I neuroni specchio. “[…] non diversamente dai primati non umani, per lo più noi non ci limitiamo a muovere braccia, mani e bocca, ma raggiungiamo, afferriamo o mordiamo qualcosa. È in questi atti, in quanto atti e non meri movimenti, che prende corpo la nostra esperienza dell’ambiente che ci circonda e che le cose assumono per noi immediatamente significato. Lo stesso rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: non solo la percezione appare immersa nella dinamica dell’azione, risultando più articolata e composita di come in passato è stata pensata, ma il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende.”[1] La scoperta dei neuroni specchio da parte del gruppo guidato da Giacomo Rizzolatti è avvenuta nell’arco di alcuni anni di studi sulla corteccia premotoria delle scimmie macaco a cavallo degli anni 80 e 90 del secolo scorso, culminata poi nel lavoro del 1996 con la definizione proprio di neuroni specchio (mirror neurons)[2]. Già in un lavoro del 1992[3] i ricercatori guidati da Rizzolatti si erano accorti che vi era un’area (F5, vedi oltre per la spiegazione) nel cervello della scimmia che rispondeva “ sia quando la scimmia effettuava una determinata azione (per esempio, afferrava del cibo) sia quando osservava un altro individuo (lo sperimentatore) compiere un’azione simile. A tali neuroni è stato dato poi il nome di neuroni specchio (mirror neurons).”[4]
Il sistema motorio. La distinzione classica ottenuta con l’elettrostimolazione superficiale della corteccia motoria sia nella scimmia che nell’uomo[5] divideva il sistema motorio in due aree: l’area motoria primaria (MI) e l’area motoria supplementare (SMA o anche MII). Questa suddivisione però non si accordava perfettamente con quella citoarchitettonica preparata da Brodmann agli inizi del 1900[6]. Egli infatti ripartiva questa parte del lobo frontale in due aree, numerate 4 e 6, (Fig. 1- Fig. 2)basate sulla distribuzione delle cellule piramidali. Dai rilevamenti di Woolsey l’area motoria primaria occupava tutta l’area 4 di Brodmann e parte di quella 6, mentre l’area motoria supplementare occupava la parte mesiale (quella più vicina alla parte mediana del cervello) dell’area 6. Per evitare l’incongruità citoarchitettonica (l’area MI era sia nell’area 4 che in quella 6) Woolsey ipotizzò che a questa differenza non corrispondesse diversità funzionale ma una differente rappresentazione somatotopica, con la rappresentazione dei movimenti distali (più lontani dal centro del corpo) quali movimenti delle mani, del piede e della bocca nell’area 4 e quelli prossimali come braccia e gambe, nell’area 6.
In seguito si dimostrò che il sistema motorio era molto più suddiviso di quanto si pensasse.[7] (Fig. 3) La corteccia motoria primaria (MI/F1) occupava l’area 4 di Brodmann mentre l’area 6 era divisa in tre parti (a loro volta suddivise in rostrale e caudale): mesiale (F3 –SMA- e F6 –pre-SMA), dorsale (F2 –corteccia premotoria dorsale- e F7 –pre-PMd) , e ventrale (F4 e F5, corteccia premotoria ventrale).
Fig. 1 Area 4 di Brodmann (fonte En-wikipedia)
Fig. 2 Area 6 di Brodmann (fonte En-wikipedia)
Fig. 3 Vista laterale e mesiale del cervello di macaco(fonte Scholarpedia)
Il lavoro con utilizzo di tecniche elettrofisiologiche ha evidenziato una serie di caratteristiche distinte per ognuna di queste aree. Per esempio l’area F3 ha bisogno di correnti a bassa intensità per scaricare e contiene una rappresentazione completa dei movimenti corporei mentre per l’area F6 sono necessarie correnti a elevata intensità e la sua rappresentazione riguarda i movimenti complessi delle braccia. Anche le altre aree hanno caratteristiche di eccitabilità e di rappresentazione diverse una dall’altra. In sostanza si fa strada l’idea che, al pari di quello che era successo con le aree sensoriali (e cioè il fatto che le proiezioni degli organi di senso sulla corteccia siano molteplici) anche per le aree motorie si assiste alla scoperta di una ridondanza di aree deputate al controllo motorio, con un affinamento dei ruoli legati al movimento a secondo delle necessità dell’organismo, tra le quali, come vedremo, vi è quella di comprendere il mondo anche senza muoversi.
