuovo modo di interpretare l’arte, espressione umana intesa come la continua a ricerca di traguardi sempre nuovi da superare, ma la “banana art” imperversa fra oriente e occidente e promette nuovi scenari. Gli adepti della disciplina, peraltro qualcuno bravo davve-

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ro, molte volte si concentrano sulla buccia, notoriamente gialla ma che a contatto con l’aria produce in breve tempo un’ossidazione che tinge di scuro qualsiasi intaglio, così da permettere a chi lo sa fare di giocare sui chiaro-scuri, incidendo più a fondo dove serve e sfiorando appena nei punti dove invece non è il caso. Mentre altri banana-artist, come ad esempio Keisuke, preferiscono complicarsi un po’ l’esistenza modellandone la polpa fino a realizzare un’infinita galleria di ritratti fantasiosi, alcuni ripresi da film (i mostri della saga “Pirati dei Caraibi” e di “Alien”, ad esempio), altri ispirati a celebrità, simili agli originali nell’espressione del volto ma inevitabilmente trasfigurati nel fisico in tante banane. Fra le più recenti produzioni perfino William & Kate, diventati banane dall’aspetto regale, ma pur sempre babane. 7


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musica Abba Museum

C A VOLTE

RISUONANO AL CELEBRE GRUPPO SVEDESE, CHE NEL 1982 HA LASCIATO ORFANI STUOLI DI FANS, È DEDICATO UN MUSEO APERTO DI RECENTE A STOCCOLMA: GLI ORGANIZZATORI SI ASPETTANO OLTRE 250 MILA PRESENZE ALL’ANNO, TUTTI PRONTI A DIVENTARE IL QUINTO COMPONENTE

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hissà come ci sente, a vendere 378 milioni di dischi in dieci anni appena di attività, dal 1972 al 1982, in fondo gli anni giusti per cantare roba che faceva ballare, pensare, commuovere, divertire e soprattutto vendere. Gli Abba, acronimo di Agnetha, Björn, Benny e Anni-Frid restano uno dei vanti della Svezia, idolatrati come i Beatles lo sono da altre parti, corteggiati dai produttori di tutto il mondo che pur di vederli di nuovo insieme non hanno esitato a mettergli davanti agli occhi assegni in bianco: scrivete voi la cifra. Ma quando di mezzo ci sono i sentimenti, a nulla possono i soldi, specie se durante i dieci anni citati prima, il loro patrimonio superava quello del re di Svezia. Una popolarità talmente massiccia che ogni loro raccolta ha scalato le classifiche, con picchi di isteria popolare perfino imbarazzanti raggiunti nel 2005, quando il musical “Mamma mia!”, basato sui loro successi, polverizza ovunque gli incassi, tanto da diventare anche un film due anni dopo, interpretato da Meryl Streep, Pierce Brosnan e Colin Firth. All’appello mancava solo un luogo da offrire al pellegrinaggio del popolo degli Abba, che ancora oggi spera di rivedere i quattro insieme su un palco. Non succederà, assicurano ogni volta che si trovano davanti ad un microfono, ma almeno hanno accettato di scendere a patti con una celebrità che non li molla. Dopo decenni di equilibri difficili e contratti curati da stuoli di legali,


QUATTRO PER QUATTRO Nati ufficialmente nel 1970 dall’incontro dei due maschi del gruppo ad una festa folk e diventati quartetto con l’ingresso delle due donne, esplodono letteralmente solo quattro anni dopo con la vittoria all’Eurovision Song Contest del 1974, dove incantano tutti con “Waterloo”. La loro sarà una carriera fulminante e ricchissima, costellata da successi inaffondabili distribuiti su 22 album totali, di cui 8 in studio, 1 live e 13 raccolte (fra le quali “Abba Gold”, che nel 1992 vende 30 milioni di copie), destinata a chiudersi nel 1982, con i matrimoni fra i quattro componenti giunti al capolinea e l’impossibilità oggettiva ad andare avanti facendo finta di niente nel nome del business. Da allora sono apparsi insieme solo in rare occasioni e per pochi minuti: nel 2005, al gala di “Mamma mia!”, e tre anni dopo, all’anteprima della pellicola. Nel marzo 2010, gli Abba sono entrati nella Rock and Roll Hall of Fame e “Super Trouper”, uno dei loro maggiori successi, è suonato ogni giorno al cambio della guardia del palazzo reale di Stoccolma. Dopo lo scioglimento, Benny Andersson e Björn Ulvaeus hanno continuato a scrivere e produrre musica, la bionda Agnetha Fältskog ha alternato lunghi silenzi a qualche album solista mentre Frida, soprannome di Anni-Frid Lyngstad, ha invece chiuso con la musica: rimasta vedova, ha perso una figlia in un incidente stradale e oggi si dedica a iniziative benefiche, vivendo fra Friburgo e Zermatt.

