Gesù straniero in patria, in Il diverso e lo straniero nella Bibbia ebraico-cristiana

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a cura di Massimo Grilli – Joseph Maleparampil

Il diverso e lo straniero nella Bibbia ebraico-cristiana Uno studio esegetico-teologico in chiave interculturale

edizioni dehoniane bologna

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Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

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Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro 4 – 40138 Bologna www.dehoniane.it EDB®

ISBN

978-88-10-40247-4

2013

Stampa: 2013

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A Fritzleo Lentzen-Deis, SJ fondatore del Progetto Evangelium und Kultur nel 20o anniversario della sua morte

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Capitolo 10

gesù straniero in patria Una lettura di Lc 4,16-30 in chiave comunicativa

Annamaria Corallo «Far parte» rappresenta – da sempre e dovunque – uno dei fattori decisivi nella costruzione di un’identità personale armonica.1 Il far parte costituisce e delimita una comunità, nella quale si può essere inclusi o dalla quale si viene esclusi. Sappiamo che comunità è ogni aggregazione umana nella quale si condividono diversi fattori di coesione:2 l’appartenenza territoriale;3 i rapporti diretti tra le persone di un medesimo gruppo; la condivisione consapevole di un sistema di norme e valori fondanti; la partecipazione attiva della comunità e al suo sviluppo,4 condividendone bisogni e interessi.

1 L’identità «implica l’aderire a una serie di elementi che concorrono alla costruzione di un individuo, ad esempio: la famiglia, il gruppo dei pari, la comunità locale, il paese d’origine […] oppure, ancora, la cultura o le tradizioni che egli fa proprie nel corso della sua vita» (A. Balestrieri – R. Bracalenti [edd.], Dizionario sulla discriminazione. Le parole per comprendere e contrastare la discriminazione etnica e razziale, Roma 2008, 142). 2 «Fattori di natura biologica, etnica, religiosa, territoriale, linguistica» (Balestrieri – Bracalenti [edd.], Dizionario sulla discriminazione, 55). 3 Cf. Balestrieri – Bracalenti (edd.), Dizionario sulla discriminazione, 56. 4 Cf. Balestrieri – Bracalenti (edd.), Dizionario sulla discriminazione, 57. Gli autori avevano già precisato che la comunità «è un gruppo sociale in cui gli interessi collettivi

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Davanti a una comunità ci si può percepire estranei o familiari. Per una comunità si può essere familiari o stranieri. Estraneità e familiarità sono due concetti che si oppongono naturalmente. Per quanto ogni esperienza umana possa essere segnata da una normale ambivalenza, nella dimensione più immediata ciò che diviene familiare non può più essere considerato estraneo, si tratti di un luogo, un uso, uno stile o una persona. Infatti, mentre la familiarità esprime una comune appartenenza e un mutuo riconoscimento, l’estraneità dice sovente una conoscenza imprecisa e, in ogni caso, una distanza non colmata che può talvolta divenire avversione. Come per tutti i gruppi umani, anche l’antico Israele si percepiva e si costituiva come popolo a partire da una serie di fattori identitari. I pilastri dell’identità ebraica erano stati ripensati durante l’esperienza del ritorno dall’esilio babilonese, nel VI secolo a.C., quando la certezza di un unico territorio nazionale e di un luogo di culto comune era stata sperimentata come illusoria. Il fondamento si era quindi spostato sulla fede in un unico Dio, creatore e redentore nella storia. Da questa fede derivavano gli altri capisaldi: l’accoglienza della Scrittura con le sue leggi di purità, le sue feste, i suoi precetti alimentari, l’osservanza del sabato e la pratica della circoncisione; e quindi l’appartenenza etnica al popolo eletto.5 Adesione alla Scrittura e vincoli di sangue erano dunque i requisiti necessari del «far parte» della comunità del popolo di Israele. In particolar modo i legami parentali erano garanti di stabilità sociale e continuità etnica.6 Il sistema sociale – e il suo corrispettivo

prevalgono su quelli egoistici, l’armonia prevale sulla competizione, la collaborazione prevale sul conlitto» (ivi, 56). 5 Cf. R. Penna, «Che cosa signiicava essere giudeo al tempo e nella terra di Gesù», in E. Franco (ed.), Mysterium Regni mysterium Verbi (Mc 4,11; At 6,4). Studi in onore di mons. Fusco, Brescia 2001, 137-156. 6 Sfogliando le pagine della Bibbia, ci imbattiamo da subito in un progetto familiare presentato nella sua bellezza ideale e anche nella sua fragilità. Così, dopo le entusiastiche esclamazioni davanti all’alterità (Gen 18,25) e accanto all’ideale tratteggiato nel Salmo 128,1.3-4, la Bibbia presto racconta anche le disgregazioni relazionali nella coppia (Gen 3), tra fratelli (Gen 4,1-12) e nel sistema sociale (cf. Gen 6,12). Sono proprio le vicende familiari dei patriarchi e delle matriarche a fare da ordito alla trama dell’incontro con Dio che benedice, sceglie e costituisce un popolo (cf. Gen 12–50) (cf. G. Vivaldelli, «Famiglia», in R. Penna – G. Perego – G. Ravasi [edd.], Temi teologici della Bibbia, Cinisello Balsamo 2010, 470-476). La relazione di coppia ispira i profeti e il codice comportamentale, che reggeva l’istituto matrimoniale, diviene griglia di espressione e comprensione del rapporto col Dio amante, geloso, appassionato, sposo, seppure in pagine talvolta crude (cf. Os 2,8; Ez 16,1-8.15-22.33-34; Ger 3,3.10; 4,30; cf. R.J. We-

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immaginario culturale – si reggeva infatti sulla categoria benedizione/ discendenza e quindi sulla famiglia e sulla sua estensione, il villaggio, costituito a partire dall’intessersi di relazioni parentali per le quali «l’individuo non era una persona isolata, completamente autonoma».7 Proprio in questo orizzonte culturale e sociale si colloca la posizione assunta da Gesù in relazione alla sua famiglia8 e alla sua gente. In tale posizione era in gioco la sua collocazione non solo nel suo microcosmo nazaretano ma, in ultima analisi, nel macrocosmo del mondo giudaico al quale egli apparteneva.

1. una prospettiva di lettura biblica Affronteremo la questione con la lettura di una pagina lucana molto familiare ai lettori medi della Bibbia e a coloro che frequentano le assemblee liturgiche cristiane.9 Accosteremo questa pagina entrando dalla porta secondaria delle relazioni che lascia trapelare tra Gesù e i suoi concittadini. Il nostro testo, come ci accingiamo a verificare, si muove infatti nella logica di un dialogo tra conoscenti – Gesù e la gente che lo conosce fin da piccolo – in una cornice dal sapore familiare – il paese natio e la propria sinagoga. Come in ogni dialogo, vi sarà un’alternanza di movimenti comunicativi, pur intrecciati intrinsecaems, Amor maltratado. Matrimonio, sexo y violencia en los profetas hebreos, Bilbao 1997. La letteratura sapienziale attinge a piene mani dallo stesso scrigno relazionale (Sap 8,2-21; Sir 3,1-16; Pr 23,25; Sal 131,2). L’istituzione familiare rappresenta dunque la fonte di uno degli immaginari più vividi del Primo Testamento, anche quando intrighi e faziosità sembrano sibrare le relazioni parentali; anzi, proprio allora se ne ribadisce la bontà e la forza. 7 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Brescia 2001, I, 299. 8 Non sfugge la portata provocatoria delle parole di Gesù sulla famiglia (cf. Lc 8,1921) e, nella stessa linea, l’incidenza della sua scelta celibataria, percepita come «una parabola in azione, l’incarnazione di un messaggio enigmatico inteso a turbare la gente e a provocarla a pensare, sia su Gesù che su se stessa» (Meier, Un ebreo marginale, I, 339; cf. anche 325-344). 9 In tal senso, è interessante vedere che spazio e che collocazione ha il nostro testo nella liturgia della Parola delle celebrazioni eucaristiche cattoliche. Scopriamo così che Lc 4,16-30 è proposto per 5 volte come lettura biblica della celebrazione comunitaria, anche se non sempre nella sua interezza, e spesso in tempi liturgicamente signiicativi: il giovedì dopo l’Epifania o 10 gennaio (Lc 4,14-22a); il lunedì della 3a settimana di Quaresima (Lc 4,24-30); il Giovedì santo, nella messa del Crisma (Lc 4,16-21), la 4a domenica del tempo ordinario, Anno C (Lc 4,21-30); il lunedì della 22a settimana del Tempo ordinario (Lc 4,16-30).

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mente. L’attenzione sarà dunque concentrata sulla struttura azionereazione. In piena coerenza con questo intento, il presupposto di questa lettura biblica sarà quello della prospettiva pragmatica applicata all’esegesi biblica:10 ogni testo, in quanto tessuto di significati, è un evento comunicativo. Esso è scritto non solo – e non tanto – per descrivere la realtà, quanto – e soprattutto – per modificarla. Questo vale tanto più per gli scritti biblici, con la loro pretesa di custodire la rivelazione del Dio che parla nella storia a ciascun essere umano per suscitare l’accoglienza della fede e l’adesione della vita. In questo senso, la prospettiva pragmatica costituisce un approccio scientifico rispettoso non solo dell’indole comunicativa dei testi in generale, ma, in special modo, della peculiarità dei testi biblici, costituendo uno «studio scientifico adeguato alla fede».11 D’altra parte, il senso di un testo non è solo nei suoi contenuti oggettivi, la cui lettura presuppone una competenza semantica e sintattica,12 ma anche nella combinazione di questi all’interno di un evento comunicativo che coinvolge un emittente e un destinatario, ha un codice e un contesto che significa in modo peculiare la comunicazione stessa.13 Il contesto aiuterà a collocare il mero «significato dell’espressione» nella logica del «significato del parlante».14 Dopotutto il

