"IL MIKWEH DI DONGIO"

Page 1

Ach Ma'ajan U'bor Mikwe Majim jihjeh tahor "Solo una sorgente o un pozzo, essendo raccolta d’acqua, sarà pura“ [3. Mosè: Levitico: 11,36]

Gianni Mazzucchelli

Il Mikweh di Dongio Pietra e Storia Via Lucomagno CH - 6715 Dongio Prima edizione, 2006


Pianta e sezione (Architetto Piergiorgio Terzi, Biasca)

Il Mikweh di Dongio era il bagno rituale ebraico e coloro che vi spalavano neve e ghiaccio, per ottenere l’acqua “conforme” alle regole, erano ebrei ! Avas

2


INDICE

Pagina

Mikwa > Mikweh, Ma 'jan, l'acqua piovana e la neve sciolta La ghiacciaia di Dongio è un Mikweh Costruzioni rotonde Il Mikweh Perché la storia della ghiacciaia di Dongio non è vera L’avas nel Mikweh di Dongio I cibi “conservati” nelle giazzére e nelle nevère si deteriorano La bibliografia più antica: La Torah Il capitolo sette del Séder Tohorot e la neve sciolta Casserio, costruzione rotonda Intermezzo linguistico, da Nevéh a Nevèra Costruzioni “rotonde”: nevère, bagni rituali, Mikweh, battisteri 400 Mikwéh o Ritualbäder in Germania In Valle di Muggio: 70 costruzioni rotonde, nevère Nivère a Milano, a Bologna, a Catanzaro e a Siracusa Mikweh tedesche, inglesi e spagnole Il Mikweh proibito Il culto proibito dell’acqua I pagani e l’acqua I templi nascosti Il Mikweh (Mikweh) di Londra Nevère, nivère e ghiacciaie dappertutto? Prospetticità “normata”? Estensione paniberica e panitaliana Il riempimento con la neve Ghiacciaia o nevèra: Testimonianze fragili A Girifalco in Calabria Vasca e fonte in cantina Due giazzére e la fiòca Gli spagnoli si ...disperano ... ma anche i Bleniesi In Spagna, la nevèra è il frigorifero La nevèra naturale, Elurzuloak, Elurzulos Nevèra a Malvaglia Nevère naturali sul Monte Cervati Giovane nevèra senza “falsa volta” Associazione o deduzione La nevèra/nebera spagnola, betacismo Linguistica rinfrescante Nieró, nido o fossa Nevéh, oasi Nevèra equatoriale Da Neveh a Nevèra e Nebera: Caso di assonanza? Conclusione e supplica: Siamo d’accordo? Supplica Battisteri nati da Mikweh Due Mikweh a Airolo Il battesimo a immersione Il fonte battesimale di Riva San Vitale e le vasche sovrapposte La “pardonanza” Gli Ebrei dell’Impero Romano Nivera toscana Il Mikweh di Worms Il bagno rituale all’aperto di Cimalmotto Il Mikweh di Biasca Altre costruzioni rotonde: Crot e Scélé Crot e Schélé grigionesi Bibliografia

3

4 5 6 7 8 8 9 11 12 13 13 13 14 14 14 15 15 15 15 15 16 17 17 17 17 17 18 18 18 18 19 19 19 19 19 19 20 20 20 21 21 21 21 22 22 22 23 23 24 25 31 32 34 35 37 39 40 41


Mikwa > Mikweh In questo testo appare il termine Mikweh (lettere ebraiche: Mem-Kaf-Waw-He) nella forma consona alla lettura in lingua ebraica: Mikwée. Il termine ebraico "Mikwa" significa letteralmente "fossato", "pozzanghera" ma anche "convogliamento idrico". La lingua corrente usa "Mikwa", come per esempio in Jesaja 22, 11 u-mikwa asitem - Tu hai fatto un fossato, (un fossato di difesa davanti alle mura della città). La letteratura rabbinica usa il termine "Mikwa" solo nel senso religioso. Ma'jan Nella Tora vengono elencati due tipi di acque naturali. Uno è "sorgente viva" ma 'jan e il pozzo be'er. Ciò significa che l'acqua esce dalla terra sottoforma di sorgente, mare o un lago e talvolta come fiume. Il secondo tipo è il fosso o una conca colma di acqua piovana detto mikwa. L'ultimo rappresenta il tipo più usato oggigiorno: il Mikweh. Mikwa > Mikweh Anticamente si eseguiva il bagno rituale con immersione completa nell'acqua di un fiume e preferibilmente in una sorgente (ma 'jan), ma anche nel fossato colmo di acqua piovana (mikwa). La mikwa era normalmente una conca scavata nel terreno e resa impermeabile tramite uno strato di calce (bor sid sche'eno me'abed tipa). L'acqua naturale piovana veniva condotta attraverso un tubo nel quale però essa non doveva accumularsi o stagnare, così da non risultare keli (recipiente). L'acqua non riscaldata si conservava più a lungo. Un Mikwe doveva contenere una quantità prescritta di acqua piovana che doveva raccogliersi nel fossato per vie naturali e non poteva essere immessa usando recipienti maneggiati da persona (te fisat jede adam). L'acqua di un Mikwe doveva risultare "ferma" e non corrente (sochalin), inoltre non doveva contenere altro tipo di acqua. La vasca nel terreno Le comunità ebraiche non potevano sempre costruire un bagno rituale in riva a un fiume, anche perché questo edificio doveva restare obbligatoriamente all'interno del ghetto. Normalmente si scavava un pozzo sotto un edificio la cui entrata conduceva a una scaletta che permetteva di raggiungere il livello variabile dell'acqua raccoltasi per infiltrazione. La vasca per il bagno rituale doveva avere contatto con il terreno e era rivestita di lastre di pietra. La neve sciolta produce acqua kascher (adatta) La sorgente di un fiume rappresenta un convogliamento d'acqua ed è così "din ma'jan" (Legge delle sorgenti) e di conseguenza kascher (adatta al rito), anche se l'acqua in questo caso scorre. Dopo la stagione invernale la quantità d'acqua prodotta dallo scioglimento delle nevi è ritenuta pari all'acqua piovana e adatta allo scopo.

Testo tratto da: Georg Heuberger: MIKWE, Geschichte und Architektur jüdischer Ritualbäder in Deutschland. Eine Ausstellung des Jüdischen Museums der Stadt Frankfurt am Main. 10. September - 15. November 1992.

4


“...in terra di crotti, che bisogno può esserci di una nevèra?”

La ghiacciaia o nevèra di Dongio è un Mikweh ! Pietra e Storia, minuscola associazione svizzera, ribattezza la “ghiacciaia” di Dongio con il suo vero nome: “Mikweh”, termine ebraico per bagno rituale. Nel mare dell'etimologia, dell'onomastica e della toponomastica affiorano innumerevoli testimonianze in merito. Il fatto che la tradizione popolare e la letteratura riguardante usi e costumi ritengano “tutte” le costruzioni rotonde, rettangolari o esagonali sparse sui territori alpini e vallerani dall’alto Ticino fino alla Sicilia nevère e ghiacciaie, Eiskeller e Eisgrotten, distoglie dalla ricerca della vera natura di questi edifici le cui origini non vennero fino ad oggi debitamente accertate. Le poche testimonianze che ammettono l’uso a ghiacciaia o a nevèra (nevièra) sono troppo recenti. Il “sentito dire” prevale e l’uso degli edifici come frigoriferi non combacia con il fabbisogno effettivo. ---o--Costatando che l’edificio rotondo di Dongio -

possiede molte caratteristiche architettoniche e funzionali di un Mikweh originale, è provvisto di atrio-spogliatoio, di fontanella (avas) e di vasca d’immersione, possiede un’intonacatura della parete interna che rende il bagno impermeabile, non venne costruito, secondo un certo documento, nel 1874, venne usato dal 1919 al 1936 dal macellaio di Dongio che però si limitava all’uso del solo vano superiore, dato che la conservazione di carne fresca e di insaccati non poteva avvenire nel vano interrato a causa dell’eccessiva umidità, possiede una soletta intermedia in cemento armato che non fa parte dell’edificio originale,

definiamo - l’edificio rotondo di Dongio: Mikweh, bagno rituale ebraico e auspichiamo che -

le descrizioni del “monumento” affisse all’esterno dell’edificio vengano rivedute e corrette, cioé sostituite.

---o---

5

e

all’interno


Costruzioni “rotonde” La costruzione “rotonda” di Dongio Una costruzione rotonda, alla quale si appoggia un locale a sezione quadrata, invita a saperne di più. L’apertura circolare monofora o a rosone, unica “finestra” dell’edificio, attira l’attenzione del passante. La porta dell’edificio conduce in un atrio acciottolato che prende la luce dal rosone. Un’apertura rettangolare, di ca. 20 x 40 centimetri, nel muro a monte, rammenta lo sbocco d’acqua sorgiva prosciugatosi, detto dagli indigeni “avas”. A destra si entra sulla soletta intermedia circolare in calcestruzzo che divide il vano superiore dal pozzo di ca 4 metri di profondità e dello stesso diametro. Un’illuminazione elettrica permette di vedere, attraverso la grata che copre la botola praticata nella soletta, le pareti intonacate del pozzo stesso e la “vasca”, murata con lastre di gneis, nel fondo del pozzo. Il vano superiore è sormontato da una cupola costruita con frammenti di gneis e calce. Qui e là tralicci in tubo di metallo e “rampini” incementati che degradano l’architettura interna, così come il getto di diversi impasti di calce e cemento imbrattano la bella costruzione originale in sasso locale. L’origine del “monumento” Sul cartello informativo affisso nell’atrio leggo che “...nelle valli del Ticino questi singolari manufatti sono chiamati ‘giazzéra’, mentre nel Sottoceneri si usa principalmente il termine ‘nevèra’ o ‘neviera’. Entrambi i termini definiscono comunque la stessa tipologia di edifici destinati alla conservazione di derrate alimentari”. Riassumo: L’origine del “monumento” viene datata nel 1874, anno nel quale “...Domenico Andreazzi, Commissario di Governo, ha ceduto alla costituita società per il macello il terreno su cui è poi sorta la ghiacciaia”. L’aggiunta di una soletta in cemento armato, effettuata probabilmente nel 1919, permise l’uso del locale sovrastante al pozzo fino al 1936. Tutta la costruzione permette anche a chi di architettura non se ne intende molto, di intravvedere una costruzione antichissima e di sicuro anteriore all’anno 1874. La “ghiacciaia” di Dongio è un Mikweh antichissimo Tutti i dettagli architettonici della costruzione cilindrica di Dongio, tranne l’igniominiosa soletta in calcestruzzo, lasciano identificare nella ghiacciaia o nevèra un Mikweh, bagno di purificazione ebraico. Infatti, in terra di crotti, che bisogno può esserci di una nevèra?. Grandi Battisteri e piccole nevère Costruzioni simili sono presenti dalle Alpi alla Sicilia. Gli edifici architettonicamente più importanti vengono oggi denominati “antichi battisteri”, quelli modesti, nevère o ghiacciaie e si insiste a spacciarli per depositi transitori di formaggi e salumerie varie. L’alto grado di umidità e l’assenza di ventilazione all’interno di questi locali, rendeva impossibile la conservazione di derrate alimentari come quelle citate.