i quattro hanno messo da parte i dissidi cedendo parte del loro guardaroba, dei ricordi e delle attrezzature ad un museo che ha aperto agli inizi di maggio a Stoccolma. L’Abba Museum si estende su 2.000 mq: non male, pensando che è inglobato all’interno dell’History of Swedish Popolar Music, che di mq ne conta 5.000 in totale. L’esposizione, disposta su cinque piani e curata in ogni dettaglio, raccoglie costumi di scena, strumenti musicali, spartiti, interviste, schizzi, disegni, premi, gioielli, album, libri e appunti, ma vuole soprattutto trasformare ogni visitatore nel quinto componente degli Abba: si sale sul palco dopo aver scelto una delle loro canzoni, e

i quattro appaiono grazie ad un sofisticato sistema di ologrammi, dando la sensazione di cantare realmente insieme a loro. C’è la ricostruzione del “Folk Park” dove Benny e Björn si incontrarono, i camerini del gruppo, il mixer originale, la cucina della casa Lidingö dove vivevano, a pochi minuti dal celebre “Polar Studio” in cui sono nati la maggior parte dei loro successi. La spe-

ranza di tutti è vedere pianoforte di Benny mettersi a suonare: pare sia collegato a quello del musicista, e quando lui si siede al piano, lo fa anche quello del museo. Massima attenzione anche per l’enorme telefono rosso, il cui numero è conosciuto solo dai quattro Abba: se squilla, si può essere certi che dall’altro capo ci sia uno dei quattro, pronto a chiacchierare con i fan. 7

Djurgårdsvägen 68 - Stoccolma, Svezia info@abbathemuseum.com www.abbathemuseum.com Aperto tutti i giorni dalle 10 alle 20. Ingresso - Intero: 195 corone svedesi (22,68 €) - Bambini (dagli 8 anni): 50 corone svedesi (5,82 €) - Audioguide: 40 corone svedesi (4,65 €)


CINEMA To the wonder

T

errence Malick è un personaggio fra i più strani e curiosi dell’intero panorama cinematografico americano. Texano di Waco, classe 1943, si laurea in filosofia, lavora nei pozzi di petrolio e per caso si avvicina al cinema: due piccole parti in altrettanti film, poi scompare senza dire il perché, e tantomeno lasciare un indirizzo nel quale trovarlo. Da allora si chiude nel suo mondo: evita le interviste, odia la televisione, le conferenze stampa e le passerelle dello star-system, da cui si tiene rigorosamente lontano. Esistono addirittura poche foto che lo ritraggono, cosa vietata perfino a sua moglie, che qualche scatto avrebbe magari avuto piacere di farlo, ai compleanni e per le vacanze. Nel 1998, a sorpresa, Malick torna sulla scena con “La sottile linea rossa”, e le più grandi star di Hollywood fanno a gara per esserci, disposti a recitare gratis. Malick li scarta sdegnato quasi tutti, senza remore e timori,

