AndCo Magazine ottobre 2012

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Riccardo ravizza

La forza di una famiglia Po in lombardia La parola a chi decide

Icone

Ricordando grace kelly

Speciale Casa e Sposi

23 pagine dedicate al giorno pi첫 bello

Arte | Sport | FooD Moda | Cinema | Motori Anno 06 OTTOBRE 2012

COPIA GRATUITA


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06 SOMMARIO

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5 Editoriale

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Arte/2: Antonio De Paoli

Un profondo senso di nausea

Corpo, spirito e materia

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Cover story: Riccardo Ravizza

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Food: Terra madre

La memoria della pelle

I cibi che cambiano il mondo

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Icone: Grace Kelly

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Salute: La menopausa

Senza più ghiaccio

Per resistere al tempo

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Attualità/1: l’Assessore Colucci

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Sport: Mauro Nespoli

Ambo o terna?

L’arco della vita

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Attualità/2: gli Expo

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Moda: Il cashmere

Insieme è meglio

La regina della lana

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Focus economia

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Motori/1: nuova Renault Clio

Per chi vuole crescere

Patrimonio di Francia

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Speciale Sposi

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Motori/2: Salone di Parigi

Ti sposo in tutte le lingue del mondo

Un certain regard

Sul piano della dolcezza

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Cinema: Cogan, killing them softly

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Speciale casa

L’ordine ai tempi della crisi

La sicurezza

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Arte/1: Renoir a Pavia

Inno alla bellezza

Anno 06 Ottobre 2012 Mensile a diffusione gratuita Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 675 del 18/03/2007

una pubblicazione Adverum Srl Via R. Brichetti, 40 27100 Pavia Tel. (+39) 0382 309826 fax (+39) 0382 308672 www.adverum.net info@adverum.net

Stampa Art & Coop Soc. Coop. Via Aldo Moro, 14 15057 Tortona (AL) DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo (direttore@andcomagazine.it) SEGRETERIA DI REDAZIONE C. Moretti Tel. 0382/309826 redazione@andcomagazine.it

Art Director Andrea Maccarini Impaginazione e grafica Adverum Srl ADV designer Michela Morini grafica@adverum.net Marketing, pubblicità ed eventi speciali Adverum Srl marketing@adverum.net OTTOBRE 2012 | 3


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EDITORIALE

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UN PROFONDO SENSO DI NAUSEA Alzi la mano chi non ha la nausea, e non trova digestivi capaci di fargliela passare. Chi prova disgusto e ribrezzo verso quanti, decine e decine, sono scoperti da Finanza e Carabinieri con le mani nel sacco a rubare soldi nostri, degli italiani, spesi a mani basse per feste, auto e vacanze, tralasciando quel che per motivi di fascia protetta, probabilmente non ci dicono. “Impuniti”, li chiamano a Roma, per la straordinaria capacità di sentirsi sempre dalla parte del giusto, mostrando una faccia di tolla immensa perfino davanti alle telecamere, negando l’evidenza più assoluta e promettendo la ricandidatura, che gli è stata chiesta dall’elettorato che crede nella sua innocenza e nel lavoro della Magistratura. Sì, perché questo è il paese dove le dimissioni non sono mai contemplate, dove c’è gente che se piove corre fra le gocce senza bagnarsi mai, dove probabilmente saremmo uno dei posti più ricchi al mondo, se davvero chi ruba fosse costretto a restituire tutto, compresa la faccia. Invece il penoso calvario continua incessante, con nuove rivelazioni a ritmo quotidiano, costringendo ognuno di noi, compreso chi non hai mai tardato nemmeno sul pagamento del bollo dell’auto, a sentirsi in colpa, in quanto italiano. Forse è proprio questa la profezia dei Maya, il terremoto che sta scuotendo dalle fondamenta la politica italiana, costretta a ripensarsi totalmente, pena sparire nelle schede bianche e nulle delle prossime elezioni. Perché noi tutti, cari signori, iniziamo ad essere leggermente stanchi: non parlateci più, per favore, di prima, seconda o terza Repubblica, perché come diceva Sciascia, il trucco di chi decide è da sempre di cambiare tutto per non cambiare nulla. Di farci credere di essere un paese onesto, dove pagare le tasse serve davvero per avere in cambio servizi, e non una raccolta di delusioni che fanno venire la nausea.

DIRETTORE RESPONSABILE Germano Longo

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COVER STORY Riccardo Ravizza

TRE PEZZI FORTI Riccardo Ravizza (il primo da destra), insieme ai suoi due fratelli Ruggero e Simonetta. Oltre ad aver ereditato da padre e nonno gusto e talento, sono stati capaci di trasformare l’antica azienda pavese in uno dei marchi piÚ celebri del pianeta

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LA MEMORIA

DELLA PELLE

Intervista a cuore aperto con uno dei tre figli di Giuliano: fra ricordi, speranze, piani aziendali e i portici di Pavia di Germano Longo

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a qualche parte ci sarà anche scritto: a volte la genialità si eredita. Certo, a volte – e non sempre - ma nella moda succede spesso, basta pensare ai nomi delle dinastie che nel tempo hanno perpetuato uno stile, una sapienza, un modo di intendere l’arte antica di creare qualcosa che al mondo intero piaccia vedersi addosso. Ed è così che si diventa tradizione, seguendo l’unica formula conosciuta perché un’idea cresca, metta radici e allarghi i rami oltre i confini del proprio giardino. Riccardo Ravizza e i suoi due fratelli, Simonetta e Ruggero, nel 1992, vent’anni fa esatti, si trovano a fare i conti con la morte di papà Giuliano. Non si è grandi mai abbastanza per perdere i genitori, e nel loro caso al dolore si aggiunge la consapevolezza di doversi mettere alla guida di un impero in continua mutazione, che ha perennemente bisogno di energia e idee nuove. L’aveva già fatto papà Giuliano nel 1965, quando anche per Gilio Ravizza, il nonno e il vero fondatore dell’azienda di famiglia, era arrivato l’ultimo giorno su que-

sta terra. Giuliano aveva già scelto anni prima cosa fare della propria esistenza, abbandonando la professione medica per seguire il papà, proprietario di cinque negozi di abbigliamento. Suo padre, Gilio Ravizza, era l’uomo che per anni aveva vestito Pavia, per capirci. Riccardo, Simonetta e Ruggero, da quel giorno del 1992, si rimboccano le maniche e il marchio Annabella decolla. Li aiuta il destino: sono anni facili, quelli dell’edonismo reaganiano e di un ottimismo che fa girare a pieno ritmo l’economia e le idee. Oggi, a vent’anni di distanza, l’impero dei Ravizza si estende fino alle terre conosciute, con centinaia di punti vendita che partono sempre dalla sede storica, quella nel cuore di Pavia: duemila metri quadrati, trenta salottini prova e quattordici vetrine per non perdere il filo con il passato, con le idee di nonno Gilio ed il genio di papà Giuliano. Perché loro, prima di tutti, l’avevano capito: quello che si fa guardare qui, sotto i portici di corso Cavour, funziona anche in tutto il mondo. 5

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TRADIZIONE DI FAMIGLIA Giuliano Ravizza insieme ai suoi tre figli in una delle ultime foto che li ritrae insieme. Nella pagina a fianco, l’inaugurazione del flagship store “Simonetta Ravizza” in via Montenapoleone, epicentro della moda milanese.

COVER STORY Riccardo Ravizza

Suo papà Giuliano, negli anni Sessanta ha avuto un’intuizione geniale: sdoganare il concetto di pelliccia da capo di lusso destinato alle occasioni importanti, a qualcosa da indossare tutti i giorni, anche per andare a far la spesa. La vostra azienda parte da qui: come avete vissuto il cambiamento lei e i suoi fratelli? Effettivamente ci sono fenomeni di costume ed imprenditoriali che hanno valore solo in determinati contesti storicosociali. Eravamo negli anni del boom economico e quella di mio padre è stata un’intuizione geniale. Nel tempo poi la strategia commerciale di Annabella è mutata spostandosi verso un prodotto di élite e di immagine: è cambiato il target della clientela e anche le aspettative del consumatore per quanto riguarda il prodotto “pelliccia”. Importante è stato accorgersi della mutazione per “cavalcare” con successo l’evoluzione, anche verso nuovi mercati. Giuliano Ravizza se n’è andato nel 1992, vent’anni fa esatti: come si è evoluta la vostra strategia aziendale in questo arco di tempo? Sembra ieri… e sono già passati vent’an-

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ni. Nel frattempo il mondo è cambiato: è caduto il muro di Berlino, c’è stata la contestazione ecologista, abbiamo dovuto confrontarci con la globalizzazione, ecc. Non è stato facile: papà era una grande guida, un decisionista, e all’inizio è stato difficile prendere in mano le redini dell’azienda. Poi, con la compattezza familiare che ci ha sempre contraddistinto, abbiamo affrontato con saggezza le scelte strategiche che di volta in volta il mercato ci poneva di fronte. Fino ad oggi, con soddisfazione, possiamo affermare che le scelte fatte sono state giuste: la creazione del brand “Simonetta Ravizza”, le vetrine di Via Montenapoleone, l’apertura ai mercati esteri con la distribuzione ad altri negozi multi-brand... Per intenderci, oggi l’atelier di Pavia rappresenta solo una parte del nostro business generale.

decisione: la famiglia, la dedizione al lavoro, l’umiltà, la saggezza… principi che speriamo di poter trasmettere anche noi ai nostri figli.

Cosa vi hanno insegnato papà Giuliano e nonno Gilio? Nonno Gilio è mancato quando avevo 5 anni, ma ho imparato a conoscerlo attraverso gli insegnamenti di papà. Mio padre invece è stato determinante per la nostra crescita umana e professionale… ancora oggi i suoi insegnamenti ed i valori che ci ha lasciato sono il “faro” per ogni nostra

Eppure, malgrado la celebrità planetaria e la possibilità di scegliere, la famiglia Ravizza e la vostra attività hanno da sempre la testa pensante a Pavia, città da cui tutto è partito: è un legame particolarmente stretto quello che vi unisce? Ci racconti la vostra Pavia: i posti che amate, quelli che frequentate, gli angoli che da sempre vi convincono a non andare via.

Il vostro marchio ha cavalcato a piene mani gli ultimi decenni economicamente sereni dello scorso secolo, assicurandosi testimonial d’eccezione e sfilando ovunque, da Washington a Mosca: ci regali qualche ricordo, episodio o aneddoto legato a quegli anni. Un ricordo che è anche un po’ rimpianto, risale al 1987: spot con Alain Delon… si doveva girare una scena in una villa di Carimate, con una giovane modella (allora sconosciuta). Ricordo che per altri impegni non riuscii ad essere presente alle riprese, quindi non conobbi la modella: Monica Bellucci.


Il nostro “Company Profile” recita: “Annabella, Pavia, Ravizza; Un’azienda, una città, una famiglia”. Penso che qui sia racchiuso tutto il senso della nostra appartenenza. Pavia è la città dove sono nato, che amo e non cambierei con nessun altro posto, malgrado tutto. Dico questo perché, purtroppo, negli ultimi anni vedo una città un po’ troppo addormentata, senza stimoli e senza entusiasmi. Amo le viuzze del centro storico e girare in bicicletta (come mio padre). Amo il Ticino ed il senso di pace che ti dà. Quanto è cambiato il concetto di moda dai vostri inizi? Enormemente. Per decenni l’idea di moda-pelliccia è rimasta immutata, quasi fino alla fine degli anni ‘90. Oggi è un prodotto totalmente diverso: non più uno status-symbol ma un “accessorio” moda a tutti gli effetti, da indossare con gratificazione personale, non da esibire. Devo riconoscere che Simonetta ha contribuito a “svecchiare” il concetto di pelliccia: nel 2000 osò con un abbinamento giubbino jeans + pelliccia che è stato un vero spartiacque… da allora la pelliccia ha cambiato identità: è giovane e divertente, è moda. Vendete praticamente in tutto il mondo, ma c’è qualche paese che vi dà particolari soddisfazioni in questo periodo?