6


Mikweh Costruzione importante: il Mikweh Ogni comunità ebraica possedeva e possiede un Mikweh, il bagno di purificazione. L’importanza di un Mikweh viene sottolineata da Rabbi Aryeh Kaplan [2002]: “...una congregazione la quale non abbia un Mikweh, non ha neppure lo status di comunità, che è infatti la prima installazione religiosa a essere costruita in una nuova comunità e in casi urgenti è permesso vendere una sinagoga per erigere un Mikweh”. Le regole ebraiche definiscono la validità di un bagno rituale in modo ben preciso. Le dimensioni “devono” permettere l’immersione totale del corpo umano. Regole precise definiscono la quantità minima (40 se’ha = 750 litri) e la provenienza dell’acqua che deve essere "pura", “viva”, ossia di sorgente, piovana o da scioglimento di neve o ghiaccio. L’acqua deve entrare nel bagno senza essere stata conservata al di fuori d’esso e senza l’uso di oggetti mediatori. L’acqua “migliore” è l’acqua sorgiva “mayim hayyim” (ebr. majm = acqua). La presenza di sola acqua d’infiltrazione “mayim she’uvim” (acqua ferma, ingl. drawn water = acqua che necessita una decisione), viene “purificata” con l’aggiunta di acqua pura (kasher). L’acqua piovana raccolta dal tetto scendeva direttamente nel bagno sottostante, a tale scopo la costruzione del tetto e l’ordine delle tegole o “piode” era particolarmente curata. Seguiamo la descrizione precisa dataci da Angela Scandaliato e Nuccio Mulè [2002] a pagina 114 del loro libro: “Il Mikweh, o raccolta d’acqua, deve essere costruito nel terreno o costituire parte integrante di esso, non può essere un recipiente mobile, né può contenere acqua trasportata ma solo acqua che fluisce da una sorgente e si raccoglie o acqua di fiume che è a sua volta alimentato da una sorgente, o acqua piovana che deve raccogliersi naturalmente senza attraversare tubi di metallo o altro materiale come creta o legno che potrebbe rendere l’acqua impura, tranne che la conduttura non sia da considerare parte integrante del terreno”. Le caratteristiche del Mikweh L’edificio, generalmente di forma cilindrica, quadrangolare o esagonale, con tetto a semicupola o a cupola falsa, era solitamente situato all’infuori del centro abitato. Nella maggior parte dei casi si accede al bagno attraverso un atrio d’entrata che comunica con il pozzo profondo diversi metri. Due terzi della costruzione sono interrati, non per rispetto alla regolamentazione religiosa, ma per risolvere nel migliore dei modi sia i problemi di statica che per raccogliere l'acqua d'infiltrazione del sottosuolo. La pressione esercitata dalla massa idrica viene assorbita dalle pareti che a loro volta trasmettono la pressione al terreno circostante, così come nelle costruzioni delle piscine moderne. L'assenza di finestre non permetteva lo sviluppo di alghe. Nasce in tal modo la costruzione interrata per due terzi, tipica di tutti i Mikweh e, guarda caso, di tutte le ....nevère ! Il Mikweh più importante nella storia ebraica è quella della cittadella di Masada (ebr. Mezada = fortezza) situata all’altezza di 450 metri sopra il Mar Morto e testimone di un grande dramma da tutti conosciuto, avvenuto durante la guerra giudaica contro Roma (66 – 70 d.C.). Dan Cohn Sherbock [Ebraismo]: “Dopo la caduta di Gerusalemme, Masada fu occupata dagli Zeloti, che opposero una strenua resistenza all’assedio dei romani. Nel 73 d.C. i circa mille combattenti si suicidarono tutti con le loro famiglie per non cadere nelle mani dei romani. Scavi compiuti a partire dal 1963 da Yigael Yadin hanno portato alla luce reperti archeologici di grande importanza, tra l’altro un Mikweh”.

7


Perché la storia della ghiacciaia di Dongio non è vera L’interpretazione vigente che vorrebbe vedere il macellaio di Dongio appendere salumi e carni nella nevèra ai tralicci metallici ancora presenti all’interno dell’edificio, comprova che quel macellaio non usava il fondo del Mikweh per non incorrere nei gravi problemi descritti nel capitolo seguente. I cosiddetti “documenti” che vorrebbero datare la costruzione della ghiacciaia-nevèra di Dongio nell’anno 1874 descrivono unicamente la cessione di un terreno “...al piede del monte Tarco per costruire una ghiacciaia per la costituita società pel macello” (vedi riproduzione sottostante). Siamo di fronte a una testimonianza fasulla. Don Ermanno Medici [1948] scrive che il monte Tarco, Alpe Tarch o Tarco venne ceduto poco prima del 1948 al comune di Leontica dal comune di Corzoneso. Monte o alpe situato geograficamente dirimpetto a Dongio, alla parte opposta della Valle di Blenio, sul territorio di Leontica, mentre la zona “al piede del monte Tarco” è chiaramente territorio di Corzoneso e non di Dongio. Il documento viene chiamato “pergamena”, mentre si tratta di un quaderno di appunti, paragonabile a un diario personale.

“Ceduto terreno per fare la ghiacciaia a piede del Tarco alla costituita società pel macello”. Mariella Becchio lesse finalmente “Tarco” (vedi ingrandimento) che risolse il problema creato dalle precedenti interpretazioni: Muro, Mauro e Tauro, toponimi inesistenti nella zona. L’ulteriore possibile interpretazione “Ronco” non contribuisce però alla credibile datazione dell’edificio. L’oste di Ghiffa (Italia) e la ghiacciaia Ghiffa, cittadina situata sul lato sinistro del Lago Maggiore, vanta un Sacro Monte sul quale sorgono diversi edifici sacri. Uno di questi, la cappella di San Giovanni Battista, presenta nel suo interno una vasca, originariamente scavata nella roccia e oggi dipinta di blu, nella quale sono collocate due statue: Gesù Cristo e San Giovanni Battista, a ricordo del battesimo di Gesù nel Giordano. La scena è visibile dalle finestrelle dotate di inferriate, attraverso le quali i visitatori gettano monetine. Leggo nel libro “Il Sacro Monte di Ghiffa” [2000]: “La costruzione della fontana oggi esistente, ora alimentata dall'acquedotto comunale, risale al marzo 1894. Con la nuova fontana non serve più l'antica cisterna (!) posta alla base della cappella di S. Giovanni per cui Giuseppe Minocci presenta domanda al Consiglio Comunale affinché gli sia concesso di adattare la cavità ad uso ghiacciaia sino alla scadenza del contratto dell'osteria”. L’ à v a s nel Mikweh di Dongio Nella parete a monte dell’atrio del Mikweh di Dongio troviamo un’apertura quadrangolare chiamata “avas”. Apertura che era certamente lo sfocio di un piccolo corso d’acqua e non serviva, come descritto sul cartellone informativo, a “raffreddare l’atrio con l’aria fredda che esce dalla montagna”. Lo stesso cartello dice che si tratta di una “fessura nella roccia”, mentre in verità è un canale artificiale che si addentra nel dorso del monte retrostante. L’etimologia di “Avas” è trattata ampiamente nel 8


Vocabolario dei dialetti della Svizzera Italiana che nasce dall’accadico “asu, wasu, agu”, acqua sgorgante e “aua” acqua (Semerano Giovanni [2002]). L’Avas portava l’acqua sorgiva “pura” nel pozzo e serviva, nell’atrio definito “dispensa”, al lavaggio rituale dei piedi e delle mani. Anche il toponimo nelle vicinanze di Malvaglia che denomina un ponte d’epoca romana “Lau” o “Laü” riflette l’antico nome dato all’acqua e ci ricollega al fiume chiamato “Gisviler Laui” che nel luglio del 1629 seppellì sotto 40 metri di detriti il villaggio di Alt-Giswil (OW). Anche i termini tedeschi “Au” , “Aue” e “Auenwald” riflettono la presenza dell’acqua in diversi tipi di terreni. L’atrio „dispensa“ di Dongio, spogliatoio con fontanella Nella descrizione dell’architettura tipica di una sinagoga Maria Luisa Moscati Benigni [testo Internet] descrive che nell’ingresso delle sinagoghe delle Marche “... è sempre sistemata una fontanella per la purificazione delle mani, prima che queste vengano a contatto con un testo sacro durante la lettura delle preghiere. Un pozzo, sempre presente nello scantinato dell’edificio, fornisce l’acqua che alimenta la fontana e il Mikweh (bagno rituale)”. Il locale quadrangolare “annesso” alla costruzione cilindrica di Dongio viene definito gratuitamente “dispensa”. Seguendo le descrizioni forniteci e che vedono il macellaio nella sua funzione, dovrebbe chiamarsi “locale di vendita”. La presenza dell’”avas”, dell’orificio cioé dal quale sgorgava l’acqua dal dorso del monte, lascia individuare in questo locale il vano addetto a spogliatoio provvisto di fontanella per il lavaggio rituale delle mani e dei piedi che precedeva obbligatoriamente l’immersione nell’acqua del Mikweh. In un testo di Cecilia Maria Paolucci [2003] leggo che “...il battistero può essere costituito da uno o vari ambienti strettamente collegati. Nelle basiliche più eminenti, sono due o tre gli ambienti che circondano o dipendono dal battistero. Non sempre è chiara la funzione di questi luoghi e anche per questi vengono fatte supposizioni e ipotesi da accogliere spesso con riserva. Il Lamerle, ritiene ad esempio che i locali attigui al battistero furono ambienti di servizio atti ad ogni uso e senza una funzione particolare. Questo però, come sostiene Crema, contrasta con la rigorosa funzionalità da sempre contrassegno dell'architettura cristiana. Solitamente si ritiene che il gli edifici battisteriali siano due: la sala con piscina; una camera attigua, posta ad occidente, in cui il vescovo avrebbe amministrato la Cresima, ovvero il consignatorum. Questa tipologia è riscontrabile, ad esempio, a Coo (Lombardia) nella basilica di S. Paolo. Prova decisiva, sarebbe la presenza dell'abside, che farebbe supporre l'esistenza della cattedra e conseguentemente del vescovo per il rito della cresima. Questo elemento, d'altronde, non è raro, anzi si trova generalmente nel battistero dove si dovevano amministrare entrambi i sacramenti, come si rileva in un altro battistero di Coo, quello di S. Giovanni”. Perché i cibi “conservati” nelle giazzére e nelle nevère si deteriorano Le descrizioni riguardanti l’uso delle nevere sono molteplici. Situate nelle zone montane, sopra i 1000 metri d’altezza servivano, secondo le descrizioni, alla conservazione del latte per la produzione del formaggio. Sappiamo però che in montagna il formaggio viene fatto con latte fresco, non nel senso della sua temperatura, bensì fresco di mungitura. Anche il fascicolo del Museo etnografico Valle di Muggio [1999] unisce l’uso delle costruzioni dette nevère alla produzione di latticini. La presenza di ben 70 nevère nel territorio del bacino della Breggia lascia dedurre una produzione di latticini inverosimile per i tempi andati.

9


E’ anche noto che formaggio e salumi non ammettono la conservazione in luogo umido e che i “crotti” o “grotti” e le “canve” sfruttavano le correnti naturali di aria fresca (“sprügh” e “fiadarö”) fuoriuscenti dai dorsi di montagna dai quali essi venivano ricavati. La mancanza di sfiatatoio naturale veniva rimediata praticando finestrelle al lato opposto all'entrata della cantina. Eccessiva umidità Le cosiddette “nevère” presentano temperature medie dai 6 ai 12 gradi centigradi. La differenza tra le temperature estive esterne di ca. 28 gradi e quelle interne delle nevère è sicuramente maggiore ai 20 gradi. Ciò significa che all’interno del pozzo, privo di adeguata aereazione, avviene una considerevole condensazione di vapore acqueo che metteva in pericolo la conservazione di qualsiasi genere alimentare, escluse le provviste inscatolate e imbottigliate ermeticamente. Misurazioni effettuate personalmente all'interno di un canvetto valmaggese sprovvisto di sfiatatoio davano, nel mese di agosto, una temperatura costante di 12 gradi centigradi e un’umidità relativa pari al 100%. La sonda di misurazione era sempre bagnata e gocciolante. La condensazione del vapore acqueo avviene nel momento in cui l'aria calda e satura di vapore acqueo incontra una superficie la cui temperatura è di 10 °C inferiore (ted. Taupunkt, punto di condensazione). Sempre nel fascicolo del Museo etnografico Valle di Muggio [1999] trovo a pagina 19 la curva che descrive la temperatura all’esterno della nevèra di Ermogna nel mese di luglio (da 22 °C a 9 °C) e quella interna che non supera i 10 °C. Purtroppo manca l’andamento dell’umidità relativa che dovrebbe risultare molto alta, in mancanza di corrente d’aria. Le “nevere” costruite in pianura, come quelle di Milano, Londra, Dongio e Malvaglia non possiedono sfiatatoi e presentano sicuramente un alto grado di umidità. Ora è evidentissimo che 1. Gli ebrei riempivano il Mikweh, naturalmente in inverno, con una certa quantità di neve che produceva l’acqua “pura” idonea alle regole per il bagno rituale. L’intonacatura delle pareti interne del Mikweh di Dongio garantisce l’impermeabilità del bagno. 2.

E’ chiaro che sul Monte Generoso i Mikweh sono numerosi, data la scarsità d’acqua regnante in quei paraggi. Il riempimento con la neve era indispensabile.

