PULSE · Project META07 Brand Magazine

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Impulso #1 Alcuni studiosi ritengono che negli ultimi settant’anni siano state introdotte più innovazioni che negli ultimi due millenni. La società moderna sta assistendo a mutamenti tanto repentini quanto epocali, che stanno scalzando ogni tradizione passata. Le nuove tecnologie ci stanno proiettando verso un futuro sempre più agevolato, migliorando enormemente le nostre prospettive di vita. Attraverso questa rivista vogliamo cavalcare lo spirito di questo cambiamento e raccontarlo attraverso alcuni personaggi, che grazie alla loro intraprendenza hanno saputo interpretare in modo positivo la spinta tecnologica. Le loro vite sono incredibili, il loro stile spesso stravagante, ma la loro tenacia ha permesso il progresso. E per questo motivo li sosteniamo. Siamo convinti che la continua innovazione non debba essere temuta, ma possa facilitare e aumentare la qualità delle nostre esperienze quotidiane. E tutto ciò può e deve avvenire nel rispetto dell’ambiente, che è lo spazio in cui sperimentiamo le nostre avventure. Perciò il nostro sguardo è costantemente rivolto al futuro e a tutto ciò che è dinamico e attivo. Curiosità e iniziativa sono per noi parole chiave. Speriamo con le nostre storie di fornire stimoli sempre nuovi, grazie ai quali continuare a modellare una società moderna e all’avanguardia.


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Sommario 7

Richard Branson: l’uomo dei record TrafficO2 L’indicazione per la strada più verde

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Environmental technology

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EVA: l’eterno vagabondo astrale

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Wi-Fi sull’Everest con Project Loon

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Dal vinile a Spotify Kickstarter: il calcio d’inizio

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The social network: genialità sfrontata

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Sei secondi per condividere

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Fumetti

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Richard Branson l’uomo dei record 7


È l’imprenditore inglese più conosciuto al mondo, con una delle maggiori ricchezze nazionali, oltre 2,5 miliardi di sterline. Sempre vestito in modo informale, comportamenti stravaganti, eccentrico quanto basta, Richard Branson è un esempio del self-made-man. Amante del rischio, nel corso della sua vita ha creato da zero numerose attività imprenditoriali di successo in settori diversi, dalla discografia all’aeronautica, accumulando una vera fortuna.

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Una persona che la conosce bene ha detto “Per metterlo a suo agio, chiedigli dei Sex Pistols” «Negli anni ‘70 avevo un’etichetta discografica indipendente e loro sono stati i miei primi clienti. Senza di loro, oggi non saremmo seduti qui. Dopo sono arrivati i Rolling Stones, poi i Genesis. Ma sono stati proprio i Sex Pistols a far decollare la Virgin. Senza di loro non esisterebbe la compagnia aerea e nemmeno la banca». E lei oggi non sarebbe impegnato a cercare di salvare il mondo. «Vero, una cosa è conseguenza dell’altra. Sono un uomo curioso, voglio sempre imparare cose nuove. Per questo motivo la Virgin ha esplorato negli anni ambiti diversi. Oggi investo il 90% del mio tempo a creare Ong. Sono uno di quelli convinti che il riscaldamento globale sia un problema molto serio. Ma anche se mi sbagliassi, non ci sono dubbi sul fatto che i Paesi debbano diventare autonomi


nella produzione di energia». Cosa, oltre alla sua curiosità, ha fatto di lei un imprenditore? «Credo che parole come “imprenditore” o “business man” possano risultare fuorvianti. Cos’è il business? «Mi reputo una persona onesta. E il mio messaggio è: non possiamo far regredire il mondo, è nostro compito andare avanti». L’idea di una persona che può migliorare la vita di molte altre. Nel mio caso la scintilla è nata dalla guerra del Vietnam, un conflitto che per me era non solo ingiusto, ma anche sbagliato. All’epoca, volevo abbandonare 9

la scuola per fondare una rivista che mi permettesse di ribellarmi a quella guerra. Dopo la pubblicazione del primo numero, cominciarono a bussare alla mia porta musicisti con le loro registrazioni. Musica sublime, che nessuno voleva trasmettere. E così ho fondato una casa discografica. Non volevo diventare ricco, solo portare alla luce del sole quella rivista e quella


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musica. Più tardi, decisi di dare vita a una compagnia aerea con la quale mi sarebbe piaciuto volare. E così via». «Non giudico il lavoro in base al successo ottenuto. Anzi, sono felice quando incontro delle difficoltà». Quanto conta un buon finanziamento per attivare e gestire una startup? «Naturalmente molto. Quando inizi devi stare attentissimo ai numeri, ma col tempo ci presti meno attenzione. Quando il tuo staff e i tuoi clienti sono felici, e fai sì che il tuo prodotto o il tuo servizio sia di buona qualità, le finanze spesso si alimentano da sole». Tra le attività che ha realizzato, qual è stata la più difficile e quella che l’ha reso più felice? «Virgin Music e Virgin Atlantic hanno rappresentato una parte importante dei miei inizi e ci sono molto attaccato.

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Ma non giudico il lavoro in base al successo ottenuto. Anzi, sono felice quando incontro delle difficoltà. Comunque sono contento che Virgin abbia raggiunto i 40 anni di attività e continui a crescere». Lei è un imprenditore capace di risultare credibile nella lotta contro il riscaldamento globale anche se dirige una scuderia di Formula Uno. È incredibile... «E un’agenzia spaziale». Come ci riesce? «Mi reputo una persona onesta. E il mio messaggio è: non possiamo far regredire il mondo, è nostro compito andare avanti. Noi tramutiamo


i profitti della compagnia aerea e della ferrovia in risorse finalizzate a realizzare carburante eco-sostenibile. I profitti non saranno stellari, ma li investiamo in questi progetti. E, grazie a realtà come il Carbon War Room, oggi esistono carburanti per aerei, razzi, treni, macchine di F1, quasi totalmente a impatto zero». «Cos’è il business? L’idea di una persona che può migliorare la vita di molte altre». Quanto conta il fattore divertimento? Sarebbe disposto anchea fare qualcosa che non la diverte?

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«Divertimento e avventura sono molto importanti. Se non ti diverti , quello che fai lo fai meno bene». Lei sembra sempre rilassato: c’è qualcosa che la agita? «Praticamente niente. La maggior parte dei problemi del mondo possono essere risolti».


