Gianni Mazzucchelli
Nuova interpretazione delle pittografie rupestri Seconda parte: Simbologia da riordinare Tavola mulino - Menorah camuffata Rosa celtica - Nodo di Salomone - Rosa camuna Ruota di Taranis - Bussola preistorica Neser - Il rapace sputafuoco di Blenio Blenio - La Valle di Belenus (Valle dei lumi) I lastroni di Dagro - Osservatorio preistorico Associazione
Pietra e Storia Casella Postale 5 6721 Motto-Blenio Prima edizione, Aprile 2003
No kanto porke m'eskuchen ni porke syentan mi vos, kanto porke no s'ahunten la pena con el dolor. Canto d'amore originario di Orano, in Algeria. Tratto da "Melodie di un esilio" di Liliana Treves Alcalay.
Dedicato a tutti coloro che evocando il passato vivono nella "mimรถria" coltivando perennemente la speranza
Un grazie di cuore alla collaborazione di Mariella Becchio
Pietra e Storia Associazione Pietra e Storia, Casella Postale 5 - 6721 Motto-Blenio
INDICE
Pagina:
Tavola mulino, Filetto, gioco del nove, Menorah camuffata - Petroglifi "alberiformi", "Homme sapin", candelabri ebraici - La "Mimöria" bleniese, il "gioco del Filetto", le macine del mulino, i Tefillin - I tortelli di Purim, le orecchiette di Amann - Il Tempio di Gerusalemme e la Menorah (candelabro ebraico) - Il candelabro del Trivulzio nel Duomo di Milano - L'acquavite e l'albero della vita
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Ca' di Cröisc - Le case dei pagani - Orologio di Mosé dimmi tu che ora è - Lo Shabbat inizia al tramonto del venerdì - Comunicazioni con i "fuochi frasici" - Pagano = Landbewohner = paesano - Pagagn = Lo sbarbatello di Biasca - Marrano, termine complesso - Il viavai attraverso le Alpi - Pan ciok, la Brüscadela
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Cröisc, streghe, nani - I nanini di Deggio - "Scarabot che pasei con quela scarabota..." - Méma, mamma - San Carlo e le streghe - Spiriti e paure - Zwärgij (nani), Selegan (beati) e Hoalagan (santi) in Val Formazza - La Zuana in Val di Fiemme - La notte di Valpurga - Les pierres Jaumâtres du Mont Barlot - La "Canzone dei Crusci" beneventani - San Carlo e i Cröisc - L'eremita di Prosito, la végia du balm
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Cröisc e Grebels: Ebrei e anabattisti - Holle kreichen, rito di battesimo ebraico - La cassina delli Grebel (o Sgrébol) - Contesto: La via alla rovescia, etimologia da capovolgere
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Le streghe della Capriasca - "Au dudigon paor lavare, kan Merzin, kan, e pep mare...."
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Pittografie e simboli da riordinare - Il Nodo di Salomone, la svastica - La rosa celtica e camuna - La ruota di Taranis, bussola "celtica"
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Valle di Blenio, Valle del sole, Valle dei lumi - Uno strano volatile bleniese: Il Neser - La "colomba artigliata" - Il gallo sputafuoco di Blenio e l'anno solare - La "non adottata" bandiera ticinese
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I lapicidi (ted. Steinmetzzeichen) - L'Oratorio di Suna e le tavole mulino - Dalla Scozia a Liestal (Basilea-Campagna)
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Da Dagro a Babilonia - I lastroni e la piramide mozza di Dagro - I simboli astronomici/astrologici di Dagro: l'orante, il rapace, il dragone-serpente - Il gruppo stellare "Pleiadi", cronometro celeste - L'uso pratico dell'astronomia / Il sorgere eliaco - Gli "oranti" della Val Camonica (I), le "rose camune", le Pleiadi - Le tavole del re Seleukus (311 a.C.) e i lastroni di Dagro - Corvo, Serpente e Coppa, costellazioni antichissime
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Tavola mulino o Filetto: Simbologia ebraica I "petroglifi alberiformi" sono candelabri Menorah Due cataloghi della petroglifia: "L'arte rupestre del Lago Maggiore" 1) e "Archeologia rupestre della Svizzera Italiana" 2), mostrano molto chiaramente candelabri a 5, 7 e a 9 bracci che vengono costantemente descritti come "petroglifi alberiformi". Anche la gigantesca Menorah del Duomo di Milano viene chiamata "l'albero", l'argomento va in profondità. A sinistra: Petroglifo "alberiforme" ritrovato sulla chiave di volta (masso centrale dell'arcata) di un portico in una via di Pallanza (Italia), ma che in verità riproduce una Menorah a cinque bracci.
Sotto: Petroglifi di Vignone (Italia), che si presumono "sistemati alla rovescia" 1), pensando che si tratti di "oranti". Sono due Menorah o candelabri ebraici e una croce "a tre corni", presente anche sulle lapidi funerarie dei cimiteri di Gerusalemme 3). Le due fotografie sono tratte da "Arte rupestre del Lago Maggiore" 1), il commento è dell'autore G. Mazzucchelli 4).
Ma l'è mia posibil! L'homme sapin, invenzione malstudiata Lo stesso libro riproduce il Sasso di Piero (in località Curiglia, non lontano da Luino, Italia), sul quale sono visibili i petroglifi denominati "homme sapin" cioé "uomo-pino". Qui è evidentissimo che si tratta di rappresentazioni di candelabri ebraici o Menorah. Nella didascalia si legge che il Sasso di Piero recava anche "...una croce fiorita, dai vertici arcuati e biforcati" 1). Tutti simboli assomiglianti a quelli riprodotti qui sopra: Menorah e "croce a tre corni" 3). 1
Le pittografie rupestri raffiguranti le tavole mulino Franco Binda riproduce parzialmente, nel suo libro "Archeologia rupestre" 2), il masso No. 260 di Medeglia, Sass Duralt, segnalato da Urs Schwegler, (pagina 119) che rappresenta un "Gioco del nove o del mulino o filetto". L'autore descrive la Menorah scolpita al centro come segue:
"Interessante l'inciso a forma di tria rettangolare, con al centro un alberiforme? eventualmente un antropomorfo?". Descrizione che sostituirei con: "Evidente riproduzione di una Menorah ebraica a 6 bracci, racchiusa in una Menorah "camuffata" (gioco del mulino) e scolpita su una parete verticale che non permette l'uso 'normale' del gioco". Impossibilità di "giocare" Mentre la posizione orizzontale delle sculture (tavolo e muretto) permettono la definizione di "tavole da gioco", troviamo la stessa pittografia anche su pareti rocciose "perpendicolari" che abbisognerebbero di pedine-calamita per lo svolgimento del passatempo. Il masso con l'incisione sulla parete verticale Sul Sas Duralt il motivo è scolpito sulla parete "verticale" di una rupe in posizione panoramica, sopra la frazione di Canedo, nel comune di Medeglia. Situato a lato del sentiero che sale verso i Monti di Troggiano. A sinistra: Sas Duralt. Gioco del mulino o Filetto, con la Menorah a 6 bracci scolpita nel mezzo 2).
La "Mimöria" La "Memoria", o come dicono i bleniesi (TI) "Mimöria" è il luogo dove si ricordano i defunti. In quel luogo la mente rievoca, spera e riposa. E' facile immaginare che il "gioco del mulino" raccoglieva attorno a sé la gente che, giocando, sognava il nuovo Tempio. Memoria o Mimöria non è solo ricordo patetico di chi fu, ma comporta anche la speranza che si avveri ciò che i Maestri dissero e scrissero. L'antico "Gioco del mulino" Questo gioco, detto anche "del nove" o "Filetto" è conosciuto in tutto il mondo e ha origini antichissime. Schemi del tavoliere del Mulino sono stati trovati incisi sulle pietre del tetto del tempio egizio di Kurna (XV sec. a.C.) e sulla scalinata del tempio di Mihintale (9-21 d.C.) nell'odierno Sri Lanka. Un altro disegno fu trovato negli scavi della prima città di Troia. La raffigurazione trovata nella località irlandese di Wicklow si presume portata da commercianti greci o fenici. Il gioco del mulino raffigurato sul monumento funerario a forma di nave, a Gokstad, in Norvegia, data del 900 d.C. 2
Il gioco del mulino, qui sotto raffigurato, è scolpito su un'antichissima macina granitica, oggi usata come tavolino nell'orticello di un villaggio dell'Alto Verbano, Barbé/Oggebbio. Non lontano da questa raffigurazione, sul muretto della chiesa romanica di Cadessino/Oggebbio, ce n'è un'altra, vicino a due belle coppelle.
Il tavolino ricavato da una macina di mulino, scolpita con -----> la figura qui sopra riprodotta (gneis, diametro: ca. 90 cm). La Menorah a sette bracci e il miracolo dell'olio Al candelabro a sette bracci si aggiunge quello a nove bracci che appartiene al rito di Chanuccah (tra novembre e dicembre), la festa delle luci e commemorazione del miracolo dell'olio (165 a.C.). Il libro dei Maccabei racconta che il secondo Tempio venne benedetto al 25. Kislew dell'anno 165 a.C. e in questa occasione si trovò solo un piccolo resto di olio sacro e puro, che sarebbe bastato solo per un giorno. In verità l'olio bruciò nella Menorah per ben otto giorni, così che si ebbe il tempo per procurare olio nuovo. A sinistra: Tavola mulino. Oratorio Santi Sebastiano e Fabiano (fine XII secolo) di Suna 1).
Giulio Busi 5) scrive: "Quando i greci penetrarono nel Tempio, contaminarono tutto l'olio che vi si trovava. Allorché il partito degli Asmonei ebbe la meglio e conseguì la 3
vittoria, si esaminarono le scorte ma si trovò che solo un'ampolla, con l'olio per il sigillo del sommo sacerdote, non era stata resa impura. Il contenuto sarebbe bastato ad accendere il lume per un solo giorno ma avvenne un miracolo, e durò per otto giorni; l'anno successivo si indisse pertanto una festa di otto giorni (Megillat Ta'anit, ed. Neubauer cit., p. 15)". "Un giorno, si immerse nell'acqua lustrale il candelabro. I sadducei dissero: Guardate i farisei, che vogliono lavare la ruota del sole (yHagigah III.79d)" 5). "Menorah: è la Sekinah, che riluce nel segreto dei sette lumi, poiché le sette sefirot superiori si riversano nelle sette lampade. Vi è anche un candelabro superno, rappresentato dalle sette sefirot considerate in se stesse [Moseh, Cordovero, Pardes rimmonim XXIII.13 Sa'ar ha-kinnuyim, ed. Munkacs cit., vol. II, c. 28d]". Il gioco detto "Filetto" e i filatteri ebraici Un altro nome per il gioco del mulino è "Filetto". C'è chi dice che la definizione derivi dal fatto che tre pedine messe in fila permettono di "mangiare" la pedina dell'avversario. La rappresentazione del gioco, tre quadrati concentrici divisi orizzontalmente e verticalmente da mezzelinee, ricordano la forma e parzialmente la funzione dei filatteri (ebr. Tefillin). I due quadrati, divisi ciascuno in 4 parti, ricordano la suddivisione e i quattro versetti contenuti nella filatteria della testa, mentre quella del "braccio più debole", il sinistro, possiede solo uno scompartimento. Jonathan Pacifici: Parashat Bo 5762: "Questi concetti sono riscontrabili in maniera assolutamente simmetrica nei Tefillin. Quelli della testa hanno quattro scompartimenti ed i quattro brani sono separati così come le diverse categorie di ebrei secondo la valutazione Divina. È l'approccio degli occhi, della ragione, della Hashgachà. La Tefilla del braccio, quella vicina al cuore, è invece fatta di un solo scomparto e una sola pergamena". < Marc Chagall: Il Rabbino con i filatteri. (da: Leo Hirsch: Jüdische Glaubenswelt, Victor Goldschmid-Verlag, 1978).
Tefillah (plur. Tefillin o filatteri del capo e del braccio sinistro) Giulio Busi 5): "615. La tefillah (del capo) si compone di quattro scomparti, e corrisponde al segreto del grado superno, in riferimento al nome del Signore, sia Egli benedetto, come è spiegato in base al versetto: Tutti i popoli della terra vedranno e temeranno te su cui è invocato il nome del Signore (Deut. 28.10). Delle quattro pericopi della tefillah del capo, la prima (Consacrami ogni primogenito, Es. 13.2) allude al mistero della santità superna, il segreto del grado del pensiero superiore, che racchiude tutti gli altri gradi, fondati nella loro santità. E' chiamato "Santo", e da esso derivano gli altri tipi di santità, inizio di tutti i gradi, dal principio dell'aria tersa e inaccessibile (Moseh de Leon, Sefer ha-misqal, ed. Wijnhoven cit., p. 102)". 4
"616. Nello Ze'er anpin si trovano quattro cervelli. Si completano in tal modo i quattro testi che sono scritti nelle filatterie, giacché in essi è contenuto il sacro nome dell'Antico dei giorni, dell'Antico degli antichi e quello dello Ze'er anpin. ...Il nome Yhwh è il vero nome del Signore, le cui quattro lettere sono i quattro canali degli astucci delle filatterie. 618. I quattro passi contenuti nella tefillah del braccio corrispondono alle quattro lettere del nome Adonay ('dny), che servono di custodia alle quattro lettere di Yhwh. Adonay è infatti il palazzo (entro cui ha dimora) il Tetragramma, secondo il senso recondito del versetto: Il Signore (Yhwh) è nel suo palazzo (Ab. 2.20). I quattro passi inseriti nella tefillah del capo indicano invece le quattro lettere di Yhwh, che a loro volta servono di custodia alle quattro lettere del nome Ehyeh ('hyh). (Natan Spira, Megalleh 'amuqqot 172)" 5). Testimonianza bleniese Lucio Emma, sapiente di Olivone, raccontava che gli abitanti di Lavorscen, piccola frazione di Olivone in Val di Blenio, che amavano il ballo nonostante i severi divieti della chiesa ambrosiana, erano detti "scorlabindigl" ossia, coloro che scrollano ballando i nastri, i filatteri 6). ...proibiamo che essi osino danzare... I Giudei devono distinguersi dai cristiani per il modo di vestire: "Nei giorni delle lamentazioni e nella domenica di Passione essi (i giudei) non osino comparire in pubblico, dato che alcuni di loro in questi giorni non si vergognano di girare più ornati del solito e si prendono gioco dei cristiani, che a ricordo della passione santissima del Signore mostrano i segni del loro lutto. Questo, poi, proibiamo severissimamente che essi osino danzare di gioia per oltraggio al Redentore" 12). Il gioco del nove Le due mezzerighe sovrapposte ai due quadrati del gioco, dividono i quadrati in 2 volte 4 parti, con il quadrato centrale si ottengono così 9 aree. Inoltre ogni giocatore riceve 9 pedine. Il gioco del mulino, le macine, la manna Anche la lingua tedesca (dial. svizzero-tedesco: Mühlistei, ted. Mühle) e la lingua francese (le joeux du mulin) ripetono, nella denominazione del gioco, le voci "macina" e "mulino". La macina riduce il grano in farina con la quale si fa il pane, ma anche la "manna". Il cibo che sostentò gli Ebrei liberati dalla schiavitù egiziana e che errarono ben 40 anni nel deserto. La manna "252. (La manna) ...aveva il gusto di schiacciata fatta con il miele (Es. 16.31). Più avanti è detto: Il suo gusto era come il gusto della pasta oleata (Num. 11.8). I nostri maestri hanno spiegato che la manna era come miele per i bambini e come olio per gli adulti (bYoma 75b). ...Il popolo la triturava nelle macine oppure la pestava nel mortaio (Num. 11.8)" 5). "254. Devi sapere che i due attributi di eternità (nesah) e fasto (hod), che corrispondono al nome Yhwh Elohim Seva'ot, sono detti nubi (sehaqim), e costituiscono le due dimore che preparano la manna per i giusti: per questo sono 5
denominati "macine" (sehaqim). Questo è quanto affermarono i nostri maestri, di benedetta memoria: "Le nubi sono là dove si trovano i mulini che macinano la manna per i giusti" (bHagigah 12b; cfr. Mistica cit., p. 12)" 5). Manna e Menorah Le consonanti basilari di "Menorah" e "Manna" sono le stesse (lettere dell'alfabeto ebraico Mem - Nun). L'antica lingua ebraica scritta, riproduceva solo le consonanti. I due termini qui trattati, nascevano quindi dalla stessa radice e venivano completati solo nell'oralità con le vocali. Un testo in lingua inglese conferma questa osservazione. "This takes us back to the name of the lampstand also for the first part of the word "Menorah" comes from the Hebrew word "man" translated as "manna." Manna was the bread from heaven that Yahweh gave to Israel in the wilderness which sustained them for the whole forty year period (Ex. 16, esp. verse 4; Psa. 105:40, 78:24). The manna, just as the menorah, was a type of heavenly things. Menorah, il candelabro, il pane e le "orecchie di Aman" "...In base a quanto riferito nel Levitico, la menorah mosaica andava collocata nella tenda del convegno, sul lato meridionale e di fronte alla tavola aurea con il pane della presentazione; i suoi lumi ardevano dalla sera alla mattina (Lev. 24.3)" 5) . Menorah significa in ebraico "candelabro". Alla sequenza in lingua ebraica mem - nun (Man = manna) viene aggiunto un he mem - nun (Ha-ma-n = Aman), nome del malvagio persecutore degli ebrei citato nel libro di Ester. E' antico uso, alla festa ebraica di Purim (14-15 Adar, data che corrisponde, per l'anno 2003 e.v., al 25-26 febbraio), di mangiare le "orecchiette" di Aman, fatte di farina e rosolate nell'olio bollente. Il nemico (il tiranno Aman), macinato, serve così da cibo per i giusti. Questo tipo di dolce fa parte delle tradizioni carnevalesche moderne ed è presente in diverse regioni, sotto diversi nomi. In Piemonte lo si denomina "Chiacchere", nella Svizzera di lingua francese "Merveilles" e in quella di lingua tedesca "Fasnachtschüechli", "Rosechüechli". Purim, giornata di allegria, più che una festività sacra, ricorda la salvezza del popolo ebraico ad opera della regina Ester. Per rievocare la salvezza bisognava ubriacarsi in modo tale da non più distinguere Aman (perfido ministro di Assuero) da Mardocheo (zio di Ester). Ecco la ricetta delle "orecchiette di Aman" o "tortelli di Purim": - Ingredienti: 2 uova, 1 uovo di vino, 1 uovo d’olio, 2 cucchiai di zucchero, 1 pizzico di sale vaniglia o buccia di limone o d’arancia grattugiata, farina quanta n’occorre per formare una pasta molto morbida. - Esecuzione: Battete le uova con lo zucchero, aggiungere la presina di sale, il vino, l’olio, la vaniglia (o raschiatura di limone o arancia) ed impastare con la farina. Spianarla, tagliare delle strisce di circa 15 cm. di lunghezza. Girarle tra le mani a forma di “perlé” o annodarle a piacere. Indi friggere in olio bollente, scolarle e lasciarle asciugare bene prima di spolverarle di zucchero vanigliato. Molte sono le varianti dei tortelli di Purim, carnevale ebraico che cade più o meno alla metà della Quaresima cristiana, come la "festa di corer", o di "nisciol" di Biasca. Elena Loeventhal 7) sottolinea nel suo libro di ricette kosher che è molto importante che "...l'orecchio del tiranno sia croccante e che l'affondarvi i denti dia quel kra-kra di soddisfazione".