3.

E’ chiaro che durante e dopo i periodi di persecuzione (dal XIII al XVI secolo) l’uso del bagno e del termine Mikweh poteva costare la vita.

4.

E’ chiaro che con l’andar degli anni la gente si rammentò che un tempo “si metteva la neve” negli edifici rotondi che vennero poi chiamate nevère o ghiacciaie, anche se il loro uso non corrisponde per niente a ciò che molti asseriscono.

5.

Nel Mikweh di Dongio sono presenti gli elementi tipici e necessari ad un bagno rituale: Vestibolo, sorgente (l’avas oggi purtroppo asciutta), la cupola, costruita in modo da impedire l’insudiciamento dell’acqua sottostante con terriccio o residui provenienti dall’esterno. La vaschetta per il lavaggio dei piedi poteva essere sistemata direttamente sotto l’avas o sbocco d’acqua sorgiva. Anche l’intonacatura dell’interno dimostra l’intento di rendere impermeabile la parete circolare, infine la vasca praticata nel pavimento, testimone indiscutibile. 10


Ecco i documenti la cui bibliografia conduce a uno degli scritti più antichi del mondo: La Torah, o Sacra Bibbia !

Leggete!

tahor pura

........

mayim acqua

Mikweh raccolta

o bor majan pozzo o sorgente cisterna

Sopra (lettura da destra a sinistra <): Testo originale del Pentateuco in uso nella religione ebraica. Sotto: Estratto dalle Sacre Scritture e Bibbie in uso nelle diverse religioni.

“Doch eine Quelle oder eine Grube, in der sich Wasser angesammelt hat, bleibt rein...” (Pentateuch) 3. Moses: 11,36 „Quellen jedoch und Zisternen, in denen sich Wasser sammelt, bleiben rein…“ (Zwingli-Bibel) 3. Buch Moses, Leviticus: 11,36 „Però, una sorgente o un pozzo, essendo riserve d’acqua, saranno pure...“ (Bibbia, ed. Paoline) Levitico: 11,36 Con todo, la fuente y la cisterna donde se recogen aguas serán limpias; Levìtico 11,36

Raccolta di acque, dal mare al Mikweh I tre giorni e le tre notti in cui Giona rimane negli abissi, richiamano alla nostra mente la triplice immersione che si fa nel Miqwe',il bagno rituale.Per tre volte infatti nella Torahh e' ripetuta la parola miqwe (Genesi,1;10-Esodo,7;19 e Levitico,11;36). L'immersione nel Mikweh che si fa con tutto il corpo, si compie in tutte quelle situazioni in cui avviene un passaggio di fase: dopo il ciclo mestruale, Nidda'h, nella conversione all'ebraismo, Ghiur, e nel processo di ritorno all'ebraismo.

11


Alle citazioni contenute nell’antichissimo scritto della Torah e alle sue traduzioni in lingua tedesca per la religione protestante e in italiano e spagnolo per quella cattolica, aggiungo i commenti e le interpretazioni seguenti: L’introduzione al Séder Tohorot [cfr. Bibliografia: MISCHNAJOT] (Séder, libro – Tohorot, purità) elenca i 10 capitoli concernenti i Miqwaot (Bagni rituali). "Miqwaot è il plurale di Mikweh, bagno rituale. Ecco il testo originale in uso nella Comunità ebraica italiana: Il capitolo uno classifica i bagni rituali; il minimo indispensabile è una pozza che contenga almeno 40 se'ah (750 litri) d'acqua, ma i migliori sono le fonti di mayim chayim = "acqua di sorgente" - ed in mezzo ci sono varie gradazioni intermedie. Il capitolo due tratta dell'"impurità dubbia" (ovvero del caso in cui uno tema di essersi immerso in modo sbagliato oppure di averlo fatto in uno specchio d'acqua "non a norma"), e poi parla del problema dell'"acqua attinta" ( mayim she'uvim ) con secchi od altri recipienti. Infatti l'"acqua attinta" non può essere usata da sola per purificarsi; ma se nel bagno rituale ci sono già 40 se'ah di acqua di sorgente o meteorica, si può aggiungerle tutta l'"acqua attinta" che serve senza problemi. I capitoli tre e quattro continuano a parlare dell'"acqua attinta", per esempio spiegando come si possa rimettere in funzione un miqveh contaminato da "acqua attinta", o come si possa canalizzare l'acqua piovana senza che ristagni in un recipiente divenendo perciò "acqua attinta". Il capitolo cinque tratta soprattutto della possibilità di usare corsi d'acqua naturale (fonti, fiumi, mari) come "bagni rituali". Il capitolo sei parla della possibilità di collegare una vena d'acqua ad un bagno rituale, oppure di fare in modo che l'acqua di un bagno rituale "tocchi" quella di un altro. Si tratta di espedienti utili per chi i bagni rituali li costruisce, e quindi il capitolo è importante. Il capitolo sette discute del requisito minimo di 40 se'ah (40 x 13 litri) d'acqua, e se l'acqua ottenuta sciogliendo la neve od il ghiaccio è adatta allo scopo. Il capitolo otto inizia discutendo le differenze halakhiche tra i bagni rituali della Terra d'Israele e quelli della Diaspora, e continua accennando all'emissione seminale ed alla mestruazione (che provocano impurità rituali da cui occorre mondarsi appunto col bagno rituale). Il capitolo nove parla della chatzitzah , ovvero di ciò che impedisce all'acqua di toccare l'intera pelle di chi si immerge nel bagno rituale, e perciò rende nulla l'immersione. Questo significa che ci si deve lavare scrupolosamente prima di compiere l'immersione rituale. Il capitolo dieci parla degli utensili e degli altri oggetti che vanno purificati con l'immersione rituale.

12


Costruzioni rotonde: Mikweh? A Casserio Anche a Cassério, frazione di Corzòneso, c’è una “Casa rotonda”. “L’edificio atipico nel suo genere, ha una pianta circolare del diametro esterno di 8.50 ml., risalente verso gli ultimi anni del 1700 (?), ed è strutturato su tre piani con murature in massiccio intonacate, impalcatura in legno, copertura in piode. Dal 10 maggio 2003 questo edificio è messo a disposizione della Fondazione da parte del comune di Corzoneso quale sede dell’archivio, con lo scopo di gestire, conservare e far conoscere “l’eredità” di Roberto Donetta. In origine fu costruita per accogliere la scuola dei ragazzi di Casserio. Giuseppe Donetti, Canonico della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, originario di Corzoneso, nel suo testamento del 30 ottobre 1818 fondò un Legato per dare ai ragazzi di Casserio una scuola”. Rileggendo le misure dello stabile ci si felicita che esso non fosse adibito al riempimento con la neve...! Anche in questo testo, tratto dal sito Internet di Casserio, noto la scarsità dei dati storici e archeologici. Insomma non si capisce quando e per quale scopo venne costruito questo edificio che, tra l’altro, ha molte somiglianze con alcune sinagoghe provenzali. Intermezzo linguistico: Hatzer > hasser > casser > Casserio. “Hatzer " termine ebraico per: cortile, luogo chiuso, ridotto degli ebrei, serraglio, hasser, pronunciato in lingua ebraica “asser” senza “h” aspirata, italianizzato in Casser, così come il termine in lingua tedesca “haus” (casa) viene pronunciato da chi non sa usare la “h” aspirata, “chasa”. Hasser, termine di derivazione yddisch, provenzale, spagnola. Termine che precede la definizione tristemente famosa di “ghetto”, di fama nefasta nella persecuzione degli ebrei e in special modo nel periodo nazista. L'etimologia collega il termine con l'attività della fusione ("getus" dal latino "iactus") del ferro nei “getti” di Venezia. Gli ebrei askenaziti, provetti fonditori provenienti dalla Germania, pronunciavano il termine italiano “getto” : “ghetto”. Un vocabolario inglese cita: Ghetto by the term "hasser", derived from the Hebrew “hatzer”, "courtyard," (ted. Hofraum, ital. cortile) which suggests an intimate and a familiar space. Il "getto" è anche la "gettata" di pietre e calce che forma il "molo", elemento molto presente a Venezia, dove il "ghetto" esiste ancor oggi nella toponimia della città lacustre. Anna Foa [1999] descrive come già nel XVI secolo David Reubeni [XVI sec.], descrivendo un suo soggiorno a Venezia nel 1523, doveva spiegare il significato di ghetto ai lettori ebrei che conoscevano solo il termine "hasser". Un'altra strada etimologica conduce al termine ebraico "ghet" che significa "divorzio" e libello di divorzio o divisione dei beni o espulsione. Termine legale che vede "ghetto" sinonimo per esclusione, luogo cioé di "reclusione" e di separazione definitiva dalle comunità cristiane. Anche il Dizionario UTET [1990] cita il toponimo Cassaro, piccolo paese a sud-est di Vizzini, derivato dal termine arabo “gasr”, rocca, castello, radice etimologica ritrovabile nel toponimo spagnolo Alcasar. Giovan Battista Pellegrini [1972] descrive “qasr” termine arabo per castello e che il toponimo Cassero indica la cerchia e indirettamente il recinto abitato dagli ebrei. Costruzioni “rotonde”: nevère, bagni rituali, Mikweh, battisteri A Morimondo (Italia), dietro all'antichissima abbazia del 1134 dei monaci cistercensi, c'è una “torretta” chiamata “nevèra” dalle dimensioni enormi (più di 10 metri di diametro). Anche la “nevèra” nelle vicinanze di Moltrasio (Italia) è una costruzione “rotonda” e per due terzi interrata.

13


I cosiddetti “battisteri” presentano caratteristiche architettoniche simili se non uguali alla costruzione “rotonda” di Casserio. Innumerevoli esempi di battisteri possiedono una vasca di grandi dimensioni, nella quale avveniva l’immersione totale del fedele. Molti di questi battisteri erano edifici doppi, così che i fedeli di sesso maschile e femminile ne facessero uso separato. Il battesimo ad immersione completa era in vigore nei riti cattolici fino al X secolo e viene oggi ancora praticato da diversi gruppi cristiani. Per tornare dalle nostre parti, in un documento del patriziato di Olivone del 13 ottobre 1231, si parla delle vasche della chiesa di San Martino, vasche distinte per gli uomini e per le donne, vasche d’immersione. 400 Mikwéh o Ritualbäder in Germania E' importante constatare che in Germania, le 400 costruzioni, che da noi verrebbero definite nevère o ghiacciaie, sono chiaramente riconosciute Mikwéh, Ritualbäder, cioé bagni rituali. Si tratta di costruzioni a pianta circolare, quadrata o esagonale provviste di approvvigionamento d'acqua sorgiva o di infiltrazione e di vasche incavate nel pavimento o deposte su di esso. La più antica costruzione si trova a Worms (Germania) di forma quadrata, costruita nel 1185 d.C. In Valle di Muggio: 70 costruzioni rotonde, nevère In Italia, in Spagna e nel Canton Ticino (70 in Valle di Muggio, 40 sui pendii del Monte Generoso) vengono invece definite “névère” o ghiacciaie. Nei volantini turistici le nevère del Monte Generoso sono diventate “Schneegrotten”, caverne-di-neve. Nivère a Milano, a Bologna, a Catanzaro e a Siracusa Ci sono nevère e nivère presso la Villa Mazzanti di Bologna e nel cortile dell’Università Statale di Milano, in Via Festa del Perdono, così come a Grosseto. Anche in provincia di Catanzaro troviamo la frazione di Nivera. A Siracusa, nel quartiere della Giudecca (dei giudei) venne ritrovata una “Nevèra-Mikweh” che oggi è definitivamente riconosciuta Mikweh. L’approvvigionamento di neve per le “nevère” fin qui elencate dovrebbe presentare notevoli difficoltà almeno per quella di Siracusa, città che vanta temperature invernali mitissime e dista ben 30 chilometri dal monte più vicino che non sorpassa i 1000 metri d’altezza. La “nevèra” dell’abbazia di Morimondo, in provincia di Milano, è più vicina a Monza che a qualsiasi montagna e presenta dimensioni enormi.

