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notiziario

PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLI - N. 9 Dicembre 2010 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

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04 l© politica L’ANPI al futuro intervista a Giacomo Notari di Glauco Bertani e Antonio Zambonelli 06 l© politica Palestina. I bambini di Seilat Carlo Pellacani e Alberto Pioppi

PALESTINA 2000-2010 GIUSEPPE CARRETTI

12 l© politica Cervarolo. Il processo di Verona Matthias Durchfeld 28 l© generazioni Valentina e Slim, una storia d’amore Carla Maria Nironi


LA COPERTINA

GIUSEPPE CARRETI

Giuseppe Carretti 10 anni fa in Palestina in occasione del convegno italo-palestinese “Per la pace nel Medio-Oriente” settembre 2000.

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Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi

Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia il 17-11- 2010 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 CCP N. 3482109 intestato a: Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI


notiziario

sommario Editoriale - Una nuova Resistenza, di Antonio Zambonelli ............................... 3 Politica - “Viviamo con disagio questa frantumazione delle forze politiche...”, intervista a Giacomo Notari, di Glauco Bertani e Antonio Zambonelli ........................................ 4 Politica-solidarietà: - Palestina: Seilat al Daher, la scuola dell’ANPI . ..................... 6 - Svanisce il sogno della pace in Palestina, di Carlo Pellacani. 7 - I domani negli occhi, di Alberto Pioppi ................................. 9 - Il governo in morte assistita, di Fiorella Ferrarini ......................... 10 - Silenzio in aula. Il processo di Verona ai responsabili della strage di Cervarolo, di Matthias Durchfeld . ........................ 12 - Adro, la scuola con i simboli leghisti, di Anna Fava . .................... 14 - Mario Scelba, antifascista e difensore della libertà? di Antonio Zambonelli . ............................................................... 19 - Filippeide e cultura padana, di a. z. . ........................................... 16 Estero - Le favelas tutte per Lula e Dilma Rousseff, di Bruno Bertolaso . .. 22 Economia - L’industria tra crescita bassa ed elevate incertezze, di Azio Sezzi .18 Cultura - Anche a Reggio il testamento biologico, di Donatella Chiossi ...... 20 - Una scuola nazionale di storia del paesaggio agrario all’Istituto Cervi, di Gabriella Bonini............................................ 21 - Mar Nero, un mare di storia, di Angelo Bariani ............................ 22 - Cervarolo, una strage nazifascista dimeticata. Il libro di Storchi e Rovali, di a.z . ................................................ 24 - Attilio Gombia è “ritornato” nella sua Bassa . .............................. 25 - Aperte le iscrizioni al “Teatro della memoria”, di ge. bi. .............. 27 Ricorrenze - Nozze d’oro: Paolo Borciani e Cosetta Oliveti Giuseppe Campioli e Giuliana Montanari . ................................... 27 Generazioni - Valentina e Luciano Fornaciari Slim. Una storia d’amore, di Carla Maria Nironi .................................................................. 28 Memoria - Giuseppe Ferrari, un partigiano, di Katia Pizzetti e Stefano Morselli . ............................................ 38 - Giuseppe Carretti, un ricordo, di Alessandro Fontanesi . .............. 39 - Velia Ulassati. La donna con il soprabito bianco, di Bruno Grulli .. 40 - Buvolo 6 ottobre 1944. I partigiani costretti ad attraversare l’Enza in piena. Il racconto di Francesco Bertacchini, Volpe, a cura di Glauco Bertani ............................................................. 42 - Povigliesi per esempio. Una serata per Dante Bigliardi, di Luciano Longhi . ..................................................................... 45 - Ala Becchi ed Ero Righi. Una vita di sofferenza e dolore, ma anche di amore e solidarietà, di Corrado Bellesia e Gaetano Davolio ..... 46 - I fascisti arrestano i dirigenti della Resistenza reggiana, a cura di gl. ber. ......................................................................... 49 - Giovanni Bernuzzi morto in un lager nel 1944, di a.z. . ............... 50 - Ricordo di Piero Simonini, di Alessandro Carri . ........................... 51 Lutti ............................................................................................. 52 Anniversari ................................................................................. 54 Offerte ......................................................................................... 57 Le rubriche - Cittadini-democrazia-potere, di Claudio Ghiretti . ........................ 32 - Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli ................................ 33 - Segnali di Pace, di Saverio Morselli ............................................ 34 - Primavera silenziosa, di Massimo Becchi ................................... 36 - Conoscere gli altri, di Riccardo Bertani ....................................... 37 - Reggio che parla, di Glauco Bertani ............................................ 58

editoriale

di Antonio Zambonelli

UNA NUOVA RESISTENZA

contro i rischi di una deriva populista e reazionaria Verso il XV Congresso nazionale operando “di nuovo come allora” per la più vasta intesa tra tutte le forze politiche e sociali che hanno a cuore le sorti del Paese e il futuro delle nuove generazioni. Nel marzo del 2011 si terrà a Torino, prima capitale dell’Italia come Stato, nel 1861, il XV Congresso nazionale dell’ANPI. Saremo proprio nel pieno delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità nazionale. Una ricorrenza che avrà anche nella nostra città capoluogo un avvio assai denso di significato il 7 gennaio p.v., quando il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano sarà con noi a celebrare il 214° anniversario della nascita del Tricolore. Sarebbe bello se da oggi in avanti venisse ripristinata la definizione di Reggio Emilia che fu cara a Cesare Campioli, il Sindaco della Liberazione e della Ricostruzione democratica: CITTA’ DEL TRICOLORE E MEDAGLIA D’ORO DELLA RESISTENZA. In questo scorcio di anno 2010 l’ANPI reggiana è già impegnata, e lo sarà fino ai primi di febbraio, nella effettuazione dei congressi delle Sezioni comunali in vista del Congresso provinciale che si terrà presumibilmente entro la prima decade di febbraio. Congressi si stanno tenendo, in preparazione di quello nazionale, in tutta Italia, dalla Sicilia alla Lombardia. Oggi vi sono infatti organizzazioni dell’ANPI in tutte le 110 province italiane, mentre nel 2009 l’ANPI era presente solo in 81. Questo dato viene richiamato, con giusto orgoglio, nel documento politico programmatico che l’ANPI nazionale propone alla discussione congressuale. Un documento che parte da una serrata analisi della grave e

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editoriale continua da pag. 3 pericolosa situazione politica nazionale nel quadro della crisi più generale che pervade l’intero pianeta, ciò che rende necessaria la promozione di una “positiva unità antifascista europea”. In sede nazionale l’ANPI dovrà accentuare il proprio ruolo di sollecitazione per l’unità delle forze del lavoro e delle forze politiche antifasciste, come del resto ribadito dal nostro presidente Notari nell’intervista che segue. Tale esigenza si fa tanto più necessaria nel momento di incertezza politica che sta vivendo il nostro Paese mentre stendiamo queste note: un berlusconismo che pare in crisi terminale e perciò tanto più rischioso per gli assetti democratici dell’Italia, dopo le devastazioni sociali, politiche e culturali prodotte in anni di inconcludente populismo, fa temere “colpi di coda” ai quali si dovrà saper reagire sul terreno della chiarezza democratica. Già da tempo, e sempre più nelle prossime settimane, l’ANPI è costantemente impegnata nel dare concretezza al proprio ruolo di associazione ad un tempo custode delle radici antifasciste della nostra democrazia repubblicana e protagonista, assieme a tutte le forze democratiche, di momenti alti della politica in difesa dei diritti e delle libertà costituzionali. Si apre da oggi una nuova fase per la nostra Associazione, anche perché molti uomini e donne, nati dopo la fine della guerra, molti giovani lavoratori e studenti, ne sono entrati a far parte, spesso assumendo ruoli importanti in seno agli organismi dirigenti a fianco dei vecchi partigiani mentre sono contemporaneamente impegnati nelle battaglie democratiche sui luoghi di lavoro e nella scuola. L’ANPI chiama ad una Nuova Resistenza non solo contro le pericolose derive anticostituzionali, ma anche e soprattutto per l’avvento al governo del Paese di forze democratiche che sappiano riprendere il cammino dello sviluppo sociale secondo le linee irrinunciabili della Costituzione repubblicana. Nel fare questo l’ANPI dice no con fermezza ai rischi di violente contestazioni estremistiche. L’Italia ha già dolorosamente sperimentato negli anni Settanta i frutti velenosi di una violenza che si pretendeva “rivoluzionaria”. Per questo “di nuovo come allora”, occorre operare per la più vasta intesa tra tutte le forze politiche e sociali che hanno a cuore le sorti del Paese ed il futuro delle giovani generazioni. Antonio Zambonelli

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ne o i z a s r ve ari t o N o m o

N O C iac

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in vista del XV Congresso dell’ANPI a cura di Glauco Bertani e Antonio Zambonelli L’ANPI reggiana ha più di 65 anni. Come potresti riassumere per un giovane questa lunga storia? Qual è il suo filo conduttore? Ecco, l’ANPI nasce a Roma subito dopo la Liberazione di questa città. E perché nasce? Perché dopo la Liberazione di Roma e in vista della futura liberazione dell’Italia intera, i partigiani sentono la necessità di dar vita a una associazione di Resistenti, consapevoli degli enormi problemi che si sarebbero posti di fronte al Paese. Era stato sconfitto, sì, il fascismo, ma c’era ancora una monarchia che aveva tutte le responsabilità politiche riguardanti la nascita del fascismo e la condotta della guerra, fino alla fuga dello stesso re che abbandona Roma dopo l’armistizio; si è sentita, perciò, la necessità di costituire un’organizzazione di Resistenti che, fortunatamente, in quel momento ricalcava anche un po’ il CLN, la struttura politica unitaria che aveva guidato la Resistenza. L’ANPI nacque, infatti, come organizzazione unitaria; solo successivamente, tra il ’47 e il ’48, avvenne la scissione, purtroppo come accadde in alcuni partiti, nel sindacato e in diverse altre realtà. Avvenimenti causati dalla spartizione del mondo da parte degli Alleati che avevano vinto la guerra. E anche l’ANPI ne fu travolta. Un fatto che abbiamo giudicato un grande danno, perché tutti i problemi a cui accennavo prima erano aperti e si sarebbero affrontati meglio con una grande organizzazione di resistenti antifascisti, magari da estendere anche nelle regioni del Sud, dove la Resistenza praticamente non c’era stata ed essere uniti per affrontarli avrebbe certamente influenzato positivamente gli avvenimenti futuri.

Si sta preparando il 15° congresso, un congresso che parte con la modifica dello statuto: dove ora si dice che non è più necessario essere stati partigiani o comunque legati in qualche forma alla Resistenza per diventare dirigenti dell’associazione. Come ti immagini l’ANPI del futuro, allora? Ma, io sono uno di quelli che ha sentito, magari, anche prima di altri una tale necessità… dopo tanti anni, insomma, perché poi la generazione della guerra partigiana se l’è portata via in buona parte la natura. Si è sentita, perciò, la necessità che la grande eredità della Resistenza - che ha portato la libertà, la democrazia, le libere elezioni, la cooperazione, la Costituzione - fosse consegnata alle nuove generazioni. Prima della Resistenza c’era il fascismo, c’era la dittatura, perciò questa grande eredità occorreva che qualcuno la tutelasse. Da qui la necessità di dar vita ad una grande organizzazione antifascista che prendesse in eredità il patrimonio della Resistenza, una pagina splendida della storia d’Italia. Quando mai è successo che centinaia di migliaia di giovani e di donne abbandonassero le loro case, prendessero le armi (pagati da nessuno) con sacrifici e con decine di migliaia di morti… credo sia stato un miracolo, accaduto anche in gran parte d’Europa, ma soprattutto nel nostro Paese. Allora, questa grande eredità è bene che passi nelle mani dei giovani e che si estenda anche nelle regioni del Sud, dove la Resistenza non c’è praticamente stata, perché i problemi sono tanti… i problemi dello sviluppo, i problemi dell’antifascismo, i problemi della democrazia e al Sud più che al Nord c’è da combattere la mafia, la camorra e lo sfruttamento delle masse contadine oggi rappresentate anche dalle migliaia di


politica

o i g a s i d n o c o m "vivia ne o i z a m u t n a r f a t s que " . . . e h c i t i l o p e z delle for nuovi italiani, penso agli immigrati… ecco, perciò, che c’è bisogno che questa grande organizzazione antifascista fissi le proprie radici proprio nelle Resistenza. Il fatto che decine e decine di migliaia di persone, giovani soprattutto, che non hanno fatto la Resistenza e che chiedono l’iscrizione all’ANPI per avere una funzione proprio nel senso antifascista, credo sia la conferma del grande valore del 25 Aprile, che non va messo in discussione, come pretende qualcuno, ma va considerato invece una grande conquista… una tappa dell’antifascismo che è riuscito a sconfiggere il fascismo e riaprire le porte alla democrazia…

Ecco, noi siamo questi e stiamo attenti e non perderemo occasione per richiamare l’attenzione di tutti partiti, dei militanti dell’ANPI, dei cittadini non iscritti a nessun partito per non farsi trovare impreparati di fronte ai pericoli che minacciano la democrazia, la Costituzione, le Istituzioni, le classi meno abbienti. E’ questa la prospettiva che l’ANPI deve avere nei prossimi anni, nei prossimi decenni. Guai invischiarlo in qualche etichetta partitica. L’ANPI deve essere, ripeto ancora, una grande organizzazione antifascista a difesa della Costituzione, di questa grande ricchezza che abbiamo ereditato, conquistato con la Resistenza.

Partendo da questa nuova realtà quale potrà essere il nuovo rapporto coi partiti ora che l’essere stati partigiani non è più quel “filtro” che in qualche misura faceva la differenza tra l’essere militante di un partito e al tempo stesso associato all’ANPI? Come potrà, insomma, l’ANPI rappresentare i valori e le idealità per le quali era nata, perché l’ANPI, secondo me, è una associazione politica ma non partitica… L’ANPI è una grande organizzazione politica, non è solo un insieme di partigiani o di antifascisti più giovani che stanno al margine della società italiana per vedere cosa succede. E’ una grande associazione antifascista, attenta, però, a tutte le cose che si muovono nel Paese. Tuttavia non è la cinghia di trasmissione di nessun partito - e lo dirò al congresso. Su questo bisogna essere molto fermi… perché l’ANPI è stata una delle prime, direi la prima a prendere posizione vedendo i pericoli che minacciano la Costituzione e di recente anche la magistratura… a questo governo danno fastidio persino il Presidente della repubblica e la Corte costituzionale.

Il rapporto coi partiti, come stavi dicendo, deve essere di stimolo per quei partiti… Sì, sì… …che si riconoscono nei valori di cui l’ANPI è portatrice affinché operino – una volta si diceva “in modo unitario”… e si ponga anche fine a quell’eccesso di polemiche, di rotture che ci sono state anche in seno allo schieramento complessivamente antifascista… Infatti, noi diciamo che viviamo con disagio questa frantumazione delle forze politiche, sindacali mentre il nemico da combattere è uno, non si può andare avanti divisi. Ripeto, l’ANPI è un elemento proprio di ricucitura, un mastice che si mette attorno a questo forze politiche e dice: “andiamo in questa direzione”... Solo perché l’ANPI aiuta lo schieramento democratico ad opporsi ad un nemico e a sconfiggerlo o perché anche ha dei valori positivi da affermare nella società? C’è anche un dopo al quale l’ANPI pensa?