Ulteriori connessioni. A complicare la questione bisogna considerare che l’insieme delle cortecce motorie non ha
relazioni solo all’interno del circuito motorio (connessioni intrinseche) ma anche con altre aree corticali (connessioni estrinseche) nonché con aree sottocorticali e spinali (connessioni discendenti). Per esempio, le aree F2 e F5 , entrambe in posizione caudale, sono connesse direttamente a F1 (corteccia motoria primaria) e hanno reciprocamente un legame somatotopico, mentre le aree rostrali F6 e F7 non inviano a F1 ma a tutte le altre aree motorie.[8] Anche nelle connessioni discendenti esistono differenze: F1,F2,F3 e parte di F4 e F5 originano il tratto cortico-spinale mentre F6 e F7 non sono collegate affatto al midollo ma a altre aree corticali, con la conseguenza di un controllo indiretto sull’atto motorio. Altro aspetto interessante è dato dal fatto che F1 invia proiezioni sia alla regione intermedia del midollo spinale che direttamente ai motoneuroni, cosa che non accade alle altre aree del tratto cortico-spinale che proiettano esclusivamente nella regione intermedia, rendendo conto del maggior regolamento di finezza del movimento di F1 rispetto alle altre aree. Altra parte importante delle proiezioni motorie sono le connessioni estrinseche, che consistono nelle afferenze provenienti da tre zone: il lobo prefrontale, la corteccia del cingolo e il lobo parietale. Il lobo prefrontale ha importanti funzioni definite di ordine superiore, tra le quali quella chiamata progettazione del comportamento[9], di cui si ha un esempio storico che è diventato un classico degli studi neuroscientifici: il caso di Phineas Gage. Infatti, i soggetti con danni in questo lobo presentano la peculiarità dell’essere impulsivi e dotati di scarsa concentrazione e basse capacità di giudizio, cosa che si riscontra anche negli individui affetti da schizofrenia nei quali questa zona ha un’attività ridotta rispetto agli altri. Da questi fatti si ritiene che il lobo prefrontale rappresenti l’area della formazione delle intenzioni a agire. Nel lobo parietale è situata la corteccia somatosensoriale primaria (SI), il livello più importante di integrazione tattile e dolorifica. Il lobo è diviso in due parti, il lobo parietale superiore (SPL) e il lobo parietale inferiore (IPL) da un solco, detto appunto solco intraparietale (IP). Ciascuna di queste due parti in cui è diviso il lobo parietale è composta da molte aree di elaborazione indipendenti, che riguardano sia l’aspetto somatosensoriale che quello visivo. Un aspetto fondamentale del lobo parietale posteriore è che presenta una distribuzione citoarchitettonica simile a quella motoria ma soprattutto che in quest’area è stata osservata un’attività legata a atti motori.[10] Infine la corteccia del cingolo sembra coinvolta nei processi motivazionali e affettivi che stanno alla base delle intenzioni motorie.
Ora, le aree motorie sono divise in anteriori (F6 e F7) e posteriori (da F1 a F5) ma anche le loro connessioni estrinseche si possono suddividere in questa maniera. Infatti le zone motorie anteriori si connettono con il lobo prefrontale e con la corteccia del cingolo mentre quelle posteriori con il lobo parietale. Le diverse aree corticali inviano informazioni
differenti alle aree motorie, a seconda della loro specializzazione, da cui segue che le funzioni di queste aree motorie saranno diverse. Il controllo del movimento di una gamba o di un braccio avranno bisogno delle afferenze parietali per l’individuazione della collocazione dei vari distretti corporei nello spazio e anche con riguardo alle informazioni visive per raggiungere un oggetto o per afferrarlo. Mentre dalla via anteriore e cioè dal lobo prefrontale e dalla corteccia del cingolo arriveranno i controlli motivazionali e temporali sugli atti motori. I risultati degli studi più recenti sul sistema motorio hanno quindi evidenziato come alla semplice suddivisione iniziale del sistema motorio cerebrale se ne sia sostituita un’altra più complessa e articolata e soprattutto come si sia integrata nella gestione del movimento anche un’area, come quella parietale, tradizionalmente ritenuta unicamente associativa e come si sia riconosciuto il ruolo delle aree anteriori (corteccia prefrontale e del cingolo) nel controllo di intenzioni e pianificazione dell’atto motorio.