Dietro all’antichissima abbazzia dei monaci circestensi di Morimondo, costruita nel 1134, c’è una “torretta” chiamata “nevèra”. I due terzi interrati raggiungono la falda freatica ricca d’acqua. Notate le considerevoli dimensioni dell’edificio e immaginatevi l’ immane impiego di uomini e mezzi necessari per riempire la “torretta” con la neve. L’abbondanza d’acqua presente nella falda freatica bastava all’uso di Mikweh. 14


Mikweh tedesche, inglesi e spagnole Angela Scandaliato e Nuccio Mulè [2002]: “Si conoscono altri bagni ebraici in altri paesi europei, tra i più noti quelli di alcune città renane del XII secolo, Worms, Speyer e Colonia, costruzioni sotterranee vicino a sorgenti d’acqua. In quello di Worms per mezzo di 19 gradini si scende fino alla sala d’ingresso e altri undici gradini conducono al Mikweh. [...] Nell’inventario dei beni venduti agli ebrei espulsi da Heidelberg nel 1391 è citata ‘una camera con volte vicino alla sinagoga che serviva come bagno dei giudei’. [...] In Inghilterra il Mikweh di Bristol risale al 1142 [...] quello di Canterbury è del 1290. [...] Il Mikweh di Besalù in Catalogna, scoperto nel 1964 a pochi chilometri da Gerona, risale alla fine del secolo XI”. Il Mikweh proibito Gli autori spagnoli Calvo Barco e Angel Maria [1982] riconoscono la necessità di distinguere le nevère naturali da quelle costruite dall’uomo e adibite a frigorifero e incitano a non confonderle con le costruzioni che in verità sono Mikweh. Cioé bagni rituali ebraici. Le persecuzioni e la proibizione della religione ebraica in Spagna tra il 1391 e il 1492 obbligò a dimenticare e a camuffare la funzione dei Mikweh per motivi di sicurezza personale. L’inquisizione non conosceva pietà per coloro che non si decidevano ad abiurare la propria religione e i suoi riti, qualsiasi essi fossero. Chi legge le terrificanti vicende dei massacri agli ebrei castigliani e calabresi nel XIII e nel XIV secolo, i battesimi forzati e le trasformazioni delle sinagoghe spagnole in chiese cristiane, può capire come in quei tempi la professione della religione ebraica rappresentasse un pericolo mortale. Il culto proibito dell’acqua “Laudato sii, mi signore, per sora aqua la quale è molto utile et humele et preziosa et casta” declamava Francesco d’Assisi [1226] esaltando la purezza dell’acqua che non va insudiciata essendo da sempre elemento d’importanza vitale. A pagina 16 del libro di Cristian Caminada [1986] leggo: “Sch’in fa pésa ell’aua, bragia Nossadunna”, orinare nell’acqua fa piangere Nossadunna, dicono i retoromani. Nossadunna, antica divinità fluviale, poi cristianizzata in Nostra Signora. Christian Caminada [1986], cita a pagina 24 del suo libro, una “fontana de Nossadunna” sotto l’altare di una cappella dedicata alla Madonna, a Ruschein (GR). Anche la cisterna che oggi si trova nella Cattedrale di Coira venne lì collocata, secondo Caminada, per cristianizzare ed eliminare i riti “pagani” celebrati allorché la cisterna si trovava fuori dalla chiesa. I pagani e l’acqua Christian Caminada [1986] racconta che nel 681 d.C. nel testo del Canon CXLIX è decretata la pena di 5 anni di reclusione per chi osserverà o parteciperà a riti “pagani” (heidnische Bräuche) eseguiti da idolatri o da indovini che vorrebbero combattere il male e la magia di una casa eseguendo “lavaggi pagani” (Heidnische Waschungen, pagina 43). I templi nascosti Papa Gregorio il Grande escogitò l’arte di costruire chiese cristiane sulle fondamenta di templi pagani preesistenti. “E’ meglio tramutare i templi pagani in chiese cristiane anziché distruggerli”, scrive Christian Caminada [1986] a pagina 44 della sua opera.

15


Religione proibita Salvador de Madriaga [1886-1978]. cerca di esprimere le difficoltà nelle quali incorsero gli ebrei “conversos” cioé i convertiti, la cui conversione “...però era solamente esteriore o simulata; nel cuore essi aderivano lealmente alla loro religione avita. Benché esteriormente fossero cristiani, in segreto osservavano i dogmi della fede ebraica [...] ...si raccoglievano in sinagoghe sotterranee o segrete e praticavano riti ebraici nelle loro case”. Angela Scandaliato e Nuccio Mulè [2002] rammentano che “Quando l’inquisizione spagnola e siciliana inizierà la sistematica persecuzione dei conversos (convertiti), marrani o neophiti (ebrei spagnoli e battezzandi), dopo l’espulsione del 1492, anche l’abitudine alla pulizia del corpo femminile sarà considerata indizio di colpa, motivo per accuse di cripto-giudaismo. L’ossessione del corpo pulito delle donne ebree era un reato punibile perché nascondeva pratiche e rituali che agli accusatori apparivano come evidenza di ritorno alla religione di Mosè”. Il Mikweh (Mikweh) di Londra ...e fu grande fortuna che il ritrovamento dell’edificio nel centro antico di Londra venne definito Mikveh del XIII secolo e non “Nevéra”. Anche se i resti dell’edificio vennero ritrovati nella strada londinese denominata Milk Street, vicolo del latte, non si collegò l’edificio con la conservazione di generi alimentari. The Tymes [2001].

„Kraiv du den Rucken, ich die Füs! Mein Goim ist das Bad nicht süs“. Tu gratti la schiena, io i piedi, a questo Goim (non-ebreo) al quale non piace il bagno. Allegoria del XVI secolo tratta dal libro di Angela Scandaliato e Nuccio Mulè [2002] e dalla Jewish Encyclopedia. Gli ebrei sono contrassegnati da un cerchio sugli indumenti. 16


Nevère, nivère e ghiacciaie dappertutto? Nevèra: definizione troppo generica, stereòtipo Un testo trovato in Internet dice: Nevera: locale adoperato come ghiacciaia, raffreddato da ghiacchio, neve, ecc., ("nevera" o "giasera di campagna": era fatta di un cerchio in muratura molto spessa, provvista di una volta a cupola e di un camminamento, cui si accedeva dall'unica porta, che immetteva in una sala nella quale, d'inverno, venivano accumulati neve e ghiaccio. Giovanni Bianconi [1982] scrive: “...la nevèra è una costruzione cilindrica completamente in muratura, senza travatura per il tetto che è formato da una volta falsa o pseudocupola composta da strati orizzontali di pietre disposte a corsi concentrici aggettanti l’uno sull’altro, fino a chiudere l’apertura con un lastrone finale”. Prospetticità “normata”? La descrizione dell’aspetto e dell’uso di una nevèra coincide nei diversi testi siciliani, piemontesi e ticinesi. Ciò desta il sospetto che si tratti di descrizioni inspiegabilmente “normate” e non storicamente comprovate. Esempi di come una “bugìa” si autotrasporti dal Sud all’estremo Nord e viceversa: I consumatori inesperti di funghi di bosco aggiudicano il “mal di pancia” subentrato dopo il pasto al fatto che, vicino al fungo commestibile (!!!), giaceva un ferro arrugginito o una scarpa vecchia o la tana di un serpente. Anche l’annerimento del cucchiaino d’argento nella pentola dove cuociono i funghi dimostrerebbe chiaramente (!!!) la presenza di funghi velenosi e mortali. Se tutto fosse così facile il controllore federale di funghi (autore di questo scritto) dovrebbe vendere semplicemente cucchiaini d’argento e ...“bugìe”. Estensione paniberica e panitaliana Anche se il dizionario cita solo “nevièra” stupisce il fatto che il termine possieda un’estensione panitaliana e paniberica. Le descrizioni dell’edificio detto nevèra o ghiacciaia e del suo uso possiedono una somiglianza stupefacente dalla Sicilia alla Spagna, dal Piemonte al Canton Ticino. La descrizione del trasporto della neve dalle montagne, a volte lontanissime e la copertura della massa nevosa con paglia, con pula di riso o con foglie è onnipresente e suscita il dubbio che si tratti di deduzione e associazione elementare. Qui si dice che la neve veniva venduta, là invece serviva alla confezione di gelati o alla conservazione del latte, dei latticini, di carni e salumi, o addirittura a scopi terapeutici. Il riempimento con la neve Ripeto: In mancanza d’acqua sorgiva le regole ebraiche permettevano l’aggiunta di acqua piovana, neve e ghiaccio. Nacque così l’idea di usare l’edificio, dopo la scomparsa degli ebrei, come “nevèra”? La presenza della neve combacia da sempre con la stagione invernale nella quale le sorgenti di piccola portata sono asciutte. Il riempimento con il ghiaccio prodotto sui laghetti artificiali è da indagare completamente. Ghiacciaia o nevèra: Testimonianze fragili Anche nei villaggi sulla riva destra del Lago Maggiore (Oggebbio con le sue 13 frazioni) si parla di due "giazzére" e non di "nevère", costruzioni rotonde oramai sopraffatte dagli edifici moderni e che venivano riempite con la neve fatta scendere in sacchi da Pian Cavallo (dislivello di ca. 700 metri) con i "fili", cioé con le teleferiche. Si isolava la neve dalle pareti con uno strato di "büla" (pula) del riso che però "...io non 17


ho mai visto e anzi, non so nemmeno che cosa sia" mi raccontava un 90-enne del luogo. Anche a Oggiogno, sopra Cannero, c'era una nevera, "...ma il macellaio ci metteva al massimo 20 chili di carne, perché la gente aveva la carne in proprio e si ammazzavano le bestie di rado e con parsimonia [...]. "A Premeno, sulla strada che porta a Pian Cavallo, ce ne sono due rotonde". A Girifalco in Calabria “La Nivera è ai margini del centro abitato. Vi sono solamente due case: l'una abitata, l'altra non ancora terminata. [...] Perché Nivera? Nel passato, quando nevicava, facevano profonde buche nel terreno nelle quali conservavano neve. Nell'estate, in modo particolare in occasione della festa di San Rocco, con questa neve facevano i gelati”. Vasca e fonte in cantina A Barbé, frazione di Oggebbio (prov. Novara), c'è ancora una casa provvista di cantina, nella quale una vasca quadrata scavata nel pavimento (1,50 x 1 metro) e profonda ca. 60 centimetri, viene ancora alimentata da una sorgente sotterranea invisibile all'esterno. C’è anche una nicchia di ca. 50 x 50 x 50 centimetri che si nota solo dopo aver richiuso la porta dall’interno. Nicchia nella quale si poneva un lume che rischiarava però solo i gradini dell’entrata. La vasca, scavata nella roccia originale, è delimitata da una cornice di lastre rettangolari di gneis. E' l'unica casa del luogo che possiede una cantina. Anche se gli abitanti del posto si ostinano a raccontare che "...le case si costruivano là dove si trovava una sorgente..." non esiste un caso simile in tutto il villaggio. Due giazzére e la fiòca A Trarego, sopra Cannero (Italia). Desteffani Giancarlo [2005] mi racconta che "...ce n'erano due in località "Pianàsc", perché c'erano due macellai". "...Una "giazzéra" (nessuno dei testimoni parla di nevèra) era rotonda e l'altra a sezione quadrangolare e ambedue intonacate all'interno, sul fondo c'era un tubo di scarico che usciva all'esterno, provvisto di un rubinetto per "scaricare" l'acqua che si formava nell'interno della ghiacciaia". "...Qui da noi si dice "giazzéra" e non nevèra, ...perché da noi non c'è la neve, ma la fiòca...!". Tutte le "giazzére" del Lago Maggiore citate fino a questo punto, erano provviste di una scala interna formata da lastre di gneis infisse nella parete. Gli spagnoli si ...disperano Nel testo spagnolo pubblicato da Calvo Barco e Angel Maria [1982] che esamina minuziosamente le nevère e i nevéros spagnoli (nevéros: portatori di neve), traggo diversi passaggi che lamentano la carenza di testimonianze credibili concernenti l’attività svolta dai portatori di neve per le nevere. Agli autori “...fu difficile incontrare persone veramente coinvolte nell’attività di raccolta, riempimento e vendita della neve conservata nelle nevere. Le informazioni sono sempre di seconda mano. I diversi interrogati rispondono sempre con la frase: ...quando eravamo bambini abbiamo sentito dire dal nonno che qualcuno lavorava per la nevèra...” (Artículo publicado en Zainak, Cuaderno de Antropología y Etnografía, 14, pp. 203-213. Eusko Ikaskuntza, 1982).

