Vino e dintorni n° 6

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natale italiano

tra tradizione e novità

top ten

piemonte

ristoranti e alberghi

terre da vino

land of perfection

langhe e letteratura nelle bottiglie

772240 458002

10006

Anno II numero 6 – € 4,90

vignaioli piemontesi 9

ISSN 2240-4589

uno scrigno di tesori

Qualità una scommessa che paga

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Un Forum carico di novità David Taddei

Come ormai tradizione, l’anno “vignaiolo” si chiude con il Forum Montepaschi sul vino italiano. È diventato un appuntamento importante per tutto il comparto e lo diciamo con un pizzico di soddisfazione per aver contribuito ad innescare l’idea che lo ha fatto nascere. Proprio dalla riflessione che mancava un appuntamento dove potessero confrontarsi i vari protagonisti della filiera vinicola di qualità, avendo a disposizione dati freschi, veri, sull’andamento dei mercati esteri e proiezioni economico - finanziare attendibili sul futuro prossimo, la banca ha deciso di colmare questo vuoto. Il Forum, giunto alla terza edizione, ha generato un’inversione di tendenza e adesso ci sono, durante l’anno, molte più occasioni dove esperti snocciolano dati recenti e non più datati di tanti mesi se non anni. Significa che anche questo comparto produttivo così anomalo e particolare, con il suo oscillare fra l’agricoltura e il bene di alta gamma, inizia a darsi regole imprenditoriali più certe e supportate da studi di set-

tore veri, come accade in tanti altri campi. Non che i big del vino italiano non avessero (e non abbiano) un approccio imprenditoriale moderno e all’avanguardia, tutt’altro, ma la realtà del nostro vino è fatta di qualche decina di aziende strutturate come si dovrebbe e di migliaia di piccole o piccolissime, che quando si parla di estero sono costrette ad improvvisare o sono vittime di apprendisti stregoni. Ecco che il Forum di BMPS è il primo segno di una nuova generazione di appuntamenti e di confronti che dovranno servire soprattutto ad aggiornare e ad indirizzare quelle migliaia di nostri produttori che non possono permettersi super consulenti di marketing, ma che cercano comunque di stare al passo con i tempi consci delle proprie dimensioni e delle proprie possibilità. Adesso manca ancora un passo importante, che proprio il nostro sistema bancario potrebbe cercare di fare, spostandosi, anche per le aziende piccole, da semplice fornitore di servizi finanziari standard a vero e proprio consulente per investimenti

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in nuovi business, proponendo o accompagnando i nostri imprenditori con la conoscenza dei mercati e con appositi strumenti finanziari. Nel prossimo numero pubblicheremo un’ampia sintesi della ricerca che Banca Montepaschi ha realizzato insieme ad Ismea, così da mettere a disposizione di tutti i nostri lettori i dati più significati che sono emersi. Questo numero di fine anno è dedicato ai vini e ai menù delle feste tradizionali di fine anno, mentre il focus è centrato sul Piemonte così prodigo di rossi pregiati, grandi bollicine e bianchi accattivanti, oltre che di tanti prodotti tipici (ad iniziare dal tartufo di Alba) e di una gastronomia davvero monumentale. Da innamorato delle Langhe non posso che farvi i migliori auguri, invitandovi a passare le vostre feste in questa magnifica terra. Nelle fredde giornate invernali un buon Barolo invecchiato si apprezza ancora di più. E non dimenticate gli spumanti, l’Italia non è solo Franciacorta.



Sommario

Agenda 8

Il territorio

10 News

Il gotha 12

del vino italiano si ritrova al Forum Mps

14

Vini 50

che hanno fatto storia

Vitigni e vini autoctoni

Bio&dinamico

16

per vincere le sfide

Cresce

Qualità, 54

una scommessa che paga

Merano WineFestival

il

Uniti

Il territorio

la passione

Vince 15

52

Il territorio

56

Il territorio

Dentro

ogni vino un racconto

Il territorio

Ecco 59

Speciale Natale

Natale

il vero Piemonte

con i tuoi

62

Il territorio

Terre da Vino, Langhe in bottiglia

Speciale Natale

Vini ottimi

da regalare

18 20

Il territorio

Vini 68

Speciale Natale

È un Natale

italiani in Cina

italiano Speciale Natale

Tutta

la passione per le bollicine La sfida di Nadia Nicoli con il suo Champagne Encry

Tocco

di classe italiano

26 30

32 34

Resort da sogno

Relax

in terra friulana Novità editoriali

Il romanzo del Sangiovese

38

La Campania in un bicchiere

Fare cultura

Abbiamo 74

assaggiato

80

Il territorio

Bolle in pentola la tradizione

Il territorio Azienda vinicola Veglio Michelino & figlio “La Collina dei Re”