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traffic L’ indicazione per la strada più verde Quanto tempo spendiamo ogni giorno per spostarci da un posto all’altro in una città così grande come è Milano? Se in più c’è uno sciopero dei mezzi di trasporto o mal tempo, le strade si riempiono di automobili e il traffico intenso diventa un’ulteriore causa di contrattempi. Il tempo è denaro, certo, ma fosse solo questo il problema: sono 134 le persone a Milano che ogni anno muoiono a causa dello smog.

Quelli dell’inquinamento e del traffico sono argomenti difficili e delicati, ma forse nel nostro piccolo anche noi possiam dare una mano per ridurre questi problemi. TrafficO2; un’applicazione che permette ti pianificare i tuoi spostamenti in modo sostenibile Ma come possiamo fare? E chi non ha tutto questo spirito ambientalista? In nostro aiuto può venire trafficO2: un’applicazione che permette di pianificare i tuoi spostamenti in modo sostenibile. Non solo; trafficO2 è anche un gioco, che funziona con punti e premi. In essa vengono mostrati i punti O2 che valgono come una sorta di moneta virtuale e che l’utente può guadagnare. Più il viaggio è sostenibile, più punti si potranno guadagnare. Per poter effettivamente avere i punti O2 gli utenti dovranno, utilizzando i loro smartphone, fare check presso i punti di partenza e di arrivo selezionati, e il sistema di analisi dei dati GPS certificherà il sistema di mobilità realmente utilizzato. 15


Oggi, un giorno come un altro. Spostamenti da fare? Studio, palestra, cinema e di nuovo casa. Preso tutto? Borsa, cellulare, appunti, chiavi, soldi. Bastano pochi tocchi sullo schermo dello smartphone e un po’ di spirito di intraprendenza per trascorrere la giornata in modo un po’ più eco del solito.

MOVE

Selezioniamo sulla mappa del nostro trafficO2 il punto di partenza e quello di arrivo: casa-lavoro. Ecco che compaiono subito i diversi percorsi che si possono fare. A piedi o in bicicletta per questa volta non è possibile: la destinazione è troppo lontana, anche se le calorie che si potrebbero bruciare sono un incentivo. I mezzi pubblici sono la soluzione migliore: tempo necessario 20 minuti, costi aggiuntivi zero (abbonamento ai mezzi pubblici) e si risparmiano 0.30 kg di CO2. Per andare in palestra? I mezzi risultano un po’ scomodi. Guarda la coincidenza: uno dei miei amici passa qui vicino in macchina e arriva a pochi minuti a piedi dalla nuova destinazione. Altri CO2 e tempo risparmiati.

TrafficO2 è un’applicazione progettata da Salvatore Di Dio, architetto e ingegnere palermitano, e dalla sua PUSH. Dedicata alla mobilità urbana, l’ obiettivo di TrafficO2 è quello di ridurre traffico e inquinamento favorendo l’incontro. L’applicazione è stata sperimentata tra gli studenti dell’ateneo di Palermo durante tre giorni di workshop, nel quale si sono svolte analisi su comunità già esistenti, per studiarne i comportamenti e colpire nel segno. 16


PLAY

Controlliamo a fine giornata il bilancio: 0.70 kg di CO2 risparmiati, bruciata qualche caloria e accumulati altri 50 punti. Condividendo le tratte sui social network, si riesce a far interessare a questo tema nuovi amici e a sfidarli nella raccolta di punti O2. Inoltre, nei tempi di attesa, con divertenti games e quiz personalizzati si son potuti accumulare altri più punti.

WIN

Durante questo mese si è riusciti a mettere da parte parecchi punti, questi possono essere spesi per ricevere premi e buoni sconto. Serviva giusto, giusto una borsa nuova! Con TrafficO2 vincono tutti: i cittadini proteggono la salute del pianeta, i local business conquistano nuovi clienti e gli sponsor ottengono visibilità per la loro etica ambientale.

Gli utenti, spostandosi all’interno della città, guadagnano punti in base alla sostenibilità dei mezzi di trasporto scelti e vincono premi messi in palio da local business e sponsor. Grazie alla visibilità ottenuta sulla piattaforma, local business e sponsor conquistano nuovi clienti che potranno fidelizzare attraverso buoni sconto e regali. TrafficO2 è vincitore del bando “Smart Cities and Communities and Social Innovation” promosso dal MIUR nel 2012. 17


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Environmental Technology Il futuro risiede nella tecnologia. Una tecnologia che ci permetta di vivere in sincronia e nel rispetto dell’ambiente naturale e delle limitate risorse che ci offre. Nel pieno di questa visione un’importante e influente compagnia come la Sony si pone in difesa della natura e della ricerca di nuove avanzate tecnologie “verdi”. Dai nuovi televisori BRAVIA, agli smartphone Xperia P, ai nuovi ultrabook VAIO W, i prodotti Sony del progetto “Road to Zero” sono tutti ecologicamente all’avanguardia. TELEVISORI INTELLIGENTI I TV Sony offrono una gamma di funzioni per il risparmio energetico che aiutano a ridurre il consumo di energia senza venir meno alla qualità della tecnologia. Sensore di presenza con Face Detection per risparmiare energia se non si guarda lo schermo e 75% di cartone riciclato per gli imballaggi.

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La linea BRAVIA è dotata di una tecnologia che usa cluster di LED bianchi privi di mercurio. Essi oscurati localmente o disattivati completamente per le scene più scure generano come risultato un’intensità dei colori e un contrasto migliorati, il tutto con un’efficienza energetica maggiore rispetto ai TV convenzionali. Premendo l’interruttore per il risparmio energetico, si può spegnere completamente il TV per un consumo energetico pari a zero senza dover staccare la spina. Il sensore di presenza rileva quando si esce dalla stanza e disattiva lo schermo se ci si assenta a lungo. Un altro sensore intelligente con Face Detection riconosce quando non si sta guardando lo schermo e oscura l’immagine per risparmiare energia.