Gli stessi autori lamentano la mancanza di testimonianze che descrivono le funzioni delle nevère sul territorio iberico.

18


... ma anche i Bleniesi Anche le testimonianze bleniesi e ticinesi si limitano al “sentito dire” e alla fantasia di chi si affaccenda in maniera puntiforme con il problema. Le cosiddette “nevère” presentano raramente aperture sufficienti al presupposto riempimento con la neve in modo efficiente. Le strette entrate, angolate e, nella maggior parte dei casi, il volume enorme della nevèra non danno ragione al “riempimento”, mentre permettono di pensare ad una “aggiunta” di neve all’acqua presente. In Spagna, la nevèra è il frigorifero In Spagna la nevèra o nebèra ha assunto il ruolo definitivo, nella lingua e nell’uso, di frigorifero vero e proprio. Affittando un appartamento di vacanza troverete nella descrizione dell’arredamento: “con nevèra”, con frigorifero. La nevèra naturale, Elurzuloak, Elurzulos La letteratura spagnola distingue le nevere naturali da quelle artificiali. Il “nevéro” naturale profondo ben 80 metri sul monte Aratz è un pozzo naturale chiamato dagli abitanti della zona “Elurzuloak” o “Elurzulos”, nome che corrisponde a “nevèra” e che deriva dal dialetto della regione spagnola di Gipuzkoa “elur”, neve. In lingua basca “elurte” è la valanga o la massa di neve. Il termine Elurzuloak racchiude in sé “elur” neve e di “loak” da locus, buco, pozzo , spagnolo “pozo del yelo” pozzo del gelo. Il monte Elurzuloak, ricco di pozzi naturali, diede il nome a questo fenomeno naturale e si trova al Nord della Spagna, nella regione di Izarraitz, al confine con la Francia meridionale e con l’oceano Atlantico. Nevèra a Malvaglia Costruzione "rotonda" con tetto a cupola falsa. Il pozzo venne riempito di sassi e terra per ottenere un pavimento al livello stradale e per adibire l'edificio a "magazzino comunale". Anche questo edificio era un Mikweh vero e proprio, ora “riempito” di macerie e ridotto a “magazzino”. Il locale annesso è stato distrutto. Nevère naturali sul Monte Cervati Il Cervati (mt. 1899) può essere considerato il colosso della Campania. È un monte singolare e caratteristico. Già dall'autunno appare ricoperto dalla neve, che permane a lungo fin nella tarda primavera, giacendo nelle conche sommitali e nei canaloni: in una zona chiamata la "Nevera" (mt. 1785), un profondo inghiottitoio carsico, la neve permane perenne, schermata dalle oscure ombre delle bianche rocce. Giovane nevèra senza “falsa volta” Per costruire una nevèra sull’Alpe Piancasc, in territorio di Muggio, vennero richiesti sussidi cantonale con lettera datata 1 febbraio 1908. Erano previsti un “ripiano interno” e una scala interna di ben 18 gradini, così come il tetto fatto con “legno forte”. La costruzione costò 1'370.25 Franchi. (Fonte: Museo etnografico Valle Muggio [1999]). Venne costruita questa nevèra? Peccato che essa non abbia trovato posto nell’elenco del fascicolo a pagina 34, dove sone enumerate ben 70 nevère del bacino della Breggia su territorio svizzero e italiano! Nel fascicolo pubblicato a cura del Museo risulta che la maggior parte delle nevère della Valle di Muggio possiedono la struttura del tetto detta a “falsa volta”. Struttura che non abbisogna di costruzioni di aiuto e cioé di travi di “legno forte”.

19


Associazione o deduzione E’ chiaro che l’alpigiano, notando che la neve accumulatasi nelle conche naturali della montagna manteneva la sua consistenza fino a estate inoltrata, decise di accumulare la neve in un edificio infossato nel terreno per farne una camera frigorifica. Resta però il dubbio che simili edifici siano necessari in alta montagna, dove le temperature sono generalmente fresche. E’ chiaro che chi si “ricordava” che un tempo si “caricava” la costruzione rotonda con la neve, non sapendo più a che cosa servisse veramente, associò l’operazione con l’azione frigorifica risultante e ...dimenticò gli ebrei e il loro Mikweh. La nevèra/nebera spagnola, betacismo Nevèra o nebèra. L’idioma castigliano pronuncia “niève” come “neve” in italiano, mentre dice “nebèra o nevèra” alla ghiacciaia moderna e al frigorifero. Le consonanti “b” e “v” sono, in divere lingue e dialetti, consonanti “bilabiali”. La seconda lettera dell’alfabeto ebraico, provvista di un punto nel centro è “Beth”, senza punto è “Veth”. Questo fenomeno o processo linguistico viene definito “betacismo”. Linguistica rinfrescante Nasce logicamente il desiderio di conoscere meglio i seguenti termini che hanno tutti a che fare con fresco, freddo, neve, acqua, tino e torre. Accadico: Ebraico: Ebr. mod.:

Namb(v)a’u sorgente [Semerano, 2002] Neb(v)eh fonte, sorgente, sgorgare [Semerano, 2002] Neveh oasi, luogo nel quale c’è una sorgente, una fonte Neveh Shalom (Oasi di pace), villaggio arabo-ebraico a ovest di Gerusalemme. Neveh Zohar, stazione termale nella regione del Mar Morto. Neveh Briut Oasi della salute.

Ebraico biblico usato nel Vecchio Testamento o Tora: Mikweh convogliare l’acqua Mikwa mik-wa (pronuncia Me-kvä), plurale mik-voth o mik-vos = bagno rituale. Mikweh ebraico miqwa o Mikweh, collettore idrico, bagno d’immersione, da “qava” convogliamento (to collect) e “majm” acqua. [American Heritage, 2000].

Also qww. West Semitic, to collect. mikvah, from Hebrew miqwâ, reservoir, or Mikweh, collection (especially of water), immersion pool, both from qawâ, to collect, perhaps akin to Aramaic (Syriac) qba, to collect (of liquids), Ethiopic qabawa, to be distended (of the stomach).

Majm Acqua Migdal Torre Ve’er Fonte Makewet Fossa, infossato. Navav/Nevov svuotare / svuotato, nel senso di fare una caverna. Gevèh Pozzanghera, Fosso colmo d’acqua Ghev Cisterna, Fosso Cuve (franc.) Cuveau (franc.) Cuvier (franc.) Canva (dial.) Cave (franc.) Cave o caveat (lat.)

Tino per l’uva Mastello, tinello, bigoncia Conca (p. Il bucato) o canvett = cantinino fresco Caverna o grotta, ma anche cava di sabbia o di sassi caverna, grotta, cava di sabbia o di sassi. 20


Nieró, nido o fossa Riassumo la corsa linguistica con i due esempi seguenti che dimostrano come i termini imparentati con neve, ghiacciaia, nevera e conca o fossa siano ben intrecciati nelle lingue spagnole: nieró Recipiente nel quale la gallina depone e cova le uova. Idioma catalana: “La gallina pon els ous dins el nieró i llavors la madona els posa dins la gelera ». Idioma castigliano : « La gallina pone los huevos en el nidal y luego el ama los pone en la nevera ». J.A. Grimalt [2001]. “La gallina depone l’uovo nel nido, dopodiché la massaia lo ripone nel frigorifero”. Nelle due frasi riportate qui sopra sottolineo i termini che riflettono direttamente o indirettamente il concetto di conca, fossa e frescura. - nieró nido, incavatura, conca - geléra ghiacciaia, frigorifero - nidàl nido - nevèra frigorifero, ghiacciaia. Nevéh, oasi Il termine ebraico Neveh (Nun-Veth-He) significa “oasi”, termine che racchiude in sé la caratteristica principale di tutte le oasi: acqua sorgiva o pozzo artesiano, frescura e ristoro. Neveh Zohar, stazione termale nella regione del Mar Morto, Neveh Shalom, nella regione israeliana di Gaza, “oasi della pace”. Nevèra equatoriale Da un testo dedicato ai turisti: "La "Nevèra". Lato Ovest di Malpelo. Anche qui il nome nevèra ( "frigorifero", in spagnolo) e' dovuto dalla presenza saltuaria di correnti fresche [...] ...si pinneggia in direzione Nord, verso "la nevera" oppure, in direzione Sud, verso "la chupadera". La cigliata termina in un fondo di sabbia bianchissima. Nelle acque vivono Squali Martello, Squali Pinna Bianca, banchi di Carangidi e Murene". L’isola di Malpelo (spagnolo per “risucchio”) si trova in pieno Oceano Pacifico, non lontana dall’Equatore, vanta una temperatura media 28 gradi centigradi! Isola scogliosa e priva d’acqua potabile. Qui mi sembra di essere lontano da qualsiasi montagna innevata e ci si rallegra che nella zona denominata "nevèra" spiri saltuariamente un ...alito fresco, insomma un venticello da oasi ! (Vedi Neveh). Da Neveh a Nevèra e Nebera: Caso di assonanza? La densità della popolazione ebraica sul territorio spagnolo e portoghese è testimoniata storicamente. La persecuzione e la cacciata dal territorio spagnolo nell’anno 1492 fece sì che ca. 150'000 ebrei fuggirono e si dispersero nell’intera Europa. Il lungo periodo di convivenza in Spagna permise la diffusione della religione e della lingua ebraica su tutto il territorio iberico. Non esistevano ancora i “frigoriferi” moderni, ma esistevano luoghi freschi che probabilmente venivano anche denominati con il termine ebraico “neveh” che, per “assonanza”, venne associato alla “neve” o “nieve”. Dopo la persecuzione e cacciata degli ebrei, le Mikweh, i bagni rituali presenti in ogni comunità ebraica, non vennero più usati. Restarono comunque gli edifici dalla frescura oasica. Nacque così il frigorifero spagnolo, la “nevèra”. Riassumo: (Mikweh) > Nevéh > oasi fresca > neve > Nevèra o Nebèra.

21


Conclusione e supplica Siamo d’accordo ? Coloro che “caricavano” le costruzioni rotonde con la neve e il ghiaccio erano ebrei. L’uso dei Mikweh svanì in seguito alle atroci persecuzioni per ragioni di cautela e per dimenticanza imposta. Il rinascimento delle nevère si basò sul magro ricordo e per associazione. Fatto curioso: in Germania esistono ben 400 edifici che presentano le stesse caratteristiche di quello di Dongio e che vengono da sempre denominati “Mikweh” o “Ritualbäder”. Anche il recente ritrovamento e il restauro eseguito in modo esemplare del Mikweh di Siracusa (Sicilia) venne presentato con titubanza sotto il nome di “Nevèra-Mikweh”, poi “Mikweh” e basta. Moltissime nevère e ghiacciaie riprendendo il nome originale di “bagno rituale” arricchiranno la storia di molte regioni.Ridoniamo, almeno all’edificio rotondo di Dongio il vero nome: Mikweh, bagno rituale - Mikweh, Ritualbad – Mikweh, bain rituèl. Credo che Pietra e Storia abbia dato con questa presa di posizione un impulso alla redenzione delle centinaia di Mikweh che patiscono sotto la denominazione stereotipica di nevèra e ghiacciaia e, per finire, dimenticando l'Eiskeller e la Schneegrotte. La vera storia piacerebbe a tutti. Supplica: Che si ribattezzi l'edificio di Dongio in - Mikweh, bagno rituale ebraico - Mikweh, bain rituel juiv - Mikweh, jüdisches Ritualbad e se gentili archeologi e storici chiariranno la data di costruzione, saremo tutti felici! ---------Molti battisteri nacquero dai Mikweh La parola battesimo è una traslitterazione del termine greco "baptisma" che significa "immersione". Infatti il battesimo somministrato ai primi cristiani avveniva per immersione, pratica che perdurò fino all' XI secolo. Gli edifici definiti “battisteri” sono innumerevoli e sparsi su tutto il territorio europeo. L’architettura “tipica” di un battistero segue la forma ottagonale, esagonale, rotonda e quadrata. Il punto centrale del battistero resta però la “vasca” che permetteva l’immersione completa. Questa vasca era, nella maggior parte dei casi, un’incavatura nel pavimento del battistero. Il fedele entrava nella vasca scendendo i gradini che lo conducevano così all’immersione completa. Innumerevoli testi descrivono l’evoluzione del rito battesimale nel corso dei secoli. L’acqua che liberava dal “peccato originale” che purificava e rinnovava doveva essere sorgiva. [G. Ronci] descrive, ad esempio, come "...si amministrava (il battesimo) in un battistero, edificio a sé stante, composto di una vasca con le forme più svariate, rettangolare, esagonale, ottagonale, cruciforme o anche a barca. Di solito il labbro superiore era a livello del pavimento, profondità non superiore a 75 centimetri. Vi si scendeva per due o tre gradini al massimo. In tutte vi era un foro per l'emissione delle acque; in alcune anche quello di immissione. Le pareti della vasca erano rivestite da lastre marmoree o da mosaici.. Tali le vasche battesimali antiche rinvenute a Roma (S. Marcello e S. Crisogono), a Grado, a Butrinto in Albania e quelle assai numerose dell'Africa romana, come quella recentemente rivenuta a el ha – Mudijjeh ad ovest di Ebron". 22


Fotografia ottenuta per gentile concessione dell’Ufficio dei Beni Culturali di Bellinzona.

