Il basilisco della Capriasca – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 1 di 6
Gianni Mazzucchelli
Il basilisco della Capriasca La contessa Crassa e la fonte avvelenata Leggende la cui scia storica va approfondita
Pietra e Storia CH - 6715 Dongio Prima edizione, 2006
Il basilisco della Capriasca – G. Mazzucchelli, 2006 – Pagina 2 di 6
Leggende e favole della Capriasca: Preziose fonti storiche Nel volantino turistico „Der erzählende Wanderweg“, compilato e illustrato nel 1999/2000 dalle scolare e dagli scolari della Regione Capriasca, trovo leggende, fiabe e curiosità che risvegliano la mia passione per il sottofondo storico che diede vita alla narrativa popolare. La storia della contessa Crassa che non era obbligatoriamente “grassa” La contessa “milanese” che decideva le sorti della regione della Capriasca (la Pieve Criviasca) nell’undicesimo secolo è rappresentata, nel disegno a pagina 5 del fascicolo, obesa e “ben piantata”, facendo così onore all’etimologia popolare che definisce “grassa” o obesa la contessa e probabilmente anche il marito, il conte Azzo Crasso. Il cognome Crassa esiste oggi ancora in Spagna e lo si trova negli elenchi degli Ebrei di Catalonia del 1250 – 1400: Jucef de Crassa, Mosse de Crassa, Vidal de Crassa, Vives de Crassa. Dopo la fuga degli ebrei dalla Spagna (Sefarditi) nel 1492, troviamo il cognome Cratz nell’opera di Samuele Schärf “I cognomi degli Ebrei d’Italia 1”. Cratz può essere la variante tedesca di Crassa. La contessa Crassa lasciò, nel suo testamento del 1078, molti beni alla popolazione della Capriasca. Oggi ancora viene letta annualmente una Messa di suffragio per la contessa Crassa nella chiesa di Tesserete. Casato alemannico I figli della contessa, Arnolfo e Azzone, portavano nomi prettamente alemannici che riflettono però l’usanza ebraica di dare ai figli maschi il cosiddetto nome “Hol”, nome di protezione: Arnolfo > Arn-Ulf > Aquila (ted. Adler) e Lupo (ted. Wolf o Wulf), ciò lascia dedurre la provenienza del casato Crasso dalla Germania (ebrei askenaziti, dall’ebraico “askenazit, germanico”): Crass, Grass o Gratz. Non è da escludere che si abbia a che fare con il cognome alemannico Grass, it. Spassionato, ted.: leidenschaftlich) che dà Crassold e Grasulf. Un’ulteriore possibilità nasce dall’abbreviazione di Pankratius > Cratiur > Craz e Bongrass 2. Azzone, secondo l’onomastica tedesca (Gottschald: Deutsche Namenkunde) è la variante di “Azo”, da Adelbertus e Adelhelmus Da non dimenticare e da annotare: Garascho (garascio) è il termine dell’antico ebraico che significa esiliato e espulso. La contessa non era obbligatoriamente “grassa”, ma si chiamava “Crassa”. La torre di Redde e il tremendo basilisco Il villaggio scomparso di Redde, sempre nella Regione Capriasca, viene localizzato nel bosco di San Clemente. Restano di esso solo rovine e una torre fatta costruire dalla famiglia Rusca di Como nel 14.mo secolo. Nel villaggio, dice la leggenda, viveva un uomo pio, Giacobbe o Jakob il quale trovò un uovo deforme che recò alle sue galline perché lo covassero. Dall’uovo nacque un essere tra gallo e serpente, il basilisco che bevve l’acqua infetta del morbo della peste nera di una fontana e contagiò chiunque egli fissasse negli occhi. Gli uomini del paesello uccisero il basilisco ponendogli uno specchio davanti agli occhi, così che il suo sguardo diabolico lo annientasse. Il potente maleficio del basilisco uccise però tutti gli abitanti del villaggio. 1 2
Samuele Schaerf: I cognomi degli ebrei d’Italia. Ristampa a cura di Pietra e Storia, Dongio, 2006. Gottschald: Deutsche Namenkunde. VI. ristampa, 2006.