L’ANPI, anche in vista del Congresso nazionale, pone di fronte al Paese, alle nuove generazioni dei valori che sono in sé nella politica dell’ANPI: basta vedere i nostri documenti, i modi in cui ci siamo comportati dopo la guerra, per esempio l’aiuto agli orfani, ai bambini affamati di Napoli, di Milano e della montagna. Le stesse cose che abbiamo fatto per il popolo slavo quando ha avuto tutte quelle tragedie che l’hanno diviso con delle guerre; le stesse iniziative verso il popolo del Mozambico che si è liberato dall’oppressione portoghese… il nostro intervento, inutile ricordare che non siamo una grande forza economica, ha dei sentimenti, dei principi che ci hanno indotto a raccogliere mezzi, attrezzature ospedaliere, per l’agricoltura… E a proposito di partiti e cultura che cosa pensi della Lega? Come rapportarsi verso quelle amministrazioni governate da partiti, diciamo, non troppo amici della Resistenza e dei valori? La Lega intanto è una forza politica abbastanza recente, partita anche con delle motivazioni forse in parte condivisibili come la battaglia per il decentramento, però poi, il fatto stesso che da tempo sorregge un governo che vuole abbattere – e non lo nasconde – come ho detto prima, la Costituzione, e mostra un fastidio verso il Presidente della repubblica, la magistratura, la Corte costituzionale; partecipa all’approvazione di leggi che difendono

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st PalDea h al

politica il Presidente del consiglio, inquisito in diversi tribunali d’Italia, mi pare, in questo momento, un comportamento politico nettamente antidemocratico, no? Proprio il fatto che in una scuola si vogliano imporre… c’è l’unità nazionale che è costata quella che è costata, c’è il tricolore, c’è una Costituzione che dice che l’Italia è una e indivisibile e… si comincia a mettere in una scuola gli emblemi di un partito… Ai comunisti di un tempo che vivevano i loro ideali quasi come una religione, mai è venuto in mente in Emilia di mettere i simboli del partito in una scuola… Abbiamo avuto dei comuni con il 70-75 percento dei voti, ma non ci siamo mai permessi di mettere la bandiera rossa so-

pra il comune, ci abbiamo messo il tricolore… perché il fatto dell’unità d’Italia, per esempio, il tricolore… se vedete certe manifestazioni, al Nord, della liberazione delle città, dai camion sventolava il tricolore con l’emblema sabaudo. Questo è un riconoscimento dell’unità nazionale! Dopo, la Repubblica, la Costituzione, il referendum hanno strappato via lo stemma sabaudo, però l’8 settembre, il 25 luglio 1943, usavamo il tricolore e l’abbiamo sventolato anche dopo… a cura di Glauco Bertani e Antonio Zambonelli

23 ottobre 2010

L’Attivo dell’ANPI provinciale Il Consiglio provinciale dell’ANPI si è riunito sabato 23 ottobre presso il Centro sociale Orologio in preparazione della fase congressuale. Dopo la relazione di Notari sull’attività della nostra associazione in sede locale, Ivano Artioli, dell’ANPI nazionale, ha illustrato il documento politico programmatico. Di seguito vari gli intervenuti i quali, approvando il documento proposto dal Nazionale, e la relazione di Notari, hanno fornito ulteriori contributi. Citiamo i nomi di alcuni degli intervenuti, sperando di non

dimenticare nessuno: Vanni Orlandini, Antonietta Acerenza (Assessore provinciale), Ugo Benassi, Eletta Bertani, Germano Nicolini, Ione Bartoli, Fiorella Ferrarini, Nando Rinaldi (direttore Istoreco), Glauco Bertani, Peppino Catellani, Ireo Lusuardi, Zambonelli, Marcello Rinaldi, Alessandro Carri, Alessandro Frignoli.

Un aspetto del pubblico partecipante alla riunione del Consiglio provinciale.

Notari svolge la relazione. Alla sua destra Ivano Artioli. Alla sinistra Alessandro Frignoli e Peppino Catellani.

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Inaugurata la Scuola Materna “G. Carretti” voluta dall’ANPI reggiana

Una delegazione dell’ANPI reggiana ha partecipato, martedì 21 settembre, a Seilat, in Palestina all’inaugurazione della Scuola materna intitolata a Giuseppe Carretti, opera iniziata nel 2005. La scuola, che ospita 130 bambini, è stata fortemente voluta dall’ANPI reggiana e realizzata in collaborazione con la CGIL, con la Cooperazione – in particolare con Boorea e con la Fondazione Manodori. La delegazione – composta dal presidente Giacomo Notari, Alessandro Frignoli, Marina Notari (interprete), Carlo Pellacani di Istoreco, Silvana Cavalchi Sindaco di Cadelbosco Sopra, Luisa Costi dell’Istituzione Nidi


t a l i e S : a n i t her

politica-solidarietà 21.09.10. Bambini in festa nella Scuola di Seilat

Qui di seguito pubblichiamo gli interventi di Carlo Pellacani, vicepresidente di Istoreco, e di Alberto Pioppi, nipote di Giuseppe Carretti Dario che hanno fatto parte della delegazione andata Seilat al Daher all’inaugurazione della scuola materna

l'intervento di Carlo Pellacani

Svanisce il sogno della pace in Palestina

Dure reazioni della diplomazia europea e ritiro della rappresentanza della Regione Emilia-Romagna. La speranza è affidata all’impegno internazionale e ad interventi concreti come quello di Reggio Emilia. L’esperienza diretta di Carlo Pellacani, vicepresidente di Istoreco Carretti in visita in una scuola in occasione del convegno italo-palestinese “Per la pace nel Medio-Oriente” settembre 2000

e Scuole d’infanzia, dall’operatore televisivo Paolo Comastri (Telereggio) e da Alberto Pioppi, nipote di Giuseppe Carretti, è stata ricevuta al Consolato italiano di Gerusalemme e, dopo i momenti ufficiali e gli incontri con le insegnanti locali, ha visitato le città di Betlemme e Gerusalemme. L’ANPI – con la collaborazione di Daniela Lorenzoni, di Mario Meinero e di Serena Foracchia di Reggio nel Mondo – ha così portato a compimento l’importantissimo progetto di solidarietà internazionale: esso rende esplicito a tutti quanto l’Associazione partigiana sia ogni giorno in prima fila, non solo in Italia, per la difesa attiva dei diritti sanciti dalla Costituzione, primo fra tutti, l’istruzione.

Ho condiviso con i rappresentanti dell’ANPI di Reggio la gioia di vedere realizzata una scuola per l’infanzia in una comunità palestinese (per la precisione Seilat al Daher, nella parte settentrionale dell’area controllata dall’ANP) ed ho cullato (assieme agli altri componenti la delegazione reggiana e agli operatori internazionali con i quali siamo entrati in contatto) l’illusione di poter abbinare questa esperienza ad una moratoria efficace su nuovi insediamenti ebraici in territorio palestinese. I nostri interlocutori locali (il sindaco di Seilat, ma anche i funzionari della Cooperazione internazionale) mostravano poca fiducia negli spiragli di accordo cui il presidente Obama cercava insistentemente di dare consistenza. “Non illudetevi – ci dicevano – sarà come le dicembre 2010 notiziario anpi

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politica-solidarietà al Daher t a l i e S : a n i t s e l a P altre volte, ovvero i coloni israeliani continueranno la loro attività di requisizione delle terre palestinesi, senza rispettare alcun accordo”. Di fronte alla drammatica realtà di un popolo che è costretto a subire prepotenze e umiliazioni, trovando sostegno in aiuti internazionali ma dovendo accettare una prevaricazione nei propri diritti e nelle proprie libertà che si trascina dal 1948, non si poteva che sperare nel mutamento di atteggiamento che i contatti diplomatici in corso parevano predisporre. Per qualche giorno, a Ramallah ed a Gerusalemme, abbiamo accarezzato questo sogno, e lo abbiamo abbinato alla propositività dell’ANPI di Reggio nella realizzazione di una scuola d’infanzia per 120 ragazzi. Chissà che finalmente si potesse “consentire ad un Israele sicuro di vivere fianco a fianco con uno Stato palestinese sovrano”, come aveva prospettato lo stesso Barak Obama! Non ci ha distolto da questa illusione l’amara realtà con la quale dovevamo confrontarci: dalle limitazioni di rapporti interpersonali, alle carenze di beni di sussistenza, fino a fasi più cruente che ci hanno posto a contatto quasi diretto con gli scontri armati e con i controlli dell’esercito isareliano. “Pochi giorni ancora, poi troveranno l’accordo: è nell’interesse di tutti farlo”, dicevamo nell’attraversare fili spinati, muri di recinzione, colonne di veicoli militari, e nel fare i conti con condizioni di vita che non parevano essere più possibili dopo la fine della seconda guerra mondiale. La stessa speranza, anche se non favorita dagli stessi rappresentanti palestinesi, l’abbiamo coltivata nel corso della visita al campo profughi di Betlemme, ove migliaia di persone sono costrette a vivere in situazioni di assoluta precarietà e indigenza. Vedevamo, toccavamo, sentivamo: non potevamo che rabbrividire di fronte a tanta mancanza di umanità e di senso di giustizia sociale. Ma speravamo che il buon seme che l’ANPI aveva gettato a Seilat e le iniziative diplomatiche in corso avrebbero potuto segnare un punto

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di non ritorno per questo stato di cose. A distanza di poche settimane (com’era già successo in passato, direbbero gli amici palestinesi) la speranza che avevamo coltivato per giorni e giorni, e con noi le Organizzazioni pacifiste israeliane e la Comunità internazionale, è svanita. Dall’inizio di novembre il governo israeliano ha decretato la costruzione di 1.300 nuovi appartamenti a Gerusalemme Est (proprio sulle alture che abbiamo fiancheggiato durante i nostri spostamenti in Palestina, le stesse dove già insiste un vasto agglomerato di costruzioni e dove durante la nostra permanenza c’è stato uno scontro a fuoco ad un posto di blocco). Non solo: tre giorni dopo il governo ha autorizzato altre 800 case ad Ariel, una colonia che è già stata oggetto di frizione tra lo Stato israeliano e gli USA perché illegale rispetto al diritto internazionale come tutti gli altri insediamenti. “Peace Now”, l’organizzazione pacifista che pare interpretare – inascoltata – la voce di una parte considerevole della popolazione ebrea, cristiana e mussulmana di Israele, considera questa decisione una grave provocazione, simile a quella realizzata – con le stesse modalità – nel marzo scorso quando il vicepresidente americano Joe Biden si recò in visita a Gerusalemme. Anche allora si annunciarono 1.600 nuovi alloggi, che poi furono realizzati a tempo di record. “Gerusalemme è la nostra capitale, non dobbiamo chiedere autorizzazioni di nessun tipo”, ha detto ancora una volta Netanyahu, obbedendo alla spinta delle forze nazionalistiche e contravvenendo ad ogni regola morale e civile. La comunità internazionale ha reagito (prima di tutto la diplomazia europea, che in Palestina ha una rappresentanza particolarmente attiva), ma gli spiragli per un accordo di conferma della moratoria negli insediamenti è ora più lontano; soprattutto svanisce la possibilità di far convivere “fianco a fianco” due stati con uguali diritti e sovranità come vorrebbero tutte le persone di buon senso. Nel frattempo c’è un’altra notizia che allarma: sembra confermato che la Re-

gione Emilia-Romagna elimini la propria rappresentanza permanente a Ramallah. Anche se la motivazione pare derivare da scarsità di risorse disponibili per attività internazionali di questo tipo, il segnale non è confortante e soprattutto non depone a favore di un impegno per la pace nel mondo da parte delle istituzioni italiane. Dobbiamo proprio abbandonare ogni speranza, nonostante il buon seme che l’ANPI reggiana (alla pari con altre organizzazioni di diverse confessioni religiose e politiche) ha gettato in terra palestinese? Testardamente, e cercando di suffragare le convinzioni con realizzazioni come la scuola per l’infanzia di Seilat, crediamo che la pace fra le genti debba essere la vera meta d’ogni impegno umanitario e assistenziale. In Palestina come in ogni altra parte del mondo. Ieri, oggi e domani. Carlo Pellacani

Settembre 2010. Notari nella Scuola di Seilat dopo aver consegnato il "Primo Tricolore"


politica-solidarietà

l'intervento di Alberto Pioppi

l domani negli occhi

Nei bambini palestinesi la speranza, nei grandi il dovere di assisterla Alberto, nipote di Dario: “Non scorderò mai l’abbraccio commosso nel quale io e Giacomo ci siamo sciolti sotto la targa dedicata a Giuseppe Carretti, suo ‘fratello’ e mio nonno...” “C’è un tempo per combattere e un un tempo per sognare, / un tempo per raccogliere, uno per seminare; e un tempo per andarsene: / ora quel tempo è mio, arrivederci padre, illuminato da Dio. / Un Dio che sollevava il mare come una punizione, / per distinguere gli altri uomini dalla sua vera nazione: / ma padre, qui, c’era un popolo, piantato nella terra, / e la terra non può darla Dio, ma la fame, l’amore di averla. / Come mi pesa questo canto, padre, tu non sai quanto! / Ma non lo senti che è più forte la vita della morte? / Shalom, padre, shalom, io vado via. / Ma dov’è casa mia?”. Padre qui c’era un popolo, piantato nella terra, e la terra non può darla Dio, ma la fame e l’amore di averla. Così recitano le parole di una canzone del cantautore Roberto Vecchioni riguardante l’eterno problema della “gestione territoriale” tra palestinesi ed israeliani. Ma il senso forte di queste parole sta nel fatto che a pronunciarle non sia un politico, né un ambasciatore, né un volontario in missione di pace. Queste parole le dice un bambino israeliano a suo padre, voglioso di crescere per andarsene, perché non capisce e non accetta di vivere in una terra dove regna la logica del più forte. Perché questa citazione? Semplicemente perché quando alcuni anni or sono mi recai in Palestina per accompagnare una delegazione nazionale dell’ANPI comprendente anche mio nonno, allora presidente dell’ANPI provinciale, fra le tante situa-

zioni ingiuste osservate, una su tutte colpì la nostra delegazione ed in particolare la sensibilità di mio nonno: l’innocenza dei bambini dei campi profughi. Quel sorriso acceso oltre ogni ingiustizia e sopra ogni privazione, che fosse acqua o che fosse futuro. Certo, è indubbio che proprio la giovane età aiuta a non vivere consapevolmente quel senso di sottomissione che avvolge il mondo adulto. Però è anche vero, e questo fu il pensiero di mio nonno, che se non si semina in quel terreno ancora fertile di vita e non ancora contaminato dal rancore o peggio dalla rassegnazione, non si potrà mai raccogliere nessun frutto che profumi di libertà e di consapevolezza identitaria. Lui era convinto che l’azione sociale e politica dovesse partire dai bambini, in quanto futuro generazionale capace di poter cambiare le visioni fallimentari dei “grandi”. E per permettere ai bambini di poter crescere come esseri pensanti, non si poteva prescindere dal dare loro condizioni di vita dignitose. Infatti, la prima azione concreta che mio nonno fece al nostro ritorno fu una sottoscrizione per raggruppare fondi necessari al miglioramento della vita dei bambini, quegli stessi bambini che con i loro occhi meravigliati di tutto e grondanti di domani si inserirono di prepotenza nel cuore e nella testa del nonno presidente, e da lì non se ne andarono più. Non a caso, una volta smessi i panni del presidente, mio nonno cominciò a dedicarsi ai bambini della nostra provincia, portando la sua umanità combattiva e la sua visione positiva del mondo nelle aule di diverse scuole elementari e medie, riscuotendo affetto ed attenzione ad ogni parola. Ma torniamo al medio-oriente. Passano gli anni, mio nonno se ne va, armato di eterna speranza e di scarponi, in altri cieli (non si sa mai che gli tocchi resistere anche là), ma non si ferma l’onda lunga del suo pensiero, amorevolmente e assiduamente proseguito dall’attuale presidente dell’ANPI Giacomo Notari.