I neuroni specchio. Se vogliamo compiere un atto motorio come quello di afferrare una tazzina dobbiamo disporre di un sistema di trasformazione delle proprietà visuo-spaziali dell’oggetto in un insieme di istruzioni su come disporre i segmenti corporei e di un sistema di controllo dell’apparato muscolo-scheletrico che esegue il compito. Quest’ultimo compito si realizza con l’intervento della corteccia motoria primaria (F1) grazie ai suoi collegamenti diretti con i motoneuroni del midollo spinale. Si è anche verificato che una lesione nell’area F1 comporta una riduzione di forza e la difficoltà di muovere le dita indipendentemente.[11] L’area F1 però manca di una caratteristica importante. “F1, però, non ha un accesso diretto all’informazione visiva, e i pochi neuroni di quest’area che rispondono a stimoli visivi non possiedono caratteristiche tali da poter trasformare le proprietà geometriche degli oggetti nelle opportune configurazioni motorie. Queste trasformazioni sono indispensabili per atti come l’afferrare, e da qualche anno sappiamo che esse dipendono in modo decisivo dall’area F5.”[12] In questa frase sono racchiuse due informazioni complementari: F1 non possiede strutture proprie per garantirsi l’atto in assenza di collegamento con input sensoriali che fungono come guida dei correlati spaziali del mondo; F5 “non codifica singoli movimenti, bensì atti motori, cioè movimenti coordinati da un fine specifico.”[13] Inoltre quest’area scarica non solo quando l’arto corrispondente (ipsilaterale) compie il gesto, ma anche quando lo compie l’arto controlaterale o quando addirittura lo esegue con la bocca. Questa caratteristica di specificità di F5 di rappresentare un atto completo ha permesso di costruire una serie di classi distinte di neuroni come: “neuroni-afferrare-con-la-mano-econ-la-bocca”, “neuroni-afferrare-con-la-mano”, “neuroni-tenere”, “neuronimanipolare” e così via. Ma non finisce qui. Quasi tutti i neuroni dell’area F5 possiedono quelle caratteristiche elencate sopra. Una cosa particolare invece, e della quale i ricercatori si accorsero fin dai primi lavori, è che una parte dei neuroni di F5 risponde anche a stimoli visivi.[14]
La riprova di questa loro capacità si evidenziava nelle attivazioni cerebrali della scimmia impegnata a compiere un atto come afferrare o a osservare quell’atto compiuto dallo sperimentatore.[15],[16] In entrambi i casi si aveva un’attivazione dei neuroni dell’area F5 sia quando l’atto di afferrare era compiuto da lei sia quando era compiuto dallo sperimentatore e solo osservato dalla scimmia. In seguito, oltre che nell’area premotoria F5, i neuroni specchio sono stati individuati anche nel lobulo parietale inferiore (IPL)[17],[18]. Questa zona parietale riceve proiezioni dalla scissura temporale superiore (STS), area coinvolta nella visione del movimento biologico, e invia segnali alle aree premotorie, compresa la F5 (Fig. 4). Ora, tutte queste osservazioni furono effettuate sulla scimmia, (Fig. 5) registrando l’attività dei neuroni nelle aree corticali. Negli umani, le medesime evidenze sono sostenute solo da indagini indirette: neurofisiologiche (elettroencefalogramma EEG, magnetoencefalogramma MEG, stimolazione magnetica transuranica TMS) e da neuroimmagini (tomografia a emissione di positroni PET, risonanza magnetica funzionale fMRI). Recentemente, come vedremo in seguito, è stata prodotta una registrazione corticale di alcune classi di neuroni specchio[19].
Fig. 4 Sistema dei neuroni specchio nell'uomo.
