sanremo 2013
Il festival che non si è visto
Stefano D’Orazio Poco di Pooh
Attualità Tendenze Benessere Food design Moda Arte motori
giorgio panariello Si vede sempre il marsupio?
Anno 07 febbraio/marzo ‘13 COPIA GRATUITA febbraio/marzo ‘13 |1
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sommario
L’editoriale
LE PAROLE DI DOMANI
4 Cover story: Giorgio Panariello
Fra i festival canzonettar-elettorali che stanno monopolizzando le reti televisive, è passata decisamente in secondo piano una notizia che con tutta probabilità 8 Speciale: Sanremo 2013 segna lo spartiacque fra ciò che è stato e ciò che inveQuel Santo in eurovisione ce ci aspetta al varco. La notizia è questa: a San Antonio, contea di Bexar, nell’assolato Texas, sta per nascere 12 Speciale: Lavoro/1 la prima biblioteca al mondo senza libri. Non c’è alcun Work in progress errore di battitura, avete letto benissimo. In realtá i libri ci saranno, quella che sta per sparire è la carta: la 14 Speciale: Lavoro/2 BiblioTech, questo il nome, sará la prima al mondo doaaa cercasi con urgenza tata unicamente di e-reader, i lettori multimediali che stanno prendendo sempre più spazio nelle abitudini 21 Speciale: Casa del mondo intero. La biblioteca texana ne avrá 100, Circondati dal bello almeno per iniziare, la metá dedicata ai bambini ed il resto agli adulti, a cui si aggiungeranno 50 personal 26 Moda: Tendenze per l’estate computer e altrettanti fra portatili e tablet. Il tutto per Donna Summer accedere a oltre 10 mila titoli. Spiace un po’, si capisce, 30 Design: La wood jewellery perché il piacere della carta da sfogliare resta inarrivabile, ma il mondo a volte va più avanti della fantasia, Legno puro e per trovare consolazione basterá pensare agli alberi 32 Musica: Stefano D’Orazio salvati, ai quintali di polvere e acari in meno e per fiMi son perso gli altri tre nire all’unica certezza che ci resta: che siano stampati o in formato elettronico, in fondo ciò che conta è 36 Celebrazioni: Pasqua che i libri non spariscano. E che in un futuro prossimo Se questo è un uovo venturo, quando si troverá finalmente una soluzione anche per la carta igienica, avremo intere generazio38 Food/1: La cultura del maiale ni pienamente padrone della propria lingua. In senso Porco mondo culturale, ma non solo, anzi, soprattutto capaci di regolarla perché non emetta suoni a sproposito. Gente 40 Food/2: I formaggi per intolleranti nuova, che saprá parlare in televisione senza sbagliare Sogni Stagionati un congiuntivo, o intrattenere l’ospite straniero privi 42 Salute: L’acqua ad osmosi inversa del traduttore simultaneo in cuffia, o ancora, per finire, finalmente consapevoli dell’intelligenza di chi li ascolWater Mater ta: che siano lettori, spettatori o perché no, elettori.
Scusate l’accento
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44 Motori: Salone di Ginevra 2013
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Swiss air 48 Short message 49 novità in libreria 50 And Co. Consigli
Anno 07 Febbraio/Marzo '13
una pubblicazione Adverum Srl Via R. Brichetti, 40 27100 Pavia Tel. (+39) 0382 309826 fax (+39) 0382 308672 www.adverum.net info@adverum.net
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DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo direttore@andcomagazine.it
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SEGRETERIA DI REDAZIONE C. Moretti Tel. 0382 309826 redazione@andcomagazine.it Hanno collaborato a questo numero Daniela Capone, Simona Rapparelli, Tommaso Montagna Impaginazione e grafica Adverum Srl
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COVER STORY Giorgio Panariello
SCUSA l’
ac
S
i dice che i comici, i più grandi, in privato siano persone spesso tristi, pensierose, malinconiche. Ma la regola non vale per tutti: Giorgio Panariello, ad esempio, non è così, per niente. È esattamente quel che si vede in televi-
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sione: uno con la battuta sempre in canna e lo sguardo ironico di chi forse ha faticato, ma alla fine è riuscito a trovare una dimensione accettabile fra ciò che finisce sui giornali e la vita vera, che non sa fare sconti a nessuno, celebre o meno. La sua è una carica di simpatia irrefrenabile, che arriva da dentro e che in fondo gli ha permesso di superare anche prove di vita difficili, come un’infanzia segnata dalla mancanza dei genitori e la tragica scomparsa del fratello
Francesco, nel 2011. Panariello nasce Firenze nel 1960, ma ha sangue napoletano a scorrergli nelle vene e ben presto al caos della città preferisce la Versilia, litorale fatto di spiagge e locali affollati da volti noti, ma soprattutto baluardo di una toscanità che sembra resistere strenuamente al tempo e alle mode. Nella vita fa un po’ di tutto: studia all’alberghiero e finisce per fare il cameriere, poi cambia direzione e prova con la carriera di elettri-
TE
cento AMA LE GRANDI FOLLE, MA SE LO INVITATE A CENA DIVENTA TIMIDO. A TU PER TU CON UN TOSCANACCIO CHE LA VITA HA TESTATO IN OGNI MODO, MA SENZA RIUSCIRE A DOMARLO: DA POCO È TORNATO IN GIRO PER L’ITALIA CON UN NUOVO SHOW, CHE FA SOLD OUT OVUNQUE di germano longo foto di alessio pizzicannella
cista navale, senza dimenticare le parentesi più noiose: rappresentante di pentole e raccattapalle sui campi da tennis. Ma non c’è nulla che riesca a trattenerlo dal trovare il lato ironico in ogni cosa: nei ristoranti dove serve ai tavoli è sempre il cameriere più richiesto, per l’abilità con cui scherza e gioca con i clienti, ma dura poco, perché ruba la scena allo chef e nessuno glielo perdona. Alla fine degli anni Sessanta, quando la Versilia diventa l’epicentro della vita mondana
italiana, Panariello crea un gruppo comico: i “Lambrettomani”. Il clou dei loro spettacoli, quello che tutti aspettano, è il momento in cui Giorgio si trasforma in Renato Zero, imitandone in modo straordinario movenze e tono di voce. Con un repertorio messo insieme alla meno peggio il gruppo gira i locali della Toscana e una sera, Panariello incontra un suo vecchio compagno di classe, Carlo Conti, in compagnia di Leonardo Pieraccioni. Sono tre giovani che nessuno
conosce, e iniziano proprio in quel periodo a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo, senza sapere se ad attenderli ci saranno successi o illusioni. La faccia rotonda di Panariello appare per la prima volta in televisione a “Stasera mi butto”, sorta di talent show di Rai 2 che insieme a Giorgio lancia altri futuri talenti: Neri Marcorè, Max Giusti, Emanuela Aureli. Il successo apre a Panariello le porte, poco dopo, in “Vernice fresca”, programma presentato da Carlo Conti e in onda su una televisione regionale toscana. L’idea funziona, piace, fa ridere: i due approdano su Telemontecarlo e nel 1996 in Rai, alla conduzione di “Su le mani” e “Va ora in onda”, mentre sempre con Conti e Pieraccioni gira la penisola con lo spettacolo “Fratelli d’Italia”. Nella comicità sta arrivando il momento delle nuove leve, di una generazione di comici che sa far ridere in modo diverso, senza bisogno di eccedere nel doppio senso più facile. In quegli anni Panariello debutta anche sul grande schermo: il regista Ugo Chiti sceglie di affidargli un ruolo drammatico e poco dopo Panariello parte in tour con il suo primo one man show, “Boati di silenzio”, che debutta al Teatro Parioli di Roma e fa il tutto esaurito ovunque arrivi. La sua comicità funziona, i suoi personaggi colpiscono con forza, i tormentoni che inventa entrano nell’uso comune, e qualcuno inizia a parlare di scuola Toscana, di un drappello di comici irresistibili con “l’acca” aspirata che diventa quasi un marchio di fabbrica. Panariello fa ancora di più: dirige se stesso in “Bagnomaria”, portando sul grande schermo Mario, il bagnino di Forte dei Marmi, personaggio della sua galleria di “italianoidi” destinato a restare fra i più amati di sempre. Il nome di Giorgio Panariello è ormai nell’olimpo dei più grandi, dove c’è spazio solo per chi offre certezze matematiche: ogni sua uscita è un successo, ogni apparizione fa alzare gli ascolti. Nel 2000, Giorgio apre il nuovo millennio con “Torno sabato”, rivisitazione del classico spettacolo di rivista del sabato sera, tanto caro a Rai 1: canta, recita, presenta, duetta, intrattiene gli ospiti e fa ridere, ma senza mai smettere di lanciare messaggi che fanno pensare, riflettere un po’. È la consacrazione assoluta: 11 milioni di spettatori, ogni settimana, non perdono una battuta dei personaggi in cui si moltiplica Panariello. Nel 2005 torna al cinema, accanto all’amico di sempre Pieraccioni, che lo vuole in “Ti amo in tutte le lingue del mondo”. 5
L’anno dopo arriva una delle prove più estenuanti a cui un artista italiano si possa cimentare: il Festival di Sanremo, consacrazione, ma anche altare sacrificale su cui molti si sono fatti male. Affiancato da Ilary Blasi e Victoria Cabello, Giorgio presenta un’edizione che sarà oggetto di critiche pesanti e che con grande umiltà lui stesso, tempo dopo, ammetterà di aver preso le misure male all’evento: avrebbe dovuto limitarsi a rompere gli schemi con la sua comicità, invece di condurlo. L’esperienza insegna: nel 2007, con un titolo che sembra mettere il sigillo finale all’esperienza sanremese, Panariello torna in teatro con “Faccio del mio meglio”: spettacolo che miete 75 esauriti in ogni angolo d’Italia. Nel 2010 crea “Ogni maledetta domenica”, esperimento teatral-radiofonico del tutto inedito: otto puntate in cui Giorgio dà sfogo al suo talento, riproponendo personaggi conosciuti e testandone alcuni inediti. L’anno successivo è di nuovo in teatro con “Panariello non esiste”, che dopo gli applausi di 150 mila persone in 60 date, nel 2012 diventa anche uno show in prima serata su Canale 5.