Notari, con caparbietà e autorevolezza decide, con il prezioso aiuto di tante persone e di associazioni, che il compito principale spettante ai partigiani di Reggio debba essere quello di pensare alle nuove generazioni, sia in patria che nel mondo, e quindi attiva una rete di aiuti finalizzati alla raccolta di soldi necessari per la costruzione di un asilo per i bambini palestinesi. Questo, dopo alcun anni, è stato costruito ed inaugurato proprio da Giacomo Notari in una calda mattinata di settembre nella zona nord della Cisgiordania. Anche io ero presente in quella giornata, e d’improvviso mi sono tornate alla mente le situazioni vissute anni prima che, collegate a quelle che stavo vivendo nel presente, mi eleggevano ad involontario medium della memoria, come collante simbolico di un inizio e di un compimento di un pensiero concepito da una persona e da un’idea di mondo, e poi partorito da un’altra persona, diversa nelle fattezze ma con la medesima idea. Non scorderò mai gli sguardi di quei bambini sulla porta di quell’asilo. Così come non scorderò mai l’abbraccio commosso nel quale io e Giacomo ci siamo sciolti sotto la targa dedicata a Giuseppe Carretti, suo “fratello” e mio nonno. Alberto Pioppi

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IL GOVERNO IN

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“L’ANPI fa appello a tutte e forze politiche che hanno a cuore il bene del Paese per rimettere in moto tutte le energie positive in una nuova alleanza democratica e per lanciare ai cittadini un messaggio di coraggio e di speranza, in nome della Costituzione” Così dopo soli trenta mesi il governo del predellino, del “ghe pensi mi” (a me), il governo del “fare” (finta) si trova, come dice Rosy Bindi, “in morte assistita”. E’ ormai crisi formale: l’uscita dei ministri di Futuro e Libertà dal governo, dopo il patetico tentativo di mediazione di Bossi che proponeva un Berlusconi-bis, sta delineando la inevitabile conclusione di una anche troppo lunga e deleteria fase politica. Oltretutto e non casualmente, gli italiani devono assistere sgomenti ai crolli del patrimonio archeologico, delle tante piccole Pompei del paese, all’irrisolta emergenza rifiuti di Napoli che un triste Bertolaso, in pre-pensionamento dovuto agli scandali, lascia in eredità, alla tragica alluvione in Veneto, governato da una Lega padrona che vuole il federalismo la domenica e negli altri giorni consolida un centralismo autocratico. Macerie vere e macerie istituzionali dunque, con un Parlamento vuoto sia perché le leggi non avrebbero copertura finanziaria, sia perché le funzioni previste dalla Costituzione di fatto non vengono se non in minima parte esercitate, in un clima di appropriazione anomala e pericolosa del potere da parte dell’esecutivo. E dichiaratamente contro il giudiziario. Un Parlamento notaio del governo, paralizzato per mesi e mesi dalle proposte di leggi ad personam e che in un anno ha approvato solo dieci leggi! Ma il paese vero inutilmente chiede provvedimenti contro la pesantissima crisi economica, quella che prima è stata negata e censurata, anche dai media servili,

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e poi resta da tempo sullo sfondo di un tragico gioco a monopoli in cui i cinquecentomila cassintegrati, le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso il posto di lavoro non hanno voce né presenza se non attraverso l’opposizione, i sindacati e qualche raro mezzo di comunicazione stigmatizzato dal premier. A 120 miliardi ammonta l’evasione fiscale, sessanta miliardi il costo della corruzione in Italia ma poco o nulla è stato fatto per contrastarle e intanto la scuola pubblica si trova in condizioni disastrose dopo i tagli indiscriminati di Tremonti-Gelmini, con il più massiccio licenziamento del personale mai avvenuto dal dopoguerra, con meno tempo scuola, classi di trenta alunni, mancanza dei mezzi minimi per garantire il funzionamento. Con la manovra finanziaria 2010 all’Emilia Romagna per il biennio 2011-2012 mancheranno trenta milioni di euro per la salute, 150 milioni per i servizi ferroviari (viaggiatori pendolari che ne pensate?), novanta milioni per la casa, cento milioni per il welfare (anziani, disabili…). Perché non capire che deve dare di più chi ha di più? Perché non fare una vera riforma fiscale e tassare maggiormente le rendite finanziarie? Sempre e solo i lavoratori e le classi meno abbienti devono pagare la crisi secondo il governo, che attraverso Berlusconi ha privatizzato lo Stato ignorando il bene pubblico. Quello che più stupisce e angoscia è il pensiero per cui, malgrado la disgregazione sociale provocata, il disprezzo delle istituzioni e della Costituzione (“avevano le mano sporche di sangue quelli che

l’hanno fatta” ha impudentemente detto il presidente del Consiglio), l’abuso sistematico di un potere senza regole, la ridicolizzazione dell’Italia con i suoi comportamenti, malgrado tutto questo c’è ancora chi, e non sono pochi, lo difende e sarebbe pronto a rivotarlo nel caso ormai certo di elezioni anticipate. Italia narcotizzata da decenni di televisione commerciale e imbonitrice da grande fratello? Italia di servi, nani, ballerine, e buffoni di corte? Berlusconismo come autobiografia della nazione? Io non credo a tutto questo! C’è un paese diverso che sta prendendo forza e consapevolezza, che si impegna per un rinnovato esercizio della democrazia, per contrapporre modelli di buona politica e di cittadinanza attiva. Il Pd e l’IdV hanno presentato alla Camera una mozione di sfiducia e altre sono in arrivo; la sinistra si sta finalmente riorganizzando, prossime sono le iniziative e le manifestazioni che speriamo coinvolgano anche la società civile. Vigilanza democratica dunque e spirito di unità, come quella che ha visto insieme le forze più diverse nel CLN, in una nuova resistenza contro i pericolosi e prevedibili colpi di coda di un sistema di potere che sta crollando. L’ANPI fa appello a tutte le forze politiche che hanno a cuore il bene del Paese per rimettere in moto tutte le energie positive in una nuova alleanza democratica e per lanciare ai cittadini un messaggio di coraggio e di speranza, in nome della Costituzione. Fiorella Ferrarini


VIOLENZA POLITICA E LOTTA ARMATA negli anni Settanta

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Un momento del seminario. Da sinistra, Alberto Melloni, Stefania Violi, Loredana Guerrieri e Mirco Carrattieri

Alcune note sul seminario promosso da Istoreco il 21 e 22 ottobre scorso La risposta data dal direttore del Carlino Reggio, Davide Nitrosi, ad un lettore il 5 novembre scorso, riassume perfettamente lo spirito con cui alcuni commentatori e giornalisti affrontano le vicende che hanno segnato la storia reggiana dalla Resistenza agli anni ’60 e ’70. La dietrologia sempre e comunque. A prescindere... Scrive, infatti, Nitrosi: “Se non ci fosse stato il Carlino, tutto sarebbe passato inosservato, nascosto dalla cortina fumogena di chi vuole evitare di sollevare polemiche scomode”. A che cosa ci riferiamo? Ci riferiamo alla storia del terrosimo e della violenza politica degli anni ’70 e, in particolare, al fatto che a Reggio ci furono diversi giovani che aderirono alle Brigate rosse. E che fra questi giovani alcuni erano militanti del PCI. Comunque, colpevole di glissare i problemi, mentre loro, i virtuosi, li denunciano senza remore, sarebbe Istoreco. E il convegno “incriminato” ha per titolo “Violenza politica e lotta armata negli anni Settanta”, organizzato dall’Istituto storico reggiano nell’ottobre scorso, il 21 e 22 presso l’aula magna dell’università UNIMORE. La prima tappa di un discorso appena iniziato, ricordiamo, ha preso il via da Firenze, nella primavera scorsa. In quella sede si è anche parlato specificamente di Reggio e delle Br. Ma che importa? Come per i tragici avvenimenti del dopoguerra anche per questi fatti i commentatori senza ideologie vorrebbero che sempre, a prescindere (dai fatti), sul banco degli accusati finisse il PCI. Ad orchestrare le uccisioni di “bravi padri di famiglia”? I soliti “trinariciuti” comunisti, partigiani telecomandati da Mosca. Gli ultracorpi, insomma, di un famoso film prodotto dal maccartismo americano. Ma le cose non stanno proprio

così, se ne facciano una ragione. Così come non corrisponde al vero l’insinuazione secondo cui il PCI sapeva, dei terroristi che aveva in seno, ma li protesse in qualche misura. Quando Rossanda parlò di “album di famiglia” si riferiva al fatto che i brigatisti non erano provocatori fascisti come venivano spesso liquidati, ma appartenevano all’universo della sinistra. Sostenere questo non inferisce la responsabilità del PCI, che anzi li combattè strenuamente. Ricordiamo solo Guido Rossa. Istoreco con i due appuntamenti, prima a Firenze poi a Reggio, ha voluto inquadrare storicamente il fenomeno del terrorismo e della violenza politica, ascrivibile non solo alla realtà italiana ma anche a quella europea. Infatti, importante è studiare i “singoli casi locali – afferma Mirco Carrattieri, presidente di Istoreco – ma anche inquadrarli nel contesto nazionale e internazionale perché il confronto con le altre realtà europee è utile”. Ma perché un convegno sulla violenza politica e la lotta armata negli anni Settanta a Reggio Emilia? “Innanzi tutto – afferma Nando Rinaldi, direttore di Istoreco – bisogna partire dalla volontà che ha animato gli organi dirigenti di questo istituto, cioè quella di voler affrontare alcuni nodi problematici della storia reggiana, misurandosi, però, con il metro della storiografia e della ricerca scientifica. Comunque, al di là del tema specifico, credo che il convegno abbia avuto il merito di iniziare ad affrontare un tipo di lavoro che sicuramente dovrà essere approfondito e meglio sviluppato. E’ emersa, anche, la necessità di fare una storia più complessa e più completa del PCI per cui l’idea è, in occasione dei 90 anni della fondazione, di

cominciare a lavorare sulle carte del suo archivio, per meglio studiare i passaggi più ‘problematici’ della sua storia: non solo il ruolo svolto dai comunisti nel dopoguerra e nella ricostruzione democratica della realtà reggiane (politica, sociale, culturale ed economica), ma anche durante il ventennio fascista e la rete d’opposione che aveva creato. Qui a Reggio il Pci ha avuto un ruolo molto importante”. Al di là delle sterili polemiche scatenate che cosa si può dire alla fine della due giorni di convegno? “Il seminario – risponde Mirco Carrattieri – ha consentito di offrire alcuni spunti di fondo per ricerche propriamente storiche. A livello di definizione teorica del fenomeno, con la distinzione dei vari termini terrorismo, stragismo e lotta armata; a livello di coordinate spaziali e temporali e, cioè, l’utilità di guardare agli anni ’60 per capire quello che succede dopo e di considerare tutto il blocco fine anni ’60-primi anni ’80 come parte di un ‘unico periodo nella storia italiana. Novità sulle fonti disponibili: andare oltre le memorie da qualunque parte esse provengano; prestare una particolare attenzione alle fonti documentarie che non sono solo le produzioni dei movimenti stessi – letteratura grigia, fotografia, manifesti – ma sono anche le carte parlamentari e giudiziarie e sempre di più anche le fonti documentarie di polizia e politiche per analizzare le reazioni dello Stato, dei partiti, e di componenti della società civile al fenomeno della violenza politica e della lotta armata. E ancora l’analisi dei giornali che hanno un’ottica particolare e, infine, anche questo è uno sguardo interessante, le carte degli avvocati difensori dei terroristi stessi ecc.”. Glauco Bertani dicembre 2010 11 notiziario anpi


politica

SILENZIO Il processo di VERONA ai responsabili della strage di Cervarolo Massimo Storchi davanti alla Corte durante la sua deposizione per la ricostruzione della strage nazifascista

Venerdì 12 novembre 2010 è stata una giornata importante nel processo che in questi mesi si sta svolgendo presso il Tribunale militare di Verona. ANPI e Istoreco seguiranno tutte le fasi processo Silenzio totale in aula. Il tribunale ascolta un consulente tecnico. Ma non si tratta di una perizia qualsiasi e l’estrema attenzione di tutti i presenti non è casuale. Massimo Storchi racconta lo svolgersi della strage di Cervarolo: l’arrivo dei soldati tedeschi della Divisione “Hermann Göring”, la collaborazione della legione reggiana della Guardia nazionale repubblicana, il lavoro delle spie nel paese. Sono parole che si fanno intendere: i saccheggi, gli stupri, le umiliazioni, le uccisioni, l’incendio. E’ il racconto di un pezzo di storia che non dimentica che al centro dell’accaduto ci sono le 24 vittime. Ventiquattro nomi che ci ricordano che le vittime di ogni storia prima erano persone. Lasciano la loro vita, i loro famigliari, la loro terra, il loro mestiere, i loro amici. Hanno parlato gli storici Toni Rovatti per la strage di Monchio e Massimo Storchi per quella di Cervarolo. Fra poco ci sarà un terzo intervento per le stragi in Toscana, in quanto la stessa unità, e cioè reparti appartenenti alla Divisione paracadutisti corazzati, intitolata a Hermann Göring, agì a Monchio, Susano, Costrignano, Cervarolo, Stia, Vallucciole, Mommio, Fivizzano, … uccidendo fra il 18 marzo e il 10 aprile 1944 390 inermi. Queste ricostruzioni storiche saranno il punto di partenza per i prossimi mesi che vedranno parlare 12 dicembre 2010

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a Verona decine e decine di testimoni e familiari delle vittime. La polizia giudiziaria porterà i suoi interventi e in gennaio 2011 si aspettano anche alcuni testimoni tedeschi, mentre i dodici imputati rimangono assenti, per evitare il rischio di arresti. Per la primavera si aspetta la sentenza, imputazione è per “concorso in violenza con omicidio contro privati inermi pluriaggravata e continuata”. Con le aggravanti di aver determinato i sottoposti a commettere omicidio, aver agito per “abbietti e futili motivi”, con sevizie e crudeltà, approfittando di persone inermi. Accuse pesanti, che con le aggravanti, trasformano il reato in omicidio volontario, punito con l’ergastolo la cui pena è imprescrittibile. Ma questo processo è di estremo interesse sotto vari profili. Innanzitutto per ottenere giustizia. Per afferrarla, direi quasi, visto che viene spesso sepolta sotto le macerie dell’“informazione” e della politica. E’ bene precisare infatti che non solo la guerra non era un fenomeno naturale, ma che neanche l’impunità della gran parte dei criminali di guerra lo era. Anche per i fatti di Cervarolo, il comune di Villaminozzo è stato insignito della medaglia d’argento al valor militare, il 6 marzo del 1950, dall’allora Presidente del consiglio dei ministri on. Alcide De Gasperi.