I paesi dell’ex Urss: Russia, Ucraina e Kazakistan sopra tutti. A Mosca esiste un nostro punto vendita, ma siamo presenti da San Pietroburgo a Rostov-on-Don, da Ekaterinburg a Novosibirsk, da Kiev a Odessa… La pellicceria ha vissuto forti proteste da parte dei movimenti animalisti: è ancora così? Fortunatamente no. Ormai tutti gli stilisti presentano pellicce o modelli accessoriati con pelliccia. Lo stesso Giorgio Armani, sempre un po’ restio, ha presentato nella propria collezione alcuni capi con pelliccia. Si utilizzano solo animali da allevamento e con la Convenzione di Washington (firmata da tutti i paesi) c’è uno strettissimo controllo e regolamentazione. Esiste un detto che recita chi si ferma è perduto: c’è qualcosa che vorreste fare o che state studiando? Vero: mai fermarsi, soprattutto in un mondo che corre a mille all’ora. I prossimi progetti riguardano l’e-commerce e l’apertura di punti vendita a Shangai e Pechino… ce n’è abbastanza per non dormire la notte. Lei che è un imprenditore, come giudica la situazione attuale e quali secondo lei dovrebbero essere i passi per uscire da una crisi che sta piegando il pianeta? È una situazione effettivamente difficile e complicata perché non ci sono riferimenti

storici a cui aggrapparsi per uscirne: non è la solita crisi passeggera e credo che siamo in presenza di mutamenti significativi, direi quasi epocali. Ricette? Dal nostro punto di vista, di ciò che può fare il singolo imprenditore?… non smettere mai di “crederci”, di aver fiducia e ottimismo, guardare lontano e anticipare i tempi. La leva psicologica è importante in questi momenti, il resto lo deve fare una buona politica. Quali sono i mercati futuri, quelli su cui state puntando? Non dimentichiamo l’Italia ma, sicuramente, sempre la Grande Russia, ancora da consolidare, e – come dicevo – la Cina: un mercato immenso dove il lusso ha un appeal incredibile ed i consumi in questo comparto crescono a doppia cifra. L’ultima domanda è un regalo: cosa vorrebbe sentirsi chiedere? Poi, ovviamente, provi a rispondersi. Forse lo si è già indirettamente capito: se mi avessero chiesto “fai un bilancio della tua vita negli ultimi 20 anni, dopo la morte di papà” , avrei risposto: spero di aver agito e di essermi comportato, come uomo prima ed imprenditore poi, in modo da non deluderlo. Mi auguro che, da dove si trova ora, sia orgoglioso di ciò che, insieme ai miei fratelli, abbiamo fatto fin qui. E mi auguro di essere io stesso un riferimento positivo per le mie figlie, un giorno. 7

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ICONE

Grace Kelly

SENZA PIÙ

GHIACCIO

Per Hitchcock era “ghiaccio bollente” MA per il mondo resta un’inimitabile commistione di bellezza, fascino, eleganza e femminilità. A trent’anni dalla morte, un Omaggio alla prima delle principesse tristi

È

il 13 settembre del 1982, trent’anni fa esatti, la data in cui per le principesse cambia tutto. Dai castelli e le carrozze trainate da cavalli bianchi delle favole che si raccontano ai bambini a realtà difficili fatte di tristezze, solitudini, amarezze e un’infelicità che da quel giorno porteranno spesso dritte verso la parola fine, che sia sotto un tunnel parigino o su una strada della “gran corniche”,

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alle spalle del Principato di Monaco, mondo fiabesco per via delle tasse, abitato da ricchi e famosi. Grace Kelly se n’è andata così, pagando il prezzo altissimo di sciupare il sogno al mondo intero, che per un attimo aveva finito per credere davvero alle favole: la ragazza non nobile ma bellissima, il principe e il suo castello affacciato sul mare, l’amore che scavalca gli oceani. Quel giorno, il 13 settembre 1982,


per uscire con Stephanie, la figlia più piccola, Sua Altezza Serenissima sceglie la Rover SD1, e per l’autista non c’è posto. Perde il controllo e va fuori strada a La Turbie, dimostrando ancora una volta che il destino ama nutrirsi di cinismo: sono, quelle, le stesse strade in cui anni prima la futura principessa aveva girato “Caccia al ladro”, e conosciuto il Principe Ranieri III, dando inizio alla fiaba. Per anni si è favoleggiato su quel giorno, sussurrando che alla guida ci fosse Stephanie, ma mai nessuna ammissione è uscita dal palazzo dei Grimaldi: Grace Kelly muore il giorno dopo l’incidente all’età di 52 anni a causa delle gravissime ferite riportate, senza mai riprendere conoscenza. Terza figlia di John Brendan Kelly e Margaret Majer, Grace Patricia Kelly nasce il 12 novembre 1929 a Philadelphia, in Pennsylvania, da una famiglia ricca ma tutt’altro che nobile. Non importa, perché Grace la nobiltà ce l’ha dentro: è di una bellezza imbarazzante, alta, austera e naturalmente elegante come un’europea di ottimi natali. Malgrado la famiglia si opponga, la giovane Kelly non fa fatica a trovare lavoro come modella, ma lei punta al cinema ed il cinema anche: a 22 anni è sul grande schermo, ritagliandosi una parte in “Mezzogiorno di fuoco”, al fianco di Gary Cooper. Non le serve altro: l’anno successivo, alla faccia di tutti, Grace è candidata all’Oscar per l’interpretazione di “Mogambo”, questa volta con Clark Gable e Ava Gardner.

È Alfred Hitchcok a trasformarla nella sua musa assoluta: con lui gira “Il delitto perfetto” e “La finestra sul cortile”, ambedue del 1954, e “Caccia al ladro”, del 1955. Per lei, il regista più noir che c’è, conia una definizione che le calza a pennello: “ghiaccio bollente”. L’Oscar arriva comunque nel 1955 per “La ragazza di campagna”, ma appena un anno dopo, nel pieno della carriera e al massimo di una bellezza che non conosce confini, Grace Kelly rinuncia a tutto per salire sull’altare con il Principe Ranieri III. Avrà tre figli, Carolina, Alberto e Stephanie, trasformando il Principato in una sorta di succursale di Hollywood: attori e registi a corte non mancheranno mai, lasciando trasparire la malinconia per i cinque anni in cui il cinema ed il mondo non avevano scelta, e si inchinavano ai suoi piedi, incapaci di reagire. Proprio nei giorni dell’incidente, nel settembre del 1982, Grace Kelly stava ultimando di girare un film che avrebbe segnato il suo ritorno sulle scene ventisei anni dopo aver dato l’addio alla carriera. Ma il destino quel giorno era appostato sui tornanti di Cap d’Ail, pronto a chiudere la pratica, forse convinto di averle concesso a sufficienza. Il film, “Rearranged”, rimarrà incompleto, ed il Principe Ranieri chiederà di non distribuirlo mai. Ma di Grace non si perdono le tracce, anche dopo la morte. Difficile che da allora si passato un solo anno senza che qualcuno non le abbia dedicato una mostra, un libro, una canzone o un capo d’abbigliamento. Difficile che a qualcuno sfugga il suo nome ancora oggi quando si parla di eleganza, immagine e femminilità. Grace resta nella memoria, di tutti quelli che per un solo attimo avevano creduto che le favole esistono davvero, come di coloro che alle favole invece non hanno mai creduto. 7

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ATTUALITÀ

Po in Lombardia/1

AMBO O TERNA? È IL TURNO DELL’ASSESSORE REGIONALE COLUCCI, DI RISPONDERE AL FUOCO DI FILA SULLA SPENDING REVIEW, LA MANOVRA CHE DOVRÀ RIDIMENSIONARE IL NUMERO DELLE PROVINCE LOMBARDE. IN POCHE PAROLE, SI NASCONDE IL SENSO DELL’INDIRIZZO SCELTO DALLA REGIONE LOMBARDIA OTTOBRE 2012 | 12


Che idea vi siete fatti sul terremoto che sta per investire le Province? Per iniziare, è giusto dire che il tema della spendind review è già stato affrontato dalla Regione Lombardia, ancor prima delle direttive nazionali, alla ricerca di un risparmio quantomai necessario in tempi come questi, premiando già da anni la virtuosità delle Province.

S

i è accesa, com’era prevedibile, la miccia della questione legata alla drastica riduzione delle Province, una delle voci più discusse della “spending review” varata dal Governo Monti. Sulla diatriba, lo scorso numero avevamo lanciato un sasso nello stagno, più alla ricerca di una bonaria provocazione che per altro: invece di obbligare i territori a rischio ad accettare di essere inglobate sotto un nome diverso, perché non pensare ad una sorta di “ombrello” comune che rispetti le varie identità? Qualcosa di simile già esiste, e funziona perfino: un sistema turistico siglato nel 2004, unisce Lodi, Pavia, Cremona e Mantova anche a livello di imprese. Per affondare ancor di più sulla questione, abbiamo scelto di sentire il parere di Alessandro Colucci, classe 1974, Assessore ai Sistemi Verdi e Paesaggio della Regione Lombardia, scelto poiché proprio queste sono le prime caratteristiche che uniscono i territori di questo pezzo di Lombardia.

Ma questa volta si va sul pesante: se nessuno accetterà di scendere a patti con i territori vicini, sarete voi a prendere la decisione finale Certo, secondo quanto previsto dall’iter della spending review, le Regioni saranno chiamate a legiferare in materia entro il 23 ottobre. E ritengo sia giusto pensare che siano proprio gli enti regionali a farlo, prima che le decisioni arrivino dal Governo centrale, proprio per una questione pratica di conoscenza più profonda dei territori. Allora ci anticipi qualcosa, almeno qual è l’indirizzo su cui si sta muovendo il “Pirellone” L’idea che daremo sarà senz’altro più legata al territorio, anche se la legge è stringente, non consente di operare senza deroghe. Ma è importante che si sappia: abbiamo la piena consapevolezza delle esigenze delle 12 province lombarde. Lo scorso numero abbiamo scelto di appoggiare l’iniziativa “Po in Lombardia”, possiamo chiederle cosa ne pensa?

È un’idea affascinante, senza ombra di dubbio, ma come ho detto la legge in proposito non ammette eccezioni, e prevede che il nome della Provincia dev’essere dato dalla città con maggior numero di cittadini. In più, un altro elemento imposto è la continuità territoriale: non sarà possibile – anche per questioni di tempo, ma soprattutto per non scombussolare i confini – “spostare” città da una provincia all’altra alla ricerca del numero di cittadini sufficiente. Ma in Regione avete già affrontato la questione? Certo, al momento per prendere atto di quelli che sono i criteri imposti dal Governo, ovvero dimensioni dei territori e numero di abitanti, ma con l’idea di valutare la proposta di aggiungerne altri, come ad esempio il prodotto interno lordo di ogni provincia. Bisognerà immaginare un nuovo assetto basato sul principio delle città metropolitane, e pur senza volermi sbilanciare, credo che in Lombardia sarà immaginabile un numero di Province compreso fra 6 e 8. Quindi il futuro di questa ipotetica nuova macro provincia, formata da Pavia, Lodi, Cremona e Mantova ha poche speranze di realizzarsi. È difficile, soprattutto perché Pavia è l’unica a disporre dei requisiti per proseguire da sola. Le altre tre dovranno trovare una formula. In confidenza Assessore: come crede che finirà? Non si sa ancora, dipende davvero da tanti fattori, e dare una risposta è molto difficile. 7

PRECISAZIONE L’intervista all’assessore Colucci è stata realizzata quando sulla Regione Lombardia non si addensavano ancora i fatti di cui si stanno occupando le cronache. Al momento di andare in stampa l’assessore, così come tutta la Giunta, risulta ancora in carica, ma quando questo numero sarà in distribuzione l’assetto regionale lombardo potrebbe essere completamente diverso.

