La gestione delle risorse umane A cura di Annarita Ruberto
Introduzione Nella maggior parte delle aziende, la funzione di gestione delle risorse umane gioca un ruolo importante nel sostegno del processo e nell‟identificazione delle persone più adatte a realizzare il cambiamento. Svolgere questo ruolo è difficile perché la gestione delle risorse umane dovrebbe essa stessa fungere da esempio del nuovo modo di lavorare. Ecco perché quello che può essere considerato il vero e importante progresso da compiersi nella maggior parte delle aziende da questo punto di vista è il coinvolgimento della direzione e la sua partecipazione impegnata alla gestione delle risorse umane. L‟alta direzione dovrebbe comprendere che la gestione delle risorse umane rappresenta un processo aziendale fondamentale, e un crescente numero di responsabili ai livelli gerarchici inferiori sta cominciando a considerare la gestione delle risorse umane parte integrante del proprio lavoro. Oggi è raro trovare nelle aziende un grande ufficio centrale che si occupa di tutte le questioni relative al personale. La gestione delle risorse umane è passata in misura sempre maggiore al personale di linea e molte responsabilità sono state delegate a livelli sempre inferiori, fino a giungere in alcuni casi al livello delle squadre autogestite in fabbrica. Nella gran parte delle aziende gli uffici del personale sono stati decentrati, sono diventati più piccoli e più professionali e si dedicano principalmente alle attività di supporto specialistico, ai nuovi sviluppi e al trasferimento della conoscenza tra le unità. Questo è già di per sé uno sviluppo positivo, ma alcuni responsabili della gestione delle risorse umane hanno espresso dei dubbi riguardo al fatto che la gestione delle stesse rimanga ai primi posti nell‟ordine del giorno della direzione una volta superata http://scientificando.splinder.com
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l‟emergenza e attenuato il senso di urgenza. In tali casi, è quindi evidentemente importante tenere sotto controllo la posizione e gli effetti della gestione delle risorse umane. Altre aziende sembrano invece aver ormai ben integrato nei loro processi una pratica di gestione delle risorse umane orientata al futuro. Le nuove misure (come ad esempio i programmi di formazione) non possono essere attuate in uno spazio astratto e trovano la loro collocazione logica solo in un percorso professionalmente pianificato. Inoltre, nuove sfide attendono i responsabili delle risorse umane nei prossimi anni quando, a causa dell‟invecchiamento della mano d‟opera, le aziende dovranno assumere su grande scala lavoratori delle nuove generazioni. Per riuscire ad attrarli, in un mercato del lavoro competitivo, dovranno trovare il modo di offrire mansioni corrispondenti ai loro nuovi valori: la gestione delle risorse umane avrà il compito di colmare il divario tra le evoluzioni della società e l‟azienda. Di seguito affronteremo la tematica del modulo, considerando tre aspetti salienti mediante tre sottomoduli: 1. Problematiche nella gestione delle risorse umane 2. Le strategie e gli strumenti per la gestione delle risorse umane 3. Il ruolo e il profilo professionale di chi opera nella gestione delle risorse umane
Conclusioni Concludiamo, aprendo con la seguente affermazione : “Se ci trovassimo ad affrontare un nuovo processo di cambiamento faremmo una valutazione critica delle soluzioni proposte la prima volta. Certo che vi prenderemmo http://scientificando.splinder.com
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parte: ne abbiamo già gestito uno, perché non un altro? In un ambiente in evoluzione bisogna cambiare, sapersi adattare”. L‟autore di questa affermazione non è un alto dirigente ma un membro di una squadra di produzione di un‟azienda. Queste poche frasi esprimono l‟essenza della sfida che le organizzazioni hanno di fronte. Il cambiamento è destinato ad essere permanente perché cambiano i mercati, le tecnologie e le persone. Inoltre, il ritmo del cambiamento sta continuamente accelerando. “Re-inventare l’azienda” fa ormai parte della normale attività. Tale impulso di innovazione è necessario per sfruttare la reale fonte della ricchezza: la capacità di un‟azienda e delle sue risorse umane di migliorare continuamente i prodotti, i processi e le competenze, e di trasformare le idee intelligenti in ricchezza. Questo processo è incentrato sul cliente ed è alimentato dalla tecnologia più avanzata, ma prospera sull‟impegno e sulla competenza di tutti i membri dell‟organizzazione, che hanno imparato a guardare con occhio critico a quello che non funzionava nel passato e a ciò che potrebbe funzionare in futuro. Questo impegno al cambiamento può solo essere basato sulla fiducia, e la fiducia va conquistata attraverso il dialogo aperto, la volontà di investire nella competenza delle risorse umane, l‟esperienza di una partnership affidabile e la fiducia nella visione della direzione dell‟azienda. La conoscenza continua ad acquisire sempre maggior peso nella nostra economia. La conoscenza può essere considerata, in questo contesto, parte del capitale dell‟impresa e questo capitale è conservato in larga misura nella testa dei dipendenti. Utilizzare questo capitale per creare nuove opportunità e vantaggi competitivi è diventato di importanza strategica. L‟analisi compiuto nel modulo “La Gestione delle risorse umane” vuole offrire un contribuito a una migliore e più ampia comprensione delle sfide, cui è permanentemente esposta l‟azienda, e dei diversi approcci che possono essere adottati per affrontarle. Ha esemplificato le forti tendenze, in atto nell‟ambito delle imprese, verso organizzazioni più snelle, più decentrate e più vicine al mercato che abbreviano le linee gerarchiche, http://scientificando.splinder.com
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sviluppano una nuova attenzione per il lavoro in rete e la comunicazione e tendono a conferire maggiori poteri ai lavoratori. Ha evidenziato che la gestione delle competenze, un nuovo stile manageriale e lo sviluppo di nuove capacità per “lavorare insieme” sono di importanza critica per riuscire ad attingere alle risorse fondamentali costituite dalle conoscenze e dalle capacità e dall‟ingegno dei lavoratori. Ha anche illustrato che le chiavi del successo di un processo di cambiamento sono, da un lato, il forte impegno e la chiarezza di idee dell‟alta direzione, dall‟altro la fiducia e il rispetto reciproci tra l‟alta direzione, i lavoratori e i loro rappresentanti. Ha, infine, evidenziato come la gestione del cambiamento e delle risorse umane sia allo stesso tempo un‟azione in corso e un processo di apprendimento.
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1° SOTTOMODULO: PROBLEMATICHE NELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE (Il 1° sottomodulo è stato realizzato mediante un Learning Object avente lo stesso titolo e non consultabile perché presente nella piattaforma del Master. I contenuti sono indicati nell’Indice degli argomenti, a fine modulo)
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2° SOTTOMODULO: LE STRATEGIE E GLI STRUMENTI PER LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
Premessa Per tanti anni le aziende hanno valorizzato il processo produttivo e nell‟ultimo decennio si sono fatte coinvolgere dall‟esplosione delle nuove tecnologie ma adesso sembra che vogliano riaffermare con vigore il ruolo essenziale dell‟ uomo nel processo di creazione di valore nell‟impresa. Inoltre le organizzazioni, come del resto la nostra società, hanno fomentato una cultura individualista mentre adesso ciò che viene più richiesto è la capacità di lavorare assieme, di condividere propositi comuni, di relazionarsi con gli altri e l‟empatia. Insomma, almeno in teoria ci sono tutti gli elementi perché l‟impresa possa andare in una direzione più umana. Per aziende che ormai vogliono affrontare con successo la competizione globale e ridurre le pressioni dei costi, la gestione delle risorse umane deve mettere a punto delle strategie per rinnovare e legare valori, competenze e prestazioni per ottimizzare la performance economica dell‟azienda. I benefici di una singola pratica dipendono da tutto l‟insieme di pratiche che sono state implementate, perciò viene enfatizzata la necessità che queste siano internamente coerenti. Le politiche di ciascuna area delle risorse umane, sia essa la motivazione, la selezione o il sistema di ricompensa, devono condividere e perseguire uno stesso set di obiettivi strategici. Per cui non esistono pratiche migliori in assoluto né positive o negative in sé, ma solo più o meno funzionali a ciò che si vuole ottenere. Occorre adottare un approccio funzionale e pragmatico: l‟implementazione effettiva delle pratiche e la forma che esse assumono, dipendono ovviamente non soltanto dalla strategia ma anche da altri fattori contestuali come l‟ubicazione, la natura e l‟interdipendenza del lavoro e così via. Prese tutte assieme queste pratiche marcano una certa differenza con il tradizionale http://scientificando.splinder.com
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modo di concepire le risorse umane e il loro management e aprono la strada a ulteriori aree di ricerca sulla gestione delle risorse umane. Certo permangono numerosi dubbi riguardanti l‟efficacia e gli effetti delle interazioni tra diverse pratiche, ma una cosa è certa: hanno tutte le potenzialità e gli strumenti per rendere il lavoro più gratificante per molti individui e rendere le organizzazioni più produttive e competitive. Le organizzazioni che avranno futuro sono quelle che non smetteranno di chiedersi e cercare nuovi modi e soluzioni per organizzarsi e gestirsi meglio.
1. Il capitale umano Lo scenario in cui si muovono la maggior parte delle imprese oggigiorno è in continua evoluzione quindi il cambiamento organizzativo risulta essenziale. Pertanto, la flessibilità si converte in un valore in sé stessa per le organizzazioni economiche consentendogli di affrontare i cambiamenti necessari o piuttosto di anticiparli, per mantenere o migliorare le loro posizioni competitive. Affinché l‟impresa possa sopravvivere a lungo termine e mantenersi competitiva nel mercato, ci sono due esigenze cui la gestione delle risorse umane è invitata a rispondere: ▪ tagliare i costi ▪ aggiungere valore Nell‟ambiente economico ci sono aggiustamenti continui e questo è dovuto a fenomeni come la globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati, cambiamenti in quello che i clienti richiedono e la crescente competitività tra i prodotti presenti nel mercato. La maggioranza delle imprese migliorano il proprio rendimento ricorrendo alla riduzione dei costi, all‟innovazione dei prodotti e dei processi e certamente migliorando la qualità, la produttività e la rapidità nel mercato. Becker e Gerhart enfatizzano il ruolo delle pratiche di gestione delle risorse umane nel creare e sostenere il rendimento dell‟organizzazione e i suoi vantaggi competitivi. Del resto, Alfred Marshall ha sottolineato che “ il capitale più prezioso è quello che si è investito negli esseri umani” . http://scientificando.splinder.com
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Quindi ci chiediamo: come possono aiutare l‟impresa le pratiche di gestione delle risorse umane? Rendendola capace, prima di tutto. Un‟organizzazione può vincere nel mercato quando è in grado di “fare” e se assumiamo che le capacità di un‟organizzazione sono la somma delle capacità individuali, possiamo facilmente dedurre come l‟apprendimento possa essere una fonte essenziale di vantaggio competitivo. Quindi le politiche e le pratiche di gestione delle risorse umane acquisiscono un ruolo cruciale: se riflettiamo su quello che facciamo e siamo capaci di comprenderlo, senza dubbio siamo capaci di trasformarlo. In questo senso la Direzione delle risorse umane dovrebbe incorporare tutte quelle metacompetenze che esigono rielaborazione, creatività e soprattutto capacità di trovare migliorie differenziali. Molti convengono sul fatto che le pratiche di gestione delle risorse umane sono una fonte di vantaggio competitivo, soprattutto quando sono allineate alla strategia competitiva dell‟impresa. L‟impatto positivo sui livelli di produttività è più forte quando le pratiche di gestione delle risorse umane vengono usate in combinazione l‟una con l‟altra. E‟ vero che ancora molte di esse stentano ad affermarsi nella realtà dell‟impresa per un certo scetticismo riguardo i loro effetti sul rendimento. Eppure si stanno manifestando sintomi di un leggero cambiamento di attitudine: nonostante gli elevati costi iniziali, ci si rende conto dei miglioramenti della performance economica dell‟azienda nel medio- lungo periodo. E‟ necessario del tempo perché il nuovo stile di gestione incida sui comportamenti dei membri dell‟organizzazione e porti alla nascita di una nuova cultura organizzativa. Inoltre i profitti di un‟organizzazione non dipendono soltanto da una gestione efficace delle risorse umane e questo lo sanno bene i dirigenti, perché i benefici dipendono fortemente dalle caratteristiche del mercato o del prodotto, motivo per cui spesso si punta su altre fonti di vantaggi competitivi come la tecnologia dei processi e dei servizi. L‟impresa stessa diventa una comunità di persone: alla ricerca di un difficile equilibrio tra la creazione di profitto e la realizzazione di valore e valori sostenibili nel tempo. Costruire una “forte” cultura organizzativa può essere un importante passo per unificare datori di lavoro e lavoratori attraverso un set stabilito di valori come “ qualità”, “ innovazione” e così via. Certo una cultura forte è meno flessibile nel rispondere a situazioni insolite e ai continui aggiustamenti nel mercato, ma a lungo termine può essere una carta vincente proprio perché stimola un impegno elevato da parte dei http://scientificando.splinder.com
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membri dell‟impresa. In questo senso le pratiche di gestione delle risorse umane dovrebbero incorporare e riflettere i valori nucleo dell‟organizzazione. Per le aziende, l‟essenziale sono i comportamenti, ovvero ciò che gli impiegati sanno fare e potranno fare: i comportamenti sono influenzati soprattutto dai ruoli e dalla cultura organizzativa. Il prof. Costa Markides suggerisce che se vogliamo che le persone si comportino in maniera tale da contribuire agli obiettivi strategici, dobbiamo creare un ambiente organizzativo adeguato. Tra le componenti dell‟ambiente cui si riferisce Markides vi troviamo anche la cultura organizzativa e i valori, oltre agli incentivi, le persone, le strutture e i processi. Tutti questi elementi devono concorrere nello stimolare i comportamenti desiderati. Il mondo del lavoro in cui la gestione delle risorse umane opera è cambiato in modo impressionante in questi ultimi decenni. Di conseguenza, i concetti e le pratiche di gestione delle risorse umane che vengono messi in atto oggigiorno sono sempre più differenti da quelli del passato. Pertanto, affinché siano efficaci, é essenziale che i concetti e le pratiche di gestione delle risorse umane siano allineati con ipotesi basate nella realtà del nostro ambiente.