I paradossi della storia: dieci anni dopo il fascicolo relativo alle indagini venne insabbiato sotto il provvedimento di “archiviazione provvisoria”, a firma del procuratore generale militare Enrico Santacroce. Va’ detto che non esiste e non esisteva allora la procedura di “archiviazione provvisoria” e che Santacroce non era un nazista tedesco. Nel 1960 siamo in piena democrazia. Ma è il democratico governo italiano che non vuole occuparsi della giustizia per i propri cittadini. Il ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani il 10 ottobre 1956 espresse al ministro degli Esteri Gaetano Martino la sua contrarietà a richieste di estradizione di criminali di guerra nei confronti della Germania per non rischiare “incrinature nella solidarietà atlantica” e per non alimentare ulteriormente la polemica in Germania contro il riarmo tedesco all’interno della NATO. Dato l’ordine i fascicoli vennero “archiviati”. Nel 1994, nelle cantine di Palazzo Cesi a Roma, sede della procura generale militare, venne “scoperto” dal procuratore militare Antonino Intelisano, durante le indagini contro Erich Priebke, il cosiddetto “armadio della vergogna”. Il mobile conteneva quei fascicoli relativi a stragi nazifasciste perpetrate in Italia tra il 1943 ed il 1945. Il giornalista Franco Giustolisi parla di un registro contenen-


IN AULA

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A sinistra: La lapide a Cervarolo A destra: La delegazione dell’ANPI di Reggio a Verona In alto: Il pensatore di Auguste Rodin

te il riferimento a 2.274 fascicoli. Fra il 1965 ed il 1968 da quell’armadio uscirono altri 1.300 fascicoli, trasmessi alle Procure territorialmente competenti. Non è vero che l’armadio era stato per decenni girato con le ante verso il muro! Era stato aperto e richiuso tantissime volte per rinviare quei procedimenti che non portavano indicazioni precise sugli autori delle stragi e quindi risultavano a carico di ignoti. Rimanevano invece ben custoditi circa 1.000 fascicoli, fra di loro 695 contenenti elementi suscettibili di sviluppo processuale, cioè con vere e proprie notizie di reati non caduti in prescrizione. Dopo anni di indagini e traduzioni arriva nel 2005 (!) la sentenza per la strage di Sant’Anna di Stazzema, nel 2007 per quella di Marzabotto. Arrivano altre sentenze per stragi meno conosciute. Storie di famiglie distrutte che ancora oggi stanno pagando le conseguenze, decine di anni trascorsi a commemorare i morti, senza fare nulla per rendere loro giustizia. L’istruttoria sulla strage di Cervarolo inizia nell’ottobre 2005, per impulso dell’allora procuratore militare a La Spezia dott. Marco De Paolis che aveva già creato una squadra di carabinieri con buona conoscenza della lingua tedesca, alcuni di questi altoatesini. De Paolis torna sui luo-

ghi della rappresaglia, ripercorre lo stesso tragitto fatto dalle truppe nazi-fasciste e incontra nell’aia dell’eccidio gli orfani e i parenti delle vittime. Da allora l’attività di indagine, raccolta di testimonianze, documenti, foto e prove è stata continua. Da li è poi nata l’“Associazione volontaria dei parenti e famigliari delle vittime” con l’instancabile Italo Rovali. Mesi di lavoro per gli avvocati Vainer Burani, Ernesto D’Andrea e Andrea Speranzoni e per i nuovi procuratori Luca Sergio e Bruno Bruni. Con il risultato che nel processo sono state ammesse tutte le parti civili, 45 parenti delle vittime di Cervarolo, l’ANPI, l’Amministrazione comunale di Villa Minozzo, quella provinciale di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna, la Presidenza del consiglio dei ministri. Contemporaneamente l’istruttoria si è sviluppata in Germania con la collaborazione della polizia tedesca. Sono stati inviati al Tribunale Militare di Verona, dopo la soppressione della sede di La Spezia, gli organigrammi della Divisione “Hermann Göring”, foto e interrogatori degli indagati, rapporti giornalieri del periodo di guerra, foto, cartine, 180 verbali ed intercettazioni telefoniche, registrate per tre mesi. Come diceva il capo del gruppo d’indagine, il generale D’Elia, riguardo

agli imputati: “Quello che colpisce è che non ci sia un accenno di pentimento”. ANPI e Istoreco seguiranno tutto il processo a Verona. Lo svolgimento di questo processo rappresenta un momento di grande rilevanza anche sotto il profilo della trasmissione della memoria di quei fatti, come elemento di maturazione morale e civile dell’intera comunità. E’, infatti, importante che la vicenda processuale non rimanga chiusa all’interno delle sedi giudiziarie ma divenga un luogo di pubblica riflessione, sulla storia come sul diritto. Saranno organizzati pullman per famigliari, cittadini e soprattutto per le scuole che siano interessate ad assistere alle udienze veronesi. Inoltre è stato deciso di documentare in forma di video l’intero svolgimento del procedimento giudiziario, per realizzare un fondo documentario “Cervarolo”, il più completo possibile, presso il Polo Archivistico gestito da Istoreco, e per creare, in un secondo momento, un film sulla strage, sul processo, sulla trasmissione della memoria. Fra milioni di vittime della guerra voluta dai nazisti e fascisti le 24 persone di Cervarolo. Avevano fra i 16 e 84 anni. Nessuno sarà dimenticato. Matthias Durchfeld

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Adro.

La scuola con i simboli leghisti Dove eravamo rimasti? Ah sì…ora ricordo. Ricordo un sindaco, che con molta sicurezza e altrettanta arroganza, decide che un gruppo di bambini non possono sedere alla mensa scolastica perché i loro genitori (in difficoltà economica) sono morosi nei confronti della retta mensile. Ricordo un imprenditore (omonimo del sindaco) che, con un gesto di generosità, paga la retta mensile per la mensa permettendo così ai bambini di usufruire nuovamente di un loro diritto. Ricordo anche le mamme di altri bambini urlare, senza vergognarsi, davanti alle telecamere, tutta la loro rabbia ed il loro risentimento nei confronti dell’imprenditore reo soltanto di un gesto di ordinaria generosità. Passa l’estate e settembre vede di nuovo il ridente paesino della Franciacorta alla ribalta. E a chi sostiene che questo anno scolastico sarà pieno di problemi e senza certezze, Adro risponde con l’inaugurazione di un nuovo polo scolastico…in barba a quei comuni che piangono miseria e alle polemiche di chi sostiene che la scuola pubblica sta morendo… Si tratta di nuova struttura, che ospiterà la scuola d’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado, intitolata nientemeno che a Gianfranco Miglio, ideologo sì della Lega Nord, ma prima di tutto “Uomo di scuola”.

14 dicembre 2010

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Un polo moderno, curato nei minimi particolari, e poco importa se questi minimi particolari sono monotematici: il “sole delle Alpi” ovunque! Campeggia in bella vista sul tetto, sulle finestre, sui banchi, sui cestini, nei cartelli, negli zerbini... e poi c’è la mensa, dove verranno serviti pasti caldi e rigorosamente della tradizione bresciana (“verrà servito solo menù padano e chi non vuole mangiare carne di maiale se ne starà a casa”… oltre al fatto che “chi non paga non siederà a tavola” si affretta a precisare il sindaco). Chicca finale: i crocifissi avvitati alle pareti… sia mai che a qualcuno venga voglia si toglierlo o la malsana idea di nasconderlo dietro una cartina geografica… (ecco perché la Gelmini vuole togliere la geografia dalle materie di insegnamento!). Tutti felici ad Adro, dal sindaco (che però ha iscritto suo figlio ad una scuola privata) al parroco (che ha benedetto la rivoluzionaria struttura) alle mamme dei futuri cittadini che hanno la certezza di veder tutelate le loro origini ed i loro valori padani! In un primo momento ha applaudito anche il ministro… poi in vistoso imbarazzo ha dovuto rettificare…ha detto che forse ci sono un po’ troppi simboli di partito… ma nulla di grave… solo un eccesso di floklore da parte del sindaco…

Folklore? Credevo che la parola Folklore avesse un significato diverso. Credevo che folklore, potesse essere considerato un ballo tradizionale, e folkloristica una manifestazione di paese! Ma indottrinare dei bambini che frequentano la scuola, pubblica per altro, non mi pare rientri nella definizione che della parola ne dà il vocabolario! Se durante il ventennio fascista a scuola, le parole d’ordine erano “credere, obbedire, combattere”, oggi, le parole d’ordine suggerite dai simboli leghisti messi ovunque sono “viva la Padania, e abbasso gli stranieri, la religione cattolica è quella buona, le altre quelle cattive” … e poco importa se la nostra Costituzione, all’articolo 8 sostiene che “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”. Io penso sia molto grave ciò che è accaduto ad Adro. Ma soprattutto ritengo sia stato molto grave assecondarlo o sottovalutarlo. E poco importa che i simboli ora siano stati rimossi (con una grossa spesa a carico dei cittadini)! Perché una comunità ha permesso che l’opera fosse ultimata in quel determinato modo? (una scuola non viene costruita in una notte). Dove erano quelle persone che, a opera ultimata, indignati, hanno organizzato una manifestazione per dire “no, noi così non la vogliamo!”? Perché i partiti dell’opposizione non hanno denunciato a monte quello che


politica Mario Scelba antifascista e difensore della libertà? “Perché una comunità ha permesso che l’opera fosse ultimata in quel determinato modo?” stava succedendo? Quello di Adro è stato forse il caso più eclatante, ma di realtà simili, nel “ricco nord Italia” ce ne sono molte altre. Non è più solo una questione di impoverimento culturale (né tanto meno di folklore, per carità!), ma ignoranza, violenza psicologica egoismo ed arroganza. La scuola, quella pubblica, deve insegnare quali sono i diritti e quali i doveri, deve dare gli strumenti per pensare, per ragionare, per valorizzare quelle che sono le nostre radici e per condividerle con gli altri: vivere in comunità significa rispetto ed arricchimento reciproco. Mi fa paura che, già dai primi anni di scuola si cerchi di omologare il pensiero dei bambini, mi fa orrore pensare che questa omologazione sia imposta da un simbolo che rappresenta un partito secessionista e razzista. Mi spaventa pensare che ci si possa abituare a tale modello culturale. Non accontentiamoci delle scuse quando ci sono palesi offese al Tricolore o alla città di Roma, e non gridiamo vittoria se i simboli vengono tolti: attenzione, sono solo gesti che mettono a tacere le polemiche del momento! Continueranno ad entrare violentemente nelle nostre vite se non ci riprendiamo il nostro essere cittadini. Lasciamo da parte le paure e gli egoismi: solo così diventeremo davvero comunità. Anna Fava

Pubblichiamo il testo integrale della nota inviata ai giornali all’annuncio del convegno su Mario Scelba, nota solo parzialmente pubblicata dalla “Gazzetta di Reggio”, che comunque ringraziamo Di fronte allo scambio di opinioni apparso sulla “Gazzetta di Reggio” di domenica 24 ottobre circa il Convegno su “Mario Scelba il ministro che si oppose al fascismo e al comunismo in nome della libertà”, chiedo di poter esprimere pubblicamente la mia opinione. Ciò che veramente colpisce è proprio il titolo del Convegno stesso, un titolo che fa pensare ad una iniziativa di carattere apologetico sulla figura dell’ex ministro dell’Interno. Ben venga un convegno di carattere storiografico su di una importante figura del Novecento italiano come certamente fu Scelba, ma nel caso in questione, e stando al titolo, si parte da una conclusione pregiudiziale. La figura di Mario Scelba fu più complicata di quanto ci dice il titolo. E’ ben vero che Scelba fece parte, fin dal 1921, di quell’antifascismo cattolico che approderà alla nascita della Democrazia cristiana, anche se, come avvocato, seppe ricavarsi un tranquillo rifugio durante il ventennio a differenza delle centinaia di comunisti e socialisti il cui antifascismo fu di ben altra caratura ed ebbe per i suoi protagonisti ben altre conseguenze. Poi c’è lo Scelba del dopoguerra. E qui il suo antifascismo diventa assai problematico, al di là della peraltro mai operante “legge Scelba” del 1952. I fascisti furono in massa, dopo la effimera “epurazione” dell’immediato post liberazione, reintegrati nei vari apparati dello Stato (Esercito, Polizia, Magistratura) mentre centinaia di ex partigiani vennero espulsi dalla Polizia e furono impediti nella possibilità di carriera all’interno delle Forze armate della Repubblica “nata

dalla Resistenza”. E dato che i promotori del Convegno si richiamano ad una bella figura del mondo cattolico, ed “in collaborazione con la Biblioteca Cappuccini”, mi permetto di ricordare che nel quadro delle repressioni variamente anticomuniste promosse da Scelba venne duramente colpite anche diverse figure di esponenti cattolici, compreso don Zeno Saltini fondatore della Comunità di Nomadelfia (prima sede nell’ex Campo di concentramento di Fossoli). “Un bel giorno la polizia arrivò a Nomadelfia [seconda sede nel grossetano] . I ragazzi furono tolti alle mamme adottive, caricati coi loro fagotti sui camion e sparpagliati per tutta l’Italia in istituti diversi, da dove scrivono lettere accorate, e di tanto in tanto scappano”. Questo scriveva Filippo Sacchi su “La Stampa”, 17 dicembre 1953. Don Zeno, perseguitato in vita da Scelba, è ora oggetto di un processo di beatificazione da parte di una Chiesa che allora lasciò fare al superministro dell’Interno. Fu, ancora, lo Scelba amante della libertà a farsi promotore, in prima persona, di durissime repressioni , costate troppi morti sulle piazze d’Italia e nelle campagne della Sicilia. Portella della Ginestra, dove il 1° maggio 2010 vecchi e nuovi antifascisti hanno celebrato la Festa dei Lavoratori sul luogo dell’eccidio del 1947, rimane uno dei luoghi simbolo di una travagliata fase storica in cui figure come quella di Scelba ebbero un ruolo che richiede approfondimenti storiografici anziché iniziative apologetiche. Antonio Zambonelli dicembre 2010 15 notiziario anpi


politica

E D I E P P I L I F

Filippi taumaturgo

Il suo capo dice di avere, tra l’altro, sconfitto il cancro. Lui, Filippi, più modestamente, ai primi di luglio di quest’anno ha rispolverato la cura Di Bella (ricordate?) per la guarigione del cancro con metodi universalmente considerati scarsamente fondati. Tuttavia “Il metodo Di Bella – ha dichiarato Filippi – rappresenta l’integrazione razionale e la logica convergenza delle conoscenze medico scientifiche definitivamente acquisite (?). Ci auguriamo che il sistema sanitario dell’Emilia-Romagna ne prenda atto”. L’assessore regionale alla sanità Carlo Lucenti, pur non essendo ingegnere come Filippi, ma soltanto… medico, pare abbia

richiamato, al riguardo, (“Gazzetta di Reggio”, 06/07/2010) gli “effetti nefasti della canicola”.