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Redde rationem, rendimi conto La locuzione latina Redde rationem, tradotta letteralmente, significa “rendimi conto". La torre di Redde porta all’idea che si tratti di un edificio di raccolta delle “decime”. Le “tasse” equivalenti al 10% di qualsiasi raccolto agricolo che spettavano al “signore” del luogo. Dopo “Martini” (11 novembre) le decime dovevano essere riunite nell’edificio prestabilito per essere consegnate. Nella Svizzera tedesca questi edifici erano chiamati “Zehntenhäuser”, le case delle decime (Zehnten), le case dei “rendiconti”. L’architettura della torre di Redde non lascia intravvedere una torre di vedetta, bensì una costruzione capiente e facilmente adattabile a magazzino di raccolta. Basilisco, regulus, piccolo re La voce "Basiliscus", che si incontra nella Vulgata (la Bibbia in lingua latina), traduce l’ebraico Sephà, che indica un serpente velenoso terribile, non identificabile tra i viventi. Gli antichi designavano con il nome Basilisco strani mostri creati dalla fantasia a cui si attribuivano malefici poteri. Il Basilisco è l’essere favoloso del mondo dei serpenti, un rettile leggendario carico di significati simbolici. Il basilisco è rappresentato come un serpente alato, che ha testa e zampe di gallo e occhi dallo sguardo che uccide. Si tratta di un animale leggendario, cioè di una creatura fantastica, di un essere misto di cui non si hanno esempi in natura, ma che unisce in sé i tratti morfologici di diversi animali. Il termine deriva dal greco e, secondo Plinio, ha probabilmente a che fare con il nome attribuito al velenoso serpente coronato, detto 'basiliskos' o anche 'regulus' (piccolo re) per via delle macchie chiare che ha sulla testa (!) e che danno l'idea di una coroncina. Il basilisco, secondo le leggende, nasce quando un vecchio gallo (nero) depone un uovo che viene covato nel letame da un serpente o da un rospo. Il basilisco dimora in grotte, sotterranei e pozzi, dove custodisce tesori. Il suo soffio è velenoso e il suo sguardo mortale, ma lo si può sconfiggere mettendogli davanti uno specchio e facendolo così morire del suo stesso sguardo. Può anche essere ucciso dalle donnole. Nella Bibbia il basilisco compare come serpente velenoso, mentre Isidoro di Siviglia lo definisce 'regulus volans' e Ugo di San Vittore, nel suo libro dei salmi lo chiama 'rex serpentium' (re dei serpenti). Secondo altri nasce invece dal sangue della Medusa decapitata da Perseo che, come la Gorgone mitologica, impietriva con lo sguardo. Basilea e il basilisco Nel 1474 il Consiglio di Basilea condannò a morte un gallo di undici anni che, a quanto si diceva, aveva deposto un uovo. La bestia fu decapitata il 4 agosto 1474, il suo corpo fu bruciato e anche il suo presunto uovo fu dato alle fiamme. Oggi ancora il Basilisco orna le verdi fontanelle di ghisa sparse un po’ in tutta la città. Il cosiddetto „Basler Taler“ (sec. XVIII.) riproduce sul verso il Basilisco (Vogel Grif, Grifone) basilese. L’altra faccia della moneta raffigura l’unico ponte sul fiume Reno che univa la città bassa (Kleinbasel) con la città alta (Grossbasel), residenza vescovile. La scritta: Basilea Domine conserva nos in pace.