2. Una cornice teorica per la gestione delle risorse umane Ci sono alcuni requisiti imprescindibili che dovrebbero caratterizzare le risorse umane: 1) Valide: aggiungere valore ai processi di produzione dell‟impresa 2) Rare: nel senso che le aziende competitrici non le possiedono 3) Inimitabili: se investiamo nel capitale umano, migliorando la sua qualità, rendiamo più difficile che le altre imprese possano imitarci. 4) Insostituibili: se le risorse umane forniscono un vantaggio competitivo non vanno sostituite con le tecnologie. Dando uno sguardo alla letteratura ci accorgiamo che abbondano gli articoli dove vengono indicati set di migliori pratiche di gestione delle risorse umane. Il punto è che non esistono set di migliori pratiche di alto- rendimento in assoluto: è vero che ci sono pratiche positivamente correlate a miglioramenti organizzativi, ma altrettanto abbiamo esempi di http://scientificando.splinder.com
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imprese di successo che non le hanno mai adottate. Faremo adesso una breve retrospettiva sui punti di vista degli studiosi più autorevoli in materia. Secondo Delaney e Huselid le pratiche di gestione delle risorse umane sono positivamente correlate al rendimento organizzativo perché migliorano le conoscenze e le abilità degli impiegati potenziali e attuali di un‟impresa, aumentano la loro motivazione e la possibilità che quelli più qualificati rimangano nell‟impresa. Delaney e Huselid ritengono che l‟impatto positivo delle pratiche di gestione delle risorse umane possa essere potenziato badando ad un doppio “allineamento”. Da un lato la complementarietà e la sinergia tra le pratiche di risorse umane: è vero che nella pratica non è stato comprovato un miglioramento dei risultati organizzativi dovuto all‟allineamento interno ma questo perché fino adesso la ricerca si è focalizzata soprattutto sull‟analisi delle singole pratiche. Per capire ciò basta seguire un semplice ragionamento: ad esempio se l‟impresa vuole attrarre nel suo processo di reclutamento persone altamente qualificate, dovrebbe adottare un livello salariale elevato e un sistema di ricompensa basato sul rendimento piuttosto che sull‟anzianità; un altro esempio potrebbe essere il seguente: se l‟organizzazione vuole fare in modo che il personale sia impegnato con essa, può fare leva su contratti a lungo termine e soprattutto sulla partecipazione degli impiegati a benefici o diritti dell‟impresa. Questo ci dimostra che un miglioramento organizzativo è possibile a patto che le pratiche di gestione delle risorse umane si sostengano mutuamente. Adesso possiamo passare ad analizzare il concetto di “allineamento esterno”: è una tesi che ha guadagnato numerosi sostenitori, per citarne alcuni Schuler, Milgrom & Roberts, Butler, Wright & McMahan e che consiste in una complementarietà tra pratiche di gestione delle risorse umane e strategia competitiva dell‟impresa. Questa sinergia è utile affinché la gestione delle risorse umane possa aiutare l‟impresa a conseguire i propri obiettivi: ad esempio in un‟organizzazione che adotta un strategia di differenziazione, la direzione delle risorse umane dovrebbe facilitare risorse creative e qualificate, una formazione frequente e incentivi per obiettivi; nel caso di una strategia di beneficio per esempio, compito principale della gestione delle risorse umane è quello di mettere a disposizione personale con una bassa qualificazione, salari fisi ed equità retributiva, una formazione minima e molto specializzata. Il punto di cui si trattava sopra viene messo in http://scientificando.splinder.com
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evidenza anche nell‟articolo di Huselid: se qualsiasi pratica di gestione delle risorse umane può essere considerata tra le “best practices” o se l‟efficacia di ogni singola pratica va valutata in relazione alle particolari contingenze strategiche e ambientali dell‟impresa. Nell‟articolo di Becker e Gerhart viene ribadito questo tema con ulteriori chiarificazioni: molti autori affermano con certezza che vi sia un insieme individuabile di migliori pratiche di gestione delle risorse umane ( Pfeffer, Kochan & Osterman) tuttavia troviamo una grande eterogeneità all‟interno di queste proposte. All‟interno di questa prospettiva ci troviamo di fronte ad un‟assunzione impegnativa: che queste “ best practices” di gestione delle risorse umane hanno sempre effetti positivi, universali in qualunque impresa siamo implementate. C‟è da dire che queste asserzioni hanno dei limiti: non si può prescindere dalle caratteristiche specifiche di un‟organizzazione, dai suoi obiettivi nel mercato e dall‟ambiente in cui si trova immersa. Quindi una pratica generalizzabile non può rispondere pienamente alle esigenze peculiari di un‟impresa che ha radicata una propria cultura e valori, altrimenti non potremmo parlare di “ fonte unica di vantaggio competitivo”. Se un prerequisito delle risorse umane “ che creano valore” è quello di essere difficilmente imitabili, dovremmo concentrarci nel creare questo valore nel modo più raro e difficile da imitare per i nostri competitori. Secondo Pfeffer ci sono delle risorse che sono ben visibili nell‟impresa, come l‟economia di scala e le tecnologie e altre che non sono così visibili e, anche se ben descritte, non è semplice comprendere perché funzionino. Ad esempio, ci sono alcuni elementi sociali che risultano veramente difficili da replicare all‟interno di un sistema di risorse umane come la cultura organizzativa e le relazioni interpersonali. Esse si sviluppano e si consolidano nel tempo, fanno parte della storia di un‟impresa, di interazioni tra una molteplicità di fattori che non possiamo afferrare pienamente. Dovremmo quindi rielaborare la formulazione dell‟allineamento esterno: le pratiche di gestione delle risorse umane si dovrebbero allineare al contesto specifico dell‟impresa, con la finalità di supportarla nel conseguimento dei suoi obiettivi strategici e nella risoluzione dei propri particolari problemi di affari. http://scientificando.splinder.com
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Pfeffer si è fatto promotore di una prospettiva universalistica suggerendo un set di “ best practices” per gestire le risorse umane ma ha voluto sottolineare che un‟organizzazione può anche implementarle tutte senza avere alcun profitto, ed è altrettanto possibile che non ne applichi nessuna o faccia il contrario di quanto descritto, ottenendo un discreto successo. Dov‟è quindi la chiave di questo successo? O la spiegazione di questi fenomeni? E‟ importante tenere in considerazione che benché cruciale, la gestione delle risorse umane non è l‟unico fattore rilevante in un‟ impresa. Il fatto che altre imprese puntino sulla differenziazione del prodotto o sull‟information technology ci dimostra che la forza lavoro non è l‟unica base per ottenere un successo competitivo. Inoltre, nella letteratura spesso vi è una descrizione formale di queste pratiche di lavoro per cui vi è uno scarto non trascurabile con il modo effettivo in cui vengono implementate e la forma che possono assumere. La pratica è essenziale per comprendere il lavoro e in definitiva, nonostante la letteratura diventi sempre più prescrittiva e tenda a semplificare, la realtà dei fatti evidenzia tutta la complessità e gli imprevisti che si possono verificare soprattutto se si tratta di risorse umane, ovvero di lavorare con le persone. A Delery e Doty spetta il tentativo di combattere la tradizionale asserzione per cui il campo della gestione strategica delle risorse umane manca di un solido fondamento teorico. Essi delineano tre approcci diversi: la prospettiva universalistica, la contingente e la configurazionista. Si riporta di seguito la prima delle tre. 2.1 La teoria universalista Le argomentazioni universalistiche rappresentano la forma più semplice delle affermazioni teoriche inerenti la letteratura di gestione delle risorse umane, poiché implicano l‟esistenza di una relazione universale, in tutte le popolazioni organizzative, tra una data variabile indipendente (una pratica della gestione del personale) e una dipendente (la produttività lavorativa). Le teoria in esame trova consenso in un consistente numero di ricercatori. http://scientificando.splinder.com
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Secondo tale approccio determinate pratiche di gestione della forza lavoro sono superiori ad altre, perché generano maggiore produttività e profittabilità nell‟impresa: sono dunque da adottare al fine di conseguire il successo aziendale. Le pratiche sono definite a elevate prestazioni lavorative o best practices. Gli effetti delle best practices sono generalizzabili a tutte le organizzazioni e non specifici, quindi indipendentemente dal settore in cui le imprese operano e dalla loro localizzazione, le aziende che le implementeranno otterranno un durevole vantaggio competitivo. Sebbene non tutte le pratiche di gestione del personale sono strategiche ne sono state individuate sette, comuni a molti lavori teorici, caratterizzanti altrettante dimensioni tipiche dei sistemi traenti profitto attraverso la gestione del personale: 1. Sicurezza dell’impiego a lungo termine; 2. Selettività nel reclutamento del personale; 3. Gruppi auto-gestiti e decentramento decisionale come principi basilari del disegno organizzativo; 4. Retribuzioni contingenti alle prestazioni organizzative13; 5. Formazione intensiva; 6. Riduzioni delle differenze di status; 7. Ampia condivisione delle informazioni. Maggiore è il numero delle pratiche implementate da un‟azienda, tanto più elevato sarà l‟impatto da esse generato sulle prestazioni aziendali. 2.1.1. Sicurezza dell’impiego a lungo termine Rappresenta un impegno a lungo termine assunto dall‟impresa nei confronti dei suoi dipendenti, capace di contribuire significativamente al miglioramento della produttività aziendale e allo sviluppo delle competenze dei lavoratori, non più preoccupati di perdere il proprio posto di lavoro. Secondo le norme di reciprocità, il personale ricambierà all‟impegno assunto dall‟impresa, svolgendo in maniera più intensa i propri compiti. Tale affermazione non risulterà veritiera qualora il datore di lavoro faccia del suo impegno solo una promessa verbale smentita dalla realtà. La sicurezza del lavoro agevola http://scientificando.splinder.com
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la costruzione di rapporti di fiducia tra i dipendenti e la direzione, crea una maggiore cooperazione, un migliore spirito di gruppo, un grado superiore di tolleranza da parte dei lavoratori riguardo alle pressioni retributive. La pratica in questione costituisce un incentivo alla formazione del personale, perché la durata del rapporto di lavoro assicura il tempo necessario per ottenere i ritorni economici dalle risorse spese per i dipendenti, inoltre incoraggia gli impiegati ad assumere e organizzarsi in una visione di lungo termine. Dare lavoro a persone non facilmente licenziabili, in merito all‟impegno assunto nei loro confronti, fa sì che l‟organizzazione sia più cauta e selettiva nel processo di assunzione. La politica della sicurezza dell‟impiego non significa però, che l‟impresa trattenga presso di sé soggetti che non lavorino efficientemente. Nel caso in cui il personale tenga un comportamento poco produttivo, questi non è protetto dalle conseguenze negative derivanti poiché per l‟azienda il conseguimento dei risultati è di fondamentale rilevanza. 2.1.2 Selettività nel reclutamento del personale Le aziende investono molte energie per riuscire a reclutare le persone giuste da collocare nell‟organizzazione, perché ai fini della produttività aziendale le differenze individuali sono rilevanti. Un buon processo di selezione richiede una numerosa cerchia di candidati cui attingere e chiarezza in quelle che sono le competenze e le caratteristiche critiche da ricercare negli aspiranti. L‟azienda deve essere molto precisa riguardo alle peculiarità che sta cercando, poiché i requisiti dovranno essere coerenti con quei particolari lavori che i candidati andranno a occupare. L‟impresa deve saper esaminare la cultura degli aspiranti lavoratori, le loro attitudini, mettendo in secondo piano quelle che sono le competenze facilmente acquisibili da chiunque. Generalmente, gran parte delle organizzazioni selezionano per lo specifico, in conformità a competenze agevolmente acquisibili, mentre dovrebbero cercare le persone con le giuste caratteristiche, temperamento e referenze caratteriali: vale a dire tutti quegli attributi che sono difficilmente formabili. La selezione avverrà attraverso più incontri, perché un processo lungo garantisce attenzione nella valutazione e nella scelta dei candidati, crea collaborazione e impegno nella forza lavoro. Una selezione rigorosa http://scientificando.splinder.com
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richiede un metodo perfezionato e sviluppato attraverso continue verifiche atte ad assicurare l‟effettiva individuazione dei soggetti capaci. Le persone scelte si sentiranno parte di un‟élite per essere riuscite a superare tutti i lenti e rigorosi processi di selezione, traendone motivazione ed entusiasmo. E‟ bene che l‟organizzazione coinvolga nella selezione anche i lavoratori più anziani, a segnale dell‟importanza assegnata all‟azienda allo stesso processo. La selezione terminerà valutando i risultati delle prestazioni dei candidati. Il processo individuerà i soggetti da assumere: chi saprà lavorare meglio, chi potrà imparare e formarsi più velocemente nel corso del lavoro e chi occorrerà di poca supervisione da parte della dirigenza. 2.1.3 Gruppi auto-gestiti e decentramento decisionale come principi basilari del disegno organizzativo Organizzare il personale in gruppi di lavoro auto-gestiti rappresenta una componente critica di tutti i sistemi di gestione a elevate prestazioni: il personale operante in team auto-gestiti usufruisce di grande autonomia e libertà di azione, tale da procurargli soddisfazione nel lavoro e guadagni effettivi per l‟impresa che se ne avvale. Con il lavoro di squadra si sostituisce a un controllo gerarchico uno su pari basi: al posto di una direzione che dedica tempo ed energie alla supervisione diretta della forza lavoro, il personale si controlla da solo e ciò risulta più efficace per l‟azienda, perché generalmente i membri di un gruppo sono meno disposti a piantare in asso la squadra cui appartengono. Abbandonando il team tutte le responsabilità della persona assente ricadrebbero su chi è quotidianamente in contatto con lui: come conseguenza nel personale si determina una pressione paritaria contro assenteismo. La sostituzione di un controllo gerarchico a uno di pari grado, permette di eliminare dei livelli, assorbendo quei compiti amministrativi in precedenza prestati da specialisti. L‟impresa eviterà gli enormi costi derivanti dall‟impiego di persone il cui unico scopo è controllare il lavoro di altri soggetti, quindi, istituendo gruppi che si auto-dirigono l‟azienda economizza in risorse finanziarie. Un altro vantaggio offerto dalla pratica è la possibilità di associare e confrontare le idee degli appartenenti al team, individuando http://scientificando.splinder.com