Fig. 5 Registrazione selettiva di neurone di F5 che scarica durante l'osservazione (A) e l'afferramento (B) (fonte Scholarpedia)
Ruolo dei neuroni specchio. Qual è il ruolo dei neuroni specchio? Sono state fatte alcune ipotesi, che esamineremo nel dettaglio, e che pretendono spesso una funzione esclusiva dei neuroni specchio, cosa che forse non è. Essi possiedono una caratteristica generale, utilizzata da diversi meccanismi per trattare l’informazione in ingresso e produrre una comprensione del mondo, pur senza muoversi.
Comprensione delle azioni e imitazione. La prima spiegazione del fenomeno fornita da Rizzolatti e il suo gruppo [20] è stata quella che i neuroni specchio servivano a comprendere le azioni altrui. Notavano che la pura
comprensione visiva non forniva quelle caratteristiche implicite nell’atto osservato (questa nozione di movimento implicito dovrebbe farvi ricordare un altro lavoro, si veda qui fisica e neuroscienze) che permettono di comprendere la finalità dell’insieme di movimenti. Vi propongo un parallelismo con una situazione cognitiva che può avere attinenza con la comprensione “implicita”: finchè non comprendiamo un gioco di parole o un indovinello o la relazione esistente tra parole diverse, pur essendo consapevoli del significato di ogni singola parola e pure dell’insieme, non riusciamo a cogliere il “significato” che sta oltre la semplice presentazione di segni dotati di contenuto semantico. Quando ci viene svelato o lo comprendiamo da noi, abbiamo una conoscenza che va-al-di-là della semplice comprensione punto a punto di quello che ci viene detto. La differenza tra prima e dopo, per me, rappresenta in qualche modo la differenza tra il comprendere gli atti altrui attraverso i neuroni specchio e comprenderli solo come insieme di coordinate spaziali e superfici riflettenti. L’autore definisce questa comprensione delle azioni una “rudimentale forma di interazione sociale”, dalla quale si può costruire un mondo comunicativo. Uno di questi può essere l’imitazione, un metodo attraverso il quale il soggetto non solo comprende le azioni altrui ma è anche in grado di riprodurle. Questo può essere utile, per esempio, quando i gesti che compongono l’atto sono compresi in sé ma non appartengono, come un tutto unico, al repertorio dell’osservante, come accade nelle tecniche per catturare le termiti degli scimpanzé o nella tecnica di lavare le patate prima di mangiarle nei macachi. Questa osservazione non sfugge agli autori, che infatti ipotizzano sia un ruolo di ripetizione di un’azione[21] che un ruolo nell’apprendimento imitativo[22]. Quest’ultimo caso richiede comunque l’intervento del lobo prefrontale, in considerazione del fatto che occorre un’integrazione tra ingressi motori semplici e modelli motori complessi.
Comprensione delle intenzioni. Oltre a comprendere un’azione, quando osserviamo qualcuno compiere un atto come raccogliere qualcosa, noi possiamo anche comprendere l’intenzione del soggetto osservato se, sempre per rimanere in tema di afferrare con le mani, per esempio raccoglie una mela. Noi possiamo cioè comprendere se il suo intento è quello di spostarla o quello di mangiarla, prima che l’atto stesso si concluda. Questo fatto fu ipotizzato abbastanza presto[23], ma solo recentemente è stato provato. L’esperimento[24] sottoponeva a un gruppo di volontari l’osservazione di gesti non contestuali e di gesti contestuali, che permettessero di capire l’intenzione dietro il gesto. Solo nel secondo caso si attivarono le aree dei neuroni specchio, dimostrando che oltre la comprensione motoria era coinvolta pure la comprensione delle intenzioni. Per capire i meccanismi sottostanti la comprensione delle intenzioni sono stati fatti altri studi. In uno di questi[25], sono state addestrate delle scimmie con due differenti scopi:raccogliere un oggetto per riporlo in un contenitore e raccogliere un oggetto per mangiarlo. Si è notato che la parte iniziale dell’atto, cioè raggiungere e raccogliere l’oggetto, era la stessa in entrambi i casi, mentre la parte finale comportava attivazioni diverse. Cosa interessante fu osservare che alcuni neuroni dell’area IPL registrati durante l’esperimento si attivavano solo per certi scopi, per esempio raccogliere-per-riporre rispetto a raccogliere-per-mangiare. Questo legame dell’attivazione neurale legata allo scopo dell’atto di raccogliere, implica la comprensione del fine di un gesto, del perché uno agisce e non solo del come agisce.