10 La pragmatica non è una metodologia in senso stretto, ma piuttosto una prospettiva: «se trata de una perspectiva, no de un método […]. Una perspectiva es un ángolo visual. […] La perspectiva es el trasfondo o el marco de los métodos empleados» [«si tratta di una prospettiva, non di un metodo […]. Una prospettiva è un angolo visuale. […] La prospettiva è lo sfondo e la cornice dei metodi impiegati»] (C. Langner, «Cómo aplicar la perspectiva pragmática a un texto bíblico? El amor, ¿causa o consecuencia del perdón? Una lectura de la mujer perdonada (Lc 7,36-50)», in La Palabra Hoy [2008]129130, 35). Tale prospettiva è un modo di leggere i testi biblici alla ricerca della strategia con la quale questi spingono all’azione. 11 «Los textos bíblicos […], como textos nacidos de la fe y para la fe, exigen una ciencia de la fe, un estudio cientíico adecuado a la fe» [«I testi biblici […], come testi nati dalla fede e per la fede, esigono una scienza della fede, uno studio scientiico adeguato alla fede»] (A. Fumagalli, «Biblia y Pragmática Textual: Fundamentos», in La Palabra Hoy [2008]129-130, 26). 12 C. Bianchi, Pragmatica del linguaggio (BEL 59), Roma-Bari 2003, 3-13. 13 Il «senso» viene suddiviso in due accezioni: «carattere», che sta per l’aspetto oggettivo del termine, usato nel contesto linguistico proprio; «contenuto», col quale ci si riferisce all’aspetto cognitivo dell’enunciato, a ciò che il parlante voleva esprimere per chi lo ascoltava/leggeva; cf. Bianchi, Pragmatica, 34. 14 Bianchi, Pragmatica, 69, che spiega la differenza tra signiicato dell’espressione, ossia «il signiicato che l’espressione ha convenzionalmente, o letteralmente», e il signiicato del parlante, ossia «il signiicato con cui il parlante usa l’espressione».

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linguaggio raramente si limita a dare semplici informazioni asettiche: esso piuttosto «agisce» sempre sul reale.15 Il procedimento adottato metterà allora insieme i contributi derivanti dai vari metodi esegetici, sempre collocandoli sullo sfondo dell’intenzione comunicativa che il testo offre al suo lettore.

2. una traduzione: Lc 4,16-30

Setting: Gesù a Nazaret 16a

E

andò

a Nazaret, dove era stato cresciuto

16b

ed

entrò

come suo costume nel giorno di sabato nella sinagoga

I scena: Lettura profetica e attesa si alzò

per leggere

e

gli fu dato

il libro del profeta Isaia

e, aprendo il libro,

trovò

il luogo dove è scritto

16c

e

17

Lo Spirito del Signore è su di me;

18

per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato per annunciare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il recupero della vista; per mandare in libertà gli oppressi; per annunciare un anno accetto al Signore.

19

15 È interessante in tal senso cogliere con Austin la quasi impossibilità di un enunciato constativo (descrittivo) puro, se non come «astrazione» e «nozione ipersempliicata della corrispondenza ai fatti» (J.L. Austin, Come fare cose con le parole, Genova-Milano 1987, 106). In sintesi: ogni autentico atto linguistico è contemporaneamente locutorio (il parlare dotato di signiicato) e illocutorio (il parlare che persegue un ine). Le distinzioni sono pure astrazioni.

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E avendo chiuso il libro e avendolo dato all’inserviente si sedette. E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui.

II scena: Compimento e stupore 21

Ma

cominciò

a dire a loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi

22

E tutti gli rendevano testimonianza e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano:

Non è questi il figlio di Giuseppe?

III scena: Provocazione e rabbia 23

E

disse

loro: Tutti mi direte questa parabola: Medico, cura te stesso! Quanto abbiamo udito avvenne a Cafarnao fallo anche qui nella tua patria!

24

disse

però: In verità vi dico che nessun profeta è accetto nella sua patria. In verità quindi vi dico:

25

molte vedove c’erano nei giorni di Elia in Israele quando fu chiuso il cielo per tre anni e sei mesi e avvenne una grande carestia su tutta la terra, e da nessuna di esse fu mandato Elia

26

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se non a Sarepta di Sidone da una donna vedova. E molti lebbrosi c’erano in Israele al tempo del profeta Eliseo

27

e nessuno di essi fu purificato se non Naamàn il Siro. 28

E

furono pieni

tutti di rabbia nella sinagoga ascoltando ciò.

29

E alzandosi lo

gettarono

fuori dalla città

e lo

condussero

fino alla cima del monte su cui era costruita la loro città per precipitarlo giù,

Conclusione: Ripresa del cammino 30

ma lui, passando in mezzo a loro

camminava.

3. testo e co-testo 3.1. Demarcazione e unità del testo Il nostro testo è preparato da due versetti (vv. 14-15) che rappresentano un sommario introduttivo all’intera sezione galileiana di Gesù (fino a 9,50) e in qualche modo hanno una funzione ponte: legano ciò che precede (cf. il richiamo allo Spirito Santo di 4,14 con 3,16.22 e 4,1) a quanto segue (cf. l’insegnamento nelle sinagoghe di 4,15 con 4,16.31).16 Considerazioni similari si possono fare per i vv. 31-32 che traghettano il lettore verso la nuova pericope (vv. 33-37) riassumendo i temi precedenti (insegnamento in sinagoga nel giorno di sabato e meraviglia degli uditori) che pure torneranno nella narrazione (vv. 33.36). Nondimeno, il cambio di ambientazione che, dalla regione della Galilea, vede l’ingresso nella città di Nazaret, segnala l’inizio di una nuova unità testuale, insieme all’indicazione temporale del sabato. La sua 16 «Luca ne prepara il clima con due notazioni che riguardano l’insegnamento di Gesù nelle sinagoghe e la risonanza della sua fama dappertutto all’intorno (Lc 4,14b-15)» (R. Fabris, «Lo Spirito Santo sul Messia [Lc 3,21-22; 4,1.14.16-20]», in PSV 4[1982], 103).

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conclusione è altrettanto evidente al v. 30, con l’uscita dalla città.17 Una serie di costruzioni parallele, spesso con elementi opposti, contribuisce a dare compattezza e unità al testo (andare/entrare, v. 16a/camminare, v. 30; verso [Nazaret; la sinagoga], v. 18/fuori, v. 29; alzarsi, v. 16c/sedersi, v. 20; aprire, v. 17/chiudere, v. 20; ai vv. 18.19 il termine «Signore» apre e chiude la citazione isaiana, incorniciandola). Una perfetta costruzione chiastica permette di individuare la centralità del testo profetico citato nel contesto delle azioni di Gesù (vv. 16c-20a) descritte con degli aoristi greci (evidenziati in grassetto nel testo seguente): 16c

a

E si alzò per leggere B

17

e gli fu dato il libro del profeta Isaia c

d 19

c’

20a

B’ a’

e, aprendo il libro, trovò il luogo dove è scritto Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha unto per evangelizzare i poveri, mi ha mandato per annunciare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il recupero della vista, per mandare in libertà gli oppressi, per annunciare un anno accetto al Signore.

18

E avendo chiuso il libro

e avendolo dato all’inserviente

si sedette.

Ne risulta un testo organico e ben compaginato.

3.2. Lettura sinottica Con tutta probabilità il testo si ispira a Mc 6,1-6 (si noti nel testo marciano: v. 1: l’ingresso in patria; v. 2: insegnamento nella sinagoga in giorno di sabato; v. 3: domanda sulla sua identità; v. 4: il detto del ri-

17 Cf. E.D. Vaz, Como fazer uma análise narrativa e pragmática de Lc. 4,16-30. Teologia e Literatura, Salvador, Brasil 2005, 13-14. Secondo l’autore il v. 30 ha la duplice funzione di chiudere la pericope attuale e aprire quella successiva (4,31-37).

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fiuto del profeta in patria).18 Ciononostante, risulta evidente che, nella composizione, Luca si è rifatto alla tradizione propria, come si evince valutando l’originalità dei materiali e dell’intento con i quali essi vengono organizzati e orientati.19 Diversamente da Mc, e anche da Mt 13,53-58, la reazione iniziale dei nazaretani presenti in sinagoga non è di esplicito scandalo (cf. Mc 6,3 // Mt 13,57: «Ed era per loro motivo di scandalo»), ma di testimonianza e meraviglia (Lc 4,22). È inoltre molto ridotta la domanda della gente circa le origini di Gesù.20 A livello strutturale, è indicativa del suo carattere programmatico l’anticipazione dell’episodio rispetto agli altri due sinottici, che collocano la vicenda della sinagoga di Nazaret a metà del vangelo. Certamente Luca, anticipando il testo rispetto alla sua fonte, lo enfatizza, conferendogli un ruolo strategico per la lettura del resto della sua opera. Va infine notato che anche la tradizione giovannea conosce l’episodio o, almeno, il detto del rifiuto del profeta nella sua patria attribuito a Gesù (Gv 4,44). Il criterio storico-critico della molteplice attestazione ci permetterebbe dunque di imputare queste parole al Gesù storico.

3.3. Contesto remoto e prossimo e presupposti del lettore Il prologo del Vangelo di Luca ha predisposto il lettore all’ascolto di una storia ben curata e documentata (1,1-3), capace di confermare nell’insegnamento catechetico ricevuto (1,4), conferendo una certa affidabilità al narratore. La solennità dei racconti dell’infanzia (1,5–2,52) contraddistinti dall’idea della conformità alla Legge divina (cf. 1,6; 2,21-24.27.39) e dal linguaggio di sapore biblico (cf. per es. i cantici [1,46-55.66-79] e gli annunci [1,14-17.32-33; 2,10-11]), ha educato il lettore a una certa affinità con le pagine della Scrittura, chiedendogli indirettamente di maturare competenze bibliche che lo rendano familiare alle vicende prototestamentarie. Dai racconti dell’infanzia il 18 Cf. M. Alvarez Barredo, «Discurso inaugural de Jesus en Nazaret (Lc 4,16-30): Clave teologica del evangelio de Lucas», in Carthaginensia 2(1986), 24. 19 «Luca ha compiuto un notevole lavorio redazionale e compositivo per adattare ai suoi scopi un episodio conlittuale che si trova negli altri Sinottici» (L.T. Johnson, Il Vangelo di Luca, Torino 2004, 75). 20 C. Langner, «Lc 4,16-30: Jesús proclama el año de gracia del Señor», in M. Grilli – D. Landgrave Gándara – C. Langner (edd.), Riqueza y solidaridad en la obra de Lucas, Estella 2005, 36.