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NUOVA FATICA PER TERRENCE MALICK, INTENSO E NON SEMPRE FACILE REGISTA AMERICANO CHE AMA I SILENZI E LE STORIE PROFONDE E DOLOROSE e soprattutto senza minimamente pensare alle questioni di botteghino. Ma la nuova vita sembra piacergli più del silenzio, e nel 2005 si ripete con “The new world”, film che racconta il conflitto fra i primi coloni e gli indiani d’America. Non contento del risultato, pretende di tagliare 17 minuti di pellicola quando questa ormai tranquillamente nelle sale, per dire che tipo è. “The tree of life”, nel 2011, vince la Palma d’Oro a Cannes: una saga familiare nell’America degli anni Cinquanta. Poi, con la stessa foga che l’aveva portato al silenzio tanti

anni prima, Malick torna con un nuovo lavoro, “To the wonder”, a soli due anni di distanza dalla sua ultima fatica. Il risultato però non cambia, Terrence Malick è un esploratore dell’anima, che usa il cinema per scendere nei meandri di un’umanità spesso ferita, sconfitta malgrado si ritrovi schierata dalla parte dei vincitori, ma resta


Cuore amore dolore comunque infelice, alla perenne ricerca di qualcosa che non c’è, e forse non ci sarà mai. Regista che non fa sconti, padrone di uno stile da amare perdutamente o da girarne alla larga, nemmeno stavolta Malick si smentisce. “To the wonder” è un dramma incentrato sull’amore, sui sentimenti che mutano alla faccia di tutti i “per sempre” di

quelli che si amano, o credono di farlo, su cuori che prima sprizzano tenerezza e un attimo dopo veleno. Ma è una storia raccontata a modo suo, usando poche parole (e per di più utilizzando inglese, francese, spagnolo e italiano), per lasciare che sia la musica a parlare, dando contorni criptici e chiusi ad una storia che sembra sempre dover partire e invece resta lì, a sussurrare quel tanto che basta, invece di dire. È un impegno, vedere un film di Malick. Tale e tanto che perfino nelle anteprime per la stampa, a cui ovviamente Malick non si è visto, la platea si è divisa quasi equamente fra fischi e applausi. Già detto, si ama da morire o non si vede l’ora che finisca. Questa volta, almeno, il cast è di quelli che in genere assicura buoni risultati in termini di incassi. Ben Affleck nel ruolo del protagonista maschile, Olga Kurylenko e Rachel McAdams, la biondina di “Midnight in Paris”, a dividersi quello femminile, Javier Bardem, sempre intenso, e perfino una strizzata d’occhio all’Italia, con una parte per Romina Mondello. 7

LA TRAMA

Neil è uno scrittore che, come tanti suoi colleghi, cerca l’ispirazione a Parigi. Che la trovi o meno non importa, specie quando sulla sua strada incontra Marina, giovane e bellissima donna russa madre di una bimba. I due si innamorano, perdono la testa uno per l’altro sullo sfondo di meraviglie europee che sembrano fatte apposta per condire le storie d’amore, come Mont Saint-Michel, finché madre e figlia scelgono di seguire l’uomo dei sogni fino in un ombelico di posto, al centro dell’Oklahoma, dove lui vive. E sarà la nostalgia, sarà che l’estate vola via, ma lo stesso amore che sembrava eterno fino a un attimo prima, va in crisi. E siccome le disgrazie non vengono mai da sole, anche il permesso di soggiorno dalla donna con bimba annessa scade, e in America su certe cose non si scherza affatto: quello è l’aereo per l’Europa, grazie e arrivederci. Ma invece di soffrire per la partenza dell’amata, Neil riallaccia un rapporto con una vecchia fiamma, capendo che forse si era sbagliato e l’amore vero è questo, e non quello. Qualche tempo dopo Marina torna in America, ma l’unico che a quel punto sembra darle retta è Padre Quintana, un sacerdote spagnolo in crisi almeno quanto lei.