Barolo Docg for Africa

in

Made 84

Piemonte

88

Il territorio

Moscato

meno effervescente Arte di...vino

Gordon Ramsey

In cucina

Arte e territorio 90 vestono la bottiglia

91

Oltre confine

Canada

Viaggi

Trentino

La magia

Occasioni 92 golose

93

degli alambicchi

46 48

Tra alberghi

Il territorio

senza sconti

40 44

Il territorio

e ristoranti

del vino

Un viaggio 36 tra risotti e sorrisi

69

Innovazione

Nebulizzatore Pneumatico

elettrostatico Economia

Il territorio

Piemonte

Land of perfection

Gdo, nuovo 94 mercato del vino

95

Macch[in]azione

Troppe

grandi annate


Agenda

Spanish Food & Wine Market London 24-25 gennaio 2013

Wine Professional di Amsterdam 1-9 gennaio 2013

Ad Amsterdam si tiene l’undicesima edizione dell’evento organizzato dal The Wine & Food Association. Alla fiera, che si terrà presso l’Amsterdam RAI, noto centro congressi e fiere, parteciperanno privati di alto livello, ristoratori di qualità e giornalisti enogastronomici del Benelux. L’evento è uno dei più importanti in Europa per il settore food & wine d’eccellenza e rappresenta un’eccellente vetrina per i partecipanti, che potranno promuovere i propri vini all’interno del panorama internazionale. www.wine-professional.nl

Enoliexpo Adriatica 18-20 gennaio 2013

Nelle Marche, a Fermo si svilupperà la nuova idea di fiera dedicata ai produttori di vino e olio. Al Fermo Forum saranno esposti macchinari, attrezzature, prodotti e servizi per la viticoltura, l’olivicoltura e l’industria della trasformazione ed inoltre è previsto un ricco programma di conferenze ed incontri sul tema della gestione agronomica di vigneti e oliveti, sui processi di lavorazione in cantina e frantoio ed anche sulla commercializzazione e le nuove strategie di marketing. www.enoliexpo.com/enoliexpo/

Si tiene a Londra il salone organizzato dalla Globla Expo, che si propone di proiettare nel mercato britannico e scandinavo prodotti spagnoli. Saranno presenti imprese, selezionate in base alla qualità e al valore del prodotto, oltre che al potenziale di esportazione della società. www.expo-global.com

Millésime Bio 2013 28-30 gennaio 2013

Al Parc des Expositions di Montpellier si terrà il salone creato dai produttori di Languedoc-Roussillon, per presentare i loro prodotti, i vini ottenuti da uve di agricoltura biologica e le caratteristiche della nuova annata. Saranno presenti oltre 560 produttori provenienti da tutto il mondo. www.millesime-bio.com

U.S. Sport Aviation Expo-Food/Wine Event

The France Show 18-20 gennaio 2013

Wine &Winemaking

Chef leggendari e vigneti di fama mondiale faranno da cornice all’edizione 2013 dell’Expo che si terrà a Sebring (Florida, Usa). Nei quattro giorni si terranno eventi di degustazioni, con chef ed enologi che illustreranno come abbinare pregiati vini a piatti di raffinata cucina, sapientemente cucinati. www.sport-aviation-expo.com

Si tiene a Londra il salone dell’enogastronomia e del turismo francese che mostra i migliori prodotti alimentari transalpini nel Regno Unito. Si potranno assaggiare molte prelibatezze grazie a degustazioni sia di vino che di prodotti alimentari e osservare dal vivo gli chef in azione. www.thefranceshow.com

A Odessa, in Ucraina, si terrà il tradizionale appuntamento per l’industria delle bevande alcoliche. L’evento 2013 parlerà delle nuove tendenze europee nella progettazione, del confezionamento di prodotti alcolici, di commercializzazione al dettaglio e di turismo del vino. www.expodessa.com

17-20 gennaio 2013

8

7-9 febbraio 2013


il buon vivere italiano

Il vino per conoscere e scoprire i territori italiani

vino

territorio

prodotti tipici

gastronomia

tradizioni

viaggio

Strumenti integrati di comunicazione per promuovere e tutelare il bello e il buono dell’Italia la rivista – il sito web – consulenze per la comunicazione

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News A cura di Luca Casamonti

A Firenze si sono incontrati i rappresentanti delle capitali mondiali della produzione vitivinicola per progettare il futuro A Capodanno la tradizione vuole che allo scoccare della mezzanotte si stappi lo spumante. Ma per tutti quelli che sono a festeggiare nelle piazze o in altro luogo e non alla classica cena, la bottiglia spesso è un problema. A ciò ha pensato Pommery, azienda di champgne francese, che ha presentato la “Collection Pop”, con originali bottiglie di soli 20 cl, comode anche da portare in valigia per un romantico brindisi tête-à-tête. Gli astucci e le etichette sono disponibili in 2 diverse versioni: la più romantica con la Tour Eiffel e la più esotica con un dragone cinese, portafortuna per il 2013.