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L'architettura del secondo Tempio di Gerusalemme a forma di Menorah a sette bracci
La ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, distrutto nel 70 d.C., è il grande desiderio che accompagna la vita dell'ebreo. La pianta del Tempio aveva la forma di una Menorah (candelabro) a sette bracci e venne trasportata nel tempo, "camuffata" sottoforma di "Tavola mulino", "Gioco del mulino", "Gioco del nove" o "Filetto". G. Mazzucchelli Il Tempio Il primo Tempio venne demolito dai babilonesi nel 586-587 a.C.. Nello stesso anno incominciò la costruzione del secondo Tempio. Il profeta Zaccaria introdusse nella costruzione la Menorah d'oro (Zacc. 4.2-3). Nell'opera "La guerra giudaica" 8) si legge che fra tante sciagure, quella che colpì maggiormente la nazione ebraica, fu il fatto che il condottiero romano Pompeo, nell'anno 63 a.C. irruppe nella parte del Tempio permessa solo al sommo sacerdote. Il condottiero romano vide così la Menorah d'oro, le lampade e i vasi per le libagioni e gli incensieri tutti in oro massiccio, nonché una grande quantità di aromi. Il tesoro del Tempio aveva un valore di 2000 talenti. Pompeo, per rispetto non toccò nulla di ciò. Nell'anno 70 e.v. l'imperatore romano Tito Flavio, per sedare definitivamente la rivolta degli ebrei che continuavano a lottare per l'indipendenza del proprio paese, rase al 7
suolo Gerusalemme e distrusse completamente il Tempio di Re Salomone, dando la morte a centinaia di migliaia di ebrei, vendendone altrettanti come schiavi inviati a migliaia a bonificare le terre impervie e paludose dell'impero . Privata della struttura unificante di uno Stato e del Tempio, la comunità ebraica si sparse per il mondo dando inizio alla Diaspora, senza tuttavia mai dimenticare il luogo delle proprie origini e portandosi dietro i propri simboli.. All’epoca di Gesù il Tempio era stato completamente rifatto da Erode il Grande, che aveva iniziato i lavori di restauro e ampliamento nel 20-19 a.C., e aveva terminato nel giro di un anno e mezzo il Tempio vero e proprio, rispettando il disegno tradizionale salomonico; ma i lavori sulle parti restanti terminarono solo nel 64 d.C., pochi anni prima della sua definitiva distruzione da parte dell’esercito del generale romano Tito. I vangeli fanno allusione alla lunghezza di questi lavori, ed all’imponenza delle opere realizzate. Sebbene quello di Erode fosse in realtà il terzo edificio, esso è considerato tradizionalmente come facente parte dell’epoca del secondo Tempio, considerandolo moralmente tutt’uno col Tempio dei reduci dall’esilio babilonese. Nell'Arco costruito a Roma per il trionfo di Tito, venne raffigurata la sconfitta degli ebrei costretti a portare sulle spalle la grande menorah d'oro, uno dei principali oggetti rituali del Tempio. Tito portò a Roma più di 40'000 schiavi ebrei che rafforzarono così la già importante presenza ebraica sul territorio "europeo". Per secoli questo monumento ha rappresentato per gli ebrei di tutto il mondo, che a migliaia vengono in pellegrinaggio all'Arco di Tito, il ricordo bruciante di quella antica sconfitta che ha dato inizio alla loro dispersione, ma anche la testimonianza storica dell'esistenza del Tempio e di una nazione ebraica in terra di Israele. La menorah del Tempio oggi è rappresentata sull'emblema dello Stato d'Israele come simbolo della ritrovata indipendenza nella propria terra d'origine. La Menorah in oro massiccio Menorah o candelabro a sette bracci: "Mi farai – dice il Signore a Mosé (Esodo, 25:31-40) - un candelabro d’oro puro fatto tutto d’un pezzo: il piedistallo e il fusto, i suoi calici, i suoi bocciòli e i suoi fiori formeranno un solo corpo con esso. Sei rami usciranno dai suoi lati, tre rami del candelabro da una parte e altri tre dall’altra…". La Menorah è citata in numerosi passi biblici: in Esodo 37:17-24 per dire che Betzalel, l’artista designato da Dio in persona, ha costruito il candelabro esattamente come l’aveva progettato il Signore. Sempre in Esodo, 30:27 per raccomandare che il candelabro, insieme ad altri oggetti del Tabernacolo, sia unto con olio sacro. Ancora in Esodo il candelabro è citato tre volte: quando il lavoro è ultimato e portato a Mosé (39:37), allorché il Signore ne ordina a Mosé la collocazione nell’Abitazione o ‘Tenda dell’incontro’ a lui consacrata (40:4) e Mosé esegue (40:24). In Levitico (24:3) per precisare a chi è concesso accenderlo. In Numeri è citato due volte: (3:31) per ribadire che l’accensione del candelabro è riservata ai leviti (cioè ai discendenti della tribù dei Levi) e (8:24) per la raccomandazione del Signore a Mosé che le sette lampade illuminino la parte anteriore del candelabro. 8
Il candelabro d'oro massiccio, razziato dai romani di Tito dal tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. è fino ad oggi introvabile, cadde poi nelle mani dei Goti. Lo storico Prokopius descrive il bottino fatto dai Goti durante il saccheggio di Roma: "... i tesori di Salomone, re degli Ebrei, consistevano in grandi quantità di gioielli adorni di smeraldi ". Alarico, re dei Goti, morì nello stesso anno della conquista di Roma, a Cosenza, sulla strada verso la Sicilia e venne sepolto, secondo la leggenda, nel letto del fiume Busento con tutto il tesoro, Menorah compresa, a tutt'oggi introvabile. Il candelabro Trivulzio del Duomo di Milano Il candelabro di bronzo dorato a sette bracci, donato al Duomo dall'arciprete Giovanni Battista Trivulzio nell'anno 1562, è detto, per la sua forma, "l'Albero". Il piede è formato da quattro draghi recanti sulla testa scimmie, lepri e altri animali. Sul tronco si distinguono, tra complicate decorazioni di foglie, grappoli d'uva, pigne, uccelli e serpenti, oltre a numerosissime figure scolpite: Adamo ed Eva e personaggi della Bibbia e del Vangelo. La Vergine Maria e il Bimbo Gesù in attesa dei Re Magi. Questi ultimi cavalcano tra ornamenti a forma di foglie. I bracci del candelabro sono adorni di pietre rare 10).
Strana coincidenza: Il Duomo di Milano, visto di fronte, sembrerebbe una Menorah a 7 bracci gigantesca, formata dalle sei colonne gotiche della facciata e completata dalla guglia della Madonnina, al centro. Visto dall'alto e da Nord il Duomo riproduce la Menorah a 8 bracci (Menorah di Chanukkah, festa del miracolo dell'olio) il cui braccio centrale è di nuovo la guglia della Madonnina. Quando si dice il caso! La costruzione del Duomo di Milano (inizio 1200) avvenne in epoca in cui le lotte tra le chiese era in pieno svolgimento.
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L'albero della vita La campana di un vaso di distillazione (Destillierglocke) ritrovata a Costanza (XIV secolo d.C.). Il beccuccio per la fuoriuscita del distillato era situato ai piedi dell' albero della vita che riproduce il candelabro a sette bracci (Menorah). Il distillato venne così chiamato "aqua vitae" o acquavite. Il prodotto da distillare si trovava nel recipiente situato sotto alla campana, la quale raccoglieva il vapore e lo condensava sulle sue pareti interne. Un canaletto all'interno della campana raccoglieva il distillato, che fuoriusciva dal beccuccio di scarico, al piede dell'albero della vita 11). (Peter Kurzmann: Die Destillation im Mittelalter, 2000).
Il concetto di Pietra e Storia è di ridare ai simboli, ai segni, alle pittografie rupestri, ecc., quella parte di storia che scopre nella loro bellezza i loro significati. Non fermiamoci là dove la vanità o il piacere del successo ci obbligano a non "scoprire" più nulla per non contraddirci. La storia non è un ripostiglio di cose vecchie, ma una scia lasciataci dai nostri avi, per mantenere la rotta nel mare del mondo.
...e per finire A sinistra: Il candelabro di Nazca appartiene ai numerosi e misteriosi simboli tracciati circa 2000 anni fa nella pianura di Nazca (Perù) e sui pendii delle montagne adiacenti. La somiglianza con un candelabro ebraico (Menorah) è evidente.
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BIBLIOGRAFIA 1
) Franco Buffoni e Edoardo Zuccato: L'arte rupestre del Lago Maggiore, ed. Interlinea, 1999. ) Franco Binda: Aarcheologia rupestre della Svizzera Italiana, Armando Dadò, editore, 1996. 3 ) Pubblicazioni dello Studium Biblicum Franciscanum, No. 14 di P E. Testa, "Il simbolismo dei Giudeo-Cristiani", Gerusalemme, Tipografia dei P P. Francescani, 1962. 4 ) Gianni Mazzucchelli, 4467 Rothenfluh, autore della "Nuova Iinterpretazione della pittografia rupestre, ed. Pietra e Storia, 2002/2003. 5 ) Giulio Busi, Simboli del pensiero ebraico, ed. Giulio Einaudi, 1999. 6 ) Testimonianza orale di Mariella Becchio, Motto-Blenio. 7 ) Elena Loeventhal, nel suo libro "Buon appetito Elia", (ed. Baldini e Castoldi), 8 ) La guerra giudaica Bellum Iudaicum, scritta originariamente in aramaico, tradotta in greco tra il 75 e il 78 d.C. da Flavio Giuseppe. A cura di Giovanni Vitucci, Vol. I, editore Valla/Mondadori. 9 ) (Da "Historische Atlas van Het Joodse Volk van de aartsvaders tot heden, pagina 17, "Atlante storico del popolo ebraico", Zanichelli, 1993) 10 ) Il nostro Duomo, Comune di Milano, 1955. 11 ) Peter Kurzmann: Die Destillation im Mittelalter, 2000. 12 ) Concili ecumenici (Concilio Lateranense, 1215). Ed. UTET 1978. 2
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Resti di una "casa dei pagani" o "ca' di crรถisc" di Chiggiogna. Foto: Alda Fogliani, Biasca
Gianni Mazzucchelli
Ca' di Crรถisc La strega Crรถiscia Crรถisc e Grebels la canzone dei Crusci del Beneventano nani, folletti e fate spiriti maligni e benigni della Valle di Blenio della Capriasca e di altre valli apine
Associazione
Pietra e Storia Casella Postale 5 6721 Motto-Blenio Prima edizione, 2003
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LE CASE DEI PAGANI, DEI CRöISC o CRUSCI Le case dei pagani Mosé Bertoni 1) descrisse già nel 1883 “le abitazioni dei Cröisc o Grebels o il Paganesimo nella Valle di Blenio” (Bollettino storico della Svizzera Italiana, N. 9). La riedizione del suo testo, curata e commentata da Peter Schrembs: Le Case dei pagani, ed. La Baronata, 1996, è completata da numerose prese di posizione e commenti di diversi autori noti a livello locale nel campo della dialettologia e della storia ticinese e romanzaLa prefazione di Giuseppe Chiesi non contiene molte lodi per il lavoro di Bertoni, anzi suscita l’impressione che il nodo gordiano delle deduzioni di Bertoni venga finalmente tagliato con diversi colpi di accetta, che però non sciolgono il nodo, ma lo martirizzano. Merito di Mosé Bertoni è di aver portato la discussione su relitti architettonici che solo la popolazione locale conosceva e denominava, e se l’entusiasmo del ricercatore induceva all’esclamazione: “la spiegazione dell’enigma noi l’abbiamo, e chiara ed indiscutibile” perché quegli edifici erano “gli ultimi rifugi degli ultimi pagani scomunicati dal mondo cristiano”, ben si saluti la capacità di Bertoni di “conservare” i termini toponomastici e la destinazione degli edifici tramandati nella tradizione linguistica popolare. Bertoni vuole trovare il perché di quelle costruzioni e afferma che le “case dei pagani” della Valle di Blenio e di altri luoghi del Canton Ticino erano posti di vedetta, collegati tra loro da segnali luminosi (fuochi) e dal suono dei corni: ...Infatti, la tradizione dice che sulle finestrelle aperte sui lati di quelle case vi si ponesse di nottetempo un chiaro di colore bianco o rosso a seconda che vi era pericolo o meno. A sinistra: Schizzo dell'Architetto Enrico HartsuykerCuriel, Locarno, che presume la possibile "linea ottica" di trasmissione e di ricezione dei segnali luminosi tra le "case dei pagani". Le località, da Sud a Nord: Biasca, Malvaglia, Semione, Navone, Motto, Stabbio, Corzo-neso, Dongio, Marolta, Torre, Olivone. Orologio di Mosé dimmi tu che ora è ! La filastrocca conosciuta a Olivone e il disegno qui accanto, lasciano dedurre che le "segnalazioni" per la Valle Leventina e la Valle di Blenio venivano trasmesse in un baleno. Non dimentichiamo l'importanza della comunicazione dell'orario di entrata dello Sabbath ebraico di ogni venerdì sera e che dipende dalla conoscenza dell'ora esatta del tramonto solare. Specchi e fuochi portavano informazioni di ogni genere fino ai luoghi più nascosti delle valli. Esempio: Kastel, un'ulteriore "casa dei pagani", sopra Malvaglia "serviva" Val Malvaglia e Val Cavargna. Una testimonianza: “A strapiombo sull’Alp dra Piota (imbuco della gola) si scorge ancora oggi un muro di calce, assomigliantissimo a quelli di Dongio e di Malvaglia.... È un punto di vista meraviglioso dal quale le segnalazioni potevano esser viste da Curterio, da Dongio, da Campo e da Camadra” 2). 13
La festività dello Shabbàt inizia al tramonto del venerdì sera Ma la principale festività ebraica è lo Shabbàt, inizia al tramonto del venerdì e termina al tramonto del Sabato. Alla donna il compito di accendere le candele e di recitare la benedizione cui farà seguito, da parte del capofamiglia, il kiddush (benedizione) sul vino e sulle challoth (i bianchi pani del Sabato) alla presenza di tutti i membri della famiglia. La definizione di "giorno" Mentre presso gli antichi Romani il giorno iniziava legalmente a mezzanotte, nel Medioevo prevalse l'uso ebraico e dei popoli orientali (con calendari lunari o lunisolari) di considerare la durata del giorno dal tramonto del sole al tramonto successivo. Azimut 233 ° - 308 ° Tra i punto dell'orizzonte (Azimut) dove il sole tramonta al 21 dicembre (solstizio invernale, giorno più corto, azimut 233 °) alle ore 16.42, e quello del 21 giugno (solstizio estivo, giorno più lungo dell'anno, azimut 308 °) alle ore 20.30, c'è una differenza di ben 75 °. In ogni regione l'orario dell'entrata dello Shabbat varia secondo la latitudine e la longitudine terrestre del luogo. L'entrata dello Shabbat rispetta così i criteri astronomici sopra accennati e varia da settimana a settimana. Esempio tratto dalla rivista giudaica "Tachles" per il venerdì sera, 14 marzo 2003: Comunità israelitiche: Baden Basel Bern La Chaux-de-Fonds Lengnau Luzern Lugano Fribourg St. Gallen Zürich
Entrata/Mincha, ore: 18.10 18.15 18.18 18.15 18.10 18.10 18.19/18.44 18.15/18.45 18.05/18.30 18.10
La legge italiana dell'8 marzo 1989, n. 101, regola, con un decreto rilasciato dal Ministero degli Interni, i rapporti tra lo Stato e l'Unione delle comunita' ebraiche italiane sulla base dell'intesa stipulata il 27 febbraio 1987; L'art. 4 della citata legge dice: 1) la Repubblica italiana riconosce agli ebrei il diritto di osservare il riposo sabbatico che va da mezz'ora prima del tramonto del sole del venerdi' ad un'ora dopo il tramonto del sabato. L'importanza della segnalazione per gli ebrei e per i greci Una volta stabilito quale giorno fosse il primo del mese nuovo, il Sinedrio mandava da Gerusalemme dei messi in tutti i Paesi per far sapere quale era stato il giorno di inizio del nuovo mese, in modo che si sapesse quando dovevano cadere le varie feste (un tentativo di far arrivare presto le notizie, attraverso una specie di telegrafo ottico, venne abbandonato, secondo quanto riferisce la Mishnà, perché i samaritani avevano preso a fare segnalazioni false per far cadere in errore i giudei da essi odiati); i messi, che dovevano coprire le distanze a piedi o a dorso d'asino o a cavallo, pur essendo autorizzati a viaggiare anche di Shabbath e in giorni 14
festivi, difficilmente potevano arrivare in giornata in tutte le località di Erez Israel, e quindi anche in molte località di questo Paese il capo mese e il Rosh ha-Shanà si celebravano generalmente durante due giorni, essendo nell'incertezza se il mese precedente era stato di 29 o 30 giorni, e così si arrivava, per esempio, ad un giorno che poteva essere il 14 o il 15 di Nisan, a seconda se Adar era di 29 o di 30 giorni, e via dicendo. Un sistema antichissimo di comunicazione era costituito dai "fuochi frasici", ottenuto con segnali di luce e fumo, da cataste di legno accese. Venivano comunicati messaggi attraverso una catena di fuochi per la ripetizione a vista. Così i greci annunciarono a grandi distanze la presa di Troia, e Annibale allo stesso modo ricevette notizie dall'Africa alla Sicilia, con una stazione intermedia a Pantelleria (forse sulla stessa altura scelta dalla Rai per il ripetitore televisivo istallato a metà degli anni Settanta in base alla convenzione con la Tunisia). I cinesi adoperavano razzi luminosi, già al tempo della costruzione della Grande Muraglia, per comunicare, con una certa precisione, la consistenza delle orde tartare che si stavano avvicinando lungo i 2500 km del sistema protettivo. In Val di Blenio Lucio Emma riferisce il racconto di Don Ortensio Scapozza riguardante l'abitudine dei cröisc di segnalare l'avvicinarsi di gente per loro pericolosa: "Jera di grüpp, sa i vadeva um pericul j's viséva sübit sübit. Quii d'isgiù i faséva ul sagnal, dal dì col spècc o col corno e d'nöcc cul föoc e in un attim is scundéva tüt...". Erano gruppi che se vedevano un pericolo si avvisavano subito. Quelli che abitavano in basso facevano un segnale, di giorno con specchi e suoni di corno, di notte con fuochi e in un attimo erano tutti nascosti 3). ...e per gli Svizzeri La storia svizzera racconta un fatto tratto dalla battaglia del Morgarten: "Falls den Feind ihr erblicket, Höhenfeuer anzünden ihr sollet", accendete i fuochi al momento in cui avvisterete il nemico che si avvicina. I commenti critici Il commento critico di Carlo Salvioni, specialista in glottologia romanza e dialettologia italiana, nel quale viene quasi bocciata la teoria del Bertoni, per ciò che riguarda l’uso delle abitazioni nel contesto religioso cerca di “precisare”: “...punto di vedetta o di difesa, rifugio in tempo di guerra, luogo di segregazione per lebbrosi, ritiro di eremiti, nido di malviventi, prigione per le streghe”. Questo elenco non permette di posizionarsi nella storia e non apre nessuna strada verso risultati soddisfacenti. Per gli eventuali briganti quell’alloggio rappresentava più una trappola che un nido. Anche gli scarsi reperti archeologici citati e illustrati da Lukas Högl 11) non bastano a illustrare un’epoca storica o uno strato di storia umana. Queste case, costruite in luoghi impossibili e impervi, vennero usate come abitazioni instabili e, di conseguenza, abbandonate quando la funzione di “vedetta” o di eremitaggio divennero inutili. Nella fantasia popolare esse si trasformarono in rifugi per quelle creature che da sempre vennero esaltate e immerse nel buio della superstizione. Nani, streghe cattive e fate buone. Le narrazioni popolari che vedono il nano o la strega dare consigli su come fare il formaggio e che, nottetempo, trasportano fieno e legna nelle case, o che 15
scendono in paese per rapire i bambini e mangiarseli, sono innumerevoli e possiedono un’espansione paneuropea. Da non dimenticare I cognomi Pagani e , frequenti in Val di Blenio, vantano uno stemma di famiglia che raffigura, tra l'altro, la testa di un “pagano” o di un saraceno, incappucciata di nero o di colore nero e recante una fascia "alla saracena" o alla moda dei corsi. Anche se l’araldica rappresenta in pochissimi casi la verità storica ed è frutto di “invenzioni” recenti, si tratta di un indizio interessante da ricercare. La denominazione popolare “ca’ di pagan”, data a quegli edifici misteriosi costruiti sulle pareti a strapiombo, ispirarono il “castello”, edifici abitati da popolazioni non cristiane, ebree o saracene”. Il cognome Pagani deriva dal latino “paganus” abitante del villaggio, che è contrapposto all’urbanus, abitante della città. I pagani erano gli abitanti di un “pagus”, la loro resistenza verso la cristianizzazione produsse già nel 365 d.C., il sinonimo o nom-de-guerre per “non-cristiano”. Notizie, queste, riportate da autori noti come Carlo Salvioni: Ancora delle Case dei Pagani. Ottavio Lurati: “Ca' di pagan”, Leopoldo Pagani: Memorie di un Bleniese, Alfredo Lienhard-Riva: Armoriale Ticinese, ecc.. Il tutto ben elencato nel libro di Mosé Bertoni, p. 134 1). Pagani = non-cristiani? Pagani divennero poi tutti coloro che non appartenevano alla comunità cristiana e alla schiera delle “persone perbene”. I Crusci o Cröisc, in Val di Blenio, in Val Verzasca, nel Mendrisiotto e sopra Losone, erano “pagani”. Pagani, "abitanti del pagus" Oggi siamo soliti indicare le persone non cristiane come "pagane", ma nel suo significato primo il termine indica gli abitanti del "pagus", ossia della campagna del "vicus" (villaggio), del centro abitato e nel quale risiedeva l'autorità. Pagano: il contadino, il paesano Il dizionario Romanisches Wörterbuch di Meyer-Lübke, 1935, insegna che Paganus è il Landbewohner o l'Heide, cioé l'abitante della campagna o il noncristiano. L'aggiunta però di Heide (non-cristiano) è più recente della definizione di contadino/paesano. Lo stesso dizionario cita i termini bakam (dialetto trientino) per contadino abbiente, il termine spagnolo pagano per contadino e il termine moderno della lingua greca paganos per contadinesco. Nella Leventina, secondo il dizionario, pagano significa anche "mago" (Zauberer), termine al quale si aggiunge il veneziano Pagan come nome di una strega, mentre la lingua rumena usa pogan per "cattivo". L'aggettivo page(n)sis definisce l'appartenenza al distretto (zum Gau gehörig). L'italiano paese, il francese pays, il katalano pahis e il provenzale paes indicano il paese con 'appartenente alla campagna'. Il "paesano" italiano è il paginus, il contadino che lavora la terra.