IL CAST Neil Marina Jane Padre Quintana Tatiana Anna Sexton

Ben Affleck Olga Kurylenko Rachel McAdams Javier Bardem Tatiana Chiline Romina Mondello Tony O’Gans

LA SCHEDA DEL FILM

Regia, soggetto e sceneggiatura: Terrence Malick - Produttori: Sarah Green, Nicolas Gonda – Produttori esecutivi: Glen Basner, Jason Krigsfeld, Joseph Krigsfeld – Direttore della fotografia: Emmanuel Lubezki ASC, AMC – Montaggio: A.J. Edwards, Keith Fraase, Shane Hazen, Christopher Roldan, Mark Yoshikawa – Scenografie: Jack Fisk - Costumi: Jacqueline West - Musiche: Hanan Townshend - Produzione: FilmNation Entertainment, Brothers K Productions, in esclusiva per l’Italia Rai Cinema – Distribuzione in Italia: 01 Distribution – uscita nelle sale: 24 gennaio 2013.


sport/1 Lo Slacklining

I S E PP A AD UN

FILO LI I FUNAMBO ASO HANNO INV RE UN QUARTIE ANDO DI NAPOLI D RIMA VITA ALLA P ITALIANA ESIBIZIONE IALITÀ DI UNA SPEC PONENDO CHE SI STA IM . ANCHE da noi CORDA, SERVE UNA ILIBRIO, TANTO EQU COSCIENZA IN I D ’ O P N U ILITÀ E molta AG

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L

e discipline “rompicollo” sono davvero tante, e spesso impensabili. La storia stessa dell’umanità è imbottita dai nomi di gente che si è immolata in cerca di chissà quale popolarità, disposta a farsi chiudere in una botte per poi lanciarsi giù da una cascata, come di chi ha fatto tirare un cavo fra due grattacieli e ci ha passeggiato sopra, a centinaia di metri dal suolo, salutando con la manina quelli sotto. Ma l’adrenalina non conosce limiti, e per di più ama si nutrirsi di grandi fantasie, sempre più spinte verso l’estremo. L’ultima, in ordine di tempo, arriva dai soliti States, dove i rompicollo abbondano da sempre, e si chiama “Slacklining”. Volendogli dare una data di inizio si può parlare degli anni Ottanta, quando tutto filava liscio e i cerotti costavano forse meno, e mescola l’arrampicata sportiva all’arte circense dei funamboli, ma qualche significativa differenza: non prevede alcuna asta per bilanciarsi o corda a cui assicurarsi. Nulla di nulla, a parte una fettuccia di poliestere che può variare fra i 2,5 ed i 5 cm su cui saltare, camminare e fare evoluzioni a diversi metri dal suolo. Diventato popolare in Francia, Spagna e Germania, lo Slacklining col tempo si è diviso in sottocategorie, ognuna spettacolare e pericolosa quanto le altre. La Longline, ad esempio, prevede di camminare lungo un cavo, il più lungo possibile. A detenere il titolo è un certo Jerry Miszewski, che lo scorso anno ha coperto 494 metri di fettuccia senza mai cadere giù. Lo stesso

spericolato, detiene anche il record della Highline, in cui in principio è lo stesso, ma il cavo è montato a grandi altezze (in genere va in scena in montagna) ed è prescritto l’uso di un’imbragatura. Per finire con la Trickline, la più spettacolare di tutte, che prevede evoluzioni assortite sul solito cavo: salti, inginocchiamenti, rimbalzi, avvitamenti. Anche in questo caso, c’è un recordman: Samuel Bucher, capace di coprire 59 metri di fettuccia salterellando. Ed è stata proprio la Trickline, la specialità protagonista delle spettacolari foto di queste pagine. Una bella mattina di metà giugno, un gruppo di celebrità dello Slacklining ha invaso i quartieri più popolari di Napoli, dove i fili del bucato sono una coreografia coloratissima riprodotta in tutto il mondo, animando via Santa Lucia, una delle strade più conosciute del borgo napoletano, la stessa che ha ispirato la celebre “Santa Lucia”, malinconica canzone del 1849 resa celebre dai versi “sul mare luccica, l’astro d’argento”. Messi da parte la tradizione e perfino i mandolini, le finestre e i balconi di via Santa Lucia hanno fatto da fondale a salti ed evoluzioni fra quattro e sette metri di altezza (con una rete al di sotto, per evitare disgrazie) che hanno lasciato a bocca aperta una folla crescente, attirata dall’idea che qualcuno – per di più non in fuga – stesse approfittando dei fili del bucato. Fra i partecipanti anche Lukas Huber, funambolo altoatesino con meno di vent’anni ma già nome di spicco dello Slacklining mondiale. Alla fine, facendo i conti dei punteggi, ha vinto Benni Schmid, seguito dai due americani, Mickey Wilson e Brendan Gebhart. 7