Sfatiamo la leggenda una volta per tutte: si dice che i comici siano tristi. Siccome tu non lo sei, ne conosci qualcuno a cui vada bene la definizione? Neanche per sbaglio. Quelli che conosco io sono simpaticoni, con cui andare a cena è un piacere uguale al vederli in azione su un palcoscenico. Io non sono affatto una persona triste, ma introversa sì, e soprattutto molto sensibile: l’asprezza delle critiche mi ferisce sempre, ma il mondo dello spettacolo si nutre di queste cose, ed è meglio attrezzarsi caratterialmente. Con il tempo sono migliorato, ma non riesco ancora a fregarmene come vedo fare a certi miei colleghi. Sono anche timido: quella specie di timidezza che ti permette di intrattenere 5.000 persone in un teatro senza patemi, ma di avere problemi di rossore se mi invitano ad una cena per pochi. Comunque, a leggere la tua carriera sei una persona che può ritenersi fortunata… Fortuna ne ho avuta poca. Ma sono uno che ha sempre giocato, e le volte in cui ho vinto è successo al novantesimo, con un gol di scarto, un attimo prima del fischio dell’arbitro. Hai sempre saputo che avresti fatto questo mestiere? Diciamo che mi sono sempre allenato per farlo. Avevo otto anni, mi chiudevo in bagno e immaginavo di essere intervistato dalla Carrà. Da fuori sentivano, e un po’ si
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preoccupavano: “cara Raffaella, ti ringrazio per la domanda, in effetti ho in mente uno spettacolo rivoluzionario…” Anche a scuola, per anni, mentre la maestra spiegava, mi sono esercitato nel rilasciare autografi. A me stesso, ovviamente. La tua galleria si compone di 12 personaggi, diversissimi tra loro ma tutti di enorme successo. Come si crea un nuovo personaggio? Dall’osservazione attenta della realtà. Il Pierre della discoteca Kitikaka di Follonica è uno che ho visto davvero, una sera in discoteca: si agitava come un pazzo su un cubo, convinto che quello fosse l’unico momento in cui qualcuno poteva notarlo. Poi però ai personaggi bisogna dare un’anima, immaginargli una storia ed uno spessore: al Pierre, ad esempio, ho pensato di affibbiare una sorella bruttissima, così brutta – dicevo – che se si sdraia in spiaggia i cani corrono a ricoprirla con la sabbia… Fra le tue imitazioni più riuscite c’è indubbiamente Renato Zero, ma corre voce che tu sia stato davvero un “Sorcino”, com’erano chiamati i seguaci di Zero: confermi? Assolutamente sì. Ero un Sorcino militante, di quelli che non avevano paura di dormire in tenda davanti alle biglietterie pur di conquistarsi un biglietto per le prime file. Renato, per chi come me sognava lo spettacolo, è stato una rivelazione, ha cambiato per sempre il modo di stare sul palco: prima di lui c’erano solo artisti immobili, seduti al pianoforte o con la chitarra, quasi timidi. Lui è stato un ciclone che ha scardinato i meccanismi.
Nella tua carriera ci sono tanti spettacoli di successo portati in teatro. Sembra quasi una necessità, quella di esibirti dal vivo: quanto è importante il contatto con il pubblico? Fondamentale. Ho un bisogno costante di conferme, di scoprire se le cose che faccio arrivano, piacciono, sono apprezzate o meno. E quando nella mia carriera mi sono dovuto fermare, ho sempre sentito forte la mancanza del pubblico, finendo per sfiorare la depressione: immagino di essere ormai superato, dimenticato… Una tua celebre passione sono gli animali, con particolare riferimento ai cani. Ho due cani meravigliosi, due figli: Zeus e Crusca. Quando sono lontano da casa, cioè sempre, mi mancano così tanto da usare al telefono qualche parola che nel tempo si è codificata e con cui mi riconoscono. Loro abbaiano alla cornetta ed io sono felice. Cinema, teatro, televisione: c’è ancora qualcosa che vorresti fare? Tantissime, ma più di tutte scrivere un bel musical e interpretare un film come Mrs. Doubtfire in cui poter far ridere e intenerire, perfino commuovere. A me piace inframezzare le risate a frasi che lasciano il segno: mi accorgo che arrivano e spiazzano la gente che mi sta guardando. Un altro sogno è un film comico con Dario Argento: ne abbiamo parlato anni fa, giurando che prima o poi l’avremmo fatto. Cosa c’è di nuovo nel tuo spettacolo e cosa hai portato con te dei vecchi tormentoni? “inmezz@voi!” è un “work in progress” basato su improvvisazione e monologhi dedicati alla politica, all’attualità e meno ai personaggi. Di nuovi ce ne sono, come il
Pulcino Pio che finalmente si esibisce dal vivo perché, insomma, bisogna fare i conti anche con lui, che con tutti gli “scaricamenti” e i “cliccamenti” che ha è stato un vero e proprio “fenomeno”. Salirà sul palco anche Christian Grey, il protagonista di “50 Sfumature di Grigio” che sottometterà una signora del pubblico con dieci minuti sadomaso, in chiave ironica. C’è anche l’esodato, un uomo di mezza età, come ce ne sono tanti, che perde il posto e, troppo vecchio per trovarne un altro e troppo giovane per la pensione, finisce per strada. È proprio a loro che dedico la parte più amara dello spettacolo. I vecchi personaggi invece, da Naomo a Lello Splendor, vengono evocati da una sorta di ologramma remix finale. Soltanto alcuni sono invitati alla festa come Renato Zero, Merigo e Mario il Bagnino. Perché hai scelto come titolo “inmezz@voi!”, tormentone di Lello Splendor? “Inmezz@voi” è lo slogan che meglio rappresenta lo show. Il compito del comico è essere vox populi, portare in piazza, tra la gente, i disagi e i malumori di chiunque. Inoltre “inmezz@voi!” è anche un modo di stare in scena: porto il pubblico sul palco insieme a me. Cosa rappresenta la “@” di “inmezz@voi!” ? Oggi per arrivare alla gente devi usare la rete, avere un sito internet,
on the road again Fino al 22 marzo prossimo, data in cui si concluderà un tour destinato a toccare teatri e palasport di 35 città diverse, Giorgio Panariello è tornato in teatro con “Inmezz@voi”, spettacolo che fin dal suo debutto, a Firenze, ha fatto registrare sold out. Scritto da Panariello con Riccardo Cassini, Mario Audino, Walter Santillo e Alessio Tagliento, diretto da Giampiero Solari, “Inmezz@voi” è il nuovo one man show di Panariello, che racconta a modo proprio, usando l’ironia più tagliente e dissacrante, l’Italia di questi anni complicati. Sul palco, Giorgio è accompagnato dalla “Ensemble Symphony Orchestra”: 40 elementi diretti da Giacomo Loprieno.
una pagina Facebook, essere su Twitter. Lo spettacolo parte dal disagio di un cinquantenne che deve usare i social network per interagire con gli altri. Ho usato la @ perché lo show è interattivo, infatti “inmezz@ voi!” è cresciuto con i fan che mi seguono su Facebook e Twitter, a cui ho chiesto di scegliere il manifesto dello show e i personaggi che avrebbero voluto vedere in scena. Internet, che fino a ieri per me era un disagio, adesso invece è una risorsa. Proprio attraverso la rete stai reclutando nuovi giovani autori… Ho postato sul mio sito un plot chiedendo agli utenti di svilupparlo. I più bravi collaboreranno con me alla stesura di sceneggiature per il cinema, e non solo per i miei film: potranno avere una possibilità di lavoro ed io potrò raccontare storie con una nuova mentalità. 7
da zero a mille È da sempre Renato Zero, uno dei cavalli di battaglia di Panariello. Ma oltre all’imitazione del cantautore romano, Giorgio ha saputo creare una galleria sconfinata di personaggi, uno più divertente dell’altro: Mario il bagnino, Simone il bambino dispettoso, Merigo, avvinazzato in bicicletta, Naomo, clone in chiave comica di personaggi alla Briatore, e Figus, attore narcisista.
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speciale sanremo 2013
QUEL SANTO IN EU ABBIAMO GIROVAGATO PER IL FESTIVAL PIÙ CELEBRE D’ITALIA, A CACCIA DI CANTANTI E POLEMICHE, MA ANCHE DELL’UMANITÀ VARIA E COLORATA CHE PER GIORNI RIEMPIE LA CAPITALE DELLA CANZONE NOSTRANA di Germano Longo foto di Fabrizio Gremo
P
er i fedeli forse non sarà di consolazione, ma per un Papa che si dimette, c’è un santo che resiste al tempo, ai conclavi e agli ascolti. Perché quando arriva l’ora di Sanremo, inteso come Festival, l’Italia intera si arrende, così come fanno del resto tutti i palinsesti televisivi: programmi bloccati e tutti a guardare, criticare e canticchiare i motivetti che qualche giorno dopo diventeranno cd con speranze di vendita. Ma Saremo non è solo musica in eurovisione, è un carrozzone variopinto che per una settimana aumenta a dismisura i 56 mila abitanti di questa cittadina del ponente ligure con qualche migliaio in più di volti noti. Ma non solo: la folla delle grandi occasioni riempie dalle prime luci dell’alba a notte fonda i pochi metri davanti al civico 212 di corso Matteotti, dove si erge il mitico Teatro Ariston: 1909 posti a sedere fra platea e galleria, che dal 1977 ospita stabilmente il Festival dell’ugola più famoso d’Italia.