Filippi nucleare

“Ognuno deve fare un sacrificio: sì alla zona di stoccaggio anche in Appennino”. Stoccaggio di prosciutti per la stagionatura? No! Filippi propone lo stoccaggio delle scorie nucleari nella “zona dei gessi triassici, dove ci sono profonde gallerie”. Ora è ben noto che tali scorie mantengono la loro alta nocività per migliaia di anni, ciò che fa del loro stoccaggio un problema drammatico e sostanzialmente insoluto a livello planetario. D’altra parte i nostri Gessi, lungo la valle del Secchia, dalla Gatta per una ventina

di chilometri verso sud, costituiscono uno dei più interessanti fenomeni geologici del territorio reggiano e sono oggetto di attenzione e di studi da parte di geologi e naturalisti che non si stancano di sottolineare la delicatezza di un ambiente, unico nel suo genere, estremamente sensibile anche alle più piccole trasformazioni. Ma Filippi, benché ingegnere e montanaro, non dà alcun peso a tutto ciò. Dice anzi:“Se la scelta cadrà davvero sul nostro territorio mi occuperò personalmente della questione”. Cerca anche di convincere i suoi conterranei invitandoli a considerare “che i relativi incentivi porterebbero grandi giovamenti”. (a.z.)

A N A D A P A R U CULT Martedì 19 ottobre, circa ore 16, passeggio lentamente col mio cane invalido e ascolto radio Padania libera. Dopo varie contumelie del conduttore contro i musulmani in blocco, e sguaiataggini ancor peggiori da parte di ascoltatori che se la prendono coi musulmani, col Tricolore, con quelli che contestano il diritto di avere tanti emblemi della Lega nord nella

16 dicembre 2010

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scuola di Adro, ecco improvvisamente la telefonata di una voce maschile e giovanile per obiettare che fare di tutt’erba un fascio negativo è una forma di razzismo, perché, continua il giovane “Io conosco dei musulmani che…”. Brusca interruzione del conduttore, il quale passa ai consigli di lettura: il libro di Pansa I vinti non dimenticano, “che abbiamo presentato qui

ieri e che spiega i delitti del comunismo”. Altra chiamata, voce di donna: “Mi gavaria de domandar come l’è che…”. E’ un comprensibilissimo dialetto veneto, ma il conduttore, assiduo lodatore della “lingua padana”, sbotta, in italiano:”Signora, faccio fatica a capire quel che dice, parli in italiano” (a.z.).


estero

LE FAVELAS TUTTE PER LULA E DILMA ROUSSEFF Alla vigilia delle elezioni presidenziali il “The Wall Street Journal” si chiedeva cosa si aspettavano i brasiliani dal futuro loro presidente, senza Lula da Silva, non rieleggibile dopo due mandati presidenziali. La risposta data a tale interrogativo è stata praticamente una sola: “Che le cose non cambino!”. Un desiderio legittimo e non sorprendente visto che la promessa che Lula aveva rivolto nel settembre 2003 durante il suo primo mandato e cioè che “da qui alla fine del mio mandato nessun brasiliano soffrirà la fame” costituiva una promessa piena di difficoltà, che ha visto, peraltro, realizzarsi considerevoli progressi sociali. In sette anni, infatti, circa venti milioni di brasiliani, su una popolazione di 190 milioni, sono usciti dallo stato di povertà per mezzo, anche, di aiuti pecuniari, oscillanti da 18 a 90 euro al mese. Il programma “fame zero” ha garantito alle famiglie indigenti l’accesso ai prodotti alimentari di base. La malnutrizione infantile ha subito un forte decremento, valutabile in una percentuale del 46 percento. A maggio 2010 il Programma alimentare mondiale (PAM) dell’ONU attribuiva a Lula de Silva il titolo di “campione mondiale nella lotta contro la fame”. Nel corso dei due mandati l’ex sindacalista sudamericano, oltre a contribuire, per mezzo di leggi adeguate, inserite nel programma “Borsa famiglia”, ad innalzare il

reddito delle più diverse classi di lavoratori, incrementando i salari minimi del 53 percento e creando 14 milioni di posti di lavoro, ha ottenuto che il PIL, riferito ai redditi da lavoro, passasse dal 40 percento del 2000 al 43,65 percento nel 2009. Sulla base delle raccomandazioni del Fondo monetario internazionale (FMI) e dei programmi della “Borsa famiglia” Lula da Silva mette in atto tutta una serie di inziative, che gli consentono di conseguire un clamoroso successo alle elezioni presidenziali del 2006, ottenendo anche l’appoggio della classe ricca del Paese e il suo sostegno per un secondo mandato. Viene instaurata, in tal modo, un’alleanza che l’accademico Armando Boito descrive come: – “un’alleanza che unisce, in modo assai paradossale in fondo, i due estremi della società brasiliana...”. Tutto ciò, peraltro, non impedì a Lula, iniziando dal 2003, di continuare la politica di stabilizzazione macroeconomica iniziata dal suo predecessore Cardoso. I primi risultati si evidenziarono quasi immediatamente, tanto che per il 2003 mentre le esigenze dell’FMI nei riguardi dell’avanzo primario erano per un rimborso dei prestiti del 3,75 percento Lula “servì” al Fondo un 4,25 percento, equivalente a 2,2 miliardi di euro. L’austerità, adottata dal governo Lula, ha consentito al Brasile di uscire dalla rete dell’FMI, ma lo ha infilato nella rete, de-

cisamente più fitta, dei creditori nazionali, rappresentati dalle famiglie brasiliane più ricche, che in cambio dell’acquisto dei titoli di Stato, hanno esigito tassi di interesse estremamente consistenti (il 10,25 percento a luglio 2010). Nel 2009 il 5,4 percento del PIL entra nelle tasche dei detentori dei titoli del debito interno del Paese! Alcuni importanti osservatori politici annotavano, tra le righe del periodico ultraliberalista “Foreign Policy”, come Lula abbia adottato una operazione di largo respiro, seguendo la strategia politica, che Antonio Gramsci definiva “rivoluzione passiva”, una strategia, messa in atto dalla borghesia occidentale per venire a capo dei propri oppositori e adottata in tutti quei casi, in cui vedeva minacciata la sua egemonia, in particolare attraverso l’integrazione graduale, ma continua, al blocco del potere dei dirigenti delle classi subalterne al potere stesso. Anche se erano presenti nella realtà politica del Brasile alternative diverse, Lula ha scelto, rovesciandola, la strategia descritta sopra, anche perchè nel 2002 il partito dei lavoratori (Pt) disponeva solamente di 91 deputati parlamentari su un totale di 513. Per governare Lula dovette mettere insieme una coalizione di nove partiti e fare appello agli alleati poco affidabili, i quali, come scrive il giornalista Marc Saint-Upery “si disputano favori, impie-

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estero

ghi e risorse pubbliche”. In Brasile, come prassi ormai consolidata, nel corso di un mandato un terzo dei deputati cambia partito, mentre su molti di loro incombono procedimenti giudiziari, con una diffusa corruzione, che assorbe oltre 31 miliardi di euro all’anno, una cifra di cinque volte maggiore dei costi del programma “Borsa famiglia”. Per superare tale situazione Lula da Silva, fino dal momento della sua campagna presidenziale del 2002, deviò i suoi obiettivi verso una forma di centro-sinistra, portando il Pt, che non annoverava fra i suoi interessi quelli degli imprenditori, dei proprietari terrieri e dei banchieri, realizzando alleanze nuove e in particolare con un imprenditore milionario come Josè Alencar, che divenne il suo candidato alla vicepresidenza. Tali scelte consentirono al governo Lula di controllare le candidature parlamentari, ridurre la corruzione e di mettere in atto tutti i possibili e abili compromessi per vincere e mantenere la presidenza del Paese. Il Brasile d’oggi ha cambiato faccia con Lula e per i brasiliani gli “anni di Lula” sono stati, malgrado tutto, uno dei periodi più positivi della storia recente del Paese. La speranza e l’auspicio, espressi dalla maggioranza della popolazione del Brasile e in special modo dagli abitanti delle favelas “che le cose non cambino...” ha visto la propria realizzazione con l’elezione alla presidenza del Paese di Dilma Rousseff l’ex guerrigliera, attiva durante il nero periodo della dittatura militare, nata a Belo Horizonte nel 1947, pupilla del presidente uscente e candidata del Pt, la quale dopo l’iniziale successo elettorale, che non aveva garantito, peraltro, il superamento del 50 percento dei voti, ma vincente, dopo l’acceso confronto con il socialdemocratico Josè Serra, staccato al ballottaggio di quasi dieci milioni di voti. Il distacco dal candidato del Psdb avrebbe potuto essere ben più consistente, se Papa Benedetto XVI, ricevendo in udienza “ad limina”, alla vigilia del voto, i vescovi del Nord-Est del Brasile non avesse, di fatto, invitato a votare l’elettorato cattolico contro chi sosteneva aborto ed eutanasia in un contesto di ferme posizioni femministe. Quando tra due mesi Lula lascerà la presidenza del Paese, Dilma Rousseff dovrà garantire una stretta contiguità del suo governo alla politica del presidente uscente, per dare seguito allo sviluppo di un Brasile, che potrebbe, tra meno di cinque anni, divenire la quinta potenza economica mondiale. Bruno Bertolaso

18 dicembre 2010

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L’INDUS

Il contesto nazionale e internazionale nel quale oggi si muove il sistema industriale reggiano può essere sintetizzato nel concetto di “crescita debole”. Stiamo in sostanza vivendo un passaggio che pur in miglioramento rispetto alle fasi di maggiore criticità vissute tra il 2008 e il 2009 non è ancora in grado di assicurare continuità e stabilità alla ripresa e dunque certezze rispetto al futuro, in particolare per ciò che riguarda l’occupazione. I numeri parlano chiaro: per il nostro Paese le più recenti previsioni dei principali istituti economici delineano per il 2010 una crescita finale del PIL intorno all’1-1,2 percento, in linea con le stime elaborate tra maggio e giugno. Un tasso inferiore alla media europea, insufficiente per poter parlare di uscita dalla crisi e soprattutto inadeguato a trasmettere effetti positivi in termini di incremento dell’occupazione. Non solo, le proiezioni per l’anno 2011 hanno subito progressivamente un significativo ridimensionamento, dal momento che da ipotesi oscillanti intorno all’1,5 percento si è passati all’1 percento. Dunque non solo il 2010, ma anche il prossimo anno non sarà, almeno per l’Italia, un anno di svolta. Allargando lo sguardo, la sensazione della disomogeneità della crescita viene confermata: se si escludono alcune nazioni ancora in forte sviluppo, come la Cina (+ 11,1 percento nel 2010 e + 9,7 nel 2011), l’India (8,3 percento e 8,5 percen-


STRIA REGGIANA

economia

sa s a b a t i c s e r ze tra c z e t r e c n i e ed elevat to), il Brasile (6,5 percento e 5 percento), la Russia (5,5 percento e 5,1 percento), il dato generale e in particolare quello europeo paga il peso delle politiche di risanamento dei conti pubblici, che impongono in nome del rispetto del “Patto di stabilità” di rinviare strategie espansive e di sviluppo a momenti migliori. Il nostro Paese, poi, sconta i suoi limiti strutturali storici, che influiscono pesantemente sulla competitività e sulla produttività. Siamo dunque in una fase economica non lineare, caratterizzata ancora da forti elementi di incertezza che impediscono valutazioni “generalizzate” e costringono a una navigazione a vista tanto le imprese quanto gli osservatori. Una fase economica (e sociale) ben tratteggiata dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi in un recente intervento, che ha messo in evidenza le nostre difficoltà di crescita e la progressiva perdita di competitività rispetto ai principali partner europei, motivate, oltre che dall’assenza di concorrenza nei servizi, dalla scarsa dimensione delle imprese e da una precarizzazione dei rapporti di lavoro che non favorisce l’accumulazione di capitale umano specifico. In questo quadro articolato e tutt’altro che univoco e definito si colloca anche il comparto produttivo di Reggio Emilia, come dimostrano con evidenza le rilevazioni congiunturali delle principali associazioni economiche e sindacali locali. Industriali Reggio, ad esempio, esaminando il terzo trimestre dell’anno in corso, “evidenzia come il trend positivo di crescita delle imprese manifatturiere reggiane, cominciato all’inizio dell’anno, sia in continua evoluzione. Si notano segnali di recupero trasversali che coinvolgo-

no la gran parte dei settori e che danno corpo alle previsioni di crescita e rilancio dell’economia mondiale”. Una lettura positiva dunque – sebbene si sottolinei correttamente come il confronto avvenga con il 2009, anno particolarmente negativo – fondata soprattutto sul buon andamento delle esportazioni e che in ogni caso non si trasmette sui livelli occupazionali, sostanzialmente stabili. Le conclusioni di Industriali Reggio sembrano ispirate ad un ottimismo moderato e realista: “in sintesi, la fiducia nella ripresa economica continua a crescere, ma tra gli imprenditori vi è la consapevolezza che, nonostante il peggio sembri ormai alle nostre spalle, per ritornare ai livelli produttivi e occupazionali antecedenti la crisi la strada sarà lunga e certamente costellata da ulteriori saliscendi”. Sembra essere più cauto il giudizio di Confapi pmi Reggio sull’andamento economico del periodo luglio-settembre, che evidenzia segnali di sofferenza sul mercato interno e sull’area UE e note migliori per quanto riguarda i mercati al di fuori dell’Unione europea. In questo senso “l’indagine … evidenzia come il recupero dei livelli pre-crisi sia ancora lontano e come sarà difficile tornarli a raggiungere a fronte dei radicali cambiamenti che il settore industriale e tutta la società stessa ha dovuto affrontare”. Si concentra in particolare sull’utilizzo degli ammortizzatori sociali una recente rilevazione della CGIL: ad ottobre, nella nostra provincia, sono 14.931 i lavoratori interessati (e 326 le imprese) a una sospensione del lavoro, e precisamente 4.969 (per 155 imprese) in Cassa integrazione ordinaria, 5.125 (97 imprese) in

Cassa integrazione straordinaria e 4.837 (74 imprese) per i contratti di solidarietà. Numeri ancora significativi, ma in miglioramento rispetto alla situazione di settembre, che consegnava il dato di 15.319 lavoratori coinvolti in 330 aziende. Si può dunque affermare che l’industria reggiana, per sua natura e storia fortemente integrata con l’economia nazionale e internazionale, attraversa un passaggio delicato, nel quale ad indicatori in recupero si affiancano segnali di sofferenza, a dimostrare che l’onda lunga della crisi ancora lascia traccia di sé. In una fase di domanda interna fiacca, con le decisioni di consumo delle famiglie frenate da una debole dinamica dei redditi (che per altro, con ogni probabilità, è destinata a perdurare) e una crescita che appare fortemente diseguale, il fattore decisivo sembra essere rappresentato dalla capacità di agganciare i paesi trainanti, come il cosiddetto BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) e, in Europa, la Germania, storico sbocco dei prodotti reggiani. E’ sulla qualità della nostra componentistica e dei nostri beni intermedi meccanici, oltre che sulle eccellenze storiche nel settore alimentare, in quello ceramico e nel comparto degli articoli tecnici in plastica che si può e si deve fondare il rilancio della manifattura reggiana. Un sistema produttivo che ha nel suo dna tutte le risorse per ritrovare la strada della ripresa e dello sviluppo, una strada che passa dai passaggi obbligati dell’innovazione, della qualità, dell’internazionalizzazione. Azio Sezzi

dicembre 2010 19 notiziario anpi


cultura

o i g g e R a Anche o t n e m a t il tes biologico “AltaVoce”

Ne parla Donatella Chiossi del Comitato “AltaVoce” Sabato 9 ottobre 2010, conferenza stampa nella sala della Giunta per l’inaugurazione dell’ufficio “Registro dei testamenti biologici” di Reggio Emilia. A sinistra Donatella Chiossi