Due Mikweh a Airolo I lavori di restauro della chiesa dei SS. Nazzaro e Celso di Airolo, eseguiti nel 1995, portarono alla luce due costruzioni circolari che danno una risposta a ciò che Hans Rudolf Sennhauser scrisse nella prefazione del libro di Rossana Cardani [1995]: “Rimane pure incerto il motivo per il quale durante un certo periodo a Ginevra vi erano due piscine situate una vicina all’altra in spazi separati. Forse che la più antica delle vasche, pur non essendo più utilizzata, per rispetto non venne coperta con materiale di riempimento...” Le due “vasche” o “piscine” nella chiesa di Airolo devono essere considerate i due Mikweh separati per gli uomini e per le donne. Il battesimo a immersione Ecco un’altra risposta all’argomento contenuto nell’introduzione all’opera sopraccitata che deplora: “In mancanza di fonti scritte non è possibile stabilire con esattezza lo sviluppo del battesimo e della cresima durante tutto il primo millennio, fino al basso medioevo”. Estratto dalle “Opere di Gregorio Magno” di Vincenzo Recchia [1996]: Lettera dell’anno 591 d.C. di papa Gregorio Magno al vescovo Leandro di Spagna: “Quanto alla triplice immersione battesimale, non si può dire nulla di più preciso di quanto voi stesso avete pensato, perché nulla impedisce alla santa Chiesa che sotto un’unica fede ci siano consuetudini diverse. Noi con la triplice immersione vogliamo indicare il mistero della sepoltura di tre giorni, in modo che, facendo emergere il fanciullo tre volte dall’acqua, si esprima la risurrezione dopo il terzo giorno. Che se uno pensa di agire anche in onore della divina Trinità, non c’è nulla che impedisca di immergere il battezzando una volta sola nell’acqua...”. L’atto dell’immersione completa nell’acqua ricorda anche i tre giorni nei quali Giona restò imprigionato o “custodito” nel ventre del pesce, per poi tornare nel mondo e “ritrovare” la vita. Concetto che accompagna sia il battesimo cristiano che l’immersione di purificazione ebraica. Papa Grgorio Magno (590-604) propagò la strategia di costruire le chiese cristiane sugli edifici sacri “pagani” senza distruggerli, e l’integrazione dei riti “pagani” nella religione cristiana. 23


Il battistero di Riva San Vitale La riproduzione a pagina 53 (Figura 15.) nell’opera di Rossana Cardani [1995] mostra il “Fonte battesimale rotondo di epoca medievale sovrastante quello ottagonale più antico”, che il battezzando raggiungeva scendendo due gradini, visibili nella figura 53. (sotto) che mostra la “Sezione est-ovest, Steinmann-Brodtbeck, 1941. La stella di Davide (in alto a destra) rinvenuta sul pavimento del Battistero è scomparsa.

24


La pardonanza La “perdonanza” papale L'indulgenza della Perdonanza, istituita da Papa Celestino V nel 1294 e successivamente confermata da diversi Pontefici e da ultimo da Papa Paolo VI nel 1967, assicura l'assoluzione dalle colpe e dalle pene conseguenti a tutti i peccati commessi fin dal battesimo a coloro che adempiono preghiere o visite di funzioni in un certo lasso di tempo dettato dal Vaticano. Ad esempio, nella Chiesa di S. Maria di Collemaggio dai vespri della vigilia della festività del Martirio di San Giovanni Battista fino ai vespri immediatamente seguenti . Così come definito in una “Bolla” specifica del 1294. La “pardonanza” popolare “Perdonanza” o “pardonanza”, sostantivo femminile: 1. Perdono, indulgenza; 2. Purificazione che la puerpera ottiene partecipando a un’apposita cerimonia religiosa; 3. Dono portato da chi si reca a una sagra a chi è rimasto a casa; 4. Festa del paese, sagra. “Perdunanza, pardonanza o pardunanza (Malvaglia), pardonènze (Gerra Gamb.), perdonansa (Sonvico), perdonanze (Fescoggia), pordonanza (Rossa). A Rovio “tö la perdonanza” significa chiedere perdono dei propri peccati. Nel Mendrisiotto “tö la perdunanza” era l’atto compiuto dalla puerpera pochi giorni dopo il parto per ricevere una benedizione speciale, essendo il parto ritenuto atto impuro. Nel libro di M. Canclini [2000] sono raccolte testimonianze concernenti riti e tradizioni che accompagnavano il peridodo postnatale della puerpera. “Prima che fossero passati gli otto giorni consigliati dalla levatrice, la puerpera cominciava già ad attendere alle faccende domestiche, ma non partecipava mai al battesimo dei figli e, non appena fosse potuta uscire di casa, si recava in chiesa a purificàs cu l’àcqua santa, secondo il rito cristiano che si richiama alla purificazione della Vergine, celebrato per la Candelora e che, sul piano demologico, sancisce il legittimo reingresso della donna nel cerchio della comunità”. Il rituale della purificazione della puerpera conobbe molte variazioni e venne abolito dal Concilio Vaticano II”. La festa della Candelòra, 2 febbraio P. Grimaldi [1993]: “Nei primi secoli la Chiesa celebrava al 2 di febbraio la Presentazione di Gesù al Tempio. Successivamente venne sostituita con la festa della Purificazione della Beata Vergine Maria che, secondo la legge ebraica, doveva presentarsi al Tempio 40 giorni dopo il parto”. Oggi ancora il 2 febbraio viene festeggiato nella liturgia protestante come “Lichtmess”, festa della luce (Nota dell’autore). I quaranta dì A. Garobbio [Archivio per l’Alto Adige, LXXXIII]: “Quand’ero ragazzo, e risaliamo agli inizi del secolo (1900), usavamo chiedere “ta saréet migna in di quaranta dì” al compagno che esitava ad uscir di casa. [...] Anche la Festa della Purificazione, il 2 febbraio, era nota come “la Madona de la Seriöla”, la Candelora, con la benedizione dei ceri. Quella festa si ricollega ad un rito ebraico: “E il Signore parlò a Mosè, dicendo: ‘Parla ai figli d’Israele e dì loro: Se una donna, dopo aver concepito, partorisce un maschio, sarà immonda per sette giorni, come nel flusso mensile. Nell’ottavo giorno sarà circonciso il bambino, ma essa resterà trentatre giorni nel 25


sangue della sua purificazione; non toccherà nulla di santo, e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione”. [...] Fino al 1974 nel calendario il 2 febbraio troviamo “Purificazione di Maria Vergine”; siamo a quaranta giorni dal Natale. Con il 1975 la festività diventa “Presentazione del Signore al Tempio”. [...] “I quaranta giorni si limitavano a otto, dopo di ché la donna andava a farsi benedire per riprendere senza pericoli la vita normale”. E’ qui evidente che il ribattezzare la festività del 2 febbraio venne ispirato dalla faziosità religiosa di chi vuol “cancellare” la scìa storica che vede nella “purificazione” di Maria uno dei tantissimi anelli di congiungimento tra il cristianesimo, l’ebraismo e i riti atavici che, se non altro, appartengono alla storia dell’umanità. Purificazione e battesimo E’ chiaro comunque che la “purificazione” avveniva sempre tramite aspersione con acqua e immersione nell’acqua. Dopo il parto si portava un “sacrificio” nel Tempio o nella chiesa sottoforma di uova, pane, burro e durante la cerimonia di benedizione erano sempre presenti candele accese. Si otteneva così il “perdono” di una colpa che per fortuna oggi è stata trasformata in avvenimento gioioso. La perdonanza ebraica Tahara, la purezza rituale e Tumah, l’impurità rituale, sono concetti fondamentali che regolano l’appartenenza alla religione ebraica. Non si tratta solo di impurità corporea, come vorrebbe descrivere il termine in lingua italiana. Uomini e donne possono incorrere nella condizione di “impurità” dalla quale potranno uscirne “lavandosi” con acqua sorgiva. Anche vasellami e oggetti qualsiasi verranno resi “idonei” (kosher) solo se immersi nell’acqua. Gli addetti alla scrittura della Torah (Bibbia) dovevano recarsi al bagno rituale (Miqwè) prima di incominciare a scrivere i sacri rotoli. Chi andava al Miqwè e eseguiva l’immersione completa nell’acqua sorgiva era purificato, così come nel battesimo cristiano, dove il neonato viene “purificato” dal peccato originale. Le regole della purezza ebraica prescrivono tra l’altro il lavaggio delle mani prima della preghiera mattutina e prima e dopo i pasti. Per le abluzioni cultuali esiste il miqwe (ebraico “raccolta d’acqua”, “bacino”), un bagno contenente acqua “viva” di fiume o di sorgente o acqua piovana incanalata ma non "trattata". Il bagno rituale è prescritto alle donne prima del matrimonio, dopo il parto o alla fine del ciclo mestruale secondo diversi passi biblici. Andare al Miqwè per purificarsi restò nella lingua dei vallerani “tö la pardonanza”, ricevere il perdono. Presenza ebraica indiscutibile La “presenza ebraica” nelle nostre valli, fin dai tempi più remoti, non è da mettere in dubbio. Moltissime testimonianze linguistiche, architettoniche e artistiche ribadiscono l'asserzione, così come molte tradizioni popolari. La dichiarazione dell’osservanza del riposo del sabato in quel di Brissago è una testimonianza inconfutabile della presenza ebraica in tempi relativamente recenti: 1289 – 1335: “Cap. 26. De celebratione sabbatorum. Item statutum est quod nulla persona de brixago laboret in territorio de brixago in diebus sabbatorum usque ad diem dominicam per totum diem, vel macinare, vel coquere panem, vel alium laborem facere postquam none pulsate fuerint...” (BSSI 10, 124). Insomma era proibito eseguire qualsiasi lavoro nel giorno di sabato, così come oggi ancora prescrive l’osservanza dello Shabbat ebraico. La “presenza ebraica” è testimoniata a iosa nell’onomastica e nella toponomastica e dal fatto chiaro e semplice, “che la religione cristiana usa i testi sacri del Vecchio Testamento come testi fondamentali. Testi raccolti nella Bibbia e nella Torah”. L'intento di cancellare questa presenza è fatica inutile che falsifica storia, religione e tradizione. 26