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L'etimologia e la fantasia popolare hanno creato qui e là termini e toponimi misteriosi e avventurosi. Eccone un esempio tratto dal libro di Erminio Ferrari, "Val Cannobina" 4): Ör pagan: l'etimologia popolare lo traduce con "oro pagano". Lembo di terra, forse, comperato con oro ai, o dai, "pagani". Il dialetto del luogo dice però "or" per oro e non "ör". Si tratta più verosimilmente di "orlo", sinonimo di bordo, sottile appezzamento di terreno che "orla" una proprietà. L'orlo pagano. Forse appartenente a un non-cristiano o situato all'infuori dell'abitato, nel "pagus" e non nell'abitato "vicus". Pagagn, lo sbarbatello "öl pér pagagn" [il pelo pagano] era la peluria (pelo, barbetta) dei giovani sul viso. Il pelo cioé di chi non era ancora adulto 5). I Saraceni Secondo E. Pometta, nel Medio Evo alcuni imperatori di Germania avrebbero munito i passi alpini di presidi di saraceni i quali potrebbero identificarsi con i pagani delle leggende. Malpaga Il cognome Malpaga potrebbe derivare da malus pagus (campagna cattiva), anche se potrebbe essere stato aggiudicato a colui che non è propenso a pagare i suoi debiti (dialetto ticinese: l' é 'n malpaga). La paura inventa nomi propri "Le case dei pagani" non dovevano ospitare d'obbligo coloro che non erano cristiani, ma servivano a "collocarvi" tutto ciò che era fuori dalla vita normale o "normata". Si tratta di un'associazione logica che fonda nel fatto che i "pagani" erano coloro che erano "fuori" dal villaggio, poi "fuori" dalla società e finalmente "fuori" dal cristianesimo, così come la peluria sul viso dei giovani non li ammetteva ancora tra coloro che portavano una vera barba. Le paure nascono da sempre da ciò che viene da "fuori". Nani, streghe, disgrazie, fulmini e valanghe vengono da "fuori", così come lo "straniero", l'estraneo. Le costruzioni attaccate alle rocce suscitavano più paura che gioia ed erano così le dimore dei "pagani", quelli che sono fuori dalla società. Questa sorte toccò a diversi strati sociali e a diverse persone e certamente anche agli ebrei e agli anabattisti che si rifiutavano di essere come voleva la società cristiana. Far croci e buchi... "Guai a capovolgere il pane nel cestino o spargere sale. Non era buon segno. Far croci e buchi significava funerali. Partire in venerdì voleva dire terminare male il viaggio. Sposarsi di venerdì, regalare coltelli e fazzoletti erano offese delle peggiori. ...Se c'era una vecchia malvestita che parlava da sola e faceva segni con le mani era tenuta per una strega e la gente si guardava bene dal lasciarle toccare o solo guardare un bambino. Gli si faceva subito il segno della croce, lo si tirava in casa e veniva magari portato dal prete per la benedizione" 5). I Saraceni erano i pagani dell’Italia meridionale. Le loro incursioni, che si spinsero fino nelle alte valli ticinesi vennero combattute dalla Chiesa come grave minaccia
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per la religione cristiana. Il cognome Pagani dell’Italia meridionale è da associare alla denominazione degli invasori orientali. I marrani Da "macharàm attà, " l’anatema sia su di te", in ebraico, o dal castigliano marrano, "porco". "Vil marrano" è il minore degli insulti. Marrano era colui che rinnegava la propria fede ebraica per convertirsi al cattolicesimo e che, dunque, in modo considerato vile, rifiutava la storia e la tradizione dei propri avi per "salvare la pelle", per sfuggire all'Inquisizione. I marrani venivano detti "hanusim" dagli ebrei, cioé i costretti. In segreto quasi sempre i marrani mantenevano vive le abitudini religiose ebraiche, appoggiati dal rabbino che concedeva l'autorizzazione a un modus vivendi che garantisse la salvezza: ufficialmente cattolici, segretamente ebrei. Accomunati nel disprezzo ai musulmani (chiamati entrambi con l'epiteto di "porco"), i marrani vivevano un'esistenza angosciosa, mai certi che la propria fede nascosta non venisse scoperta e che le punizioni (compreso il rogo) arrivassero a decimare le famiglie. Sequestro dei beni, fustigazioni, il pubblico ludibrio erano all'ordine del giorno, specie nella Spagna di fine Quattrocento 6). I Giudei devono distinguersi dai cristiani per il modo di vestire: "Nei giorni delle lamentazioni e nella domenica di Passione essi (i giudei) non osino comparire in pubblico, dato che alcuni di loro in questi giorni non si vergognano di girare più ornati del solito e si prendono gioco dei cristiani, che a ricordo della passione santissima del Signore mostrano i segni del loro lutto. Questo, poi, proibiamo severissimamente che essi osino danzare di gioia per oltraggio al Redentore" 12).
Oggi ancora tutto ciò che è fuori dal comune o che rappresenta un pericolo per la vita e la prosperità della comunità, viene contrassegnato con termini spregiativi che qualificano in un batter d'occhio la posizione nei confronti della società "perbene".
Castione, Valleseriana Anche qui troviamo una Grotta dei Pagani e un'Orto dei Pagani (Urtì di Pagà). Le leggende del Monte Conero (Italia, Marche) Buco del Diavolo: anche detto Buco della Paura, è un inquietante cammino sotterraneo nei pressi di Camerano. Una tradizione ricollegabile ai miti pagani, narra che, percorrendolo interamente, si arriverebbe in una grande stanza con al centro un altare, su cui si troverebbe una chioccia d'oro attorniata da dodici pulcini: ma lo sventurato non potrà mai tornare indietro se non scoprirà il vero nome del Demonio e non lo scriverà sulla roccia con il proprio sangue (!!!). In Valcamonica, comune di Niardo Presso le Foppe il terreno è profondo, fresco e fertile, eccetto nel costone, ove, naturalmente, è asciutto e roccioso. In questa località è sviluppato il sottobosco di ontano e nocciolo. Troviamo del marmo bianco, della morena rocciosa a quote più alte e notevoli filoni di buon granito. Nella Valle del Cochet, vi è una lunga e 18
profonda grotta sotterranea, ricca di stalattiti e stalagmiti. A Niardo ve ne è un'altra, in località Salimna, meno profonda e interessante, denominata "Grotta dei Pagani"; si crede che queste gallerie servissero allo sfogo delle acque dell'epoca glaciale. La leggenda popolare le vuole contenenti scheletri umani, certamente carcasse di animali là rifugiati. Il comune di Ischitella (Puglie, Gargano) Toponimo che forse deriva dal latino aesculus, quercia. Gli abitanti si chiamano Ischitellani. Le sue origini affondano in epoche remote: il sito rivela antichissimi insediamenti umani, come dimostrano la Grotta dei Pagani e la Grotta del Tasso, a poca distanza dall'abitato. Si trova menzionata per la prima volta in una bolla pontificia del 1508, ma sicuramente fu fortezza sveva. Il viavai attraverso le Alpi Consiglio qui la lettura del libro di Arturo Galanti “I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi” 7): “Sidonio Apollinare narra di una torma di 300 Alemanni che nell’anno 457 superarono le Alpi , s’avanzarono depredando nel cuore della Rezia fino a Bellinzona (Campi Canini) e furono dispersi da alcune milizie che mandò l’imeratore Maioriano”. Leggendo il libro qui sopra citato ci si rende conto che “da sempre” le Alpi vennero valicate da Nord verso Sud e viceversa, da innumerevoli popolazioni, eserciti, invasori e colonizzatori. Il passaggio lungo la Valle di Blenio fu da sempre un passaggio “facile” per chi cercava e per chi riportava bottino. Basta ricordare gli avvenimenti tra il 1331 e il 1410 che videro una folta serie di incursioni nelle valli Leventina e di Blenio. Con il passar del tempo si istallò una quiete politica sempre più solida, l’attraversamento di queste valli avvenne in modo sempre più impersonale. Il contatto tra vallerani e viaggiatori sminuì. Le qualità conservatrici per ciò che riguarda espressioni e tradizioni nacquero dall’isolamento e costituiscono un grande forziere di dialettologia. Non lasciamo “morire” tutti i pagani! La ricerca delle ragioni che spinsero i pagani ad abitare quelle costruzioni e la convinzione di molteplici autori che “vedono” morire in quegli edifici gli "ultimi” pagani, ebrei o semplicemente non-cristiani, non ha posto nella logica che rileva ancor oggi riti e “tradizioni” locali, non prettamente cristiane, tramandate nei secoli. I “pagani” sopravvissero in una maniera o in un’altra, i Borromei e gli inquisitori. Lo attestano i numerosi cognomi di discendenza ebraica, o comunque fuori dal comune, esistenti nelle valli da secoli. Anche la presenza di simbologie, usanze, modi di dire e ricette culinarie, le numerose chiesette bleniesi a doppi altari, struttura architettonica tipica delle sinagoghe ebraiche, sono testimonianze da rivalutare seriosamente. Le case dei pagani non sono da ritenere tali nel senso storico, ma riflettono un aspetto della mentalità popolare molto importante.
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Le feste ebraiche nell'anno non hanno data fissa, ma seguono il calendario lunare. Ad esempio: 31 marzo - 1, 2, 7, 8 aprile: Pesach (Pasqua); 21 e 22 maggio: Shavuoth (Pentecoste); 22 luglio: digiuno del 9 di Av; 11 e 12 settembre: Rosh Ha Shanà (Capodanno); 19 e 20 settembre: vigilia e digiuno di espiazione (Kippur); 25, 26 settembre, 2 ottobre: Succoth (Festa delle Capanne); 3 ottobre: Simchat Torà (Festa della legge); Tra novembre e dicembre: Chanuccah (Natale). Laf-taf In Val di Blenio c'è chi esclama, dopo "averla vista brutta": "Ho quasi visto il LafTaf!", per esprimere di "averla scampata bella" e di aver beffato la morte. Alfa e Omega, le lettere dell'alfabeto greco oggi ancora applicate alle lapidi mortuarie per simboleggiare una vita compiuta, trovano il parallelo nell'accoppiamento delle lettere dell'alfabeto ebraico "Aleph-Taw". Non dimentichiamo che Taw venne raffigurato fino al X secolo in forma di croce. Bruscadelle di Kippur Leggo una ricetta simile nel manuale di cucina ebraica di Elena Loewenthal 8): "Si fanno arrostire delle fette di pane a cassetta. Qualche ora prima che il digiuno (di Kippur) finisca, si dispongono in un piatto fondo, o meglio una ciotola, a strati, spolverizzate con zucchero e cannella e bagnate con vino rosso". "Onde tutto il pane si imbeva e si mollifichi", dice il mio vecchio libro, "ogni tanto si raccoglie col cucchiaio il vino precipitato e si versa sopra il pane". Brüscadela, pan-ciock, Mandelschnitte, cibo semplice, sostanzioso e profumato, che ridà forza dopo il digiuno di Yom Kippur. Cibo che ancor oggi rallegra l'anima e il corpo dei vallerani bleniesi e di quelli di Rothenfluh che conoscono la ricetta. La Brüscadela (pan ciok = pane ubriaco) Si mangiava al termine del periodo di digiuno di Kippur, il periodo di digiuno ebraico, (pane abbrustolito intinto nel vino addolcito e aromatizzato) che oggi ancora in Val di Blenio si gusta solo nei mesi invernali per riscaldare anima e corpo. Anche la composizione dei cibi “antichi” che associava legumi e verdura alla carne, mentre la polenta veniva mangiata di preferenza con il latte, rispecchia le regole kosher ancora oggi vigenti nella tradizione ebraica. San Carlo Borromeo e il "pan ciok" Dopo gli strapazzi in seguito al faticoso viaggio verso Ascona, il Borromeo (2 ottobre 1538 - 3 novembre 1584) venne assalito da quella febbre misteriosa che da mesi lo travagliava e che gli portò la morte. Era tra il 24 e il 26 ottobre del suo ultimo anno di vita. Gli accompagnatori esortarono Borromeo a prendere un po' di cibo e di riposo e gli servirono "...alcuni pezzetti di pane abbrustolito spruzzato di vino", insomma, una "brüscadela da Kippur" o, alla bleniese, "pan ciok" 9). Brusco: saporito La Bruschetta toscana e la Bruscatella Umbra assomigliano per semplicità e forma, ma vengono intrise di "olio novo" e perciò "brusco", fruttato, di retrogusto piccante e con aggiunta di aglio e pomodoro.
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La bruscadela piemontese usa l'aceto balsamico che è "brusco", cioé saporito. L'aggettivo "brusco" passa al vino, non solo perchè è acido (etimologia popolare), ma perchè è saporito. Esiste anche una qualità di uva che produce vino "brusco". Oggi, anche nella Svizzera di lingua tedesca, chiunque conosce la "bruschetta", pane arrostito e cosparso di olio e aglio (ted. Knoblauchbrot). In Valsesia la "Brüsca" era il gruppo di musicanti che passava da osteria a osteria, guadagnandosi una porzione di pane e vino. Anche al vino acido si dice "vin brüsc", mentre i "gerganti" dicevano con spregio "scabià" all'azione del bere vino a buon mercato. Vino scabro al palato e alla gola, come la pelle resa ruvida dalla malattia cutanea detta "scabbia". Il Lessico etimologico abruzzese di Ernesto Gianmarco, 1985, dice che a Sulmona la Crusche è la fetta di pane condita con olio e sale. La bruschetta è la fetta di pane rosolata e condita con olio, sale e aglio, da bruscà che significa abbrustolito e che viene già citato nel XVI secolo con cto. E infine Gabriele Rosa, nel suo libro "Dialetti di Bergamo e Brescia", 1857: Brüscu Germogli di pugnitopo (lat. ruscus = pungitopo), essendo il pungitopo un arbusto dalle foglie minute e armate di spine acutissime. Il cognome Bruschi In Val di Blenio, il cognome Bruschi si fregia di uno stemma araldico sul quale fanno ben mostra di sé due grappoli d'uva. Nel Cantone di Basilea-Campagna A Rothenfluh (Basilea-Campagna) c’è ancora chi fa le Mandelschnitten (fette di pane mandorlato), pane bianco cosparso di mandorle tritate e burro, abbrustolito e servito con intingolo di vino aromatizzato con zucchero e cannella, chiodi di garofano e buccia di limone. Questo dessert veniva servito obbligatoriamente, fino al 1898, agli ospiti del ristorante Hirschen in Rothenfluh, che venivano fin da Basilea con carri e cavalli. I famosi pranzi a base di carni lessate o arrostite con insalate di rafano, di rapanelli e di patate, non conoscevano nessuna pietanza a base di carne di maiale. Agli ospiti basilesi si servivano anche “piccioni”, allevati nella piccionaia del ristorante stesso. I Bratwurst erano di carne di vitello e venivano serviti con prugne cotte, conservate nell’aceto 10). Tracce, segni La presenza e la tradizione ebraica in tutt’Europa è storicamente accertata e così non è difficile immaginarsi che le regole curate da quelle popolazioni, da sempre legate a tradizioni ferree, siano state tramandate un po’ in tutte le regioni e nazioni. Qusta considerazione aiuta ad individuare la presenza ebraica nelle valli ticinesi, escludendo la tesi che gli ultimi ebrei siano stati relegati nelle case dei pagani per morirvi.
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Il lato da soppesare Nell’antica zona dell’alto Verbano (Oggebbio/Barbé) esistono oggi ancora toponimi atavici: crös è la conca naturale, il crött è la conca nella quale la selvaggina trascorre la notte e il Frunsc è il ruscello dotato di sbalzi e cascatelle (paragonabile alla Froda della Val Bavona e alla Fraccia di Gordola). Questa presenza di parole antichissime testimonia che la nuova lingua non ha ancora spazzato via quella antica e comune a molte generazioni montane o isolate dai grandi centri. Anche i diversi racconti di streghe che mangiano i bimbi e che offrono mele e dolci per accattivarsi la fiducia dell’infanzia, sono da annoverare nei tentativi da sempre escogitati dai genitori per far sì che i bimbi, soli in casa, non aprissero la porta a persone sconosciute. Il consiglio della nonna Mia nonna mi consigliava di “...non toccare né raccogliere mai uno straccio abbandonato nel bosco, perché deposto lì da una strega e da lei unto con olio malefico!”. Io che credevo a quello che diceva la nonna, non toccai e non toccherò mai uno straccio abbandonato nel bosco!
BIBLIOGRAFIA 1
) Mosé Bertoni: Le case dei pagani, 1883, ristampa1996 a cura di Peter Schrembs, ed. La Baronata. 2 ) Guido Bolla “Storia di Olivone” , pag. 26. 3 ) Rivista "Tre Valli", Anno 24, Nr. 2, 2000, Mariella Becchio. 4 ) Erminio Ferrari "Val Cannobina", 1988, ed. Alberti Libraio Editore - Intra (I). 5 ) Biasca e Pontirone di Caterina Magginetti e Ottavio Lurati, ed. G. Krebs, Basilea, 1975. 6 ) L'ebrea errante. Donna Grazia Nasi dalla Spagna dell'Inquisizione alla Terra Promessa di Edgarda Ferri. Pag. 219 - Edizioni Mondadori (Le Scie). ISBN 88-04-47809-8. [Marrano, storia di un vituperio, Olschki 1925]. 7 ) Arturo Galanti “I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi”, 1885, ristampa 1971, pag. 50. 8 ) Elena Loewenthal: "Buon appetito Elia" . Bruscadelle di Kippur. 9 ) Mons. C. Orsenigo: Vita di San Carlo Borromeo, 1929, Vol. II, p. 185. 10 ) “Heimatkunde di Rothenfluh" BL, 2000, Gianni Mazzucchelli. 11 ) Lukas Högl, Burgen im Fels, Band 12, 1986. 12 ) Concili ecumenici (Concilio Lateranense, 1215). Ed. UTET 1978. 22
Cröisc, streghe e nani In Valle di Blenio "I era sgent c'as scundeva aj temp ch'ii brüseva, aj temp ch'ii tortüreva. I cüréva tüt (spiavano tutti), ma lor j voréva mia lasass vadée, j ghéva pigöira. Is lasséva dumé visinée daj sgent ca j cunuséva". Lucio Emma, autore di queste definizioni e fruitore di una memoria picomirandolesca, ricorda un suo antico e stimato maestro, Don Ortensio Scapozza, insegnante al Pio Istituto di Olivone quando egli era un ragazzino, negli anni (19)40. "Don Ortensio u diséva di cröisc: sgent scapaj insema (in gruppo), i rivéva da tüti i part, sgent ca stéva scundü, j gh'eva pigöira da quaicous, gent in füga par storia da raligion, sa j ciapéva j brüséva". I cröisc, secondo Lucio Emma, c'erano ancora 150 anni fa, in Valle di Blenio. "All'inizio del 1800 viveva ancora sotto gli zapp qualche vecchia cröiscia rimasta lì, mentre gli altri se ne erano andati per il mondo. Poi le camone vennero abitate occasionalmente, per esempio dai due soldati in fuga dall'esercito di Suvarov, sotto la località Vignascia in territorio di Semione. Oppure, in tempo dell'ultima guerra, tale Lüisin dul Gatt, che non voleva fare il soldato, si rifugiò per anni sotto uno zapp, in località Böcc Sfondroo, di fronte a Largario" 1). I nanini di Deggio A Deggio, minuscola frazione di Quinto, in Leventina, c'erano nanine e nanini che in estate popolavano i prati e i boschi. D'inverno si raccoglievano in una caverna detta della "croiscia". I nani cercavano il loro cibo anche nei campi e negli orti del villaggio. Li si lasciava in pace, perché in estate avrebbero aiutato nei lavori campestri, sradicavano le erbacce e davano la caccia ai topi di campagna. Mettevano anche in fuga le serpi e tenevano sgombri certi canaletti d'irrigazione, che erano le loro strade 2). Scota ciap a mi? Mosé Bertoni 3) racconta che sia nella Valle di Blenio che in quel di Caslano si tramandano storie di streghe e nani che facevano opere buone e dispetti alla gente, la quale giocava a quelle creature scherzi maligni. Al nano croisc che mangiava la pagnotta fresca seduto su un sasso in Val di Blenio e alla strega di Caslano che soleva accomodarsi su una lastra di pietra per riposare, si rese grave offesa arroventando le pietre usate per sedili. Le fiabesche creature, scottate e offese, lanciarono maledizioni come: “Ah sì? Scota ciap a mi? Mi strépa panic a ti!”. Tu scotti le mie natiche? e io ti strappo tutto il panìco. Il panìco era una pianta alimentare coltivata in altri tempi . E da quel giorno il panìco non crebbe più. Una leggenda simile vallerana racconta che "ra Cröiscia" ",...viveva nella tunca di cröisc, a Céta, Solc Majù e d'inverno scendeva a Sommascona presso una famiglia e la s'impiruneva (accovacciava) sul fugarä (sul sasso del focolare) ed insegnava a quella massaia a coagulare il latte (quagiè ul lacc), a fare la formaggella (crenga) e dopo estrarre la ricotta (mascherpa)". Più avanti si racconta che i ragazzi della famiglia, non vedendo volentieri la vecchia in casa loro, riscaldarono la lastra di sasso sulla quale si sedeva la vecchia, così da scottarla: "...cota chiü, cota chiü! chi na biüü? me stess, toe dagn" (mi scottaste, cosa otteneste? il vostro danno)..." e non si lasciò più vedere. Un'altra leggenda di Dongio, simile a quelle già citate, descrive le urla dei nanini e delle nanine che subirono la stessa sorte della Cröiscia, si scottarono, cioé, sulle 23
pietre del forno del pane, sulle quali sedevano attendendo la sfornatura del pane fresco. Si dice che i nani fuggirono e si rifugiarono sulle sponde del Reno, le nanine, invece, s'annidarono nel Vallone del Monte Pettine, dal quale mandavano neve e grandine sui campi della valle 2). Leggende olivonesi Un'anziana olivonese racconta: "Quando mio nonno faceva il cavallante, trasportava le vettovaglie a soma da Biasca ad Olivone, dove arrivava quasi sempre a tarda sera. Aveva per garzone un ragazzo sui 14 anni di ignota provenienza. Una sera, giunto col suo giumento carico nella località del Vignei, tra Aquila ed Olivone, sentì una voce che gli gridò: "Scarabot, che pasei cur quela scarabota, diseigh a Maramot, che mèma r'è morta". Impressionato dalla strana comunicazione, quando arrivò a casa raccontò l'accaduto, presente il garzone. Da quel giorno il ragazzo scomparve ed ogni ricerca tornò infruttuosa. La vecchia aggiungeva che doveva essere: "un fant dra Cröiscia", un figlio della Cröiscia 4). Allusioni spregiative? Scarabot e scarabota, dallo spagnolo escaparate, sono da ritenere vocaboli spregiativi usati al maschile per il cavallante e al femminile forse per la mula o la cavalla. Scarabattolo (Carabattola). D'Annunzio IV-2-1031: Era una vecchia scatola armonica costruita con un pettine d'acciaio i cui denti vibravano al girare d'un cilindro irto di punte. "Dove hai scavato questo scarabattolo?". Dove hai trovato quell'aggeggio di poco valore? Scarabattolo. Armadio con ante vetrate e con ripiani, ma di piccole dimensioni. Scarabattolino. Scatoletta portareliquie, adornata di fiori e di angioletti. Scarabattola. Oggetto di scarso valore; masserizia ingombrante, cianfrusaglie. [Grande Dizionario della lingua italiana, GDLI].