Si lavora anche sugli imballaggi dei TV, riducendolo in modo da poter consegnare un maggior numero di TV usando la stessa quantità di spazio e risparmiando quindi sui trasporti. Inoltre, più del 75% del cartone usato negli imballaggi è riciclato e i manuali di istruzioni sono su schermo per evitare sprechi di carta. Tutto questo rientra in un piano più grande, il “Road to Zero”. Raggiungere l’obbiettivo di una produzione a impatto ambientale nullo. ROAD TO ZERO è un progetto ambientale che si pone l’obbiettivo di riuscire ad ottenere entro il 2050 un’impronta ambientale pari a zero nella produzione e nell’alimentazione degli impianti dell’intera compagnia. Per Sony, azzerare il proprio impatto ambientale non significa solo neutralizzare le emissioni di carbonio,

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ma anche limitare lo spreco ed l’utilizzo di materiali specifici come le plastiche derivate dal petrolio. “Siamo impegnati a tempo pieno nel mettere a frutto il nostro spirito innovativo e la nostra competenza tecnologica per aiutare a risolvere alcune delle sfide ambientali,” ha detto Sir Howard Stringer, presidente e amministratore delegato della Sony Corporation. “Dallo sviluppo di nuovi materiali e tecnologie energicamente efficienti, all’introduzione di migliori processi di manifattura e produzione, lavoreremo assiduamente per venire incontro agli obbiettivi


che ci poniamo per noi stessi e, allo stesso tempo, per stabilire un modello che altre industrie possano seguire.” In generale, gli obbiettivi della Sony si basano su quattro prospettive ambientali: cambiamenti climatici, conservazione delle risorse, controllo delle sostanze chimiche e biodiversità. Di queste viene tenuto conto durante tutte le fasi del ciclo di vita di ogni prodotto, da ricerca e sviluppo al riciclaggio. Cambiamenti climatici, conservazione delle risorse, controllo delle sostanze chimiche e biodiversità. Sony ha già fatto progressi significativi nella riduzione del suo impatto ecologico nel mondo. I suoi siti europei, per esempio, hanno ridotto le loro emissioni di CO2 dovute all’utilizzo di elettricità e riscaldamento nelle infrastrutture del 93% tra il 2000 e il 2009. Inoltre, la maggior parte delle sue TV BRAVIA porta il “fiore” dell’Unione Europea, un contrassegno introdotto dalla UE per certificare prodotti più eco sostenibili che soddisfino dei rigidi criteri ecologici.

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In Giappone, Sony è l’unica azienda che volontariamente, su base sperimentale, raccoglie dai consumatori parti elettroniche usate di piccola taglia. Oro, argento, bronzo e palladio vengono estratti dai prodotti scartati e riutilizzati da Sony. Per esempio, l’oro riciclato è stato usato nei chip semiconduttori adottati dal cellulare Sony Ericsson “URBANO BARONE”, lanciato sul mercato giapponese. Obbiettivi di riduzione di gas serra entro il 2015 approvati dal WWF Ancora, il nuovo VAIO W eco edition, progettato per essere il portatile più eco sostenibile dell’industria, è caratterizzato da componenti in plastica riciclata, un manuale elettronico e un’innovativa borsa

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da trasporto che permette di risparmiare il 10% delle emissioni di CO2 durante la sua produzione. Gli obbiettivi di Sony per il 2015 di riduzione delle emissioni di gas serra e consumo energetico per prodotto sono state recensite e approvate dal World Wide Fund for Nature (WWF), il cui Climate Savers Programme della compagnia sottoscritto da Sony è stato ideato per mobilitare le compagnie verso la riduzione delle emissioni di gas serra.


le TV BRAVIA permettono di risparmiare energia grazie all’autoregolazione della luminosità dello schermo. Nella produzione, essendo più sottile vengono usati meno materiali, e nel trasporto, packaging meno ingombrante e riciclabile. Riduzione di peso e dimensioni permettono di risparmiare il 50% suli materiali. Ripensata e rinnovata dentro e fuori, la nuova versione della PlayStation3 è dotata di componenti, quali i semiconduttiri, più piccoli e avanzati, grazie a cui si risparmia energia e si genera meno calore. Xperia P è il primo smartphone dotato di tecnologia WhiteMagic che permette di usare lo schermo con luminosità elevata senza compromettere il consumo energetico. Inoltre Xperia P è composto di materiali platici riciclati e riciclabili e contiene vernici ad acqua, poco inquinanti. Ir risposta alla necessità di una maggiore efficienza energetica, Sony ha creato un accumulatoredi energia a 1.2kWh alimentato da batterie agli ioni di litio, che possono durare fino ai 10 anni. L’ultrabook VAIO W eco edition, oltre a recepire qualunque tipo di imput tattile e non, è dotato di una batteria della durata di 18 ore, così da poterlo portare in giro comodamente risparmiando sulle ricariche. È leggero e ha un consumo energetico inferiore agli standard del 46%.

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EVA

Eterno Vagabondo Astrale Luca Parmitano è l’uomo delle stelle, e ci racconta la sua EVA (extra-vehicular activity) , o passeggiata nello spazio, durante la sua missione presso la Stazione Internazionale.

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L’Airlock è silenzioso e buio, come un tempio, forse dedicato alla tecnologia, ed entrare dentro ha per me l’effetto calmante di una preghiera. Dopo aver indossato la sottocombinazione (in pratica, della biancheria intima che ci copre dal collo alle caviglie) e la sottotuta LCVG (Liquid Cooling and Ventilation Garment, cioè Combinazione a Raffreddamento Liquido e Ventilazione), per circa 40 minuti respiriamo ossigeno puro per cominciare a eliminare l’azoto dal nostro organismo. Nel frattempo il team da terra ci guida in una serie di controlli delle nostre tute EMU (Extravehicular Mobility Unit, Unità Mobile Extraveicolare), che noi eseguiamo con particolare attenzione nel vuoto. Mi rendo conto che la cacofonia scampanellante dei nostri attrezzi metallici che galleggiano, tutt’a un tratto svanisce. È un’idea talmente straordinaria che il mio cervello non si sofferma a pensare, e mi concentro invece nelle attività del momento. Karen e Chris agganciano la parte inferiore del mio scafandro (i “pantaloni”) poi è la volta di Chris. Con tutta la delicatezza di cui è capace, 26