Esattamente da sabato 9 ottobre la comunità reggiana può esercitare un nuovo e importante diritto: quello di vedere riconosciuto il proprio testamento biologico. Infatti, su delibera dell’Amministrazione comunale è stato istituito il Registro per il deposito delle dichiarazioni di volontà anticipate. Il Comitato “AltaVoce”, promotore dell’iniziativa, da mesi si era impegnato confrontandosi e dialogando con le associazioni e le forze politiche che si erano dichiarate favorevoli, forte della petizione popolare presentata. Infatti, sono state raccolte in poche settimane più di quattrocento firme di cittadini (non scordiamoci che tre anni prima lo stesso Comitato aveva raccolto 1100 firme a favore di un disegno legge sul testamento biologico promosso dal senatore Ignazio Marino). Questo per sottolineare l’importante valenza di questa “vittoria” perché, e succede raramente in questo periodo storico, i politici hanno ascoltato le aspettative delle persone, la politica ha accettato un bisogno sociale sempre maggiore traducendolo, come a Reggio, in atto pubblico. E così anche nella nostra città un fondamentale diritto civile, quello di decidere liberamente in merito al proprio corpo in ogni circostanza (e in particolare in caso di impossibilità a comunicare direttamente la propria volontà sui trattamenti medi-

20 dicembre 2010

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ci ai quali si desidera o non si desidera essere sottoposti), viene riconosciuto dalla comunità reggiana tramite i suoi più diretti rappresentanti politici ed è supportato dall’istituzione del Registro comunale dei Testamenti biologici. Le polemiche non si sono fatte aspettare dalle forze governative, sia a livello locale che a livello centrale, forse perché l’iniziativa del Registro si è sparsa a macchia d’olio in molte grandi città e in tanti comuni di provincia. Ci accusano che il registro è ideologico e che non vale niente in assenza di una legge nazionale di riferimento. Ma si può parlare di ideologia quando si tratta della sofferenza umana? Il corpo non è di destra né di sinistra: ci chiediamo allora preoccupati quanto lo stato saprà tutelare con la costruzione di leggi adeguate il principio di laicità, in particolare intorno ai temi del corpo, della malattia, del dolore, della morte. Esperienze che appartengono ad ognuno di noi, che non possono essere “delegate” a nessuno, che si definiscono esclusivamente nel campo della libertà di scelta soggettiva e in un complesso di regole ampiamente condivise; ma non per questo immutabili o rese inumane da una gestione burocratica e sì, in questo caso ideologica, del potere. Vorrei ora svolgere alcune riflessioni sulla legge che dovrebbe avere come scopo l’istituzione del Testamento biologco: dicono che il

Registro non vale perché c’è un vuoto legislativo. Ma questi politici che vogliono decidere per tutti noi si dimenticano della Costituzione che sancisce il principio della piena libertà di cura, a cui si sono uniti in questi anni numerosi pronunciamenti in consessi internazionali. Pertanto depositare il proprio Testamento biologico nel Registro comunale costituisce il primo atto di autotutela del cittadino nei confronti dei medici, in casi estremi. E infine: cosa vuol dire per noi una legge rispettosa della Costituzione e scientificamente fondata? 1 - che ribadisca, senza se e senza ma, il principio all’autodeterminazione della persona in ogni momento della malattia; 2 - che vengano riconosciute come terapie, e che perciò si possono rifiutare o interrompere, secondo la volontà del malato, l’idratazione, la nutrizione e la respirazione artificiali. Il governo non sta facendo tutto ciò, anzi, beffa delle beffe, il disegno di legge Calabrò lascia tutto il potere in mano ai medici. Noi non vogliamo rinunciare, nonostante la caduta verticale dei valori della democrazia, a credere possibile una convivenza civile di DIVERSI ma UGUALI nei fondamentali diritti umani. Donatella Chiossi


cultura Destinatari sono gli insegnanti, gli operatori degli enti locali e tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di questioni culturali, ambientali e patrimoniali.

Una scuola nazionale di Storia del paesaggio agrario all’Istituto “A. Cervi” intitolata a “Emilio Sereni” Dal 24 al 29 agosto 2010 si è svolta la II edizione della Summer school “Emilio Sereni” storia del paesaggio agrario italiano dedicata al paesaggio medievale. La Scuola, intitolata a Sereni, intende affrontare, di anno in anno con approccio interdisciplinare, lo studio del paesaggio agrario, partendo da una prospettiva diacronica per arrivare a specifici approfondimenti tematici. Il paesaggio agrario rappresenta un elemento particolarmente sensibile alle attività umane: in esso forti e visibili sono i legami con il mondo del lavoro, per secoli base fondamentale dello sviluppo economico, politico e sociale delle comunità. Poche sono le zone così fortemente caratterizzate da trasformazioni naturali ed umane come quelle rese adatte alla coltivazione agricola e all’insediamento dell’uomo. All’interno di tale prospettiva, l’esigenza di promuovere una Summer school dedicata allo studio del paesaggio agrario nasce da un lato dalla convinzione che per comprendere in profondità il paesaggio attuale è indispensabile l’indagine della sua evoluzione storica e dall’altro dal riconoscimento che esso ha una forte valenza didattica e di educazione civile. Obiettivo è la restituzione della complessità del paesaggio come elemento formale del sistema natura-cultura, sintesi ed espressione delle azioni e dell’organizzazione sociale ed economica che caratterizzano la vita dei luoghi e delle persone. Destinatari sono gli insegnanti, gli operatori degli enti locali e tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di questioni culturali, ambientali e patrimoniali. Questa II edizione è stata un’esperienza straordinaria: sei giorni di lavoro intenso, conclusi da un convegno destinato a disseminare gli argomenti fondamentali discussi. Una Summer school di successo: 83 iscritti provenienti da dieci diverse regioni italiane, più di 150 le pre-

senze registrate all’inaugurazione, 37 i relatori da 18 università tra italiane e straniere, 15 tutor per garantire un rapporto quasi personale fra allievo e formatore. La Scuola è stata articolata in moduli che hanno scomposto l’argomento generale in diversi sottotemi: la strutturazione politica del territorio, il territorio fantastico e quello reale, il territorio e l’alimentazione, il territorio e la città. Ogni sessione ha previsto due o tre relazioni chiave seguite da una discussione in plenaria. La sequenza di esposizioni è stata intervallata e variata da momenti di lavoro in gruppi separati: incontri ravvicinati per dialogare direttamente con il docente scelto e laboratori didattici tematici per stendere la traccia di un lavoro concreto da testare nel corso dell’anno scolastico. Negli spazi esterni ed interni della Biblioteca-Archivio “Emilio Sereni” la Scuola ha ospitato cinque manifestazioni collaterali tra mostre e installazioni: “Nuvole di Medioevo”, mostra di fumetti; “Medioevo e letteratura”, bookshop dedicato; “Medioevo e piante”, sezione della mostra trans-europea PaCE; “Medioevo e progettazione”, mostra di progetti architettonici per Torrechiara e San Vitale Baganza; “Selle da riposo”, installazione ambientale di Antonella De Nisco. Alla sera, poi, la proiezione di film per un approccio alternativo al tema del Medioevo: L’Armata Brancaleone, Blade Runner e Barbarossa. Infine, escursioni studio a Nonantola, Torrechiara e Canossa. La sessione del sabato ha affrontato l’argomento dell’utilizzazione sociale del paesaggio medievale, e in genere del patrimonio, approfondendo il nodo cruciale rispetto alla mission della Scuola e alla sua particolare idea di cittadinanza: il rapporto fra patrimonio storico e società multiculturale con la proiezione di un video, realizzato dal Centro interculturale

mondinsieme del Comune di Reggio Emilia in collaborazione con tre Istituti di Scuola Superiore e Formazione Professionale della città, dove allievi italiani e di origine straniera “facevano i conti” con la realtà storica e ambientale del territorio reggiano. Uno degli obiettivi delle Summer school “Emilio Sereni” è, infatti, proprio quello di indagare le trasformazioni (epistemologiche, storiografiche, didattiche e di uso sociale) che la società interculturale impone al concetto di “patrimonio”, e quindi sul difficile rapporto fra identità locale – così come si è configurata nella tradizione – e identità collettiva degli abitanti di un determinato territorio e, quindi, sul nuovo concetto di cittadinanza che questo rapporto postula. Il convegno conclusivo della domenica ha affrontato il tema dell’uso pubblico della storia medievale, con Giuseppe Sergi, dell’Università di Torino, lo storico universalmente riconosciuto come punto di riferimento per queste tematiche.

Gabriella Bonini Sopra: Antonio Brusa, Direttore della Scuola con altri relatori Sotto: Attività di laboratorio

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cultura foto di Angelo Bariani

Mi

sono chiesto: e' veramente questo il cambiamento che volevano? Qualcuno certo e' diventato veramente ricco e fanno molto per farlo apparire. Ma molti (e sottolineo MOLTI) mi hanno detto: “Prima c’era poco ma era quel tanto sufficiente per tutti. Andava migliorato per tutti, mantenendo il garantito: lavoro, casa, salute, istruzione. Ma purtroppo si sono accaparrati tutto solo alcuni, gli altri, la gran parte, sta peggio”.Mi hanno colpito soprattutto le tante, tantissime chiese costruite, ristrutturate e sempre piene di gente che prega in continuazione, (chi vuole puo' ripensare a cio' che disse Lenin)...”

MAR NERO, UN MARE DI STORIA... Odessa Scalinata Potemkin: La scalinata resa famosa dal film muto di Sergej Michajlov Ejzenštejn: La corazzata Potëmkin

Quest’anno, io e Monica, abbiamo deciso di trascorrere le ferie nel Mar Nero: dal 26 luglio al 9 agosto. I primi due giorni a Istanbul, poi in pullman a Nesseber (Bulgaria), dove abbiamo trovato la motonave “Marshall Koshevoy” sulla quale ci siamo imbarcati. (Se si guarda la cartina ci si chiede: perchè non imbarcare direttamente a Istanbul, attraversare il Bosforo e si è nel Mar Nero? Perchè il pedaggio dello stretto del Bosforo non rende conveniente l’operazione). Da Nesseber ci siamo diretti a Sulina (Romania) per un’escursione nel delta del Danubio: un paradiso naturale fantastico. Da Sulina poi ci siamo diretti a Odessa. Due giorni per ammirare questa città ricca di cultura: il 22 dicembre 2010

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teatro dell’Opera, i suoi musicisti, musei di storia, di arte, quartieri di diversa etnia, architettura europea, e l’imperdibile scalinata Potemkin. (Ogni volta che ci passi, non puoi non rivivere la famosa scena della carrozzina!) Da Odessa, quindici ore di navigazione circa ed arriviamo a Sebastopoli. Città famosa per l’assedio di quasi un anno (1854-1855) da parte di inglesi e francesi, rappresentato in un bellissimo dipinto su parete circolare al Museo Panorama. Famosa anche per essere sede della ancor più famosa flotta del mar Nero. Poi Yalta, la perla della Crimea. Città prevalentemente turistica, per il suo clima. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il governo sovietico emise un decreto se-


condo cui la Crimea doveva essere utilizzata per le cure mediche dei lavoratori, vennero così aperte numerose case di cura e pensioni che godono tuttora di notevole fama. Famosa soprattutto perché tra il 4 e l’11 febbraio 1945 si tenne la “Conferenza” (incontro fra Stalin, Churchill e Roosevelt) nel suggestivo Palazzo Livadia. Il lungomare è un continuo brulicare di persone, una strana esibizione di benessere, di consumismo. Tantissimi “stand” dove è possibile farsi fotografare su potenti motociclette o con i vestiti da nobili aristocratici (voglia di zar?!). Qui ho avuto un profondo senso di tristezza nel vedere il monumento a Lenin tra un McDonald e una pubblicità della CocaCola! Mi sono chiesto: è veramente questo il cambiamento che volevano? Qualcuno certo è diventato veramente ricco e fanno molto per farlo apparire. Ma molti (e sottolineo MOLTI) mi hanno detto: “Prima c’era poco ma era quel tanto sufficiente per tutti. Andava migliorato per tutti, mantenendo il garantito: lavoro, casa, salute, istruzione. Ma purtroppo si sono accaparrati tutto solo alcuni, gli altri, la gran parte, sta peggio”. Mi hanno colpito soprattutto le tante, tantissime chiese

costruite, ristrutturate e sempre piene di gente che prega in continuazione, (chi vuole può ripensare a ciò che disse Lenin). Da Yalta, un giorno di navigazione e arriviamo a Kherson, cominciando a risalire il fiume Dnepr, e passando per piccoli villaggi di pescatori. A questo punto cominciamo a percepire il gran caldo: 46 gradi! Arriva dall’interno della Russia, dicevano i locali che non ricordavano a memoria storica un caldo simile. Quindi arriviamo a Zaporozhye, cuore della cultura e tradizione Cosacca. Infine, ultima tappa Kiev. Ci siamo stati solo un giorno e mezzo, valeva la pena di visitarla con più calma e più tempo. Anche qui tantissime chiese (nel Medioevo ne contava quattrocento) alcune imponenti cattedrali come Santa Sofia, stile barocco e moderno si mescolano in assoluta armonia. Grandi viali alberati, lunghissimi ponti sul fiume, colline sulla riva destra con monumenti altissimi (“La Madre Patria” e l’Arco della Pace illuminato la sera con i colori dell’arcobaleno). L’ultimo giorno, passeggiando ho visto l’unico e ultimo monumento a Lenin, presidiato giorno e notte (in una tenda) da militanti del Partito comunista locale. Che tristezza! Angelo Bariani

cultura

dicembre 2010 23 notiziario anpi


cultura Cervaròlo, 20 marzo 1944.

Una strage nazifascista dimenticata

Due anni dopo Il sangue dei vincitori un altro prezioso antidoto contro l’azione nefasta degli “assassini della memoria”

MASSIMO STORCHI, ITALO ROVALI, Il primo giorno d’inverno. Cervaròlo, 20 marzo 1944.Una strage nazifascista dimenticata, Aliberti ed., 2010, pp. 317, euro 17,50.