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sport/2 Confederations Cup

ALÈ, TIFO E COLORI DAL TORNEO DI CALCIO CHE HA CATTURATO I TELEVISORI DEGLI ITALIANI IN QUESTO INIZIO D’ESTATE. UNA PICCOLA FINESTRA PRE-MONDIALE, SOSPESA FRA NOTIZIE UFFICIALI E SCIVOLONI IMBARAZZANTI 44| giugno/luglio ‘13

A

ntipasto ai mondiali del prossimo anno, ospitati sempre in Brasile, ma anche allenamento agli orari delle partite a cui il mondo dovrà adeguarsi, causa fuso orario impegnativo, e in fondo evento che ha riempito i televisori, come sempre accade rimasti orfani di telequiz e fiction, causa vacanze dei divi del piccolo schermo. Ma la Confederations Cup è stata soprattutto una festa, dello sport e della gente, malgrado i disordini


OH OH scatenati dal popolo brasiliano per protestare contro le spese sostenute dal governo, che pensa all’immagine internazionale piuttosto che ai bisogni della gente. Paese che vai, insofferenza che trovi. Ma almeno, non esiste posto al mondo dove tutto ciò che è calcio sappia trasformarsi in festa quanto il Brasile. Merito dell’infuocata “torcida”, com’è conosciuta l’indiavolata la tifoseria verdeoro, un mare colorato pieno di ritmo, musica e belle donne. Ma anche la Confederations Cup, giunta alla

nona edizione e fresca per l’Italia, specie escludendo la magra figura del 2009, dove approdò in qualità di campione del mondo in carica, e risolta con l’eliminazione già nel girone iniziale, ha avuto qualche sonoro scivolone. In fondo, anche questa volta gli azzurri sono entrati per il rotto della cuffia: la coppa delle confederazioni è aperta solo alle nazionali vincitrici dei campionati del proprio continente, con in più la formazione del paese ospitante e quella detentrice del titolo mondiale. Ma visto l’uno-due

della Spagna ad Europei e Mondiali, si è liberato un posto andato di diritto all’Italia, seconda agli europei dello scorso anno proprio “a causa” degli spagnoli. Un evento discusso e nemmeno tanto baciato dalla fortuna, la Confederations Cup: il primo gol della primissima edizione, il 15 ottobre 1992, fu di Fahad Al-Bishi, saudita che si tolse la soddisfazione di segnare in America. Ma il momento più cupo resta il 26 giugno 2003, quando al 72’ Marc Vivien Foé, centrocampista del Camerun 5 giugno/luglio ‘13 |45


impegnato contro la Colombia, crolla in campo: soccorso tempestivamente, morirà poco dopo per un attacco cardiaco. E anche durante quest’edizione, spente le lucine rosse delle telecamere che assicurano le dirette internazionali, tante sono le cose che non si sono viste, o solo sentite poco e male, lasciate sfilare via senza dargli troppo peso, tra le righe di risultati e marcatori. Tante le curiosità di questo mini torneo, aperto a otto squadre, che ha riempito sere e notti del mese di giugno. Ad esempio il mistero della “caxirola”, l’equivalente in versione percussionistica della

“vuvuzela”, la trombetta che rintronava pubblico e giocatori durante i mondiali del Sud Africa. Con grande enfasi, la caxirola era stata presentata alla presenza del Presidente brasiliano Dilma Roussef e di mezzo governo, seguita da un’invasione di modelli forgiati in ogni materiale, dalla plastica a cose più preziose, ma sugli spalti della Confederations Cupo non se n’è vista traccia. Motivo? Semplice: a quella che doveva essere la prova generale del nuovo tormentone sonoro, il pubblico ha iniziato a lanciare le caxirola sul campo, in quantità così allarmante da allertare i vertici