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Karen aggancia il casco alle due tute, e lo blocca, sigillandoci dentro. Inizia una seconda procedura di desaturazione, in cui inondiamo lo scafandro di ossigeno e portiamo l’airlock a una pressione di 10.2psi. Durante questa procedura, Chris e io ripetiamo per l’ennesima volta le procedure che effettueremo, soffermandoci su ogni particolare dell’uscita, su ogni gesto, su ogni dettaglio da eseguire. Capisco che non avrò alcun problema: mi trovo benissimo, a mio agio, nel mio ambiente, che dovrebbe essermi alieno e invece è quasi familiare. Arriva Fyodor, che aiuta Karen con l’installazione dei nostri attrezzi e per introdurci dentro la camera stagna vera e propria. Poco più grande delle due tute, deve contenere non solo noi, ma anche tutti gli attrezzi e strumenti che porteremo fuori, per sostituirne altri o per fare 28

manutenzione. Io devo azionare la pompa che depressurizza fino a 2psi: poi Karen apre una valvola per scaricare il resto di atmosfera all’esterno. Mi sembra di essere cosciente di tutto quello che succede intorno a me, e di vedere tutto come al rallentatore. Mi rendo conto che la cacofonia scampanellante dei nostri attrezzi metallici che galleggiano, tutt’a un tratto svanisce. Il suono non si trasmette più, e prima ancora di sentire la voce di Chris confermarlo, so che la depressurizzazione è completa: siamo nel vuoto. Con la calma che lo contraddistingue in ogni momento, Chris apre il


portello, e ho la prima visione della Terra, che scorre sotto i miei occhi, il mio visore l’unico ostacolo e al contempo l’unica protezione dalla luce folgorante. Chris è pronto per uscire, ed è fuori in pochi secondi.

Dovrò scuotere la testa ancora parecchie volte prima che gli occhi smettano di lacrimare. Tocca a me. Con calma metodica e studiata, compio ogni gesto come un ballerino segue la sua coreografia, ma io non sono in cerca dell’applauso finale – voglio solo essere sicuro di non commettere errori. E quando Chris mi dice “ok, you’re out!”, indovino un sorriso sulle sue labbra, anche se non posso vederlo perché entrambi abbiamo il visore dorato abbassato. È giorno, e la luce è di una purezza tale da far male. In un attimo Chris è andato via, mentre io chiudo la copertura termica che protegge l’interno dell’airlock. Houston mi comunica che ho tutto il tempo che voglio per adattarmi, ma io ho altri piani: ho già deciso che il mio adattamento lo farò mentre mi sposto verso la mia destinazione, ELC2. E nel preciso istante in cui comincio a muovermi, capisco che non avrò alcun problema: mi trovo benissimo, a mio 29


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agio, nel mio ambiente, che dovrebbe essermi alieno e invece è quasi familiare. Quando giungo nel posto prefisso per ancorare il primo dei due cavi autoavvolgenti che mi assicurano alla Stazione, i miei occhi bruciano come se vi avessi strofinato del sapone, e lacrimano abbondantemente. Inizialmente non capisco cosa stia succedendo: le lacrime sono talmente abbondanti, e il bruciore talmente forte, che non riesco a tenere gli occhi aperti. Decido di stabilizzarmi un attimo per poter pensare. Scuoto la testa da una parte all’altra, perché in orbita le lacrime non scendono sul volto, ma si accumulano sugli occhi. Mi ritrovo a “testa in giù” per scattare delle foto ai due esperimenti che sono venuto a recuperare, ORMATE e PEC.

Poi comprendo di cosa si tratta: durante la preparazione, abbiamo pulito la parte interiore del visore con un preparato antiannebbiamento. A causa della bassa pressione, il prodotto evaporando deve essermi andato negli occhi, irritandoli. So che l’effetto durerà un paio d’ore, e non c’è nulla che io possa fare. Mi rassegno al bruciore, e dovrò scuotere la testa ancora parecchie volte prima che gli occhi smettano di lacrimare. Mi ritrovo a “testa in giù” per scattare delle foto ai due esperimenti che sono venuto a recuperare, ORMATE e 31

PEC – due piattaforme di materiali esposti al vuoto. Utilizzando gli occhi uno alla volta, perché ancora lacrimanti, riesco a disinstallare le due piattaforme e a posizionarle sullo scafandro per riportarle dentro. Shane, il nostro contatto radio da terra, ci comunica che siamo 20 minuti in anticipo sulla tabella di marcia, e questo mi dà molta confidenza mentre aggancio i due esperimenti dentro l’airlock e recupero gli attrezzi per il task successivo, che consiste nell’installazione dell’APFR (Adjustable Portable Foot Restraint, ovvero Blocca Piedi Portatile Regolabile) sul CanadArm2. L’installazione e l’ingresso nell’APFR procedono senza problemi, ma prima di dare a Karen, che è ai comandi del braccio robotico, l’OK per allontanarmi dalla struttura chiedo a Chris se può confermare che i miei piedi sono ben bloccati: sono l’unica cosa che mi


vincola al CanadArm! Per l’ora e mezza successiva sono trasportato da un lato all’altro della Stazione dal braccio robotico, sia in modalità automatica che in manuale, sempre con Karen ai comandi. Il compito consiste nel prelevare due enormi RGB dalla posizione temporanea per installarli in quella definitiva.

Il compito consiste nel prelevare due enormi RGB (Radiator Grapple Bar) dalla posizione temporanea per installarli in quella definitiva. In quello che a me sembra un attimo è già il momento di svincolarsi dal braccio e riportarlo nella condizione iniziale. Non mi rendo conto della mia posizione: sono proprio alla prora dell’astronave,

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e tutta l’ISS è dietro di me! Quando sorge il sole, ancora una volta sono quasi sopraffatto da quello che vedo. Ma non ho neanche un attimo per distrarmi, perché il lavoro da svolgere ha bisogno di tutta la mia attenzione, mentre mi muovo da una parte e dall’altra del PMA2, sganciandomi da un luogo per riagganciarmi subito in un altro. Non ho idea di quanto tempo abbia bisogno, ma quando finisco siamo ancora in anticipo sulla tabella di marcia. Bevo un sorso d’acqua, poi recupero due


dei contenitori che abbiamo portato fuori e rientro all’airlock per depositarli. Un terzo lo installo fuori, e resterà lì una settimana, lo riporteremo dentro alla seconda EVA. Quando sorge il sole, ancora una volta sono quasi sopraffatto da quello che

Chris finisce il suo ultimo lavoro, un anticipo di quello che sarà un mio compito la settimana prossima, e mi raggiunge all’ingresso della camera stagna. Prima di rientrare, non possiamo fare a meno di scattare ancora qualche foto. Poi mi giro, e lancio un ultimo sguardo alla Terra, sospesa come un gioiello nel velluto nero dello spazio, prima di entrare nell’airlock. In pochi minuti anche Chris è dentro, pronto a chiudere il portello. Finisce tutto in un attimo. Sono passate 6 ore e 7 minuti.