Scarabozzo. Abbozzaticcio. Cosa non interessante e mal abbozzata. Scarabotto. Scaffale, scarabattolo. [Gasparo Patriarchi: Vocabolario Veneziano-Padovano, 1796].
Carampana decrepita Carampia (venez.) vecchia ruffiana [Scarampana: Donna brutta e malfatta]. [Gabriele Rosa: Dialetti di Bergamo e Brescia, 1857]
Scaraboto = scarabocchio = schizzo? "Schizzo" si dice anche di persona dal fisico misero o "maltrai insema". Il procedimento usato dal pittore Canaletto, dal disegno al dipinto, si rivela essere piuttosto laborioso. Si partiva da una prima idea costituita da pochi sintetici segni, che l’artista definiva “scaraboto”, successivamente l’artista prendeva in esame le diverse parti della veduta (i vari palazzi ecc..) ritraendole e studiandole con la massima cura e corredando il tutto da annotazioni, in questa fase pare che il Canaletto non disdegnasse l’uso della camera ottica, composta da una scatola il cui interno era annerito e con una lastra di vetro opaco sul quale si proiettavano le immagini poste sul lato della scatola nel quale era praticato un forellino. Apparecchio precursore della "macchina fotografica". Il termine affiora nei versetti in lingua italiana (o quasi) usati nel gioco che trova il fratello gemello in quello praticato nella Svizzera di lingua alemannica "Sigg, sagg, sugg...!" (termini senza significato traducibile). 24
Miliun, milidoi, militrei miliquatro, milizinque, milisei, milisete, milioto, scaraboto, citadèla, esca bodesca, tira 'ndrio anca questa.
Milleuno milledue, milletre, millequattro, millecinque, millesei, ...sette, ...otto, scaraboto, cittadella, esca bodesca(?), tira indietra anche questa (gamba).
Veniva recitata con i bambini disposti in cerchio, con una gamba spostata in avanti e al termine di ogni recita il bambino "toccato" con l'ultima parola tirava indietro la sua gamba.Si continuava così finchè tutti i bambini avevano tirato indietro la loro gamba. Marabotìn Morabéti Maravédi
provenzale per katalano per spagnolo per
} } }
monetina di rame (di poco valore)
Possibile traduzione: Scarabocchio (o poco di buono), che passi con quello scarabocchio di cavalla, dì al piccolo, al ragazzino (o a quello che vale due soldi, a chel co var cinq ghei) che mèma (mamma?) è morta. Carabatola Catanai, cianfrusaglia, roba di poco valore. [Vocabolario Zingarelli minore]
Carabattola o sgarabattola (pop. Scarabattola) dal lat. grabatum (lettuccio), dal greco krabatos? [W. Meyer-Lübke: Romanisches etymologisches Wörterbuch, 1935].
Maramot, monetina da poco: Cing ghei Nel Bellinzonese, si dice o si diceva di persona di statura misera o, in termine affettuoso, del più piccolo della famiglia: "Ul mè cing ghei", da cui "ul mè cingghejin" 1). Mèma, la mamma Mèma Shqiperi, Madreterra Albania, è il titolo dell'opera del pittore Jbrahim Kodra, la riproduzione della quale campeggia nell'atrio di un "Centro sociale" della Basilicata. Mèma è termine di lingua arbereshe, antica lingua della diaspora albanese parlata e curata ancora oggi da una minoranza. Non volendo soggiacere ai turchi, durante il corso del XV secolo, gruppi di albanesi attraversarono l'Adriatico e trovarono rifugio al di qua del mare, allora come oggi. Essi trovarono rifugio fra non pochi problemi di convivenza, paure varie, diffidenze, litigi e incomprensioni non solo linguistiche, in vecchi casali abbandonati, scavarono abituri sulle colline tufacee dei paesi dell'entroterra (a Barile è ancora palpitante e pressocché intatto il complesso trogloditico dello "Sheshe" significativamente citato, tempo addietro, sulla rivista UNESCO e notissimo per avervi girato Pasolini il film "Il Vangelo secondo San Matteo. Qualche gruppo sparso si inoltrò e trovò rifugio negli "abituri" naturali delle Alpi? 1). Poesia in lingua arbereshe (S. Sofia d'Epiro, 1964): Kur mèma per mua rkonej Quando la mamma per me aveva le doglie moti shkeptnij e gjimonij il tempo lampeggiava e tuonava e sa dem bri trupi e quanti danni arrecò il temporale aq ki shtin guajet e mia tanto questi spinge i miei guai. 25
Testimonianza per mèma, mamma La signora Fabiola (Bia) Bottani, nata Corti nel 1920 racconta che suo padre, Ermanno Conti (1886 - 1970) della frazione di Marzano, ha sempre detto mèma. Sua mamma, una Malquarti di Lavorceno invece ha sempre detto mama. Maramot Trovo in un testo che descrive poeticamente il Parco del Mincio (Rivalta): A senti mia pœ al prufüm dla pégula dal Mèndes o dal Nani Maramòt, dla caresa ch'as seca al sul; Non sento più il profumo della pece di Mèndes o del Nani Maramot, del carice che si secca al sole. La nostra incursione linguistica, per ora, si ferma qui. Al lettore curioso vada il nostro incitamento a continuare la ricerca. San Carlo e le streghe Nel novembre del 1583 san Carlo visitò la Valle Mesolcina. Lui stesso, in una lettera del 9 dicembre 1583 (pubblicata nel 1962 da Rinaldo Boldini), riferì all'amico card. Paleotti i risultati della missione: trovò una situazione miserabile, sacerdoti senza disciplina... licentiosi a tutto... taluni forestieri e vagabondi... riuscì a far tornare ai loro conventi non pochi apostati... accenna alle provvidenze di persone e di scuole che è riuscito a introdurre. Infine scrive: "Si è atteso anche a purgare la Valle dalle streghe, la quale era quasi tutta infettata di questa peste con perditione di molte anime, tra le quali molte si sono ricevute misericordiosamente a penitenza colla abiurazione, alcune date alla corte secolare come impenitenti, con pubblica executione della Justitia". Tra i non pochi casi di esecuzioni collettive di streghe (in Belgio, in Francia, 200 nel Vallese, ecc.) questa della Mesolcina è forse la meglio documentata. Occorre ricordare che tutta la letteratura e la scienza giuridica del Cinquecento presentava la stregoneria come una realtà. Gli statuti civili della Mesolcina e della Leventina, come le leggi degli altri paesi d'Europa, stabilivano il rogo per le streghe; così pure la Nemesis carolina, cioè il codice criminale promulgato da Carlo V nel 1532. A chi voglia farsi un giudizio sereno su questa triste tragedia si può consigliare di leggere e di rileggere ancora le ultime sei pagine del capitolo XXXII de I Promessi Sposi 3). Barlott, riunione di streghe, tregenda; "rä sgént d'üm bott lä credee che i strioi i tignee ol borlott sü in Solgon (Monte Sulgone) 5). Crüsc Piccoli Folletti di indole benevola diffusi soprattutto sulle Alpi Lepontine. Chiamati anche Ometti, sono alti più o meno come un bambino di tre anni, hanno le dita dei piedi accavallate e sono molto forti. Amano rubacchiare nelle dispense degli alpeggi, ma spesso in cambio del cibo lasciano monete o pezzi d'oro. Come tutti i Folletti sono molto permalosi e possono arrabbiarsi per un nonnulla. Per non incorrere nella loro ira basta fingere di non vederli, l'indifferenza è sempre la migliore arma per liberarsi dei Folletti dispettosi. (Testo anonimo trovato in una Homepage italiana).
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Crocchia-Ossa: Trovo in un testo Internet che il Crocchia-Ossa era un “...repellente nano notturno che nei tempi antichi era facile incontrare accanto ai patiboli o ai margini dei campi di battaglia. Oggi questa razza degenere di nani, come molte altre genie di Folletti e di esseri fatati, ha abbandonato il mondo degli uomini per sprofondare nel sottosuolo dei cimiteri. Si dice che il Crocchia-Ossa scavi gallerie interminabili, anche di parecchie centinaia di chilometri, collegando tra loro diversi cimiteri della regione dove dimora. Il Crocchia-Ossa si nutre di cadaveri e di vipere, e dal loro veleno ricava un distillato, tanto inebriante, quanto schifoso al palato”. (Testo anonimo trovato in una Homepage italiana).
In Valgrande (Italia) i nani si chiamano “Twergi” "I Twergi sono l'anima delle nostre montagne, creature leggendarie prodotte nei secoli dalla fantasia popolare. I Twergi erano piccoli di statura e vestiti di foglie e di stracci; creature furbe ma non cattive che avevano un rapporto con i pastori fatto di favori e di dispetti. Lavoravano il legno ed i metalli ed insegnavano ai montanari a lavorare il latte e a fare il bucato con la cenere. Abitavano nei boschi, negli anfratti e nelle grotte sulla montagna. I pastori li incontravano nel loro faticoso camminare per boschi e rupi alla ricerca di erba e legna. Erano presenze allegre ed accettate con simpatia che rendevano vivo il grande mistero della montagna. I Twergi hanno accompagnato sempre il lavoro e la fatica di generazioni di contadini e pastori che hanno modellato nei secoli queste montagne, e la leggenda continua..." 6). Le paure "Varda che vegn ul gasper!" Alla minaccia, i bimbi della Valgrande (I), impauriti e turbati, zittivano. Il gasper era un rettile che curava le sue ferite velocemente ed era così di nuovo pronto all'attacco. Il bazalésch o bazalìsch (simile al Basilisk) era un lucertolone verde smeraldo della Valgrande (ramarro) dotato di una cresta che si chiamava "corona". Egli poteva fissare un uomo negli occhi e incantarlo. Chi lo faceva a pezzi poteva costatare che ogni briciola del suo corpo si trasformava in un lucertolone che si avventava su colui che l'aveva martoriato. La "corona" o la "cresta" era visibile al momento della "muta", quando cioé il lucertolone rinnovava la pelle.
L'Inghilterra, la Scozia e l'Irlanda sono affollatissimi di streghe e nani (Faeries) che adempiono mille funzioni nella natura e nella società. Anche là troviamo spiriti che "attirano" i bimbi nelle acque profonde: Peg Powler e Jenny Greenteeth, these are many water spirits whose sole delight is the drowning and devouring of children 7). Ecco, a sinistra, il mostricciattolo dai denti verdi Greenteeth.
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I Zwärgji della Val Formazza (I) Nella prefazione del libro di dialettologia Walser, di Angela Bacher, Enrico Rizzi attesta l’esistenza di folletti e streghe in tutta la regione della Val Formazza. Dai mucchi di sassi (Haksu-hüfa, ted. Hexenhaufen) che minacciano di distruggere il paese di Morasco ai Nusgeis, folletti che attiravano i bimbi nelle acque dei torrenti. Il Bozo (Toggi nel Vallese) è una creatura misteriosa della montagna che dispone ogni cosa a proprio capriccio. Il pastore formazzino che di sera, dal sasso chiamato luzze-lan (pulpito), declamava preghiere con lo scopo di raggiungere e sconfiggere tutti gli spiriti cattivi che popolavano la regione, è un esempio delle paure che vivevano gli alpigiani sui monti. “Le valanghe, i misteri dell’oscurità, i movimenti dei ghiacciai, il rumore del vento, il tarlo nelle travi (Tôtu-trummä, ted. Totentrommel), tutto era ricondotto ai capricci di forze occulte e creature fantastiche, gnomi, folletti, spiriti talvolta malvagi e talvolta burloni, come i ‘Zwärgji’, nani silvestri che facevano scivolare le slitte dalle montagne, slitte usate dai formazzini per trasportare il fieno alla fine dell’inverno”. La Svàina è uno striòn innocuo, sotto forma di un bòcia (ragazzo) di 8-10 anni, rossiccio di capelli e vestito di marrone. Si vedeva solo durante le buzze (plurale di büzza = piena dei torrenti), non attraversava mai i crött (spaccature percorse dai ruscelli?). La Svàina non era uno strion malvagio, ma non si doveva "tagliargli" la strada 8). I Selegan o Hoalagan Laute erano invece la gente beata o addirittura la gente santa (dal ted. selig, beato e heilig per santo) che popolano le fiabe nel Vicentino. Nel libro di Arturo Galanti: I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, ed. Arnaldo Forni, 1987, le fate Seilgen e Waiblen portavano abiti bianchi e abitavano caverne adorne di “cose bellissime” che svanivano nel nulla nel momento in cui un estraneo le vedeva. I Selegan appendevano il bucato a lunghe corde che attraversavano tutta la valle e assicurate a rocce chiamate Selegakuval e Grol. (Arturo Galanti: I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, 1885, ristampa 1971, p. 112) 8). Le streghe, creature onnipresenti Latino lamia, -as dal greco antico, cioè una creatura notturna malefica tipo la Lilit ebraica. Ebraico Lilit Bleniese Cröiscia La strega della Valle di Blenio. Dall'ebraico "hol kreich", dal tedesco kreischen, gridare il nome protettore (hol) del nenonato. Biasca-Pontirone Crenscia figura femminile immaginaria che si evocava per intimorire i bambini. Abitava nella grotta detta "ol béc dra Crénscia". stria Rä stria dra val Pontron (la strega della valle di Pontirone). stron Stregone, indovino. Campano di Benevento janara, ghianara da dianaria o dianiana, seguace di Diana Lombardo di Novara strìa dal greco antico, uccello notturno Piemontese Occitano Provenzale Francese Castigliano
masca masque masco sorciére bruja
vedi sopra femm. di sorciér femm. di brujo
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Portoghese Croato Tedesco
bruxa Vjestica Hexe,
Olandese Danese Svedese Inglese Albanese
toverheks heks häxa,,-n witch shtrighë
femm. di bruxo nell'antico tedesco significa "donna sapiente e pratica di medicina con le erbe"
dal sassone wicca, saggia dal greco antico, uccello notturno
Lilith, la vampira Nel popolo dei Sumeri, Lilith era la regina del cielo. Gli ebrei fecero di Lilith la prima moglie di Adamo (ancora prima di Eva) che non accettava di restar stesa sulla schiena durante l'atto sessuale. Divenne così simbolo di uguaglianza tra i sessi. La leggenda dice che Adamo non accettò queste condizioni e da allora Lilith divenne una figura demoniaca, il primo vampiro che si nutre del sangue umano. Nel "Faust" di Goethe Nel "Faust" di Goethe Lilith è l'amaliatrice: Mephistophele suggerische a Faust di non fidarsi della giovane strega: "Osservala bene! E' Lilith, la prima moglie di Adamo. Sii cauto, non lasciarti ingannare dai suoi bei capelli e dai suoi gioielli. Non appena lei avesse conquistato il giovane, non se lo lascia scappare". La Zuana, una "strega" della Val di Fiemme (la Giuana) "Il processo avviene nell'epoca in cui era principe vescovo di Trento Ulderico IV di Lichtenstein. Il processo alla Zuana o Ganna o Bregostana non è fra quelli maggiormente citati. In Fiemme lo chiamano "el diciottesimo prozes", forse per la sua irregolare conduzione o per l'esito - quanto meno vago. Nel ricordo del popolo, nelle filastrocche, nelle fiabe la Zuana rimane a testimonianza di fantasie che hanno cercato la loro ragione nella "Storia" e si sono perse nelle "storie". La Zuana todesca, si racconta, era la vedova di un certo Jacopo de Ritzolo, bafet, cavalesano; ha un figlio che lavora fuora per i paesi todeschi e vive sola e di lei la gente dice che non ha mai minacciato nessuno, non sa di magie, non usa filtri magici, non fa nascere i temporali. Nei processi alle streghe, a quelle vere, si dice sia uscito qualche volta il nome di una Ganna o Bregostana o Zuana che se l'è passata col demonio e se ne fa vanto.C'è una dei Rella, sora la Ru, che giura che questa sconosciuta non può essere che la Zuana Famatan. Conosceva bene il Zuane dele Piate di Altrei, si diceva e con lui parlava di come si fa innamorare la gente. C'e chi dice che è stata lei a far straripare il rio Gambis e, come il Zuane, la Zuana ha libri magici in tedesco dove c'e scritto come far passar i vermi e una preghiera che lei chiama "Ave Maria Longobarda", una preghiera che ha sentito a Naguai. Ma quello di cui si mormora a Cavalese, quello che si riporta, sono i suoi racconti. Nella notte di San Giovanni, accanto ai fuochi, nel tremore dell'estate qualcuno aveva chiesto alla Zuana come faceva a restar sempre così "zovena", lei ormai quasi quarantenne e vedova da 20 anni. La Zuana racconta che la notte la viene a trovare un Liebestuifel, un diavolo dell'amore, e con lui si sollazza e fa le stesse robe che le sue interlocutrici fanno con i loro mariti ed amanti. "... ti coi to denti de cana", dicono le amiche ... 29
Col caldo dell'estate l'epidemia erotica si spande per Cavalese. Le donne ridono a messa e si fanno sfacciate, portano i "piroli" (orecchini di corallo, a forma di corno) anche senza costume, lasciano aperto lo scialle e mostrano le caviglie e le braccia e tutte fanno sorrisi anche ai foresti. Il 26 luglio, giorno di S. Anna, la Zuana è imprigionata e condotta davanti allo scario. Zuana si dice meravigliata di questo trattamento; nessuno mai, da quando è a Cavalese, ha potuto dir male di lei. Messa al confronto con il Zuane che già da lungo è imprigionato, non nega di conoscerlo e di parlar con lui todesco, visto che vengono quasi dagli stessi paesi. Confessa di aver parlato della Dama del Buon Zogo (detta anche Domina Laudi, Diana, Ecote, è una strega maligna), di saper le formule per cacciare i vermi, ma di non averle usate se non su suo figlio. Nega di aver partecipato al "barlot" o ballo delle streghe. Spontaneamente recita la formula per scacciare i vermi e ripete l'Ave Maria Longobarda usata nei suoi paesi, al di là del passo di San Lugano. La formula contro i vermi è questa: "Petrus und Jesus fhuren auf den Acker, ackerten drei Furchen und ackerten drei Würmer. Der eine ist wesiß, der andere schwarz, der dritte rot, da sind alle Würmer tot". La sua Avemaria poi dice: "Sisi ti maria tenara zo per na guai te troverai na bisa che fa gnam-guam-guam e che la fat la fan. Amen e aman". Non sa che altro confessare e il 28 luglio inizia la tortura. Richiesta di confessare le sue notti col demonio ci ripensa e poi dice: "Zuana l'è vecia - no ghe chi la ama e alora la note el sogno la 'ngana. Che ghelo de male la note a sognare e il giorno a contare e le altre femene farle sbavar ...". La tortura continua. Riportata davanti al tribunale dice di non aver altro da dire. Lo stesso Lichtenstein, il Vescovo al quale il vicario porta le parole della Zuana si confonde. Quei versetti contro i vermi ed altri non sono che proverbi del suo mondo e se servono ... nessuno lo può dire. Il processo si interrompe in maniera brusca e confusa 9). La notte di Valpurga Nella tradizione "celtica" Beltane era la festa del primo maggio, protagonista era il fuoco, che esorcizzava gli incantesimi e le magie: "Sempre tra Aprile e Maggio le tradizioni ricordano l'irrompere dell'elemento magico e fatato.Nella notte di Valpurga, infatti, si radunavano le streghe, i diavoli e tutte le creature che, durante il resto dell'anno, erano tenute a bada; ma era nella notte di Valpurga che il sabba delle streghe (che in Canton Ticino prese il nome di "barlott") ritornava ad essere il vero protagonista.In questa notte di incantesimi i bambini europei accendono dei roghi sulle alture, e vi saltano sopra, agitando delle scope ardenti: fin dove si vede la luce del rogo la benedizione si stende sui campi.Questo accendere roghi la notte di Valpurga si chiama "cacciare via le streghe".L'uso era molto diffuso nel Tirolo, in Moravia, in Sassonia e in diverse zone delle nostre alpi.Durante tutto questo periodo, che non doveva coincidere necessariamente con i primi di Maggio, era poi diffusa la pratica di appendere delle ghirlande di fiori su alcuni alberi considerati particolarmente "magici".Scrive a tale proposito Gualtiero Ciola nel suo splendido (e da poco ristampato) libro "Noi Celti e Longobardi": «Nel primo giorno d'estate, quando il sole aveva concluso la sua parabola ascendente, iniziata in Dicembre, era per i Celti giorno di pubblico gaudio che manifestavano accorrendo in massa a radunarsi sui prati per danzare e cantare attorno ai fuochi, danze e canti che duravano fino all'alba, dando luogo a quelle orge promiscue, che tanto orrore hanno suscitato nel clero cristiano medioevale" 10).