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lettore ha conosciuto Gesù come figlio di Dio ed è stato accompagnato a riconoscere quello come il tempo del compimento delle promesse profetiche. Tale consapevolezza è confermata da un’altra citazione del profeta Isaia (40,3-5) che si compie in relazione al ministero di Giovanni il Battista. Nella stessa linea, il lettore è stato informato della potente azione dello Spirito Santo (espressione presente 13 volte in Lc21) che ha mosso le vicende dell’infanzia di Gesù (1,15.35.41.67; 2,25.26.27) e ne segna il ministero:22 in esso battezzerà (3,16), lo riceve a sigillo dell’identità filiale rivelata da Dio stesso (3,22) ed è da esso guidato (4,1x2.14).23 Dai racconti dell’infanzia il lettore ha assunto anche l’informazione della paternità di Giuseppe a cui si fa riferimento nel v. 22, ma che egli sa essere solo legale (cf. 1,31-33.35 e anche 1,27; 2,4.16) e corrispondere all’opinione pubblica (3,23b: «era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli»). È nota infine al lettore anche la capacità dialettica/didattica di Gesù – frutto della sua «sapienza» e «grazia di Dio» (cf. 2,40) – con la quale l’ha visto colloquiare saggiamente con maestri (2,46) e persino confutare le tesi del diavolo (4,1-12) e sa che ciò è motivo di lode anche nelle sinagoghe (4,15). In nessun punto dei racconti dell’infanzia emerge una tensione tra Gesù e gli abitanti del suo villaggio: le pagine lucane non hanno, tra l’altro, la tensione drammatica che colora i racconti dell’infanzia matteani (si pensi alla tensione che accompagna la scoperta della gravidanza di Maria, Mt 1,18-25; la pericolosa vicenda dell’incontro tra i magi e il re Erode, 2,1-12; la minaccia di morte che segue il nascituro, 2,13-15; l’uccisione cruenta di bambini, 2,16). Niente di ciò segna i racconti lucani, caratterizzati da un clima di gioia, leggermente incrinata solo da esili indizi (cf. Lc 2,7.34-35): tutto ciò prepara il lettore e la lettrice a interazioni positive

Nei capitoli successivi al nostro: 10,21; 11,13; 12,10.12. Sull’importanza del tema dello Spirito nell’opera lucana, cf. Langner, «Jesús proclama», 42-43; Fabris, «Lo Spirito Santo», 99-101. L’autore commenta: «Luca ha sviluppato il ruolo dello Spirito Santo collocando il racconto dell’origine di Gesù in un clima caratterizzato dall’effusione eccezionale dello Spirito Santo» (p. 99). 23 «A relação de Jesus com Deus, revelada principalmente durante o Batismo (3,2122), indica que Ele, mais do que qualquer outro, é autorizado pelo poder divino para realizar sua missão, que tem come vértice dar ao povo o perdão dos pecados» [«La relazione di Gesù con Dio, rivelata principalmente durante il Battesimo (3,21.22), indica che egli, più che chiunque altro, è autorizzato dal potere divino per realizzare la sua missione, che ha come vertice dare al povero il perdono dei peccati»] (Vaz, Como fazer uma análise, 9). 21 22

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tra Gesù e la sua gente: in particolare la nostra pagina è accompagnata da legittime aspettative di riuscita.

3.4. La struttura del testo La proposta di lettura che seguiremo individua la seguente struttura narrativa:

Setting

v.

16a.b

Gesù a Nazaret

Prima scena

vv.

16c-20

Lettura profetica e attesa

Seconda scena

vv.

21-22

Compimento e stupore

Terza scena

vv.

23-29

Provocazione e rabbia

Conclusione

v.

30

Ripresa del cammino

4. La conigurazione semantica 4.1. Setting (v. 16a.b): Gesù a Nazaret La vicenda è localizzata a «Nazaret» (v. 16; «città», v. 29x2), nella «sinagoga» (vv. 16.20.28), in giorno di «sabato». L’ingresso nella città – e nella sinagoga – permette di individuare il setting di ambientazione (v. 16a.b) del racconto, con due verbi di movimento all’aoristo (ēlthen, entrò; eisēlthen, entrò) (in seguito, al v. 30, sarà sempre un verbo di movimento – eporeueto, camminava – a indicare l’uscita dalla città e, quindi, la conclusione della vicenda).24 Gesù entra nella città di Nazaret, tappa della missione voluta dallo Spirito Santo (v. 14). Nazaret, qui indicata con una dicitura di sapore arcaico (letteralmente: Nazarà), era un piccolo villaggio della pianura di Jerrael, collocato su un’altura di 300 metri, a una decina di chilometri a sud-est di Sefforis, la città 24 Vaz, Como fazer uma análise, 18, deinisce i vv. 16a.b come un sommario. Mi discosto da questa deinizione, a motivo dell’uso degli aoristi indicativi ēlthen, entrò e eisēlthen, entrò, poiché i sommari sono normalmente costruiti con verbi all’imperfetto, più adatti a descrivere attività reiterate e il carattere sintetico proprio dei sommari (si veda, per es., 4,15 e At 2,42ss).

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più importante della Galilea.25 Il narratore ricorda al suo lettore che Nazaret è il luogo nel quale Gesù è cresciuto (cf. 2,39) e del quale era originaria la sua famiglia (cf. 1,26-27).26 Gesù entra nella sinagoga, secondo la sua consuetudine cultuale, in sintonia con le descrizioni degli ebrei osservanti che Luca evidenzia sovente. E vi entra da solo, diversamente da quanto segnalato da Marco, il quale lo presenta accompagnato dai discepoli (Mc 6,1) che egli ha già chiamato a seguirlo (Mc 1,16-20; Luca narrerà l’episodio della chiamata solo dopo: cf. Lc 5,1ss).27 La sinagoga è uno degli spazi sacrali dell’esperienza credente di Israele, luogo della Scrittura letta, studiata e pregata.28 È proprio questo lo spazio nel quale la rivelazione del Dio dei padri è accolta e alla cui scuola si rinsaldano i vincoli di fede, custodi – insieme ai legami di sangue – dell’appartenenza al medesimo popolo eletto.29 In questa linea, è molto interessante la precisazione che ciò avvenga nel giorno di sabato, la cui osservanza rappresenta uno degli indicatori di fedeltà e di adesione alla comunità ebraica.30 25 Il suo nome farebbe pensare a una posizione esposta (dalla radice ebraica n-ts-r = sorvegliare, custodire) o forse a una non meglio attestata funzione militare; cf. H. Kuhli, «Nazare,t», in H. Balz – G. Schneider (edd.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Brescia 2004, 453. 26 Sappiamo che questo dato anagraico era piuttosto imbarazzante per la comunità delle origini, poco entusiasta che il suo Signore fosse legato a un borgo sconosciuto e biblicamente irrilevante: cf. Gv 1,45-46 (Bovon, Luca, 248). Nella lettura sinottica si noti, tra l’altro, come Matteo modiica il dato asserendo che la famiglia di Giuseppe era originaria di Betlemme e si trasferì a Nazaret solo dopo il rientro dal viaggio forzato in Egitto (cf. Mt 2,23). Evidentemente però il dato non poteva essere taciuto, perché storico e noto, come ci ricorderebbe il criterio dell’imbarazzo. Di diverso avviso è Kuhli, «Nazare,t», 454, per il quale «il collegamento relativamente blando del toponimo Nazaret con la tradizione di Gesù e la determinazione, come sempre dificile, del suo rapporto con la denominazione Nazwrai/oj [Nazôraios] fanno dubitare dell’attendibilità storica delle indicazioni su Nazaret come patria di Gesù». A suo parere la patria di Gesù sarebbe stata Cafarnao. 27 Cf. Vaz, Como fazer uma análise, 17. 28 La sua istituzione pare antichissima (At 15,21; cf. Sal 73,8 LXX; Ez 11,16), al punto che Filone, Flavio Giuseppe e il tardo giudaismo la attribuiscono a Mosè: cf. H. Frankemölle, «sunagwgh,», in Balz – Schneider (edd.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, 1466. 29 La Scrittura è certamente il centro dell’episodio che qui si apre, come evidenziato da due pregnanti campi semantici: a) le Scritture (biblion, libro, v. 17; gegrammenon, sta scritto, v. 17; hē graphē, la Scrittura, v. 21; cf. l’ambientazione nel luogo di culto della sinagoga e le tre citazioni prototestamentarie: al v. 18, Is 61,1-2; 58,6; ai vv. 25-26, 1Re 17,1ss; al v. 27, 2Re 5); b) i profeti (il profeta Isaia, autore del libro citato al v. 17; Elia ai vv. 25-26; Eliseo profeta al v. 27 e, implicitamente, Gesù profeta non accolto: cf. v. 24 e vv. 28-29). 30 «La Sinagoga, que ya era una institución importante, pasa ahora a ser el lugar de culto y de instrucción, especialmente los sábados y las iestas» [«La Sinagoga, che già

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Quello che si sta tratteggiando è dunque il contesto più familiare alla cultura giudaica del tempo e quindi ai nazaretani lì presenti: la Scrittura, la sinagoga, il sabato; ma nondimeno è anche lo scenario più familiare a Gesù: il suo paese, la sinagoga che egli frequentava abitualmente, le sue consuetudini religiose. La percezione di una rassicurante familiarità tinteggia la scena.