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ROVISIONE
Sanremo, ancora una volta inteso come appuntamento canoro, è da sempre un cocktail di musica e polemiche, che ogni anno si alternano puntuali: costi, ingaggi, ospiti stranieri, presunti plagi, abiti, spacchi, scollature e farfalline, come quella di Belen che ancora aleggia nell’aria. Quest’anno l’intera faccenda sembra essere andata un po’ meglio del solito: la conduzione morigerata della coppia di fatto Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, il primo impegnato a non strafare, la seconda a rimpolpare di battutacce l’ampollosità dell’evento, ha mandato in archivio un’edizione, la numero 63, che sarà ricordata come quella della
CARTOLINE DAL FESTIVAL In grande Marco Mengoni, vincitore della 63esima edizione del Festival della Canzone Italiana. Nelle altre foto qui sopra, dall’alto, una delle strampalate esibizioni di Elio e le storie tese, Antonio Maggio, vincitore della sezione Giovani, Andrea Bocelli, ospite dell’ultima serata, e Simone Cristicchi. In basso da sinistra Daniele Silvestri durante la conferenza stampa, l’esibizione di Malika Ayane e un’intensa espressione di Checco, il frontman dei Modà.
svolta: nessun ospite in arrivo da oltreoceano che faccia impallidire gli italiani in crisi per i compensi stratosferici in cambio di qualche minuto di amenità davanti alle telecamere. E poi, da non scordare, la musica, a livello quasi unanime considerata di qualità piuttosto alta rispetto alle solite filastrocche sanremesi. 5 febbraio/marzo ‘13 |9
Merito delle scelte, capitanate da Mauro Pagani, direttore artistico con un passato musicale di tutto rispetto (PFM e De André su tutti), capace di dire un bel po’ di no, fra le polemiche (questa volta sì), fino a formare una lunga fila di esclusi eccellenti: Anna Oxa, Mietta, la Vanoni, Nada, Marcella Bella, Al Bano, Nek, Mario Biondi, Baccini, Britti, Morgan, Bobby Solo e Vallesi, solo per citarne alcuni. Ma Sanremo in quei giorni è tutto un festival, dentro e fuori dall’Ariston. Passeggiando per le strette viuzze del centro, fra i souvenir e le vetrine dei saldi, una serie di altoparlanti diffonde di continuo i successi del passato, uno dopo l’altro. Suoni che spesso vanno a mescolarsi con quelli dei musicisti di strada, degli spettacoli a cielo aperto e dei venditori di palloncini, il tutto a pochi metri dall’Ariston, mentre dentro va in scena la lotta per la vittoria ed i papaveri della Rai si godono dati di ascolto che quest’anno hanno toccato picchi che non si vedevano da anni. I più storditi, fra miss che passeggiano e distribuiscono sorrisi e volantini, sono gli anziani, popolo che d’inverno sceglie la riviera ligure per togliersi dal freddo delle grandi città, e per una settimana vive sballottato fra gente armata di pass e carabinieri in tenuta anti sommossa. Difficile, pure per i pensionati, sfuggire ai microfoni di qualche emittente radiofonica, presenti al completo e con l’abitudine di “sequestrare” le vetrine dei negozi di corso Matteotti per piazzarci dentro uno studio volante. Poi arriva la sera, l’ora della diretta, e dal buio emergono signore ingioiellate e signori in abito scuro, che sfoggiano biglietti dal costo esorbitante anche senza passare dai bagarini: 330 euro a serata per una poltrona in galleria, 630 per la platea. Roba che ci paghi un week end da qualche parte per tutta la famiglia. Ma sono calcoli che non vanno fatti e che non valgono, almeno qui, a Sanremo, nei giorni del Festival. Ogni giornata dell’evento inizia a metà mattina con la conferenza stampa dei presentatori e della dirigenza Rai, che snocciolano i dati di ascolto freschi di stampa e sono pronti a rispondere al fuoco di fila delle domande dei giornalisti. Poi tocca ai cantanti, uno per volta: qualcuno ancora 10| febbraio/marzo ‘13
MODELLE, CANZONI ED OMAGGI Una carrellata di alcuni momenti del Festival di Sanremo: in alto Fazio e la Littizzetto vestita da farfallina di Belen, la supermodella Bianca Balti, uno scorcio di Corso Matteotti, a pochi passi dall’Ariston, un dettaglio della sala durante una pausa e la folla che assedia il teatro sanremese. Sulla destra, per chiude, la statua di Mike Bongiorno e Claudio Bisio, che nel corso dell’ultima serata ha fatto ridere e pensare.
assonnato, altri teneri e spauriti, altri ancora con la voglia di parlare dell’album in uscita. Simone Cristicchi, quello che nel 2005 aveva scatenato polemiche per “Ti regalerò una rosa”, brano dedicato alle persone con disturbi mentali, ha voluto raccontare di “Laura”, una canzone del suo ultimo album dedicata a Laura Antonelli, sfortunata attrice definita “carne da pellicola”: avrebbe voluto cantarla al Festival,
ma l’hanno convinto a non farlo. O Daniele Silvestri, che sale sul palco accompagnato da un esperto nel linguaggio dei segni, quello per non udenti, e nel suo brano sanremese sceglie di parlare di lotta e di libertà, concetti abusati e distrutti dai partiti, dice lui entrando a gamba tesa nel clima pre-elettorale. Eppure, per non farsi mancare nulla, qualche accenno di polemica in realtà c’è stato. Ad esempio per Carla Bruni, ospite di una serata, di professione “ex”: ex modella, ex italiana e per di più maritata all’ex presidente francese Sarkozy. Malgrado ci provi, non è simpatica a nessuno, al di qua e al di là delle Alpi. Meno male che a far pace con il pubblico è arrivata Bianca Balti: 176 cm di bellezza e sensualità made in Lodi. Ha lasciato quasi a secco quelli che speravano in qualche centimetro in più di epidermide, dimostrando che essere belle non è sinonimo di antipatia, poca intelligenza e zero simpatia. Perfino i vincitori, quest’anno, sembrano aver messo d’accordo tutti: Marco Mengoni per la categoria campioni (seguito da Elio e le storie tese ed i Modà), ed il simpatico Antonio Maggio nella sezione Giovani. Preferiamo citarli, quasi a futura memoria, perché è scientificamente provato che da qui ad una manciata di mesi, a ricordare la sequenza saranno in pochi. Poi, di colpo, Sanremo si è svuotata, e con la stessa velocità con cui si era riempita di luci e lustrini, è tornata il regno di chi sverna da quelle parti, ed è contento di non dover più inventare qualcosa di sensato davanti ai microfoni. Perché Sanremo è Sanremo, ma a volte suona come un altro detto: quando è troppo è troppo. 7
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MESTIERI CHE SPARISCONO E DISOCCUPATI IN AUMENTO: UNO STRIDENTE CONTRASTO DI QUESTI TEMPI STRANI E DIFFICILI
n giovane su tre è disoccupato. Lo dice l’Istat, abituata a fotografare l’Italia con la forza dei numeri, che in questo caso lasciano poco spazio alla fantasia: il 37,1% dei giovani nella fascia compresa fra 15 e 24 anni, non riesce a trovare un’occupazione. Ma dall’altra parte, emergono dati ancor
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più paradossali, ovvero che molte aziende in cerca di addetti, non riescano a trovarne, malgrado offrano contratti a tempo indeterminato. Il problema, forse, sta nelle ambizioni, peraltro giuste, di chi studia e per
questo non accetta di scendere a patti con il destino. Ma è la dimostrazione lampante di quanto la scuola, quella tradizionale, sia ormai totalmente scollata dalla vita reale, quella che i giovani vivono tutti i giorni sulla propria pelle. Eppure un passo indietro, a volte anche da parte della famiglie, basterebbe per assicurare al figliolo/a un futuro perfino roseo. Secondo gli esperti, a perdersi è stata la manualità, i mestieri di un tempo, quelli artigianali, legati ai territori e alle culture regionali, che rappresentavano la spina dorsale dell’Italia: dai falegnami ai saldatori, armaioli, tipografi, rilegatori, elettricisti, sarti, materassai, stuccatori, posatori. Ma l’elenco è lungo, e secondo alcune elaborazioni, nel giro di 10 anni molte di queste professioni rischiano di sparire completamente. Allora, viene da chiedersi, perché ostinarsi su mestieri ormai saturi, che quasi sicuramente non daranno alcuno sbocco lavorativo e per di più finiscono, costringono ad accettare compromessi? Esiste un altro rischio, analizzato in modo profondo dallo studio di un’economista dell’Università di Yale, in America, ovvero di creare intere generazioni destinate ad entrare tardi e male nel mondo del lavoro, con l’unico risultato di mettere mano su carriere compromesse già in partenza, gap retributivi e soprattutto una forte insoddisfazione personale. 7
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URGENZA Si sta ufficialmente aprendo la stagione turistica italiana, uno dei pochi settori di questo paese che ancora può offrire sbocchi a chi li cerca
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i è da poco chiusa la 33esima edizione del BIT, la borsa internazionale del turismo, manifestazione ospitata a Milano che tradizionalmente apre la stagione turistica italiana riunendo in un colpo solo operatori del settore, agenti di viaggio e pubblico. Il risultato, che deve far pensare, parla di 84mila presenze, divise fra visitatori e addetti al turismo. Un dato sicuramente in calo rispetto alle edizioni di qualche anno fa (150 mila visitatori nel 2007 e 155mila l’anno successivo), ma che dimostra comunque la grande vitalità del nostro paese in materia di turismo. Il motivo è presto detto: l’Italia, universalmente riconosciuta come museo a cielo aperto - tale e tanta è la sua offerta – è ancora oggi una delle mete più gettonate dai viaggiatori di tutto il mondo. Quinta nel 2011, nella speciale classifica dei paesi più visitati, con una cifra di afflus-
si impressionante: 46,1 milioni di visitatori in arrivo da ogni angolo del pianeta. Siamo, e restiamo, la meta preferita dei tedeschi, seguiti da americani, francesi, inglesi e austriaci, tutti attirati dalla straordinaria offerta di monumenti,
SCORCI IRRIPETIBILI In questa pagina due delle più straordinarie bellezze italiane: il Colosseo di Roma ed il Ponte di Rialto, a Venezia. Solo due esempi dell’immenso patrimonio artistico e culturale del nostro paese.
natura, architettura, arte, design e buona tavola. Pregi conquistati e perpetrati nel tempo dal popolo italiano, malgrado la curiosa propensione a mostrare al mondo il peggio del nostro carattere mediterraneo, per non dire altro. 5
e ormai diffuso in tutto il mondo. Nella versione italiana a farla da padrone sono tre giudici, stelle internazionali della ristorazione, ormai diventati celebrità: Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich. Quest’ultimo, in particolare, paragonando l’edizione americana, di cui è anche giudice, ha ammesso la differenza che esiste fra la povertà della cucina statunitense con quella italiana, a dir poco inarrivabile. 7
Eppure tutto ciò che è italiano, all’estero diventa sinonimo di bontà, qualità, eleganza e stile portati all’estremo dei concetti. Spesso addirittura con scimmiottamenti ad arte, creando per il nome di un prodotto termini dalla sonorità italiana, ma che di italiano non hanno nulla. Ad accogliere il popolo dei turisti ci sono oltre 25 mila hotel (cifra che comprende dai cinque stelle di categoria lusso agli hotel a una stella) che promettono 1 milione e 760 mila posti letto. A questi vanno aggiunti un numero difficile da quantificare di ristoranti, agriturismi, pizzerie e trattorie disseminate lungo la penisola, pronte a soddisfare la voglia di “italian food” delle truppe di viaggiatori, attirati dalla nostra abilità ai fornelli almeno quanto li attirano i nostri monumenti. 16| febbraio/marzo ‘13
E sono proprio questi, il turismo e la ristorazione, due dei settori che possono offrire una via d’uscita praticabile verso la crisi e al tempo stesso rappresentare una miniera di sbocchi professionali per chi si avvicina al mondo del lavoro: di tutto c’è bisogno, dai camerieri agli chef, mestiere quest’ultimo ormai assurto agli onori del grande pubblico grazie all’incredibile ascesa dell’enogastronomia nelle abitudini degli italiani. A capitanare la voglia di fornelli è arrivato “Masterchef”, programma culto in onda sul satellite Sky: un talent show culinario nato in Inghilterra nel 1990
LA PATRIA DEL BUONO Piazza dei Miracoli e la Torre di Pisa (in alto), un banchetto di strada che vende specialità italiane, l’insegna di un celebre ristorante sulla 42esima strada a New York ed i celebri tre giudici di “Masterchef”, trasmissione culto per gli amanti della cucina.