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ATTUALITÀ

Po in Lombardia/2

INSIEME È MEGLIO La nuova Provincia? Un’occasione di rilancio: così la pensano i vertici dei principali Expo, che già collaborano da anni di Tommaso Montagna

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al prossimo anno saremo meno provinciali. Il Governo di Monti ha detto sì alla diminuzione degli enti locali che stanno tra regione e comune. Ma l’accorpamento potrebbe essere foriero di collaborazione, concetto che nel Belpaese fatica ad attecchire, tra città ed enti. Esempio ne è il suolo lombardo che ora conta dodici province: con il decreto di revisione di spesa, potrebbero arrivare ad otto, con Milano città metropolitana. Salve Brescia, Bergamo, Sondrio e Pavia. C’è da capire il destino delle altre, in particolare Lodi (che non può ritornare sotto l’egida meneghina), Cremona e Mantova. L’idea è creare una megaprovincia che diventerebbe la quinta d’Italia per numero di abitanti, uniti non solo dal più lungo corso d’acqua del nostro Paese, ma anche da realtà tali da formare un microcosmo di pregio, come ce ne potrebbero essere molti in Italia. Una invidiabile vetrina che da decenni aspetta una lucidata.


Export Pavia

Il consorzio che riunisce le aziende della provincia dell’ex capitale longobarda nacque nel 1973, racchiudendo anche i mercati calzaturieri e alimentari, con riso e vino in prima fila. Una realtà che permette una costante collaborazione tra aziende del territorio e soggetti esterni. “Sono rappresentati anche i settori della Meccanica, tra cui le macchine industriali e l’ascensoristica, e delle Costruzioni all’interno del quale, nel 2008, è nata Domitalia che riunisce chi si occupa di ciò che riguarda la casa”, spiega Carlo Bottarelli, direttore di Pavia Export dal lontano 1981. In questa tendenza alla specializzazione dei settori, che vuole contrastare la crisi economica, si inserisce anche Italia Food, nato nel 2005 per fare in modo che i prodotti italiani vantino una forza maggiore sui mercati esteri. “Le nostre esportazioni nel settore alimentare - continua il direttore - si concentrano su vino e riso, tanto verso gli Stati Uniti, quanto verso l’Asia”. Oltre all’enogastronomia, c’è spazio anche alle tecnologie di alto livello. “In Asia vengono installate sofisticate centraline che verificano la presenza o meno di anomalie nelle tratte ferroviarie ad alta velocità” spiega Bottarelli. Pensare di poter costruire mezzi tanto futuristici e non avere la Tav, parrebbe contraddittorio. Misteri dell’industrializzazione.

LODI

Attivo da trentacinque anni, il consorzio è un punto di riferimento per le imprese della Provincia che Attivo da trentacinque anni, il consorzio è un riferimento per le imprese della provincia che intendono affacciarsi sui mercati esteri o consolidare la loro presenza. “Tra i nostri servizi, oltre all’assistenza tecnica e formativa su temi inerenti il commercio estero, offriamo la ricerca di partner fuori dai confini nazionali, attraverso la partecipazione a fiere internazionali e l’organizzazione di missioni economiche e viaggi d’affari”, spiega Fabio Milella, il direttore. Rilevanti sono i legami che il consorzio lodigiano ha saputo tessere con città e omologhe realtà a lui vicine. “Non essendo presente una struttura come la nostra a Cremona, da qualche anno Lodi Export ha esteso il proprio bacino operativo anche ad aziende nell’area cremasca, prossima a quella lodigiana nei settori dell’alimentare, della meccanica e della cosmetica, tutti ben rappresentati nella compagine associativa del consorzio, che ha ormai superato le cento aziende”. Può invece definirsi storico il rapporto con Pavia Export, mentre più recente, ma molto intensa, è la collaborazione che si è sviluppata con il Consorzio di Mantova, “soprattutto sul piano delle ricerche di mercato e della consulenza specialistica in materia di dogane, Intrastat, fiscalità e contrattualistica internazionale, dove si annidano spesso insidie, se non vere e proprie trappole per le piccole e medie imprese attive oltreconfine” .

MANTOVA

“Forniamo oltre 4600 consulenze all’anno per preparare le aziende ad affrontare il mercato estero”, spiega Alessandro Dotti, direttore dal 1997 di Mantova Export, consorzio nato nel 1974. Sono 260 le imprese associate, che rendono l’Export mantovano tra i grandi consorzi per l’internazionalizzazione. “Il nostro operato è soprattutto formativo: il consorzio spazia dall’essere un importante centro di traduzione, con le oltre seimila pagine tradotte lo scorso anno, all’attivare corsi post laurea attraverso la collaborazione tra Camera di Commercio e Università, dall’effettuare ricerche di mercato, una trentina nel 2011, fino all’assistenza su materie spinose quali la disciplina di marchi e brevetti o la certificazione dei prodotti”. Perché sovente “c’è carenza di informazioni: le aziende, non conoscendo regole e norme degli altri mercati, vedono sacrificato il loro operato”. I dubbi più spesso dissipati riguardano: documentazioni utili per l’estero, Iva, dogane, pagamenti internazionali e trasporti. L’attività è sviluppata anche attraverso accordi con Confindustria. Api, Camera di Commercio, la Provincia e l’agenzia delle dogane. 7

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FOCUS

Economia

PER CHI VUOLE CRESCERE System Consulting è una società specializzata nell'individuare il percorso migliore di crescita per qualsiasi azienda di Alfredo Maccari

È

fondamentale fare chiarezza, per dare suggerimenti alle aziende che desiderano crescere in un contesto di nuova realtà economica globale, dove ogni impresa vive in un complesso sistema di relazioni e si trova di fronte alla necessità di scegliere un consulente di direzione adeguato alle proprie necessità. Ma prima di arrivare a questo, è necessario chiarire quali obiettivi l’azienda vuole raggiungere e quali problemi effettivamente cerca di risolvere, per definire con esattezza le competenze del consulente a cui affidare l'incarico. Sempre di più l’esigenza del mercato e delle aziende è identificare un unico partner che guardi l’impresa nelle quattro aree di competitività (come nel cerchio rappresentato in questa pagina: Tecnologia/Prodotto, Mercato, Organizzazione/ Processi, Finanza). La consulenza direzionale per System è un “Approccio Integrato Sistemico” sulle quattro Aree di competitività dell’Impresa (Innovazione, Internazionalizzazione, HR/Processi, Finanza). System Consulting, attraverso sistemi di analisi e misurazioni oggettive, affianca il cliente per condividere le soluzioni che costituiscono il proprio “Percorso di Sviluppo”. Dopo un’attenta analisi dell’azienda, inizia la progettazione e la gestione del percorso, coordinando gli interventi specialistici e la sequenza dei servizi erogati in ognuna delle quattro aree di competitività , pri-

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vilegiando i reali bisogni dell’azienda cliente. System Consulting, è in grado di selezionare e coordinare esperienze e competenze specialistiche, derivanti da esigenze puntuali e senza soluzioni di continuità o inerenti una più vasta gamma di argomenti, per soddisfare le più ampie esigenze correlate allo sviluppo d’impresa. La metodologia registrata “P.R.I.M.E.” di System Consulting (Performance, Rating, Innovation, Management, Evaluation) è un sistema di misurazione Oggettiva della capacità di gestire pro-

getti di sviluppo dell’azienda; si propone al cliente una mirata e scrupolosa analisi trasversale su tutte le quattro aree, creando valore aggiunto per le imprese non attraverso singoli interventi ma con soluzioni innovative e integrate (sistemiche). System Consulting affianca alla parola “Consulenza” l’aggettivo “Sistemica”, in quanto offre con questo servizio, la possibilità di seguire a 360° la Società Cliente, riuscendo a coglierne criticità, margini di crescita, opportunità utili a migliorare le performance aziendali. 7

Per maggiori informazioni o chiarimenti scrivete a: info@systemconsultingspa.it


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Sposi Speciale

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in TUTTE LE LINGUE

del

mondo

UN PICCOLO VIAGGIO INTORNO AL PIANETA ALLA SCOPERTA DI RITI TRADIZIONI, CULTURE E CURIOSITÀ LEGATE AL GIORNO PIÙ BELLO. PER SCOPRIRE CHE SPESSO DIRE SÌ NON È UNA FACCENDA COSÌ SEMPLICE

P

er noi è consuetudine, tradizione: lui non deve vedere il vestito di lei prima della funzione, l’addio al celibato/nubilato, il riso, i confetti, il pranzo, gli invitati e via così, seguendo un cliché che si ripete più o meno uguale da secoli, seppur aggiornato con le ultime tendenze e perfino con la crisi, che inevitabilmente mette becco anche qui, nei conti del giorno più bello. Ma come ci si sposa nel mondo? Quali sono le stranezze e le curiosità di chi sceglie di salire sull’altare per dividere la vita o fare un pezzo di strada insieme? Andando sul pratico, va detto che l’occidente sembra abbastanza allineato, a volte con qualche piccola variazione dovuta a tradizioni e culture diverse: il momento del sì, il lancio del bouquet ed il bacio che suggella l’unione, auguri e figli maschi. Ma basta dare un’occhiata a quello che è costretto a fare chi si sposa in altre parti del globo, per capire che in fondo ci è andata bene. 5

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Sposi Speciale

Afghanistan

Cina

Nella migliore tradizione, nel giorno del loro matrimonio, i due sposi sono tenuti a stare a debita distanza. In una stanza festeggiano gli uomini, nell’altra le donne. Curiosa anche l’usanza di non ricevere regali, ma doverli fare a tutti gli invitati.

Si può decidere di fare il grande passo, ma sulla data è tradizione che gli sposi consultino un astrologo, il più adatto per individuare la congiunzione astrale necessaria per assicurare felicità alla coppia. Individuata la data migliore, le due famiglie si riuniscono per la cerimonia del tè, dando ufficialmente il consenso alle nozze. La tradizione si impone anche sulla scelta dell’abito, che per le donne dev’essere in seta rossa, con un grande ricamo di una fenice o un dragone, così come la danza del leo ne, che chiude un pranzo sontuoso. La curiosità è che la sposa quel giorno non deve mangiare e soprattutto emettere suono. Che invidia. 5

Borneo

Più che una festa, la cerimonia nuziale del borneo suona più come una tortura: gli sposi devono stare per tre giorni immobili, pronti a sorridere a parenti e amici, senza deroghe possibili, nemmeno per la sosta in bagno, per imparare e dividere anche le sofferenze. Un’usanza che spesso fa iniziare la vita a due con qualche serio problema ai reni.

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mondo


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Sposi Speciale

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del

mondo

Corea del sud

Finlandia

Filippine

Giappone

La tradizione vuole che i matrimoni non si svolgano al chiuso, ma nei parchi, in mezzo al verde. Lo sposo fa il suo ingresso a cavallo, seguito dai suoi familiari, mentre la sposa irrompe sulla scena su una portantina, resa invisibile da alcune coperte per conservare la sua bellezza in esclusiva per lo sposo.

Secondo il rituale del “pamamanhikan”, lo sposo ha l’obbligo di andare a chiedere la mano dell’amata direttamente alla famiglia. E fin qui, sembra tutto normale. Ma la cosa si complica scoprendo che la famiglia della sposa può chiedere al futuro marito di dare una pulita alla casa, per dimostrare che sarà capace di darle ogni appoggio.