4.2. Prima scena (vv. 16c-20): lettura profetica e attesa 4.2.1. Azione: Proclamazione di Gesù Viene descritta la lettura rituale fatta da Gesù, pur narrativamente sottintesa.31 Egli «trova» (euren) il testo di Isaia, non lo sceglie.32 Ciò conferma il lettore nell’impressione che Gesù sia assistito dallo Spirito nelle sue azioni.33 Non abbiamo notizie certe sul rito sinagogale al tempo di Gesù e delle prime comunità cristiane. Sul calco della prassi attuale, fissata nella Mishnà, possiamo ipotizzare un rito diviso in due parti: I parte: Šema‘ Isra’ēl; preghiera e benedizione; II parte: lettura della Torah (parashà), lettura dei Profeti (haftarà).34 Se la lettura compiuta da Gesù era una istituzione importante, passa ora ad essere il luogo di culto e di istruzione, specialmente nel giorno di sabato e nelle feste»] (D. Muñoz León, «Principios básicos de la exégesis rabínica», in RevB 60[1998], 117). Il lettore dell’opera lucana noterà certamente i tanti episodi avvenuti in giorno di sabato e talvolta ambientati proprio in una sinagoga (Lc 6,1.2.5.6.7.9; 13,10.14.15; 14,1.3.5; 18,12; 23,54.56; 24,1; At 1,12; 13,14.27.42.44; 15,21; 16,13; 17,2; 18,4; 20,7). 31 Vaz, Como fazer uma análise, 22. L’ellissi narrativa circa la proclamazione liturgica di Gesù può dare la percezione al lettore che «el texto habla por sí mismo» [«il testo parla da sé»] (Langner, «Jesús proclama», 51). 32 Così Bovon, Luca, 249, secondo il quale Luca, «se avesse voluto segnalare un’iniziativa eccezionale di Gesù, l’avrebbe indicato più chiaramente». Dello stesso avviso è la TOB: «Lc sembra voler indicare che essa gli è provvidenzialmente offerta: Gesù non la sceglie, ma la trova» (La Bibbia TOB, nota y). Vaz, Como fazer uma análise, 20 cita il commento di Origene (Omelie su Luca, XXXII) per il quale il nostro testo si riferirebbe alla provvidenza di Dio. 33 Cf. Bovon, Luca, 249; Johnson, Il Vangelo di Luca, 73; R. Dillmann – C.A. Mora Paz, Comentario al Evangelio de Lucas. Un comentario para la actividad pastoral, Estella 2006, 113. Gli autori di quest’ultimo commentario ritengono che «no hay por qué pensar que la invitación fue un acto especial para honrar a Jesús» [«Non vi è motivo di ritenere che l’invito fu un atto speciale per onorare Gesù»]. 34 «En la estructura de la Liturgia sinagogal ocupan el puesto central la lectura de la Torá, la traducción de la misma al arameo (Targum) y la explicación del texto bíblico (homilía)» [«Nella struttura della liturgia sinagogale occupano il posto centrale la lettura

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è una haftarà, dobbiamo presumere che essa sia stata preceduta dalla lettura della parashà, come d’altra parte riportato dallo stesso Luca a proposito della predicazione di Paolo e i suoi compagni nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (At 13,15: «dopo la lettura della Legge e dei Profeti»). Il silenzio di Luca sulla lettura precedente ha probabilmente la funzione di focalizzare l’attenzione sull’attesa messianica, caratteristica dei testi profetici, preparando così all’idea del compimento. Il testo letto è Is 61,1-2 LXX.35 Un’analisi delle citazioni prototestamentarie nell’opera lucana evidenzia la predilezione di Luca per il libro del profeta Isaia.36 Luca si discosta dal primo versetto del testo biblico in due punti: omette «a fasciare le piaghe dei cuori spezzati» e aggiunge «rimandare liberi gli oppressi», inserendo così anche una citazione di Is 58,6; ciò gli permette di amplificare la portata sociale dell’opera messianica: dal contesto cultuale del digiuno, il testo isaiano spinge infatti a una prassi sociale corretta in favore dei poveri.37 Rispetto a Is 61,2 utilizza il verbo greco keryssô, annunciare (cf. v. 19) recuperando la terminologia del giubileo espressa in Lv 25,10;38 ma soprattutto tronca la citazione del testo prima della sua conclusione minacciosa («il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare gli afflitti»). Delimitare un testo non è mai operazione innocente: gli conferisce infatti significati nuovi. Sicché la brusca interruzione della pericope isaiana permette a Luca di presentare Gesù come colui che

della Torah, la traduzione della stessa in arameo (Targum) e la spiegazione del testo biblico (omelia)»] (Muñoz León, «Principios básicos de la exégesis rabínica», 117). 35 «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare gli aflitti» (Is 61,1-2 CEI). 36 Is 40,3 in Lc 1,76; Is 9,2; 58,8 e 60,1-2 in Lc 1,78-79; Is 40,3-5 in Lc 3,4-6 (esplicita); Is 61,1-2; 58,6 in Lc 4,18-19 (esplicita); Is 35,5; 61,1 in Lc 7,22; Is 6,9-10 in Lc 8,10; Is 14,13.15 in Lc 10,15; Is 56,7 in Lc 19,46; Is 5,1 in Lc 20,9; Is 53,12 in Lc 22,37 (esplicita). I dati sono presi da G. Segalla, Evangelo e vangeli. Quattro evangelisti, quattro Vangeli, quattro destinatari, Bologna 1992, 234-235, il quale fa notare che «la maggior parte delle citazioni sono utilizzate in funzione cristologica» (p. 237). Cf. anche ivi, 347. 37 Alvarez Barredo, «Discurso», 26.32. Viene qui sottolineato come il testo interpelli i ricchi della comunità giudaica post-esilica a farsi carico dei propri compatrioti caduti in miseria per gli indebitamenti tipici della critica situazione economica. 38 La terminologia ricorre anche in Ger 34,8.15.17 in riferimento all’anno sabatico (A. Sisti, «Il tema del giubileo nell’opera di Luca», in Euntes docete 37[1984], 9).

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annuncia una missione segnata esclusivamente dalla misericordia e dalla speranza.39 La particolare costruzione infinito + finito (evangelizzare + ha inviato) enfatizza l’evangelizzazione quale fine dell’azione dell’invio.40 Quattro specifiche la declinano:41 1) proclamare la remissione dei peccati; 2) annunciare il recupero della vista ai ciechi; 3) restituire la libertà agli oppressi; 4) inaugurare l’anno di grazia del Signore. Esse caratterizzeranno il ministero di Gesù.42 Il tema del giubileo (in greco apheseôs sēmasia; in ebraico yôbēl) offre un orizzonte di comprensione di tale missione: essa sarà un evento di liberazione, così come il giubileo istituito in Lv 25,10 lo era per i poveri e gli ultimi del popolo d’Israele.43 Certamente Luca conferisce uno spessore spirituale al giubileo, non per ignorare la dimensione sociale che esso implicava, ma per fondarla:44 resta aperto l’appello a una prassi sociale in favore degli impoveriti, anche alla luce della critica alla ricchezza caratteristica 39 Con G. Barbaglio, «Gesù ha affermato di essere Messia?», in A. Guida – M. Vitelli (edd.), Gesù e i Messia d’Israele. Il messianismo giudaico e gli inizi della cristologia, Trapani 2006, 119, diremo di Gesù che «i suoi occhi sono tutti e solo per la grazia divina a favore dei bisognosi». Non può qui sfuggire la coerenza dell’omissione lucana: egli elimina il riferimento a quella vendetta divina rivolta ai popoli pagani (cf. Is 63–66), poiché proprio essi sono i destinatari del suo vangelo; cf. Langner, «Jesús proclama», 39. 40 Si noti anche la ricorrenza dei termini del campo semantico della missione: «evangelizzare», «mandare», «annunciare», «mandare». Secondo Sisti, «Il tema del giubileo», 7-8, la missione è soprattutto quella dell’annuncio e il protagonista è percepito come un messaggero che realizza eficacemente ciò che proclama. Circa la strutturazione del testo della citazione isaiana, cf. p. 16, nota 27. 41 Proprio queste azioni costituiscono il lieto annuncio in atto. Cf. Sisti, «Il tema del giubileo», 8. 42 Johnson, Il Vangelo di Luca, 75. 43 «Quello del giubileo non è un elemento casuale nel quadro della presentazione di Gesù nell’atto di inaugurare il suo ministero pubblico, ma piuttosto l’idea portante di tutto il quadro. Un’idea cioè che Luca ha posto a base del suo evangelo e che costituisce come la chiave di lettura di tutta l’attività profetica e messianica di Gesù» (Sisti, «Il tema del giubileo», 3). L’autore fa notare come Isaia, nell’elaborare il testo di 61,1-3, aveva mutuato i termini e i concetti base da Lv 25,8-55, dove si istituiva un istituto giuridico che prevedeva la remissione di tutti i debiti col conseguente ritorno alla libertà degli schiavi (cf. ivi, 4). 44 Cf. Sisti, «Il tema del giubileo», 19-25. Va notato che, nonostante Flavio Giuseppe parli del giubileo come sempre praticato (Antichità giudaiche, 3,II,7) e il Talmud di Gerusalemme lo dica abrogato dal tempo dell’esilio (Sebi’it 10,3), l’assenza di riferimenti ad esso nei testi storici fa propendere per un inserimento tardivo della legge nelle Scritture. «Ma ciò non toglie nulla al suo valore ideale o, diciamo pure, utopistico, che resta sempre quello di una comunità strutturata sull’amore e sulla comprensione reciproca» (Sisti, «Il tema del giubileo», 5).