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le nuove tendenze dell’arredamento è la Fiera del Mobile di High Point, in North Carolina: poco più di 100mila abitanti e patria di John Coltrane, sassofonista considerato uno dei padri del jazz. 5
Segue, a qualche mese di distanza, Maison & Objet, salone parigino che in una decina di padiglioni impartisce le linee guida anche per la vecchia Europa: il titolo dell’edizione più recente, “Vivant”, spiega meglio di ogni altro concetto l’idea di un arredamento che aiuti ad alzare l’asticella sulla qualità della vita. Per finire in bellezza con l’Italia che, nel pieno della primavera (dal 9 al 14 aprile prossimi), ospita il Salone Internazionale del Mobile di Milano: dal 1961 evento fieristico di prima grandezza, che quest’anno attende la consueta folla oceanica, stimata in 300mila visitatori da 160 paesi diversi, attirati da oltre 2.500 espositori di primissimo piano. Secondo quanto esposto ad High Point, il colore più cool dell’anno per l’arredamento sembra essere il blu, declinato in ogni possibile variante, dal navy 22| febbraio/marzo ‘13
all’azzurro pallido. Ma non finisce qui, perché si delinea anche un chiaro ritorno alle lavorazioni di vago sapore barocco, anche se interpretato secondo le più recenti varianti, magari impreziosito da cristalli e gemme. Non invecchia mai il color legno, capace di esprimere calore e genuinità, sempre più da considerare in un aspetto naturale, senza lavorazioni che ne alterino tonalità e opacità imposte dalla natura. Per finire in bellezza con qualche punta di bianco e nero, che fanno subito eleganza, e i lembi estremi dello stile “animalier”, con l’intera tavolozza dei colori declinata su tigrati e leopardati.
Nota a margine per lo stile “shabby”, che non è un’altra uscita poco felice dell’ex Ministro Fornero (il suo “choosy” rivolto ai giovani ha scatenato polemiche
furiose), ma un modo per definire qualcosa di apparentemente “trasandato”. Lo shabby è una nuova concezione dello stile provenzale, sospeso fra romantico e agreste, con particolare predilezione per le tinte pastello, da cui però lasciar affiorare i segni dell’usura. 7
IL RITORNO DEL CLASSICO Un esempio, anticipazione di quanto sarà esposto al prossimo Salone Internazionale del Mobile di Milano, arriva da Roberto Giovannini: oltre cinquant’anni di amore corrisposto con il legno, trasformato in elementi d’arredo per camere da letto e living. Fra gli altri pezzi, la “collezione veneziana” avrà anche un divano in tinta Blu de Prussie, direttamente ispirato al sontuoso stile Luigi XV ma mitigato dalla struttura in finitura total white. Solenne, e al tempo stesso venata d’ironia, anche la cornice, davvero degna di una reggia.
A CASA DI JAMES
Ormai lanciato anche nel marchio dell’home design, nei padiglioni di Rho torna anche Aston Martin Interiors, che propone una nuova collezione ancora una volta di grande lusso, ispirata alla tradizione assoluta del marchio automobilistico inglese preferito da James Bond, ma con un’appendice tutta italiana: a realizzarla, produrla e distribuirla è il Formitalia Luxury Group. Una collezione ipercontemporanea, con pietre naturali, pelli, radiche e lane pregiate, lavorate artigianalmente, che si alternano a dettagli di natura automobilistica in kevlar e carbonio.
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OVUNQUE TABLET La sempre più massiccia diffusione dei tablet ha suggerito alla CTA Digital di creare un supporto in grado di permettere di non staccarsi mai dall’amata tavoletta elettronica, nemmeno quando sarebbe forse meglio concentrarsi su altro. Il piedistallo, realizzato in una struttura cromata a becco d’oca flessibile, si adatta ad ogni angolazione e in più, sorpresa, dispone di un braccio per il rotolo di carta igienica.
ONE R E B M U N ipato LESSON i, antic
erardin nella o di Gh om allestita me, ll e u q ro to, i Ho a style damen rardin ell’arre pezzo in un Milano. Ghe ne secolare, d e r o t a, a lche l set dizio iadi qua lla tra lla Spig iale ne o artig o uffic n la preview hio di via de elletteria da da. Un luss nale di t t u b e È un d rso anno co e del marc rentino di p gio della mo zione perso riali. lo sco outiqu marchio fio n il linguag n’interpreta e mate iosa b l colori prestig llezione de avanzato co brand, con u e, finiture, form a co sign i del la prim ncetti di de e tradizion ll o c e n la mesco om’è ancora nale, c
CHIUSO PER SPAZIO L’ambiente non è altro che uno spazio in 3D, da plasmare e interpretare a piacimento, con l’uso dell’ironia e dell’ecosostenitibilità. Kubedesign e Roberto Giacomucci, forti di una piccola sperimentazione andata in scena alla Triennale di Milano, hanno creato Pop-Up, una collezione nata con l’idea di dilatare quanto più possibile gli ambienti di ogni abitazione attraverso l’uso di oggetti funzionali, puliti e di design. Tavoli che si chiudono a libro e occupano poco spazio, facili da spostare e riporre, ma soprattutto resistenti, allegri e totalmente riciclabili. 24| febbraio/marzo ‘13
PROFUMO DI PRIMAVERA È una collezione limitata a pochi pezzi, quella che Yankee Candle, marchio americano di candele d’arredamento, ha battezzato Full Bloom. Si tratta di candele in vaso di vetro trasparente, decorato con motivi floreali e disponibili in varie fragranze primaverili: Royal Blue Iris, Ruby Red Poppy e Soft White Peony.
CUCINA MULTICOLOR La cucina va di moda, ma Guzzini ha sempre dedicato forze e fantasie all’ambiente più importante di ogni casa, anche in tempi non sospetti. E se il nuovo catalogo tocca anche il bagno e la tavola, una parte sostanziosa è stata battezzata My Kitchen perché articolata in un’infinità di accessori per la cucina, come sempre ispirati ad un design divertente coniugato all’estrema versatilità. Set di coltelli, mestolame, bilance elettroniche, schiumarole per il tempo da trascorrere in cucina, ma senza dimenticare la “mise en place”: vassoi, posti tavola, alzatine, portatovaglioli e posate, tutto realizzato in colori vivaci. A prova d’estate.
moda Tendenze per l’estate
DONNA
SUMMER Il nome della celebre cantante scomparsa è solo una scusa per indicare una carrellata fra idee e proposte destinate ad accompagnare l’universo femminile nella bella stagione
F
ra le proposte più interessanti per la prossima stagione primavera/estate 2013, ha lasciato il segno la nuova collezione di Anteprima, marchio curato da Izumi Ogino, piccola e vulcanica designer giapponese di 56 anni, da oltre venti mente creativa del brand. Colpisce, la collezione di Anteprima, perché si affida ai concetti più “minimal” ed eleganti delle tendenze attuali, con una ricerca di pulizia nelle forme e nei tessuti che la moda sembrava ormai aver quasi dimenticato. Il richiamo, molto evidente, è agli anni Settanta e allo stile che allora
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imponeva linee morbide, con i pantaloni a zampa d’elefante a far da portabandiera di quegli anni. Invece nella collezione di Izumi Ogino sembra arrivato il tempo giusto per il ritorno delle gonne a ruota, dei top corti alla vita, delle camicie di taglio maschile e dei tuxedo pants. La designer nipponica, nella sua collezione da tanti definita “scintillante”, fa largo uso della seta e del raso, con tute morbide che si adagiano sulla pelle, pantaloni lunghi e altrettanto fluidi, maglie high-tech simil metalliche così sottili da sembrare pennellate addosso a chi le indossa. Capi pensati per l’uso quotidiano, ma anche adatti per rappresentare cocktail dress o da indossare senza timore in serate dove l’eleganza dev’essere una perfetta calibratura di colori e tagli sartoriali. Sobrietà minimal quindi, ma senza rinunciare ad una spruzzata di fem-
minilità, giocando con sapienza nell’effetto pluripotenziale delle trasparenze che per forza non ricorrono all’eccesso o allo scandaloso, ma addirittura capaci di filrtrare il messaggio seduttivo con rara delicatezza. L’effetto è riuscito: sovrapposizioni e texture delicatissime dirette ad una donna in cerca di uno stile semplice e lineare ma comunque raffinato, attenta ai dettagli e per nulla disposta agli eccessi. Grande attenzione anche nella scelta dei colori, che prediligono le mezze tinte, con bianco, panna, oro, cipria e arancio su tutti, a cui aggiungere qualche tocco più forte rappresentato da nero e blu, da sempre tinte sinonimo di eleganza. A completare il look, una serie di accessori sparkling: pochette che sprizzano luce grazie alle paillette, sandali con tacchi in tinta platino e la Wirebag creata con pvc riciclato addirittura negli anni Novanta, ma sempre aggiornata e ormai eletta a simbolo del marchio. 7
8 marzo, giornata tutta femminile: tante idee regalo e sconti alle donne!
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gioielli fai da te Dietro al marchio Mr. Nico si nasconde un gruppo di giovani dalla fantasia rampante: un architetto, due grafici e una copywriter. Dalla loro comunanza di idee, è nata una collezione presentata di recente al Macef di Milano, che ha stupito tutti per alcune soluzioni inedite, legate sia alla moda che all’arredamento. Ne fanno parte cover per smartphone, carta da parati, shopper, t-shirt, tazze, borse e una piccola collezione di curiosi “gioielli” in legno da montare tranquillamene a casa.