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soluzioni migliori e più creative in quanto, nel gruppo, ognuno può costruire sulle idee altrui e da queste partire per risolvere i problemi aziendali. Il lavoro di squadra è vincente, perché tutti i suoi membri e non solamente i vertici, si sentono responsabili per la buona riuscita dell‟operazione e per il successo dell‟impresa; in tal modo si stimolano maggiormente l‟iniziativa e gli sforzi di ogni soggetto per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Il secondo principio basilare del disegno organizzativo è il decentramento decisionale, rivolto a chi possiede competenze e abilità per agire efficacemente all‟interno dell‟impresa. Permette di sviluppare e allargare la partecipazione del personale al processo lavorativo poiché quest‟ultimo potrà esercitare, in tutti i livelli, una sostanziale influenza sulle decisioni e sui processi che lo riguardano. Al fine di realizzare il decentramento è fondamentale la fiducia dell‟organizzazione nei confronti della sua forza lavoro. 2.1.4. Retribuzioni contingenti alle prestazioni organizzative Esistono delle correlazioni tra le retribuzioni offerte al personale e la qualità della forza lavoro da ciò attratta, in quanto gli alti stipendi tendono ad attirare molti candidati e tra questi l‟impresa potrà scegliere i migliori da impiegare. La retribuzione, specie quando si mantiene a livelli superiori alla media di mercato, è indice dell‟elevato valore che l‟azienda attribuisce al suo personale. La maggiore entrata è percepita dalla forza lavoro come un dono ed è tale da indurla a lavorare più intensamente per l‟ottenimento dei risultati organizzativi. Comunemente, le organizzazioni tendono a economizzare sui costi di lavoro pagando retribuzioni minime, convinte che bassi stipendi equivalgano a minori costi, ma le spese relative al lavoro non sono solo influenzate da quanto è retribuito il personale, ma anche da quanto è produttivo. I dipendenti che ricevono compensi più elevati rispetto alla media esprimono maggiori soddisfazioni nei confronti del lavoro, minori probabilità di abbandono del posto e la volontà di adoperarsi per arrecare vantaggi all‟azienda per cui operano. Si individua una relazione positiva tra l‟aumento retributivo e l‟incremento nella produttività aziendale: le maggiori spese sostenute per mantenere gli stipendi più alti tenderebbero a pareggiare e addirittura ne deriverebbe una produttività aggiuntiva. http://scientificando.splinder.com
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Sono rilevanti anche le diverse forme di retribuzioni contingenti, tra esse la distribuzione di azioni ai lavoratori. Chi possiede, infatti, interessi proprietari nell‟impresa per cui lavora presenta minore stato di conflitto nel rapporto tra capitale e lavoro, rendendo più semplice all‟azienda l‟allineamento degli interessi dei lavoratori a quelli degli azionisti. I lavoratori-proprietari sono maggiormente orientati verso una prospettiva aziendale di lungo periodo, verso strategie e politiche di investimento, infine sono direttamente coinvolti nel raggiungimento degli obiettivi aziendali. Disporre di forme di retribuzioni contingenti è importante ai fini di equità e di giustizia nei confronti dello stesso personale. La forza lavoro, attraverso lo svolgimento dei propri compiti, contribuisce al miglioramento dei livelli di prestazioni e di profittabilità aziendale, di conseguenza, sembra legittimo condividerne i benefici ottenuti. Nel caso in cui tutti i proventi derivanti dall‟impegno della forza lavoro andassero solo ai dirigenti, i lavoratori percepirebbero la situazione come iniqua, scoraggiandosi e limitandosi a svolgere i propri compiti normalmente, senza alcun tipo di sforzo aggiuntivo qualora l‟azienda ne avesse necessità. 2.1.5. Formazione intensiva Per l‟impresa è essenziale avere alle proprie dipendenze una forza lavoro competente, adattabile rapidamente alle mutevoli circostanze in cui opera e dotata di ampie conoscenze circa i sistemi di produzione. Disporre di personale preparato e capace nello svolgere svariate funzioni rende il lavoro più avvincente e l‟azienda può permettersi di modificare l‟andatura e le attività dei soggetti dediti a specifiche mansioni. Il processo lavorativo ne guadagna in termini di trasparenza e di semplicità perché è necessario che ogni compito sia illustrato chiaramente al personale, in modo da farlo adattare velocemente alla nuova mansione assegnategli. Grazie a una forza lavoro pluri-competente, l‟impresa può acquisire molteplici visioni di uno stesso compito, apportare al processo lavorativo miglioramenti e aumentare il bagaglio di esperienze dei lavoratori, al fine di renderli sempre più parte integrante e indispensabile per l‟organizzazione. Investire in formazione presuppone dei costi http://scientificando.splinder.com
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immediati e certi nell‟ammontare, per contro i vantaggi sono spesso a lungo termine e paradossalmente, possono riguardare altre imprese concorrenti. Può capitare che l‟azienda formi qualcuno e che poi tale persona abbandoni il posto per un‟altra impresa; a ottenerne i benefici sarà la seconda organizzazione, mentre la prima ne avrà sostenuto solamente gli oneri. Del resto il primo costo a essere eliminato, da parte di un‟azienda pressata dalle scadenze, dai profitti e dai budget, è proprio quello della formazione. La perdita della posizione competitiva dovuta al taglio dei costi di formazione è poco visibile nel breve termine, mentre nel lungo periodo graverà pesantemente. Le imprese che saranno capaci di formare il proprio personale collegando le loro attività formative alle necessità e agli obiettivi strategici aziendali potranno contare su una vincente arma competitiva, a diversità di tutte quelle che hanno preferito ridurre le spese riguardanti la propria forza lavoro. Infine, la formazione del personale segnala alla clientela come la lavorazione aziendale sia eseguita da soggetti specializzati, accuratamente preparati alla realizzazione dei compiti loro assegnati. 2.1.6. Riduzioni delle differenze di status Per vantare delle prestazioni superiori l‟azienda deve essere capace di cogliere le idee, le competenze, gli sforzi di tutto il suo personale: sarà pertanto difficile individuare dei soggetti o dei gruppi motivati a contribuire con opinioni ed energie allo sviluppo di un‟organizzazione che li stimi poco o non li consideri preziosi. All‟interno dell‟impresa possono esistere dei simboli volti a creare separazioni e distinzioni tra i dipendenti, atti a costruire barriere al decentramento decisionale e alla cooperazione tra gli individui. E‟ difficile delegare le decisioni, utilizzare gruppi auto-gestiti, suscitare impegno e collaborazione nei dipendenti se esistono dei simboli tali da separare le persone le une dalle altre. Per ovviare a questo problema si prevedono forme di egualitarismo simbolico, tali da segnalare all‟interno e all‟esterno dell‟azienda che tutti i suoi membri sono importanti. Un esempio è rappresentato dalla diminuzione del numero dei livelli gerarchici, che riducendo le distanze tra i vertici e i gradini più bassi della scala, promuove la volontà di lavorare insieme al perseguimento degli obiettivi comuni. Quando si ha la possibilità di http://scientificando.splinder.com
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interagire, di incontrarsi in modo meno formale, la comunicazione lungo i livelli gerarchici migliora enormemente, la direzione è capace di comunicare direttamente le proprie idee al personale e conoscere, in misura maggiore, il loro comportamento. La diminuzione delle disuguaglianze retributive rappresenta un altro metodo di egualitarismo simbolico specie quando i compiti sono tra loro interdipendenti e la cooperazione utile per lo svolgimento del lavoro; essa consente di ridurre le competizioni interpersonali e accrescere le collaborazioni guidando l‟impresa verso il successo. Altri esempi sono costituiti dall‟uniformità nell‟abbigliamento e dalla gestione degli spazi fisici, come il disporre o meno di un ufficio privato, di un posto auto riservato o di un ascensore privato. E‟ cosa relativamente facile realizzare i simboli dell‟egualitarismo simbolico, mentre non lo è affatto la loro concreta accettazione da parte dei soggetti, non sempre pronti a rinunciare alle agevolazioni, acquisite nel corso del tempo in ambito aziendale.
2.1.7. Ampia condivisione delle informazioni Rendere partecipe il personale delle informazioni riguardanti le prestazioni finanziarie, le strategie aziendali e altre misure operative, comunica alla stessa forza lavoro la fiducia che l‟impresa ripone nei suoi riguardi e la fiducia costituisce il primo prerequisito per l‟efficienza nel gruppo. Qualsiasi informazione condivisa è essenziale per il successo dell‟organizzazione, poiché anche i più motivati e preparati se non dispongono di conoscenze necessarie allo svolgimento delle mansioni loro assegnate non possono contribuire al miglioramento aziendale. E‟ compito dell‟impresa condividere con il personale le informazioni, chiarificarle fornendo i mezzi necessari affinché ognuno sia in grado di svolgere al meglio il proprio compito. Le informazioni non sono destinate a ostacolare, controllare o manipolare la forza lavoro, ma a insegnare a cooperare per il raggiungimento di risultati comuni. In verità, non troviamo molte aziende pronte a implementare tutte le pratiche di gestione del personale http://scientificando.splinder.com
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sopra indicate o tali da saperle eseguire tutte correttamente. Solitamente le organizzazioni scelgono solo le dimensioni più critiche, in base alla strategia di mercato adottata o alla specifica tecnologia in uso. Sebbene le ricerche empiriche e gli studi teorici hanno dimostrato come i risultati aziendali sono influenzati dalle pratiche di gestione del personale, secondo l‟ipotesi della reverse causation le conclusioni relative alla direzione causale del rapporto tra le pratiche di gestione della forza lavoro e le prestazioni aziendali potrebbero essere sbagliate. In base alla reverse causation sono le aziende più ricche, che vantano maggiori risorse a loro disposizione, a investire e attuare le pratiche di gestione del personale per cui sono i maggiori profitti a condurre all‟implementazione delle pratiche e non viceversa. Ad esempio, l‟associare la compartecipazione agli utili con l‟ottenimento di elevati profitti per l‟impresa potrebbe essere interpretato in due modi differenti: il primo. secondo cui è la pratica della compartecipazione agli utili che guida l‟azienda all‟ottenimento di prestazioni superiori; il secondo, in base a cui sono le organizzazioni con maggiore disponibilità finanziaria le più propense ad attuare la pratica in questione. Realizzare le pratiche di conduzione della forza lavoro rappresenta una chiave rilevante per il conseguimento del successo, ma non è l‟unica esistente. Le imprese potrebbero perseguire il vantaggio competitivo attraverso l‟adozione di tecniche finanziarie, tecnologie di prodotto o di processo, strategie volte a negoziare le competenze o appartenendo a settori altamente tecnologici e altre ancora. Risulta comunque difficile per un‟organizzazione continuare a erogare buoni servizi e fornire alte prestazioni alla clientela se la sua forza lavoro è insoddisfatta. Le strategie finalizzate a tagliare i salari e i livelli di impiego non possono essere basi di successo competitivo permanente, perché non sono innovative e uniche, anzi sono facilmente imitabili dalla concorrenza. Le sette pratiche considerate non sono facili da realizzare richiedono al personale un maggior coinvolgimento e senso di responsabilità, che non sempre è disposto a fornire all‟azienda. Inoltre, non si dovrebbe presumere che, proprio perché le pratiche sono efficaci e forniscono un sostanziale vantaggio competitivo alle imprese, saranno prontamente adottate da tutte le aziende: il processo con cui tradurle in realtà e pervenire ai risultati è complesso e richiede ampi sforzi. E‟ necessario un periodo di http://scientificando.splinder.com
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tempo più lungo rispetto al successo rapidamente raggiungibile attraverso l‟installazione di un nuovo macchinario o tramite l‟acquisto di un prodotto tecnologico. La realizzazione delle pratiche di gestione della forza lavoro impone necessariamente l‟assunzione di una prospettiva a lungo termine, di conseguenza, un‟impresa gravata da pressioni finanziarie a breve, non adotterà pratiche atte a fornirle produttività e profitti solo nel lungo periodo. Infine, il solo avvio di un programma di gestione della forza lavoro o l‟istituzione di qualche pratica non ne garantisce una lunga sopravvivenza in azienda pur essendo potenzialmente vantaggioso. Per questi motivi le pratiche di gestione del personale trovano ancora scarsa applicazione tra le imprese.