Marzo 1944. Truppe della divisione Hermann Goering, dopo avere massacrato centotrentuno civili inermi nelle borgate di Monchio, Susano e Costrignano, nell’Appennino modenese, procedettero verso ovest passano il fiume Secchia e continuando il loro feroce rastrellamento mirante a fare terra bruciata attorno ai primi nuclei partigiani. In territorio reggiano, il giorno 20, investirono la borgata di Cervaròlo, fucilando 24 uomini tra i 17 e gli 84 anni. Tra di loro anche il parroco don Battista Pigozzi, che affrontò la morte da autentico martire (testimone della propria fede) rifiutando di sottoscrivere una dichiarazione come pretendeva un ufficiale nazista. Le povere case vennero saccheggiate e date alle fiamme . Nel compiere il crimine i nazisti furono coadiuvati da militi fascisti della GNR che chiusero in un cerchio il paese per impedire ogni possibilità di scampo alle vittime predestinate. Quel 20 marzo ’44, vigilia del solstizio di primavera, per i sopravvissuti della strage fu il primo di una lunga serie di giorni costellati dalla disperazione. Sopravvissero, col gelo nel cuore, le donne e i bambini, oltre a tre dei fucilati, feriti ma rimasti vivi nascosti sotto i cadaveri. La strage in sé non fu in realtà dimenticata. Ogni anno, da decenni, quel tragico 20 marzo viene commemorato sull’aia in cui la strage si era compiuta. Dimenticati furono invece, per decenni, i colpevoli: tedeschi e italiani fascisti. Come è ben noto, solo con la scoperta dell’armadio della vergogna, nel 1994, cominciò a farsi

24 dicembre 2010

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più completa luce su quella come su tante altre stragi nazifasciste compiute nel centro-nord Italia. Fino a giungere al processo, in questo anno 2010, iniziato presso il Tribunale militare di Verona, contro gli ancora viventi tedeschi imputati come colpevoli . Processo fortemente voluto dai discendenti delle vittime (compreso Italo Ròvali, collaboratore di Storchi per questo volume), come dalle associazioni resistenziali e dagli Enti elettivi, non per mandare in galera alcuni quasi novantenni ma per stabilire anche con una sentenza una verità che già in questo libro trova una documentata esposizione. Il libro si compone di più parti. Si alternano, in modo coinvolgente, pagine narrative di buona qualità letteraria, ad altre rigorosamente storiografiche. Dopo una breve ma densa introduzione (Cervarolo. La storia e la memoria), un capitoletto narrativo ci restituisce il sapore del piccolo mondo arcaico della borgata montana. Di seguito, in quelle case, nei campi e nei pascoli circostanti, vengono fatti rivivere, come in una toccante Spoon River, le ventiquattro vittime che nella memoria collettiva erano ormai diventate puri nomi. Le parti propriamente saggistiche, basate su di una molteplicità di fonti, di cui si dà conto in oltre cento note distribuite in coda ai vari capitoli, fanno emergere con chiarezza lo svolgersi degli eventi che portarono alla strage di Cervaròlo, inserita nel più ampio e tragico contesto di tutte le stragi nazifasciste in provincia di Reggio: assai opportuna, al riguardo, la Cronologia degli eccidi e delle stragi che,

Un momento della presentazione del volume all’ultima FestaReggio, da sinistra Loris Mazzetti, giornalista Rai, gli autori Italo Rovali e Massimo Storchi e Andrea Capelli del PD reggiano

dalla pianura alla montagna, provocarono 368 vittime dal dicembre ’43 al 23 aprile 1945, a opera non solo di tedeschi ma anche, come qui viene giustamente evidenziato, da fascisti della GNR e delle Brigate nere. Utilissima l’antologia di brani tratti da Autori vari che sulla tragedia di Cervarolo hanno scritto a partire dall’immediato post liberazione. Si tratta spesso di testi confinati da anni in qualche biblioteca e perciò sottratti ad una diffusa conoscenza. Infine, da p. 237, le sei testimonianze, scelte tra quelle raccolte da Italo Ròvali, “che cercano di restituire, nella fedeltà alla fonte, eventi, nomi e luoghi legati alla comunità di Cervaròlo e Civàgo”. Di fronte al ricorrente tentativo di rovesciare la storia della Resistenza in Italia e nella nostra provincia in particolare, opere come questa costituiscono un prezioso antidoto, basato su di una scrupolosa ricerca storica, all’opera nefasta di troppi “assassini della memoria”. Dobbiamo essere grati a Massimo Storchi di questo come dei precedenti suoi lavori di ricerca. Penso in particolare a Il sangue dei vincitori, pubblicato dallo stesso editore Aliberti nel 2008. (a.z.)


cultura

Guastalla e Campagnola

ATTILIO GOMBIA

E’ “RITORNATO” NELLA SUA BASSA

CON LA BIOGRAFIA SCRITTA DA GIANNETTO MAGNANINI

Tavolo dei relatori durante la presentazione a Guastalla (presso la CdL). Da sinistra: Ciro Maiocchi, coordinatore CGIL bassa reggiana, Stefano Costanzi (Istoreco), Giannetto Magnanini, Antonio Zambonelli (presentatore del libro). Alfredo Bernini ha portato il saluto dell’ANPI di Guastalla, Rossana Gombia, del locale PD e soprattutto parente di Attilio, ha letto una sua toccante testimonianza seguita con commozione particolare da altri familiari. Presente anche l’Assessore comunale alla cultura Bartoli (Lega Nord) che ha dichiarato l’interesse dell’Amministrazione a mantener viva la memoria di Gombia nel suo paese natale

Il libro di Giannetto Magnanini, Attilio Gombia. Un comunista dimenticato, è stato già recensito su queste pagine. Di presentazioni pubbliche ne sono state fatte diverse sia in provincia di Parma che nel Veneto. A Reggio c’era stata solo quella presso la Camera del Lavoro l’estate scorsa. Sabato 6 novembre e la domenica successiva altre presentazioni sono state finalmente effettuate proprio in quella “Bassa reggiana” in cui Gombia era nato (a Guastalla) nel lontano 1902 e da dove era partito nei primi anni venti per sottrarsi alla violenza squadrista. Tali iniziative sono state promosse da Istoreco, ANPI, CGIL e PD. Si è trattato di un “ritorno” in ispirito di colui che nel lontano 1920 era stato, giovanissimo, segretario della Camera del Lavoro guastallese, prima di partire per il suo lungo viaggio attraverso l’Europa, da comunista militante antifascista, passando per le galere di Mussolini, per il ruolo di primo piano nella Resistenza Triveneta, le atroci torture in mano alla Banda Carità.

1960-2010 Galleria Galaverni Cinquant’anni di cultura La famiglia Luigi Galaverni esprime riconoscenza al fratello Alfredo per il 50° anniversario dell’attività creativa nella Saletta Galaverni da Lui fondata, in via dell’Aquila a Reggio Emilia.

Vivissimi auguri

Domenica 7 novembre, Campagnola. Uno scorcio del pubblico presente nella locale biblioteca comunale alla presentazione coordinata dall’assessore alla cultura Cerico Valla. Dopo l’introduzione di Zambonelli e l’intervento di Gaetano Davolio ha preso la parola lo stesso Magnanini. (Foto di Giuliana Cislaghi)

Alfredo Galaverni insieme a Romano Prodi, Graziano Delrio e Flavia Franzoni nella saletta di via dell'Aquila

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cultura

I racconti del ribelle Il 24 aprile scorso è stato presentato al Palazzo dei principi di Correggio il libro di Avio Pinotti scritto con Monica Barlettai I racconti del ribelle (2010), prefazione di Antonio Zambonelli e postfazione di Marco Fincardi. Il libro racconta la storia di Avio, “partigiano combattente e comunista combattivo, alle prese con gli eventi di un secolo difficile” com’è stato il Novecento.

Avio mentre autografa il suo libro. Insieme a lui le sue sorelle, da sinistra, Un momento della presentazione, da sinistra Fabrizio Tavernelli, Monica Vienna e Ivalda, partigiane, e Vanna Barlettai, Avio Pinotti e Marco Fincardi

APERTE LE ISCRIZIONI AL “TEATRO DELLA MEMORIA” L’ANPI provinciale di Reggio Emilia e l’Associazione Culturale 5T, in collaborazione con la Commissione cultura Circoscrizione Sud, propongono alle scuole secondarie di primo grado del territorio dei momenti di approfondimento attraverso il Teatro di tematiche legate al calendario civile e ai programmi scolastici. Teatro inteso come forma alternativa di comunicazione con le nuove generazioni di temi quali la lotta per la libertà e il rispetto delle differenze. Valori, dunque, che non possono essere semplicemente studiati, ma che necessitano di condivisione per essere fatti propri dai cittadini di domani. Due sono gli spettacoli – e le date – proposti agli studenti:

Dedicato alle scuole secondarie di Primo grado ma, su prenotazione, è aperta a tutta la cittadinanza.

26 dicembre 2010

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20 gennaio 2011 – in occasione della Giornata internazionale della Memoria “E per questo resisto. Voci e musiche per ricordare la Shoah”

Partendo dalla Shoah si dipanano storie che hanno come protagonisti ragazzi e ragazze vittime della persecuzione razziale. Alle parole si affiancano ed alternano le musiche proposte dai Flexus: brani strumentali e canzoni di importanti cantautori italiani capaci di evocare con grande tensio-

ne l’atmosfera tragica di quegli anni.

14 aprile 2011 – in occasione della Festa della Liberazione

“La Costituzione siamo noi”

Uno spettacolo graffiante e ironico che vuole leggere e approfondire i principi fondamentali della Costituzione Italiana a sessant’anni dalla sua approvazione, partendo dall’Assemblea Costituente ed arrivando ai giorni nostri, evidenziandone i contenuti di estrema attualità e proponendosi con una intenzione innanzitutto conoscitiva.

Gli spettacoli verranno rappresentati presso il Cinema Rosebud, via Medaglie d’oro della Resistenza 6. Due repliche mattutine – ore 9.30 e 11.15 – a costo ridotto. Le classi interessate a partecipare potranno usufruire delle convenzioni attivate per il trasporto scolastico. La proposta è rivolta in particolare alle scuole. Per avere informazioni e prenotazioni si contattare l’Associazione Culturale 5T, tel 0522382963, fax 0522 383819, e-mail: cinqueti@ gmail.com (ge.bi)


avvenimenti DOMENICA 14 NOVEMBRE

ASCMAD

SUCCESSO DI PARTECIPAZIONE AL 20° INCONTRO DI SOLIDARIETA’ CON L’ASSOCIAZIONE STUDIO MALATTIE APPARATO DIGERENTE (ASCMAD) Quattrocentotrenta persone hanno partecipato al pranzo di solidarietà con l’ASCMAD, la benemerita associazione fondata dal dott. Giuliano Bedogni, al quale è succeduto nella Presidenza il dott. Giovanni Fornaciari. L’incontro ha fruttato la somma di 16.000 euro che contribuiranno alla preziosa attività di ricerca e studio delle malattie dell’apparato digerente, cioè in un settore che ha presso l’Ospedale di Reggio una delle punte alte a livello nazionale. Basti ricordare che quando il cav. Berlusconi ed alcuni suoi collaboratori, hanno avuto bisogno di serie attenzioni a loro problemi di salute, si sono proprio rivolti al Santa Maria Nuova di Reggio e personalmente al dott. Giuliano Bedogni. Il dott. Giuliano Bedogni (ora Presidente onorario dell’ASCMAD) illustra ai partecipanti le attività del sodalizio. Alla sua sinistra l’attuale presidente dott. Fornaciari, alla destra il dott. Passatelli (vice presidente) con il distintivo dell’ANPI all’occhiello

NOZZE d’ORO 15.10.1960 - 15.10.2010 PAOLO BORCIANI E COSETTA OLIVETI Il 15 ottobre u.s. Paolo Borciani ha festeggiato le nozze d'oro con Cosetta Oliveti, con un piacevole convivio in pizzeria dove la figlia Loretta ha esposto un bel pannello, da lei realizzato, visibile nella foto alle spalle dei genitori, con cui si riassumono per immagini 50 anni di felice felice convivenza. Nell'occasione Loretta e i parenti annunciano l'evento con una offerta pro "Notiziario". Felicitazioni anche dall'ANPI al nostro attivista Paolo, ed alla moglie Cosetta".

NOZZE d’ORO 14 .11.1960 -14.11.2010 GIUSEPPE CAMPIOLI E GIULIANA MONTANARI Giuseppe Campioli e Giuliana Montanari di Scandiano, il 14 novembre 2010 hanno festeggiato il loro 50° di matrimonio, nozze d’oro, con i loro famigliari. In più, lo stesso giorno, è stato anche un giorno speciale per Giuseppe che ha festeggiato il suo 85° compleanno. Per la duplice occasione i coniugi Campioli offrono pro Notiziario. A Giuseppe e Giuliana vanno anche gli auguri della Redazione del Notiziario.

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generazioni

Caro Fabio, nipote mio carissimo, ti lascio questa storia vera che ho trovato a Febbio, il paese dell’Appennino reggiano dove abbiamo una casa e che tu ben conosci da quando sei nato. Luoghi che ami, e che ti vedono spesso fare delle bellissime camminate assieme ai tuoi genitori. Tanti anni fa, durante la guerra, lassù in montagna c’erano i partigiani che erano giovani volontari che volevano liberare l’Italia dai nazi-fascisti. I nazisti erano tedeschi e i fascisti erano italiani che collaboravano con i tedeschi. Quando prendemmo casa lassù, feci amicizia con un’anziana signora. Poiché mi incuriosiva una radura nel bosco dove sapevo che gli alleati lanciarono aiuti con i paracadute per i partigiani, un giorno le chiesi se ricordava questi avvenimenti e altre cose della guerra. Lei tacque un momento come se la commozione le impedisse di parlare poi mi disse poche parole: “Se mi ricordo? Nel 1944 avevo 18 anni. Non potrò mai dimenticare un giovane partigiano che veniva a casa mia, era bello e anch’io ero bella allora, eravamo tanto innamorati . . . Mi raccontò poche notizie guardando lontano, al di là di me e al di là del tempo. Colpita io scrissi la sua storia. Andai a cercare la verità dai testimoni di allora e all’ANPI di Reggio Emilia. Me ne parlò commosso il Presidente Giuseppe Carretti. Poi un giorno la chiamai in casa e lessi a lei e a mio marito quello che avevo scritto. Lei pianse molto e anche noi eravamo commossi. Mi chiese come avevo fatto a indovinare così bene gli avvenimenti e i sentimenti di allora. Le risposi che mi ero messa nei panni di due ragazzi che si trovavano in guerra. La loro storia, che allora intitolai Il fiore del partigiano è questa.