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Mappe da indossare Innamorati di una città, che sia la vostra o quella che sognate? Conviene allora pensare a t-map, una collezione ideata da Diellesse, giovane brand di design tutto italiano. In pratica, la mappa dei centri storici delle maggiori città italiane (Firenze, Milano, Roma, Siena e Venezia) si trasforma in decorazione per borse, tovaglie per la colazione, piatti, grembiuli, portadocumenti, puzzle e t-shirt. 28| febbraio/marzo ‘13
uno e trino Ultra è un’azienda thailandese che ha ideato “10”: un solo abito disposto a trasformarsi in 10 diversi pezzi, quanto basta ad una donna per un anno intero. Un’innovazione assoluta, composta da capi che assumono altre forme (giacche che diventano gonne, camicie e gilet) e realizzati usando materiali sostenibili, jersey, georgette e chiffon.
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INTARSIATI DAL TEMPO Alcuni esempi dei preziosi che compongono la collezione “Nalj per Riva 1920”: in primo piano un anello realizzato con in legno delle “briccole” di Venezia, il celebri pali che costellano la Laguna
Un piccolo laboratorio pugliese lavora gli scarti di un mobilificio lombardo, creando una collezione di gioielli che ha solo pezzi unici
Legno
Puro
30| febbraio/marzo ‘13
R
itorno alle origini, bisogno di riscoprire e rispettare la natura, unire passato e presente. C’è davvero un po’ di tutto, nascosto dietro ad una nuova e più responsabile tendenza della gioielleria mondiale: l’uso del legno. Fra i primi a seguire la strada, creando un esempio che sicuramente finirà per fare scuola, la Nalj, una piccola azienda pugliese, di Polignano a Mare, il paese di Domenico Modugno. Nei laboratori Naly, affacciati sulla piazza dell’orologio, è nata un’insolita collezione, creata utilizzando gli scarti di lavorazione di Riva 1920, prestigioso mobilificio di Cantù che vanta collaborazioni con i più grandi nomi dell’architettura mondiale. Perché, si sono chiesti i titolari delle due aziende, buttare via scarti di legni pregiatissimi, che arrivano da aree di riforestazione controllata come noce, cedro e rovere, ma anche del kauri millenario, un rarissimo legno che può risalire a 50 mila anni fa, rimasto sotto il fango che lo ha protetto dai danni del tempo e ad ogni ritrovamento datato in appositi laboratori con il metodo del Carbonio 14? Oltre all’indiscusso vantaggio di non dover sacrificare nessuna nuova pianta per accontentare le tendenze del design ed il biso-
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gno di esclusività, ma soltanto scavare in zone precise della Nuova Zelanda, il kauri è l’unico legno al mondo a vantare tracce d’oro direttamente nelle venature. Lo stesso principio vale per le “briccole” di Venezia, i celebri pali di quercia che rappresentano “l’impalcatura” su cui poggia la città lagunare più celebre del pianeta. Quando vengono sostituiti, per usura o rottura, i pali mangiati dalla lunga permanenza in acqua finiscono nei laboratori di Cantù, per continuare la propria vita sottoforma di mobili pregiati. Da qui, l’idea di pensare ad una collezione di gioielli che ha l’anima in legni straordinari, prima trattati e nutriti con olii vegetali e quindi impreziositi con oro, argento e pietre preziose, ma soprattutto realizzati in esemplare unico, vista l’impossibilità di replicare forme e venature volute dal tempo. Il risultato sono autentiche sculture, con l’imprinting realizzato direttamente dalla natura, che in Australia, Quatar, Turchia, Israele, Lussemburgo, Inghilterra, Francia, Ucraina e Cina sono già diventati oggetti di culto. 7
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musica Stefano D’Orazio
QUATTRO ANNI FA LASCIA I POOH, MA FRA I CAPELLI PERENNEMENTE ARRUFFATI HA GIÀ ALTRO CHE GLI FRULLA: SCRIVE E PRODUCE MUSICAL, MANDANDO ALLE STAMPE UNA BIOGRAFIA IN CUI RACCONTA CIÒ CHE IN GENERE SI NEGA CON FORZA. RITRATTO DI UN ARTISTA CHE HA SEMPRE PRESO LA VITA PER QUELLO CHE SA DARE, IN OGNI STAGIONE di Germano Longo foto di Gianmarco Chieregato
32| febbraio/marzo ‘13
MI SON PERSO GLI ALTRI
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ell’esistenza di Stefano D’Orazio, curiosamente, il mese di settembre è sempre stato fondamentale: nasce a Roma nel settembre 1948 ed è il settembre del 1971 quando entra nei Pooh, il più celebre gruppo italiano. Ma è ancora settembre, il 30 del 2009, quando rende pubblica la sua voglia di andarsene, di mollare tutto e girare pagina. In mezzo ci sono altri 38 mesi di settembre di altrettanti anni passati dietro alla batteria, incidendo 30 album e 350 canzoni, con oltre 7.000 ore vissute sui palcoscenici di tutto il mondo. Cifre impressionanti, che non capitano a tutti, da unire a fama, ricchezza e successo. Ma splendere davanti ai flash ha un prezzo, racconta D’Orazio a chi da quel giorno in poi gli chiede il perché dell’addio ai Pooh: mentre lui picchiava sui tamburi la schiumarola della vita tirava su minutaglie di esistenza a cui assisteva da spettatore lontano. Natali,
estati, piccoli nipoti che nascono e grandi amici che muoiono, mamma e papà che invecchiano e se ne vanno, i piccoli drammi di ogni giorno come la perdita d’acqua in casa, gli occhiali nuovi ed il gatto in giardino e poi gli amori, mai abbastanza vissuti perché c’era sempre una valigia a mettersi di mezzo. Nel settembre del 2009, a 61 anni, Stefano D’Orazio prende fiato, con i suoi tre colleghiamici organizza un trionfale tour di addio e fra le lacrime alza per l’ultima volta le braccia per salutare il popolo dei Pooh, che gli ha dato tanto, ma a cui lui sa di aver restituito tutto ciò che poteva. Da quel giorno scopre l’agenda vuota, senza impegni da rispettare, si innamora di Pantelleria e si avvicina ai musical, genere che i Pooh avevano sfiorato anni prima portando in scena “Pinocchio”. Scrive e produce “Aladin”, chiedendo ancora ai Pooh di realizzare le musiche, gli Abba gli commissionano la versione italiana del pluripremiato “Mamma mia” e, incapace di stare fermo, triplica l’impegno con “W Zorro”, musicato da Roby Facchinetti. Se a questo si aggiunge “Confesso che ho stonato”, biografia che lui ama definire “autosputtanante”, si fa strada una certezza: gli “anni senza fiato”, per uno così, non finiranno mai. Da quando sei uscito dai Pooh hai prodotto 3 musical e scritto un libro: ma non avevi detto di volerti finalmente annoiare? Ci ho provato, lo giuro, ma ho resistito due giorni. Ero a Pantelleria, ed il secondo giorno sono corso a comprare due letti da montare. Ma quand’è arrivata l’ora dei comodini ho capito che il riposo mi era bastato e dovevo fare altro… Nel 1982, in “Anni senza fiato”, definivi la tua avventura un’astronave da cui avresti voluto scendere un po’: il tuo travaglio era iniziato già allora? No, non cantavo quella frase pensando a questo. O forse inconsciamente lo stavo facendo, ma ero così preso dalla realtà in cui vivevo 24 ore al giorno da non rendermi conto che i miei “prima o poi” diventavano anni. Tutto mi è esploso davanti quando ho soffiato su 60 candeline, e mi sono tornate in mente le parole dei miei genitori: “Suonare il tamburo va bene, ma da grande?”… 5
Nella storia della musica è capitato spesso che i batteristi abbiano mandato a scatafascio il gruppo in cui suonavano: è così difficile stare là in fondo? Non saprei, domanda difficile… Forse sono le vibrazioni dei piatti, ma non credo ci sia una sindrome, anche se pensandoci stare rintanati là in fondo ti fa vedere le cose da una prospettiva diversa. Nella tua autobiografia traspare una profonda e sincera amicizia con Roby Facchinetti, forse qualcosa di meno verso Canzian e invece ignori quasi del tutto Dodi Battaglia: era il collega con cui andavi meno d’accordo? No, ci mancherebbe… Ma rileggendo il mio libro mi sono accorto anche io che ho parlato poco dei Pooh. C’è un motivo: ho scelto di raccontare le “stonature” della mia vita e i miei colleghi sono stati testimoni solo di alcune delle cose che mi capitavano. Con loro ho diviso successi, viaggi ed esperienze bellissime, ma io ho scelto di parlare del peggio di me. Da poco se n’è andato Valerio Negrini: senza di lui non saresti mai diventano uno dei Pooh, e con lui vi siete divisi i testi delle più belle canzoni del gruppo. Come racconto nel mio libro, non è che Valerio si fosse stancato della vita nomade, era stanco delle sudditanze e del rigore che i Pooh si erano imposti. Negrini era un personaggio rivoluzionario, un uomo che ha girato ogni angolo del mondo e quando tornava sapeva alla perfezione la lingua e si era beccato tutte le malattie del luogo. È l’unico essere vivente di cui si abbia notizia che è riuscito a rompersi un pollice giocando a tombola… Per i tuoi ex colleghi adesso si mette male: con la tua uscita dal gruppo e la morte di
Negrini i Pooh sono rimasti senza paroliere. Pensi di dargli una mano, anche solo come autore? Credo che la stagione dei testi come li intendo io sia finita. Lo dico perché ascolto musica e mi accorgo che oggi si scrive in modo diverso, quindi penso che farei solo dei danni ai miei tre ex amici-colleghi. Poi mi stimola molto di più raccontare una favola e vederla diventare un musical. C’è una canzone dei Pooh che ancora oggi, se la ascolti, ti commuove ed una invece che proprio non hai mai sopportato? Tante, in entrambi i casi… Mi emoziona molto riscoprire con attenzione i vecchi testi di Negrini, che trasudano semplicità e sentimenti ad ogni verso: aveva imparato a raccontare la vita concentrando affreschi straordinari in pochissimo spazio. Ma tu con la batteria hai proprio chiuso oppure ogni tanto, in privato, picchi ancora sui tamburi? Prima di natale, girando per casa, mi sono imbattuto in un paio di bacchette: le ho prese e d’istinto ho cercato di farle roteare, come facevo dal vivo, ma mi sono cascate a terra. Credo sia un segno del destino. Nell’ultimo vostro album di inediti cantavi l’ironica (ma neanche tanto) “Dove sono gli altri tre” in cui giocavi intorno all’idea del gruppo. C’è ancora qualcuno che ti chiede dove sono gli altri Pooh o finalmente l’hanno capita? Macché, me lo chiedono eccome. Prima lo facevano convinti che noi quattro vivessimo insieme, dormissimo nella stessa stanzetta e ci alternassimo davanti allo stesso piattino. Ora è cambiato il tono: c’è quasi un senso di rimprovero, per cui mi sono rassegnato… 7
Lo chiamavano D’Onofrio Si intitola “Confesso che ho stonato” (Kowalski, 15 €), l’autobiografia con cui Stefano D’Orazio è uscito da poco nelle librerie, accontentando finalmente una delle sue grandi passioni: la scrittura. All’interno scorre un po’ di tutto, dalla giovinezza al Piper, il rapporto con i genitori e gli insegnanti, giù fino alle storie d’amore che lo porteranno a restare “signorino”, comprese curiosità che al popolo dei Pooh piaceranno senz’altro: come quando Lucariello, il loro primo produttore, sbagliando lo chiamava Stefano D’Onofrio. Poi i dubbi, le incertezze, le paure e gli sforzi non visibili al pubblico, necessari per mantenere lucida l’alchimia dei Pooh, una macchina della musica così perfetta da poterla includere nella categoria delle cose belle, e per questo forse irripetibili. 34| febbraio/marzo ‘13
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CELEBRAZIONI Pasqua
SE QUESTO È UN
UOVO C
omunque la si giri, la Pasqua, la festa “mobile”, com’è definita per la caratteristica di non disporre di una data fissa, è un’occasione di festa, con profondi legami religiosi e intrisa di simboli, ma con un finale – come spesso accade – dalle forti valenze gastronomiche. In Germania, l’usanza delle uova si trasforma in una sorta di caccia al tesoro per i più piccoli: a loro spetta il compito di cercarle per casa, scovando dove i genitori le hanno nascoste. In tutto il paese non mancano i grandi falò, rigorosamente accesi con mezzi naturali e le cui ceneri sono sparse nei campi in segno propiziatorio per i raccolti. In Inghilterra, dove è ancora viva l’antica tradizione del Royal
GIRO DEL MONDO FRA LE PRELIBATEZZE CHE ACCOMPAGNANO UNA FESTA TRA LE PIÙ CELEBRATE DAL PIANETA: L’UOVO COMPARE UN PO’ OVUNQUE, ANCHE SE NON MANCANO LE CURIOSITà Moundy Gifts (borse di denaro donate ai poveri), il dolce per eccellenza sono gli hot-cross buns: sorta di brioche calde di cannella e uva passa sormontate da una croce di glassa che ricorda l’estremo sacrificio di Gesù.