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Wi-Fi sull’Everest con Project Loon Scrivere uno stato su Facebook dalla cima di una montagna, chattare con un amico nel deserto e caricare foto su Twitter in una landa desolata, in futuro sarà possibile grazie alle “mongolfiere“ di Google. Tutti i dispositivi mobili che siamo abituati ad avere, ci fanno pensare ad internet come qualcosa di ormai scontato. In realtà, circa i due terzi della

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popolazione mondiale non ha alcun accesso alla rete e per questo motivo Google ha pensato ad un modo per rivoluzionare questo dato di fatto, con un pazzo ed innovativo programma, il Project Loon. Si tratta di un ambizioso progetto che prevede l’invio nell’atmosfera di palloncini tecnologici gonfiati con elio e dotati di pannelli solari,che dovrebbero fungere da antenne Wi-Fi Google sostiene che la velocità di trasmissione sia pari all’attuale 3G. trasmettendo segnali radio alle antenne terrestri e anche fra di loro. L’idea è quella di rendere internet accessibile a chiunque in qualunque parte del mondo, anche sulla cima di una montagna o in una foresta sperduta. Il funzionamento è abbastanza semplice:

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i palloncini, gonfiati con l’elio, vengono inviati nella stratosfera, a circa 20 Km dalla superficie terrestre, e sono controllati da specifici algoritmi che ne seguono la posizione; questi, però, si lasciano anche trasportare semplicemente dal vento perché sono programmati per seguirne la giusta direzione. I palloncini, inoltre, hanno dei pannelli solari che producono circa 100 watt di potenza; questo permette loro di autoalimentarsi e di accumulare l’energia necessaria per funzionare durante la notte. Ogni palloncino, poi, ha una scatola appesa, che contiene le necessarie apparecchiature elettroniche che


permettono di controllarlo a distanza e che rendono possibile la comunicazione con gli altri palloncini cosicché, una volta che gli stessi iniziano a fluttuare, fanno “rimbalzare” i segnali provenienti dalle antenne terrestri in modo da diffonderli all’interno di un’area, che può coprire circa 40 Km. Google sostiene che la velocità di trasmissione sia più o meno pari all’attuale 3G. I palloncini restano in volo per circa 55 giorni, dopodiché scendono di nuovo a terra per mezzo del loro piccolo paracadute, che si attiva non solo al termine del tempo pre-impostato, ma anche quando si verifica un guasto improvviso. L’area scelta per la sperimentazione è la Nuova Zelanda dove montagne, deserti e foreste rappresentano il contesto ideale per testare e perfezionare la tecnologia. La prima persona al mondo a connettersi a Internet tramite un pallone aerostatico è stata l’imprenditore Charles Nimmo di Leeston. Il nome del progetto racchiude in sé la missione e

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la tecnologia utilizzata: loon, ovvero un progetto “folle” che utilizza i “balloon” per abbattere il digital-divide. Nonostante Google abbia dimostrato che il suo progetto è tecnicamente realizzabile e lo stia già sperimentando, purtroppo esistono problemi che potrebbero ostacolarne la diffusione e riguardano principalmente il fatto che alcuni paesi potrebbero non consentire l’accesso dei palloncini di Google al loro spazio aereo. Ci sono state svariate polemiche a riguardo, sia in rete che non. Navigando in internet si possono trovare articoli di persone che ritengono il Project Loon sistema infattibile, antiquato, costoso e poco gestibile. Non sono


mancati i commenti anche da parte di figure importanti del mondo tecnologico. “Internet non salverà il mondo, per il quale ci sono cose più importanti dafare.“ È il succo delle dichiarazioni di Bill Gates durante un’intervista rilasciata alla CNBC, all’interno della quale il fondatore di Microsoft ha espresso le sue opinioni su iniziative come Internet.org, avviata da Facebook e dal suo boss Mark Zuckerberg per portare la rete dove l’accesso a essa è

“Internet non salverà il mondo” attualmente ostacolato. È più importante portare la connessione a Internet o trovare un vaccino per la malaria? Quello che viene descritto come un irritato Bill Gates non ha dubbi: “Immagino uno che sta morendo di malaria e guardi in cielo per vedere questi palloni, non sono sicuro di come la cosa possa aiutarlo. Quando un ragazzo ha la diarrea, no, non c’è nessun sito web che possa aiutarlo.” 39

Pur apprezzando l’approccio tecnologico alla risoluzione dei problemi, portando come esempio i propri sforzi per sconfiggere poliomielite e malaria, Gates dichiara inoltre di credere che “nella scala dei bisogni umani, i PC non siano in nessuno dei primi cinque gradini”. Nonostante le critiche e l’evidente difficoltà nel concretizzare questa impresa Google va avanti con determinazione studiando giorno per giorno il modo per raggiungere nel miglior modo il suo obiettivo finale. Il team sta portando avanti le sue sperimentazioni di connettività alternativa, sfruttando l’inedito


network del Project Loon che pian piano ha preso forma ed è stato descritto pubblicamente in tutti i suoi aspetti. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo su questi palloni, dotati dello stretto necessario per essere autosufficienti e solcare la stratosfera per circa 100 giorni, questa è infatti la soglia massima prevista prima che la sottile membrana (ne servono ben 500m² per ognuno) si deteriori irreparabilmente. In questo In 100 giorni i palloni saranno in grado di effettuare tre volte. il giro della Terra. lasso di tempo i palloni aerostatici di Google saranno in grado di effettuare il giro della Terra per ben tre volte, una durata apparentemente breve ma superiore a qualsiasi altro simile dispositivo esistente; le temperature estremamente basse ed i raggi ultravioletti di quelle altezze non permettono di andare oltre questo limite. Il Project Loon potrebbe rappresentare un’importante risorsa che permetterebbe l’accesso alla rete sia a tutti coloro che vivono in zone remote, dove difficilmente è possibile far arrivare il segnale con i normali strumenti, sia alle popolazioni colpite da calamità naturali, quando non è possibile ripristinare in tempi brevi le normali forme di comunicazione. Avere dei dispositivi che volteggiano sopra i cieli di tutto il mondo, controllandone (di fatto) le comunicazioni, 40

significherebbe averne il dominio globale e, come tutti sappiamo, la comunicazione e l’informazione sono attualmente le più preziose ed ambite risorse di cui disponiamo.