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Chi vuole, può scegliere di unirsi in matrimonio in una chiesa di ghiaccio, che ogni anno viene ricostruita per poi sciogliersi. Il bouquet della sposa è rappresentato da una corona di fiori, e al termine del pranzo la fanciulla viene bendata e circondata dalle amiche, che sperano di essere incoronate per andare anche loro sull’altare entro l’anno.

Ambedue gli sposi indossano i tradizionali kimono, ovviamente in seta, coloratissimi e ricchi nei ricami, per lei completato da un panno bianco sulla testa, che simboleggia la promessa a rinunciare alla gelosia. Ma nulla sarà compiuto fino alle tre sorsate che gli sposi devono fare da una ciotola di riso e sakè. 5

DIRE SÌ IN ORIENTE A lato, due sposi nel tradizionale costume giapponese: il copricapo di lei indica la rinuncia a qualsiasi gelosia. Qui sopra un abito da sposa all’occidentale, tendenza che sta piano piano prendendo piede specie fra le coppie giovani


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Sposi Speciale

India

Per tradizione, il mese dei matrimoni è ottobre, quando secondo la religione indù, le forze del bene prevalgono su quelle del male. Agli sposi è richiesta una giornata di pazienza: piazzati su due troni, ricevono l’omaggio dei parenti, che depongono ai loro piedi petali gialli.

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Iran del

È l’uomo a decidere la donna che vuole sposare, e per convincerla ricorre alla tradizione: rapirla. Lei ha tre giorni di tempo per respingerlo e tentare di fuggire, trascorsi i quali non ha altra scelta che seguirlo all’altare.

mondo

Il momento più spettacolare della cerimonia è quando i parenti sollevano un grosso specchio, consentendo ai due sposi di vedersi per la prima volta fianco a fianco.

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Kirghizistan Maldive

Uno dei pochi posti al mondo dove ci si può ripensare, ovvero risposare più volte la stessa persona, dimostrando davanti alla legge che quella era la scelta migliore. 5


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Sposi Speciale

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del

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mondo


Mauritania

Polinesia

Mongolia

Scozia

Da quelle parti, la donna bella è in carne, se non grassa, per cui le future spose si sottopongono a mesi di nutrimento forzato per arrivare al giorno delle nozze al massimo della rotondità. Contenti loro.

Secondo un’antica tradizione, qualche giorno prima del matrimonio lo sposo deve far recapitare alla sposa due bauli, il primo pieno di cibo ed il secondo di biancheria, più un ombrello che significa protezione. Ci si sposa soltanto nei giorni di luna crescente, a patto che non piova, o la cerimonia è rimandata a data a destinarsi.

Servono mesi di preparazione, per arrivare al giorno del matrimonio, da trascorrere fra coccole varie come massaggi e pittura del corpo. Alla cerimonia, sposi e invitati vestono il tipico pareo, e al capo villaggio tocca di occuparsi delle loro anime attraverso preghiere, incantesimi e riti propiziatori.

Più che il matrimonio, è curiosa la tradizione dell’addio al nubilato, che prevede il “blackening of the bride”, ovvero l’annerimento della sposa. Le amiche la legano ad un albero e la ricoprono di schifezze come sangue di pecora, latte e tinte accese, si dice per abituarla alle angherie di un uomo. 5

LA CURA DEL DETTAGLIO A fianco, la particolare attenzione dedicata all’addobbo della sala in cui sta per svolgersi un matrimonio indiano. I due sposi si siedono al fondo, su due grandi poltrone, e ricevono gli omaggi floreali degli invitati.

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Sposi Speciale

Sudan

Chi vuole prendere in moglie una ragazza sa che deve risarcire la famiglia di due braccia in meno, pagando l’equivalente in vacche e capre: la stima? Per prendere moglie servono 30 animali. La tradizione vuole che l’unione abbia inizio quando i due sposi saltano felici su un mucchio di fiori.

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del Svezia

mondo

Per scongiurare un futuro irto di difficoltà alla figlia, il padre della sposa nasconde nella scarpa sinistra una moneta d’argento, mentre la madre ne custodisce una d’oro in quella destra.

Thailandia

Il giorno prima delle nozze, gli sposi devono purificare se stessi e la casa in cui abiteranno. Si occupa della faccenda un gruppo di monaci, che un tempo lavava i due sposi, mentre oggi si limita a bagnare testa e mani. Anche la cerimonia nuziale prevede un principio simile: gli invitati sfilano davanti agli sposi e bagnano le mani degli sposi con un po’ d’acqua. 7

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UNITI PER LA pelle

Fidarsi è bene, ma prendere qualche precauzione non è male. Dev’essere per forza questo, il principio che ha trasformato in un successo l’anello in titanio con la scritta “i’m married” incisa all’interno che spopola in America. Dettaglio che ha una particolarità: la scritta si stampa sul dito del coniuge, rendendo vana ogni speranza di farla franca togliendo l’anello.


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Sposi Speciale

in TUTTE LE LINGUE

del

mondo

DOLCEZZA SUL PIANO DELLA

La moda delle wedding cakes, coloratissime e altissime torte all’americana, con cui è possibile dare fondo alla fantasia

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S

i narra che i primi esempi di torte nuziali risalgano addirittura al tempo degli antichi greci, quando il dolce che celebrava i matrimoni non era altro che una grossa forma di pane che gli invitati dovevano spezzare sulla testa degli sposi come augurio di fertilità. Per trovare qualcosa di vagamente dolce bisogna attendere il Medio Evo, con l’avvento di piccoli panetti dolciastri che sempre gli invitati dovevano impilare il più possibile, poiché all’altezza coincidevano gli anni di felicità della coppia. 5


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Sposi

La vera torta nuziale nasce nel XVII secolo in Francia, ma l’usanza supera in fretta il canale della Manica ed è adottata dalla compassata Inghilterra. Si narra che nel 1700, un pasticcere londinese prese ispirazione dalla chiesa di St. Bride per realizzare la torta delle nozze richiesta per il matrimonio di Sir Leopold, duca di Albany, ed Elena di Waldeck. Il successo convinse la Regina Vittoria a fare altrettanto, scatenando i valletti di corte a caccia di un altrettanto abile “cake design” che creasse una torta adatta al real evento. Allo stesso periodo si fa anche risalire la tradizione del taglio, che idealmente rappresenta il primissimo gesto fatto insieme dai due

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sposi. In tempi più recenti, perfino Kate Middleton, per il giorno delle nozze con il Principe William, ha chiesto e ottenuto una torta ispirata alla natura inglese e decorata con rose, narcisi e cardi selvatici. Anche i due sposini reali, come il resto del mondo, hanno ceduto al dilagare delle “wedding cakes”: torte coloratissime, decorate senza badare a spese e soprattutto multipiano, come da tradizione americana, dove grande corrisponde quasi sempre a bello. Proprio in America, l’arte della “pastry decoration” è una pandemia in continua ascesa, confortata da decine di programmi televisivi e ancor più libri che aiutano a soddisfare la voglia di creare la propria

pasticceria esageratamente bella. A dettare regole e tendenze è Ron Ben Israel, pasticcere newyorkese (al 42 di Greene Street), definito “il Cartier della pasticceria” anche per via dei prezzi, specializzato in wedding cakes e capace di creazioni a dir poco straordinarie. Accanto a lui la regina dei fiori di glassa Sylvia Weinstock. Il motivo di tanta popolarità delle weddind cakes? Oltre alle questioni di tendenze, la faccenda va annoverata ad uno degli imperativi di ogni matrimonio che si rispetti: due sono i momenti in cui gli invitati devono restare senza fiato, quando compare la sposa e quando arriva la torta. È quello che gli americani, maestri di torte nuziali e sontuosità, chiamano il “wow factor”, il fattore sorpresa dal quale dipende la riuscita o meno di una festa di nozze: quel dettaglio che non ti aspetti e che la sera, tornando a casa con i piedi che fanno male, farà dire ad ogni invitato accidenti, non hanno proprio badato a spese.


GLI ARTISTI DEI DOLCI A lato una “cake designer”, come sono definiti in America i pasticceri di torte nuziali: oltreoceano si tratta di un mercato fiorente che da qualche tempo è sbarcato anche in altre parti del mondo, Italia compresa.

Viste da vicino, le wedding cakes sono autentiche opere d’arte che trasudano colori e promettono sapori, creazioni di altissima e raffinata pasticceria che si prestano ad ogni richiesta, assumendo le forme e le misure più stravaganti per accontentare le richieste più disparate, che non mancano davvero mai. E se all’esterno domina la pasta di zucchero, che permette di creare davvero di tutto, all’interno poco cambia rispetto dalle comuni torte: pan di spagna annaffiato con creme aromatizzate, a loro volta farcite con gocce di cioccolato fondente o piccoli frutti di bosco. Conoscendo queste piccole regole,

LE 4 REGOLE DELLA

il resto è solo una questione di fantasia: c’è chi ordina la torta abbinandola ai colori del vestito della sposa, chi sceglie tinte sempre di moda come l’azzurro Tiffany, ad esempio, e chi preferisce sia adornata con i fiori, mixando quelli veri con altri di marzapane, chi cerca lo scintillio e chiede cristalli Swarovsky e altri, che al posto della torta di grandi dimensioni preferiscono averne tante più piccole, da usare come dolce segnaposto di ogni ospite. Ma attenzione, perché secondo il bon-ton americano, le vere wedding cakes non sanno cosa siano i due pupazzetti in cima vestiti da sposi. Meglio così, a pensarci. 7

Torta

1

Va servita in una sala diversa da quella del pranzo/cena

2

Deve arrivare in sala intera e non tagliata in precedenza dai camerieri

3

Il taglio dev’essere fatto dalla sposa, lui appoggia semplicemente la sua mano su quella di lei

4

Sempre alla sposa spetta il compito di servire le prime fette, seguendo un ordine preciso: marito, suocera, suocero e padre. A quel punto continueranno i camerieri. OTTOBRE 2012 | 35


Casa Speciale

amico LA SICUREZZA

Fuoco

METTERE SU CASA O CREARE UN POSTO DI LAVORO SIGNIFICA ANCHE PREVENIRE I POSSIBILI INCIDENTI, A COMINCIARE DA QUELLO PIÙ DIFFUSO: L’INCENDIO

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anti, poeti e navigatori, ma anche e soprattutto distratti, o semplicemente convinti di essere più furbi del destino. Lo dice il Censis, che ad ogni rapporto annuale fotografa abitudini e debolezze degli italiani svelando spesso retroscena poco edificanti. Ad esempio che ogni anno si calcolano circa 4 milioni di denunce e richieste di intervento, come risultato finale di dimenticanze casalinghe di varia natura, come rubinetti aperti e gas acceso, per fare due esempi fra i più diffusi, che dividono il poco invidiabile primato con altri simili colpi di genio, e prima di scrivere la parola fine mettono in fila circa ottomila morti all’anno, più qualche altro migliaio di feriti di varia gravità. Scendendo nel dettaglio, la percentuale più alta di incidenti domestici si verifica fra le pareti della cucina, come causa di dimenticanze o leggerezze di chi agisce fra forni e fornelli, ma un’altra percentuale è dovuta all’uso di elettrodomestici non a norma, acquistati inseguendo il prezzo conveniente ma senza badare alle più elementari norme di sicurezza. 5

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Casa Speciale

Di gran lunga, l’incidente casalingo più diffuso è rappresentato dall’incendio, in molti casi scatenato dalla pentola dimenticata sul fuoco, ma seguito a poche lunghezze dall’abitudine di fumare a letto, dal cattivo funzionamento (o lo scarso controllo) degli impianti di riscaldamento, che la legge imporrebbe di far verificare annualmente da professionisti, e per finire dal maccheronico “fai da te” dell’impianto elettrico, che spesso genera sovraccarichi pericolosi e corto circuiti ancor più devastanti. Va da sé che buona parte degli incidenti siano da attribuire ad un maldestro tentativo di rispar-

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LA SICUREZZA

mio, ma che spesso finisce per avere dei costi elevatissimi in termini di incolumità per se stessi ed i vicini. Il pericolo si annida però anche sul posto di lavoro, dove il capitolo sicurezza è invece regolato da apposite normative sancite dal DM 103 del 1998 che, nel caso della prevenzione degli incendi, impone al datore di lavoro di far frequentare un corso di formazione ad almeno due dipendenti (o ad un’intera squadra, nel caso si tratti di grandi aziende), mettendo in pratica misure di prevenzione come estintori, che in commercio si trovano in variante a schiuma, polvere, anidride carbonica 5


IN POSIZIONE STRATEGICA A destra un estintore a CO2, uno dei tanti tipi presenti sul mercato: per legge devono essere in numero sufficiente alla metratura del luogo e facilmente raggiungibile. Sopra, alcuni Vigili del Fuoco alle prese con il risultato di un incendio, uno dei pi첫 comuni incidenti domestici.