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dell’opera lucana (cf. per es. Lc 16,19-31).45 In questo senso le azioni annunciate sono le modalità della salvezza integrale portata da Gesù46 che troverà il suo vertice nel perdono dei peccati,47 atto decisivo della tenerezza di un Dio che sradica la causa del male esperito empiricamente.48 Non a caso l’annuncio del perdono dei peccati è il tema predominante dell’invio in missione che Gesù risorto rivolge agli Undici, la sera di Pasqua (cf. Lc 24,46-49).49 Si delinea così un programma di misericordia e tenerezza che si dipanerà lungo tutta la vita di Gesù, nella quale è possibile leggere «l’avvento in lui della sovranità salvifica di Dio»:50 – egli guarisce, con una tenerezza di compassione (cf. Lc 7,13), ammalati e indemoniati (7,21.22; 8,2.26-39; 9,37-43; 13,10-17; 18,35-43); – accoglie i pubblicani e i peccatori (5,27-32; 15,1-2; 19,1-10); – con la sua prassi e il suo insegnamento restituisce dignità a chi vive una condizione di oppressione sociale (gli svantaggiati: 6,20-26; 7,22; i bambini: 18,15-17; i piccoli: 10,21; le donne: 7,13.37-47; 8,1-3; 10,38-42; 21,1-4); – libera quindi dal peccato (5,20-24; 7,47.48; 24,47); – perdona persino i nemici (23,34).51 Proprio la proclamazione pubblica innesca questo processo salvifico52 nella linea dell’attesa escatologica del regno di Dio, come ristabilimento della giustizia e dei diritti degli ultimi.53

45 Alvarez Barredo, «Discurso», 27.33. L’autore annota: «Lucas ahora con su doble obra aplica el mensaje de Jesús a la gente poderosa económicamente de sus comunidades helenistas» (33) [«Luca ora con la sua opera duplice applica il messaggio di Gesù alla gente economicamente potente delle sue comunità elleniste»]. 46 Segalla, Evangelo e vangeli, 253-254. 47 Vaz, Como fazer uma análise, 22. Va inoltre notato che anche a livello strutturale «per annunciare ai prigionieri la liberazione» è il centro della citazione (cf. supra, p. 182). 48 Va tenuto presente il nesso peccato-malattia tipico della cultura biblica (Sir 38,15; Gb), che escludeva dalla sfera cultuale gli infermi (Lv 21,16-23; 2Sam 5,8b). Cf. Sisti, «Il tema del giubileo», 24. 49 Fabris, «Lo Spirito Santo», 111. 50 C. Rocchetta, Teologia della tenerezza. Un «vangelo» da riscoprire, Bologna 2000, 133. 51 Cf. Langner, «Jesús proclama», 38.41; Rocchetta, Teologia della tenerezza, 134-150. 52 «khru,xai [kēryxai] “proclamare pubblicamente”, indica che la salvezza entra in vigore con la parola (ma non ancora completamente nella storia)» (Bovon, Luca, 251). 53 «Per Luca “l’anno” è l’avvento del tempo escatologico, che era stato annunciato dalla ripresa profetica del tema del giubileo (Lv 25,8-54)» (Bovon, Luca, 251).

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4.2.2. Reazione: occhi attenti dei presenti Quanto appena avvenuto suscita attese profonde nei presenti in sinagoga. Il termine che ne descrive la reazione (atenizô, tenere gli occhi fissi al participio – v. 20b) denota una certa apertura, rafforzata dal significato letterale del verbo usato col quale si indica un atteggiamento di intensa attenzione. Sono però gli occhi a essere attenti: i nazaretani vogliono vedere. Scorgiamo qui un segnale che sarà poi ripreso e ampliato: gli occhi dei nazaretani, rappresentanti di Israele,54 fissi su Gesù, indicano l’aspettativa su ciò che egli farà e non su ciò che egli dirà. A tali aspettative si uniscono quelle del lettore e della lettrice, ansiosi di conoscere finalmente il contenuto dell’insegnamento religioso di Gesù che sanno essere largamente apprezzato (cf. vv. 14-15).

4.3. Seconda scena (vv. 21-22): compimento e stupore 4.3.1. Azione: annuncio del compimento L’aoristo ingressivo ērxato, cominciò (a dire) (v. 21) apre la seconda scena con la nuova azione di Gesù: diversamente dalle aspettative dei presenti in sinagoga, Gesù non fa nulla che si possa vedere. Egli si limita a iniziare a parlare (non sfugga qui la funzione avversativa della congiunzione), chiamando in causa gli orecchi dei suoi interlocutori («nei vostri orecchi»): sono essi che vanno tenuti in una tensione positiva! Qui c’è tutta la tradizione di Israele: è l’ascolto che permette la relazione con Dio (Dt 6,4: «Ascolta, Israele!») e non la visione, come invece voleva la cultura ellenistica (cf. il mondo delle idee, di platonica memoria). Se, come abbiamo ipotizzato, il culto sinagogale prevedeva la recita dello Šema‘ Isra’ēl prima della proclamazione delle letture sacre, il riferimento di Gesù appare più intenso e acuto, anche in relazione all’allusione alle parole con cui Mosè introduce il Decalogo nel testo deuteronomico,55 come risulta fortemente probabile dal confronto con Dt 5: Lc 4,22: Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi Sēmeron peplērôtai hē graphē hautē en tois ôsin hymôn

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Vaz, Como fazer uma análise, 15. R. Meynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Bologna 2003, 196-197.

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Dt 5,1: Ascolta, Israele, le prescrizioni e i decreti che io dico nelle tue orecchie oggi Akoue Israēl ta dikaiômata kai ta krimata hosa egô lalô en tois ôsin hymôn en tē[i] hēmera[i] tautē[i]

Dunque Gesù richiama solennemente l’attenzione sull’ascolto delle Scritture56 e rivela la propria missione in relazione ad esse,57 inaugurando il compito, fino a quel momento affidato alle voci angeliche, di annunciare e interpretare gli eventi.58 Il fatto che egli, diversamente dal racconto marciano, sia entrato da solo nella sinagoga non lascia alcun posto all’equivoco: è lui, e lui solo, il protagonista di questo compimento.59 La pretesa di un’interpretazione autoritativa e corretta delle Scritture era una prerogativa messianica? Gli scritti qumranici attestano l’attesa di un messia competente nell’esegesi dei testi sacri, definito «interprete della legge»,60 ed è interessante notare come recepiscono proprio il testo di Is 61,1-2 in chiave esplicitamente messianica.61 Anche per Luca il nostro testo ha a che fare con la figura del Messia, visto il riferimento all’unzione di Spirito Santo («Lo Spirito del Signore è su di me»)62 che Gesù ha ricevuto nel suo battesimo (3,22).63 Tale evento è interpretato 56 Didaskô, insegnare «non va inteso nel senso greco di un insegnamento scolastico, ma in quello giudaico di una spiegazione delle Scritture (Mc 1,21)» (Bovon, Luca, 247). 57 Cf. Vaz, Como fazer uma análise, 18. 58 J.-N. Aletti, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli, Roma 1996, 27. 59 «Gesù si identiica inequivocabilmente con l’uomo descritto in Is 61,1» (Sisti, «Il tema del giubileo», 14). 60 «E la stella è l’interprete della legge» (CD 7,18); «Ciò [si riferisce al] “germoglio di David” che sorgerà con l’interprete della legge che [sorgerà] in Si[on ne]gli ultimi giorni» (4Q 174[4 QFlorilegium], fr. 1-3, col. 1). Le due citazioni sono prese da F. García Martínez – J. Trebolle Barrera, Testi di Qumran, Brescia 2003, 294.297-298. 61 Cf. 4Q 521: «poiché i cieli e la terra ascolteranno il suo messia […]. Perché il Signore […] onorerà i pii su un trono di regalità eterna, liberando i prigionieri, rendendo la vista ai ciechi, raddrizzando i piegati […] e darà l’annuncio agli umili (ai poveri)», citato in Barbaglio, «Gesù», 120. Si veda anche 1QH 18,14-5, citato in Sisti, «Il tema del giubileo», 10 dove l’autore dell’inno 33, rifacendosi a Is 61, «ringrazia Adonai perché gli ha infuso il suo spirito santo e dopo avergli svelato i suoi misteri lo ha fatto “messaggero della tua bontà, annunziando la buona novella ai poveri secondo l’abbondanza delle tue misericordie, abbeverandoli alla fonte di santità, consolando quanti hanno lo spirito contrito e sono aflitti, con la gioia eterna”». 62 «Il contesto di Luca fa decisamente pensare che questa unzione sia il battesimo (3,21-22). Il verbo “ungere” (crhiō) è afine a Christos (Messia), per cui l’idea che ha Luca di Messia è del tutto letterale (cf. 9,20)» (Johnson, Il Vangelo di Luca, 73). 63 Vaz, Como fazer uma análise, 21.27.52. Alle stesse conclusioni giunge Barbaglio, «Gesù», 119, partendo dall’analisi di Q 7,22 (cf. Mt 11,5 e Lc 7,22), laddove Gesù

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anche altrove nei termini dell’unzione: «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret» (At 10,38).64 Gesù annuncia il compimento della Scrittura, poiché egli «la conferma e con ciò la attualizza».65 Vanno qui notati tre aspetti peculiari di Luca: a) il tema lucano del compimento delle Scritture trova il suo corrispettivo in quello marciano del compimento del tempo (cf. Mc 1,15);66 b) le Scritture si compiono «oggi» (sēmeron) ha una grande importanza per Luca, essendo il tempo dell’azione salvifica divina (cf. Lc 2,11; 5,26; 19,5.9);67 c) Gesù viene implicitamente designato come profeta escatologico,68 titolo che solo Luca gli conferisce 7 volte (Lc 4,24; 7,16.39; 9,8.19; 13,33; 24,19), contro le 5 attribuzioni matteane e le 3 marciane.69 Proprio in quanto «“profeta ultimo” e sommo è il migliore interprete della Scrittura […]; come tale dà il buon annuncio della salvezza».70

4.3.2. Reazione: testimonianza, meraviglia, interrogativi Tale annuncio incontra una certa accoglienza da parte dei presenti in sinagoga: «tutti» (pantes) gli rendono testimonianza, considerano con stupore le sue parole piene di grazia, valutano le sue origini come una presenta «la sua attività verbale e operativa come realizzazione di attese profetiche e messianiche». 64 Cf. Vaz, Como fazer uma análise, 13; Sisti, «Il tema del giubileo», 14; Fabris, «Lo Spirito Santo», 111. 65 G. Rossé, Il Vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Roma 1992, 32001, 49; cf. Vaz, Como fazer uma análise, 27. «Luca presenta Gesù interprete e compimento escatologico della Scrittura già nel discorso programmatico a Nazaret (4,16-21)» (Segalla, Evangelo e vangeli, 237). 66 Vaz, Como fazer uma análise, 12; Sisti, «Il tema del giubileo», 13. 67 Langner, «Jesús proclama», 44; Sisti, «Il tema del giubileo», 12-13. 68 «La chiamata e investitura annunciata per il profeta escatologico ora si realizza in Gesù, il profeta inviato ai poveri e ai lontani» (Fabris, «Lo Spirito Santo», 107). 69 Segalla, Evangelo e vangeli, 252. L’autore fa notare che tale titolo si trova sulle labbra dello stesso Gesù, come anche della folla e dei discepoli. Cf. anche At 3,22-24; 7,37, dove viene richiamata la profezia di Mosè sul profeta escatologico (Dt 18,15). 70 Segalla, Evangelo e vangeli, 252. Viene qui fatto notare che il termine «evangelizzare» «ricorre 9 volte in Lc mentre solo 1 volta in Mt e nessuna in Mc». Cf. anche G. Segalla, Teologia biblica del Nuovo Testamento. Tra memoria escatologica di Gesù e promessa del futuro regno di Dio, Torino 2006, 345: «Fatto singolare di Luca-Atti è che Gesù stesso è il primo interprete delle Scritture. Gesù parla di sé e i testi parlano di lui».