DAL VINILE A SPOTIFY Un tempo si passavano interi pomeriggi per “registrare” (questa era il termine che veniva utilizzato), i dischi in vinile sulle cassette. Il termine corretto era compact cassette poiché erano già una evoluzione rispetto ai nastri (sempre magnetici), avvolti in bobine. Comunque registrare un disco su una cassetta per un amico (il termine copiare non veniva mai utilizzato), era di per sè un’azione sociale. Si condivideva (anche se con tempistiche bradipesche), la propria musica con gli amici, magari in loro compagnia chiacchierando e magari suonandoci sopra qualche ac cordo. Al tempo pertanto la terminologia non era: “mi copi l’ultimo degli U2” bensì “mi registri l’ultimo degli U2”, con una valenza terminologica pertanto ben differente. Il disco in vinile era un oggetto di culto e, solitamente una volta acquistato veniva registrato su una cassetta.

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Il disco in vinile era un oggetto di culto e, solitamente una volta acquistato veniva registrato su una cassetta. Il concetto era quello di ascoltare il disco dalla musicassetta il più delle volte per usurare il meno possibile il vinile. Infatti il disco in vinile non aveva una vita infinita come il CD o gli mp3 ma si usurava nel tempo con il ripetuto ascolto. Una volta registrato sulla cassetta il disco veniva custodito in una teca insieme a tutti gli altri con una profonda venerazione. Era voluminoso quindi le foto ed i book interni contenevano foto molto grandi e questo era il lato più bello del vinile che ormai si è perso da tempo.


Poi arrivarono i CD Perfetti e che non si distruggevano mai. Potevi ascoltarli milioni di volte e la qualità rimaneva sempre la stessa di quella del primo ascolto! Comunque anche a quei tempi l’ascolto della musica svolgeva, come sempre, un indubbio compito di socializzazione. Poi arrivarono i CD Perfetti e che non si distruggevano mai. Potevi ascoltarli milioni di volte e la qualità rimaneva sempre la stessa di quella del primo ascolto! Una figata per chi come me proveniva dal mondo del vinile. Purtroppo però l’industria discografica ci lucrò sopra, e, se ai tempi un disco in vinile costava 13/14 mila lire lo stesso disco in versione CD ne costava 25. Fu un vero e proprio furto legalizzato ma con questo atteggiamento l’industria discografica si diede una zappa sui piedi. L’industria discografica, come spesso è accaduto, non fu lungimirante non comprendendo che di li a poco (siamo sul finire degli anni ‘80), il CD sarebbe stato facilmente masterizzabile. Per ovviare al pazzesco aumento di prezzo degli album, ora in versione CD, alcuni piccoli commercianti ebbero l’idea di concederli in locazione. Fu un successo, a Roma nel giro di poco tempo nacquero diversi negozi che offrivano l’opportunità di locatare i CD. L’industria discografica però non vide di buon occhio questa idea imprenditoriale venuta dal basso (come si direbbe oggi), e allora di li a poco una legge vietò la 42


locazione dei CD e pertanto tutti i cosiddetti “compattari” chiusero, e con loro anche un’era. Un’era che durò poco, non più di dieci anni ma più che sufficienti per far diventare alla portata di tutti un prodotto molto scomodo per l’industria musicale; venne commercializzato a basso costo il masterizzatore. Ora era possibile copiare (e non più registrare), un CD su un altro CD (vergine), con una qualità audio identica all’originale, a basso costo (un CD vergine costa molto meno di una cassetta), in un tempo molto inferiore alla durata del CD stesso. Arrivati ormai alla soglia della metà degli anni ‘90 la diffusione in larga scala dell’mp3 era ormai alle porte. Anche questa evoluzione venne accolto malissimo dall’industria discografica; del resto l’mp3 permise la duplicazione della musica in modo ancora più rapido ed immediato rispetto alla masterizzazione, inoltre, occupando ogni brano pochi megabyte fu possibile lo scambio anche on-line con i primi software p2p come Napster. L’mp3 permise la duplicazione della musica in modo ancora più rapido ed immediato rispetto alla masterizzazione.

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Non fu più la masterizzazione il problema per le Major, bensì fu lo scambio in rete dei file mp3 a divenire il vero incubo da contrastare. Le Major continuavano a pretendere di vendere i CD a 25/30 euro mentre in Rete si potevano trovare interi album a costo zero, senza dover andare in negozio e con tutta la praticità che l’mp3 aveva rispetto al CD classico. Contrastare la pirateria solo con slogan emozionali (paragonando il download ad un vero e propio furto), senza offrire una alternativa valida all’mp3 piratato affossò per anni l’industria discografica. Ciò che accadeva era semplice e stupido; le Major ti vietavano di scaricare l’mp3 ma l’alternativa di poter acquistare un mp3 originale non c’era.


L’unico modo per acquistare musica originale consisteva nell’acquisto del CD, dal quale poi potevi eventualmente ottenere in mp3 le singole tracce o tutto il CD. E’ chiaro che l’exploit commerciale dei lettori mp3 come gli ipod, non era in linea con l’acquisto del CD e successiva trasformazione in mp3. Qualcosa doveva cambiare. Steve Jobs sudò non poche camicie per poter vendere direttamente gli mp3 tramite iTunes. Ci riuscì e fu la svolta. La possibilità di acquistare i brani direttamente da una piattaforma digitale ad 1 euro ciascuno decretò l’inizio di una flessione in negativo della pirateria. Dopo iTunes, si aggiunsero altre piattaforme dalle quali poter acquistare la musica in formato mp3 legalmente. Con gli smartphone, che oggi colleghiamo sempre meno ai nostri pc si acquistano milioni di brani musicali all’anno. È possibile ascoltare musica online senza pagare nulla.

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L’acquisto legale in Rete, gli ipod ed oggi gli Smartphone hanno in un certo senso decretato la fine della pirateria musicale. Il consumatore sceglieva la strada della pirateria non solo per una questione di costi ma anche di praticità, tanto che oggi essendo più pratica la strada dell’acquisto legale sta abbandonando progressivamente la strada della pirateria. Con l’avvento poi della musica in streaming (come deezer, spotify, grooveshark) il costo per l’ascolto della musica legale è ancora più basso.


Grazie a queste piattaforme è possibile ascoltare la musica online senza pagare nulla grazie alle pubblicità che di tanto in tanto interrompono l’ascolto dei brani. Oppure, pagando un mensile di 5 euro è possibile ascoltare la musica in tutta libertà senza l’apporto della pubblicità. Se invece si è disposti a pagare 10 euro al mese allora è possibile anche ascoltare la musica offline e sui dispositivi mobili quando non connessi alla rete. Quale sia la migliore delle piattaforme sopracitate è difficile dirlo. Ciò che è di indubbio valore di queste nuove piattaforme è il fatto che anche i neo artisti hanno la possibilità di ricevere compensi per i loro lavori e che stanno infliggendo una ulteriore sconfitta al mondo della pirateria musicale. E’ pertanto indubbio anche il fatto che le nuove tecnologie non vanno contrastate, va semplicemente compreso il nuovo valore commerciale/sociale che sono in grado di fornire, altrimenti è una partita persa in partenza.