Otto sono i giorni in cui si articolano le festività pasquali in Israele: in famiglia si legge l’Haggadà, il libro dei riti, e in attesa della Pasqua si mangia solo pane azzimo. Anche la cena è altamente simbolica: erbe amare, pane, agnello, uova e charoseth, una marmellata che simboleggia la malta con cui gli schiavi costruivano i mattoni. Il giovedì Santo, in Messico, i fedeli hanno l’obbligo di visitare sette chiese diverse, in attesa del rogo di Giu-
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da, in cui si dà fuoco ad una figura di cartone. Il principe della Pasqua messicana è l’uovo: i cascarones, o gusci, sono riempiti di coriandoli e rotti sulla testa degli amici in segno di augurio. La Procissão do Ecce Homo, in cui sfilano uomini scalzi e incappucciati, apre le celebrazioni pasquali del Portogallo. Sulle tavole, al termine dei riti tradizionali, spuntano agnello, polpette, uova, mandorle e le Arrufadas, panini dolci ricoperti di cocco. La Pasqua ortodossa, che inizia a Sagorsk, sede del Patriarca di Mosca, dà il via alle celebrazioni pasquali in Russia. La tradizione vuole che il pranzo del giorno di Pasqua si consumi al cimitero, sulla tomba di un parente defunto, mentre alla sera si festeggia in casa mangiando Pabcha e Kulitch, un dolce simile al panettone.
Nel tempo, la tradizione delle palme in Spagna è cambiata: un tempo le foglie venivano conservate al buio, oggi si sono trasformate in decorazioni per i dolciumi. L’evento più seguito va in scena a Siviglia, con le processioni dei penitenti incappucciati che portano a spalle le statue sacre. Nella regione della Catalogna è usanza consumare la Mona, una torta decorata con uova e cioccolato. La parata di New York è uno dei momenti clou delle celebrazioni pasquali negli Stati Uniti. Oltre alla caccia all’uovo o coniglietto di cioccolato, una tradizione radicata è l’egg roll: una gara di abilità per uova sode, fatte rotolare sui prati della Casa Bianca, a Washington. 7
FOOD/1 La cultura del maiale
Porco
Mondo
Sua maestà il suino, principe delle tavole e della cultura contadina, ma anche sinonimo delle peggiori bassezze umane. Un piccolo viaggio fra storia, leggende e certezze
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“I
l cane ti guarda dal basso in alto, il gatto dall’alto in basso, ma il maiale da pari a pari”. Si dice che a pronunciare la frase sia stato Winston Churchill, statista inglese abile negli aforismi e nelle freddure. Ma qualcosa di vero in quelle parole c’era, visto che il maiale è da sempre una delle passioni del genere umano e al tempo stesso uno dei suoi capri espiatori preferiti. Amato, insultato, imitato e preso ad esempio, il suino compare per la pri-
ma volta in alcuni disegni ritrovati nelle grotte di Altamira, in Spagna, e risalenti al 40.000 aC, anche se i primi esempi di allevamento risalgono al 3500 aC in Mesopotamia. Da allora, come dice chi parla bene, un’escalation senza fine: dalla maga Circe, che trasformava gli uomini in maiali a Dante Alighieri, che affibbia ai falsari la pena di azzannarsi l’un l’altro, come maiali nella porcilaia. E poi giù fino ai tre porcellini rivisitati da Walt Disney e al tenero porcellin o
rosa della fiaba “La tela di Carlotta”, in un turbinare di simbolismi e allusioni, fino al maiale volante che nel 1976, i Pink Floyd parcheggiano ironicamente sui cieli di Londra, sopra Battersea Station, la centrale elettrica. Per poi finire con il recente “Il maiale che cantava alla luna, la vita emotiva degli animali”, studio scientifico-culturale sugli animali da fattoria scritto da Jeffrey Masson, studioso e nientemeno che ex direttore degli archivi Sigmund Freud, se ancora mancas-
se qualche strizzatina d’occhio al doppio senso occulto del porco. Per concludere con la cultura orientale, in cui il maiale rappresenta il dodicesimo segno dell’oroscopo cinese e simboleggia una persona virile e burbera, amante della buona tavola e con un’altissima capacità di concentrazione. Un rapporto amore e odio continuo, quello fra l’uomo ed il suino, che da una parte è entrato
nella cultura popolare perché di lui “non si butta via niente”, diventando anche simbolo del risparmio sottoforma del più tipico salvadanaio, e dall’altro è eletto a insulto e simbolo delle peggiori delle bassezze umane, dalla lussuria alla sporcizia in cui la leggenda vuole che ami vivere. Ma il maiale, nella cultura popola-
re e gastronomica di buona parte del mondo, ha sempre rappresentato una miniera di gusti e sapori, dai tempi in cui l’uccisione del suino era una festa familiare ad oggi. C’è da sentire i succhi gastrici che si risvegliano, solo ad elencare ciò che di buono deriva dal maiale: da prosciutti cotti e crudi a costine e braciole, passando per pancette e mortadelle, cotechini e salami, lardo e strutto, per finire in bellezza con guanciale, testa, orecchie, codini, frattaglie, piedini, lonza, carré e puntine. Ma con la sorpresa finale regalata dal progresso: grazie alle nuove tecniche di allevamento, la carne di maiale è diventata più magra di un tempo, quindi digeribile senza problemi. E tantovale chiudere ancora con Churchill, che durante un party, pensando di fare lo spiritoso, aveva chiesto agli invitati chi sapesse dirgli quante dita ha un piede di porco. Lady Nancy Astor, più veloce di lui, riuscì a mettere la parola fine alla serata: “Si tolga una scarpa e provi a contare”. God save the pig. 7
ok il pezzo è giusto Bolliti: testa, orecchie, piedini, codini, coscia, spalla, coscia. Arrosti: coscia, spalla, lonza, lombo, carré. Brasati: coscia, spalla, lombata, puntine, codini, orecchie, zampette. Griglia: codini, piedini, filetto, carré, braciole, lonza.