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Casa Speciale

LA SICUREZZA

e Halon, da sistemare in posizione facilmente raggiungibile e in numero adeguato all’ampiezza del luogo di lavoro. Ma anche di dotare i locali di idranti, naspi, bocche antincendio, prese d’aria per l’eliminazione dei fumi, porte tagliafuoco e cartellonistica che indichi le vie di fuga. Bastano pochi accorgimenti, compresa la saggia abitudine di rivolgersi ai professionisti, senza improvvisarsi in mestieri di cui si sa poco, per rendere più sicura un’abitazione o un luogo di lavoro: in fondo, due posti dove non si dovrebbe mai morire.7

COSA FARE IN CASO D’INCENDIO • Mantenere la calma: è la regola

numero uno, poiché il panico toglie lucidità

• Chiamare immediatamente i

Vigili del Fuoco, al servizio di soccorso 115. Rispondere all’operatore fornendo le indicazioni più precise possibili

• Non aprire alcuna porta senza

essersi sincerati che al di là non ci sia del fuoco: basta appoggiare una mano per verificare se è calda.

• Prima di uscire, chiudere porte e finestre, poiché l’aria alimenta il fuoco.

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• Spegnere gli interruttori di gas

ed elettricità. E in caso si crei del fuoco vicino a questi non usare l’acqua per spegnerlo.

• In caso di edificio a più piani, salire in alto, ma senza usare l’ascensore.

• Nel caso invece non si riesca ad

uscire, sdraiarsi sul pavimento alla ricerca di aria meno calda e chiudere quanto più possibile le eventuali fessure delle porte.

• Bagnare fazzoletti per proteggere naso e bocca.

• Segnalare la propria presenza ai soccorsi.


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ARTE |1

MAESTRO DELLA DELICATEZZA Alcuni dei dipinti ospitati a Pavia, mettono in mostra lo stile caldo e delicato di Renoir. A sinistra il ritratto di Wilhelm Muhfeld, olio su tela del 1910 (Southampton City Art Gallery), qui sotto La loge, pastello su carta del 1879 (Fondation Bemberg, Tolosa) e l’olio su tela Marine (Musée des Beaux Arts, Reims).

Renoir, la vie en peinture

Jeune femme au chapeau noir, 1880-1890 ca. Acquerello e gouache su carta, 39x26 cm Palais des Beaux Arts de Lille ©RMN/ René Gabriel Ojéda

INNO ALLA BELLEZZA C

“Per me un quadro deve essere una cosa piacevole, allegra e bella, sì bella! Ci sono già troppe cose spiacevoli nella vita che non è il caso di crearne delle altre”.

I colori, le atmosfere e i giochi delle ombre di uno dei più grandi artisti francesi rivivono in una mostra da non perdere di Daniela Capone

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osì definiva la pittura Pierre-Auguste Renoir, uno di più importanti esponenti dell’Impressionismo, movimento artistico francese che per oltre un secolo influenzò l’arte mondiale. E fino al prossimo 16 dicembre, le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia, ospitano la mostra “Renoir, la vie en peinture”, un’esposizione curata da Philippe Cros che, attraverso oltre 60 dipinti, pastelli e disegni, vuole ripercorrere la carriera del grande Maestro francese e raccontare come lui intendesse la felicità, la donna, i paesaggi e la pittura. L’ingresso alla mostra si apre con la proiezione di un video-racconto della vita e della carriera del grande artista di Limoges. Un documento creato tramite i racconti del figlio Jean, le lettere scritte agli amici e alcuni frammenti video. Di grande impatto il finale, dove si vede Renoir al lavoro, mentre dipinge una delle sue innumerevoli opere. Pur avendo trascorso molti anni a combattere i reumatismi e impossibilitato persino ad usare gambe e mani (verso la fine della sua vita Renoir dipingeva con i pennelli legati alle mani), i colori vibranti e saturi dei suoi paesaggi riescono a comunicare sentimenti di vitalità e pienezza che connotano il percorso del grande Maestro come quello del pittore di una contagiosa “joie de vivre”.


Da ammirare alle Scuderie, tra le altre opere, Portrait del Claude Monet, suo grande amico e pittore anche lui, nel quale riesce a rendere viva la tela attraverso una serie di piccoli tocchi di colore giustapposti, che donano un aspetto realistico al volto dell’artista. Di grande interesse anche i numerosi ritratti di donne: Renoir amava dipingere soggetti femminili della sua famiglia instaurando un rapporto di complicità con le sue modelle in modo da far emergere la loro natura più intima, come succede in Madame Henriot en costume che raffigura una delle sue modelle preferite. Interessante notare che attraverso queste opere Renoir, pur essendo riconosciuto come uno dei grandi fondatori dell’Impressionismo ( “Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu: era nato l’impressionismo”), non può essere considerato un artista totalmente devoto ad un’unica corrente e ad un unico stile, ma piuttosto alla rappresentazione e celebrazione della bellezza, elemento costante in tutta la sua produzione artistica. La cueillette des fleurs e Les Collettes sono opere che rappresentano i suggestivi paesaggi, alcuni tipicamente impressionisti, altri realizzati dopo l’abbandono della corrente, verso quella che i critici considerano la sua piena maturità artistica . Anche in questi dipinti, la presenza costante della figura umana (due donne intente a raccogliere fiori o frutta), conferma di nuovo la centralità del ruolo dell’indivi-

duo, quasi a dimostrare che il più bello dei paesaggi naturali perde di significato senza una presenza umana. La mostra presenta anche una serie di nature morte, genere di pittura che la corrente impressionista rivaluta con un nuovo concetto di sperimentazione di forme e di colori. In Nature morte avec pommes et figues e Roses, gli oggetti rappresentati sono tutt’altro che immobili o silenziosi, ma sembrano quasi animati, dotati di vita propria. Renoir amava dipingere insieme al suo grande amico Cézanne, nonostante un elemento fondamentale distingueva i due artisti: Renoir infatti, a differenza di Cézanne, riuscì a contraddistinguersi all’interno della corrente per il ruolo che attribuiva al genere umano. Se per gli altri impressionisti il protagonista indiscusso era il paesaggio in cui l’individuo giocava un ruolo decisamente marginale, per Renoir la presenza di qualcuno all’interno delle sue tele era sempre l’elemento principale dell’opera. “Una mostra che ci rende orgogliosi della nostra città – spiega l’Assessore alla Cultura del Comune di Pavia Gian Marco Centinaio - poiché solo durante il primo weekend ha contato il record di visitatori rispetto alle mostre passate. Sono fiero di presentare ai pavesi e ai turisti opere provenienti da prestigiosi musei internazionali come il National Gallery of Arts di Washington, il Columbus Museum of Art dell’Ohio o il Centre Pompidou di Parigi.” 7

IL PADRE

DELL’IMPRESSIONISMO Nato a Limoges nel 1841, l’artista è indirizzato dal padre alla decorazione della porcellana. Grazie all’aiuto del maestro Charles Gleyre, viene ammesso all’Ecole des Beaux-Artes dove conosce Alfred Sisley, Frédéric Bazille e Claude Monet, con i quali inizia presto a recarsi a Fontainebleau per dipingere en plein air. Nel 1890 si sposa con Aline Charigot, dalla quale ha 3 figli: Pierre (1885), Jean (1894) e Claude (1901). Nel 1900 è insignito del titolo di Cavaliere della Legion d’Onore. A causa dei frequenti attacchi di reumatismi si trasferisce nel sud della Francia, per trovare un clima più mite: la sua ultima residenza, a Cagnes-sur-Mer, è ora un museo. Artista prolifico, Renoir ha realizzato in tutto oltre mille dipinti. Il suo stile, caldo e sensuale, ha permesso alle sue opere di essere tra quelle più note e frequentemente riprodotte nella storia dell’arte. Muore il 3 dicembre del 1919, ucciso da un’infezione polmonare. OTTOBRE 2012 | 43


ARTE | 2 Antonio De Paoli

CORPO, SPIRITO E MATERIA A tu per tu con lo scultOre pavese, da sempre capace di rendere concreti sentimenti e spiritualità di Tommaso Montagna

N

PORTA BRONZEA DI SAN FRANCESCO Cappella privata a Montepicco Gravanago (PV)

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elle opere di Antonio De Paoli, la spiritualità sembra essere un passaggio successivo alla realizzazione della scultura. Prima avviene la creazione, poi il modellato prende vita e si distacca dalla sua forma per investire chi guarda con quelle linee accennate, non finite e al tempo stesso perfettamente concluse. “Non mi trovo d’accordo con l’astrazione pura, tipica, tra l’altro, del Secolo Breve. La forma deve essere sempre riconoscibile: servire da strumento per andare oltre i suoi confini” spiega l’artista pavese, accogliendoci nel suo atelier immerso nelle colline oltrepadane. Il mestiere l’ha imparato a Brera, dove si è laureato scenografo. Dopo aver lavorato in televisione, per Rai e Mediaset, nel 1999 ha deciso di ritornare alle sue origini: l’arte figurativa. “Mi sono dedicato a tutto tondo

alla scultura ed alla pittura, in particolare all'arte monumentale”. Vanno ricordati, a livello scultoreo, l’altorilievo raffigurante la parabola del seme, posto sul portale d’ingresso dell’Oratorio del Sacro Cuore a Casorate Primo ed inaugurato dal Cardinal Martini, le tre porte di bronzo del Duomo di Casorate Primo, l’altare maggiore di San Zaccaria a Godiasco e la statua in terracotta refrattaria bianca di San Luigi Versilia (un martire nato ad Oliva Gessi, piccolo comune in Oltrepò), sistemata in una nicchia sulla facciata della chiesa di Lungavilla (Pavia). In queste ed altre opere si nota come l’artista stesso, a mani nude, concepisca un’ancestrale tradizione dell’arte, cesellando ogni piega della materia con le proprie dita, per poi fermarsi nell’esatto punto che possa donarle vivacità. Un processo che suona come una presa di coscienza:


“Mi sono dedicato a tutto tondo alla scultura ed alla pittura, in particolare all'arte monumentale"

non esiste più la scultura, ma solo ciò che essa sa esprimere. La tensione verso l’Alto, nel caso di raffigurazioni sacre o l’essenza di vita in altri contesti, come il monumento per la caserma dei Vigili del Fuoco di Voghera, che sarà dedicata a Davide Achilli (pompiere morto in servizio nel 2009, per il quale De Paoli ha già scolpito il monumento funebre), la cui inaugurazione, alla presenza di autorità locali e nazionali, è ormai prossima. “È un monolite di granito - spiega De Paoli - sul quale è impiantato un telaio in acciaio che sostiene un quadrilatero che si sta spezzando, all’interno due uomini stanno cercando di raggiungersi per salvarsi”. Non è chiaro chi salva chi, ma i due sanno di avere poco tempo e che il mondo che

conoscono è prossimo alla fine: “In questo modo l’opera simboleggia l’idea di aiuto reciproco e la precarietà dell’esistenza umana”. Tematiche che si possono ritrovare anche nelle sue opere pittoriche, che spesso tendono alla metafisica, dove spazi senza tempo si mescolano ad una natura costruita geometricamente e popolata da figure umane che paiono estranee all’ambiente, quasi venissero da altri mondi e cercassero un equilibrio nel loro paesaggio terreno. Un futurismo ed una modernità che rispecchiano la vena artistica di Antonio De Paoli, creatore d’arte poliedrico che riesce a fondere scultura e pittura sfruttando anche le sue doti di architetto per sviluppare la progettazione di arredi d’interno - d’autore s’intende - come nel caso di un locale nel centro di Casorate Primo, dove l’arte rina-

scimentale è protagonista. Con alle spalle mostre in piazza della Signoria a Firenze e alla Rocca Sforzesca di Soncino e con le sue opere riconosciute a livello nazionale (sua la statua equestre esposta all’ingresso del Casinò di Venezia), anche negli ultimi lavori l’artista continua la sua ricerca sulle forme espressive. Basti pensare alla porta di bronzo, dedicata a San Francesco, di una cappella privata a Montepico (non lontano dall’oltrepadano Fortunago) o al monumento con fontana dedicato a Don Remotti, fondatore del centro riabilitativo Paolo IV a Casal Noceto (Alessandria). “Il Monsignore è raffigurato seduto al tavolino, mentre scrive rialza il capo, come fosse stato interrotto dall’arrivo di qualcuno, e diventa simbolo dell’accoglienza: di cui valore è stato alla base di tutto il suo operato”. 7

STUDIO D'ARTE ANTONIO DE PAOLI

Via Franchi Maggi 21, 27100 PAVIA STUDIO Via Novellina 40 27050 Corvino S. Quirico cell. 347 2240853 e-mail: artdepaoli@libero.it

www.artdepaoli.it

CARIATIDI BRONZEE Cappella privata cimitero monumentale PAVIA

STATUA CON FONTANA Dedicata a Don Remotti Centro Paolo VI CASALNOCETO (PV) OTTOBRE 2012 | 45


FOOD Terra

Madre

“Buono, pulito e giusto”.

I CIBI CHE CAMBIANO È IL MONDO QUINTA EDIZIONE PER L’EVENTO FORTEMENTE VOLUTO DA SLOW FOOD, PER LASCIARSI COCCOLARE DAI GUSTI E IMPARARE A PENSARE CHE SIAMO QUEL CHE MANGIAMO, SEMPRE DI PIU

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lo slogan, il motto, la spinta propulsiva di “Slow Food”, associazione culturale no-profit creata nel 1989 a Parigi da Carlo Petrini, “Carlin” per gli amici, e oggi riconosciuta dalla Fao. Ma quelle tre parole, tanto semplici quanto profonde, ben si adattano anche alla filosofia che muove “Terra Madre”, una rete di proporzioni mondiali, partita da Torino nel 2004 proprio su idea di Petrini, gastronomo e giornalista che da sempre si batte per un’agricoltura pura e non infestata dagli OGM che aumentano i profitti alle multinazionali causando danni alle popolazioni di tutto il mondo. Organizzata a cadenza biennale all’ombra della Mole, a “Terra Madre” basta soltanto un’edizione per decollare, riunendo due anni dopo, nel 2006, quasi 5.000 fra agricoltori, allevatori e pescatori, in rappresentanza di 150 paesi, a cui si aggiungono un migliaio di cuochi, oltre 200 università e più di 2.000 osservatori internazionali. Punto di partenza, la biodiversità e la voglia di offrire un palcoscenico di proporzioni mondiali ai piccoli produttori che si battono come leoni per difendere la genuinità, parola ormai in disuso, specie nel mondo alimentare. L’evento, in breve, si moltiplica appoggiando altri eventi come “Cheese”, mostramercato interamente dedicata ai formaggi, ed “Il Salone del Gusto”, ennesimo appuntamento di enorme richiamo, come qualsiasi cosa dedicata al cibo, ma con la clausola di concedere spazio al piacere della gola senza tralasciare però la forte responsabilità che deve sentire chi lo produce.


Intanto “Terra Madre” continua a crescere, diventando una sorta di marchio che combatte una guerra difficilissima in favore di tutti i sud del mondo, quei posti dimenticati perché poco attraenti economicamente, e con l’aggiunta dello sforzo comune di pensare in grande: dalla difesa del paesaggio a come tutelare chi minaccia di sparire di fronte alle multinazionali del cibo, come rischiano di fare migliaia di pescatori, pastori e agricoltori. Dal 25 al 29 ottobre, l’avventura di “Terra Madre”, alla faccia di chi pensava fosse solo una felice utopia, arriva alla quinta edizione, riunendo per la prima

volta sotto lo stesso tetto anche il “Salone del Gusto”: per chi ama le cifre, si parla di oltre un migliaio di espositori, 300 presidi Slow Food, 1.200 etichette vinicole, 170 paesi partecipanti, 50 conferenze ed oltre 150 fra laboratori, appuntamenti e teatri del gusto. Nel pieno spirito dell’ecompatibilità, anche la nuova edizione di “Terra Madre” avrà un impatto ambientale ridotto quanto più possibile, sfruttando allestimenti creati attraverso materiali riciclati ed un simbolo, la mela di Newton, accompagnato da uno slogan che spiega il senso di tutto: “I cibi che cambiano il mondo”. 7

DALLA TERRA ALL’UOMO In apertura un primo piano di “Carlin” Petrini, anima pulsante di “Slow Food” e di “Terra Madre”, l’evento che vuole dare spazio alla biodiversità. In questa pagina, alcune immagini delle passate edizioni.

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SALUTE La menopausa

PER RESISTERE

AL TEMPO Uno dei fenomeni naturali più importanti nella vita di una donna, può lasciare in eredità parecchi problemi: una guida pratica per combatterli, secondo il parere di un esperto

a cura della Dott.ssa Augusta Massoni (*)

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N

ella donna, con l’età che avanza e dopo la menopausa, il corpo si trova nella condizione di consumare meno calorie, con la conseguenza immediata che, se si continuano a mangiare le stesse quantità di cibo mantenendo invece invariata l’attività fisica, l’accumulo di grasso soprattutto a livello addominale diventa inevitabile. Ma perché avviene tutto ciò? I due fattori più importanti sono la diminuzione della massa muscolare detta “massa magra”, con variazioni nella composizione e nelle caratteristiche del muscolo stesso e conseguente riduzione del metabolismo basale, che rappresenta il 60/70% del consumo di energia quotidiana e indica in particolare il consumo di calorie del soggetto in condizioni di riposo assoluto per mantenere attive le funzioni vitali. La donna in menopausa ha quindi bisogno di movimento e attività fisica, sia per potenziare la muscolatura, sia ovviamente per riuscire a “bruciare “ più calorie.


In particolare, la massa magra inizia a ridursi lentamente a partire dai 25 anni e fino ai 50 il calo complessivo è mediamente del 10%, poi subisce un’improvvisa accelerazione in coincidenza della menopausa (1% in meno per anno fino ai 70, con diminuzione ovviamente anche della forza muscolare). L’altra importante caratteristica è l’accumulo di adipe prevalentemente a livello addominale confermata da ricerche scientifiche in varie parti del mondo: un’obesità addominale che aumenta i fattori di rischio cardiovascolare per la comparsa di patologie quali ipertensione, diabete e dislipidemia, dovuta al calo degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone) che comporta una modificazione dell’utilizzazione periferica dell’insulina. In una fase successiva finisce per ridursi anche il testosterone prodotto dalle ovaie, con altre ripercussioni negative sulla muscolatura, essendo noto il suo effetto anabolizzante. Concludendo è quindi consigliabile alle donne già in pre-menopausa una visita specialistica dietologica per valutare un nuovo fabbisogno calorico, che sappia prevenire un aumento ponderale preve-

dibile e le malattie metaboliche ad esso correlate, stabilendo un programma di attività fisica adeguato con esercizi aerobici (camminata veloce, jogging, bicicletta, ecc.) ed altri di potenziamento della massa muscolare, per contrastarne la riduzione e quindi migliorare il metabolismo basale. L’attività fisica ha inoltre un effetto positivo sull’umore grazie alle endorfine prodotte con il movimento, induce un incremento del senso di vitalità legato ad un aumento della dopamina che entra in circolo, altro mediatore cerebrale, e permette di scaricare le tensioni psicosomatiche riducendo il bisogno compensatorio di cibo e alcool. Per di più, si ottiene anche un deciso miglioramento dell’immagine corporea, attivato sia da un rapporto “più giovane” tra massa magra e massa grassa, sia da una forma del corpo che evita o riduce il rischio di obesità addominale. L’obiettivo di restare in forma permette una vita sociale più serena e consapevole, in quanto in genere lo sport si pratica in compagnia, e per finire migliora la fissazione di calcio a livello osseo, utile a prevenire quindi l’osteoporosi post-menopausale. 7

QUANDO LA DONNA CAMBIA

Statisticamente, il fenomeno della menopausa insorge nella donna fra i 50 ed i 52 anni. Si tratta di un fenomeno di mutazione decisamente importante, che insieme alla scomparsa del ciclo mestruale segna la fine dell’età fertile. La fase, che si manifesta con sintomi come vampate di caldo e freddo, sudorazione accentuata e dolori di varia natura, comporta in genere scompensi talvolta piuttosto accentuati che riguardano la sfera metabolica, sessuale soprattutto psicologica. È stato comunque accertato che alcuni elementi, come il fumo, l’alcol e l’alimentazione non corretta, possono concorrere ad anticipare l’evento di qualche anno rispetto all’età corretta. Di recente, alcune linee guida mediche prevedono la somministrazione di ormoni solo nei casi di donne in cui i sintomi siano particolarmente accentuati, di tale intensità da guastare addirittura la qualità della vita, prefe rendo lasciare alla natura il compito di ristabilire gli equilibri.

(*)Medico Chirurgo Specialista in Scienza dell’Alimentazione e dietetica

VAMPATE DI MUSICAL L’importanza di un evento come la menopausa, è diventato il pretesto per un divertente musical americano, scritto e diretto da Jeanie Linders e diventato in breve tempo uno degli spettacoli più acclamati, a dimostrazione che il processo di mutazione femminile non conosce confini e soprattutto ha

vinto ogni tabù. Dopo aver debuttato a Orlando, in Florida, nel 2001, “Menoapuse, the musical” ha fatto il tutto esaurito in 14 città americane diverse, fra cui Los Angeles, dov’è tutt’ora in cartellone, e finendo poi per varcare i confini americani raggiungendo Messico, Australia, Filippine, Israele e Corea. In Italia,

lo spettacolo è interpretato da Emanuela Aureli, Manuela Metri, Fiordaliso e Fioretta Mari: quattro donne over 40 si incontrano casualmente alla Rinascente e iniziano parlare di vampate, memoria, insonnia e di un’insaziabile voglia di cioccolata, finendo poi per raccontare la loro storia.