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della Fifa e costringere il ministro della giustizia brasiliano ad una sonora marcia indietro, dichiarando lo strumento “poco idoneo” all’evento e vietarne l’introduzione negli stadi. Amen. Un altro autogol, non meno sonoro, riguarda il Maracanà. Il mitico stadio di Rio de Janeiro, per 63 anni considerato uno dei templi del calcio mondiale, palcoscenico di eventi straordinari, al limite dell’epico,

come i 146 mila biglietti venduti per un incontro del Corinthians nel 1976, accompagnati dalla vendita di 120 mila birre e una settantina di persone finite al pronto soccorso a causa dei petardi. Ma anche teatro del dramma a tinte forti vissute dal popolo brasiliano durante i mondiali del 1950, quando la “Seleçao” di Jair, Zizinho e Danilo, di fronte a 199mila tifosi, perse per 2 a 1 contro i vicini dell’Uruguay di Schiaffino, Ghiggia e Gambetta. È vero, certe cose nel calcio vanno messe nel calcolo delle possibilità, ma la regola vale ovunque, tranne che in Brasile: la sconfitta fu così bruciante da portarsi dietro 10 morti per infarto e due suicidi, lanciatisi diretta-

mente dagli spalti, incapaci di reggere alla delusione. Anni dopo, Alcides Ghiggia, autore del gol decisivo, dichiarerà che solo tre persone erano state capaci di zittire il Maracanà: Frank Sinatra, il Papa e lui. “El estadio do Reis”, in vista dei mondiali 2014, è stato sottoposto ad un lifting profondo, che oltre a cambiargli aspetto, ne ha ridotto notevolmente la capacità: da 200 a 73 mila posti, tutti a sedere su poltroncine imbottite, un tetto composto da 50mila metri quadri di pannelli fotovoltaici, 360 telecamere di sicurezza e biglietti decisamente più salati di un tempo. Una cosina costata 480 milioni di

euro che Zico, uno degli eroi del Maracanà, dove ha segnato 333 reti, ha liquidato con una frase pesantina: “Chi l’ha disegnato non ha mai giocato a calcio”. Nota finale a parte per la madrina dell’evento: Adriana Lima. Un metro e 78 cm su cui sono distribuiti 50 kg di peso, a loro volta suddivisibili nell’infallibile “tripleta” di ogni bellezza: 88-60-89. Uno degli angeli di Victoria’s Secret, brasiliana di Salvador (classe 1981), sposata con l’ex stella dell’Nba Marko Jaric, madre di due bambine e attivissima negli aiuti ad un affollato orfanatrofio della sua città. Lasciando perdere quelli di chi ha vinto, il sorriso più bello della Confederations Cup resterà il suo. 7


O G N A T I D O S S A A P Il Tango nasce nei bassifondi di Buenos Aires e Montevideo, fra Argentina e Uruguay: una danza influenzata dal mix di razze e culture delle popolazioni giunte in Sud America alla fine dell’Ottocento da più sparuti angoli di mondo e mescolate alla cultura popolare dei “gauchos”. Una forma d’arte dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, fatta di movenze precise, di contatto fisico e mentale, di intrecci, sfioramenti, di una sensualità mai volgare, raffinata. Claudio Monticelli, 53 anni, ha sempre amato la danza. Dal 1978 ha scelto di dedicare ogni sua energia a quelle che sono definite le danze standard. Ma nel 2000 assiste ad uno spettacolo di tangueros e tutto cambia. Decide di dedicarsi anima e corpo alla disciplina argentina, ha voglia di imparare ogni cosa, di apprendere un’arte antica, a, che affonda le radici nella cultura popolare e sta tornando ornando in cima agli interessi del mondo intero. Inizia un percorso tecnico molto impegnativo, e i risultati arrivano, puntuali: per quattro