FOOD/2 I formaggi per intolleranti Anche chi è costretto a privarsene, può rimetterli nella propria dieta i formaggi. Basta sapere cosa comprare
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econdo l’ultimo censimento ufficiale, risalente ormai agli anni Ottanta, i formaggi italiani sono divisi in circa 400 qualità diverse. Oggi, più prosaicamente, la cifra più realistica parla di 140 varietà, equamente divise fra pasta molle e dura, stagionati e freschi. Alimento essenziale, capace di fornire energie, gusto e calorie se mangiato da solo, ma anche pronto a dare sapore e consistenza a innumerevoli piatti della cucina italiana, il formaggio risente però di una complicazione digestiva che sempre più attanaglia migliaia di persone: l’intolleranza al lattosio. In realtà, è giusto sapere che non è privandosi dei formaggi che ci si libera dal lattosio, visto che questo è ormai presente sottoforma di additivo anche
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SOGNI STAGIONATI dove non ci dovrebbe essere: dal pane ai crackers, dalla pasta ai salumi. Ma siccome privarsi del formaggio è in effetti una delle peggiori iatture (oltre che deleterio per la corretta alimentazione), alcune tecniche di conservazione aprono le porte anche all’apparato digerente di chi non può permetterselo. Esistono in commercio numerose varietà di formaggio, soprattutto stagionati, in cui il lattosio è ridotto al minimo, se non quasi totalmente mancante. Qualche esempio? Pecorini, parmigiano, grana, provolone, asiago, taleggio e caciotte. Provare per credere. 7
La storia del Caseificio della famiglia Zucchelli affonda le radici nel tempo, all’inizio degli anni Quaranta. Non sono tempi facili, la rivoluzione industriale deve ancora arrivare e nell’attesa, di qualcosa bisogna pur campare. Quando i Zucchelli arrivano a Orio Litta avviano un attività agricolacasearia con bravura non comune nel creare formaggi dal latte dei loro animali, e l’abilità passa di generazione in generazione, coinvolgendo figli e nipoti fino a trasformare una semplice cascina in un caseificio vero e proprio, diventando una realtà di primissimo piano nel territorio lodigiana, sempre più sinonimo di tradizione e qualità. Oggi, alla Zucchelli si lavorano oltre 500 quintali di latte ogni giorno, proveniente da cascine Lodigiane mai distanti più di 10 km dalla sede e nel tempo e dall’attenzione costante nei confronti della tipicità del territorio nasce il “Lodigiano Zucchelli”, un formaggio caratteristico delle campagne Lodigiane, da cui si ottiene anche il mitico velo di formaggio dal gusto delicato e intrigante capace degli abbinamenti più svariati: “La Raspadura”. Nel tempo si fa strada un’idea, suggerita dalla gente che continua a fermarsi per chiedere di comprare i formaggi Zucchelli direttamente in cascina. Da alcuni mesi l’azienda ha aperto la “Bottega del gusto”, spaccio di bontà create dalla lavorazione del latte in cui, oltre al loro Lodigiano Zucchelli e alla grande varietà di prodotti, non mancano prodotti caseari di qualità provenienti da ogni regione d’Italia: mozzarella campana, pecorino laziale, caciocavallo silano, bitto della valtellina e tanti altri prodotti della tradizione italiana, ma anche salumi tra cui il salame della Cascina Marmorina, dove ha sede il caseificio. L’allevamento suino, infatti, è sempre andato di pari passo con il caseificio grazie al siero, sottoprodotto della lavorazione del grana che risulta ottimo come ingrediente per l'alimentazione e per la qualità delle carni dei suini, oltre ai cereali prodotti sempre in cascina. L’offerta alla bottega comprende anche una piccola e scelta selezione dei migliori vini italiani. Il principio, però, resta lo stesso degli inizi, quello degli anni Quaranta, in cui chi arrivava trovava sempre la porta aperta: si può, anzi si deve assaggiare e degustare, per capire cosa si sta per portare a casa: la Bottega prevede anche piccole e piacevoli degustazioni. L’idea è di arrivare direttamente al cliente finale, passando direttamente dalla campagna al caseificio, e da lì alla “BOTTEGA del GUSTO”.
ZUCCHELLI-BOTTEGA del GUSTO Strada Mantovana, 49A Orio Litta (Lodi) - Tel. 0377.804115 ORARI: Lun 15.30-19.30 - Da Mar a Sab 09.00-12.30/15.30-19.30 - Dom 09.30-12.30
salute L’acqua ad osmosi inversa
WATER mater
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rahlad Jani ha 82 anni, è un asceta indù che vive nelle foreste del Gujarat e pratica yoga quotidianamente. Fin qui nulla di strano, eppure una folta equipe di scienziati lo sta studiando con attenzione senza riuscire a trovare una risposta alla capacità più incredibile sviluppata dall’arzillo vecchietto: ben 74 anni fa, l’uomo ha smesso di mangiare e bere, vivendo da allora soltanto d’aria. Un caso unico, citato proprio perché normalmente un essere umano può resistere mesi senza mangiare, ma soltanto pochi giorni se privato dell’acqua. Anzi, è ormai risaputo che l’uomo ha bisogno di almeno due litri d’acqua al giorno. Elemento fondamentale per l’organismo
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L’IMPORTANZA DELL’ACQUA E L’AVVENTO DEGLI IMPIANTI CHE PERMETTONO DI PURIFICARE QUELLA DEL RUBINETTO
umano e per lo sviluppo delle civiltà, che non a caso sceglievano di edificare i propri villaggi lungo fiumi e laghi, dal Settecento l’acqua ha iniziato un’ulteriore scalata sociale, entrando di diritto nel ristretto elenco delle sostanze dall’altissima capacità terapeutica. Ma sono tante le furberie che ruotano intorno all’acqua, a cominciare da quella che normalmente si acquista al supermercato per finire con business colossali, spesso dalle conseguenze molto pesanti per le popolazioni. Il principio a cui attenersi per essere sicuri di bere un’acqua che faccia realmente bene è uno solo: quella cosiddetta alimentare dev’essere non di ottima, ma addirittura di eccellente qualità. E con questo non si intende solo l’acqua delle bottiglie, ma anche quella involontaria e altrettanto necessaria contenuta negli alimenti che ingeriamo quotidianamente spesso in misura addirittura maggiore. Ma andiamo con ordine: come scegliere l’acqua giusta? Tre sono i parametri da verificare con attenzione leggendo sulle confezioni: un residuo fisso inferiore a 50 mg/l,
lo sapevate che...
• Il cervello umano è composto dal 70% di acqua, i polmoni del 90%; • Si perde circa mezzo litro d’acqua al giorno attraverso la respirazione; • La temperatura ideale per gustare al meglio l’acqua è intorno ai 12°C; • L’acqua va conservata in un luogo fresco, asciutto e poco illuminato per il più breve tempo possibile; • Il bicchiere più indicato per la degustazione è il calice a stelo, asciutto e a temperatura ambiente; • Ci sono piatti della tradizione culinaria italiana che trovano una maggiore esaltazione accompagnati con acqua piuttosto che con vino: asparagi, funghi, zucchine, carciofi crudi e minestre di verdura; • Ci vogliono 1,5 milioni di barili di petrolio per fabbricare l’approvvigionamento di un anno di acqua: abbastanza per alimentare 100.000 auto.
un Ph compreso tra 6,0 e 6,8 e la totale assenza di nitrati, materiali organici e sostanze non biocompatibili. La bassa percentuale di residuo fisso assicura un’acqua facilmente digeribile che stimola
la diuresi, utile per prevenire calcolosi e in caso di ipertensione. Il Ph, o grado di acidità, è uno dei dati “sensibili”: il grado dev’essere compreso in un parametro molto ristretto poiché in dosi inferiori può causare disturbi gastrointestinali. Per poi finire con i nitrati, che ostacolano il “viaggio” dell’ossigeno nel sangue e in combutta con le proteine possono trasformarsi in sostanze cancerogene. A questo, è
giusto aggiungere un paio di dati che forse più di ogni altro fanno rabbrividire: le bottiglie che norm a l m e n t e usiamo sono realizzate in Pet, un derivato del petrolio greggio, ed il 90% del costo non è dovuto alla qualità dell’acqua contenuta, ma per realizzare bottiglia, tappo ed etichetta. Da qualche anno, sono sempre più diffusi i sistemi di trattamento ad osmosi inversa: si tratta di impianti che depurano l’acqua del rubinetto dalle sostanze disciolte. Il risultato, a patto di rispettare scrupolosamente i tempi per la sostituzione dei filtri, è un’acqua dal residuo fisso e la durezza molto bassi. Una purezza e un equilibrio, quelli dell’acqua osmotica, che la rende particolarmente adatta nella preparazione del thè, bevanda che come insegnano gli inglesi, è una faccenda da prendere molto seriamente. 7
Specializzata nel settore del trattamento acqua, la Aemme termoidraulica attraverso la figura di Mister Acqua si pone sul territorio come “la soluzione ai tuoi problemi di acqua!”. Questo attraverso svariate attività e servizi: centro assistenza addolcitori e depuratori; vendita di filtri e ricambi; depuratori ed erogatori d’acqua, domestici e settore ho.re.ca; sanitari. Attraverso la figura di Mister Fuoco, invece, va a coprire anche l’ambito del settore riscaldamento e delle energie rinnovabili attraverso la realizzazione e manutenzione di impianti, sostituzione caldaie e scaldabagni, stufe a pellet, impianti gas e solare termico. Presso il nostro punto vendita ci saranno le nostre simpatiche mascotte ad aspettarvi! Insieme a loro troverete anche un servizio completo e competente, oltre che consigli ed assistenza sui vari ambiti di intervento e tanti servizi per soddisfare ogni esigenza di voi clienti.
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motori Salone di Ginevra 2013
ine oso ord r o ig r a tour in ità dell v o n Piccolo e l ico fra ta alle a ic d alfabet e d a on e elvetic tiche. N is kermess il b o m uto ve , le nuo novità a e s e r p r o o le so rattutt p o mancan s e e esa gie pulit una ripr i tecnolo d a z n la spera
alfa romeo Si chiama Gloria ed è un concept nato dalla sinergia fra l’Istituto Europeo di Design di Torino ed il Centro Stile Alfa Romeo. Gloria è una coupé che in realtà sembra abbozzare lo stile delle nuove berline marchiate con il Biscione, ma anche Chrysler. Nel dettaglio misura 4,7 in lunghezza, con passo di 2,9 metri, mentre per i motori si favoleggia (senza alcuna certezza) che sarebbero pronti un V6 o addirittura un V8.
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importante quello più i, is cr a ll e a che con il salone d a vecchia Europa, m ll no di un e n ie p o sca nel dell’ann ca e n io arme iz d ae onare l’all la 83esim rmai fa su vello. Eppure, o e ch mercato alsiasi li rie e non que, e a qu rosso ovun fede alle proprie glo prime te e n n a Ginevra tie sentare oltre 100 crisi si re p la a e a ch rinunci ostrare im d r o poi le a vo che prim quasi a di novità mondiali, a rz fo a , così combatte mercati. 7 vogliare i in r e p o n finisco
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audi La finestra sul futuro si chiama A3 e-tron, variante ibrida della compatta di nuova generazione marchiata con i quattro anelli. A muoverla un insieme formato dal 1.4 TFSI a benzina da 150 CV ed un motore elettrico che dispone di altri 100 CV: insieme la portano sulla soglia dei 222 km/h. E se la percorrenza a zero emissioni si limita a 50 km, consumi ed emissioni sono da applauso: oltre 66 km con un litro di benzina e 35 g/km di CO2. Merita una citazione anche la RS Q3, che insieme alla S3 Sport- back completa lo stand Audi. Basata sulla compatta Q3, la cattivissima versione RS monta un 2,5 TFSI da 310 CV che la spinge sui 250 km/h, trazione integrale quattro e sistema Drive Select con tre modalitĂ di guida.