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Il gallo, il fuoco e la riforma Il protestantesimo appose sui campanili delle chiese di rito riformato o protestante il gallo, mentre le chiese di rito cattolico sfoggiano la croce. I due simboli riflettono le controversie che divisero dal XVI secolo le due religioni. Nella "Leggenda del Basilisco" la cacciata del mitico animale, ad opera di San Siro, è stata identificata con la vittoria della fede cristiana contro l'allora nascente "eresia ariana”, il protestantesimo. Il gallo, o il rapace Neser, scolpito in pietra e che dimora sul davanzale del penultimo piano del campanile di Torre, ricorda la tradizione ebraica che vede nel rapace Neser l’uccello di fuoco che avvisa gli abitanti del villaggio dell’imminenza di un pericolo. Il gallo o il rapace di fuoco divenne sinonimo del fuoco utile all’umanità e allo stesso tempo distruttore. “Appiccare fuoco al tetto” è un modo di dire in lingua tedesca usato per l’azione di provocare discordie. Il gallo di fuoco è il simbolo adottato dai pompieri un po’ dappertutto. Ecco tre modi di dire in lingua tedesca, sinonimi di “generare discordia”: "Jemandem den Roten Hahn aufs Dach setzen". = “Deporre il gallo rosso sul tetto: dare fuoco al tetto“. "Bei Jemandem den Roten Hahn auf dem First krähen lassen". = „Lasciar cantare il gallo rosso sulla cima del tetto“. "Wer Feuer legt, setzt den Roten Hahn". = “Appiccare fuoco, mettere il gallo rosso”. L’avvelenamento dei pozzi, gli ebrei e la peste nera Il basilisco nella leggenda capriaschese, rievoca la lugubre storia dell’avvelenamento dei pozzi che causò la terribile peste nera in tutt’Europa. Nei registri della città di Friborgo (D) è scritto che il 23 gennaio 1349: „ ... do wurden alle die juden, die ze Friburg in Brisgouwe in der stat waren, verbrannt, ane kint und tragent frouwen, umb das gros mort und missetat, so sü under einander angeleit hatten", „…tutti gli ebrei, uomini, donne e bambini, vennero bruciati per aver commesso grandi delitti...”, il delitto cioé, di aver avvelenato i pozzi con il germe della peste nera. La credulità del popolino e dei suoi reggenti fece sì che la strage degli Ebrei si propagò, come la peste nera, in tutt’Europa. Dall’ Ornithologia di Ulisse Aldrovandi 3 A Basilea, il basilisco, da solo o in coppia, fa da supporto allo stemma civico caricato del pastorale vescovile. Sul Lungoreno si trova la Drachenbrunnen - la fontana del drago -, una fontanella pubblica che getta acqua in continuazione dalla bocca di un basilisco dotato di cresta semplice e di due bei bargigli da Livornese. Il basilisco nascerebbe dall’uovo deposto da un gallo di 7 anni, covato dal gallo stesso oppure da un serpente o da un rospo, o avrebbe addirittura come padre un gallo e come madre un rospo, e il suo sangue, come quello dei draghi, sarebbe dotato di straordinarie virtù terapeutiche. Ma, Aldrovandi, credeva nel basilisco? Innanzitutto non credeva che un gallo potesse produrre un vero uovo, confortato dal fatto che nessuno si è mai sognato di asserire che un uomo è in grado di partorire. E Aldrovandi, oltretutto, non credeva che da simili uova di gallo potesse nascere un basilisco. Aldrovandi parla piuttosto a iosa del basilisco nel secondo volume della sua Ornithologia, riportando da Claudio Eliano come il basilisco, temutissimo dai serpenti, tema invece a tal punto il gallo che coloro che intraprendono un viaggio nelle sconfinate solitudini della Cirenaica ne portano uno al seguito nell'eventualità di 3
Ornithologia di Ulisse Aldrovandi, volume II - libro XIV - Bologna – 1600.
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dover incappare in quella maledetta bestiaccia: come sente il canto del gallo, viene assalita da un terrore tale da addirittura morire. Constatando - che il basilisco propagò la peste, - che l’uomo saggio si chiamava Jakob (Giacobbe), - che la fonte avvelenata con la peste contagiò tutto il villaggio, deduco che la leggenda capriaschese rievochi un villaggio popolato da Ebrei, morti di peste o di fuoco.