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anni consecutivi vince il Campionato Italiano di Danza Sportiva professionisti, seguiti da due finali europee, culminate ccategoria ca atego at eg ria pr eg p ofe o feessi ssion on con un argento argento, e altre due finali mondiali, chiuse con un quarto posto. La scalata verso la perfezione ha sesto e un q anche un costo, e Monticelli cambia due partner, fino trovare in Sabrina Magitteri, 41 anni, la perfetta a trov compagna di palco. Oggi, dopo aver raggiunto com tutti i traguardi che si era imposto, Monticelli si è tut ufficialmente ritirato dall’agonismo, dedicandou ssi all’insegnamento. Insieme a Sabrina gestisce il “Professional Team Lady Anna” di Uboldo, in provincia di Varese: un centro aperto a tutti, da chi si avvicina al Tango e deve imparare tutto dall’inizio a quanti invece hanno bisogno di una preparazione agonistica. In tutto seguono un centinaio di allievi di ogni età, dalla ccoppia giovane a quella matura, ognuno con motivazioni e impegni diversi che non cambiano m la ssostanza: il Tango è aperto a tutti, non ha controindicazioni, vincoli e perché no, limiti. troin

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LA BARCA-VASCA Vabbé, in fondo, a pensarci bene, tutti sono capaci di comprarsi una barca e portarla al mare. Ma sono pochi, quelli che possono dire di navigare immersi nell’acqua, senza il fastidio di fermarsi per fare un tuffo. L’idea, mostrata qui a fianco, si chiama Hot Tub Boats ed è in realtà un concept creato da un’azienda di Seattle, in America. Una provocazione, per adesso, ma se capitasse di incrociarla in giro, quest’estate, pensateci due volte prima di pensare che abbiano bisogno di aiuto…

LEGO TACCO 15

Tutte le donne che amano giocare, malgrado l’età, troveranno simpat ica l’idea di Finn Stone, artista e designer che prima ha notato l’amore femminile per le scarpe con i tacchi a spillo, e subito dopo ha scelto di interpretarle rivestendole di matto ncini Lego. Difficile, almeno al momento, pen sare di trovarle in commercio, anche se no n si sa mai.

FIDO AL MARE Da quest’anno anche il miglior amico del bagnante ha di che andar sicuro. La Hurtta, azienda specializzata nella guinzaglieria, ha appena lanciato sul mercato la Lifeguard Special Edition, una collezione a tiratura limitata di collari riflettenti, pettorine, salvagenti e guinzagli creati per la salvaguardia dei cani (www.hurtta.it).

LA SEXY-LIST DI VICTORIA

griffe et’s, celebre Victoria Secr licabb gerie, ha pu americana di lin , per ge eg a in cui el to una classific più ità br le ce rie, le diverse catego se ù xy, e 2013. La pi cool dell’estat et’s, Se di Victoria cr secondo i guru ella qu , in ta as ica Ch è l’attrice Jess mga le v, re ob D ina più elegante N ly, ve Li e no di Blak o be più belle so ic fis r lio ig o di m mentre il titol nna. ha Ri te an nt ca è andato alla god vince la cate rie yf Se da an a Am an ld Sa e capelli, Zo ria dedicata ai ra bb la le o, is rr bel so quella del più hingdi Kerry Was no so ri lio mig akira. Sh di e quelle ton e le curv

LA TUTA SENZA FATICA

Il Darpa, acroni mo di Defens e Advanced Research Projec t Agency, è un’ag enzia governativa amer icana che stud ia nuove tecnologie militari. Fra i tanti prog etti, c’è quello di una partico lare tuta da indo ssare sotto la divisa, che co ntribuisce a rid urre tanto gli infortuni quan to la stanchez za dovuta al trasporto delle attrezzature di ogni soldato, mai inferiore ai 60 kg. “Warrior web”, questo il nome della tuta, aiuta ad aumentare il lavoro della m uscolatura alza ndo in modo significativo la resistenza, la ca pacità fisica e l’efficacia di og ni soldato. Com e ogni prototipo militare , se l’esperimen to darà risultati confortant i, non si esclud e l’arrivo del nuovo materia le fra i civili.


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