La pardonanza Mariella Becchio [2002] A volte, ascoltando pazientemente le voci degli anziani, si possono scoprire antiche usanze, parole o espressioni che appartengono ormai ad una realtä scomparsa, travolta in malo modo da un'inarrestabile nonché titanica modernità. Dai nos vecc impariamo quindi parole con le quali si indicava un preciso oggetto (oggi mera testimonianza di un passato che ci appare sempre più remoto); oppure espressioni con le quali ben si trasmetteva il colore di una determinata situazione; o ancora una canzone con la quale si insegnava ai bimbi il valore del pane o, infine, l'usanza di una tradizione ormai caduta in disuso. Ed è proprio a proposito di una osservanza religiosa, ai nostri giorni nota ormai a poche persone, che vogliamo parlare: la pardonanza. Ecco una testimonianza raccolta dalla viva voce della signora Noemi Negrini (classe 1922) di Caspoggio (Valtellina), dal 1946 a Bellinzona. "La vera pardonanza era: “...dopo 40 giorni dal parto della donna si andava in chiesa da sola e con il prete la riceveva sulla porta della chiesa e dopo averla benedetta la faceva entrare e poi pregavano assieme. Per 40 giorni non potevano andare in chiesa perché impure. Era una tradizione quasi ebraica, anche la Madonna è andata al tempio a purificarsi dopo 40 giorni dalla nascita di Gesù. La padronanza era anche praticata a Caspoggio, Lauzada - Chiesa Valmalenco, Torre e Santa Maria". Di testimonianze come quella della signora Negrini, ve ne sono, sparse qua e là, in tutto il cantone Ticino. Pure in Valle di Blenio troviamo ancora delle persone anziane che parlano di tale pratica. Ma qual'è il significato e, soprattutto, l'origine di questa tradizione ? Nel Bollettino parrocchiale Castro - Marolta - Prugiasco, del febbraio del 1944, a pagina 3, leggiamo: Festa della Purificazione della Beata Vergine Maria. "La festa della purificazione chiude il ciclo natalizio. La legge mosaica conteneva due precetti circa la nascita dei figli primogeniti: 1) la madre dopo 40 giorni doveva purificarsi al Tempio ; 2) il primogenito doveva essere presentato al tempio, e se non era della tribù di Levi, essere riscattato. Ora la Vergine benedetta non era punto obbligata ad osservare questi precetti, sia perché fu sempre vergine, sia perché il suo Figlio, essendo Dio, era l'eterno sacerdote. Tuttavia mossa dallo Spirito Santo, per obbedienza ed umiltà, Ella volle assoggettarsi a questa duplice legge". Anche perché la sua particolare posizione non era facile da spiegare alle autorità rabbiniche. La pratica della pardonanza trova le sue origini nella religione ebraica. Secondo la religione ebraica, dopo un episodio di impurità, mestruazione, puerperio o polluzione (cioe l'impurità è data dal sangue e dallo sperma versato invano, o dal contatto con un cadavere) era ritualmente imposto, dopo lavacro, l'uso del bagno purificatore. E proprio in relazione con lo stato di purezza di uomini e donne, il Talmud passa in rassegna una casistica variegata e pur divertente. Ma cio che più sorprende in tutto questo, è il fatto che tale tradizione era ancora praticata dalle nostre parti dopo la seconda guerra mondiale. Sembrerebbe, come già per molte altre usanze locali, quali ad esempio l'osservanza del sabato nella località di Brissago, che la pratica della pardonanza abbia origini che si perdono nella notte dei tempi. Ma in questo specifico caso il parallelo con la religione ebraica non può non sorprendere e far riflettere. Riportiamo qui un brano tratto dall'introduzione al Talmud. II trattato delle Benedizioni, a cura di Sofia Cavalletti. Torino, T.E.A, 1992: 27


“E’ noto che metodi interpretativi, simili a quelli dei rabbini, si ritrovano nell 'esegesi di San Paolo, anche se usati con maggior libertà e con austerità, in quanto l’apostolo, tutto preso dal suo compito di annunciare la parola di salvezza al mondo, non si abbandona mai a giochi accademici e a discussioni di scuola. Ritroviamo in lui considerazioni filologiche, applicazioni morali, analisi della lettera, interpretazioni dialettiche, tutti metodi che egli aveva imparato "ai piedi di Gamaliele" e nei quali egli trasfonde lo spirito dei nuovi tempi. Meno noto è che metodi del genere fossero diffusi nel vasto mondo della Chiesa giudeo-cristiana, quella Chiesa che fa capo a Gerusalemme e a san Giacomo, ma si trova diffusa non solo in Palestina, ma in Asia Minore e ha lasciato traccia fin nella Roma imperiale, improntando di sé tutto il cristianesimo primitivo. Rientra nelle particolaritä dei giudeo-cristiani l'uso di non rappresentare il Mistero, e di non parlarne esplicitamente, ma di adombrarlo sotto il valore numerico delle lettere, attraverso criptogrammi e simili; in simili accorgimenti ritroviamo spesso gli stessi sistemi usati dai rabbini”. Riportiamo inoltre l’incipit di un interessante articolo di Andrea Zanardo (// criptogiudaismo portoghese. Un'ipotesi antropologica. In "L'identità dissimulata: giudaizzanti iberici nell'Europa dell'Età moderna, a cura di Pier Cesare Ioly ZORATTINI, Firenze, Olschki, 2000, p. 347): A metà del XVIII secolo, fra' Aleixo de Miranda Henriques, vescovo di Braganza, stigmatizzava "o costume judaico" di quelle puerpere che si tenevano lontane dalle chiese per i quaranta giorni successivi al parto. Un secolo più tardi, il parroco di Vimioso, nella medesima diocesi, lamentava che da tempo immemorabile infuria in questo popolo una setta, che al tempo dell 'Inquisizione era solita stare nascosta; l 'errore di questa setta è la Legge Mosaica”. Questa testimonianza ci permette di fare due constatazioni. Innanzitutto il fatto che la pratica della pardonanza era praticata in varie parti d'Europa, fatto questo comprensibile vista la diffusione capillare del popolo ebraico, e che una testimonianza come quella di fra' Alexio De Miranda Henriques non può non richiamare l'attenzione e, quindi, sottolineare l'importanza di quanto detto da Noemi Negrini. La seconda constatazione riguarda la seconda parte del brano citato, e conceme il perdurare di queste "pratiche" in Portogallo (come altrove, ci sentiamo d'aggiungere), e il loro collegamento con la Legge Mosaica, ciò che significa che la Chiesa ben conosceva tale fenomeno, e condannava tali "pratiche" (si osservi quel da tempo immemorabile infuria in questo popolo una setta). Inoltre e interessante constatare come la "setta" in questione, era solita stare nascosta. Queste quattro parole non possono certo lasciarci indifferenti ... Come la scritta di Lottigna in caratteri RASHI, la tradizione della pardonanza sembrerebbe riportarci in tempi ormai remoti, dei quali, per ciò che riguarda le nostre valli, sappiamo poco o nulla. Se la tradizione della pardonanza è riuscita ad attraversare incolume i terribili fuochi dei roghi degli eretici d'età medioevale e moderna, e si e mantenuta dalle nostre parti fino attorno al 1950, significa che tale osservanza religiosa dovette essere catalogata dagli stessi zelanti inquisitori come un'innocua superstizione popolare, la cui origine si perdeva nella notte dei tempi. Tale fatto fa pensare a una presenza ebraica nelle valli lombarde risalente ai tempi non sospetti, addirittura all'epoca dell'impero romano (vedi la cartina di Martin Gilbert a pagina 23 di questo fascicolo, tratta dall’Atlante di storia ebraica, La Giuntina, Firenze). Questo spiegherebbe quindi come un'osservanza caratterizzante del Culto ebraico (come già l'osservanza sabbatica rilevata nel Comune di Brissago e altrove) si fosse radicata nella popolazione di questi luoghi già in tempi a noi remoti, tanto che, al momento dell'inquisizione, gli stessi 28


inquisitori non avevano trovato nulla di sospetto in questa pratica religiosa, tramutandola nella “pardonanza”. Di fronte a questi "segni" bisogna cercare d'interrogarsi sul loro reale significato : da qui la necessità di rivolger loro le giuste domande, le quali potrebbero dare luogo ad una nuova interpretazione storiografica della regione. Rimane quindi di fondamentale importanza rilevare quanti più indizi il territorio racchiude ancora nel suo grembo e riportarli alla luce del sole e delle coscienze (mi si creda, non è inutile retorica!). In questo senso un'azione archeologica coerente e mirata potrebbe fornire quegli elementi che permetterebbero, una volta per tutte, di entrare in diretto contatto con quei "segni" che oggi ai distratti appaiono così strani e muti.

Il Mikweh in disuso (nevèra) di Dongio “restaurato” nel 1999. Il Mikweh in disuso (nevèra) di Dongio “restaurato” nel 1999. La soletta intermedia venne probabilmente aggiunta ai tempi del “macellaio” che usò l’edificio dal 1919 al 1936. Manca, nel disegno, la fossa della vasca scavata nel pavimento e visibile ancora oggi. Sotto: La pianta mostra l’intento dell’architetto di mettere una scala in stile originale. Dettaglio non disegnato nella sezione superiore. L’avas

29


Sopra: La “vasca” sul fondo del Mikweh di Dongio come apparve già durante il “restauro” nel 1999. Sotto: La corona del tetto del Mikweh presenta la sottocupola originale. Manufatto composto di frammenti di massi e di massa cementante priva di materiali argillosi che avrebbero altrimenti insudiciato l’acqua del bagno sottostante. La falsa cupola era sormontata da un tetto conico in lastre di gneis (piode). 30


Riproduzione della cartina di Martin Gilbert. Si noti la forte presenza ebraica, contrassegnata con chiazze annerite, nella regione ligurica e veneta durante il periodo dell’impero romano, tra il 100 e il 300 d.C. 31


Nivera toscana: La “dispensa� serviva da spogliatoio e al lavaggio rituale dei piedi e delle mani prima dell'immersione nel bagno. Sotto: L'apertura per il "riempimento con la neve" lascia il posto a molte ...domande!

32


La “nevèra” nelle vicinanze di Moltrasio (Italia). Esempio di come l’acqua del tetto a piano inclinato viene raccolta dal canaletto sistemato intorno alll’edificio e convogliata all’interno di esso. Esempio valido anche se l’opera di restauro intendeva solo sviare l’acqua del pendio, così che non si infiltrasse nella costruzione.

Il battistero di Santo Stefano alle fonti nel sotterraneo del Duomo di Milano è il più antico battistero di Milano. I resti vennero alla luce nel 1899, ma le ricerche furono approfondite solo tra il 1965 e il 1973.

Il battistero Archeo-San Martino (Carnia, Friuli) La seicentesca chiesa di San Martino ad Ovaro: una semplice antica chiesa "di campagna" nel fondovalle, che ha restituito, da sotto il grandi lastroni in pietra del pavimento, la “vasca battesimale”.

33


Il Mikweh di Worms, Germania, costruito nel 1185 (Atlante storico del popolo ebraico, Zanichelli, 1999), che come tutti i 400 bagni rituali presenti in Germania, non venne mai denominato nĂŠ ghiacciaia, nĂŠ Eiskeller. 34


Cimalmotto, Vallemaggia: La figura scolpita sul masso indica non solo il punto adatto all’immersione rituale, ma anche la posizione giusta da assumere per il bagno rituale. Un bagno che usa acqua corrente è, in lingua ebraica, un mayim chayim. (Aufnahme: Arch. Giorgio Ceresa).

35


La donna si purifica nel bagno dopo le mestruazioni o dopo un parto, mentre il marito l’attende. Illustrazione tratta dagli scritti liturgici (Siddur mit Kinot und Minhagim) Germania, Mainz(?) 1427-1428. L’originale si trova nella Biblioteca Statale dell’Università di Hamburg, cod. Hebr. 37. Considerazione: I piedi della donna posano in una conca scavata nel terreno, che ricorda la conca presente sul fondo del Mikweh di Dongio, dato che il bagno rituale deve essere parte integrante del terreno sul quale esso sorge.

36


Il battistero di Como La parte seminterrata dell'edificio denominato Vescovado venne portata alla luce durante gli scavi del 1924. La costruzione, ordinata dal vescovo Alberico nel 1013, basa su fondamenta ben pi첫 antiche che vengono ritenute parte di un antico battistero.

37


Piscina o Mikweh ? "Sarebbe stato bello il liberare questo ambiente da tutto il materiale che per buona parte lo riempiva. Ma bisogna considerare che ogni anno, e per qualche mese, questo sarebbe stato naturalmente trasformato in una piscina più o meno profonda per causa dei notevoli accrescimenti periodici del lago e del basso livello del suo pavimento originale che sta al disotto del piano stradale per ben più di due metri". [...] "Il problema di rendere impermeabile l'antichissimo ambiente che spinge i suoi muri d'ambito a tanta profondità in un terreno permanentemente invaso dall'acqua e sensibilissimo alla pressione della vicina massa del lago..." Copia del battistero di Riva San Vitale (TI) La sezione cruciforme e la posizione centrale del pozzo riflettono la simmetria della costruzione di Riva San Vitale che però si serviva dell'acqua portata da tre rigagnoli sotterranei. Il "pozzo" di Como comunicava, tramite la porosità del terreno con il lago, secondo il principio dei vasi comunicanti. E' chiaro che il livello dell'acqua variasse parallelamente al livello del lago. Acqua "conforme" L'acqua usata in questo edificio era acqua d'infiltrazione, perciò "kasher", adatta alla funzione di bagno rituale, di Mikweh. Le date riprodotte sulla sinistra dell'illustrazione segnano la massima PIENA raggiunta il 21 novembre del 1829 e la MAGRA dell'inverno 1868. Il livello medio, contrassegnato con PIENA NORMALE vedeva ca. 1 metro d'acqua nella cantina del Vescovado. Il livello del "pavimento attuale" corrisponde alla massa di detriti alluvionali che riempivano il seminterrato (nell'anno di pubblicazione delle notizie di archeologia, 1924) con più di due metri sopra il livello del pavimento originale.