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Dal Bernina al Naviglio "Furono le streghe a subire ogni sorta di anghería e di spietate torture. C'è chi suppone che molti fenomeni fossero dovuti alla «droga» che le presunte streghe ottenevano ingoiando pezzettini di radici, bacche dall’effetto allucinogeno come la bella donna, il crespino, la mandragola e alcuni funghi velenosi. La guerra dei trent’anni aveva dissanguato l’Europa, i tempi erano difficili, la fame si aggirava per le case e con lei la miseria squallida. La droga esaltava lo spirito, eccitava i sensi e la fantasia, non costava nulla e «sui barlott», che erano sempre in posti isolati e fuori dal paese, si danzava spensieratamente e si faceva «commercio» col diavolo…" 11). Les Pierres Jaumâtres du Mont Barlot Sul cosidetto Mont Barlot, [Departement de la Creuse] si trovano sul sito geologico posto a 595 s.l.m. e a 32 chilometri in linea diretta da Ovni a nordovest di Guêret, a 5 chilometri da Boussac e a 5,5 chilometri da Toulx-Ste-Croix degli enormi massi, "gettati" l'uno sull'altro in modo innaturale, che diedero vita a leggende variopinte. I massi granitici, chiamati anticamente Pierres aux Matres erano, nella credenza popolare, dee o fate. Un'altra interpretazione li definisce provenienti dal nome gallico Jo-Mathr che significa tagliare, far colare sangue (Testo originale: couper, faire couler le sang). A questo luogo è legata la leggenda delle "Fées des Pierres Jaumâtres". Tra le divinità dei guerrieri gallici figurava la dea Sylphes (spirito dell'aria), Tutela (patrona dei villaggi) e Matres (protettrice della famiglia). Le fate del Monte Barlot, racconta la leggenda, proteggevano un grandissimo tesoro e custodivano la purezza delle sorgenti d'acqua, capaci di guarire ogni malattia. Un brutto giorno i sacerdoti di una nuova religione distrussero le statue delle divinità galliche e intimarono agli abitanti della zona la conversione al cristianesimo. La dea Matres, arrabbiata, diede un gran colpo di piede alla montagna e chiuse tutte le sorgenti. Prese un martello e lo lanciò con veemenza, gridando: Là, dove cadrà il martello, si aprirà una nuova sorgente: nacque così, secondo la leggenda, la stazione termale di Evaux. La leggenda dice che le fate ballavano saltando sui ruscelli e che queste feste sfrenate conoscevano una sola regola imposta dalla somma dea: "Tutte le giovani fate dovevano lasciare assolutamente il Monte Barlot prima che il sole tramontasse al punto dell'orizzonte chiamato Puy des trois cornes". Ma aimé, una sera, questa regola non venne osservata e la somma dea brandì un martello e devastò con esso la zona, creando l'inferno granitico oggi ancora esistente sul luogo. Il tesoro dell'antica città di Toul è ancora sotterrato sotto le "Pierres Jaumâtres", difeso da un ferocissimo e indomabile vitello. Chi riuscisse ad addomesticarlo troverà il tesoro che servirà a spargere gioia e prosperità 12). Anna Goldin, l'ultima strega svizzera Venne decapitata il 18 giugno 1782, nel Cantone di Uri, come l'ultima strega svizzera, dopo esser caduta nel tranello dei suoi persecutori che vedevano nella guarigione di un bimbo "opera malefica" e stregoneria. Lo strion con il "librone" Andrea Rodoni, morto nel 1929, era ritenuto potente strion. Una volta apparve da lui una donna che si lamentava del furto di tre camicie che aveva steso per asciugare. Lo stregone le consigliò di tornare in paese e di annunciare a tutti che se le camicie non fossero state rese, lui avrebbe comunicato a tutti il nome del 31
ladro, scritto nel suo librone di indovino. Le camicie tornarono, nottetempo, sul filo del bucato 5). La Marasca, la maschera, la strega Strega, metatesi del basso latino mascara, sinonimo di masca/mascha. Già la Lex Longobarda cita: “strigam, que dicitur masca” e l’Editto Rotari (643 d.C.): “strigam, quod est masca”. Da Marasca, masca o mascha nacque la maschera 13). Le fate del Vallese a Molleus troviamo il Rocher des Fées e a Hérémence la Grotte aux Fées, così come a Chamson 14). Se non è vero, è ben trovato! Un vegliardo vallesano mi raccontò che, secondo la tradizione popolare a lui nota, il termine tedesco “Zwerg” nacque dall’esclamazione di meraviglia dei contadini che trovavano la legna tagliata e ben accatastata nella legnaia degli alberi abbattuti il giorno prima nel bosco: “..Gotteswerk!” (opera divina!), in dialetto vallesano: Gottswärch e, abbreviato: ...zwärch, ...zwerg = gnomo, nano, folletto. I Cröisch e i Crusce verzaschini Nel libro di Mosè Bertoni 3) vengono citati i Cröisch della Val Verzasca che abitavano le caverne del Perbioi, così come i Crusce di Mergoscia. Anche in questa valle si tramandano storie di streghe e di "pagani". Non dimentichiamo anche le fate che abitano le Grottes aux Fées di Hérémence nel Vallese. Il Wischbergjöggeli di Rothenfluh (BL) Chi percorreva a notte tarda la strada che porta da Ormalingen a Rothenfluh (Basilea-Campagna) e gridava: "Wischbergjöggeli, chum füre!” (Giacomino del monte Wischberg, vieni fuori!) incorreva nel pericolo di ricevere due potenti ceffoni, senza vedere chi li impartiva e ...aveva la testa gonfia e dolorante per ben tre giorni 15). Ecco una leggenda locale che, tramite l’esistenza dello gnomo del Wischberg, serviva a “nascondere” l’ubriacatura racimolata, durante il percorso tra i due paesi, in ben 8 osterie. Tutto chiaro?! La canzone dei Crusci Nella Basilicata, cioè nella regione cosidetta “sannita”, nel paesino di San Marco dei Cavoti, si canta oggi ancora “La canzone dei Crusci", antico canto di lotta sannita. Le origini di San Marco dei Cavoti risalgono, presumibilmente, intorno alla metà del XIV secolo: il centro nacque dalla fusione di una colonia di Provenzali, al seguito degli Angioini nel Regno di Napoli, con gli abitanti dell'antico Castellum Sancti Severi sorto nello stesso territorio dove, al tempo dei Sanniti, si trovava la città di Cenna (in località ora chiamata Zenna). La canzone dei Crusci: Testo originale con traduzione in italiano: Canto di lavoro "metarano", cioè un canto funzionale alla mietitura del grano. 1)Chi è ch s'i vo' chiagne i morti soi se n'adda i' add'i Crusci a passà 'uai Ca' de fatija tu quant ne voi De mangia' e bbeve ns' ne parla mai 32
2) Quannu vannu p' lla via Dicenu semp': "è carastia Ò pa'amentu T' sann'a ddice: "nunn'hai fattu nent" 3) Sentiti quannu fu una giornata Che si trovarono un falciatore fino E lui ch'era un cèlbro fumatoro Li biancheggiò il foraggio dai lumini 4) E chi è l'omu desgraziatu? Era 'Ntoniu Mastamatu P' nà iurnata Ha autu un'e cinquanta e nà fumata 5) Zi' Angilu s' lagnava verzu la sera L'uperaiu nun ha fattu 'l suo dovere E l'omu ch'era tantu sfatijatu Era chiamatu 'Ntoniu Mastamatu 6) Zi' Angilu parla chianu e 'ustinatu Ha pres''un'e cinquanta e ce l'ha ddat' Ma l'operai'ha dittu: "Mo' m' stizzu Tu damm' quant'a l'auti e statt' cittu" 7) E "Pr'sempiu" diceva E "bboni cunti" s' n' ieva "Ch' sfatijatu! Sultantu u faucionu hai martellatu!" Traduzione: 1)Chi è che se li vuole piangere (davvero) i propri morti se ne deve andare dai Crusci *) a passare guai ché di fatica ce n'è quanta ne vuoi ma di mangiare e bere non si parla mai 2)Quando vanno per la via dicono sempre "è carestia" Il pagamento? Ti sanno dire solo "non hai fatto niente!" 3)Sentite quando fu una giornata che si trovarono un falciatore fine (ironico) E lui che era un celebre fumatore gli rese bianco il foraggio per i troppi fiammiferi 4)E chi è l'uomo disgraziato? Era Antonio di Mast'Amato. Per una giornata (di lavoro) Ha avuto una lira e cinquanta, più una fumata. 5)Zio Angelo (il massaro) si lagnava verso sera l'operaio non aveva fatto il suo dovere e l'uomo che era tanto sfaticato era chiamato Antonio di Mast'Amato 6)Zio Angelo parla piano e risentito ha preso una lira e cinquanta soldi e glieli ha dati Ma l'operaio ha risposto "Mo' m'arrabbio!" Tu dammi quanto agli altri e statti zitto" 33
7)E (zio Angelo) diceva "per esempio" E proseguiva "ad ogni buon conto" "che sfaticato!" Hai soltanto martellato il falcione!" *) Crusci: E' evidente la malignità tradizionale addossata alla figura dell'ebreo che comanda sui mietitori. L'ebreo che ha la fama di essere avaro e che "...quando vanno per la via dicono sempre "carestia". La presenza dei Crusci nel Beneventano apre domande su domande. Una cosa è certa e il punto in comune è visibile: Ebrei beneventani e bleniesi vengono chiamati Crusci. Racconti vallerani Nel testo della signora Romina Bozzini trovo "la tana della Cröiscia", l'abitazione cioé di una strega che ricorda la figura dei narratori tedeschi (fratelli Grimm) della "Frau Holle". Strega che produce neve e freddo. La Cröiscia, secondo le tradizioni vallerane, scendeva nelle fredde sere fino in paese per riscaldarsi ad una stufa accesa, insegnava l'arte del "fare il formaggio" e, come nella favola dei fratelli Grimm "Hänsel und Gretel" rapiva un bimbo, lo nutriva e lo ingrassava per poi divorarlo. E' evidente il tentativo di demonizzare i "pagani" usando una figura abominevole per gli adulti e spaventosa per i bimbi. I Cröisc leventinesi, bleniesi e bedrettesi Mosé Bertoni 3) scrive che “Se i Cröisc bleniesi presentano fattezze umane e quelli leventinesi sono descritti come nani, nella Valle Bedretto essi assumono un aspetto terrificante. Infatti si racconta che ai tempi degli stregoni, la Valle Bedretto era infestata dai Cröisc, assomiglianti alle scimmie e che avevano un occhio solo in mezzo alla fronte. Essi abitavano dirimpetto alla località detta “Vallate”. Ogni venerdì i cröisc venivano nel luogo chiamato “Aldani” e là cantavano, ballavano e facevano baldoria”. L’associazione con il rito ebraico di aprire lo Shabbat al tramonto del sole di venerdì, con canti e “baldoria”, è evidente, anche se "baldoria" dovrebbe lasciare il posto ad "allegria". È' così evidente che gli ebrei appartennero da sempre, dal punto di vista cristiano, al “paganesimo”. I Leventinesi venivano da Levante? Chi si azzarda a proporre che l'etimologia di Leventina abbia a che fare con Levante o addirittura con Levi, non erra. I Leponti, popolo dalla natura discussa a profusione da scrittori e storici che vogliono esser creduti anche se raccontano l'uno il contrario dell'altro, sono oggi ancora di provenienza e di esistenza incerta. Mi sia permessa così l'associazione a Levi e Levante. Un cognome ebraico e un toponimo provenienti da levante (da dove sorge il sole), dall'oriente. Deduzione poco solida? Spero che qualche studioso ne sappia di più. Grazie. Anche le origini antichissime del toponimo Blenio hanno forse le loro radici nel fatto che il sinonimo "Valle del sole" fondi su Belenus, il dio celtico della luce e del sole, presente anche nel "baleno" che precede il tuono e nei nomi delle montagne sparse nel triangolo di Basilea, Foresta Nera e Alsazia, Belchen/Bölche/Ballon che indicavano le albe e i tramonti dei solstizi e degli equinozi solari.
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San Carlo Borromeo e i Cröisc "Quando S. Carlo visitò Dalpe, gli abitanti chiesero che li liberasse dai Cröisc. Promettendo loro della panna, di cui andavano ghiotti, li attirò su una betulla sopra un dirupo, facendoli precipitare compiendo il segno della croce" 16). E’ chiaro che questi racconti nacquero nelle lunghe sere invernali, accanto al fuoco del camino o nei raduni nelle calde stalle. Racconti che però, secondo me, non sono fiabe, ma riflettono la mancanza di veridicità storica di chi di veridicità non voleva saperne. Se le visite pastorali di Carlo e Federico Borromeo nelle alte valli ticinesi trovarono uno stato sconsolante nel clero di allora (XVI secolo), dove i sacerdoti erano dediti al consumo esagerato del vino, ammogliati e a volte bigami e con prole in profusione, mi permetto di interpretare la situazione morale di quelle valli. Non è difficile immedesimarsi nel modo di pensare e di vivere di quelle genti. Superstizioni, paure, povertà, invidie e avidità erano terreno fertile per ogni sorta di calunnia e di malizia. Non dimentichiamo che durante i tempi terribili dell’inquisizione, bastava accarezzare un gatto nero per essere bruciati vivi sotto l’accusa di stregoneria e di eresia. E' probabile che il Borromeo abbia davvero eliminato i nani dalla Leventina: non letteralmente come dicono le leggende, ma attraverso l'ostinata affermazione di quella stessa ortodossia che annienterà pagani e "cröisc" in Val di Blenio 17). ["Il meraviglioso" leggende, fiabe e favole ticinesi, Dadò, Vol. IV, pg. 73/74. San Carlo, gamba ät férasc... San Carlo Borromeo, dopo aver visitato Biasca nel 1567 e nel 1570, si recò a Pontirone. Venne trasportato in una lettiga, sulla strada scomoda e scoscesa, da quattro robusti giovani, i Tinetti della sottofrazione di Sulgone. La strada verso Pontirone costeggiava burroni ripidissimi e Carlo Borromeo, spaventato e innervosito, si dimenava nella lettiga, al punto che uno dei portatori gli gridò: "Ei, ghiamba el feresch, not brot scia no, to re vei sgiù i lè!" 18). Ehi, gamba di felce, non muoverti se no, vedilo giù (se non vuoi precipitare nella valle!). Eretico era considerato chi con scritti o con parole si opponeva alle norme dettate dalla Chiesa. Abiura: L'abiura era la ritrattazione delle proprie convinzioni, quasi sempre estorta sotto tortura, che un eretico scriveva in forma solenne davanti al consiglio dell'inquisizione. Le abiure a cui era sottoposto un eretico erano sempre due perché alla prima ne doveva seguire per legge una seconda di conferma. Normalmente il tempo che intercorreva tra le due era di un anno. L'eretico che rifiutava di firmare la seconda abiura, considerato "relapso", cioè eretico irriducibile, veniva bruciato vivo. Enrico IV e Gregorio Il monaco fanaticissimo di nome Manegold e all'avanguardia dell'esercito gregoriano, predicava addirittura che i seguaci di Enrico IV venissero "...spogliati di tutti i beni e uccisi, e che il farlo non sarebbe un omicidio, ma atto d'amore per impedire loro di peccare". [Libelli, pp. 377, 375 e Mirbt "Die Publizistik", p 156]. Tempi difficilissimi I papi che seguirono Adriano IV (1154-1159), promettendo ai persecutori degli eretici le stesse indulgenze riservate ai crociati, spinsero i cattolici ad eseguire delle vere e proprie stragi come quelle volute da Innocenzo III che si servì delle 35
milizie di Simone de Monfort per distruggere città intere, come Carcassonne, Tolosa e Beziers, perché gli abitanti si erano rifiutati di consegnare i seguaci di Valdo (Valdesi). Soltanto a Beziers furono massacrati oltre 7.000 dei suoi abitanti. Le milizie cattoliche entrarono in queste città e senza curarsi di selezionare gli eretici dai non eretici, eseguirono le carneficine al grido: <Uccideteli tutti perché Dio saprà poi riconoscere i suoi!>. Tra i "perseguitati" possiamo individuare persone di religione ebraica, saraceni, mori, ma anche protestanti e anabattisti che, ai tempi nei quali il fanatismo religioso è ben descritto dalla storia, erano notte e giorno in pericolo di vita. Gli anabattisti tra due fuochi In un testo Internet trovo l'accusa fatta ai protestanti di Locarno, nel XVI secolo, di essere anabattisti, gente cioé che non accetta il battesimo dei neonati. La confusione diviene sempre più grande leggendo le frasi di difesa contro questa accusa. "...Non v'è traccia di anabattisti in Locarno, e chi accusa di eresia la povera e perseguitata parrocchia è un calunniatore ed un senza Dio. Ed è ben peggiore l'agire di questa gente, perché non si tratta già di nemici dichiarati, ma nascosti, che ipocritamente si professano in pubblico per cristiani e che invece sono gente senza timor di Dio". Storie moderne: L'eremita di Prosito Per chi transita lungo la carrozzabile della sponda destra della Riviera, all'altezza di Prosito, scorgerà, nel mezzo del fianco della montagna, contrassegnata da una bandiera svizzera, la "casa" di Luigi Biasca. Il rifugio, accogliente e ben protetto, provvisto di orto e non dotata di "comodità", è la dimora stabile del moderno eremita dal 1986. Durante gli scavi effettuati dal proprietario, emerse un masso che a prima vista sembrava "qualsiasi", ma che si rivelò essere stato formato da mano umana. Scultura? Pietra sacrificale? Altare? La végia dul Balm E' la storia realmente accaduta in Valgrande (Italia) che racconta la vita difficile di una coppia, entrambi separati da moglie e marito, che vive sui monti, lontana dalla "civiltà" fino alla morte. La "végia du balm", della quale esistono fotografie, trasportò sulle spalle il compagno morto, fino in paese perché lo seppellissero. Balm è termine longobardo che contraddistingue un'abitazione montana, costruita con massi o al riparo in una caverna 6).