Se c’è un cambiamento sociale dovuto all’innovazione (quando questa innovazione è ormai alla portata di tutti), nulla può contrastare tale cambiamento, se non una successiva innovazione. 45


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Il calcio d’inizio Kickstarter Mettiamo il caso che io sia un filmaker freelance e che abbia in mente di girare un minidocumentario sicuro del fatto che a moltissime persone questo potrà interessare. Inizialmente l’idea potrebbe suscitare scetticismo soprattuto se posta in questi termini,i numeri parlano chiaro. Nei suoi pochi anni di vita Kickstarter ha raccolto la strabiliante cifra di 894 milioni di dollari da circa 5,3 milioni di finanziatori, diventando la prima

Il fenomeno del crowdfunding sta letteralmento esplodendo con la nascita di numerose piattaforme. piattafoma di crowdfunding al mondo. Il fenomeno del crowdfunding, diretta evoluzione del crowdsourcing, sta letteralmento esplodendo con la nascita di numerose piattaforme dissimili tra loro solo nei particolari. Sgombrato il campo dallo scetticismo vediamo meglio quella che è stata la prima tra le piattaforme di crowdfunding. 47

La prima cosa da dire è che Kickstarter è dedicata principalmente ad artisti, musicisti, giornalisti, insomma a menti creative se proprio dobbiamo definire i possibili ‘consumatori‘ con un’etichetta. Come funziona? Allora, una volta iscritto l’utente potrà creare la pagina dedicata alla propria idea. Attraverso questa pagina di presentazione potrà mostrare il progetto agli utenti della community e cercare di coinvolgerli al fine di ottenere il finanziamento. Una delle caratteristiche di Kickstarter è quella di praticare, per quanto riguarda le donazioni, il sistema del “full or nothing“. Ciò significa che l’utente dovrà decidere la durata della campagna di finanziamento e che


l’importo totale delle singole donazioni ricevute sarà erogato solo se il budget fissato verrà raggiunto. Una sorta di tutela nei confronti dei donatori. QUALCHE CONSIGLIO Il modo in cui si presenta il progetto sulle varie piattaforme di crowdfunding determinerà il successo della campagna di finanziamento o meno.

I social media saranno uno strumento molto efficace per divulgare la campagna. Mettersi nei panni di un potenziale finanziatore può essere un’ottimo inizio per capire come meglio rappresentare le idee. Uno parametri di giudizio fondamentali per un finanziatore o

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Parti con un’idea

donatore è la fiducia. Oltre alla rappresentazione esteriore dell’idea sarà quindi indispensabile riuscire anche a comunicare la passione che la muove. Uno strumento utile è quello di creare un blog dove raccontare il proprio progetto e il team che ha alle spalle. I social media, come facebook e twitter, saranno uno strumento molto efficace per divulgare la campagna oltre i confini della community relativa alla piattaforma di crowdfunding. Attento solo a non

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Caricala su internet

Comincia la raccolta

Come funziona Kickstarter? 48


abusarne, se usati con superficialità potranno avere l’effetto di un boomerang. IL PROGETTO Kickstarter sta dando la possibilità a diversi progetti di mettersi in vetrina e di mostrare al mondo che ci sono enormi possibilità per lo sviluppo di alcuni prodotti, che vanno ben oltre le grandi multinazionali. L’ultimo caso, riguarda un progetto di design industriale che fa restare davvero a bocca aperta, si tratta di Form1, una stampante ad alta risoluzione per oggetti 3D.

Form1 è di fatto una vera e propria stampante ad alta risoluzione, in grado di elaborare e creare oggetti e geometrie complesse.

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Form1 è stata creata dai ragazzi di Formlabs ed è di fatto una vera e propria stampante ad alta risoluzione, molto potente ed in grado di elaborare e creare oggetti e geometrie complesse (con dettagli molto raffinati) attraverso un semplice software. Form1 realizza i suoi oggetti attraverso la tecnica della SL – stereolitografia (a estrusione) che secondo molti professionisti è il nuovo standard per quanto riguarda questo tipo di oggetti, sia per la precisione che per la risoluzione, raggiungendo spessori, dimensioni e caratteristiche che


sembrano decisamente più avanti della stampa con FDM (a fusione). Il processo è abbastanza semplice – un laser viene utilizzato per tracciare sulla superficie di una resina plastica liquida che si indurisce quando esposto ad una certa lunghezza d’onda di luce. Il laser disegna e indurisce uno strato alla volta fino a quando l’intero modello è costruito. È semplice, affidabile e silenzioso. Ma c’è sempre il lato opposto della medaglia, l’SL è tradizionalmente uno dei processi più costosi di stampa 3D.

È semplice, affidabile e silenzioso.

Con laser costosi e ad alta precisione, sopratutto per i componenti ottici. Il form1 sembra però aver trovato il giusto compromesso tra costo dei componenti e qualità. Il prodotto è ancora in fase beta e visti gli investimenti e il successo ricevuto su Kickstarter sembra che presto potremo 50

acquistare tutti questo stampante davvero notevole ed interessante. Negli ultimi tempi, il tema delle stampanti tridimensionali sta diventando decisamente importante, se ne parla sempre di più e sempre attraverso nuovi modelli e nuove idee sempre più evolute. Si fa persino fatica a contare quanti modelli e quanti progetti ruotano intorno alle stampanti 3D ed è ormai chiaro a tutti che ci aspetta un futuro fatto di oggettistica (il piccola e larga scala) stampata direttamente dentro casa. L’industria di massa è avvertita. Il futuro è dietro l’angolo.