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generazioni

V

alentina era nata e vissuta sempre a Roncopianigi, un paese di poche anime sull’Appennino tosco-emiliano, assieme a babbo, mamma e due fratelli, Piero e Giovanni, un po’ più piccoli di lei. Non aveva mai fatto lunghi viaggi. Andava a messa in paese la domenica. Lì incontrava giovani e ragazze e li guardava intimidita. La sua vita era sempre stata molto solitaria, al pascolo con le pecore o le mucche su per le pendici dei monti. Nel 1940, quando scoppiò la guerra, Valentina aveva 16 anni. Era una ragazzina alta e flessuosa con una grazia innata, malcelata sotto gli abiti dimessi di tutti i giorni. Non sapeva della guerra (allora lassù non c’erano né radio, né tv, né giornali). Ne sentiva parlare qualche volta

dagli uomini anziani, ma la sua vita continuò sempre uguale: andava per boschi e radure con i suoi animali e sognava ad occhi aperti che un bel principe un giorno l’avrebbe portata con sé nel suo castello. Molto tempo dopo, quando ebbe quasi diciannove anni, una domenica, dopo la messa, sentì delle parole sconosciute: “tedeschi”, “partigiani”, “resistenza”. Immaginava figure sconosciute che nella sua fantasia incutevano timore e non facevano presagire nulla di buono. Quando fu a casa chiese a suo padre cosa volevano dire quelle parole, ma a quel tempo i padri erano autoritari e lui la fece tacere, forse perché nemmeno lui sapeva bene di che cosa si trattava. Così Valentina, che era una ragazza molto intelligente e curiosa, rimase con le sue domande in sospeso in merito agli avvenimenti di quegli strani tempi. Giovanni Battista Pigozzi, era parroco di un altro paese dell’Appennino: Cervarolo, e un giorno, tornando a casa, raccontò ai vicini riuniti “in filosso” (dal verbo “filare” poiché le donne filavano la lana nelle stalle, N.d.R.) nella stalla del padre di Valentina, dei tedeschi che passavano dai paesi del crinale bruciando le case e uccidendo gli abitanti e dei partigiani, giovani che avevano preso le armi per difendere la terra dei loro padri e per scacciare gli invasori. I partigiani vivevano alla macchia nei boschi e nelle capanne dei pastori. Le parole del prete, molto stimato al suo paese natale, suscitarono nei paesani commozione e simpatia nei confronti degli uomini che avevano cominciato una così difficile e coraggiosa battaglia. Anche nella fantasia di Valentina si accese questa fiamma, sempre accompagnata dall’immagine di uomini senza volto ma grandi e maestosi come guerrieri antichi. Tale idea si rafforzava man mano che sentiva i racconti che i paesani facevano dei

partigiani. Dopo l’8 settembre del ’43, e poi nell’anno successivo, di partigiani ne arrivarono tanti. Risalivano la Val d’Asta spingendosi sempre più in alto. Erano invariabilmente stanchi, malvestiti, affamati e niente affatto imponenti come se li immaginava lei. Era l’autunno del 1943 e lassù in montagna faceva molto freddo. Nonostante la miseria fosse di casa, tutti gli abitanti di Roncopianigi di Febbio (come quelli degli altri borghi vicini) fecero a gara nel soccorrere questi poveri cristi con i piedi piagati e gli abiti leggeri. Poi una volta arrivò a casa di Valentina un gruppo di questi “partigiani”. Furono ospitati da suo padre nel fienile. Nel gruppo c’era un ragazzo di 19 anni come lei che i compagni chiamavano Slim. Era primavera inoltrata e la montagna trionfava nel suo risveglio vitale. Valentina lo guardò e le sembrò che il suo cuore si fermasse. Lo vedeva così bello e diverso dagli altri. Abbassò gli occhi perché le pareva che tutti i presenti avrebbero visto il lampo di questo amore improvviso che le attraversava la mente. Con spontaneo gesto femminile, gli allungò un mestolo di latte appena munto. Slim bevve avidamente il latte e mentre restituiva il mestolo dovette sentire il calore di questo amore bruciante. Valentina era bellissima e così diversa dalle ragazze che lui aveva conosciuto in città. Fiera e limpida come il cielo di quelle montagne, con le guance rosse e gli occhi brillanti sotto le sopracciglia nere e diritte come foglie di salice. I capelli raccolti in lunghe e pesanti trecce le incorniciavano il viso. Da quel giorno la casa del babbo di Valentina fu la meta preferita di Slim che ormai veniva ammesso anche davanti al camino nella grande cucina di casa. Lui sapeva che sulla mensola del camino Valentina gli avrebbe fatto trovare qual-

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generazioni

che dono: un bicchiere di latte, un pezzo di pane, un paio di calzettoni di ruvida lana di pecora. Tutte cose preziose per gli uomini che vivevano fuori sulle montagne e che rischiavano la vita per la libertà del loro Paese. Senza farsi vedere Slim posava sul camino una sigaretta per il babbo di Valentina, a compenso della generosità ricevuta. Durante quella radiosa primavera i due giovani non riuscirono a reprimere il grande amore che li univa. Slim spiegava a Valentina perché aveva voluto fare il partigiano. Era studente universitario (cosa rara per quei tempi) e sapeva spiegare bene le sue ragioni e i suoi ideali. I suoi genitori vivevano in città. Era l’amato figlio del fornaio di Via del Torrazzo. Suo padre l’aveva supplicato di fuggire in Svizzera dove avrebbe potuto salvarsi e vivere fino alla fine della guerra, ma lui aveva sdegnosamente rifiutato tale compromesso. Ora, ricordando con affetto i genitori e il loro dolore nel vederlo partire per una vita di pericolo e di sacrifici, spiegava a Valentina che lui non aveva voluto essere vile e tradire tanti suoi compagni, giovani come lui. Così ora era giunto lassù e aveva il nome di battaglia di Slim. Il suo nome vero – Luciano – lo diceva solo a lei e doveva essere un segreto fra loro due. La ragazza ascoltava incantata e il suo amore diventava sempre più grande. Pensava di essere la donna più fortunata del mondo e che Slim Luciano era il principe sognato tante volte nella sua infanzia. Spesso lui le diceva: “Questa guerra finirà e allora io e te, Valentina, ci sposeremo. Ti porterò dai miei giù in città e ci faremo una famiglia. Non avere paura perché io ti voglio bene, ti vorranno bene anche i miei”. Quelli furono i mesi più felici della loro vita. Fra i partigiani, in montagna, l’organizzazione cominciava a funzionare bene. C’era stato anche un lancio di paracadute nella radura di Lama Golese da parte di aerei alleati e questo aveva rafforzato il

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potenziale di armi dei partigiani. Lassù nelle capanne di Lama Golese c’erano diversi gruppi di uomini raggruppati in brigate Garibaldine e, fra questi, tre compagni: Dario (Giuseppe Carretti), Luigi (Pio Montermini) e Aldo (Osvaldo Salvarani) che, più tardi, avrebbero avuto parte nella storia di Slim. Poi cominciarono ad arrivare notizie terribili. Si raccontava di stragi e incendi perpetrati dai tedeschi in paesi vicini. A Cervarolo – si diceva – avevano fucilato tutti gli abitanti e con loro anche il prete don Giovanni Battista Pigozzi, quello di Roncopianigi, e avevano incendiato il paese. Minozzo aveva subito la stessa sorte. A Bettola avevano incendiato un borgo di case e ucciso tutti gli abitanti. Addirittura un bambino di pochi mesi, Pietro, era stato strappato dalle braccia della mamma e gettato vivo tra le fiamme. Le vicende e i nomi passavano di bocca in bocca – Alfredina… Pietro Varini – e arrivavano fin lassù alle pendici del monte Cusna. Poi gli invasori giunsero sempre più vicini. Nelle notti gli incendi illuminavano i monti. Un giorno, verso la fine di luglio, Slim, assieme ad un compagno, caricato un mortaio sul mulo, partì per portarlo sul Passo Cisa, sopra Monteorsaro. Era arrivata notizia che un colonna di tedeschi stava salendo per la via di Ligonchio. Bisognava tentare di fermarli. Prima di partire Slim abbracciò forte Valentina e le disse di nascondersi bene e di avvertire i paesani di stare nascosti che c’era pericolo. Lei non pianse ma lo guardò intensamente come a imprimersi nella mente quel viso così caro. Poi andò e fece quello che lui le aveva chiesto. Si nascosero tutti. Dal paese sentivano il fragore degli spari e chi aveva fede pregava per la propria vita e per gli uomini della resistenza. Poi la colonna tedesca passò da Roncopianigi e andò giù due chilometri verso il paese di Febbio. Valentina, nascosta dietro la finestra di

casa, vide passare la colonna e, incatenato in mezzo ai tedeschi, vide Slim. Pensieri terribili passarono per la sua testa: terrore, disperazione. Voleva correre a Febbio ma suo padre glielo impedì. Poi venne la notte. Nel buio si levarono da Febbio le fiamme dell’incendio. I tedeschi avevano fatto come a Cervarolo, a Minozzo e a Bettola: il paese bruciava. Per fortuna gli abitanti, avvertiti da Valentina, avevano fatto in tempo a fuggire. Luciano fu torturato. I tedeschi volevano sapere dove si trovavano i suoi compagni e dov’era la gente del paese. Ma lui non parlò e alla fine fu ucciso, appeso a testa in giù e così lasciato davanti alla chiesa. Una donna del paese, che sapeva di Luciano e Valentina, andò su a Roncopianigi e di lontano chiamava piangendo: “Valentina corri… corri…!” Valentina non parlò, si gettò sulla strada correndo pazzamente verso Febbio. Non voleva ancora credere al peggio. Sperava che Luciano fosse ferito, che si potesse ancora salvare o che fosse stato fatto prigioniero dai tedeschi per essere portato in Germania. Quando arrivò in paese vide dapprima cenere e macerie e poi, quasi davanti alla chiesa semidistrutta, il corpo appeso, straziato dalla baionette tedesche. Il bel viso pieno di sangue, irriconoscibile. Rimase immobile per un lungo momento, il sangue agghiacciato. Il suo viso fiero era terribile. I tedeschi non ebbero il coraggio di fermarla. Era il 31 luglio del 1944. Si seppe poi che, al momento della cattura, Luciano aveva salvato la vita al suo compagno dicendo che si trattava di un pastore incontrato per caso. Questi lo lasciarono libero e lui fuggì nei boschi. Luciano venne sepolto dai tedeschi stessi a fior di terra, sotto un albero, tre giorni dopo. Fecero questo non per umana pietà, della quale erano incapaci, ma perché era agosto e il caldo corrompeva il cadavere appeso. La colonna di nazisti, che aveva prose-


generazioni

guito lungo la strada provinciale, arrivò poi a Villaminozzo e anche quella cittadina venne ridotta a un cumulo di macerie fumanti. Solo qualche tempo dopo, verso la fine di agosto, Giuseppe Carretti Dario e i suoi compagni Luigi e Aldo scesero dalla montagna verso il paese bruciato. I paesani si fecero loro incontro e insieme piansero per il paese bruciato, per gli altri paesi, per i lutti e il dolore. Poi continuando una tradizione di ospitalità e generosità verso questi figli di altre madri, le donne trovarono il modo di soccorrerli ancora una volta. Una vecchietta diede loro anche un pezzetto di sapone per lavarsi e una lametta per farsi la barba. Qualcuno fece comparire una polenta e quei ragazzi, che per mesi di erano nutriti di patate crude, mirtilli, lamponi, erbe e radici selvatiche, mangiarono avidamente. Finito che ebbero di mangiare, la stesa vecchietta disse: “Ma voi sapete che qui, sotto quell’albero, seppellito alla meglio c’è un vostro povero compagno?” E i paesani, parlando tutti assieme, raccontarono quello che era successo. Giuseppe e Aldo andarono con la morte nel cuore, disseppellirono il corpo e lo ricomposero pietosamente in una cassa fortunosamente costruita sul posto. Luciano aveva ancora i pantaloncini corti. Giuseppe, che lo conosceva bene, aveva sperato che il suo compagno fosse nascosto in qualche capanna di montagna. Non poteva darsi pace e pensava penosamente a cosa avrebbe detto ai poveri genitori di Luciano una volta tornato a casa (se pure anche lui fosse tornato vivo!). Nel ricomporlo i compagni videro con orrore che nella sua povera testa c’erano i fori di 15 pallottole. Tanto pericoloso era stato considerato quel giovane di 19 anni! Valentina non riusciva a piangere. Il suo dolore era così grande che nessuna parola, nessun gesto poteva lenirlo. Non aveva amiche a cui confidare la sua pena. Spesso andava nei boschi e nelle radure

dove aveva incontrato Luciano e, sola con i suoi animali, cercava il ricordo del suo amore perduto. Un anno dopo, quando la guerra finì, lei non provò nessuna gioia, non ballò con gli altri, le pareva di avere più di cento anni sulle spalle e i suoi occhi non brillavano più come una volta. Poi un giorno partì, come facevano tanti montanari in quegli anni. Emigrò in Svizzera e trovò un lavoro. La montagna si stava spopolando e anche lei provò ad allontanarsi per cercare un poco di pace e di sollievo al suo dolore. Per più di dieci anni non visse che per quel ricordo. Poi, quando ebbe 30 anni, conobbe in Svizzera un brav’uomo e lo sposò. Ebbe un figlio. Il dolore si affievolì, coperto dalle incombenze della vita, e rimase solo in fondo al suo pensiero. A 50 anni tornò a Roncopianigi e si costruì, assieme a suo marito, una bella casa. Suo figlio rimase in Svizzera perché la sua vita ormai era là. Oggi Valentina è tornata a fare la pastora, come quando aveva 18 anni. Va su in montagna con i suoi animali, accompagnata da un grande cane bianco maremmano. Dice che lo fa per aiutare suo fratello. Io penso che ancora oggi il ricordo di quel grande amore l’accompagni nelle valli e nei boschi. Quando me ne ha parlato la sua voce tradiva ancora emozione e rimpianto. Uomini come Luciano ci lasciano ricordi limpidi come il cielo del Cusna nelle mattinate di primavera. Luciano Fornaciari, nome di battaglia Slim, 26a Brigata Garibaldi, è stato insignito di medaglia d’argento al Valor militare. Oggi una delle vi principali della città è intitolata a lui: la via dove c’era, e ancora c’è, il forno di suo padre. Carla Maria Nironi

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cultura www.governareggio.it

VIA ROMA avrà il CENTRO D’ASCOLTO

SOCIALE Un nuovo servizio per affrontare i problemi della convivenza

I

n tempo di crisi la parola d’ordine è difendere i servizi. Nella città famosa in Italia per i suoi servizi sociali anche la loro semplice salvaguardia non è un obiettivo da poco. Eppure, Reggio, non smette di pensare ai bisogni dei cittadini. Di fronte ai nuovi bisogni che la società multietnica manifesta, ma anche a quelli che la crisi economica delle famiglie fa emergere, si avverte la necessità di dare risposte concrete a chi ha bisogno, di avvicinare le istituzioni alle persone. E’ questo lo spirito che porterà, fra qualche mese, alla nascita di un nuovo servizio: il Centro d’ascolto sociale. Questo servizio innovativo, focalizzato sulle esigenze sociali di convivenza, sarà costituito da uno o più sportelli, da aprire nelle aree più critiche della città, a cui il cittadino potrà rivolgersi per riferire di un problema sociale relativo, appunto, a questioni di convivenza civica, luoghi di degrado, di disturbo alla quiete, problemi condominiali, ecc. La gestione dello

32 dicembre 2010

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sportello sarà affidato alle associazione del volontariato, previa adeguata preparazione dei volontari. L’obiettivo è quello di creare un canale d’ascolto delle persone, specialmente quelle, socialmente, più deboli. Questo nuovo servizio dovrà gestire, sostanzialmente, tre compiti. Il primo è l’ascolto; il secondo, sarà quello di dare risposte su alcune materie da definire; il terzo è quello di indirizzamento, cioè di aiutare le persone a rivolgersi alle istanze giuste, come per esempio ai servizi sociali, assistenziali, amministrativi, ecc. In altre parole, il servizio vuole essere un’antenna in grado di captare una parte dei problemi delle persone che nascono dal loro vivere sociale e un servizio in grado di migliorare la capacità di mediazione culturale e prevenzione dei conflitti. Dietro lo sportello, dovranno essere aperti tre canali di comunicazione diretta: il primo con il Comune, il secondo con la Circoscrizione, il terzo con i servizi di mediazione dei conflitti, di piccola consu-

lenza legale, amministrativa, economica, ecc., anche messi a disposizione da altre associazioni di volontariato. Considerata la necessità di valutare l’effettiva organizzazione, il tipo d’impegno da richiedere alle associazioni di volontariato e i costi, sarà attivato come progetto-pilota nella zona di via Roma, ad integrazione delle iniziative previste dal “Patto di via Roma” siglato nel mese di giugno scorso fra il Comune e numerose associazioni di categorie economiche, di residenti e volontariato. Si tratta, quindi di un servizio che vedrà protagoniste le associazioni del volontariato reggiano che operano su queste problematiche. Questo servizio che è stato proposto dalla Circoscrizione Città Storica, con il voto contrario della Lega Nord, è già al vaglio dell’assessorato alla Coesione e Sicurezza sociale del Comune il quale si sta adoperando per mettere a disposizione un locale proprio nella zona di via Roma.


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