A questo riguardo sono state proposte anche ipotesi di legame tra autismo e deficit dei neuroni specchio, inteso come mancanza della comprensione degli scopi degli atti altrui. Alcuni studi sembrerebbero comprovarlo[26],[27] . Si veda anche questa mia segnalazione.
Empatia. In un esperimento[28] che utilizza la fMRI si è sottoposto un gruppo di volontari o a un odore disgustoso o a un filmato con persone che mostravano un’espressione di disgusto. Questo allo scopo di vedere se le aree attivate durante la visione delle persone che mostravano un’espressione di disgusto erano le stesse di chi odorava direttamente. In entrambi i casi si attivavano le medesime aree: l’insula anteriore e il cingolato anteriore. Un altro lavoro[29], sempre con fMRI, ha dimostrato che anche nel caso dell’empatizzazione del dolore, vi sono aree cerebrali che si attivano in entrambi i casi. L’esperimento prevedeva che un gruppo di soggetti prima facessero esperienza di uno stimolo doloroso poi osservassero una persona amata sottoposta u uno stimolo doloroso. La corteccia cingolata anteriore rostrale, insula anteriore, tronco encefalico e cervelletto si attivarono in entrambi i casi. Anche se la condivisione empatica si realizzata solo sul piano affettivo ma non su quello sensoriale, pure vi era identità di aree attivate. Vi sono quindi notevoli evidenze del coinvolgimento dell’insula sia nel provare direttamente istanze emotive sia indirettamente attraverso il meccanismo dell’empatia.
Il linguaggio. I vocalizzi dei primati sono mediati principalmente[30] dalla corteccia cingolata, dalle strutture del diencefalo e dal tronco encefalico, mentre nell’uomo, le aree che sottendono al parlato sono situate intorno alla scissura di Silvio, incluso il gyrus frontale inferiore. Altre caratteristiche differenziano i vocalizzi animali dal parlato umano: per esempio il fatto che il parlato umano non è sempre connotato emotivamente, mentre il vocalizzo animale lo è, oppure, spesso l’interazione vocale tra umani è a due (comizi a parte) mentre negli animali non c’e un unico destinatario delle emissioni e poi c’è il fatto che una patologia come l’afasia preserva la capacità degli umani di emettere dei vocalizzi come quelli dei primati non umani, facendo ipotizzare che siano due sistemi diversi. Queste premesse servono per supporre che l’evoluzione dell’attuale linguaggio parlato non derivi da un antico vocalizzo bensì da un primordiale linguaggio dei segni[31]. Viene da sé che il gesto usato a fini di comunicazione linguistica trova un suo naturale alveo nel sistema dei neuroni specchio[32]. Chi riceve il messaggio non necessita di una elaborazione cognitiva del messaggio gestuale, se è in grado di riprodurre dentro di sé il significato che il trasmettente vi ha inserito. E ciò avviene, come visto sopra, attraverso il meccanismo della comprensione delle azioni altrui, dell’imitazione, della comprensione delle intenzioni e dell’empatia.
In considerazione di questi elementi e del fatto che la parte caudale dell’area del gyrus frontale inferiore corrisponde all’area di Broca, Rizzolatti e Arbib hanno proposto il sistema dei neuroni specchio all’origine del linguaggio umano.