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rinnovata causa di sorpresa. Pare che essi si sentano destinatari dei benefici messianici appena annunciati.71 Il vincolo di familiarità viene percepito quindi come lo spazio naturale di espressione del privilegio: Gesù, da buon concittadino, può riversare i benefici del suo potere sulla gente che lo ha visto crescere: in fin dei conti, colui che è dinanzi ai nazaretani è il figlio di Giuseppe, «uno di noi»!72 Nulla impedisce al lettore e alla lettrice di ritenere una tale possibilità più che realistica e opportuna. Accanto a questa suggestione positiva, vale la pena soffermarsi un attimo per leggere più da vicino le reazioni in sinagoga. Il primo verbo impiegato (martyreô, rendere testimonianza), all’imperfetto, farebbe pensare a un’accoglienza della persona di Gesù, probabile eco positiva delle gesta da lui compiute e note ai nazaretani (cf. vv. 14-15).73 Più dubbio è il senso del verbo thaumazô, meravigliarsi: fino a questo momento Luca lo ha usato per esprimere una certa perplessità (Lc 1,21.63; 2,18.33); più avanti nel racconto lo assocerà per due volte a un comportamento di ostilità verso Gesù (di un fariseo indignato dal mancato rispetto delle norme di purità: Lc 11,38; dei sadducei sconfitti nella disputa: 20,26). Queste considerazioni fanno propendere per una sua accezione polemica.74 Infine, la domanda: «Non è questi il figlio di Giuseppe?», pur identificando la provenienza geografica di Gesù, comparata col tema del compimento delle Scritture pare poter custodire un sospetto.75 Il lettore, pur percependo questa tensione, è in una posizione avvantaggiata rispetto ai personaggi della vicenda, poiché conosce la vera origine di Gesù (cf. Lc 1,27.31-33.35; 2,4.16; 3,23) e ha quindi la possibilità di deridere la perplessità dei nazaretani. Nonostante l’ambiguità che aleggia sulla reazione dei presenti, il nostro testo potrebbe terminare qui, tutto sommato, con un lieto fine. Forse tale è l’aspettativa del lettore e della lettrice. Ma questa non è l’intenzione del narratore. E neanche corrisponderebbe alla natura del vangelo.

71 Vaz, Como fazer uma análise, 29 ritiene che tale accoglienza sia il pieno riconoscimento dell’identità messianica da parte dei presenti in sinagoga. 72 Secondo Vaz, Como fazer uma análise, 30, la domanda dei nazaretani («Non è questi il iglio di Giuseppe?») denota il riconoscimento di Gesù come uno di loro. 73 Sisti, «Il tema del giubileo», 14. 74 Dello stesso avviso è Alvarez Barredo, «Discurso», 30: «El verbo no indica sorpresa o admiración, sino asombro unido a un rechazo y a un juicio critíco». 75 Mi discosto qui da Aletti, Il racconto, 135, per il quale i nazaretani «non hanno alcun preconcetto nei suoi riguardi, al contrario».

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4.4. Terza scena (vv. 23-29): provocazione e rabbia Una nuova azione di Gesù, ancora all’aoristo (v. 23: ēipen, disse) avvia la terza scena che comprende la nuova reazione degli astanti (vv. 28-29), stavolta non più al participio o all’imperfetto, ma nella forma finita dell’aoristo (furono pieni; gettarono; condussero). Si tratta della scena più lunga (vv. 23-29).

4.4.1. Azione: riletture di Gesù Gesù continua a manifestare la propria capacità interpretativa, prima della Scrittura, poi degli eventi e ora dei cuori: avanza quindi una lettura delle reali aspettative dei suoi concittadini. Essi sono concentrati sui benefici messianici annunciati, magari da ricevere in corsia privilegiata in omaggio della patria condivisa. Gesù lo evidenzia citando un proverbio che doveva essere noto all’uditorio: se ne conoscono echi nella letteratura ebraica, come in Genesi Rabbah 23,4: «Medico, medico, cura il tuo proprio zoppicare»76 e il Vangelo di Tommaso accosta la figura del medico a quella del profeta.77 Il lettore attento del vangelo riconoscerà forse in questo detto un’eco delle parole ingiuriose e provocatorie che saranno indirizzate a Gesù sotto la croce (Lc 23,35.37.39)78 e intuirà come esse non debbano essere sottovalutate. Piuttosto singolare pare il riferimento ai fatti di Cafarnao al v. 23, dei quali i lettori saranno informati solo nel testo successivo (4,3144).79 Questa prolessi narrativa potrebbe avere la funzione di suscitare la curiosità del lettore, desideroso di veder compiere i prodigi annunciati come noti, di cui però egli è all’oscuro. In qualche modo l’attesa dei benefici, ora smascherata, ben si lega all’idea di un compimento nella terra natale, a motivo della relazione che nella LXX si stabilisce tra l’anno giubilare e la patria (cf. Lv 25,10.21).80

Johnson, Il Vangelo di Luca, 74. Cf. Ev. Thom. 31, citato in Bovon, Luca, 253. 78 Cf. Langner, «Jesús proclama», 45. 79 Vaz, Como fazer uma análise, 31 vede in questa anticipazione una prova del carattere programmatico del testo. 80 Bovon, Luca, 253-254. L’autore motiva con questa connessione esegetica l’opportunità dell’annuncio che Gesù fa a Nazaret dell’anno di grazia, come conformità alle Scritture. Io vi vedo anche una conferma delle legittime aspettative dei suoi compaesani. 76

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Ma Gesù vi reagisce con un cambio di registro (si noti il «però» al v. 24): nessun profeta è accolto nella sua patria. Tale detto trova eco in tutta l’opera lucana, laddove la sorte di rifiuto è una caratteristica del profeta (cf. Lc 6,22-23; 11,47.49-51; 13,33.34; At 7,52a).81 Ve n’è un’anticipazione nella profezia di Simeone (Lc 2,34).82 L’uso del termine accetto, dektos qui e al v. 19 citando Is, potrebbe alludere a un divario crescente tra il modo di intendere del popolo e quello del Signore: ciò che è accetto a Dio pare entrare in stridente contrasto con quello che è accetto ai compaesani.83 Gli interlocutori di Gesù sono quindi posti dinanzi all’esigenza di riconoscere il profeta nella sua sorte contraddittoria e cambiare mentalità, rinunciando ai benefici del tempo messianico, per accogliere piuttosto il Messia finanche nel suo inatteso destino di rifiuto.84 Il concittadino famoso si presenta qui con le vesti del rifiutato: ciò che appariva familiare viene destabilizzato. Può far parte della comunità nazaretana chi racconta il proprio destino come quello di un estraneo per antonomasia, un reietto? Al v. 23 viene messa in rilievo la distanza tra l’ascolto, richiesto da Gesù, e quello degli ascoltatori, curioso e interessato ai benefici: è il gioco dell’equivoco, che fa nascere un nuovo messianismo. Si intravede qui quello che Rocchetta chiama «il fondamento staurologico della salvezza».85 Mostrando una maestria esegetica che potremmo definire di stampo rabbinico,86 Gesù, nei vv. 25-27, avvalora la propria tesi con argo-

Cf. Aletti, Il racconto, 141. Johnson, Il Vangelo di Luca, 75. 83 Cf. Bovon, Luca, 253. 84 L’autore fa notare come lo stesso Gesù dirà che non basta la volontà di credere in lui (4,22) per ricevere tali beneici (v. 23), ma occorre un cambiamento di mentalità (vv. 24-27) (Vaz, Como fazer uma análise, 13). «Senza l’opera salvatrice di Gesù Cristo il perdono è impossibile, ma senza la conversione (meta,noia) umana è irrealizzabile» (Bovon, Luca, 291); cf. Fabris, «Lo Spirito Santo», 103. 85 Rocchetta, Teologia della tenerezza, 244. L’autore commenta: «Solo chi è disponibile ad entrare in questo “ordine altro” è in grado di cogliere il senso della tenerezza cristiana e il suo fondamento indistruttibile. Dio si rivela in una dimensione diametralmente opposta a quella che ci si sarebbe aspettati: si rivela immergendosi nella condizione umana, e non dominandola dal di fuori; in una dimensione di umiliazione e di morte, e non nella maestà della sua gloria e della sua potenza ininita». Con questa rivelazione anche i discepoli sono chiamati a fare i conti. 86 «Quale metodologia pratica Luca nell’interpretare l’AT? Non vi è dubbio che vi sia un inlusso di quel metodo che si trova nel rabbinismo. Tale metodo prendeva talora il 81