“Italia a Tavola 2012”: prodotti tarocchi spacciati come made in Italy. Gran lavoro da parte di tutti per evitare le frodi

Dal 4 all’8 novembre 2012, in concomitanza con Florens 2012, Firenze ha ospitato l’Annual General Meeting delle Capitali del vino. È stata questa l’occasione in cui i rappresentanti delle nove capitali mondiali della produzione vitivinicola. Bordeaux (Francia), Mainz (Germania), Porto (Portogallo), Bilbao ( Spagna), San Francisco – Napa Valley (Usa), Capetown (Sud Africa), Mendoza (Argentina), Christchurch-South Island (Nuova Zelanda), oltre a Firenze, si sono incontrati per mettere a punto programmi di cooperazione internazionale, per promuovere il turismo del vino e per facilitare scambi economici, culturali e accademici.

Champagne per ogni occasione. La Pommery ha creato la bottiglia tascabile da 20cl con due diverse ed originali grafiche

Legambiente e Movimento per la difesa del cittadino hanno recentemente steso il rapporto “Italia a tavola 2012”, facendo emergere il grande lavoro svolto dalle forze dell’ordine e dagli enti preposti, per scoprire le frodi e i rischi che minacciano le nostre tavole, la salute e il sistema di produzione agroalimentare di qualità. Oggi vale 60 miliardi il business di coloro che sfruttano l’immagine dei prodotti alimentari Made in Italy per vendere nel mondo falsificazioni. Tra i maggiori prodotti contraffatti si trova-

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no i vini, con polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose. Lo scopo negli anni è quello di aumentare i controlli ed evitare di trovarsi in tavola mozzarella di bufala contraffatta, olio deodorato di bassa qualità, pesce abusivamente decongelato, allevato in acque inquinate, prodotti congelati di provenienza cinese scaduti, riconfezionati e rietichettati con scadenza prolungate di oltre diciotto mesi rispetto all’originale.


È il simbolo storico della Toscana vinicola del passato. Parliamo del fiasco, accantonato negli anni scorsi, ma che torna di moda per il suo effetto retrò. L’azienda Ruffino lo rilancia nel formato da 1 litro, con il Chianti Docg Superiore. Un fiasco dove la paglia è sostituita con carta certficata Fsc (Forest Stewardship Council) ed è fornita, come il fiasco stesso, da aziende vicine alla sede storica di Ruffino a Pontassieve (Firenze). Il motivo, come spiega Ruffino, è quello di riproporre sul mercato un simbolo di italianità in tutto il mondo e usarlo come contenitore principe di un vino di pregio come il Chianti.

Sa di tappo? No. La definitiva soluzione al problema arriva dalla francese Diam Bouchage con il trattamento “Diamant”

Innovare nel segno della migliore tradizione: Ruffino ripropone il fiasco, simbolo indimenticato della Toscana del vino Sa di tappo? Quante volte, appena aperta una bottiglia di vino si pone questo interrogativo. E allora la Diam Bouchage, azienda francese tra i leader mondiale nella produzione di tappi in sughero, insieme a Paolo Araldo di Calamandrana (Asti), presenterà il procedimento “Diamant” con il quale produce i suoi tappi, che manterranno il “sapore” di sughero, a prova di Tca (la molecola che provoca il tanto odiato sapore di tappo) e con cui vuol far notare i vantaggi che tale tecnologia può

offrire. La Diam Bouchage non fa ricorso a materiali che non siano il classico sughero, ma effettua solo un trattamento, riducendo il sughero in microgranuli e cercando di andare ad eliminare totalmente e per sempre dalle chiusure in sughero delle bottiglie quel fastidioso “sapore di tappo” di cui è responsabile la molecola Tca. Inoltre con il tappo Diam, la qualità di ogni vino sarà garantita da tappi creati “su misura” per ogni bottiglia, ognuno con un preciso grado di permeabilità a seconda delle esigenze.