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BIBLIOGRAFIA 1
) Rivista "Tre Valli", Anno 24, Nr. 2, 2000, Mariella Becchio. ) Alina Borioli, Leggende leventinesi, Edizioni Svizzere per la Gioventù (ESG). 3 ) Mosé Bertoni, "Le case dei pagani", 1883, ed. La Baronata, Riedizione a cura di Peter Schrembs, 1996. 4 ) Guido Bolla, La storia di Olivone, II edizione, 1983, Partito Liberale Radicale, Sezione Lodrino. 5 ) Caterina Magginetti e Ottavio Lurati: Biasca e Pontirone, ed. G. Krebs S.A., Basilea, 1975. 6 ) Teresio Valsesia, Val Grande, ultimo paradiso, ed. Alberti Libraio, Verbania-Intra, 1902. 7 ) A. Peacock / Bantam Book, Faeries, ed. Peacock Press / Bantam Bocks, New York, Toronto, London, 1976. 8 ) Angela Bacher, "Bärulussä" Il prato dell'orso, Domodossola 1951-1991). 9 ) Da un testo riadattato di Bruna Dal Lago Veneri. [Manoscritti dei processi di Fiemme, volume 617-Processi per stregoneria dai 1501 al 1505 con consulti di Pietro degli Alessandrini intorno alla procedura e alla colpabilità]). 10 ) Testo Internet di Andrea Mascetti. 11 ) Dal Bernina al Naviglio, romanzo di Massimo Lardi, uscito in: «Contract», XVIII, n. 35, II semestre 2002, pp. 43-45, articolo di Andrea Paganini: 12 ) Christian Macé, Testo Internet originale in lingua francese. Tradotto liberamente da Gianni Mazzucchelli. 13 ) (Arturo Galanti: I tedeschi sul versante meridionale delle Alpi, 1885, ristampa 1971, p. 113). 14 ) Lukas Högl, Burgen im Fels, Band 12, 1986. 15 ) Paul Suter / Eduard Strübin, Baselbieter Sagen, Kant. Drucksachen- und Materialzentrale, Liestal, 1976. 16 ) Märchen aus dem Tessin di Ottavio Lurati, Colonia 1984. 17 ) "Il meraviglioso" leggende, fiabe e favole ticinesi, Dadò, Vol. IV, pg. 73/74. 18 ) Gotthard End: Biasca und Val Pontirone, ed. Gruppo ricreativo Val Pontirone, Biasca. Copia anastatica dell'originale dell'anno 1923. 2
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Cröisc e Grebels: Ebrei e anabattisti Un testo in lingua francese del Rabbino Max Warschawski, grande Rabbino onorario del Basso-Reno (Alsazia) cita la cerimonia tradizionale, usata nelle vallate del Reno, chiamata "Hol Kreich", che si celebrava al momento di dare il nome al neonato. Il significato della denominazione di questa cerimonia può essere interpretato in diversi modi: (Illustrazione tratta dal testo originale in lingua francese). 1. Potrebbe essere nata dalla deformazione del termine in lingua francese "haut la crèche" (crèche = culla) perché il bimbo veniva elevato al cielo al momento della proclamazione del suo nome. 2. "Holle kreichen", cioé grido atto a spaventare la strega Frau Holle, che vuol sempre fare del male ai bimbi. 3. L'espressione 'hol kreichen’ è testimoniata già nel 14.mo e nel 15.mo secolo e significa semplicemente gridare o proclamare ad alta voce il nome profano ('hol) del neonato, contrariamente al nome kodesh (nome ebreo). Questi termini sono menzionati anche negli scritti medievali dei Tosafisti. I nomi dati erano generalmente nomi ebraici, biblici o talmudici. Nella vita quotidiana i bimbi venivano chiamati con nomi giudeo-alemannici, tramandati da generazione a generazione. Esempi: Dov diveniva Bär (orso), Yehouda – Leib (Leone) e infine Benjamin – Wolf (Lupo). Nel corso del tempo la Hol Kreisch per i neonati maschi è scomparsa, anche per non sminuire l'importanza della brith mila (circoncisione). La cerimonia di "Hol Kreisch" si esegue generalmente nel giorno dello Shabath, quando la madre esce per la prima volta, dopo il parto, per recarsi alla sinagoga. I numerosi amici di famiglia, ma soprattutto molti bimbi e bimbe, si riuniscono attorno alla culla del neonato. Il Rabbino, o un'altra persona, recita il primo verso di ciascuno dei cinque libri della Torah e aggiunge l'ultimo versetto del Deuteronomio. In seguito chiede ai bimbi presenti di sollevare il neonato nella culla, chiedendo loro a tre riprese: "'Hol Kreich, wie Soll's Pupele Hasse" (in Israelitico: "'Hol Kreich ei'kh korim labath" - "'Hol Kreich come si chiama questo bimbo?"). I bimbi presenti rispondono ogni volta gridando il nome 'hol (Baer, Leib, Kochel, Wolf, ecc.) dato al neonato maschio e con il nome vero e proprio della neonata. In seguito i bimbi recitano Hamala'h (preghiera serale), e il primo paragrafo di Shema Israël (invocazione "Ascolta Israele"). Il Rabbino benedice il neonato e i genitori, come si usa fare allo Shabath (yesim'ha…). Se fosse presente un Cohen (maestro) lui celebrerà la Birkath Cohanim (benedizione dei sacerdoti). La cerimonia termina con un pranzetto in famiglia. Non va dimenticata la distribuzione di caramelle ai bimbi presenti. 38
Grebels, gli anabattisti Tra i Grebels, patrizi di Zurigo dal 1386, emerse Konrad Grebel (1498-1526), capostipite del movimento anabattista protestante che contestava al riformatore Zwingli il mantenimento della cerimonia del battesimo secondo il rito cattolico. Cerimonia esageratamente complessa e carica di dettagli addirittura disgustosi. Insieme a Felix Manz (proveniente da Mainz, Magonza), Simon Stumpf, Balthasar Hubmaier e Wilhel Röubli costituì il gruppo di renitenti che nel 1523 vennero definiti "Radicali" e poi "anabattisti" o semplicemente eretici. Grebel si rifiutò di far battezzare il figlio, secondo il rito istituito da Zwingli, cosciente di incorrere così in punizioni severissime che comportavano anche la morte e l'esilio. Konrad Grebel continuò la sua missione, anche se le autorità lo perseguitavano. Affaticato a morte tornò nell'estate del 1526 a Maienfeld (GR) e morì in casa della sorella stroncato dalla peste. Felix Manz finì in prigione e venne affogato nel fiume Limmat il 5 gennaio 1527. Georg Blaurock venne messo alla pena della tortura lo stesso giorno. Anche lui rimpatriò nei Grigioni e venne bruciato sul rogo degli eretici il 6 settembre 1529 a Clausen, nel Tirolo meridionale. La lotta tra i protestanti di Martin Lutero e di Zwingli fu lotta tra persone avide di fama e di potere. La religione divenne un'arma mortale, sia per i radicali-anabattisti che vennero uccisi sul rogo e affogati nelle acque dei fiumi, sia per i cattolici. Ne nacque una vera e propria guerra, nella quale Zwingli fu ferito a morte, il 4 ottobre 1534, a Kappeln. [Da " Im Morgenrot der Reformation", 1921]. Le persecuzioni e i disordini derivati dalla riformazione (1524 - 1534) ebbero di sicuro ampia risonanza anche nelle alte valli ticinesi e specialmente nella Valle di Blenio che apprendeva le notizie dai numerosi viandanti e commercianti. La "fama" dei Grebels giunse nelle valli del Ticino, del Rodano e del Reno, dove troviamo le case dei pagani. I "Wiedertäufer" o anabattisti subirono per molti anni persecuzioni, furono esiliati e uccisi. Essi ribattezzavano gli adulti con una cerimonia sobria. Questa avversione al battesimo, così com'era prescritto dal rito dalla Chiesa cattolica, fece sì che la credenza popolare vallerana li allineò nelle schiere di coloro che non ammettevano il battesimo e divennero così i "pagani", i "non battezzati", insomma i Grebels. Deduzione Mi sembra evidente che a coloro che "gridavano" il nome dei neonati, eseguendo la cerimonia del Holle kreichen (in tedesco "kreischen" significa gridare sonoramente) venne impartito il soprannome Cröisc. La cerimonia non corrispondeva al rito cattolico, così i Cröisc erano i "pagani".
BIBLIOGRAFIA - Rivista "Tre Valli", Anno 27, No. 1: Cröisc e Grebels, di David Motha, Niederrhein.
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Cröisc e Grebels nella linguistica Etimologia alla rovescia Una piccola confusione? Giulia Mastrelli Anzilotti: I nomi locali della Valle di Non, 1981: Crozi, Croz: rupe difficile, parete rocciosa. Crozzi delle tane: La croz del Faé (la croce del Faée, cfr. Vallese Fées). Mi sembra che qui si mescoli Croz/croce e croz/rupe. Così i "crozzi delle tane" sarebbero le "rupi difficili delle caverne" (?) (N.d.a.). Pierino Boselli: Voc. Brianzolo, lecchese, ecc., [10 IS 3704] Crosa: Anfratto Croeus: sentiero di monte scavato dall’acqua. Pietro Settimio Pasquali: I nomi di luogo del comune di Filattiera (Alta Valle Magra), 1938, [10 IS 3902]: C(o)r(r)osa gall. crosu Krösa: „borro formato per corrosione dalle acque torrenziali (It. Settentrionale) Crosa, crose, connessi con Fossa, fossato, fossale, foppa. Il dizionario Dialetto Milanese-Italiano di Giuseppe Banfi: Croeusc Crocchio, brigata di scioperanti: "Tegnen fermàa cont el croeusc la gent". Mentre il dizionario Zingarelli minore: Cricca Gruppo di persone che si favoriscono a vicenda a danno degli altri, sinonimo di camarilla, combriccola, consorteria. Confronto con il dialetto in uso nell'Alto Verbano (Oggebbio/Barbé, Lago Maggiore, Italia): crös conca naturale situata in un terreno erboso e prediletta da capre e pecore per “riposare”. crött
conca nella quale trascorre la notte la selvaggina. afr. crot = conca nel terreno (afr. = francese antico) svizz. krotet = buchino del mento (Grübchen im Kinn) [MeyerLübke] Crenscia, figura femminile immaginaria che si evocava per intimorire i bambini: "per fagh pagoira äi fiéi i vüsaa ciamaa rä crénscia, che vivée sott ä m sprügh...". [Biasca e Pontirone di Caterina Magginetti e Ottavio Lurati, 1975]
Gabriele Rosa: Dialetti di Bergamo e Brescia, 1857: Crena (bergam.) Fessura, scanellatura. Crüss Porcile (Val Brembana). Greben (nella Carnia) Luogo rupinoso.
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Viceversa Sembra, a questo punto, che i Cröisc siano coloro che abitavano il "crüss" della Val Brembana, cioé i porci. Credo però che qui siamo di fronte ad un segnavia capovolto: Da cröisc, da marrano (sinonimo spregiativo di ebreo, dal catalano: porco) nasce il vocabolo valbrembano, che, guardacaso, è una "valle". Dopo tutti questi termini e vocaboli mi sembra opportuno sottolineare che tutto ciò che indica una roccia, una spaccatura o un crepaccio non si presta alla definizione bleniese "Cà di croisc" o "Tana di cröisc" e "I Crozzi delle tane". Ne uscirebbero traduzioni come "Casa delle rocce" o "Caverna delle rocce spaccate" o "Anfratto delle tane o caverne". La divulgazione dei termini krösa, crosa e croeusc nelle zone del Piemonte, è da dividere dal Cröisc bleniese. La concentrazione in Val di Blenio In Val di Blenio si contano ben 12 “case dei pagani”, mentre in Leventina ne esiste solo una. Un’altra è a Losone, una a Mendrisio e una in Val Verzasca. Da indagini in corso da parte di Pietra e Storia risultano assai più numerose. Ci si domanderà perché questi termini (Cröisc e Grebels) si concentrano in Val di Blenio. La Valle di Blenio conduce al Passo del Lucomagno, passo più “facile” da valicare che il passo del S. Gottardo. Probabilmente la frequenza di passaggio in Val di Blenio era maggiore, anche perché il passo restava aperto negli inverni poveri di neve. Ecco che le vedette segnalavano l’avvicinarsi di “carovane” pericolose, così da poter organizzare la difesa, o la fuga. Per rendersi conto della presenza fitta di queste abitazioni, consiglio a questo punto la lettura del libro di Mosé Bertoni "Le case dei pagani", ed. La Baronata, 1996, che da pagina 143 (Appendice A) elenca minuziosamente e correda con abbondanti dati bibliografici, tutti i ritrovi di Case dei pagani, dei Cröisc, Grebels e dei Selvadighei. Nel lavoro di diploma (Università di Zurigo) di Lukas Högl: "Burgen im Fels", Band 12, 1986, vengono elencati e descritti molti "luoghi di favola": in Hérémence, Grotte aux Fées, a Mollens, Rocher des Fées, a Chamoson, Grotte aux Fées, ed è chiaro che Fées significa "fate". La Cassina delli Grebel (di Sgrébol) Dal Repertorio toponomastico ticinese, Zürich, 1983: "Nel 1894 una sentenza del tribunale d'appello di Locarno mette fine alle divergenze sorte fra i patrizi di Lottigna e delle tre terre di Torre, Grumo e Dangio riguardo alla definizione dei confini comunali e patriziali... dal Brenno lungo il fianco della montagna fino alla cresta del Simano: "Dalla Croce d'Isola... alla Croce di Crenno... alla Morgiana... nella località detta la Cassina delli Grebel... sopra il culmine della montagna 41
nominata Port". La vertenza concerne in particolare l'ubicazione del quarto termine, quello posto nei pressi della Cassina di Sgrébol, che nel 1755 era detta anche "dei Valmaggioni". Commento: Se nel documento si parla di Grebel e di Cassina, perché si trasforma Grebel in Sgrebol e si lascia Cassina (cascina)? La via “alla rovescia” Chi rilegge attentamente questo scritto si convincerà della confusione presente negli elenchi dei termini collegati a Cröisc e ai Grebels. Qui si parla di pagani e di eretici, là di rocce, caverne, dirupi e abissi. Si dimentica che in Val di Blenio i Cröisc erano e sono persone fiabesche o esseri ripugnanti e non dirupi o pareti rocciose, anche se la credenza popolare li rilega in quegli anfratti, nei quali si rifugiano anche le capre. Costatato che nell’Alto Verbano un crös è una conca naturale, prediletta da capre e pecore nelle ore di riposo, e che nessuno, in questi paraggi montani, associa il termine di microtoponomastica con folletti e nani. Contesto qui i vocaboli citati nel libro del Bertoni, dove Grebal è sinonimo di greban per ignorante (Taverne) e greban (Lugano) per testardo. Qui vedo il termine in lingua tedesca “Grob, grobian ” prestare la radice ai termini citati, senza aver a che fare con Grebel, l’anabattista. Rusticus e grobianus designano il contadino nel XV secolo (Kluge, Etymologisches Wörterbuch, 1975). Mosé Bertoni cita inoltre a pagina 168 l’elenco delle voci imparentate con Cröisc esistenti a Faido, Calpiogna, Olivone, Chironico (burele di croisc, borro è la caverna naturale, così la “caverna delle rocce” è una definizione senza valore), Aquila, Biasca, Cavagnago. Anche il "Lessico etimologico abruzzese di Ernesto Gianmarco, 1985, dice che: Grava canalone di montagna (ted. Graben) , roccia, sasso sporgente dal terreno. Romancio: Krap, Crsp (dial. crapa. N.d.a.). Greppa greppo, fianco ripido di un'altura, crepaccio (lat. reg. grippa > cripta > cretta). Grappa, Krappa, roccia sporgente. Sgreppà dirupare. Sgörbi = sgörbià giò (rozzo), tagliato con la sgorbia o falciotto Nell'antica lingua retica si identificano i termini Cröisch e Grebels con “pagani miscredenti” e “uomo delle rupi”. Ma la linguistica insegna che Krep è il termine romancio che indica la rupe. In Val Bregaglia il greppo è la rupe. L'idioma ladino Krapp o Crap indica il sasso, inteso anche come montagna (Es.: Crap Ner). La posizione “impossibile” di queste abitazioni creò sinonimie con tutto ciò che ha a che fare con pareti rocciose e strapiombi, con rifugi di capre e con antri misteriosi e naturalmente abitati da esseri strani e innaturali, streghe e folletti. Non dimentichiamo che anche le cantine e i solai delle abitazioni “normali” si popolavano di “spiriti”, specialmente nelle lunghe notti invernali.
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Non mi sembra credibile unire in un solo termine i concetti di croisc/pietra, crosa/rupe, crosa/anfratto e croisc/nano deforme. Ci dev’essere un’altra spiegazione. Grebel viene usato nella sua forma originale solo nella Valle di Blenio. Nell’alto Piemonte crös indica una conca naturale nel terreno, mentre un crött è una conca usata dalla selvaggina per la notte. I Grebels, gli anabattisti, provenivano dai Grigioni, dove Konrad Grebel stesso morì. Lo sbocco della Val di Blenio, attraverso il passo del Lucomagno, nei Grigioni, permette un’associazione e una spiegazione valida.
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Gianni Mazzucchelli, 4467 Rothenfluh - Le streghe della Capriasca - maggio 2000
Le streghe della Capriasca e la Bretagna Gianni Mazzucchelli, Settembre 2003
In un invito turistico alla visita di Tesserete e dei suoi dintorni, leggo: "Visitate la torre di Redde, nelle vicinanze di Tesserete TI, ora restaurata. Primo insediamento e posto di leggende, di streghe come da pubblicazioni in commercio". Si dice che le streghe della Capriasca recitavano versetti in una lingua che è sconosciuta in tutto l’arco alpino 1): An dudigou paour lavare - Kan, Merzhin, kan, e pep mare Lare eure ar vretoned - Kan, Merzhin, An traou da sonet ! La fortuna, che bacia il ricercatore accanito, volle che io trovassi una poesia brétone che racchiude questi versi. Il fatto che in Capriasca si recitino oggi ancora versi nati nel Nord della Francia (Bretagne), in una regione di tradizione detta "celtica" e dove le sculture rupestri e i menhir 2) sono numerosissimi. Ecco la poesia completa: Le Fou bretonne, il brétone pazzo recitava la poesia seguente che si crede sia stata scritta per il mago Merlino: "...est poème breton: s'il plaît à l'assemblée, le Fou le traduira après la récitée. Voici donc ce poème qu'on dit du grand Merlin": En amzer ma dan barzh er bed, Me a oa gant an holl enoret Dioc'htu ma'z aen 'barzh ar sal, E klevet an holl a youc'hal! Dioc'htu ma kane va zelen Koueze diouzh ar gwez qour melen Rouéed ar vro am c'hare, Rouéed all holl am douje An dudigou paour lavare Kan, Merzhin, kan, e pep mare Lare eure ar vretoned Kan, Merzhin, An traou da sonet!
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Ecco i versi recitati dalle « streghe » della Capriasca
Traduzione in francese de «Il brétone pazzo»: Du temps où j'étais barde dans le monde, J'étais honoré de tous Dès mon entrée dans les palais La foule m'acclamait Sitôt que ma harpe chantait Des arbres l'or jaune tombait Les rois du pays m'aimaient Les rois étranger me craignaient Les petits gens pauvres disaient: / Chante, Merlin, chante toujours / Les bretons disaient: / Chante, Merlin, les choses à venir! / 1
La gente povera diceva : Canta Merlin, canta sempre I Brétoni dicevano : Racconta (canta), Merlin 3), ciò che avverrà! Predici il futuro!
) Rime oggi ancora conosciute dagli anziani della zona. ) Menhir: Massi turriformi e di notevoli dimensioni: les bigous, che diedero il nome a questa regione: Le pays bigouden. 3 ) Merlin, Myrrdin (gallois), Merzin (breton). Famoso mago medioevale alla corte di re Artus. La leggenda lo vuole figlio di un demonio e di una vergine. Usava la magia solo per il bene dell’umanità. 2
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Pittografie e simboli da riordinare La rosa celtica è il Nodo di Salomone A pagina 205 del libro di Franco Binda: Archeologia rupestre 1), è raffigurato il masso 7605.07, di Stampa, Maloia, Casa Soldanella con "...al centro una perfetta 'rosa celtica'". La descrizione delle pittografie presenti sul masso elenca, oltre alla "rosa celtica", un disco solare e una falce lunare. Siamo di fronte ad un insieme di figure prettamente "astronomiche". La rosa celtica ha una storia molto antica e la troviamo anche negli elenchi della simbologia semitica o almeno nella simbologia che geograficamente non ha apparentemente niente a che fare con l'enigmatico "celticismo". La "rosa camuna", molto frequente nella pittografia rupestre della Val Camonica, viene interpretata come "calendario astronomico" che segna albe e tramonti dei solstizi e degli equinozi solari. I calendari solari erano importantissimi. Da essi venivano definite le date festive e civili, così come quelle che servivano allo svolgimento dei lavori agricoli e all'allevamento del bestiame. Il sole, la luna e le stelle furono i "cronometri" e i "calendari" per migliaia e migliaia d'anni. Anche il "nodo di Salomone" serviva alla divisione del tempo e simboleggiava allo stesso momento l'infinito (secondo l'umanità) e il moto perpetuo del sole, dei pianeti e delle stelle. I Romani e il nodo di Salomone
Mosaico dell'epoca romana: "Nodo di Salomone" e la "Rosa camuna" della Val Camonica, detta anche svastica (simbolo solare). La svastica “Segno simbolico che si ritrova presso molte popolazioni dalla preistoria fino in età storica, variamente interpretato nel quadro del simbolismo solare: consiste in una croce a quattro bracci di uguale lunghezza, terminanti ciascuno in un prolungamento ad angolo retto volto verso sinistra”. [dal sanscrito svastika- ‘apportatore di salute’] 2). Segno spudoratamente usato dai nazisti e che divenne sinonimo barbaro di tristezza e di terrore, ma che allo stesso tempo testimonia la provenienza orientale dei germanici (o indogermani). I bracci rivolti verso destra, secondo l'interpretazione runica, provocano l'effetto contrario. Il simbolo solare, diviene così simbolo tetro e diabolico. 45
A sinistra: Nodo di Salomone, dal manoscritto del Mis'neh Torah, Spagna, ca. 1460, raffigurato nell'Atlante storico del popolo ebraico, Zanichelli, edizione italiana di Elena Loewenthal, 1999 3). Si notino le dodici stelle che ricordano le dodici tribù d'Israele. Particolare interessante: Il nodo sovrasta una "piramide" e le 12 stelle "ruotanti" alludono all'uso astronomico del simbolo. Le linee dei quattro lobi del Nodo di Salomone riprodu-cono i tre archi solari principali descritti dal sole nelle date equinoziali e solstiziali. Argomento trattato nell'ultimo capitolo: I lastroni di Dagro (da Dagro a Babilonia.
La ruota di Taranis: "bussola" preistorica La ruota di bronzo di Taranis, dio del tuono, divinità celtica paragonabile a Giove (dal termine gallico: taran = tuono), venne trovata in quantità notevoli, negli scavi della "Keltische Siedlung Gasfabrik" di Basilea. I raggi indicano approssimativamente le albe e i tramonti delle sei date del calendario solare. Ecco che la "ruota di Taranis" assume il ruolo di "bussola". Orientando la "bussola" verso Nord e individuato il punto all'orizzonte dal quale sorge il sole (Azimut), si può determinare la data dell'anno civile. Una semplice suddivisione del cerchio in 360 ° permetteva una precisa datazione mensile e giornaliera. I quattro triangoli riportati nel disegno sono "simboli alchemici". Sovrapponendo due di questi triangoli si ottiene la "Stella di Davide". Leggete, in senso orario, le date delle albe e dei tramonti indicati dai sei raggi, partendo dal raggio in alto e a destra: Albe: Solstizio d'estate (21 giugno) Equinozio di primavera (21 marzo) Equinozio d'autunno (23 settembr) Solstizio d'inverno (21 dicembre)
Tramonti: Solstizio d'inverno (21 dicembre) Equimozio d'autunno (23 settembre) Equinozio d'autunno (23 settembre) Solstizio d'estate (21 giugno) 46
Re Salomone che per decreto reale divise il Regno d'Israele e di Giuda in dodici Province, nominando un governatore per ognuna. Un esempio del modo di amministrare la giustizia da parte di Salomone lo si trova nell'episodio del figlio conteso. Un giorno il Re ricevette la visita di due prostitute. Entrambe, tre giorni prima, avevano partorito, ma dei due neonati uno solo era sopravvissuto. E ora le due donne se lo contendevano, sostenendo entrambe di essere la madre della creatura. Dovendo scegliere a chi affidare il bimbo, Salomone ordinò che gli si portasse una spada. "Tagliate in due il figlio vivo", disse il sovrano," e datene una metà all'una e una metà all'altra". Una madre gridò: Risparmialo! Non ucciderlo! Lo può avere lei. Re Salomone giudicò che il figlio apparteneva alla donna pronta a dividersi dal figlio, pur di salvargli la vita. Che Dio benedica questo bambino, e i figli dei suoi figli e soprattutto la sua vera madre. Conclude la Bibbia: "Tutti i figli di Israele provarono per lui un gran rispetto, avendo visto che egli possedeva la sapienza divina necessaria per amministrare la giustizia". Da Palermo alla Scozia A sinistra: Casignana, villa di contrada Palazzi, mosaico pavimentale, particolare (IV d.C.). Casignana, tra Bovalino e Bianco (Calabria) 4). A destra: Ciondolo in ardesia, dipinto a mano da un giovane scozzese di Glen Finnan. Acquistato dall'autore nel 1996, in occasione di un "Highland games" (concorso musicale-folcloristico). I "Celti" irlandesi cristianizzarono l'Europa da Nord verso le Alpi E' un fatto storicamente accertato, che il cristianesimo "scese" dall'Irlanda verso le Alpi, tramite predicatori, frati e vescovi irlandesi. Il "nodo di Salomone", simbolo ebraico, venne usato dai "celti" irlandesi cristiani, la cui religione, non dimentichiamolo, seguiva le massime di Cristo, l'ebreo. C'è chi identifica nei maestri religiosi celti (Druidi), "saggi" o sacerdoti emigrati dalla Palestina verso l'Irlanda. I Celti e la loro discussa identità Negli ultimi decenni il cassetto del "celticismo" si è smisuratamente ingigantito. Sempre più autori moderni e consapevoli, cercano di "riordinare" la celticità. Il fatto accertato che i Celti abbiano usato raramente la scrittura, crea un contrasto con le montagne letterarie in merito. Forse è proprio la mancanza di "prove" che permette a molti di trincerarsi dietro un paravento indecifrabile. Spesso, nella vita terrena e nella storia "vince chi arriva primo". Gli "altri" devono accontentarsi di applaudire o di starsene in disparte tacendo.