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menti biblici tratti dalla sezione delle haftarot.87 Il riferimento alle vicende dei profeti Elia (1Re 17,8-16) ed Eliseo (2Re 5,1-19) manifesta la sovrana libertà di Dio. I due personaggi beneficiari dei miracoli sono accomunati dall’essere stranieri che pure hanno accolto la salvezza da un profeta di YHWH.88 Qui la loro grandezza. In tal senso il testo non va letto come un rifiuto del popolo di Israele che, anzi, continua a essere il destinatario privilegiato del messaggio salvifico di Gesù prima e della sua Chiesa poi. Questo è quanto il lettore scoprirà nella lettura dell’intera opera lucana: non vi è infatti un ministero gesuano presso i pagani, Gesù non oltrepassa i confini di Israele né dà seguito al ministero sistematico verso i pagani a imitazione dei profeti menzionati.89 L’orizzonte di evangelizzazione dei pagani resta una sfida affidata alla sua Chiesa (cf. At 1,8).90 Le vicende bibliche evocate da Gesù aprono nuovi scenari di interpretazione e immedesimazione. Se dietro l’operato di Elia ed Eliseo i presenti in sinagoga possono intuire una continuità nella linea profetica che sostiene e conferma le scelte di Gesù, non può loro sfuggire un’altra identificazione: essi sono provocatoriamente invitati a confrontare il proprio comportamento con quello di una vedova straniera e di un lebbroso pagano. Come altrove amerà fare il Gesù lucano (cf. Lc 10,30-37), agli interlocutori di Gesù – e, indirettamente, ai lettori – viene proposto come parametro comportamentale chi era naturalmente percepito come distante, estraneo o persino nemico. Proprio i comportamenti di chi istintivamente era rifiutato perché non familiare divengono con Gesù il paradigma di ortoprassi e persino di ortodossia. E chissà se sfuggirà loro una singolare evocazione: l’ebrea della vicenda di Eliseo è una serva dei pagani che facilita l’incontro tra lo straniero Naamàn e Israele per fargli trovare salvezza (cf. 2Re 5,2-3)! I testi menzionati richiamano atteggiamenti di apertura e comportamenti di

testo alla lettera, a volte lo interpretava richiamandosi al contesto oppure accostava testi diversi per illuminarli a vicenda» (Segalla, Evangelo e vangeli, 238). 87 Si noti che nella Bibbia ebraica i libri dei Re fanno parte dei Neviîm e, per quanto essa probabilmente non fosse formata canonicamente, il loro contenuto ha a che fare con vicende di profeti, come è rimarcato più volte proprio nel nostro testo. 88 Cf. Langner, «Jesús proclama», 47-48. 89 «In breve, Gesù non va verso i pagani, ma resta in Israele rivolgendosi al suo popolo, ai suoi correligionari». «Durante il ministero di Gesù, il popolo resta il beneiciario primo dell’annuncio di salvezza» (Aletti, Il racconto, 137.143). 90 Cf. Segalla, Evangelo e vangeli, 255; Sisti, «Il tema del giubileo», 28-29.

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accoglienza che travalicano ogni barriera e creano una nuova comunità, svincolata dai limiti territoriali e persino religiosi, ricapitolata in un progetto inedito di Dio che passa per vie impreviste. Gesù anticipa così l’annuncio di una socialità originale, incentrata su un nuovo ordine di relazioni che esulano da logiche parentali e campaniliste.

4.4.2. Reazione: rifiuto dei nazaretani Il carico di evocazioni e provocazioni pare essere troppo gravoso: la reazione dei presenti in sinagoga è stavolta di netto rifiuto, rafforzato sintatticamente dall’uso dell’aoristo: mentre le Scritture giungono alla «pienezza» (v. 21: peplērôtai), gli astanti si riempiono di ira (v. 28: eplēsthēsan).91 Quegli occhi, inizialmente attenti alla persona di Gesù (v. 20b), sembrano ora accecati dalla gelosia per le opere compiute altrove (v. 23) e poco disposti a lasciarsi sanare da un Messia (cf. v. 18) inviato anche ai pagani.92 La conseguenza è la brusca cacciata dalla città e implicitamente dalla sinagoga. Va qui notata l’ellissi narrativa con la quale Luca accelera la vicenda e dà forza alla reazione furiosa dei presenti.93 Tutto ciò contribuisce a intensificare il dramma e sortisce un effetto di grande sorpresa sul lettore, che non si aspettava un epilogo tanto violento quanto immotivato. Siamo giunti al climax drammatico del racconto.94 La minaccia di morte è un’esperienza concreta e drammatica che ha accompagnato i profeti (si veda, per es., 1Re 19,1-3; Ger 18,18; 37,13-16 e anche Lc 6,22-23; 11,47; 13,34) e ha segnato l’esperienza di Gesù. Luca lo segnala aprendo la sua missione con un rifiuto che

91 Vi è forse un gioco di parole tra il perfetto del verbo plēroô, compiere e l’aoristo di pimplēmi, riempire, i cui signiicati sono imparentati e i suoni vicini. 92 Johnson, Il Vangelo di Luca, 76 ipotizza sia questa la causa scatenante della reazione iraconda dei giudei presenti in sinagoga (cf. At 13,44-52). 93 Bovon, Luca, 255 ipotizza che l’evangelista esprima qui il suo stupore per una reazione tanto violenta quanto inattesa: «Perché Israele non abbia accolto la buona novella, è quanto Luca non capirà ino alla ine degli Atti». 94 Alvarez Barredo, «Discurso», 31: «Es un movimiento lineal de rechazo que comienza en el v. 22, come resultado del mensaje inicial de Jesús (v. 18-19.21) y alcanza su clímax en el v. 29. Este clímax se maniiesta en el rechazo total en los v. 29s.» [«È un movimento linerare di riiuto che inizia nel v. 22, come risultato del messaggio iniziale di Gesù (vv. 18-19.21) e raggiunge il suo culmine nel v. 29. Questo culmine si manifesta nel riiuto totale nei vv. 29s»].

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culmina in un atto ostile, presagio di una morte violenta, come quella dei profeti. Va ancora notato che il rapporto tra Gesù e la profezia è una peculiarità dell’opera lucana.95 Un fallimento chiude dunque il racconto: ma quella che potrebbe sembrare la smentita dell’identità profetica ne è in effetti la conferma,96 poiché conforme alla sorte tormentata del profeta. La familiarità è dunque altrove: non nei vincoli di sangue, ma nella conformità a una Scrittura, garante della volontà di Dio e sua custode fedele. In ultima analisi, però, il rifiuto posto a Gesù ne fa uno straniero, un senza patria, reietto dalla propria comunità perché percepito come elemento destabilizzante. La pagina lucana, aperta con i crismi della benevola affabilità di chi si sa a casa, si chiude con un’espulsione.

4.5. Conclusione (v. 30): ripresa del cammino 4.5.1. Azione aperta: ripresa del cammino Con un insolito imperfetto conclusivo (eporeueto, camminava) al v. 30, viene indicata la ripresa del cammino di Gesù, iniziato al v. 14 sotto l’impulso dello Spirito. L’attività di Gesù in Galilea andrà avanti ancora fino a 9,50, fino cioè all’inizio del viaggio verso Gerusalemme (cf. 9,51ss). Forse il lettore rimarrà sorpreso dalla facilità con la quale Gesù evita la morte. La letteratura greca conosce scene simili di elusione del pericolo letale (cf. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana 8,5).97 Anche questo modo sobrio e sereno di uscire di scena incolume fa parte dell’insegnamento di Gesù?98 La tesi è interessante perché collegabile alla valenza didattica dei gesti simbolici del profeta. Resta comunque plausibile vedere nell’allontanamento di Gesù una semplice e logica reazione di difesa davanti al pericolo imminente nonché intra-

95 «Il Vangelo di Luca sottolinea in modo particolare la dimensione profetica di Gesù, che compie ino in fondo la sua missione liberamente e pienamente consapevole di ciò che lo attende» (O. Flichy, «Leggere l’opera di Luca», in P. Debergé – J. Nieuviarts [edd.], Guida di lettura del Nuovo Testamento, Bologna 2006, 277). 96 «Quello che dovrebbe essere un controsegno, la sua espulsione, conferma la verità del suo invio» (Aletti, Il racconto, 136). 97 Citato in Johnson, Il Vangelo di Luca, 74. 98 La tesi è di Vaz, Como fazer uma análise, 57.

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vedervi un’allusione alla sua signoria sulla storia e forse finanche alla sua risurrezione. L’uso dell’imperfetto non pare casuale: interrompendo la serie di azioni di Gesù descritte con l’aoristo (vv. 16.17.20.21.23.24), pare avere la funzione di lasciare aperte le possibilità di dialogo.99 L’epilogo della vicenda non è comunque una fine, ma un inizio. Ciò viene suggerito dall’uso dei tempi per raccontare le azioni. Ripercorriamole brevemente per coglierne la valenza pragmatica. L’imperfetto «indica continuità, abitudine, ripetizione»100 ed è usato qui per descrivere le prime reazioni dei presenti in sinagoga (vv. 20b.22), proponendo di intenderle come ancora incerte e forse equivoche. La conclusione della loro azione è però narrata con una serie di aoristi (vv. 28-29), laddove l’aoristo è usato, in quanto verbo finito, per esprimere la progressione del racconto101 e quindi attraverso di esso si dà la percezione di una certa definitività. Dunque il testo avverte che la loro relazione con Gesù avrà un drammatico epilogo nel sangue (cf. Lc 22,47–23,46). Le azioni di Gesù, viceversa, sono inizialmente all’aoristo (vv. 18-19.23-27), quando si prepara a proclamare il testo profetico, rilegge le aspettative degli astanti e le corregge; così facendo, il testo racconta la sua franca e convinta azione rivelativa. Un imperfetto è invece usato per descrivere la sua ripresa di cammino, lasciando aperta la vicenda e suggerendo una possibile ripresa di dialogo, ma anche rivelando la sua libertà profonda che avrà un epilogo coerente nella risurrezione.

5. conclusioni: familiarità o estraneità? Com’è diventato evidente, familiarità ed estraneità sono relative alla comunità che è presa come riferimento e al suo modo di percepirsi e costruirsi. Gesù fa parte di un microcosmo nazaretano col quale condivide le proprie origini, ma entra in dialogo con esso, e del macrocosmo giudaico che esso rappresenta, sfidandone i parametri di

99 Cf. A. Niccacci, «Dall’aoristo all’imperfetto o dal primo piano allo sfondo. Un paragone tra sintassi greca e sintassi ebraica», in SBFLA 42(1992), 87-88. 100 Niccacci, «Dall’aoristo all’imperfetto», 87. 101 Cf. Niccacci, «Dall’aoristo all’imperfetto», 87-88. L’autore esplicita: «Si veriica così un passaggio dal primo piano (aoristo) allo sfondo (imperfetto) di cui dobbiamo chiederci, volta per volta, la funzione comunicativa» (p. 89).