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SPORT Mauro Nespoli

L’ARCO DELLA VITA di Tommaso Montagna

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L’ORO ALLE OLIMPIADI DI LONDRA È SOLO L’ULTIMO DI UNA CARRIERA COSTELLATA DA MEDAGLIE DI METALLO PREZIOSO. E DIRE CHE TUTTO È COMINCIATO PERCHÉ DA PICCOLO AMAVA IL MEDIOEVO


A

veva nove anni, la prima volta che prese in mano un arco, e da quel momento decise di non mollarlo più. Mauro Nespoli era all’Aprica, vicino a Sondrio, con i genitori quando si stava organizzando il campionato italiano all’interno dei boschi e venne data la possibilità ai villeggianti, mentre veniva preparato il terreno per la gara, di vestire i panni dell’arciere. “Quale amante della storia e delle ambientazioni medioevali, vedevo il tiro con l’arco come una pratica circondata da un’aurea romantica e mistica” racconta Mauro, raggiunto al telefono. Un’aurea che ha avviluppato anche il

nostro arciere portandolo fino a trionfare in due Olimpiadi, prima argento a squadre a Pechino 2008 (insieme a Marco Galiazzo ed Ilario di Buò), poi oro a Londra (con ancora Galiazzo e Michele Frangilli). Traguardi raggiunti dopo aver collezionato due volte la medaglia gialla a livello individuale nei campionati italiani (2003 Brescia e 2005 Bergamo), altre due volte in quelli europei (da solo a Silkeborg nel 2005 ed in squadra a Vittel nel 2008) ed una volta ai mondiali (a squadre) a Dover nel 2007. Senza contare i bronzi e gli argenti messi finora in bacheca durante l’arco (qui è il caso di dirlo) della sua carriera. 5

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SPORT Mauro Nespoli

“Quello che ho imparato dai miei compagni di squadra è che, anche se hai talento, senza allenamento costante né abnegazione, è difficile raggiungere obiettivi come questi”.

“Entrai nella nazionale giovanile nel 2002 con Luciano Malovini come istruttore, che già mi conosceva e seguiva da tempo. È stato il mio primo allenatore e lo è ancora - spiega l’arciere di natali vogheresi (in provincia di Pavia) - ma devo molto anche a Filippo Clini, istruttore con il quale sono entrato a far parte della nazionale maggiore nel 2006”. Due anni dopo, Mauro fu tra i selezionati a volare alle Olimpiadi cinesi. “Come mia prima esperienza olimpica, mi sono fatto trascinare dai miei compagni di squadra. Diciamo che ho cercato di limitare i danni”, scherza lui. Obiettivo raggiunto, visto il secondo posto assoluto. Poi è stato il turno di Londra: “In Inghilterra ero più consapevole dei miei mezzi, con l’esperienza maturata nei quattro anni precedenti. La squadra italiana è arrivata già competitiva a livello europeo, ma con qualche problema di continuità. Sapevamo che la squadra da battere sarebbe stata la Corea e mi aspettavo qualcosa di più dalla Gran Bretagna, anche perché giocava in casa”. Alla fine, dopo qualche rischio con il Messico in semifinale, i nostri hanno trionfato contro i nordamericani, ma non senza qualche sussulto a causa della conformazione del campo di tiro. “Le tribune laterali erano molto vicine e formavano una barriera per il vento: in pratica era difficile calcolarne la direzione per riuscire a calibrare il tiro su un bersaglio posto

a settanta metri da noi – continua Nespoli - con il mio allenatore ho deciso di calibrare l’arco in modo che la freccia potesse uscire più tesa, quindi meno incline alle oscillazioni”. Così facendo la freccia ha una velocità di uscita di 25 o 30 km/h maggiore rispetto alla media e raggiunge, al massimo, i 245 km/h contro i circa 220 canonici. Una scelta che si è rivelata efficace. Alla fine, il sogno di una vita è stato coronato. “Quello che ho imparato dai miei compagni di squadra è che, anche se hai talento, senza allenamento costante né abnegazione, è difficile raggiungere obiettivi come questi”. E il training per un arciere non è cosa da poco: “a livello fisico, oltre alla palestra per rinforzare arti superiori ed inferiori, faccio molta corsa, per rallentare i battiti cardiaci e avere migliori risultati al momento del tiro. Mi alleno sei o sette ore al giorno, e la quantità aumenta lontano dalle competizioni: più ci si avvicina e più si lavora invece sulla qualità e si affina la precisione”. Mauro Nespoli, come già i due suoi compagni di squadra alle olimpiadi inglesi, fa parte del gruppo sportivo dell’Aviazione Militare. Come società è rimasto negli arcieri di Voghera, dove è anche istruttore. Progetti per il futuro? “Laurearmi in Scienze Motorie e prepararmi per i Giochi del Mediterraneo che si terranno nell’autunno del prossimo anno”, risponde senza incertezze il nostro Robin Hood, che dopo i saluti torna ad allenarsi. 7 IL GRADINO PIÙ ALTO A sinistra, Mauro Nespoli alza il pugno in segno di vittoria dopo il tiro vincente. Nelle altre immagini, la gioia divisa con i compagni in Azzurro Marco Galiazzo e Michele Frangilli.

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MODA

Il cashmere

LA REGINA DELLA LANA f

MITI E LEGGENDE SUL “VELLO D’ORO”, RARISSIMA VARIETÀ PRODOTTA DA ANIMALI CHE VIVONO OLTRE I 4000 METRI E CONOSCIUTA FIN DAI TEMPI ANTICHI PER LE SUE PROPRIETÀ DI CALORE E MORBIDEZZA

urono gli antichi romani, notoriamente attenti a concedersi piaceri di ogni tipo, i primi a coprirsi con scialli di una lana rarissima, morbida e calda, che a contatto con la pelle non dava alcun prurito. Ma le prime notizie scritte sul cashmere si devono a Marco Polo, il celebre viaggiatore che sul finire del XII secolo raccontava nei suoi diari dei tessuti straordinari con cui si ornavano i ricchi e i notabili di antiche civiltà asiatiche. La vera storia del “vello d’oro” si perde nel tempo, ma ha superato i secoli rimanendo ancora oggi un sinonimo del lusso più esclusivo. Saranno gli inglesi, qualche centinaio di anni dopo, ad importare per la prima volta la regina delle fibre naturali in Europa, convinti dalle straordinarie capacità isolanti e dalla morbidezza leggendaria.

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Quella che per gli asiatici si chiama Kashmir, come la regione sospesa fra India, Pakistan e Cina, e noi conosciamo come cashmere o cachemire, secondo la solita personalizzazione francese, è un rarissimo strato della lana prodotta dalle capre Hircus, tipiche degli altopiani del Ladakh, in Tibet, oltre i 4.000 metri, nella zona che si spinge verso l’Himalaya e la Mongolia. Tolto il superfluo e lo strato esterno più ruvido, ogni capo produce non più di 100 grammi di lana cashmere (quando per realizzare un semplice maglioncino servono circa 8 km di filo), motivo sufficiente per cominciare a capire i costi finali, confortati dalle cifre: solo lo 0,5% della produzione laniera mondiale è rappresentata dal cashmere. Le capre iniziano la muta in primavera strofinandosi sulle rocce nel tentativo di liberarsi dei lunghi peli che permettono loro di resistere a inverni dove la tempera-


tura tocca i -40°. Dalla notte dei tempi, i pastori le seguono a distanza, raccogliendo con pazienza infinita i ciuffi della preziosa lana, a cui serviranno almeno tre anni di lavoro per realizzare uno scialle per signora. Ma è un processo lungo e faticoso, e da anni ormai tosatura e lavorazione si sono modernizzate, anche per accelerare i tempi e accontentare le richieste mondiali di cashmere. Terminata la fase della tosatura e la selezione della peluria migliore, prendendo solo i più lunghi e fini dal sottomantello (il diametro oscilla intorno ai 15,5 micron, quando un capello umano ne misura 75), la lana tibetana passa alla tessitura, che rappresenta il momento esatto che finisce per determinarne il prezzo finale: si va dai due fili, per ottenere una trama sottilissima, fino ad oltre 10 per quelli che alla fine saranno più spessi. Va da sé che più fili ci sono, e più il prezzo sale, motivo sufficiente a capire anche che i capi di cashmere a due fili rappresentano la maggior quota di mercato.

Oggi, l’offerta del cashmere non conosce limiti: la celebre lana tibetana è moltiplicata in ogni settore dell’abbigliamento e degli accessori, e si trova sul mercato a prezzi variabili, ma tutti rivolto verso l’alto. Ma attenzione, perché nessuno regala nulla: oltre a verificare la percentuale di cashmere presente nella trama del capo e al numero di fili che ne compone la tessitura, molto dipende dalla provenienza della lana stessa: un conto è quella tibetana, un altro per le lane provenienti da Iran e Afghanistan, decisamente meno pregiate e vendute più a buon mercato. E per chi pensa che la lana cashmere sia da relegare alla moda invernale, basta ricordare “l’esibizione” di Gabriele Albertini, allora Sindaco di Milano, fotografato in costume da bagno alle sfilate della settimana della moda del 1988. Bene, il capo che indossava era firmato da Valentino e realizzato in “cashmere libidinous”. Varietà su cui preferiamo non indagare oltre. 7

OLTRE I 4.000 È solo lo strato interno della lana che ricopre le capre Hircus, a poter diventare cashemere. Sono animali che vivono sulle vette più alte del Tibet, e la lana permette loro di sopravvivere ad inverni rigidissimi OTTOBRE 2012 | 55


MOTORI | 1

Nuova Renault Clio

PATRIMONIO

QUARTA GENERAZIONE PER UNO DEI MODELLI PIÙ APPREZZATI DI SEMPRE: FORTE DI TECNOLOGIA, MOTORI PULITI E MENO ASSETATI

DI FRANCIA

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È

arrivato il momento di tirare fuori gli assi, i pochi modelli che sanno guardare dritto negli occhi la crisi in cui versa il mondo dell’auto, rispondendo con i numeri. È il momento di far scendere in campo le intramontabili, un ristretto ed esclusivo elenco in cui possono entrare soltanto nomi storici come Golf, Fiesta e Clio, gli unici che da sempre significano numeri, le sole novità che i mercati sembrano aspettare con ansia. La francesina esordisce nel lontano 1990, moltiplicandosi da allora in oltre 12 milioni di pezzi in 115 paesi: roba che riesce sempre di meno, a chiunque faccia automobili. La forza è racchiusa in un progetto vincente, disposto fin dall’inizio ad assumere movenze di volta in volta diverse: da pacifica cittadina a sportivissima pistaiola, passando attraverso la missione di entrare nel parco auto delle famiglie, che non vanno mai dimenticate quando

si hanno in mente i bilanci.La nuova generazione di Clio, la quarta, si affida alle cure stilistiche di Laurens Van Den Acker, designer olandese che prosegue nella rivoluzione silenziosa di dare un nuovo volto alla Régie, per troppo tempo rimasto scollato, senza un filo conduttore che accomunasse la gamma. L’immagine della nuova Clio diventa così un mix di muscoli e sportività all’esterno, ma senza quelle esagerazioni barocche che risulterebbero controproducenti, mentre all’interno la tecnologia divide il piacere con appeal e una spiccata personalità. Fuori, sul cofano, spicca la Losanga, il celebre marchio Renault, su cui scenicamente confluiscono linee dinamiche, creando un’architettura armonica, priva di angoli e sporgenze. Cinque porte, almeno per iniziare, con le maniglie di quelle posteriori inglobate nella carrozzeria, e 300 litri di capienza del bagagliaio viaggiando in formazione tipo. 5

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MOTORI | 1

Nuova Renault Clio

L’abitacolo è un raffinato alternarsi di finiture e cromature, ma l’attenzione è subito rapita dallo schermo da 7” creato pensando ai tablet e disponibile in due diversi step di dotazioni: “Smart nav”, con radio, navigatore, Bluetooth e ingressi Usb, a cui si aggiunge “R-Link”, il secondo gradino (in opzione a 400 euro, ma richiede un abbonamento alla connessione 3G) che racchiude invece la possibilità di sfruttare in auto le più diffuse applicazioni offerte dalla rete, con aggiornamenti del traffico in tempo reale, comandi vocali, accesso di social network e ricezione/invio di email. Un po’ come avere uno smartphone su ruote, ma con una strizzatina d’occhio alla sicurezza, che inibisce le funzioni quando l’auto è in movimento. Come da curiosa caratteristica Renault, consueta commistione fra digitale e analogico per il tachimetro, sistemato al centro dei due quadranti, con indicatore del cambio di marcia ottimale.