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Gli archi solari. Particolare della lama bronzea di un coltello rituale "celtico" ritrovato sulle rive del lago di Costanza (ted. Bodensee)
Simbologia ritenuta fino ad oggi "celtica" Le albe e i tramonti, nell'arco dell'anno solare e del mese lunare, furono da sempre i "cronometri" dell'umanità. La precisione di questi fenomeni permettevano (e permettono oggi ancora) di definire date importanti per la vita di tutti gli esseri animali e vegetali di questa terra. Gli archi solari e lunari, descritti nella cupola celeste, ebbero da sempre importanza vitale e vennero riprodotti in svariatissimi modi, come sulla lama del coltello rituale "celtico". I "piedini" della Madonna e i "pesit" di ADAR: I termini piede e piedi. (dial. pé) equivalgono curiosamente ai termini pesci/pesciolini, piedi/piedini (dial. pés, pesit, pé, pescit, pescin). Significato "camuffato", simbologia nascosta nelle raffigurazioni del piede in molte regioni alpine 4). Purim, la luna piena di Adar, il mese che corrisponde al segno dei Pesci. Festività che ricorda la liberazione degli ebrei da un grave pericolo di sterminio corso durante l'esilio persiano, come spiega il libro di Ester. Il segno zodiacale associato a questo mese sono i pesci (in ebraico mazal Daghim). Il pesce è sempre stato un cibo tradizionale dello Shabbat ebraico. L'importante e difficile sdoppiatura di Adar e la simbologia collegata al pesce, vennero scolpiti nella pietra. E' importante, a questo punto, costatare che il calendario Ebraico è il calendario ufficiale dello Stato di Israele e della Religione Giudaica. Come il calendario cinese, il calendario ebraico è lunisolare. Come in tutti i calendari lunisolari, le regole del calendario ebraico sono abbastanza complesse. Un anno può avere 12 o 13 mesi; in un anno "bisestile" (di 13 mesi), il mese inserito è Adar II. Sette di questi mesi vengono inseriti in un ciclo di 19 anni. Il risultato è che vi sono 12*19+7=235 mesi ogni 19 anni; in effetti la durata di 235 lunazioni è molto vicina a 19 anni solari, per cui il calendario ebraico va d'accordo con entrambi i cicli lunare e solare. Un anno "ordinario" di 12 mesi contiene 354 giorni; un anno "bisestile" di 13 mesi contiene 384 giorni. Tuttavia ciascuno dei due tipi può essere allungato o abbreviato di un giorno, per cui si avranno anni "completi", "regolari" o "ridotti" 4).
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Anno ordinario Anno bisestile 30 30 30 30 30 30 29 29 30 29 29 30 29 30 30 29 30 30 29 29 29 29 29 29 30 30 30 30 30 30 29 29 29 30 30 30 ---- 29 29 29 30 30 30 30 30 30 29 29 29 29 29 29 30 30 30 30 30 30 29 29 29 29 29 29 30 30 30 30 30 30 29 29 29 29 29 29 ---- ----- ----- ----- ----- ----353 354 355 383 384 385
Il masso di Soglio
Mesi Tishri Heshvan Kislev Tevet Shevat Adar I mese ADAR Adar II II mese ADAR Nisan Iyar Sivan Tammuz Av Elul
Franco Binda: Archeologia rupestre" 2), pagina 202. Il masso di Soglio "...si trovava in origine nel Bosch Bügna, sopra Soglio". Nel 1970 venne spostato a Coira. Esso ha molta analogia con il masso di Sesto Calende (I) su cui sono scolpite 20 coppelle e 10 forme di piede umano. Secondo le segnalazioni date dal signor Giovanoli a U. Schwegler, nel 1983, pare che nel Bosch Bügna si trovasse un "Prato delle orazioni" dove, tempi addietro, chi soffriva di qualche serio malanno saliva a pregare. Forse anche un prato per il Barlott (tregenda), il raduno e luogo di danza delle cosiddette "streghe" 10).
Il masso di Soglio (ora a Coira)
I piedini della Madonna o di S. Carlo Pietra e Storia non vuole confutare la tradizione popolare che vede nelle "impronte" fatti miracolosi. E' però più facile, e storicamente più corretto, ricercare altre testimonianze che spieghino razionalmente l'esistenza di quei "segni". "Senza atti, niente fatti", si usa dire in Schwyzerdütsch (Ohni Äkte, keini Fäkte).
BIBLIOGRAFIA 1
) Franco Binda: Aarcheologia rupestre della Svizzera Italiana, Armando Dadò, editore, 1996. 2 ) Dizionario della lingua italiana Devoto Oli. Le Monnier Firenze 1971. 3 ) Atlante storico del popolo ebraico, Zanichelli, edizione italiana di Elena Loewenthal, 1999. 4 ) Claudio Donzelli: Magna Grecia di Calabria, ed. Regione Calabria - Assessorato al turismo, 1996.
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Valle di B(e)lenio, Valle del sole Uno strano volatile bleniese: il Neser "Secondo il citazionismo del professor Johann Rudolf Rahn (I monumenti artistici del Medio Evo nel Canton Ticino) l'antico campanile di Torre (in Blenio) è un edificio quadrangolare snello come fumaiolo. Misura sei piani [...]. Altri storici dell'arte che hanno descritto il campanile di Torre, lo dicono a cinque piani. Recentemente al penultimo piano di questa costruzione, su segnalazione del signor Paolo Sarro di Torre, è comparso uno splendido neser, appollaiato su una delle aperture che danno sul villaggio di Torre. Il neser è un uccello biblico che la tradizione identifica con il grifone o l'aquila; neser che "come aquila veglia sul suo nido" (Deut. 32. 11.). Il simbolismo di cui è carico questo uccello, unito a quello del leone molto abraso che sporge da uno spigolo della torre campanaria, rende (o dovrebbe rendere) meno misterioso questo edificio. Le domande che si pongono d'innanzi a questo ritrovamento sono le seguenti: il neser, prima che lo vedesse il signor Sarro, non lo aveva dunque visto nessuno? O non c'era mai stato sul campanile di Torre? O era conveniente non vederlo? O era stato segnalato e poi se ne erano perse le tracce? Esistono in Val di Blenio e in Ticino altri neser? Ci pare che questi interrogativi meritino una risposta, anche perché mai si è sentito parlare di un simile volatile dalle nostre parti. Sarebbe quindi interessante cercare da dove questo magnifico uccello provenga e quali cieli, malgrado la notevole mole, abbia sorvolato". [Testo inedito di Mariella Becchio, Segni 2001]
Sulle tracce del Neser La presenza del grifone era stata segnalata nel 1978 in una notizia non firmata sulla "Voce di Blenio": "La scultura merita maggior interesse poiché finora nessun autore nel campo artistico si è avventurato a salire sul campanile per scoprire questi documenti risalenti al 1100, secondo la documentata ricerca del Prof. Gilardoni. Lo stesso parla di una "scultura, forse di un leone" e aggiunge "non è possibile descriverla e giudicarla senza salire sul tetto della chiesa" (Cfr. "Il romanico, col. 2, pag. 573)". Purtroppo il riferimento a Gilardoni è sbagliato. Egli si riferisce al leone, scultura molto abrasa che sporge quasi sullo spigolo della lesena della fronte meridionale. Gilardoni il neser non l'ha visto, trovandosi questo all'ultimo piano della torre. Gilardoni, in apertura del capitolo "Torre" scrive: "Pur nel silenzio delle carte e nell'attesa di una indagine archeologica..." (cfr. "Il romanico, vol. 2, pag. 572), attesa che continua. [Testo inedito di Mariella Becchio, 2003]
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Indaghiamo Leggiamo in "Simboli del pensiero ebraico" di Giulio Busi, ed. Giulio Einaudi, 1999: "...Nell'Ecclesiaste rabbah, redatto probabilmente agli inizi dell'VIII secolo, si narra così che Salomone possedeva una grande aquila che egli cavalcava per recarsi a Tdmor nel deserto e per far ritorno, in una sola giornata". "..In un'altra tradizione, conservata nel coevo Targun seni a Ester, il trono di Salomone è adornato da dodici aquile d'oro, affrontate ad altrettanti leoni...". Un salto nell'antichità La citazione di Neser nel Deuteronomio permette un'associazione con la dea "egiziana" Neseret o Per-Neser o Casa del Fuoco, forma terrificante della dea egiziana Hathor. Ella distrugge i nemici con un fuoco potente e diventa la protettrice del dio del sole Rê, suo padre. I riti celebrati nella Per-Neser, cioé nella "Casa del Fuoco" volevano canalizzare la forza distruttrice della dea sui nemici, forze che altrimenti avrebbe distrutto il mondo intero. Nel 240 a.C. Per Neser viene citato nel "papiro di Ani" (tradotto da E.A. Wallis Budge) nel "Libro dei morti" e più precisamente nell'ode a Osiris: "...Let my name be given to me in the Great House (Per-ur), and let me remember my name in the House of Fire (Per Neser), on the night wherein the years are counted up, and the number of the months is told. I am dwelling with the Divine One, I take my seat on the eastern side of the sky. If any god cometh after me, I shall be able to declare his name forthwith". La Colomba artigliata Nella chiesa di San Pietro e Paolo di Quinto e in quella di San Vittore a Muralto è raffigurata la colomba "artigliata", le cui sembianze lasciano intravvedere unâquila o uno sparviero o semplicemente un uccello rapace. Il gallo che protegge dal fuoco Ma perché a Torre (Blenio) c'è un grifone o un'aquila sulla torre, detta poi campanile? Il collegamento tra il rapace Neser e la dea che difende con il fuoco dai nemici lo troviamo in un altro volatile che dimora anch'esso sulle torri e sui campanili. Il gallo, animale domestico, provvisto di artigli e di becco potente, aggressivo nel momento della difesa del pollaio e dei suoi abitanti. Il "gallo rosso", sinonimo di fuoco, nella lingua e nell'uso tedesco: a) "Jemandem den Roten Hahn aufs Dach setzen", b) "Bei Jemandem den Roten Hahn auf dem First krähen lassen" oder c) "Wer Feuer legt, setzt den Roten Hahn". Traduzione: a) Mettere a qualcuno il gallo rosso sul tetto } b) Mettere il gallo rosso sul colmo del tetto } c) Il piromane appicca il gallo rosso. }
= appiccar fuoco o provocare discordia
Tedesco: "Wenn im Hause Feuer ausbricht, fliegt der Rote Hahn aufs Dach". Traduzione: "Quando in casa divampa l'incendio, il gallo rosso vola sul tetto". 51
Per proteggere la casa o l'edificio dal "gallo rosso", dal fuoco, si posero galli sul tetto e sulle cime dei campanili. Le chiese protestanti, dopo il 1530, anno della Riforma, usavano distinguersi da quelle cattoliche ponendo un gallo sul campanile. Il gallo sputafuoco e l'anno solare Il dio del sole "celtico" Belenus, diede nome alle montagne sparse nell'Alsazia, Ballon d'Alsace, nella Germania meridionale, Belchen e Kleinbelchen e nella Svizzera, Belchen (dialetto svizz.-ted.: Bölchen). Tutti monti che fanno parte del complesso di allineamento che avvista i punti all'orizzonte (azimut) delle principali albe e dei tramonti dell'anno solare: Dal monte
al
Belchen (CH) > Ballon d'Alsace (F) > Ballon d'Alsace (F) > Ballon d'Alsace (F) >
monte:
Data:
Belchen (D) linea Sud-Nord Belchen (D) equinozi 21 marzo e 23 settembre Bölchen (CH) solstizio invernale 21 dicembre Klein Belchen (D) solstizio estivo 21 giugno
Il sole che appare o scompare all'orizzonte fu da sempre spettacolo affascinante. La precisione dei movimenti dell'astro celeste ordinò la vita dell'uomo nei suoi rapporti con la divinità, con fauna e flora. Solstizi e equinozi sono ancor'oggi date importanti. Anche l'ape regina smette di deporre uova nell'alveare dopo la data del 21 giugno (solstizio d'estate, giorno più lungo dell'anno). L'emisfero settentrionale festeggia la notte più lunga dell'anno (solstizio d'inverno, 21 dicembre), perchè essa annuncia il "ritorno" della luce, l'allungarsi del giorno. Un'anatra con il sole in fronte Anche il nome dell'anatra selvatica Folaga (ted. Blesshuhn o Blässhuhn), dal piumaggio nerissimo, deriva dalla lucente macchia bianca sulla sua "fronte". Ballon, Belchen e Bölchen hanno in comune la radice Bel di Belenus, divinità del sole e della luce che ritroviamo nei termini italiani: baleno (fulmine, saetta) e arcobaleno. Il termine tedesco Blässe (pallore, ma anche sbiadito) e Blesse sono oggi vocaboli che hanno perso il loro splendore e significato atavico. La linguistica li annovera tra le voci nate dall'alto tedesco (o addirittura dal "celtico") e significavano splendore, luminosità, mentre nell'uso comune indicano persone ammalate e deboli e colori sbiaditi. Kluge: Etymologisches Wörterbuch: bles blas blesse blaar blysa bhles bhel belche
con una macchia bianca in fronte debole, calvo, minuscolo ma anche "Pferd mit blesse", cavallo bianco o falbo. weisser Fleck = macchia bianca Kuh mit Stirnfleck = mucca con macchia bianca sulla fronte fiaccola, fiamma luccicare luccicare (ted. glänzen) Blesshuhn, anatra selvatica
mentre lo stesso uccello Falaga trova la sua radice nel latino fulica e nel greco phalaris, 52
il nome tedesco si riferisce all'appariscente e fulgente macchia bianca che chiameremmo volentieri "stella", posta sulla fronte del volatile e che lo rende visibile da lontano, così come il monte Belchen (BL) presenta una grande roccia nuda e triangolare, visibilissima a grande distanza. In greco phalios viene usato per pallido. L'erba di palude carex phalaris (fam. delle carici) in tedesco viene denominata Glanzgras (erba fulgente). Vigilanza e difesa Il gallo che annuncia il sorgere del sole e la fine della notte, è simbolo di vigilanza. Sul tetto, dal mezzo della "rosa dei venti", indica la direzione del vento e permette così di "leggere" che tempo farà (ted. Wetterhahn = gallo segnatempo). Secondo la tradizione orale, quelli di Torre-Blenio, riponevano la loro fiducia nella vigilanza del rapace Neser, posto sul penultimo piano del campanile. In caso di pericolo veniva portato in basso così che sconfiggesse il nemico con la potenza del suo fuoco. La vigilanza del volatile viene confermata in molti toponimi. Capo Gallo in Sicilia, detto anche "sentinella di ponente" del Golfo di Palermo. La Torre del Gallo, di Taranto, faceva parte del sistema di avvistamento e di difesa. Dal Monte Gallo, in Sicilia, si osservava la zona e si dava l'allarme, all'avvicinarsi del nemico, con fuochi e corni. La "non adottata" bandiera del Canton Ticino e il sole La questione della capitale del Canton Ticino si pone immediatamente dopo la creazione del nuovo Stato nel 1803. L'atto di Mediazione di Napoleone stabilisce il capoluogo cantonale a Bellinzona. "Fatto il Cantone, bisogna fare i ticinesi", il sigillo cantonale e la bandiera. La bandiera conservata nell'Archivio di Stato di Bellinzona e non adottata, mostra un bellissimo sole con al centro la croce svizzera. Bandiera che avrebbe attribuito al Cantone Ticino il nome "Cantone del sole".
Dal volantino "Nascita di un Cantone", pubblicato dal Dipartimento educazione, cultura e sport del Canton Ticino, in occasione del bicentenario del Canton Ticino: 1803 - 2003. I colori della bandiera del 1803: Sole bianco, a 12 raggi, e croce bianca a bracci uguali, su sfondo rosso.
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Riassumiamo e ritroviamo così la conferma che i popoli che diedero nome e storia a tutto ciò che oggi chiamiamo Celti, Etruschi, Leponti, ecc. si mossero in tutte le direzioni recando con sé un patrimonio linguistico e culturale, da riscoprire e da riordinare, proveniente in gran parte dai paesi biblici. La dea del fuoco egiziana Neserete, il dio "celtico" Behl o Belenus, il gallo di fuoco, protettore e guerriero, il rapace nell'ultimo piano del campanile di Torre, l'aquila ebraica Neser sono strettamente collegati nella storia da forti elementi: fuoco e luce, vigilanza e difesa. La Valle di Blenio, il cui nome riflette Behl, Belenus, conosce una storia di aggressioni e difese, di vigilanti "case dei pagani" e di allarmi luminosi che attraversavano la valle in tutta la sua lunghezza nel tempo di un lampo, detto anche baleno. La Valle di Blenio, o di Belenio, o Valle belegnica, sono denominazioni ricorrenti nella storia della Valle. Anche la Lex belegnica o Lege vivere belegnica, legge esistente prima che i Longobardi scendessero e occupassero il Sud delle Alpi, è una testimonianza dell'antichità della denominazione di questa Valle. Non dimentichiamo che la Valle di Blenio porta il bellissimo titolo di "Valle del sole" e viene detta anche "Valle dei lumi". Scopriamo così, in questa valle di luce la Valle di Belenus ! ...e per finire ripropongo la domanda di Mariella Becchio: Quanti Neser ci saranno appollaiati sui moltissimi campanili ticinesi? Troviamoli!
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I lapicidi (ted. Steinmetzzeichen) L'apprendista scalpellino poteva segnare, marcare o firmare (ted. zeichnen) il manufatto in pietra con un segno personale, solo dopo aver concluso con successo un tirocinio di ben 5 anni. La marca, composta dapprima unicamente da tratti orizzontali, verticali e obliqui, veniva completata, secondo il perfezionamento a operaio specializzato, maestro e "scultore", con ulteriori linee oblique, semicerchi e cerchi. La forma iniziale e lo sviluppo dei lapicidi o Steinmetzzeichen seguiva regole ben definite dall'officina (Ted. Bauhütte) o dalla scuola, così che per un certo periodo di tempo si poteva riconoscere la provenienza di artigiani e scultori. I segni vennero arricchiti e completati così da raggiungere il valore di simboli e di marche personali. Nel libro di Renzo Dionigi: I segni dei lapicidi 1) (tracce di massoneria operativa), è riprodotta la serie di "lapicidi" sparsi sulla scala e nei dintorni dell'Oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano (fine XII secolo) di Suna (Verbania, Italia). Questi pittogrammi però non vanno annoverati tra i veri e propri "lapicidi", ma nei "pittogrammi simbolici". Da sinistra a destra (il disegno sottostante indica la locazione dei pittogrammi): 1 e 2 due tavole mulino, una delle quali semidistrutta 3 e 4 tavola mulino e "montagna sacra", 5 un quadrato, 6, 7 e 8 cerchio, chiesa e tavola mulino, 9, 10 e 11 tavola mulino, quadrato e chiesa, 12 tavola mulino
L'oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano, di Suna.
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I petroglifi qui raffigurati non sono da considerarsi lapicidi nel senso di "marca" o "firma", ma si tratta, almeno in 8 casi, di tavole mulino finite e incominciate. Siamo qui di fronte a una vera e propria dimostrazione dell'importanza di questo segno detto "tavola mulino" o "filetto". Non credo che qui si organizzassero "campionati" di filetto o che i "pastorelli" di pecore e capre, citatissimi da diversi storici, ammazzassero il tempo giocando. Dalla Scozia a Basilea e a Liestal (BL) Renzo Dionigi 1), commenta la figura qui accanto, scolpita su una lapide del cimitero Howff di Dundee in Scozia, con: "Fra gli antichi marchi corporativi uno è particolarmente frequente anche se enigmatico: quello cui si dà il nome di quatre de chiffre, perchÊ ha la forma di un 4". Anche lo stemma araldico della famiglia Basler di Basilea presenta lo stesso segno con l'aggiunta di uno o due cerchi al posto della croce. Cerchi che contrassegnano un maestro scultore. Steinmetz, Steinmezzo 2) Al termine dall'alto tedesco Steinmezzo segue nel medio alto tedesco Steinmetze che associa a Stein (pietra) la voce galloromanica matio, macio (ted. Maurer, it. muratore, franc. macon) e riflette il verbo in lingua tedesca machen (fare, costruire) e il latino macina per muro a secco. Matrici lapidiche Esempi di due delle tante "matrici" per lapidici o Steinmetzzeichen. Sulla trama, composta da diversi elementi quadrati o triangolari, gli scalpellini e gli scultori di un'officina "costruivano" le loro "marche". Ogni officina vantava una matrice segreta, che fungeva da "marca di fabbrica".