3. Il ruolo strategico della tecnologia La tecnologia e i Sistemi Informativi offrono opportunità rilevanti per una gestione dei processi legati alle Risorse Umane che permettano di interagire con la singola persona, con modalità customizzate ed interattive. L‟utilizzo di applicazioni informatiche garantisce la possibilità di facilitare la gestione di diversi processi: selezione, formazione, sviluppo, gestione della performance, feedback, clima, competenze, retribuzioni, comunicazione, ecc. La tecnologia informatica è uno strumento da utilizzare al meglio; è un “abilitatore” del cambiamento (enabler). Essa agisce fondamentalmente attraverso tre dimensioni: 1. modifica radicalmente le potenzialità di lavoro; 2. consente il controllo in tempo reale dei vari processi aziendali e permette di poter prendere decisioni circostanziate (business intelligence); 3. consente di comunicare con realtà lontane (clienti, nuovi mercati, fornitori abituali e potenziali, consulenti, fonti di conoscenze). Questo consente di ridefinire i “confini” (boundaries) dell‟azienda. La pervasiva diffusione del web quale ambiente unificante dei sistemi informativi ha favorito, negli ultimi anni, l‟espansione ed il crescente utilizzo delle reti Intranet nelle http://scientificando.splinder.com
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organizzazioni. Il possibile contenimento dei costi e l‟immediatezza d‟uso di queste applicazioni sono tra i fattori che hanno supportato tale fenomeno e ne giustificano la prevedibile prosecuzione. Le reti Intranet rappresentano una tecnologia di crescente rilevanza per le organizzazioni. La loro diffusione si è verificata a partire dalla seconda metà degli anni ‟90 per un insieme di cause concomitanti, tra cui la crescente popolarità delle applicazioni informatiche che adoperano interfacce grafiche accessibili tramite i web browser, la necessità di un ambiente unico che omogeneizzasse la pluralità di sistemi informativi spesso diffusi nelle organizzazioni, e i costi contenuti che tali soluzioni prospettano, almeno in una fase iniziale. Secondo Karlsbjerg e Damsgaard, una rete Intranet è uno spazio organizzativo di condivisione di informazioni delimitato da differenti standard tecnici e piattaforme interconnesse allo scopo di costituire una rete interna di utenti. Le comunicazioni al suo interno avvengono mediante l‟uso di un‟interfaccia grafica di comune impiego per l‟accesso al web, e sfruttando quali protocolli di comunicazione quelli adoperati per i collegamenti Internet (TCP-IP/HTTP). Ogni applicazione informativa adottata nell‟organizzazione può essere condivisa mediante Intranet, attraverso l‟interfaccia grafica costituita dal browser. Intranet rappresenta dunque una sorta di world wide web interno all‟organizzazione, il cui accesso è riservato ai suoi membri, isolando fisicamente la rete interna dalla comunicazione con l‟esterno. L‟accesso a tali tecnologie non è un‟operazione da effettuarsi in stretta corrispondenza con l‟esecuzione di uno o più compiti, ma tende a diventare piuttosto una condizione preliminare a qualsiasi forma di operatività lavorativa. Il valore di una Intranet si misura dal suo impatto sui processi di business; i vantaggi principali di intranet possono essere riassunti in alcuni punti chiave: 1. aumento della produttività (dovuta a un migliore accesso alle applicazioni e allo svolgimento di alcune funzionalità in self-service da parte degli utenti); 2. aumento della collaborazione (dovuta a una maggiore trasparenza dei processi e progetti aziendali);
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3. riduzione dei costi (di stampe, di spedizioni postali, di viaggi e riunioni) risparmi di tempo (per la ricerca di informazioni e documenti, per la ricerca degli intermediari o dei responsabili delle informazioni); 4. riduzione del time to market (dovuto alla progettazione con strumenti collaborativi e al riutilizzo di conoscenze esistenti); 5. poter sfruttare a livello di Gruppo le best practices; 6. aumento della comunicazione (attraverso portali dedicati alle news e al potente strumento delle e-mail per le relazioni interne oltre che delle videoconferenze). Dal punto di vista delle implicazioni organizzative, si possono fare alcune considerazioni. In primo luogo, uno degli aspetti più rivoluzionari dell‟Intranet è il passaggio da un cultura del “controllo” delle informazioni a una cultura dell‟accesso e dell‟empowerment. La Intranet consente di rendere disponibili e accessibili le informazioni e le risorse direttamente sulla scrivania di ciascuno, abbattendo i tempi di ricerca, i filtri o la dipendenza dalle poche persone chiave che controllano le informazioni o i processi di comunicazione. Le persone possono diventare autosufficienti in processi che fino a poco tempo fa richiedevano ore o giorni di tempo e la disponibilità degli interlocutori giusti, come ad esempio la ricerca e compilazione di modulo relativo all‟amministrazione del personale, il reperimento di organigrammi aggiornati, l‟identificazione e l‟elaborazione personalizzata dei dati relativi alle vendite dell‟ultimo mese, la scelta e l‟iscrizione a un corso di formazione. Dal momento che tutte le applicazioni e servizi sull‟intranet adottano l‟interfaccia e il funzionamento tipico di internet e di un browser, i tempi necessari agli utenti per l‟apprendimento vengono notevolmente ridotti: gli utenti possono sfruttare le competenze di navigazione già apprese ed utilizzarle da una applicazione all‟altra. In questo modo anche gli utenti senza competenze tecniche specifiche possono accedere a servizi e informazioni prima riservate a pochi esperti. La differenza con i sistemi informativi sviluppati ed utilizzati finora a supporto dei processi di business è che tipicamente questi erano sistemi proprietari che richiedevano tempi e costi di sviluppo notevoli, potevano essere utilizzati solo da un ristretto gruppo di persone (di solito i manager) e richiedevano una formazione ad hoc per l‟utilizzo (pensiamo ad esempio a sistemi di project management o di controllo di gestione).
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La Intranet consente invece di fornire un‟unica porta di accesso alle applicazioni e ai servizi on-line, un‟interfaccia coerente e un accesso diffuso e immediato per tutti gli utenti interessati, dai più esperti agli ultimi arrivati. In secondo luogo, cambia il modo di lavorare e diventa il luogo primario dove si realizzano i processi di lavoro. Lo spostamento di parte dei processi di lavoro on-line implica infatti in molti casi il ripensamento dei processi stessi e dei flussi di produzione delle informazioni e delle conoscenze, finalizzati alla risoluzione di determinati problemi.
4. La formazione come leva strategica La globalizzazione e la crescente concorrenza internazionale, oltre che nazionale, hanno condotto le imprese a sfruttare ogni risorsa disponibile al fine di emergere e di mantenere le loro posizioni sul mercato. La vera competitività aziendale o meglio, il raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile, deriva dal possedere risorse rare, uniche e inimitabili: attributi che connotano in pieno le risorse umane. Da ciò discende che una gestione efficace del personale diviene sempre più per l‟impresa un obiettivo primario. La formazione costituisce un anello di congiungimento tra l‟azienda e la forza lavoro, in quanto rappresenta uno strumento volto alla crescita personale e professionale dei soggetti a cui si rivolge (i dipendenti) e tramite essi allo sviluppo e al conseguimento, da parte dell‟impresa, delle competenze necessarie per gestire il cambiamento e adeguarsi a un ambiente sempre più competitivo. Nella gestione delle risorse umane in azienda, la programmazione di interventi di formazione mirati, appositamente pensati e costruiti per soddisfare specifiche esigenze formative, costituiscono una leva da azionare al fine di raggiungere e mantenere un successo aziendale sostenibile nel tempo. I principali approcci presenti nella letteratura di gestione delle risorse umane (la teoria universalista, contingente e configurazionista) confermano l‟esistenza di una relazione positiva tra la competitività e il modo di condurre la forza lavoro. Non mancano, tuttavia, dei pareri contrari, che ritengono come la crescente enfasi posta sulla valorizzazione delle http://scientificando.splinder.com
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risorse umane sia un puro esercizio di retorica, piuttosto che una pratica emergente e attuata dalle organizzazioni. Si è riscontrato come nel tempo si sia andata consolidando l‟opinione che la natura della formazione sia quella di processo piuttosto che di prodotto, ossia costituita da diverse attività (l‟analisi dei fabbisogni aziendali, la progettazione e l‟attuazione delle azioni formative, la valutazione dei risultati) tra loro strettamente correlate e tutte necessarie per portare a termine la formazione in azienda. Lo studio della progettazione degli interventi formativi non poteva prescindere inoltre, dall‟analisi delle competenze e dei livelli che le costituiscono: su essi si concentra l‟attività formativa attuata dalle imprese. Infatti, a seconda di quali aspetti l‟azienda necessita (accrescere le conoscenze ed esperienze del proprio personale, sviluppare determinate attitudini e capacità, creare una cultura collettiva in cui ogni dipendente si identifica e riconosce negli altri membri dell‟organizzazione) si implementeranno metodologie didattiche differenti. È bene sottolineare come non tutti i livelli di competenze siano formabili e lo siano allo stesso modo. L‟esperienza e la ricerca mettono in evidenza come la formazione sia considerata uno strumento indispensabile, sia per le imprese che per gli utenti, anche se si registra ancora una scarsa consapevolezza riguardo a esso e nella valorizzazione del personale.
5. Filosofia e strategia delle organizzazioni vincenti Formulare una strategia significativa di gestione delle risorse umane è una delle fasi più critiche, e più complicate, nella creazione o nella trasformazione di un reparto o di un‟intera organizzazione. Un approccio chiaramente definito è più facile da illustrare ai diversi stakeholder, da convertire in un piano azionabile e da misurare accuratamente facilitandone quindi l‟attuazione. La filosofia che sta alla base della strategia di gestione delle risorse umane affonda le
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sue radici nella specificità del business, anche se deriva direttamente dalla missione formalizzata. Una metodologia che le aziende adottano per rispondere a questa necessità è la pianificazione del personale utile per realizzare il continuo ed efficace adeguamento delle persone ma anche per favorire quanto più possibile la loro corretta collocazione nell‟organizzazione aziendale e rendere quindi ottimale il loro contributo professionale. Pianificare il personale significa prevedere, in termini qualitativi e quantitativi, la necessità di persone all‟interno dell‟azienda. Pianificare vuol dire analizzare quali risorse sono presenti in azienda rispetto a quelle che servono e come si presenta l‟offerta dall‟esterno. Qualunque sia l‟approccio, è necessario riflettere su alcuni passi iniziali che potrebbero essere utili da seguire nella pianificazione delle risorse umane. 1. Definire gli obiettivi del processo di pianificazione. Nonostante gli obiettivi specifici possano variare in funzione dei bisogni di una particolare organizzazione, l‟obiettivo principale rimane quello di definire accuratamente la gestione delle risorse umane dell‟organizzazione. 2. Identificare i partecipanti chiave, cioè le persone assolutamente essenziali in quella fase dello sviluppo dell‟organizzazione. La pianificazione dovrebbe incominciare coinvolgendo le persone che hanno già avuto funzioni fondamentali nella gestione delle risorse umane in passato. E‟ sottinteso che i partecipanti possono poi anche cambiare nel momento in cui vi sono delle evoluzioni del processo di pianificazione, ma resta un punto fermo il fatto che le funzioni chiave che vanno incluse siano le seguenti: • CEO (Chief Executive Officer); • direttore delle Risorse Umane; • un‟accurata selezione dei manager di linea. 3. Definire in modo preciso la filosofia dell‟organizzazione ed i punti della mission che riguardano le risorse umane. http://scientificando.splinder.com
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4. Comparare le competenze delle risorse umane dell‟organizzazione con quelle dei maggiori concorrenti. Questo confronto è particolarmente utile per definire le strategie appropriate. 5. Formulare una strategia per la gestione delle risorse umane. Una strategia può essere intesa anche come semplice decisione di eccellere in una delle classiche funzioni di gestione delle risorse umane (ad esempio la selezione o lo sviluppo).Una strategia può anche essere intesa anche come l‟insieme dell‟inter-relazione delle attività di gestione delle risorse umane che tagliano le tradizionali funzioni di line. 6. Implementare le strategie definite. E‟ bene ricordare che l‟implementazione richiede sforzi di collaborazione di lungo termine sia da parte delle funzioni dedicate alla gestione delle risorse umane sia da parte dei manager della line. 7. Devono essere verificati alcuni step al fine di assicurare che i sistemi di controllo applicati a questa strategia siano appropriati sul lungo termine. 8. Valutare il processo di pianificazione attraverso l‟analisi degli output attesi, sia diretti che indiretti. La strategia di gestione delle risorse umane si può determinare in vari modi. Si può esprimere in un unico documento, si può incorporare nella missione, nei valori o negli obiettivi; oppure si può mantenere inespressa, esplicitandola progressivamente nel tempo. In alcuni casi, inizia con una comunicazione diretta (o in video) da parte del top management. In ogni caso, una sola comunicazione non basta.
6. Un‟eccellente strategia di gestione: la comunicazione ininterrotta
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Un‟eccellente strategia di gestione delle risorse umane deve fondarsi su una campagna estensiva e coerente di comunicazione, se si vuole che abbia successo. Identificare tutti i fattori che caratterizzano un‟organizzazione di prim‟ordine e comunicarli proattivamente in tutta l‟azienda, specie se in modo coinvolgente per Ia forza lavoro, è un compito decisamente complesso. Eppure solo quando la strategia di business e la strategia di comunicazione sono correlate, i dipendenti possono cominciare a comprendere pienamente i messaggi e a operare in conformità a essi. Metodi per una comunicazione efficace sono: - spiegare i nuovi programmi che verranno introdotti nell‟organizzazione; - aiutare i dipendenti a capire gli obiettivi di business; - formazione sugli obiettivi e sulla cultura d‟azienda; - informazioni ai collaboratori sulla performance d‟azienda; - dare informazioni e feedback per motivare e migliorare Ia performance lavorativa. Anni fa la funzione Risorse Umane era il veicolo preferito per la disseminazione di notizie e informazioni. Ma negli ultimi anni l‟enfasi ha cominciato a spostarsi sul reparto “relazioni pubbliche” (o “comunicazione”), in funzione dell‟esigenza di trasmettere messaggi coerenti e di alta qualità a tutta l‟organizzazione. La comunicazione avviene tipicamente attraverso una combinazione dei seguenti mezzi: • posta elettronica, • newsletter; • presentazioni dal vivo o in video; • Intranet; • riunioni di gruppo. Anche se la direzione del personale o il reparto pubbliche relazioni potrebbero creare direttamente il messaggio, le organizzazioni di successo capiscono che i manager devono interpretare, spiegare e rinforzare la loro strategia di comunicazione. Se i manager non condividono e non comprendono appieno il messaggio, non sono in grado di creare un efficace flusso comunicazionale discendente. Inoltre, se non sanno, o non vogliono, gestire le domande, i problemi e le diverse altre complessità del dialogo, non possono creare un canale aperto per la comunicazione dal basso in alto. http://scientificando.splinder.com
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La comunicazione (soprattutto interna) diviene il veicolo dello sviluppo del consenso, attraverso la divulgazione delle informazioni, dei valori e della missione dell‟azienda. Si può definire la comunicazione interna come quel prodotto finalizzato all‟integrazione del lavoratore con gli scopi dell‟azienda, facendogli comprendere ciò che ci si aspetta da lui e fornendogli tutte le informazioni di cui necessita. Attraverso la comunicazione, l‟organizzazione valuta i suoi processi evolutivi ed internalizza i bisogni e le esigenze del pubblico, mediante i meccanismi di identificazione. Si ha qualità nella comunicazione quando il management ascolta attentamente gli argomenti del lavoratore; per fare questo è necessario avere capacità di dialogo, conoscenza dei problemi dell‟azienda, il know-how necessario a fornire indicazioni operative. La comunicazione deve essere interattiva, immediata, biunivoca e coerente nei suoi messaggi, non più e non solo top-down: ci deve essere uno scambio di informazioni ed un condizionamento reciproco tra dirigente e dipendente; sentendo che i superiori sono sensibili alla sua situazione, il dipendente accetterà anche ciò che non condivide del tutto. La comunicazione è costituita da due elementi: (1) fatti, e (2) conclusioni tratte dai fatti. Il modo in cui i lavoratori interpretano le informazioni è importante quanto le informazioni stesse. Inoltre, è fondamentale fornire alle persone delle informazioni su cui possono agire. Per avere successo, una campagna di comunicazione deve contenere alcuni elementi chiave che raggiungono i singoli stakeholder in una pluralità di modi. Quando è ben disegnato, il programma di comunicazione opererà incessantemente. In altre parole, a nessuno dei soggetti coinvolti sfuggiranno i messaggi, perché gli arriveranno in varie forme e a intervalli frequenti. La comunicazione più efficace fa parte comunque di un piano strategico complessivo.