Critiche ai neuroni specchio. Come ogni teoria che si rispetti anche questa ha avuto i suoi oppositori e critici. Per esempio, vi è chi sostiene[33] che la teoria di base nella quale è inscritta quella dei neuroni specchio è una teoria eliminativista, fondata sulla rappresentazione sensori-motoria alla quale tutta la cognizione può essere ricondotta. A tutt’oggi però, secondo questo autore, “non è stato dimostrato che i neuroni specchio svolgano davvero un ruolo funzionale nella comprensione dell’azione. E, anche se lo svolgessero, in quale modo lo fanno.”[34]Inoltre, si afferma che prove certe dell’esistenza dei neuroni specchio si siano ottenute nella scimmia grazie alla registrazione dell’attività di singoli neuroni mentre nell’uomo non è possibile farlo, per ovvi motivi etici. Nell’uomo, le prove che si sono ottenute, a causa dei limiti delle tecniche non invasive, non mostrerebbero la necessaria selettività di osservazione di singoli neuroni indispensabile per confermarne l’esistenza. A questo scopo, A. Caramazza, utilizzando la fMRI adaptation, una nuova tecnica che permette di osservare l’adattamento neurale a un compito ripetuto, ha predisposto questo lavoro[35]. Obiettivo dell’esperimento era verificare se vi era adattamento dei neuroni coinvolti nell’azione e in quelli coinvolti nella comprensione motoria (neuroni specchio) sulla base del principio di adattamento che dice che uno stimolo ripetuto attiva risposte sempre meno intense, e i loro risultati sono stati i seguenti: si è trovato adattamento per atti motori ripetutamente osservati e ripetutamente eseguiti; per atti motori prima osservati e poi eseguiti (come ci si doveva aspettare dalla teoria); ma, criticamente, non si è trovato adattamento per atti motori nel caso in cui prima vi è stata esecuzione e poi osservazione. Questo fallimento cross-modale sarebbe dunque incompatibile con le premesse della teoria dei neuroni specchio che afferma che sia l’azione di riconoscimento che la comprensione sono basate su una simulazione motoria. V. Gallese, collaboratore di Rizzolatti, in questa intervista[36] afferma che, per esempio, il lavoro di N. Kanwisher[37] dell'MIT di Boston, utilizzando la medesima tecnica della fMRI adaptation, dimostrerebbe l’esistenza dei neuroni specchio nell’uomo. In più, afferma che “La metodica dell'fMRI adaptation non è in grado di verificare sperimentalmente in modo attendibile l'esistenza o l'inesistenza di alcun meccanismo neurale descritto a livello neurofisiologico. Questo non lo affermo io, ma lo ha scritto l'anno scorso assieme ai suoi collaboratori in un lavoro uscito su Trends in Neuroscience il Prof. Logothetis[38],[39], direttore dell'Istituto Max Planck di Tubingen, probabilmente la maggiore autorità scientifica in campo mondiale su queste tematiche. In sostanza stiamo discutendo del nulla.”[40]
La prova che mancava? A sopire momentaneamente le discussioni attorno l’esistenza dei neuroni specchio nell’uomo c’è questo studio realizzato da M. Iacoboni su Current Biology[41]. Gli autori hanno registrato in vivo l’attività di 1177 neuroni in pazienti affetti da epilessia intrattabile con i farmaci e nei quali occorreva verificare con elettrodi impiantati nel cervello la presenza di focolai epilettogeni. Nell’area motoria supplementare (SMA), nel lobo
temporale mediale, nella corteccia entorinale e nel giro paraippocampale, gran parte dei neuroni rispondevano sia all’osservazione che all’azione di raccogliere con la mano e a espressioni facciali. “Queste scoperte suggeriscono che nell’uomo, molti sistemi possono utilizzare i neuroni specchio sia per l’integrazione che la differenziazione di aspetti motori e percettivi di azioni eseguite da se stessi e da altri.”[42] Sarà questa la prova definitiva della presenza dei neuroni specchio nell’uomo? Vi lascio con questa intervista di G. Rizzolatti sui neuroni specchio, sulle critiche, sul lavoro di Iacoboni e sul ruolo dei neuroni specchio nell’autismo, con il brio dell’ appassionato e la chiarezza del divulgatore. Pagina della rivista Moebiusonline dove scaricare l'audio dell'intervista http://www.moebiusonline.eu/fuorionda/Neuroni_specchio.shtml Intervista a G. Rizzolatti su YouTube http://www.youtube.com/watch?v=fjJhD9fwej8
(Fonti: G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai, Raffaello Cortina Editore, 2006 http://www.scholarpedia.org/article/Mirror_neurons http://www.unipr.it/arpa/mirror/english/staff/rizzolat.htm http://www.moebiusonline.eu/
[1] G.
Rizzolati, C. Sinigaglia, So quel che fai, Raffaello Cortina editore 2006, p. 3.
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[4] G.
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