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identificazione. Egli compie questa operazione partendo dal principale collante identitario di Israele: le Scritture. E lo fa in giorno di sabato, in una sinagoga: una sorta di attentato al cuore del giudaismo del suo tempo! Lì le Scritture ricevono una nuova e autorevole interpretazione, che ne ridefinisce i parametri di comprensione passando attraverso l’agire personale di Gesù, dietro il quale intravedere il progetto del Dio di Israele. Alla fine del vangelo, come in una sorta di grande inclusione, Lc 24,13-35.44-45 riprenderà la figura di Gesù interprete delle Scritture102 che rilegge l’intera vicenda terrena del Messia di Nazaret, collocando nella logica di Dio finanche il rifiuto subìto103 e proletticamente narrato in Lc 4,16-30. Se ne evince il volto di un Dio sganciato da logiche di legami costringenti, che invece prende l’iniziativa salvifica a vantaggio dei più poveri, nei loro volti di marginalità sociale o etnica, e inaugura il tempo messianico attraverso la presenza di Gesù. Ma questa non è una semplice informazione della quale il lettore e la lettrice sono invitati a prendere atto. Luca dice che l’inizio di tale tempo è sēmeron, oggi. Questo indicale deittico temporale, nel suo contesto linguistico si riferiva al tempo del proferimento:104 il suo carattere rimanda al giorno nel quale Gesù parlò;105 ma il suo contenuto è più ampio, perché rimanda al mondo possibile ossia al tempo del lettore. In questo modo quell’«oggi» diviene contemporaneo a ogni lettore e a ogni lettrice e ha quindi la valenza pragmatica di interpellare una reazione di adesione.106 È interessante considerare l’oggi come l’inizio di questo processo messianico di liberazione che coinvolge gli uditori originari, negli orecchi dei quali la parola si era compiuta,107 ma che, rimasto inevaso e sempre presente al lettore, gli è offerto come appello alla responsabilità verso i poveri e gli oppressi, alla cui liberazione è

102 «Lc 4 interpreta con Isaia, in prospettiva, la futura missione salviica di Gesù, mentre Lc 24 la interpreta, con tutta la Bibbia, in retrospettiva, concentrandola nella sua morte e gloriicazione» (Segalla, Evangelo e vangeli, 238). 103 Cf. Segalla, Teologia, 345-346. 104 Cf. Bianchi, Pragmatica, 34. 105 «È il contesto a issare il riferimento agli indicali» (Bianchi, Pragmatica, 37). 106 «Luca sa bene che questa affermazione (sh,meron, “oggi”) appartiene al passato, ma la sua opera deve servire non a evocare la storia ma a sostenere la vita della Chiesa di oggi, inserita nel tempo della salvezza che è cominciato allora» (Bovon, Luca, 251). Si veda anche Sisti, «Il tema del giubileo», 13: «L’oggi indica l’eccezionalità dell’evento […] costituisce un’occasione unica, che gli ascoltatori sono invitati a cogliere con rapidità di decisione e piena adesione di fede». 107 Questa bella intuizione è di Langner, «Jesús proclama», 44.

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chiamato a lavorare seguendo Gesù. I benefici messianici non sono infatti appannaggio esclusivo di nessuno, ma piuttosto patrimonio da condividere con gli ultimi, abbracciando la sorte fallimentare del Maestro, il suo destino di estraneità. Il testo custodisce quindi l’appello a saper rischiare in questa sequela del Messia sofferente, rafforzato dal riferimento alle figure dei beneficiari dei racconti profetici citati: la vedova di Sarepta e il lebbroso di Aram rischiarono rispettivamente la sussistenza e l’onorabilità per accogliere la parola di Elia l’una (1Re 17,10-12) e di Eliseo l’altro (2Re 5,10-13). Queste due figure sono offerte al lettore di ogni tempo come modelli di identificazione positiva del modo di accogliere la volontà di Dio, mediata dal profeta ultimo e definitivo, Gesù,108 da seguire oggi, facendosi stranieri a ogni logica che non sia quella di Dio. Le categorie di estraneità e familiarità sono così trasfigurate e ripensate in un’ottica inedita: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai igli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti (At 10,34-36).

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Cf. C. Langner, Evangelio de Lucas Hechos de los Apostolos, Estella 2008, 107.

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GLI AUTORI

Andreozzi Andrea (Italia), professore nell’Istituto Teologico Marchigiano, sede di Fermo (Italia). Corallo Annamaria (Italia), dottoranda presso la Pontiicia Università Gregoriana di Roma (Italia). Dormeyer Detlev (Germania), professore emerito nell’Università di Dortmund (Germania). Gatti Nicoletta (Italia), Senior Lecturer, Department of Biblical and Church Historical Studies, School of Theology and Missions, Central University College (Dansoman – Ghana). Gmür Felix (Svizzera), vescovo di Basilea (Svizzera). Grilli Massimo (Italia), professore nella Pontiicia Università Gregoriana di Roma (Italia). Langner Cordula (Germania), professoressa nella Lebniz-Universität di Hannover e nella Justus-Liebig-Universität di Gießen (Germania). Madziar Iwona (Polonia), docente nella Pontiicia Facoltà Teologica Marianum, Roma (Italia). Maleparampil Joseph (India), professore nel Pontiical Institute of Theology and Philosophy Aluva e nel Sanathana Divykarunya Vidyapeetham Kerala (India). Michelini Giulio (Italia), professore nell’Istituto Teologico di Assisi (Italia). Obara Elżbieta (Polonia), professoressa nella Pontiicia Università Gregoriana di Roma (Italia).

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Ossom-Batsa George (Ghana), Senior Lecturer, Department for the Study of Religions, University of Ghana (Legon – Ghana). Sakr Michel (Libano), professore nell’Università Cattolica La Sagesse di Beirut e nell’Università dei Padri Antoniani di Baabda (Libano). Stimpfle Alois (Germania), professore nella Leibniz-Universität di Hannover (Germania). Torres Parra Ian Carlos (Venezuela), docente nella Pontiicia Universidad Javeriana de Bogotà e nella Universidad de San Buenaventura (Colombia). Wördemann Dirk (Germania), professore nell’Università di Dortmund (Germania). Zeni Stefano (Italia), professore nello Studio Teologico Accademico di Trento (Italia).

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SOMMARIO

Introduzione «L’ALTRO» TRA ESTRANEITÀ E ACCOGLIENZA Massimo Grilli – Joseph Maleparampil ............................................. p.

7

PARTE I L’ALTERITÀ COME ELEMENTO COSTITUTIVO DI DIO E DELL’UOMO 1. LA SANTITÀ DI DIO E DI ISRAELE: ALTERITÀ E APPARTENENZA Massimo Grilli .................................................................................... »

15

2. «MASCHIO E FEMMINA LI CREò» (Gen 1,27) Identità e alterità nei racconti della creazione dell’uomo e della donna Giulio Michelini .................................................................................. »

29

PARTE II L’ALTERITÀ NELLA DIALETTICA DELLE RELAZIONI UMANE 3. L’ALTERITÀ NEGATA Analisi pragmatica e interculturale di Gen 4,1-16 Nicoletta Gatti .................................................................................... »

51

4. ESSERE FRATELLI: UN COMPITO E UNA SFIDA Variazioni sul tema della fratellanza nel libro della Genesi Elżbieta M. Obara ............................................................................... »

67

5. «LO STRANIERO IN MEZZO A TE» Le tante facce degli stranieri nella Bibbia ebraica come impulso per una relazione con gli stranieri nell’oggi Cordula Langner ................................................................................. »

87

6. SARA, AGAR E IL «DIO CHE VEDE» Riflessioni di antropologia biblica sulla diabolicità e simbolicità dello sguardo Massimo Grilli .................................................................................... » 105 7. IL «DIVERSO» NEL POPOLO DI YHWH SECONDO Is 56,1-8 Elżbieta M. Obara ............................................................................... » 117 8. PROSSIMITÀ E DISTANZA Lettura pragmatica del libro di Rut a partire dall’esegesi rabbinica Giulio Michelini .................................................................................. » 133

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PARTE III GESù IL CRISTO TRA ALTERITÀ ED ESTRANEITÀ 9. IL REGNO DEI CIELI TRA ALTERITÀ E OMOLOGIA NELL’ORIZZONTE DI Mt 13 Andrea Andreozzi ............................................................................... » 163 10. GESù STRANIERO IN PATRIA Una lettura di Lc 4,16-30 in chiave comunicativa Annamaria Corallo ............................................................................. » 175 11. IL DIALOGO COME SUPERAMENTO DELL’ESTRANEITÀ Gesù e la sirofenicia in Mc 7,24-31 Stefano Zeni........................................................................................ » 203 12. DALL’ESTRANEITÀ AL RICONOSCIMENTO Lettura interculturale di Lc 24,13-35 Michel Sakr......................................................................................... » 219 13. «STRANIERO» TRA I SUOI Lettura interculturale e pragmatica di Gv 1,1-18 George Ossom-Batsa ........................................................................... » 231 14. «DA DIO» O «DAL MONDO» L’estraneità nel Vangelo di Giovanni Alois Stimpfle ..................................................................................... » 249 PARTE IV IL CRISTIANO COME «ALTRO» TRA «GLI ALTRI» 15. IL «GIUSTO» E LA «PECCATRICE» (Lc 7,36-50) Un problema di ogni comunità cristiana Iwona Madziar.................................................................................... » 273 16. «NON C’è GIUDEO NÉ GRECO» La nuova unità in Gesù secondo Gal 3,19-29 Detlev Dormeyer ................................................................................. » 297 17. LA COMUNITÀ ALTERNATIVA DI At 2,42-47 E LA RISCRITTURA DEL TESTO NELL’AMERICA LATINA Ian Carlos Torres Parra ...................................................................... » 309 18. PAOLO E «I BARBARI» Analisi narrativa e pragmatica di At 28,1-6 con impulsi di lettura interculturale Dirk Wördemann................................................................................. » 339 19. «FORESTIERI E STRANIERI» Lettura di 1Pt 2,11-12 nella prospettiva indiana Joseph Maleparampil ......................................................................... » 359 Considerazioni conclusive RELAZIONI E DIALOGO: SFIDE PER LA CHIESA OGGI Felix Gmür .......................................................................................... » 379 BIBLIOGRAFIA .................................................................................... » 395 GLI AUTORI ........................................................................................ » 421

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