Testo e illustrazioni tratti da: Rivista archeologica dell'antica Provincia e diocesi di Como. Tipografia editrice Emo Cavalieri, Como, 1942, XX.

38


Il Mikweh di Biasca Pianta e sezione approssimative dei locali sotterranei dello stabile. Misure effettuate da Pietra e Storia il 2 febbraio 2005. Il punto di riferimento 0,000 è il livello stradale esterno. La fotografia, scattata da Silvano Calanca di Biasca, mostra il fondo e la parete parzialmente intonacata dal fondo fino all’altezza di ca. 2 metri del pozzo. L’uso a cantina, documentabile dal 1831, non permette di spiegare la presenza di un pozzo ovale della profondità di ca. 5 metri il cui soffitto è formato da un unico macigno di gneiss. Potrebbe trattarsi di un pozzo Mikweh. Tutto il complesso necessita un’indagine accurata essendo probabilmente un monumento antichissimo. Macigno che fa da soffitto al „pozzo“

Livello stradale 0,000 A,B,C - 3,25 m

D C1

- 4,35 m

Porta murata

- 5,65 m

E

- 6,70 m

E

C

C1

B

A

39

D

A = ca. 6,50 x 3,40 m B = ca. 4,50 x 3,50 m C = ca. 6,30 x 4,50 m C1 = ca. 5 x 4,50 D = ca. 6,30 x 4,75 m E = ca. 400 x 250 m E = altezza totale ca. 5 m = Foro nel pavimento C unica possibilità d’accesso a C 1


La vasca a barca di Acquarossa ricavata da un masso monolitico, si trovava originariamente in una cantina.

La vasca di BarbÊ (Oggebbio, Italia) dalle dimensioni di 200 x 120 x 60 centimetri contornata da lastre di gneiss e alimentata da una sorgente sotterranea. L’acqua, se le condizioni idriche sono favorevoli, fuoriesce dalla vasca per almeno 20 centimetri e defluisce attraverso la parete rivolta verso valle. Si raggiunge il piano della vasca scendendo 4 gradini dal livello stradale.

40


Altre costruzioni rotonde: Crot e Scélé La cappella di San Léon de Bayonne, venne costruita nell’anno 892 d.C., presenta una forma esagonale e custodisce nell’interno una sorgente. La tradizione cristiana vuole che San Léon venne decapitato sul luogo dagli eretici e che il suo sangue colorò l’acqua. Il fatto rammenta che molti bagni rituali ebraici vennero resi “impuri” con l’insudiciamento di sangue suino. Illustrazione tratta da Saint Léon de Bayonne, di Renée Mussot-Goulard e Pierre Hourmat, Bayonne, 1994.

A sinistra: Un Crot o Scélé nei pressi di Brusio (Grigioni), recentemente ricstruito.

A destra: Un Clochan irlandese.

41


Crot e Scelé, costruzioni rotonde Nelle vicinanze di Poschiavo (Grigioni italiani), non lontano dal Passo del Bernina, si incontrano numerosi costruzioni dotate di una semicupola e chiamate “Crot” o “Scélé” . Secondo la letteratura vigente essi servirono alla conservazione di burro, panna e formaggi. Molti edifici possiedono all’interno una sorgente. “Crot” o “Scelé” mostrano una sezione rotonda, sia all’interno che all’esterno. Diversi presentano una sezione interna quadrata e un’esterna circolare. Il diametro degli edifici va dai tre ai nove metri. Scélé, il rifugio (ted.: Schutzraum, Unterschlupf) riflette il termine inglese „shelter“ protection e il tedesco schirmen, schützen, Schild e Schale. Il termine inglese shele e shell corrisponde al tedesco “Schale”, guscio e conchiglia. Locuzioni che indicano l’azione protettrice: Francese: Grigionese: Ebraico : Russo : Gaelico: Francese:

Chalet Scelé Shelét (Schelét) Schalasch (Schalasch) Cala Cale / chalet / abri

Irlandese: Francese:

Clochan Cloche

Casetta alpina Rifugio, Crot Scudo, riparo Un tetto sopra alla testa, capanna Rifugio, porto Rifugio, riparo à la cale (du soleil) « à l’abri… » Riparo, rifugio a forma di campana Campana

La varietà delle definizioni permette di intravvedere nelle „costruzioni rotonde“ qui elencate una storia ben più emozionante di quella curata fino ad oggi e che vede sempre e solo nevére e ghiacciaie per la conservazione di formaggini e salumi.

42


Clochan, costruzioni del primo medioevo A Clochan is drystone hut with a corbelled roof, dating from the early middle ages. They are most commonly round ('beehive huts), but rectangular plans are known as well. Most experts think that these are later in date. Some Clochans are not completely built of stone, but seem to have possessed a thatched roof. The walls are very thick, up to 1,5 m. Sometimes several clochans are joined together by their walls. This kind of houses have been described in the 7/8th century law Críth Gablach. Prelevo da questo testo solo due particolari: They are most commonly round > Sono normalmente di forma rotonda but rectangular plans > ma anche a sezione quadrata. La grande somiglianza esistente tra le costruzioni qui raffigurate permette di considerare che la realizzazione delle stesse avvenne nel medesimo lasso di tempo o che la forma e l’uso fossero conosciuti da popolazioni comunicanti tra di loro. Talayot Le costruzioni circolari delle Baleari (Menorca e Maiorca), denominate “talayot”, presentano la stessa forma e la medesima tecnica di costruzione, anche se siamo di fronte a proporzioni gigantesche. Il periodo della civiltà dei “talaiots” è situato nel XIII secolo a.C.. Nel libro di Giovanni Semerano, Le origini della cultura europea, a pagina 477, alla voce “Baleari”, trovo la descrizione sommaria riguardante “...Le grotte naturali di Maiorca, [...] e i talaiots a pianta per lo più circolare, come i nuraghi...” Semerano [2002] scrive a pagina 477: “Il nome talayotes, della costruzione megalitica nelle Baleari, acquistò il significato di oppidum (età presupposta celtica) e deriva da base semitica rappresentata da ebr. Talal (‘eminent, high’), ugaritico ti, aramaico tall, accadico telu (altura)...”. Non dimentichiamo che il termine ebraico “talah” significa ancor oggi “mucchio di sassi”.

Un Casun (Kaszun), la costruzione circolare tipica dell’ Istria.

43


BIBLIOGRAFIA American Heritage [2000], The American Heritage: Dictionary of the English Language: IV Edition, 2000. Angela Scandaliato e Nuccio Mulè [2002], La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, p. 126. Ed. La Giuntina, Firenze 2003. Barco, Calvo e Maria, Angel [1982], "Los neveros, una actividad desaparecida en nuestra montanas (Articulo publicado en Zainak, Cuaderno de Antropologia y Etnografia, 14, pp. 203-213). Traduzione dei testi a cura di Gianni Mazzucchelli, 2005. Becchio, Mariella [2002], “Segni”, raccolta di alcune testimonianze storiche, linguistiche e antropologiche della Valle di Blenio. Inedito. Bianconi, Giovanni [1982], Costruzioni contadine ticinesi, Locarno 1982, pp. 131-133. Brosh, Naama [2004], Kunst als Brücke. Biblische Geschichten in der Kunst des Orients. Ed. Museo israelitico di Gerusalemme, 2004. Caminada, Cristian [1986], Graubünden. Die verzauberten Täler. Ed. Desertina, Disentis, 1986, pp. 16, 24, 43, 44. Cardani, Rossana [1995], Il battistero di Riva San Vitale, Armando Dadò Editore, Locarno 1995. Dan Cohn Sherbock [Ebraismo]: Dizionari San Paolo. De Madriaga, Salvador [1886-1978], Cristobal Colomo (Cristoforo Colombo), Ed. Corbaccio, p. 137. Desteffani, Giancarlo [2005], assessore comunale di Trarego (I), testimone che mi comunicò, tra l'altro, che la sua bisnonna veniva dalla Spagna e si chiamava da nubile Carones (da cui Caroni). Dizionario di toponomastica UTET [1990]. Foa, Anna [1999], "Ebrei in Europa" Ed.Laterza, 1999. Francesco d’Assisi [1226], San Francesco d’Assisi: Cantico delle Creature. Grimalt, J.A. [2001], «Entre posar i pondre els ous» (Diari de Balears, 25 de febrer del 2001). Mazzucchelli, Gianni [2005]. Nota dell’autore: Esistono moltissimi testi che descrivono nevère, ghiacciaie, conserve (termine prettamente italiano), ma anche Mikweh o Mikwèe. Consultandoli ci si addentra facilmente in questo capitolo linguistico-etnico-religioso che apre l’angolo visivo necessario a chi vuol conoscere la storia e le radici delle religioni. Medici, Don Ermanno [1948], "Piccola storia di Corzoneso", prima edizione: 1948. Moscati Benigni, Maria Luisa [testo Internet], "Le sinagoghe ancora in uso nelle Marche". Museo etnografico Valle Muggio [1999], La nevèra e la lavorazione del latte nell’alta Valle di Muggio. Quaderno No. 1,. Seconda edizione, 1999. Paolucci, Cecilia Maria [2003], BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 3 Maggio 2003, n. 320, ISSN 1127-4883. Pellegrini, Giovan Battista [1972], “Gli arabismi nelle lingue italiane”, Ed. Paiedia, Brescia 1972. Rabbi Aryeh Kaplan [2002], La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, pp. 95-96. Ed. La Giuntina, Firenze 2003. Sacro Monte di Ghiffa: Arte e storia nella Riserva Naturale della SS. Trinità. Regione Piemonte. Ed. Alberti Libraio, 2000. MISCHNAJOT, cap. VII, p. 481-482: Miqwaot. I sei Ordini della Mischna. Victor Goldschmidt, Basel.

Recchia, Vincenzo [1996], Opere di Gregorio Magno, V. 1, Lettere I – III, Ed. Città Nuova, 1996. Reubeni o Re’ubeni, David [XVI sec.], avventuriero originario probabilmente dall’Etiopia, sosteneva di essere figlio di un re Salomone e fratello di un re Giuseppe, che governava le tribù perdute di Ruben, Gat e Manasse. Nel 1523 giunse a Venezia. [Da “Ebraismo” di Cohn Sherbok, San Paolo [2000]. Ronci, G., "Fonte battesimale" Enc. Catt. 5 p. 1948 e seguenti. Scandaliato, Angela e Mulè, Nuccio [2002], La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, p. 111. Ed. La Giuntina, Firenze 2003. Semerano, Giovanni [2002], Le origini della cultura europea, ed. Olschki, Firenze, 2002. The Tymes [2001], Thursday, October 25, 2001. 44


Pubblicazioni a cura dell’Associazione Pietra e Storia: - 2003: Nuova interpretazione della pittografia rupestre. Fascicolo 1 e 2. - 2005: Il Miqweh di Dongio (Italiano). - 2005: Die Mikweh von Dongio (Deutsch). - 2005: Il lastrone di Dagro (italiano) - 2005: Die Steintafel von Dagro (Deutsch). - 2006: Chiese biabsidali. - 2006: Le primavere di Dagro e Nebra: Lüna növa, tri dì a la pröva, Il calendario lunare (Il lastrone di Dagro CH-TI, Nebra D, Rothenfluh CH-BL). - 2006: Il basilisco della Capriasca, la contessa Crassa: interpretazione storica. - 2006: Barlotto, tregenda, akelarre, sinagoga. - 2006: Pugnali remedelliani e Madonne addolorate. - 2006: Cognomi redenti: da Cagainarca a Vacca.

45


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.