Dovrebbe essere: http://scientificando.splinder.com
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- intenzionale: il management dovrebbe studiare il programma in modo che comunichi valori e informazioni sui diversi aspetti della vita aziendale; - differenziata: il piano dovrebbe comunicare le caratteristiche distintive che differenziano l‟organizzazione sul mercato e spiegare quali sono gli elementi che le conferiscono un vantaggio competitivo; - coerente: il messaggio deve essere coerente. Le ricompense devono rinforzare gli obiettivi e i traguardi. Per esempio, un‟azienda che si autodefinisce “organizzazione a elevata performance” premia il contributo individuale, non l‟anzianità di servizio. - preziosa: le informazioni devono essere preziose agli occhi di chi le riceve. Devono avere un significato rilevante per i lavoratori. Anche la letteratura indica che il successo finanziario si ricollega a degli ambienti in cui: - i lavoratori hanno facile accesso alle tecnologie di comunicazione; - i lavoratori hanno la possibilità di dare un feedback diretto ai senior manager; - le informazioni finanziarie, i piani di business e gli obiettivi vengono comunicati e spiegati ai lavoratori; - i dipendenti hanno la possibilità di dare input sull‟organizzazione del lavoro. La funzione Risorse Umane dovrebbe incoraggiare delle comunicazioni aperte sui programmi e le politiche di gestione del personale. Dovrebbe mettere costantemente mano ai suoi programmi e valutarne l‟efficacia in base a dati selezionati e al feedback dei lavoratori. A volte dei dati obiettivi, come il tasso di assenteismo o l‟insufficiente utilizzo di un determinato programma, invieranno un chiaro segnale del mancato funzionamento di tale programma. Anche l‟ambiente è portatore di informazioni, in quanto scenario dell‟interazione sociale. Oggi si tende ad integrare i processi di comunicazione interna ed esterna, procedendo verso forme di comunicazione integrata, idonee al funzionamento ed allo sviluppo dell‟impresa nel suo insieme. In tal modo il dipendente non rimane disorientato di fronte ai diversi cambiamenti operati dai superiori. La comunicazione odierna acquista, inoltre, carattere organizzativo, in quanto è o tende a diventare parte strutturale dei processi produttivi e gestionali. Non più improvvisazione, ma metodologie valide e precise, che http://scientificando.splinder.com
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permettano di superare le voci e la scarsitĂ di informazioni, non attivitĂ specifica ma processo continuo, rivolto alla risoluzione di particolari problemi pratici.
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3° SOTTOMODULO: “ RUOLO E PROFILO PROFESSIONALE DI CHI OPERA NELLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE” Il quadro di riferimento L‟ambiente economico in cui le imprese si trovano oggi ad operare è, da più punti di vista, in fase di profonda trasformazione: gli scenari “macro” appaiono sempre più dinamici e poco prevedibili, cresce l‟intensità delle pressioni competitive cui sono soggette le imprese, i risvolti “sociali” delle azioni intraprese rivestono un ruolo sempre più rilevante. Le opzioni per le aziende per crescere e garantirsi continuità incrementano: si acquisiscono imprese o ci si fonde con altre aziende, si cedono rami d‟azienda, si operano scelte di “outsourcing” di alcuni dei servizi non “core”, si identificano modi diversi per commercializzare i prodotti, si sceglie di terziarizzare alcuni dei processi dell‟azienda, si sceglie di de-localizzare la produzione o parte dei processi produttivi. A tutto questo si aggiunge il quadro normativo del mercato del lavoro che offre nuove opzioni di gestione della “flessibilità”. A fronte di tali tendenze, le imprese devono organizzare risposte tempestive ed efficaci in virtù di scelte strategiche coraggiose, di una costante tensione all‟innovazione, di un costante presidio della produttività, dell‟efficacia e dell‟efficienza delle misure adottate. Tutto ciò rende sempre più critica e strategica la qualità delle proprie risorse umane, dove scegliere, sviluppare e trattenere le persone “giuste” diventa un fattore sempre più vitale per l‟impresa. In tale contesto assumono un ruolo centrale le figure professionali dello HRM (Human Resources Management), cui vengono richieste capacità personali e competenze professionali e personali sempre più “spinte”.
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1. Il management: funzioni e strategie Gli studi sul management hanno come obiettivo quello di aiutare chi guida le aziende a soddisfare contemporaneamente i bisogni dell‟uomo e l‟efficienza lavorativa, in uno scenario che vede repentini mutamenti delle condizioni economiche e sociale, e che pone le
aziende
a
dura
prova,
pressate
dall‟innovazione
tecnologica
continua
e
dall‟allargamento dei mercati. Non si tratta dunque di imporre un modello organizzativo piuttosto di un altro, da realizzare ad ogni costo, bensì di favorire lo sviluppo di organizzazioni pronte a prevedere i mutamenti, consapevoli della necessità di continui rinnovamenti e basate su un‟interdipendenza dinamica e creativa di persone o gruppi legati da stima e fiducia, capaci di condividere decisioni, obiettivi, responsabilità e controllo. Il termine management ha un campo di applicazione molto ampio e, a seconda degli ambiti e del contesto, prevale ora il significato di gestione o di amministrazione, ora di controllo, ora di guida. Al manager e/o imprenditore di oggi sono richieste competenze e abilità sempre più specifiche e diversificate: dal saper parlare in pubblico con efficacia al gestire e motivare il proprio team, dalla capacità di programmare le strategie aziendali alla pianificazione del marketing, dallo sviluppo di un sistema etico all‟interno dell‟azienda alla conoscenza delle tecniche per implementare l‟efficienza. Mentre nelle imprese di grandi dimensioni vi è una netta separazione tra proprietà e management, nelle piccole-medio imprese questa funzione è svolta dagli stessi proprietari-imprenditori, e magari continua ad esserlo anche quando l‟azienda si ingrandisce e apre delle filiali o degli stabilimenti all‟estero. In questo modo si viene a creare un gap tra le competenze necessarie per affrontare le decisioni di pianificazione e gestione delle risorse organizzative all‟interno di scenari complessi e quelle che sono le competenze effettive del dirigente-proprietario.
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Tradizionalmente, le funzioni base che caratterizzano l‟attività di management sono cinque:
pianificazione
organizzazione
guida
coordinamento
controllo
1.1. La pianificazione La pianificazione aziendale può essere definita come il sistema operativo attraverso il quale l‟azienda definisce i suoi obiettivi e le azioni per conseguirli. Il sistema di pianificazione è normalmente connesso al sistema di controllo di gestione, che ha lo scopo di guidare verso il conseguimento degli obiettivi pianificati, e di far emergere
un
eventuale
allontanamento
dalle
mete
prefissate,
con
conseguente
correzione delle strategie. A seconda dell‟orizzonte temporale preso in considerazione dagli obiettivi, si distinguono i seguenti tipi di pianificazione: pianificazione strategica, quando si delineano obiettivi a lungo termine pianificazione tattica, quando sono previsti obiettivi a medio termine (tra i tre e i cinque anni) pianificazione operativa, in presenza di obiettivi a breve termine (non più di un anno). 1.2. L’organizzazione L‟organizzazione è il processo di suddivisione e coordinamento del lavoro all‟interno del “sistema azienda”, che è costituito da persone e tecnologie. L‟interazione tra questi due fattori produce il comportamento aziendale. La divisione del lavoro è articolata in tre fasi:
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scomposizione dei processi aziendali in attività basilari e raggruppamento di questi in compiti secondo criteri logici;
attribuzione dei compiti alle posizioni, ossia ai ruoli definiti all‟interno dell‟azienda. I compiti assegnati ad una posizione costituiscono le sue mansioni;
assegnazione di una o più persone a ciascuna posizione e creazione degli organi aziendali.
Secondo Mintzberg, a seconda dei compiti e delle mansioni vi è una diversa specializzazione. Vi è una elevata specializzazione orizzontale quando alla posizione sono assegnate poche attività e/o attività tra loro omogenee; si può parlare di elevata specializzazione verticale quando la posizione ha poca autonomia decisionale. Possono dunque esserci:
posizioni ad alta specializzazione orizzontale e verticale (lavoro operativo);
posizioni a bassa specializzazione orizzontale ed alta specializzazione verticale (lavoro di supervisione);
posizioni ad alta specializzazione orizzontale e bassa specializzazione verticale (lavoro professionale);
posizioni a bassa specializzazione orizzontale e verticale (lavoro direttivo)
Quando viene diminuita la specializzazione orizzontale si parla di allargamento dei compiti (job enlargement); quando, invece, viene diminuita la specializzazione verticale si parla di arricchimento dei compiti (job enrichment). Gli organi vengono raggruppati in unità organizzative alle quali è generalmente preposto un organo di comando (il responsabile dell‟unità organizzativa). Nella pratica, le unità organizzative nelle quali si articola un‟azienda sono denominate in modo vario: “direzioni” “divisioni” “dipartimenti” “sezioni” “uffici” “reparti”. 1.3. La guida Negli ultimi anni gli studi sulla guida in azienda si sono suddivisi in due filoni, quelli sul management e quello sulla leadership. Vi sono delle differenze comportamentali tra un http://scientificando.splinder.com
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manager e un leader ma le ricerche dimostrano che la capacità di essere leader e manager portano migliori risultati rispetto alla capacità di essere solo uno dei due: le imprese hanno bisogno di entrambi i fattori per far funzionare i loro sistemi. I manager e i leader trattano in maniera diversa i collaboratori, consentendo loro di concentrarsi su cose diverse e ponendo dei limiti con modalità diverse. Se, idealmente, ponessimo le due modalità di guida agli opposti di un continuum, il manager rappresenterebbe l‟estremo più strutturato, controllato, analitico e orientato alle regole, mentre il leader sarebbe connotato da un approccio più sperimentale, ideativo, destrutturato, flessibile e appassionato (Zigarmi et al., 2006). Riportiamo ora uno specchietto che riassume le caratteristiche dei due soggetti:
Manager
Leader
Orientamento personale
Orientamento personale
Si considera il custode e il regolatore
Si considera separato dall‟ambiente;
dell‟ordine costituito, in un‟ottica di
scinde il proprio valore personale dal ruolo
crescita Logico e razionale
Intuitivo ed empatico
Preferisce un approccio strutturato
Preferisce un approccio destrutturato
Orientato alla valutazione del rischio,
Orientato all‟assunzione del rischio;
preferisce avere un piano
preferisce seguire un indirizzo generale
Usa la negoziazione; ama i dettagli e la
Usa la persuasione; ama le idee generali e
praticità
insolite
Consente ai dati di definire la realtà
Usa il Sé per definire la realtà
Consente alle persone di interpretare la
Interpreta gli eventi, crea contesti per la
realtà
comprensione
Orientato al presente e allo status quo
Orientato al futuro e al cambiamento
Orientamento verso i collaboratori
Orientamento verso i collaboratori
Si concentra sui fattori di controllo
Mira a creare una visione che induca le
(obiettivi e ricompense) che inducono le
persone a condividere le sue emozioni
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persone a produrre risultati Poiché le emozioni creano ansietà, è
Apprezza l‟emozione perché implica il
distaccato e imperscrutabile
coinvolgimento
Fissa obiettivi legati alle necessità e
Fissa obiettivi legati alle convinzioni e
procedure che sono profondamente
apprezza le possibilità che riserva il futuro
radicate nella cultura organizzativa Preferisce che siano i ruoli a definire la
Preferisce che sia l‟attaccamento emotivo
leadership
a definire le relazioni
Ricerca un equilibrio tra potere e
Ricerca soluzioni vantaggiose per tutti
compromesso Si concentra sul “come” del processo
Si concentra sul “cosa” del processo
decisionale, sul processo
decisionale, sul contesto
Manda segnali indiretti con grande
Invia messaggi diretti per generare e
ambiguità per attenuare le emozioni
affrontare emozioni
Gioca sul tempo per arrivare a un
Usa il tempo per portare a conclusione i
compromesso e far entrare in gioco nuove problemi e per mantenere la problematiche
concentrazione su un numero limitato di questioni
Orientamento verso l‟organizzazione
Orientamento verso l‟organizzazione
Perpetuazione della cultura
Creazione di culture
Risultati di breve termine
Risultati di lungo termine
Si concentra sugli elementi tangibili
Si concentra sulla ricerca di elementi intangibili
Orientato alle singole componenti; non
Prospettiva olistica incentrata sui sistemi
enfatizza le relazioni
complessivi; ricerca il bene di tutta l‟organizzazione
Porta sempre avanti lo stesso gioco
Formula nuove strategie
Crea un clima emotivo di soddisfazione
Crea un clima di entusiasmo
nell‟organizzazione, che coinvolge i
nell‟organizzazione, che coinvolge i
dipendenti anche nel processo decisionale
dipendenti in attività legate ai valori
Tabella tratta da: Drea Zigarmi et al., Essere leader, 2006, p. 199.
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1.4. Il coordinamento Il coordinamento ha, in un certo senso, un ruolo complementare alla divisione del lavoro, avendo lo scopo di:
armonizzare le decisioni e le attività degli organi e delle unità organizzative, tra loro e con gli obiettivi dell‟azienda;
assicurare la fluidità delle attività, riducendo al minimo le interferenze e il mancato rispetto dei tempi.
Il coordinamento è tanto più necessario quanto più i compiti sono complessi ed interrelati e quanto più l‟organizzazione è complessa e diversificata. 1.5.