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Rispetto alla generazione precedente cambiano, anche se di poco, le misure: 4.062 mm di lunghezza, 1.731 di larghezza e 1.448 di altezza (47 mm in meno della precedente generazione, ma con passo di 2.589 mm, aumentato di 1,5 cm) e 100 kg in meno di peso complessivo, quasi a sottolineare che Clio è cresciuta, entrando nella fase della maturità di un best-seller su cui Renault non ha mai lesinato gli sforzi, ma che soprattutto nasce dando massima attenzione ad handling, piacere di guida e sicurezza, capitolo confortato di recente dalla conquista delle 5 stelle EuroNcap. Ma la vera novità di Clio è la coscienza ecologista, la voglia di ridurre al minimo sindacale l’impatto con l’ambiente, altro capitolo su cui oggi i marchi automobilistici lavorano di fino. La gamma motori, totalmente rinnovata, presenta il debutto dell’Energy TCe 90, il primo 3 cilindri turbo benzina mai realizzato da Renault, con 893 cc (182 km/h, 22 l/ km e 105 g/km di CO2), che fa il paio con

il diesel Energy dCi, ambedue dotati di stop&start e con 90 CV all’attivo. Il reparto gasolio si completa con il 1.5 dCi da 75 CV (167 km/h, 18 km/l, 127 g/km di CO2), mentre è già annunciato per il prossimo anno l’arrivo del TCe da 120 CV con cambio automatico EDC a sei rapporti. Tre gli allestimenti previsti (Wave, Live ed Energy), cinque i pack (Style, Relax, Premium, Premium +, Premium camera) e otto tinte carrozzeria, fra cui lo sfizioso “rosso passion” usato per le fasi del lancio. Per tutti buona dotazione di elettronica con Esp, Esc, Asr, Abs e assistenza alla frenata di emergenza Afe, a cui si aggiunge il servosterzo ad assistenza variabile con demoltiplicatore per facilitare l’uso nei centri urbani. Nota finale per i prezzi, perfettamente allineati alla generazione precedente malgrado il mare di innovazioni: risparmio nascosto ad arte? Giammai, rispondono dalla Renault, si tratta solo di un lavoro di sinergia del gruppo, capace di creare un nuovo modello usando il 50% di componentistica attingendo dalla banca d’organi Nissan-Renault. 7


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MOTORI | 2

Salone di Parigi

PER TUTTE LE TASCHE (O QUASI) Primo piano per la supersportiva Audi R8 restyling, sotto la concept Nissan TeRRA, la Panda 4x4 e la Porsche Cayenne S Diesel. Nella pagina a fianco la McLaren P1 e la nuova VW Golf, giunta alla settima generazione.

UN CERTAIN REGARD Ovvero “un certo sguardo” sulle novità della kermesse automobilistica più importante d’Europa, nell’attesa di un mercato a cui manca ossigeno, ma non voglia e nemmeno idee

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L

uglio e agosto, mesi tradizionalmente difficili per il mondo dell’auto, quest’ anno in Europa hanno fatto “meglio” del solito: -7,5 e -8,5% di vendite e percentuali ancora maggiori di sconforto. Eppure, queste sono le cifre con cui deve vedersela il Salone di Parigi, importante appuntamento a cadenza biennale (si alterna con Francoforte), che da 81 anni mostra orgogliosamente ciò che presto incroceremo per strada. Ma quest’anno, proprio mentre il Motor Show di Bologna, dopo mesi di incertezze, ha annunciato un’edizione minimalista (4 giorni appena contro i 15 dei tempi d’oro), a Parigi, malgrado il pessimismo diffuso, le novità non sono mancate, quasi a dimostrare che le teorie su cui si muove l’industria italiana dell’auto (aspettiamo che il mercato si riprenda, per tirare fuori novità), non le condivide davvero nessuno.


LE SUPER SPORTIVE

Tanto bella quanto improbabile, la McLaren P1 è un modello da pista omologato su strada, ma i dati sconsigliano di usarla per andare alla posta per ritirare la pensione: il V8 turbo sviluppa quasi un migliaio di CV e sfiora i 400 km/h. Più accessibili, ma non meno esclusive, le nuove varianti 4 e 4S della Porsche Carrera, l’inossidabile sportiva made in Stoccarda che fa sempre la sua bella figura. Per finire con la Aston Martin DB9, quella di James Bond per capirci, che di CV ne sviluppa “solo” 517. Doverosa citazione per due proposte Audi, marchio presente alla grande, che fra le altre ha portato a Parigi il restyling della R8 e la nuova RS 5 Cabrio: sportive, eleganti, affascinanti e pronte per attirare frotte di gente ai concessionari, c’è da giurarci.

LE AMBIZIOSE

Golf VII, come non iniziare dalla regina? L’ambizione è di restare in cima alla classifica delle più vendute, replicando una storia infinita iniziata nel lontano 1974. Lo sappiamo, la somiglianza con la generazione precedente è difficile da spiegare, ma la nuova Golf è un progetto totalmente nuovo, dentro e fuori. Passerella anche la Cadillac ATS, berlinona americana nelle misure ma adattata a gusti e cubature europee, che punta a infastidire i soliti tedeschi nel segmento Premium, portando in dote un “piccolo” 2 litri turbo da 276 CV che in America forse usano solo per le falciatrici. Ambizioni di vendita per la Mazda 6 Wagon, che in Europa aveva attecchito bene grazie ad un mix riuscito di design, prezzi e dotazioni. Nemmeno facile il compito della Peugeot 208 GTi, chiamata a rimpolpare i fasti della prima e inimitabile GTi, la 205 degli anni Ottanta. 5

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SUV E SIMIL SUV

Porsche Cayenne S Diesel, la versione a gasolio top di gamma (4,2 litri da 382 CV), tenta di rinverdire il successo dalla matriarca di un segmento che tirava quando in giro c’erano soldi da spendere e immagini da salvare. A volo d’angelo, superando d’un balzo migliaia di crossover e finte integrali, spunta la Mini Paceman, innesto (peraltro riuscito) fra l’integrale Countryman ed una coupé: è la settima variante applicata al progetto Mini dalla sua rinascita. E sia, spazio anche alla Fiat Panda 4x4, perché nel suo piccolo lo merita: due motori, trazione integrale “on demand” e qualche protezione dal sapore off road disseminata qua e là. 7

SGUARDI FUTURI

L’ibrido in prima fila per la Lexus LS-CC, concept di coupé compatta e la BMW Active Tourer Concept, questa volta studio di compatta a cinque porte dal tetto elettromagnetico che unisce un motore a benzina da 1,5 litri con un elettrico. Elettrica di lusso la Infiniti LE, berlina a quattro porte con batterie agli ioni di litio che si ricaricano in 30 minuti ad una qualsiasi presa di corrente. Con TeRRA, Nissan esplora il futuro, quando anche i Suv viaggeranno ad energia elettrica ed i tablet fungeranno da quadro comandi asportabile. Toccata a fuga finale su Smart Forstars: due posti, volante a coche e video proiettore nascosto nel cofano, per gustarsi un film sul muro di fronte. OTTOBRE 2012 | 62


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CINEMA Cogan – killing them softly

L’ORDINE AI TEMPI DELLA CRISI Nuova fatica cinematografica per Brad Pitt, che veste i panni del killer in una crime story scritta trent’anni fa DA UN GIUDICE DI BOSTON

C

’è molto più di una semplice trovata hollywoodiana tutta trama e cast stellare, perché nascosto nelle pieghe di questo thriller c’è un momento preciso della storia recente dell’America, piegata dalla crisi e dalla mancanza di soldi, proprio mentre alla Casa Bianca George Bush lasciava il posto e le speranze del mondo nella mani di Barack Obama. La scusa è una rapina, fatta da due giovani e incoscienti a gente che non andava nemmeno sfiorata, una bravata che scatena una guerra fra i poveri delle periferie di New Orleans, spietata e inzuppa-

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ta di sangue e vendetta. Una riflessione profonda dell’America ferita, in cui le giovani generazioni di delinquenti in caccia di soldi facili non vogliono rispettare le regole, ma anche un modo per denunciare che la crisi voluta dai politicanti ha un peso specifico che precipita verso il basso, rendendo simili le reazioni, seppure usando armi diverse. A sintetizzare il concetto è una battuta di Brad Pitt, protagonista assoluto e coproduttore della pellicola, che veste i panni del killer Jackie Cogan: “L’America non è una nazione, è un business”. La nuova fatica di Brad Pitt,


Il cast Brad Pitt

Jacky Cogan

James Gandolfini

Mickey

Ray Liotta

Markie Trattman

Sam Shepard

Dillon

Scoot McNairy

Frankie

Ben Mendelsohn

Russel

Vincent Curatola

Johnny Amato

Richard Jenkins

Driver

Trevor Long

Steve Caprio

Max Casella

Barry Caprio

Garrett Dillahunt

Eddie Mattie

bello e dannato sullo schermo quanto amorevole papino della truppa di figli che divide con Angelina Jolie, è diretta dal neozelandese Andrei Dominik, rimasto folgorato dal romanzo “Cogan’s trade” (Einaudi Stile Libero), scritto nel 1974 da George V. Higgins, per vent’anni procuratore aggiunto di Boston con la passione per la scrittura amato anche da Quentin Tarantino. Ne viene fuori una crime story tut-

ta al maschile, infarcita di dialoghi, cinismo, tensione e violenza, compresa quella del killer impersonato da Brad Pitt, che ama uccidere dolcemente, senza dare inutili sofferenze alle sue vittime. Accanto a mister Pitt un cast d’eccezione che comprende Ray Liotta e James Gandolfini, come sempre straordinari nei ruoli che interpretano, specie quando si tratta di malavitosi. 7

La trama Tre sbandati convinti che saper impugnare una pistola sia la strada per arrivare ovunque, fanno irruzione in una bisca clandestina dove è in corso una partita a poker, rapinando tutti i presenti. Ma non sanno che alla serata, su cui vige la protezione assoluta dalla cupola malavitosa, partecipano tutti i capi mafia di New Orleans. Nei piani dei tre ragazzi c’è l’idea di far ricadere la colpa sul proprietario del locale, ma le cose si complicano inaspettatamente. Per riportare ordine nelle strade della Louisiana, dimostrando che la crisi non permette perdite di denaro e perdono, viene chiamato Jackie Cogan, un killer tanto spietato e rude negli atteggiamenti quanto delicato con chi deve uccidere.

La scheda del film Titolo originale: The Double – Regia: Michael Brandt – Sceneggiatura: Michael Brandt, Derek Haas - Prodotto da: Patrick Aiello, Ashok Amritraj, Steffan Brunner, Andrew Deane, Derek Haas – Co-produttori: Manu Gargi – Produttore esecutivo: Edward Borgerding, Mohamed Khalaf Al Mazrouei – Direttore della fotografia: Jeffrey Kimball – Scenografie: Giles Masters – Montaggio: Steve Mirkovic – Costumi: aggie Guerard Rodgers - Produzione: Hyde Park Entertainment, Industry Entertainment, Imagenation Abu Dhabi – Distribuzione in Italia: Eagle Pictures – uscita nelle sale: 9 marzo 2012.

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NSIGLI utili

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supervalutazione del tuo oro

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