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The social network genialità sfrontata «Non sappiamo ancora di che si tratta, non sappiamo cosa sia, non sappiamo cosa può essere, non sappiamo cosa diventerà, sappiamo solo che è fico! E questo è un valore inestimabile a cui non rinuncio». Con queste parole Mark Zuckerberg descrive i primi passi del suo straordinario progetto in The social network. Il film di David Fincher racconta l’incredibile avventura del geniale ideatore di facebook e il suo rapido successo internazionale. Proprio grazie alla sua ostinazione oggi noi possiamo utilizzare un potentissimo strumento di comunicazione digitale, che permette ogni giorno di collegare milioni di persone che vivono a capi diversi del mondo. Il ragazzo che sarebbe diventato il più giovane miliardario della storia creando il social network più usato al mondo, nel 2004 era uno studente di Harvard, brillante, ma con poche doti sociali. La sua storia è la perfetta 52

incarnazione dell’american dream, una brillante scalata della vetta della fama e della ricchezza che si è compiuta nell’arco di una manciata di anni. Tutto ha inizio da una vendetta contro la fidanzata, da cui era appena stato lasciato. In una sola notte Mark programma FaceMash, un software che preleva le foto delle studentesse caricate online dalle università e le mette a disposizione di tutti in rete. L’obiettivo del programma è banale: far votare agli utenti la ragazza più bella, scegliendo tra paragoni successivi. In poche ore il sito riscuote tanto successo da mandare in crash tutti i server dell’istituto e il nome di Zuckerberg è sulla bocca di tutti. L’episodio scatena tanto


clamore da attirare l’attenzione di alcuni studenti, che contattano il ragazzo per proporgli di realizzare la loro idea. Il giovane secchione coglie immediatamente l’occasione e utilizza gli spunti fornitigli per migliorarli e allargarli, dando vita all’odierno facebook. Infatti, incurante delle ripercussioni che questa decisione avrebbe potuto causargli, si mette subito al lavoro, cercando dei finanziamenti per realizzare il suo progetto. Tutto ha inizio da una vendetta contro la fidanzata, da cui era appena stato lasciato. La sua audacia, unita a una buona dose di sfrontatezza, gli permette di ignorare le continue richieste dei suoi committenti e di iniziare, insieme all’amico Eduardo Saverin, a programmare Thefacebook. 53

Il sito avrebbe dovuto unire tutti gli studenti di Harvard, ma diventa tanto popolare che ben presto si espande ad altre importanti sedi universitarie americane. Intanto inizia a comparire sulla scena la figura di Sean Parker, ideatore di Napster, il quale si rivela subito interessato al progetto e aiuta Zuckerberg a trovare nuovi finanziamenti. Da questa collaborazione nasce il vero e proprio facebook, così come lo conosciamo noi oggi. La tenacia di Mark e il suo spirito


d’indipendenza gli permettono di proseguire ed espandere il progetto, fino a raggiungere la fama internazionale. Il ragazzo infatti, nonostante sia molto influenzato da Parker, mantiene sempre il controllo della proprio idea, perseguendo i propri obiettivi, noncurante delle relazioni e delle convenzioni sociali. «Se voi foste gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook». Proprio a causa di questo suo carattere dovrà affrontare diverse cause legali, intentategli dai suoi iniziali committenti e da Saverin, che viene progressivamente escluso dalla società. Ma proprio grazie alla sua ostinazione oggi noi possiamo utilizzare un potentissimo strumento 54

di comunicazione digitale, che permette ogni giorno di collegare milioni di persone che vivono a capi diversi del mondo. Non dobbiamo infatti dimenticare che dietro l’idea si cela sempre la persona, ciò che permette davvero la realizzazione concreta. Se pensiamo infatti che il concetto in sé non sia poi questa grande invenzione, in realtà è proprio come dice Zuckerberg: «Se voi foste gli inventori di Facebook, avreste inventato Facebook».


15 app che dovresti conoscere 1. Evernote food

2. Everest

3. Temple Run

4. Rise Alarm Clock

5. Find. Eat. Drink

6. Mixlr

7. Carrot

8. Last Message

9. Over

10. Vine

13. Directr

14. Stow

15. Myscript Calculator

11. 12. Instructables The Chihuly App

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Sei secondi per condividere Vine è un’applicazione che sta riscuotendo sempre più successo tra i ragazzi per la sua semplicità e immediatezza di utilizzo. Vine è fatto per la creazione e la condivisione di video brevi (6 secondi). A seguire tre storie di giovani che hanno utilizzato Vine.

Michael, un ragazzo di 23 anni, balla la break dance con i suoi amici e ha creato un gruppo: i “Crew”. I Crew si ritrovano a Time Square, dove danno sfoggio delle loro capacità. Non è raro che al loro ballo si uniscano anche altri ragazzi e ragazze che vengono coinvolte dal ritmo. Ormai, sono molto conosciuti nella zona e hanno stretto relazioni con i passanti abitudinari. Ora è arrivato il momento per loro di farsi conoscere anche altrove, ma mantenendo il loro luogo di ritrovo. Quindi hanno deciso di farsi riprendere, durante le loro esibizioni, creando diversi mini filmati con Vine.

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Georgia, una ragazza di 25 anni, ama molto le tecnologie e non si rende conto del vasto uso che ne fa. A quanto dicono i suoi amici, Georgia, da quando si alza a quando va a dormire, è sempre impegnata con qualche strumento tecnologico, poiché sono la sua passione. Allora le hanno posto una sfida: riprendere ogni azione che fa durante il giorno con brevi video, usando Vine, per un giorno. Georgia è stata alla sfida e , a prova effettuata, si è convinta di quello che dicevano i suoi amici. Non per questo ha cambiato le sue abitudini comunque. Georgia è rimasta quella di prima.

Robert, un ragazzo di 30 anni, appassionato di Lego e inventore, ha creato dei prototipi di robot costituiti da Lego in grado di compiere azioni come prendere, alzare, trascinare, lanciare oggetti, oltre che sapersi muovere e spostare. Tutti i suoi robot si chiamano Jim, ma adesso Robert ha voluto sorprendere i suoi follower. Il nuovo Jim è in grado di fare i conti muovendo le dita e di rispondere a domande semplici. Ad esempio: Come ti chiami? Quanto sei alto? Quanto pesi?; ma anche : Come stai? Cosa hai fatto prima? Cosa ti piace? Robert è entusiasta di come sta andando con la creazione del nuovo Jim e ha deciso di riprendere con Vine i progressi compiuti giorno per giorno.

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Redazione Matilde Angelini Nicolas Attolico Andrea Benedetti Alessia Bissolotti Monica Bocelli Valentina Borin Arianna Bozzoni Distributore Project Meta 07 Politecnico Via Giovanni Durando, 38 20158 Milano Telefono 02 239 9596 Facebook www.facebook.com/Pulse Twitter Pulse Magazine @Pulse_Magazine Sito Internet www.pulsemagazine.com

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