Le diverse strategie di management
Esistono diverse strategie di management: - il management by objectives (Mbo): è una modalità di direzione attraverso la quale il manager e i suoi subordinati individuano le scelte fondamentali dell‟azienda e i suoi obiettivi prioritari, stabiliscono le rispettive aree di responsabilità, fissano gli standard per un rendimento elevato, determinano i criteri di comparazione dei risultati; così una volta discussi gli obiettivi e concordati tra manager e ogni singolo addetto, quest‟ultimo si assume la responsabilità di impegnarsi per raggiungerli e informare periodicamente la direzione sullo stato di progresso (Brunetta et al., 2002). Secondo Drucker, che è stato il primo a presentare questa tipologia di management, l'efficienza organizzativa può essere raggiunta solo se le prestazioni di tutti i collaboratori sono consapevolmente dirette verso il conseguimento di obiettivi comuni e ben definiti. L‟assunto di base è che non può esistere la possibilità di dirigere senza che sia stato prima deciso che cosa si vuole raggiungere. In questo modo, inoltre, si dà piena forza all‟azione e alla responsabilità del singolo e nello stesso tempo si progetta un indirizzo comune di sforzi; - il management strategico: concepisce l‟azienda secondo una logica sistemica, le cui componenti produttive, commerciali, logistiche, umane sono sempre in relazione tra loro http://scientificando.splinder.com
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e con il contesto esterno in cui l‟azienda opera. Si viene a creare in questo modo una circolarità tra gli input derivanti dalle strategie aziendali, che trasformano risorse e materie in prodotti e servizi, e gli input di ritorno dal mercato, che apporteranno a loro volta cambiamenti nelle strategie. Porter (1987) ha individuato nella catena del valore uno strumento sistemico utile per prendere le decisioni strategiche mirate ad ottenere un vantaggio competitivo per la propria impresa. Al management strategico spetta un duplice compito: gestire le attività correnti dell‟azienda e contemporaneamente cercare nuove opportunità, prevedendo i mutamenti, sviluppando l‟attività interna attraverso la conoscenza del contesto esterno; - il management operativo: l‟insieme di azioni messe in atto dal management e volte al raggiungimento di determinati obiettivi attraverso la cooperazione con il team. Si tratta di un‟attività complessa, che richiede la gestione dei costi, del cambiamento, della qualità, delle risorse umane e dei flussi informativi che, solo se adeguati, possono aiutare i processi decisionali (Boutall, 1996); - il management imprenditoriale: lo spirito imprenditoriale si basa su principi che non variano da un‟entità all‟altra, che si tratti di una società commerciale, di un‟istituzione di pubblici servizi o di una nuova impresa. Abbiamo già visto che manager e imprenditori hanno caratteristiche diverse. Secondo Kecharananta e Baker (1999), queste consistono nel fatto che il manager è orientato a garantire ciò che è necessario al mantenimento e all‟accrescimento delle organizzazioni esistenti e l‟imprenditore, invece, è caratterizzato dalla prontezza nell‟individuare nuove opportunità e nel creare nuove strutture. Ciò che però differenzia queste due figure più di ogni altro fattore è la propensione al rischio, molto più spiccata nell‟imprenditore. E‟ possibile stimolare un maggior spirito imprenditoriale nella propria azienda? Secondo Drucker (1986) per ottenere questo risultato, è necessario agire in quattro direzioni:
stimolando una mentalità aperta all‟innovazione e al cambiamento, a tal punto da considerare questi due fattori attraenti e vantaggiosi. L‟azienda deve diventare avida di “cose nuove” (Brunetta et al., 2002);
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programmando la formazione necessaria a implementare i risultati. Nell‟attuare il cambiamento bisogna illustrare la logica che guida tale processo a tutti coloro che ne sono direttamente o indirettamente coinvolti;
stabilendo dei metodi organizzativi, retributivi e selettivi che rendano possibile attrarre e trattenere i migliori collaboratori, alzare il livello di motivazione, limitare il turnover, migliorare la comunicazione, incentivare il senso di appartenenza e il coinvolgimento attraverso l‟adesione ai valori e alla mission aziendale;
prestando attenzione a non portare l‟impresa fuori dal suo campo di attività, attraverso qualche tentativo d‟innovazione sconsiderato.
Gli studi sul management hanno come obiettivo quello di aiutare chi guida le aziende a soddisfare contemporaneamente i bisogni dell‟uomo e l‟efficienza lavorativa, in uno scenario che vede repentini mutamenti delle condizioni economiche e sociale, e che pone le
aziende
a
dura
prova,
pressate
dall‟innovazione
tecnologica
continua
e
dall‟allargamento dei mercati. Non si tratta dunque di imporre un modello organizzativo piuttosto di un altro, da realizzare ad ogni costo, bensì di favorire lo sviluppo di organizzazioni pronte a prevedere i mutamenti, consapevoli della necessità di continui rinnovamenti e basate su un‟interdipendenza dinamica e creativa di persone o gruppi legati da stima e fiducia, capaci di condividere decisioni, obiettivi, responsabilità e controllo.
2. Cosa fa il responsabile delle risorse umane: un „indagine La funzione di direttore delle risorse umane è sempre più orientata a fornire un supporto strategico al cambiamento dell'azienda, utilizza in modo intensivo le tecnologie, non solo per i compiti di ordinaria amministrazione ma anche per aumentare le capacità di pianificazione, relazione e comunicazione, vede una forte presenza femminile e privilegia alcuni indirizzi di formazione di laurea (giurisprudenza ed economia su tutte). È quanto emerge dalla seconda edizione della ricerca “Prospettive della Direzione Risorse umane - evoluzione del ruolo e delle competenze”, condotta da Gidp (Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale) in collaborazione con Inaz, società dedita alle soluzioni per la gestione e amministrazione del personale, e Monster.it. http://scientificando.splinder.com
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L'indagine, coordinata da Luca Vanni, vicepresidente dell'Associazione Direttori Risorse Umane, è stata condotta su un campione di oltre 150 aziende appartenenti a diverse tipologie e classi dimensionali, dalla Pmi alla grande impresa multinazionale. Si è concentrata su quattro macro-aree: la tipologia delle aziende e le competenze richieste nella funzione, l'evoluzione del ruolo e dei compiti richiesti, la presenza femminile, l'impiego delle tecnologie software e servizi. Per quanto riguarda la dimensione delle aziende, nel campione esaminato, il 39% dei responsabili appartiene ad aziende con più di 500 dipendenti e oltre il 60% ad aziende con oltre 250 dipendenti. I responsabili della funzione sono dirigenti nel 72% dei casi e quadri per il 22%. C'è anche una quota del 3% di temporary manager. Rilevante la presenza di multinazionali a proprietà straniera (43% del campione). Il 31% dei componenti il panel ha una laurea in legge, seguito dal 20% laureato in economia e dal 13% laureato in scienze politiche. Nel 36% dei casi il responsabile delle risorse umane gestisce direttamente o attraverso collaboratori anche gli aspetti della comunicazione interna e dell'eventuale portale intranet, mentre nel 28% è inserita anche una funzione legale. Alla direzione del personale sono ricondotte in molti casi anche funzioni che riguardano la privacy (51%) e i servizi generali (43%). L'indagine rivela anche una presenza ormai assai significativa femminile: il 36%. La gestione amministrativa del personale è fatta ormai al 100% con strumenti informatici. L'indagine identifica anche la ripartizione degli impegni attuali e le previsioni per il futuro. Emerge un quadro di un settore dinamico, nel quale viene chiesto lo svolgimento di un ruolo esteso in più direzioni e gli stessi addetti ai lavori individuano in prospettiva un coinvolgimento sempre più diretto a supporto delle strategie aziendali e dell'innovazione dell'organizzazione e dell'impresa. I responsabili delle Risorse umane passano il 17% del proprio tempo a occuparsi delle relazioni col personale e il 14% a occuparsi di formazione, due valori in chiaro aumento rispetto all'indagine precedente Seguono, con l'11% del tempo altri due tipi di attività: il reclutamento, la selezione e più in generale il supporto alle strategie del top http://scientificando.splinder.com
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management aziendale. Al quinto posto arrivano le relazioni sindacali, con il 10% del tempo medio.
3. I Responsabili delle risorse umane nel non profit La figura del responsabile delle risorse umane comincia a diffondersi anche nel settore del non profit. Scopriamo di che cosa si occupa e che caratteristiche deve avere. Chi è il responsabile delle risorse umane? Il responsabile risorse umane ha l‟obiettivo di definire e implementare le politiche del personale in coerenza con la mission e le strategie aziendali; inoltre deve assicurare una gestione delle risorse umane idonea a realizzare le finalità dell‟organizzazione, creando un vantaggio competitivo per l‟azienda e allo stesso tempo tenendo conto delle esigenze di soddisfazione e sviluppo del personale. Quali sono i suoi compiti? Le principali attività riguardano la programmazione qualitativa e quantitativa delle risorse per garantire le competenze necessarie e distintive alla realizzazione dei piani aziendali. Un altro compito è la definizione delle politiche e delle „filosofie‟ di acquisizione, selezione e inserimento del personale, dei sistemi di valutazione, motivazione e fidelizzazione. Questa figura, infine, si occupa delle politiche retributive e premianti, di sviluppo e valorizzazione delle risorse anche attraverso l‟attuazione di specifici percorsi di carriera. Che caratteristiche deve avere chi si occupa delle risorse umane? Deve innanzitutto padroneggiare gli strumenti per svolgere efficacemente le attività di cui abbiamo parlato, quindi deve possedere conoscenze di cultura generale relative all‟area di intervento (sviluppo organizzativo e del lavoro, strategie direzionali e operative del personale, mercato del lavoro, cultura economico finanziaria, contratti e normativa). Per chi svolge questo ruolo è inoltre indispensabile avere un reale interesse per la motivazione e lo sviluppo degli altri. Questo significa possedere un‟elevata capacità di negoziazione e di gestione del consenso e dei conflitti. Il responsabile delle risorse umane deve saper condurre il gioco di squadra, e per farlo sono necessarie capacità di http://scientificando.splinder.com
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comunicazione e soprattutto di ascolto. Altri elementi che completano il profilo sono flessibilità, creatività e pensiero prospettico, ma anche doti di leadership, una forte tensione etica unita a uno spiccato senso di equità e di giustizia. Che ruolo ha questa figura nel mondo del non profit? Il mercato del lavoro non profit è articolato e complesso, a causa della varietà delle figure che vi operano, ma anche perché esistono diverse tipologie di rapporto di lavoro e ognuna porta con sé le relative incertezze contrattuali. Il sistema di compensi e retribuzioni è vario e a dir poco „frugale‟, date le scarse risorse economiche e i molti vincoli esistenti. Mancano idonee politiche di valorizzazione del personale che sostengano e coltivino le motivazioni delle persone e siano in grado di trattenerle nel lungo periodo. Ancora oggi gran parte delle imprese non dispone di un presidio istituzionale delle risorse umane, area che generalmente è presente come sottoinsieme della direzione amministrativa. Non è un caso che nel settore si registri un „turnover‟ molto elevato, e questo rappresenta un grande ostacolo allo sviluppo delle organizzazioni. Fortunatamente stiamo assistendo a un progressivo impegno da parte delle organizzazioni non profit nell‟affrontare professionalmente la gestione del proprio capitale umano. Il responsabile risorse umane sta acquisendo un‟importanza sempre più rilevante. In quali tipi di associazioni o organizzazioni lavora il responsabile delle risorse umane? Oggi si lavora soprattutto nelle Ong, nelle Onp e nei Consorzi di cooperative di medio e grandi dimensioni, avvalendosi anche del supporto di figure con competenze tecnicospecialistiche, come gli esperti in selezione, formazione e valutazione, che operano sotto la sua diretta responsabilità. Il responsabile risorse umane è di norma inserito nel consiglio di amministrazione e opera come funzione di staff alla direzione generale. Questo ruolo, la cui rilevanza strategica è ormai riconosciuta, è ancora poco presente nel non profit italiano. Nelle oltre 220.000 associazioni che compongono il panorama del nostro paese, però, le prospettive occupazionali sono in crescente sviluppo. Serve una formazione particolare per ricoprire questo incarico? E‟ necessaria una formazione specifica. Di norma il responsabile delle risorse umane è laureato in discipline giuridiche o umanistiche e ha svolto un percorso specialistico post http://scientificando.splinder.com
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laurea in direzione e sviluppo delle risorse umane. Questo percorso è indispensabile per acquisire strategie direzionali, tecniche e strumenti formalizzati, e per svolgere un‟esperienza sul campo. Nel mondo del non profit, però, non esiste ancora un‟offerta formativa specialistica relativa alla funzione risorse umane, quest‟area è di norma inserita in master di management delle Ong a carattere più „generalista‟, mentre esistono molti corsi e master dedicati erogati da Università e organizzazioni che operano nel privato. Che consigli si possono dare a chi volesse intraprendere questa carriera? Individuare le realtà più sensibili e attente alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane e dove le proprie attitudini e competenze possano essere più facilmente spendibili, anche in relazione alla dimensione dell‟organizzazione. E‟ molto importante comprendere l‟ambiente e crearsi una rete di conoscenze utili per il successivo sviluppo professionale. A tale scopo è utile iniziare a inserirsi in un‟organizzazione svolgendo attività di supporto, anche in forma di stage o di consulenza, in relazione all‟esperienza e alle competenze maturate.
4. Il ruolo di direttore generale e gli strumenti complessi di direzione Se compito del direttore generale è anche quello favorire l‟introduzione negli enti di strumenti di direzione complessi che servono, oltre che a migliorare efficienza ed efficacia della gestione, anche a meglio strutturare le relazioni fra politica e strutture certamente si apre il tema delle competenze professionali che debbono essere possedute per esercitare tale ruolo. Se prima dei processi di riforma i ruoli di direzione si caratterizzavano per il possesso, anche a livello eccellente, di conoscenze di natura giuridica, quanto appena proposto circa la funzione dei ruoli di direzione generale e degli strumenti che servono per esercitarla rendono quelle conoscenze insufficienti e superate. Le competenze professionali di seguito delineate devono fondarsi su una cultura elevata, aperta agli stimoli, necessaria alla lettura dei codici che una realtà in evoluzione propone in modo sempre nuovo, in grado di prestare una costante attenzione a quanto avviene http://scientificando.splinder.com
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fuori dei confini dell‟Ente, che possa, in definitiva, far svolgere al management quel ruolo di co-promotori dell‟innovazione prima proposto. Servono poi competenze specifiche relative alla “pianificazione strategica”, per decodificare l‟ambiente, delineare piani-progetti, identificare le modalità per realizzarli, alla “gestione economico finanziaria”, per effettuare scelte appropriate di “make or buy”, valutare la redditività degli investimenti. Sono inoltre indispensabili competenze relative ai sistemi della qualità che riguardino sia processi che prodotti-servizi, competenze utili a delineare strategie di miglioramento della qualità, sistemi di monitoraggio e controllo, ambiti di possibile certificazione; infine, pur in un elenco parziale, vanno ricordate le competenze necessarie a gestire e sviluppare i sistemi professionali degli enti che tengano conto delle diverse professionalità presenti, degli strumenti manageriali disponibili, realizzando azioni di valutazione, sviluppo, mobilità, incentivazione. Esiste, oltre al tema del possesso delle competenze, un problema di attitudine al ruolo che, come l‟esperienza ci ha confermato, significa, disponibilità all‟assunzione del “rischio”, flessibilità operativa che consenta di ri-orientare di continuo le scelte, attitudine a valutare in termini di costi e benefici, nel rispetto delle finalità proprie degli enti locali, le opportunità che si presentano. Per sviluppare queste competenze è spesso necessario aver maturato esperienze di direzione di organizzazioni/progetti complessi, in situazioni cioè caratterizzate da costante mutamento degli scenari di riferimento, con diversi livelle di committenza e diversi tipi di destinatari, con risorse non sempre certe, processi differenziati e non standardizzati, risorse professionali di alto livello.