Contrassegno per luoghi di barlotto? Chi volesse paragonare le "tavole mulino" a queste matrici non deve dimenticare che la maggior parte delle tavole mulino si trovano in luoghi disabitati e su alture raggiungibili dopo lungo cammino, di solito in radure o prati rivolti a est. Luoghi di raduno e di danza, malvisti dalla Chiesa cristiana e descritti come luoghi nei quali si svolgevano scene peccaminose, balli "pagani" e dove streghe, diavoli, nani e fate esercitavano i loro malefici. Molti prati o radure di "barlotto" o di "tregenda" presentano un masso o una rupe con incisa la tavola mulino o filetto e non furono mai luoghi dotati di "architettura firmata". 56
Segni per sventare e per attirare la sfortuna L'alfabeto detto runico, usato nelle regioni nordiche, scandinave e germaniche, presenta lettere ricavate da semplici linee diritte e oblique. L'assenza di cerchi e semicerchi dipende dal fatto che il patrimonio runico esiste solo scolpito su massi e che la scultura di semplici lettere alfabetiche è sicuramente più facile da eseguire. Nell'alfabeto runico le lettere racchiudono in sé una complessa simbologia. La lettera NOT significa "miseria", "carenza", "disgrazia". Applicandola "all'incontrario" sull'architrave delle case si voleva creare un elemento dalle capacità opposte al NOT malefica - benefica suo significato originale. Così come il tremendo segno della "svastica" nazista, con i bracci rivolti verso destra, capovolge la funzione benigna della svastica originaria dall'India, i cui bracci sono rivolti verso sinistra ed è simbolo solare. Non riproduco questo segno divenuto lugubre e terrificante dal momento nel quale cadde in mano ai nazisti nel XX secolo.
BIBLIOGRAFIA 1
) Renzo Dionigi, nel libro "I segni dei lapicidi, ed. Diakronia, 1996".
2
) Kluge: Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, 1976.
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I lapicidi (ted. Steinmetzzeichen) L'apprendista scalpellino poteva segnare, marcare o firmare (ted. zeichnen) il manufatto in pietra con un segno personale, solo dopo aver concluso con successo un tirocinio di ben 5 anni. La marca, composta dapprima unicamente da tratti orizzontali, verticali e obliqui, veniva completata, secondo il perfezionamento a operaio specializzato, maestro e "scultore", con ulteriori linee oblique, semicerchi e cerchi. La forma iniziale e lo sviluppo dei lapicidi o Steinmetzzeichen seguiva regole ben definite dall'officina (Ted. Bauhütte) o dalla scuola, così che per un certo periodo di tempo si poteva riconoscere la provenienza di artigiani e scultori. I segni vennero arricchiti e completati così da raggiungere il valore di simboli e di marche personali. Nel libro di Renzo Dionigi: I segni dei lapicidi 1) (tracce di massoneria operativa), è riprodotta la serie di "lapicidi" sparsi sulla scala e nei dintorni dell'Oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano (fine XII secolo) di Suna (Verbania, Italia). Questi pittogrammi però non vanno annoverati tra i veri e propri "lapicidi", ma nei "pittogrammi simbolici". Da sinistra a destra (il disegno sottostante indica la locazione dei pittogrammi): 1 e 2 due tavole mulino, una delle quali semidistrutta 3 e 4 tavola mulino e "montagna sacra", 5 un quadrato, 6, 7 e 8 cerchio, chiesa e tavola mulino, 9, 10 e 11 tavola mulino, quadrato e chiesa, 12 tavola mulino
L'oratorio dei Santi Sebastiano e Fabiano, di Suna.
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I petroglifi qui raffigurati non sono da considerarsi lapicidi nel senso di "marca" o "firma", ma si tratta, almeno in 8 casi, di tavole mulino finite e incominciate. Siamo qui di fronte a una vera e propria dimostrazione dell'importanza di questo segno detto "tavola mulino" o "filetto". Non credo che qui si organizzassero "campionati" di filetto o che i "pastorelli" di pecore e capre, citatissimi da diversi storici, ammazzassero il tempo giocando. Dalla Scozia a Basilea e a Liestal (BL) Renzo Dionigi 1), commenta la figura qui accanto, scolpita su una lapide del cimitero Howff di Dundee in Scozia, con: "Fra gli antichi marchi corporativi uno è particolarmente frequente anche se enigmatico: quello cui si dà il nome di quatre de chiffre, perchÊ ha la forma di un 4". Anche lo stemma araldico della famiglia Basler di Basilea presenta lo stesso segno con l'aggiunta di uno o due cerchi al posto della croce. Cerchi che contrassegnano un maestro scultore. Steinmetz, Steinmezzo 2) Al termine dall'alto tedesco Steinmezzo segue nel medio alto tedesco Steinmetze che associa a Stein (pietra) la voce galloromanica matio, macio (ted. Maurer, it. muratore, franc. macon) e riflette il verbo in lingua tedesca machen (fare, costruire) e il latino macina per muro a secco. Matrici lapidiche Esempi di due delle tante "matrici" per lapidici o Steinmetzzeichen. Sulla trama, composta da diversi elementi quadrati o triangolari, gli scalpellini e gli scultori di un'officina "costruivano" le loro "marche". Ogni officina vantava una matrice segreta, che fungeva da "marca di fabbrica".
Contrassegno per luoghi di barlotto? Chi volesse paragonare le "tavole mulino" a queste matrici non deve dimenticare che la maggior parte delle tavole mulino si trovano in luoghi disabitati e su alture raggiungibili dopo lungo cammino, di solito in radure o prati rivolti a est. Luoghi di raduno e di danza, malvisti dalla Chiesa cristiana e descritti come luoghi nei quali si svolgevano scene peccaminose, balli "pagani" e dove streghe, diavoli, nani e fate esercitavano i loro malefici. Molti prati o radure di "barlotto" o di "tregenda" presentano un masso o una rupe con incisa la tavola mulino o filetto e non furono mai luoghi dotati di "architettura firmata". 56
Segni per sventare e per attirare la sfortuna L'alfabeto detto runico, usato nelle regioni nordiche, scandinave e germaniche, presenta lettere ricavate da semplici linee diritte e oblique. L'assenza di cerchi e semicerchi dipende dal fatto che il patrimonio runico esiste solo scolpito su massi e che la scultura di semplici lettere alfabetiche è sicuramente più facile da eseguire. Nell'alfabeto runico le lettere racchiudono in sé una complessa simbologia. La lettera NOT significa "miseria", "carenza", "disgrazia". Applicandola "all'incontrario" sull'architrave delle case si voleva creare un elemento dalle capacità opposte al NOT malefica - benefica suo significato originale. Così come il tremendo segno della "svastica" nazista, con i bracci rivolti verso destra, capovolge la funzione benigna della svastica originaria dall'India, i cui bracci sono rivolti verso sinistra ed è simbolo solare. Non riproduco questo segno divenuto lugubre e terrificante dal momento nel quale cadde in mano ai nazisti nel XX secolo.
BIBLIOGRAFIA 1
) Renzo Dionigi, nel libro "I segni dei lapicidi, ed. Diakronia, 1996".
2
) Kluge: Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, 1976.
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Gianni Mazzucchelli
I lastroni di Dagro Un ritrovamento da ricercare meticolosamente
Pietra e Storia Casella Postale 5 6721 Motto-Blenio Prima edizione, 2003 58
Ipotesi dell'autore: Il "Kastel" veniva protetto o delimitato da un recinto di lastre granitiche. La crocetta indica dove il lastrone venne ritrovato, sepolto in posizione verticale e sotto un metro di terra. Orientamento geografico: Da sinistra a destra = Sud--->Nord.
Da Dagro a Babilonia I lastroni di Dagro: Un ritrovamento da ricercare meticolosamente L'articolo nel "3 Valli" del mese di aprile 2003 sui Lastroni di Dagro di Franco Binda non risolve l'enigma che accompagna i reperti descritti, ma lo complica, inducendo i lettori a credere che i termini usati nella descrizione siano scientificamente validi. Si tratta del "...primo ritrovo nella Svizzera Italiana con segni naturalistici e schematici scolpiti su pietre levate da uno scavo". La fame di storia sconsiglia di servirsi di semplici "ripartizioni" in simboli ebraici o non ebraici, nĂŠ di strausare il termine "orante" per indicare qualsiasi figura umana con le braccia rivolte verso l'alto. Quadrifogli e croci greche o salvifiche non furono apposti come "portafortuna". Kastel: Fenomeno naturale, ma modellato dall'uomo I due lastroni vennero rinvenuti ai piedi di un complesso che desta grande curiositĂ sia dal punto di vista geografico che geologico. Una collinetta a forma di piramide mozza e regolare. Gli spigoli rettilinei e la sommitĂ piana come un tavolo di bigliardo vennero sicuramente ritoccati dall'uomo. I lastroni si trovavano ad una profonditĂ di quasi un metro e in posizione verticale. Secondo le testimonianze locali ce ne sarebbero ancora molti sepolti. I simboli scolpiti sui lastroni Croci a bracci uguali La croce, segno antichissimo usato da sempre e dai molteplici significati, la troviamo nei segni alfabetici semitici del X secolo a.C. come ultima lettera dell'alfabeto stesso. La simbologia funebre la vede dapprima come "Taw" o "Tau" (ultima lettera dell'alfabeto ebraico), apposta per indicare non solo la fine dell'esistenza terrestre del 59
defunto, ma anche per rammentare l'inizio della vita dopo la morte corporale. La lettera greca Omega ha oggi ancora la stessa funzione della croce "tau" antica. Il cristianesimo monopolizzò il simbolo della croce, e l'alfabeto ebraico trasformò la lettera "taw" in modo che non fosse più confusa con la croce cristiana. La croce , negli elenchi dei simboli usati dagli alchimisti, indica anche i minerali: rame, piombo, quarzo, aceto semplice e distillato, ecc. Nel fascicolo di Gianni Mazzucchelli: Pittografia rupestre, simbologia religiosa e alchimica, ed. Pietra e Storia, 2003, troviamo la raffigurazione intitolata: Il ponte tra Ticino e Gerusalemme: Evidente analogia tra il pittogramma del masso (Sass da Gaisc) trovato durante i lavori per l'Alp-Transit e uno dei simboli raffigurati negli ossari giudeocristiani di Gerusalemme (simbolo No. 16: Taw-Kaph = croce-mano, IX sec. a.C.). P. E. Testa: Il simbolismo dei giudeo-cristiani,. Biblioteca Francescana, Gerusalemme, 1962.
Il quadrifoglio, la rosa camuna e celtica, il Nodo di Salomone, la croce greca La conoscenza dei fenomeni celesti, albe, tramonti, mezzogiorni, lune calanti e crescenti, ecc., ebbero "da sempre" grande importanza. Ciò che oggi leggiamo sui calendari e sugli orologi da polso, veniva letto nel cielo e dalle posizioni degli astri. Il "Nodo di Salomone", composto da due anelli intrecciati in modo "incomprensibile" segnava non solo le quattro direzioni celesti, ma, con una rotazione di 45 gradi, diventava un segno di orientamento per albe e tramonti collegati ai solstizi e agli equinozi solari. Dal Nodo di Salomone nasce la "Rosa celtica" per tutti coloro che vedono Celti dappertutto e la "Rosa camuna" quando questo tipo di petroglifo è rappresentato nella Val Camonica. A sinistra: Nodo di Salomone, dal manoscritto del Mis'neh Torah, Spagna, ca. 1460, raffigurato nell'Atlante storico del popolo ebraico, Zanichelli, edizione italiana di Elena Loewenthal, 1999. Si notino le dodici stelle che ricordano le dodici tribù d'Israele. Particolare interessante: Il nodo sovrasta una "piramide" e le 12 stelle "ruotanti" alludono all'uso astronomico del simbolo.
L'orante Ho visto molti "oranti" nella raccolta di petroglifi del Lago Maggiore, del Canton Ticino e della Val Camonica. Nel caso dei lastroni di Dagro, la figura antropomorfa "orante" mi sembra una figura umana e basta. Ho visto descrizioni di petroglifi raffiguranti candelabri a 5 e a 7 bracci (Menorah ebraiche) nelle quali si invitava il lettore a intravvedere "oranti" o "figure alberiformi" o addirittura "l'homme sapin" (uomo pino). Insomma "oranti" o "umani" con cinque o sette gambe, dato che i tre piedi del candelabro rappresentavano braccia e testa. 60
Il rapace e il serpente I due lastroni di Dagro sono in verità una lapide spezzata. Accostandoli si vedrà che la "pecora" dimezzata è in verità un toro, date le dimensioni della gabbia toracica. Sulla parte sinistra riconosciamo un uccello rapace che afferra o fissa un serpente. Simbologia antichissima. La contrapposizione tra Aquila e Serpente-Dragone è presente nella mitologia egiziana con Horus, il falco che combatte contro il serpente Seth e in quella greca, dove Ercole (figlio di Zeus) combatte l’Hydra. L’Aquila dei Romani contro il dragone dei Celti, per non dimenticare le rappresentazioni bibliche di Satana contro Michele. Ancora oggi, sulla bandiera nazionale del Messico appare un’aquila che ghermisce con gli artigli un serpente, in riferimento ad un antico mito Maya. Il serpente è il nemico dell'umanità fin dall'inizio. Tenta Eva che verrà cacciata con Adamo dal Paradiso Terrestre. Storia conosciuta da tutti.
I quadrifogli: costellazione stellare delle Pleiadi A sinistra: Le Pleiadi, in Taurus. M 45 è il più spettacolare ammasso aperto della volta celeste, formato da giovani stelle azzurre. Quattro di esse: Alcyone, Maia, Electra e Merope sono ben visibili ad occhio nudo.
Le Pleiadi fanno parte della costellazione del Toro e sono l'oggetto più meraviglioso di tutto il cielo. Mille e mille anni fa le Pleiadi apparivano nel cielo notturno all'inizio della primavera e sparivano all'inizio dell'autunno. Il movimento di precessione dell'asse terrestre (360 ° in ca. 26'000 anni) non permette più questa costatazione. Anche la stella Polare dei nostri tempi cambierà la sua posizione durante i prossimi millenni a causa di questo fenomeno. A sinistra: La "rosa camuna", molto frequente nella pittografia rupestre della Val Camonica, viene interpretata come "calendario astronomico" che segna albe e tramonti dei solstizi e degli equinozi solari. E' evidente che essa si ispirava al gruppo stellare delle Pleiadi, che ebbe in molte civilizzazioni (Maya, Egitto, Babilonia) la funzione di "cronometro celeste".
A destra: La costellazione del Toro. Le Pleiadi, a destra della testa del toro vengono denominate anche la " chioccia e i pulcini", mentre alcuni poeti greci parlavano di "colombi di roccia" o semplicemente la "colomba". Nell'antica Grecia molti templi furono eretti in loro onore ed erano solite annunziare il Sole nell'equinozio (21 marzo e 23 settembre).
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Astronomia pratica Nell'antica Mesopotamia la levata eliaca *) delle Pleiadi, nei primi giorni del mese di marzo, segnava l'inizio dell'anno rurale, dell'aratura e semina dei campi. Oggi a causa della precessione**) degli equinozi. Oggi le Pleiadi cominciano ad apparire nei cieli del mattino in agosto, sono ben visibili in prima serata in inverno e annegano nelle rossi luci del tramonto in maggio. Per capire questa differenza di comportamento bisogna far conoscenza con il curioso fenomeno astronomico detto "precessione degli equinozi". Le Pleiadi diventarono astronomicamente importanti intorno al 2.500 a.C. poiché il loro sorgere eliaco *) avveniva in corrispondenza dell’equinozio di primavera che, presso gli antichi popoli della Mesopotamia, rappresentava l’inizio dell’anno. Durante il periodo che va dal 4'380 a.C. al 2'220 a.C. questo punto si trovava nella costellazione del Toro; quest’epoca era anticamente denominata ‘Era delle Pleiadi’. *) Per levata o sorgere eliaco si intende la prima volta che alla mattina, appena prima dell'alba, si può osservare per alcuni minuti una determinata stella che pochi minuti dopo sarà resa invisibile dalla luce del sole. **) Precessione: L'asse terrestre, inclinata di 23,5 gradi rispetto all'eclittica solare, compie un movimento conico della durata di 25'776 anni. La stella polare attuale è la stella Alfa Ursae Minoris (UMI), ma 2800 anni fa era Alpha Draconis, della costellazione del Drago. Volendo controllare l'efficacità della piramide di Dagro, bisognerà tener conto di questo fenomeno astronomico.
Riepiloghiamo Le Pleiadi (quadrifoglio), il toro, il serpente, l'aquila e l'orante (costellazione di Orione, detta anche il cacciatore) sono conosciutissimi sia da chi si impegna con l'astronomia, sia da chi ha a che fare con l'astrologia. La "Rosa camuna" e la "Croce greca" di Dagro sono la continuazione del "Nodo di Salomone" e della "Rosa celtica". Tutti simboli adatti alla "lettura" del cielo, dei movimenti degli astri e dei pianeti. Dagro, drago? Osservando il complesso formato dalla piramide mozza e dal cumulo accanto a essa, l'autore si lascia trasportare dalla fantasia e pospone le lettere che formano il nome di DAGRO in DRAGO. Una fantasia in più non nuoce a nessuno. La terza figura da destra del lastrone di Dagro: Il portatore del serpente "Ophiucus" o Serpentario. A sinistra il gruppo stellare, a destra una raffigurazione mitologica.
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Particolare dei "lastroni di Dagro" Da sinistra a destra: Pleiadi (Pleiades), Aquila (Aquilae), Serpente (Serpens), Toro (Tauris), Serpentario o Portatore del serpente (Ophiucus), Orione (Orionis) I simboli lobiformi, il rapace, il serpente, il toro, le croci vere e proprie e la figura umana scolpita sui "Lastroni di Dagro" ripetono le illustrazioni rupestri ritrovate in Val Camonica e non incise "...da un qualsiasi escursionista o villeggiante" come sentenziato da alcuni specialisti. A sinistra: Petroglifo della Val Camonica, nella quale vennero ritrovate piĂš di 90 "Rose camune", distribuite nel territorio tra Sellero e Pescarzo. "Oranti" e croci dichiarano che i lastroni di Dagro vennero scolpiti e "usati" da una civilizzazione identica a quella camuna e cosĂŹ databile nei millenni prima dell'era volgare. Si noti nel pittogramma a sinistra la costellazione del Drago.
A sinistra: All'apparire delle Pleiadi, nascono i capretti (Pittografia in Val Camonica). A sinistra, sotto: Il cacciatore "orante" (Orione) che in veritĂ brandisce un coltello. (Val Camonica).
Le costellazioni celesti Orione e Toro, con le Pleiadi in alto sulla destra.
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Analisi finale: Da Dagro a Babilonia I lastroni di Dagro recano gli stessi simboli presenti sulle tavole astronomiche dell'era babilonese (tavole del re Seleukus, 311 a.C.). 1. lapide: A sinistra il gruppo delle Pleiadi, con le sette stelle principali: Alcyone, Electra, Taygeta, Maia, Merope, Atlas, Pleione, la luna con incorporata la figura umana e il toro, poco visibile. E' noto che il gruppo delle Pleiadi fa parte della costellazione del Toro. Le scritte sono eseguite con caratteri cuneiformi che vennero usati fino nel 75 d.C. 2. lapide: A sinistra l'aquila che fissa la coda del dragone-serpente raffigurato sulla terza lapide insieme al leone. Tutte le raffigurazioni appartengono all'astronomia/astrologia. L'assomiglianza con i lastroni di Dagro è inconfutabile.
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Leggende che si perdono nei tempi I lastroni di Dagro riproducono simboli astronomici antichissimi. L'aquila potrebbe anche essere il "Corvo", costellazione situata vicino al Serpente (Hydra) e alla Coppa (Crater). Siamo di fronte a una testimonianza di Astroarcheologia. Corvo e Coppa sono 2 piccole costellazioni australi confinanti e strettamente imparentate dal punto di vista mitologico. Inoltre, culminano in meridiano a circa un’ora di distanza e nel mese di aprile. Costellazioni note sin dal tempo di Eudosso di Cnido (408-355 a.C.) che fu il primo a elaborare matematicamente un sistema di sfere celesti. Costellazioni collegate al mito di Apollo. La leggenda racconta che questi aveva inviato un corvo, che allora era un uccello dal candido piumaggio, a prendere dell’acqua con una coppa o vaso (termini meno eloquenti che traducono il più austero crater); avendo fame, però, il volatile si era attardato su un albero di fichi e dopo aver fatto ritorno alla divinità che l’aspettava impazientemente inventò la scusa di essere stato trattenuto da un grosso serpente marino; Apollo lo punì facendolo diventare nero, ma lo portò egualmente in cielo assieme alla coppa e al serpente che, com'è facile intuire, è rappresentato dall'Idra. Secondo la leggenda il corvo cerca da sempre di raggiungere l'acqua contenuta nella coppa.
Allegoria rappresentante le costellazioni del Corvo, Coppa e Serpente
Coppa (Crater)
Serpente (Serpens)
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Corvo (Corvus)