Le streghe della Capriasca In un volantino turistico che invita alla visita di Tesserete e dintorni, leggo: "Visitate la torre di Redde, nelle vicinanze di Tesserete TI, ora restaurata. Primo insediamento e posto di leggende e di streghe". Si dice che le streghe della Capriasca recitassero versetti in una lingua sconosciuta in tutto l’arco alpino4): An dudigou paour lavare - Kan, Merzhin, kan, e pep mare Lare eure ar vretoned - Kan, Merzhin, An traou da sonet ! Di che lingua si tratta e che cosa significano queste strofe? La fortuna, che bacia il ricercatore accanito, volle che io trovassi la soluzione in una poesia brétone che racchiude questi versi. E’ sorprendente il fatto che in Capriasca si recitino oggi ancora versi nati nel Nord della Francia (Bretagne), in una regione di tradizione detta "celtica" e ricca di sculture rupestri e di menhir 5. Ecco la poesia completa: Le Fou bretonne, il brétone pazzo recitava la poesia scritta per il mago Merlino: "...est poème breton: s'il plaît à l'assemblée, le Fou le traduira après la récitée. Voici donc ce poème qu'on dit du grand Merlin": En amzer ma dan barzh er bed, Me a oa gant an holl enoret Dioc'htu ma'z aen 'barzh ar sal, E klevet an holl a youc'hal! Dioc'htu ma kane va zelen Koueze diouzh ar gwez qour melen Rouéed ar vro am c'hare, Rouéed all holl am douje 4
Rime note solo agli anziani di Sala Capriasca. Menhir: Massi turriformi di notevoli dimensioni: les bigous, che diedero il nome a questa regione: Le pays bigouden. Anche le vistose acconciature dei capelli delle donne brétoni e il copricapo di pizzo rievocano la forma dei massi. 5
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An dudigou paour lavare / Kan, Merzhin, kan, e pep mare / Lare eure ar vretoned Kan, Merzhin, An traou da sonet! /
Ecco i versi recitati dalle « streghe » / della Capriasca
Traduzione in francese de «Il brétone pazzo»: Du temps où j'étais barde dans le monde, Quando ero cantastorie nel mondo J'étais honoré de tous tutti mi onoravano Dès mon entrée dans les palais Alla mia apparizione a palazzo La foule m'acclamait la folla mi acclamava. Sitôt que ma harpe chantait Non appena la mia arpa cantava Des arbres l'or jaune tombait cadeva oro dagli alberi. Les rois du pays m'aimaient I nostri re mi amavano Les rois étranger me craignaient i re nemici mi temevano. Les petits gens pauvres disaient: > La gente povera diceva : Chante, Merlin, chante toujours > Canta Merlino, canta sempre Les bretons disaient: > I Brétoni dicevano : Chante, Merlin, les choses à venir! > Racconta, Merlino 6), predici il futuro!
Pubblicazioni a cura dell’Associazione Pietra e Storia: - 2003: Nuova interpretazione della pittografia rupestre. Fascicolo 1 e 2. - 2005: Il Miqweh di Dongio (Italiano). - 2005: Die Mikweh von Dongio (Deutsch). - 2005: Il lastrone di Dagro (italiano) - 2005: Die Steintafel von Dagro (Deutsch). - 2006: Chiese biabsidali. - 2006: La primavera di Dagro e Nebra: Lüna növa, tri dì a la pröva, Il calendario lunare (Il lastrone di Dagro CH-TI, Nebra D, Rothenfluh CH-BL). - 2006: Il basilisco della Capriasca, la contessa Crassa: interpretazione storica. - 2006: Barlotto, tregenda, akelarre, sinagoga. - 2006: Pugnali remedelliani e Madonne addolorate. - 2006: Cognomi redenti: da Cagainarca a Vacca.
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Merlin, Myrrdin (gallois), Merzin (breton). Famoso mago medioevale alla corte di re Artus. La leggenda lo vuole figlio di un demonio e di una vergine. Usava la magia solo per il bene dell’umanità.