5. Quale differenza tra Direttore del Personale e Human Resources Manager? Il direttore delle risorse umane è un manager la cui figura è indispensabile nelle grandi Imprese e - più in generale - in ogni organizzazione aziendale caratterizzata da crescita e competitività; la differenza fra direttore "del personale" e delle "risorse umane", al di là della comune semantica, di solito è indice di http://scientificando.splinder.com
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percezione dell'importanza della funzione. L'azienda è un insieme, infatti, di risorse tecniche, economiche e umane, tutte essenziali per la corretta costruzione della struttura. Il punto di forza di un direttore delle risorse umane che riesca a conseguire i risultati attesi, ed a svolgere positivamente il suo ruolo, sta nella capacità di mantenere un proprio equilibrio gestionale, coniugando i valori etici personali, la cultura dell'Impresa presso la quale opera e le aspettative di benessere dei lavoratori dell'azienda. Diciamo, una sorta di diplomatico mancato. La formazione universitaria più idonea per interpretare il ruolo del manager delle risorse umane è la laurea in Scienze Politiche, ma anche Giurisprudenza fornisce gli elementi necessari - soprattutto sul piano del diritto - e pure Psicologia può essere un buon trampolino; comunque è fondamentale completare gli studi con un buon master post laurea, magari articolato mediante un significativo periodo di stage in aziende modernamente organizzate. Non è tanto la durata, quanto l'approccio e la metodologia che qualificano un master; per la natura stessa dei compiti dell'area risorse umane, va detto che il master per i neo-laureti non può avere una durata inferiore alle 30 gg. di formazione. Esistono corsi che estendono l'esperienza ad un'annata scolastica, ma –come detto- l'importante non è la "durata" in se stessa, quanto l'articolazione dell'esperienza formativa.
6. Lo stile manageriale coaching oriented I vantaggi e i rischi di uno stile manageriale che amplia le responsabilità del capo. “Compito del manager-coach è favorire un processo di empowerment del coach e del sistema organizzativo nel suo insieme, tale da promuovere un percorso di apprendimento, cambiamento, innovazione e miglioramento continuo, in grado di far fronte alle nuove esigenze del contesto, attivando le potenzialità e lo spirito di iniziativa individuale e collettivo, di volta in volta necessari” (Fatali, D‟Apruzzo, Caplan, 2004, p. 76). Uno stile manageriale coaching oriented prevede che il manager utilizzi tecniche di coaching in tutti i rapporti personali che intrattiene; in questo modo i suoi interlocutori http://scientificando.splinder.com
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vengono stimolati ad individuare autonomamente soluzioni sempre più efficaci ai problemi di ogni giorno. Secondo Intonti (2003), il manager-coach che affianca i collaboratori per migliorare la loro performance è un manager che presenta alcune caratteristiche particolari: una modalità di ascolto positivo, la capacità di fornire un supporto continuo alla squadra e di creare un ambiente in cui la comunicazione tra le persone è fluida e trasparente. Questo approccio garantisce, secondo Intonti (2003), risultati positivi a tutta l‟organizzazione: il coaching, quindi, inteso in questa accezione, è una strategia manageriale che ogni superiore dovrebbe adottare per ottenere il massimo coinvolgimento da parte dei collaboratori. Che i manager sappiano svolgere tale ruolo è considerato oggi un importante fattore di successo per le aziende: per tale ragione questa tipologia di coaching è la più diffusa quella su cui numerosi autori come Landsberg e in particolare Kinlaw hanno portato la loro attenzione. Attraverso il coaching si ha la possibilità di migliorare la gestione e la crescita dei singoli e dei team e di condividere conoscenze e competenze. Il manager si troverà nella condizione di dover aiutare il soggetto inesperto ad acquisire una nuova capacità e assumersi nuove responsabilità. Per spiegare meglio quale sia il ruolo e la particolarità di un atteggiamento manageriale basato sul coaching, possiamo riprendere con Quaglino (1999), il parallelo coachallenatore, dal quale si possono desumere cinque funzioni chiave comuni alle due figure: - rilevare capacità tecniche e potenzialità di ciascun individuo e, in base ad esse, assegnare ad ognuno un preciso ruolo nel team (in azienda); - attribuire a ciascuno specifici obiettivi di rendimento; - definire un programma di preparazione professionale; - monitorare e fornire feed-back continui; - porre attenzione alla capacità di integrazione di ciascuno all‟interno del team di lavoro e creare no spirito di gruppo. Fatali, Nardini e Sprega (2002) fanno rientrare questo tipo di coaching nel cosiddetto modello tridimensionale del coaching, ovvero quell‟attività di allenamento che si http://scientificando.splinder.com
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esplica tra il manager-coach ed un coachee, che nella maggior parte dei casi è un collaboratore o un collega del manager, ma che potrebbe essere una qualunque risorsa aziendale (magari coinvolta con lui in un team di progetto). Il coaching di terzo livello, quindi non si esaurisce nel rapporto che si instaura o che si dovrebbe instaurare tra capo e collaboratore. Il ruolo del manager-coach, secondo gli autori, acquisisce un‟ampia rilevanza in cui la prospettiva professionale del manager non potrà essere connotata solo per la competenza nella gestione delle risorse e nello sviluppo dell‟efficienza e nella qualità della prestazione. Ogni conversazione, con particolare riferimento ai collaboratori, è potenzialmente un‟attività di coaching, un‟opportunità di chiarire scopi, priorità e standard di prestazione, un‟opportunità di riaffermare e rinforzare i valori salienti del gruppo, di dare spazio a nuove idee. “Lo stile coaching deve divenire parte del modo in cui i manager e i team eseguono le loro attività giornaliere (Fatali, D‟Apruzzo, Caplan, 2004, p. 74) . Fatali, D‟Apruzzo e Caplan sono dell‟avviso che non è necessario predisporre di riunioni speciali per fare delle azioni di coaching. In questo senso, gli autori introducono quello che chiamano “coaching spontaneo”, ovvero utilizzare lo stile di coaching quando si presentano naturalmente le condizioni. Il coaching è un modo efficace per apprendere sul lavoro perché può svolgersi anche in modo informale ed è insito nel lavoro stesso. Offre l‟occasione di apprendere proprio nel momento in cui si manifesta il bisogno di una nuova capacità o conoscenza. È proprio il manager-coach che identifica nell‟ambito dell‟attività quotidiana i bisogni di formazione e le opportunità di apprendimento, realizzando insieme al coachee percorsi che facilitino il miglioramento delle performance e la crescita di competenze e creando occasioni di scambio di know-how tra persone. Egli gestisce i suoi collaboratori curando la loro formazione dall‟individuazione dei bisogni formativi, alla formazione on the job, al monitoraggio e alla verifica. http://scientificando.splinder.com
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L‟apprendimento attraverso uno stile di coaching oriented può risultare potenziato soprattutto in virtù di tre aspetti strategici (Fatali, D‟Apruzzo, Caplan, 2004): la riflessione operativa, il feedback immediato, l‟applicazione pratica. Con la formula riflessione operativa ci si riferisce al momento in cui il coachee riflette sull‟apprendimento, passaggio determinante per tradurre l‟esperienza on the job in apprendimento sul lavoro. L‟idea che presiede al concetto di apprendimento riflessivo è che l‟apprendimento non si verifica da solo, ma unicamente se accompagnato da una consapevolezza del processo e del prodotto dell‟apprendimento. Il feedback immediato è l‟offerta di uno specchio specifico e positivo che aiuta il collaboratore ad identificare i punti di forza e le aree di miglioramento. Il feedback favorisce l‟apprendimento, non solo per l‟aiuto formativo che si dà al collaboratore, ma si dimostra una reale attenzione da parte dell‟organizzazione per il suo processo di crescita. Inoltre, esso è una modalità particolarmente efficace per sviluppare e rinforzare i rapporti. L‟applicazione pratica è un‟occasione per il collaboratore per sperimentare una responsabilità maggiore sul lavoro. In conclusione, vogliamo evidenziare quelli che secondo noi sono i rischi e i vantaggi di tale approccio, argomento su cui Loos (1991) si è lungamente soffermato. Negli ultimi anni, si è data molta importanza alla necessità che il manager-coach dovrebbe dedicare alla sfera privata del collaboratore. Riteniamo che si tratti di un approccio molto difficile da gestire e sostanzialmente rischioso, per la oggettiva difficoltà di armonizzare il ruolo di capo con quello di consulente. Con tutto ciò, ci troviamo d‟accordo con i vantaggi trovati da Landsberg (1996) di un atteggiamento manageriale ispirato al coaching: - manager e collaboratori lavorano in un ambiente più sereno e le loro energie sono canalizzate tutte nell‟attività lavorativa, piuttosto che disperse nella gestione di tensioni; http://scientificando.splinder.com
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- promuovendo la formazione dei collaboratori, il manager favorisce l‟acquisizione di competenze e l‟adozione di comportamenti che incrementano l‟efficienza;
7. I Professionals I cosiddetti “professionals”, cioè gli specialisti di selezione e/o di formazione sono figure chiave nella gestione delle risorse umane all‟interno delle aziende. Devono avere un bagaglio conoscitivo molto solido, approfondito e completo soprattutto in termini di modelli cognitivi, di metodologie e di tecnicalità operative. In particolare, se si tratta di uno specialista di selezione, dovrebbe essere molto portato all‟ascolto, chiaro nel formulare le domande, paziente e solido nel relazionarsi con candidati di ogni tipo. Dovrebbe inoltre essere dotato di buone capacità diagnostiche ed interpretative, per poter stilare giudizi ponderati sulle persone intervistate. Se si tratta di uno specialista di formazione, è fondamentale che abbia particolare sensibilità sui processi e le dinamiche d‟aula, deve saper gestire i gruppi compresi i “tipi difficili” che spesso si incontrano, deve avere attitudine a parlare di fronte a molte persone sapendone catalizzare l‟attenzione, deve essere capace di presidiare i contenuti da veicolare senza però perdere mai di vista i bisogni e le reazioni del gruppo, ed essere pertanto sensibile e flessibile. Analizziamo più approfonditamente le caratteristiche di entrambi. 7.1. Il Selezionatore Il Selezionatore avrà conoscenze organizzative di base e diffuse, disporrà di informazioni chiare e precise su ambiente organizzativo e cultura aziendale, conoscerà il mercato del lavoro e le sue normative, i canali di ricerca, i nuovi ed abituali mezzi di reclutamento, avrà consapevolezza del processo globale di ricerca e selezione, conoscerà almeno i principi fon-damentali della psicologia relazionale unitamente al sistema motivazionale e alle politiche aziendali. http://scientificando.splinder.com
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Attitudine ai rapporti Umani Il Selezionatore saprà impostare colloqui efficaci sia con committenti che con Candidati, saprà gestire in modo ordinato i processi di selezione, saprà utilizzare tutti gli strumenti necessari all'interno o all'esterno del proprio ambiente di lavoro, avrà la capacità di raccoglie-re dati e informazioni, sapendo riconoscere gli elementi significativi da quelli accessori, saprà assumersi la responsabilità di emettere un "giudizio" coerente al mandato ricevuto, saprà coordinare tutte le pratiche relative all'assunzione e all'inserimento, saprà verificare la bontà dei giudizi espressi. Gestione degli strumenti informatici Nel contesto delle tecnologie di rete, acquisirà le competenze necessarie per trattare professionalmente i servizi offerti dal mercato e per gestire on line i contatti con aziende e candidati. Istanze etiche Il Selezionatore ispirerà i suoi comportamenti a principi e valori etici, ricordando che la selezione è un processo a due vie e che lui è il primo valutato della sua Azienda e la cui immagine influenza le percezioni dei Candidati, vivrà il rapporto con i Candidati cercando di autenticare la relazione e di acquisire informazioni sui propri atteggiamenti per costantemente migliorarli, si sentirà sempre parte attiva dell'organizzazione per cui lavora e si iden-tificherà nei valori sociali, svilupperà atteggiamenti collaborativi ed assertivi avendo bene in mente i fini assegnatigli, si sentirà sempre un professionista che contribuisce produttivamente e positivamente ai risultati aziendali. Pur in estrema sintesi abbiamo cercato di fornire un quadro di riferimento utile per avvicinarsi (o allontanarsi) dal mestiere di selezionatore, evitando di entrare nel dettaglio della capacità di selezionare, frutto di tecnica e di esperienza, oltre che di logica, capacità emozionale, intuizione, discernimento, acutezza sensoriale, passione per l'indagine, presenza di doti di analisi e di sintesi. Un mestiere "bello", affascinante, complesso, artistico e scientifico, che appassiona. Quella del selezionatore è una professione delicata, a contatto con i "segreti" aziendali legati al movimento delle risorse umane e con il mondo dei candidati, generalmente alle prese con decisioni cruciali sul proprio sviluppo professionale e di carriera. http://scientificando.splinder.com
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L'etica svolge l'importante ruolo di autodisciplina a favore della qualificazione, della serietà e integrità della professione: è questo un segno di maturità di un ceto professionale, che, consapevole dei diritti e doveri insiti nel rapporto contrattuale (sia quello scritto che quello psicologico) con l'azienda cliente, fissa le regole che demarcano i comportamenti corretti rispetto a quelli non corretti o semplicemente disinvolti. In generale, il lavoro di selezione richiede la condivisione di valori etici e deontologici di un certo rilievo. Il Selezionatore avrà conoscenze organizzative di base e diffuse, disporrà di informazioni chiare e precise su ambiente organizzativo e cultura aziendale, conoscerà il mercato del lavoro e le sue normative, i canali di ricerca, i nuovi ed abituali mezzi di reclutamento, avrà consapevolezza del processo globale di ricerca e selezione, conoscerà almeno i principi fondamentali della psicologia relazionale unitamente al sistema motivazionale e alle politiche aziendali. In azienda, è frequente rilevare che accanto alle funzioni gestionali del Personale si venga a situare un servizio per la Ricerca e Selezione del Personale, affidato talvolta a Neolaureati in discipline umanistiche e talaltra a specialisti già esperti. In ogni caso, la via più battuta per entrare nel ruolo del selezionatore è proprio quella del primo lavoro, sullo sfondo di una generica competenza acquisita prevalentemente all'Università e di attitudini o motivazioni per il settore del Personale. Da quel punto di partenza, di norma centrato prima sulle attività operative, si sviluppa una professionalità, costruita attraverso l'affiancamento del Superiore Diretto o sull'arte di adattarsi ad un ruolo o ad un'attività, facendo le cose ed apprendendole nel farle o acquisendo esperienza nel contatto con le Società di Selezione o leggendo libri specializzati. Dunque, in genere si arriva a svolgere l'attività di selezionatore senza avere ben chiaro cosa significhi, in che cosa consista, quali skills richieda, se si è adatti o meno, senza una vera consapevolezza professionale di quanto sia in gioco nel processo di selezione di persone per la propria azienda. Si può quindi dire, in via generale, che la parte per così dire "artistica" sia prevalente su quella "scientifica". http://scientificando.splinder.com
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E' ben vero che i Laureati in Psicologia posseggono alcune competenze di base, tuttavia è risaputo che la selezione non è tanto centrata su aspetti "psicologici", quanto professionali. Partendo da una cultura umanistica di base o da una preparazione psicologica, i giovani laureati che si inseriscono in Azienda nel ruolo di selezionatore a tempo pieno, o più facilmente, a tempo parziale, dovendosi occupare contemporaneamente di altre aree del Personale, devono acquisire una preparazione che, come si è detto, appare decisamente più "empirica" che sistematica. Le poche opportunità offerte dal mercato della formazione (oggi in aumento rispetto al passato, grazie anche alla spinta del lavoro interinale che presenta più opportunità di inserimento di figure dedicate rispetto al passato) ai selezionatori non coprono certamente l'esigenza di un'attività così poliedrica, frammentata, personalizzata.