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bentley L’asso nella manica si chiama Flying Spur: ammiraglia del marchio e portabandiera delle berline d’alto rango. La linea è quella di famiglia, con nuove interpretazioni estetiche tanto per l’esterno quanto per la ricche dotazioni interne. Sotto il cofano, ad agitarsi, il 6 litri 12 cilindri a V da 625 CV, con cambio ZF a otto marce. Fra le novità esposte a Ginevra anche la Mulsanne, disponibile con due nuovi pack: Comfort ed Entertainment.
chevrolet Nuovo look per Captiva, il Suv compatto marchiato con il cravattino dorato: le novità si concentrano su alcuni dettagli esterni (nuovi i gruppi ottici, gli scarichi e i paraurti), che fanno il paio con i nuovi rivestimenti per i sedili e le finiture per gli interni, fra cui l’arrivo dell’avviamento senza chiave ed il clima automatico. Spazio anche alla Trax, crossover urbano al debutto in Europa, equipaggiata con un 1.6 aspirato, un 1.4 turbo da 140 CV ed un 1.7 diesel da 130.
mercedes-benz Si chiama A 45 AMG e la sigla finale basta a far intuire la cattiveria della nuova variante pepata della più fresca novità della Stella. In pratica, la Classe A di nuova generazione diventa cattiva grazie al quattro cilindri a iniezione diretta BlueDirect da 2 litri turbo con 360 CV e 450 Nm: 15 km/l e 161 g/km di CO2. Ai dati va aggiunta la trazione integrale 4Matic.
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Opel Ennesimo passo in avanti nel rilancio del marchio Opel, iniziato con la piccola Adam, che a Ginevra si mostra peraltro in due varianti concept: la Rock e la R2, quest’ultima destinata ai rally. La Cascada, lunga quasi cinque metri, è però la novità del salone svizzero: un progetto realizzato in proprio, senza collaborazioni esterne. Vanta una linea elegante, capote elettrica in tela e spazio per quattro persone. A disposizione un benzina 1.6 Sidi turbo Ecotech con 125 CV ed un 2 litri diesel CDTI da 165.
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volkswagen La parte del leone la fa la XL1, passata dall’embrione prototipo a coupé a due posti pronta per la produzione in serie. Lunga quasi quattro metri, alta 1 metro e 15 (e al peso di appena 795 kg grazie all’uso del carbonio) per contenere il Cx, la XL1 abbina un due cilindri TDI da 800 cc (48 CV) ed
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un elettrico con batteria agli ioni di litio che di CV ne offre 27. Da record le emissioni di CO2, contenute in 21 g/km. Passerella elvetica anche per la nuova Golf GTD, variante a gasolio della settimana generazione del successo inossidabile di Wolfsburg, che monta il 2 litri TDI da 184 CV su cambio automatico a sei rapporti, per raggiungere i 230 km/h.
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matti di professione Gli amministratori delegati, seguiti da avvocati, giornalisti, chirurghi e agenti di commercio. Sono queste, secondo Kevin Dutton, professore all’Università di Oxford, le professioni più ad alto rischio, quelle che possono portare in dote seri disturbi alla personalità. Per contro, fra i mestieri meno a rischio rientrano infermieri, terapisti e insegnanti. L’indagine è il risultato di un sondaggio sulle personalità condotta su oltre 5.000 soggetti diversi.
Di corsa con fido Sono ben 109, i guinzagli per cane della collezione 2013 di Hurtta, marchio leader nella giunzaglieria e nell’abbigliamento tecnico. Svariati i modelli: da quelli a corda ai modelli di vario spessore, lunghezza e uso, fra cui la curiosa versione Jogging, destinata a chi va a correre in compagnia del proprio cane. L’impugnatura di Jogging è rappresentata da un guanto, con lunghezza regolabile fra 60 e 90 cm.
pizza ovunque
nia Kristian Tapa L’idea è venuta chef ’ po un e er sign naho, un po’ de da forno a legna un e: es nd la è fin o rn fo il ii, ato Uun n viaggio. Chiam tia is Kr di e on inzi nato dalla conv po op tr legna siano che quelli a api: il suo pesa os st grandi e co un di o ol cc pi è più e pena 5 kg ed ar riv na, ma può ar a trolley da cabi un e er oc enti per cu a a 450°, suffici si re pa a de inuti. L’i pizza in tre m pa Ta r nto che miste li piaciuta al pu ag ro et sce a star di ninaho non rie do. da tutto il mon o riv ar ordini in
Alla faccia del piatto È capitato a tutti, di trovarsi di fronte al conto un po’ salato di un ristorante, ma c’è di che consolarsi leggendo del piatto di tagliolini inserito nel menù del ristorante “Bice” di New York, venduto a 2.000 dollari. A nulla vale il pensiero che la pasta sia condita con astice selvaggio del Maine e tartufo d’Alba, come la possibilità di portarsi a casa il piatto, creato in esclusiva per il ristorante da Gianni Versace pochi mesi prima di morire, perché il conto finale resta comunque da infarto al miocardio.
l’automobile, che storia È una storia affascinante e coinvolgente, quella dell’automobile. La pensano così i vertici di Mercedes-Benz, che da poco hanno reso disponibile Carl Benz, a “life dedicated to cars”, primo comic book a raccontare l’epopea dell’auto usando i fumetti. Realizzato da Willy Williamson e Martin Grunewald, il volume si articola su 52 pagine e ripercorre con fedeltà la vita, le difficoltà e i successi di Carl Benz, considerato il padre dell’automobile moderna. Il libro, in vendita a 19,80 euro, è disponibile in quattro lingue: tedesco, inglese, francese e cinese. 48| febbraio/marzo ‘13
in collaborazione con la Feltrinelli Librerie
Quel che resta della vita. Shards of Life. Shalev Zeruya
Sette anni senza di te. Musso Guillaume
Tutto parte da un’anziana in un letto d’ospedale di Gerusalemme. Hemda Horowitz giace inerte nel suo letto, circondata dai due figli a cui ha dato un amore diseguale. Ripercorre i ricordi della propria vita: il severo padre pioniere, la sua infanzia vissuta in kibbutz e un difficile matrimonio con un marito sopravvissuto alla Shoah. Ma è il rapporto dell’anziana madre con i due figli il vero cuore del romanzo e si delinea fin dalle prime pagine: se con la figlia Dina ha un legame faticoso e conflittuale, per il figlio Avner prova una sorta di adorazione. Avner è un avvocato che combatte per i diritti delle minoranze, un uomo pesante e angosciato, frustrato sul lavoro, tormentato dalla propria inettitudine sentimentale. Dina cerca di essere una madre opposta a quella che ha avuto. È sposata con un fotografo schivo e di poche parole e ha messo da parte la propria vita professionale per trasmettere tutto quell’amore materno, che a sua volta non ha ricevuto, alla figlia adolescente Nizan. Ma quando vede quest’ultima allontanarsi, Dina entra in crisi e viene progressivamente posseduta da un imperioso desiderio di adottare un bambino abbandonato, desiderio che incontra la netta opposizione della famiglia e la costringe in un vicolo cieco che minaccia di distruggere tutto ciò che in realtà desidera salvare, la sua famiglia. Zeruya Shalev esplora la vecchiaia e le complesse dinamiche del rapporto tra genitori e figli.
Artista esuberante e focosa, la bella Nikki piomba come un fulmine a ciel sereno nella vita del ricco e posato Sebastian. Da quel momento è accaduto tutto: un grande amore esclusivo, il matrimonio, la nascita di due gemelli, Camille e Jeremy. Ma poi è arrivata anche la fine: l’odio, le liti, un amarissimo divorzio, e i gemelli divisi tra i genitori. Oggi sono passati molti anni. Nikki e Sebastian si sono rifatti una vita, lontani l’una dall’altro. Finché un giorno il figlio, ormai diciassettenne, sparisce misteriosamente. Fuga? Rapimento? Per scoprirlo Nikki non ha altra scelta che rivolgersi all’ex marito, per lanciarsi, di nuovo insieme, in una indiavolata e pericolosa corsa contro il tempo... E forse, anche dentro il proprio cuore.
Liberi e senza paura. Cronaca di una candidatura in Lombardia. Ambrosoli Umberto, Rolando Stefano Questo libro racconta come e perché Umberto Ambrosoli ha deciso di candidarsi alla presidenza della Regione Lombardia per le elezioni del 2013. Contiene un’intervista esclusiva, il diario delle primarie, un piccolo ed efficace “lessico ambrosoliano” e il documento fondativo della coalizione che lo sostiene. Dalla lettura emerge la portata innovativa del metodo politico di Ambrosoli: affiancare ai partiti una società civile matura e portatrice di valori essenziali. E si delinea la fisionomia di una Regione decisa a “rigenerarsi” partendo dalla legalità come presupposto irrinunciabile. Una promessa di rinascita che rischia di superare i confini della Lombardia per interessare l’intero Paese.
Ti prego lasciati odiare. Premoli Anna Jennifer e Ian si conoscono da sette anni e gli ultimi cinque li hanno passati a farsi la guerra. A capo di due diverse squadre nella stessa banca d’affari, tra di loro la competizione è altissima e i colpi bassi e le scorrettezze non si contano. Si detestano, non si sopportano, e non fanno altro che mettersi i bastoni fra le ruote. Finché un giorno, per caso, i due sono costretti a lavorare a uno stesso progetto: la gestione dei capitali di un facoltoso e nobile cliente. E così si ritrovano a passare molto del loro tempo insieme, anche oltre l’orario d’ufficio. Ma Ian è lo scapolo più affascinante, ricco e ambito di tutta Londra e le sue accompagnatrici non passano mai inosservate: basta un’innocente serata trascorsa a uno stesso tavolo perché lui e Jennifer finiscano sulle pagine di gossip di un giornale scandalistico. Lei è furiosa: come possono averla associata a un borioso, classista e pallone gonfiato come Ian? Lui è divertito, ma soprattutto sorpreso: le foto con Jenny hanno scoraggiato tutte le sue assillanti corteggiatrici. E allora si lancia in una proposta indecente: le darà carta bianca col facoltoso cliente se lei accetterà di fingersi la sua fidanzata. Sfida accettata e inizio del gioco! Ma ben presto portare avanti quello che per Jenny sembrava un semplice accordo di affari si rivela più complicato del previsto.
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