7.2. Il Formatore L'incertezza e la crescente complessità del mondo in cui ci troviamo a vivere a volte ci fanno perdere di vista le tracce "del nostro futuro". Lo studio e la diffusione delle conoscenze dei modelli di apprendimento degli adulti (andragogia), i diversi approcci verso il mercato e i discenti, l'evoluzione della figura classica del formatore verso la figura di gestore di processi formativi complessi rappresentano le possibili tracce da seguire per andare verso una formazione nuova. I percorsi, per cosi dire essenziali, che i formatori dovranno seguire sono:
progettare formazione a pensare, a sviluppare capacita trasversali, a costruire figure professionali, a produrre idee;
realizzare formazione per elevare i livelli di qualità; fare formazione rivolta ad aumentare l'attenzione verso la comunicazione, l'affettività, la flessibilità, l'estetica;
promuovere l'integrazione organizzativa.
La formazione è diventata, infatti, una leva organizzativa volta ad adeguare i comportamenti e le capacita delle persone alle esigenze dell'organizzazione di http://scientificando.splinder.com
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appartenenza, attraverso attività di apprendimento in aula e fuori aula. Questa è, ovviamente, una definizione semplificata che non rende giustizia della complessità delle situazioni organizzative per le quali è necessario usarla. Le persone non si adeguano all'organizzazione più di quanto la medesima, nel suo insieme di ruoli, norme e meccanismi operativi, si adegui ai suoi membri. L'adeguarsi non va interpretato come un comportamento passivo, bensì come la partecipazione con diverso impatto alla costruzione di comportamenti o capacità che da alcuni vengono considerati relativi per il successo dell'organizzazione. La definizione, seppure parzialmente "vera", è tuttavia pragmaticamente utile per individuare alcune linee-guida che rendono il processo formativo più efficace. L'attività di formazione degli adulti è sinergica a numerosi strumenti di gestione e sviluppo organizzativo, tra i quali ricordiamo: - Sistema di valutazione e sviluppo In un passato cosi recente da apparire ancora presente, i profili professionali si costruivano partendo dalla posizione ed attribuendo ai ruoli delle caratteristiche standard: il progettista doveva essere un tecnico, l'amministrativo doveva essere un ragioniere, il venditore doveva sapere di marketing mix, e via dicendo. Lo scenario sul quale competono le aziende si è molto differenziato, anche se molti non se ne sono ancora accorti, e non è opportuno restare vincolati all'idea che la professionalità, le competenze, le capacità, siano determinate dalla posizione o dal ruolo e che dunque è il ruolo l'obiettivo della formazione. La professionalità è in funzione prima di tutto del contesto in cui opera, cioè del settore di business. L'Amministrazione e Finanza, ad esempio, sembrerebbe una funzione impermeabile a qualsiasi mutamento; eppure se compariamo una società di engineering e una società di esplorazione petrolifera ci accorgiamo che nella prima la finanza è diventata una leva di marketing mix dell'offerta, mentre nella seconda è la gestione del rischio di cambio il problema dominante. In Progettazione Meccanica, il progettista più ricercato era, fino a pochi anni fà, quello che sapeva creare prodotti totalmente nuovi; adesso sono ricercatissimi i progettisti che realizzano il massimo dell'innovazione cambiando il meno possibile. http://scientificando.splinder.com
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Siamo passati cioè da progettisti orientati al prodotto a progettisti orientati al cliente. Dunque, la progettazione formativa sarà sempre meno standard e sempre più orientata a sostenere la cultura organizzativa dell'azienda che deve competere Ogni organizzazione è una realtà unica e come tale ha una cultura, valori, obiettivi ed esigenze specifiche che vanno sviluppate in modo personalizzato ma coerente con le esigenze del mercato di riferimento. Fra le risorse sulle quali un‟organizzazione può agire, il Capitale Umano ha un ruolo determinante sia per consolidare l'efficienza interna sia per migliorare l'efficacia esterna e incrementare i risultati. Tra le leve utilizzabili, ai fini della crescita organizzativa, quella che garantisce continuità dei risultati e coerenza con gli obiettivi, sia nel breve sia nel lungo periodo, è pertanto, la formazione. La formazione è in grado di accompagnare l‟organizzazione in ogni sua fase evolutiva: dall‟inserimento di una nuova risorsa per formarla su "cosa" deve fare e "come", alla crescita/cambiamento delle responsabilità e dei ruoli aziendali, dove un programma di formazione continua è in grado di fornire alle risorse interne un puntuale sostegno per operare al meglio nel proprio ruolo. Persone qualificate, con esperienza, motivate sono ricercate in qualsiasi organizzazione, ma selezionarle non è sufficiente: ogni organizzazione per raggiungere e superare nel tempo gli obiettivi che si pone deve offrire ai propri dipendenti un costante supporto finalizzato ad accrescere competenze e motivazione. La formazione all'interno dell'azienda permette di dare questo supporto, che nello specifico consiste nell‟organizzazione di:
percorsi di aggiornamento per incrementare il sapere operativo dei dipendenti, poichè in un mercato in continua evoluzione è necessario appropriarsi di nuove metodologie, tecniche e idee per mantenere l'azienda competitiva sul mercato
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percorsi di sviluppo delle competenze comportamentali, comunicative e relazionali per incrementare la capacità di gestire il rapporto con i clienti sia interni che esterni
Gli obiettivi della formazione nelle organizzazioni sono molteplici. Ad esempio in relazione a esigenze di:
sviluppo delle vendite
customer care (la soddisfazione del cliente deriva dalla soddisfazione dei dipendenti)
riorganizzazioni aziendali per miglioramento dei processi
sviluppo delle capacità connesse al ruolo
miglioramento delle relazioni interpersonali con i clienti o tra i collaboratori
miglioramento del clima aziendale o dello spirito di gruppo
incremento dei livelli di produttività individuali e di gruppo
introduzione di nuove metodologie di lavoro
integrazioni tra aziende (acquisizioni o fusioni)
passaggi generazionali
Ogni attività formativa è un‟importante occasione di coinvolgimento e comunicazione in cui illustrare e riflettere sui processi organizzativi, le strategie e gli obiettivi aziendali per sviluppare e mantenere nel tempo l‟appartenenza e l‟orientamento all‟organizzazione. Gli interventi di formazione in questa logica possono avere anche lo scopo di creare o di consolidare un gruppo di lavoro. La formazione ha comunque come base l'obiettivo di accrescere le conoscenze e le competenze core di qualsiasi tipo di organizzazione: dalle PMI alla Pubblica Amministrazione, dagli Enti Non Profit alle Multinazionali. Chiediamoci, adesso, quali devono essere i requisiti necessari per svolgere questa professione.
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Il formatore deve possedere una buona cultura metodologico-didattica e competenze ed affidabilità specifiche di carattere sociale, economico e pedagogico. Questo richiede il possesso di competenze disciplinari (in pedagogia, psicologia) e multidisciplinari (in scienze organizzative, discipline "mercatolavoristiche"). Deve saper leggere la realtà economica e sociale del territorio in cui opera, possedere elementi di conoscenza dell'organizzazione aziendale e del lavoro, possedere strumenti di analisi della professionalità, conoscere le procedure e gli strumenti di analisi dei bisogni di formazione; essere a conoscenza delle metodologie di progettazione formativa, della didattica e della valutazione; conoscere le caratteristiche essenziali del processo formativo. Nonostante, allo stato attuale, per i formatori non esista un percorso universitario consolidato, per svolgere questa professione è preferibile essere laureati ad esempio in sociologia, psicologia, scienze dell'educazione, lettere. E' inoltre necessario seguire corsi di formazione per formatori presso enti specializzati e fare un periodo di pratica sul campo, affiancandosi a chi è già esperto e, soprattutto, aggiornare continuamente le proprie conoscenze. Attualmente sono circa un migliaio le grandi aziende che dispongono di personale e strutture organizzative destinate a realizzare iniziative di formazione ad uso interno.
Conclusioni Concludiamo, aprendo con la seguente affermazione : “Se ci trovassimo ad affrontare un nuovo processo di cambiamento faremmo una valutazione critica delle soluzioni proposte la prima volta. Certo che vi prenderemmo parte: ne abbiamo già gestito uno, perché non un altro? In un ambiente in evoluzione bisogna cambiare, sapersi adattare”. L‟autore di questa affermazione non è un alto dirigente ma un membro di una squadra di produzione di un‟azienda. Queste poche frasi esprimono l‟essenza della sfida che le http://scientificando.splinder.com
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organizzazioni hanno di fronte. Il cambiamento è destinato ad essere permanente perché cambiano i mercati, le tecnologie e le persone. Inoltre, il ritmo del cambiamento sta continuamente accelerando. “Re-inventare l’azienda” fa ormai parte della normale attività. Tale impulso di innovazione è necessario per sfruttare la reale fonte della ricchezza: la capacità di un‟azienda e delle sue risorse umane di migliorare continuamente i prodotti, i processi e le competenze, e di trasformare le idee intelligenti in ricchezza. Questo processo è incentrato sul cliente ed è alimentato dalla tecnologia più avanzata, ma prospera sull‟impegno e sulla competenza di tutti i membri dell‟organizzazione, che hanno imparato a guardare con occhio critico a quello che non funzionava nel passato e a ciò che potrebbe funzionare in futuro. Questo impegno al cambiamento può solo essere basato sulla fiducia, e la fiducia va conquistata attraverso il dialogo aperto, la volontà di investire nella competenza delle risorse umane, l‟esperienza di una partnership affidabile e la fiducia nella visione della direzione dell‟azienda. La conoscenza continua ad acquisire sempre maggior peso nella nostra economia. La conoscenza può essere considerata, in questo contesto, parte del capitale dell‟impresa e questo capitale è conservato in larga misura nella testa dei dipendenti. Utilizzare questo capitale per creare nuove opportunità e vantaggi competitivi è diventato di importanza strategica. L‟analisi compiuto nel modulo “La Gestione delle risorse umane” vuole offrire un contribuito a una migliore e più ampia comprensione delle sfide, cui è permanentemente esposta l‟azienda, e dei diversi approcci che possono essere adottati per affrontarle. Ha esemplificato le forti tendenze, in atto nell‟ambito delle imprese, verso organizzazioni più snelle, più decentrate e più vicine al mercato che abbreviano le linee gerarchiche, sviluppano una nuova attenzione per il lavoro in rete e la comunicazione e tendono a conferire maggiori poteri ai lavoratori. Ha evidenziato che la gestione delle competenze, un nuovo stile manageriale e lo sviluppo di nuove capacità per “lavorare insieme” sono di importanza critica per riuscire http://scientificando.splinder.com
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ad attingere alle risorse fondamentali costituite dalle conoscenze e dalle capacità e dall‟ingegno dei lavoratori. Ha anche illustrato che le chiavi del successo di un processo di cambiamento sono, da un lato, il forte impegno e la chiarezza di idee dell‟alta direzione, dall‟altro la fiducia e il rispetto reciproci tra l‟alta direzione, i lavoratori e i loro rappresentanti.
Ha, infine, evidenziato come la gestione del cambiamento e delle risorse umane sia allo stesso tempo un‟azione in corso e un processo di apprendimento
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Indice degli argomenti
Introduzione 1° sottomodulo: Problematiche nella gestione delle risorse umane (sviluppato come Learning Object) 0. Scenario e problematiche 1. Il valore del fattore umano 2. Il lavoro come fattore strategico 3. Globalizzazione e concorrenza 4. Il sistema azienda e le risorse umane 5. Un‟istantanea sulle risorse umane 6. L‟analisi delle funzioni 7. L‟acquisizione del fattore umano 8. La ricerca del personale 9. La ricerca esterna del personale 10. La selezione 11. L‟assunzione e l‟accoglimento del personale 12. L‟inserimento del personale 13. L‟addestramento e la formazione 14. L‟analisi e valutazione del lavoro 15. La valutazione delle prestazioni 16. La valutazione del potenziale 17. La programmazione della carriera 18. La retribuzione 19. La comunicazione con il personale 20. L‟amministrazione del personale 21. Le relazioni sindacali 22. La fuoriuscita del personale
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2° sottomodulo : Le strategie e gli strumenti per la gestione delle risorse umane 0. Premessa 1. Il capitale umano 2. Una cornice teorica per la gestione delle risorse umane 2.1 La teoria universalista 2.1.1. Sicurezza dell’impiego a lungo termine 2.1.2 Selettività nel reclutamento del personale 2.1.3 Gruppi auto-gestiti e decentramento decisionale come principi basilari del disegno organizzativo 2.1.4. Retribuzioni contingenti alle prestazioni organizzative 2.1.5. Formazione intensiva 2.1.6. Riduzioni delle differenze di status 2.1.7. Ampia condivisione delle informazioni 3. Il ruolo strategico della tecnologia 4. La formazione come leva strategica 5. Filosofia e strategia delle organizzazioni vincenti 6. Un‟eccellente strategia di gestione: la comunicazione ininterrotta
3° sottomodulo : Il ruolo e il profilo professionale di chi opera nella gestione delle risorse umane 0. Il quadro di riferimento 1. Il management: funzioni e strategie 1.1. La pianificazione 1.2. L‟organizzazione 1.3. La guida 1.4. Il coordinamento 1.5. Le diverse strategie di management 2. Cosa fa il responsabile delle risorse umane: un „indagine http://scientificando.splinder.com
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3. I Responsabili delle risorse umane nel non profit 4. Il ruolo di direttore generale e gli strumenti complessi di direzione 5. Quale differenza tra Direttore del Personale e Human Resources Manager? 6. Lo stile manageriale coaching oriented 7. I Professionals 7.1. Il Selezionatore 7.2. Il Formatore
Conclusioni
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