Quando la musica si scontra con la cucina d’autore. Nasce il Mangiadischi, format gastromusicale con chef e cantautori

Si sono concluse le registrazioni delle prime tre puntate de IlMangiadischi, con ogni episodio che si sviluppa attraverso la musica e le ricette proposte dai due artisti. Lo chef si mette ai fornelli, raccontando come nascono alcuni suoi piatti, mentre il musicista organizza la colonna sonora della puntata mixando pezzi propri con canzoni che ne hanno influenzato il percorso e la carriera musicale, suonando il tutto su un vero giradischi. Attorno a loro una trentina di ospiti, che dialogano tra loro e assistono al musical-cooking in un’atmosfera quasi familiare. L’appuntamento con la prima puntata è per dicembre sul sito ufficiale de IlMangiadischi

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Il gotha del vino italiano si ritrova al Forum Mps Tendenze e prospettive per il vino italiano. Se ne parlerà il 24 novembre al Teatro dei Rozzi dove è in programma il terzo Forum Montepaschi dedicato al settore vitivinicolo nazionale. Nato nel 2010, il Forum è diventato in pochi anni un appuntamento irrinunciabile, dove si ritrova il gotha del settore con la partecipazione di istituzioni, imprese, produttori, studiosi, operatori nazionali e stranieri.

Quest’anno saranno ospiti, tra gli altri, gli importatori del mercato russo, Korneev Anatoly, e di quello cinese Sen Liu. L’iniziativa è nata nel 2010 per rispondere alle esigenze del comparto vitivinicolo e fornire un supporto di analisi tecnica e finanziaria ad un settore che sta assumendo sempre più importanza nell’economia del nostro Paese ed è considerato uno degli asset principali su cui investire

il forum è diventato in pochi anni un appuntamento irrinunciabile anche in termini di conoscenza. I lavori inizieranno con la presentazione della ricerca preparata dall’area Research e Business di Banca Mps con Ismea e dedicata quest’anno ai nuovi mercati che si stanno aprendo e a quelli “futuribili” che potranno aprirsi nei prossimi anni. La ricerca offre un quadro dettagliato e aggiornato dell’andamento della imprese italiane sia per volumi di vendite sia per fatturati e presenta anche il nuovo “Mps Wine Index”, il primo e unico “indice di competitività” del vino italiano, messo a punto dall’Area Research. Sugli scenari futuri del mondo vitivinicolo si discuterà in una tavola rotonda (inizio ore 10,30) alla quale partecipano: Fabrizio Viola (Ad di Banca Mps), Claudio Galletti (Presidente dell’Enoteca Italiana), Gianni Salvadori (Assessore all’Agricoltura della Regione Toscana), Federico Castellucci (Direttore Generale dell’Oiv, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del vino), Giovanni Mantovani (Direttore Generale di Veronafiere che organizza Vinitaly), Lamberto Vallarino Gancia (produttore e Presidente di Federvini). Seguirà (alle 11,45) una seconda tavola rotonda sul tema della competizione nel mercato globalizzato alla quale partecipano Fabrizio Schintu (Responsabile Area Estero di Banca Mps), Fabio Carlesi (Segretario Generale dell’Enoteca Italina), Beniamino Quintieri (Università di Tor Vergata Roma), Giuseppe Martelli (Direttore Generale di Assenologi),

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Rocca Salimbeni, Siena

Fabrizio Viola

Riccardo Illy (azienda Mastroianni), Barbara Mottura (azienda Mottura), Carlotta Pasqua (cantine Pasqua e presidente di Agivi, l’Associazione dei Giovani Imprenditori Vinicoli Italiani), Luigi Rubino (Presidente del Consorzio Puglia Best Wine). Quest’anno il Forum è inserito in una due giorni senese dedicata al vino con degustazioni libere, eventi culturali e la presentazione dei migliori vini della Toscana. Toscana Promozione, presenterà, nel pomeriggio di sabato 24 novembre, sempre al Teatro dei Rozzi, la premiazione dei “Top 100” della Selezione dei Vini di Toscana curata dall’Enoteca Italiana. Nella stessa giornata si terrà l’inaugurazione della mostra Vino fra mito e storia, promossa dalla Provincia in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Toscana; un viaggio nell’antichità intorno alla vite e al vino, 13

visitabile a Siena e nei territori di produzione maggiormente vocati fino al 5 Maggio 2013, Il nucleo principale della mostra sarà a Siena, nella sede di Enoteca Italiana (Fortezza Medicea), dove sarà allestito un percorso espositivo sulla storia del vino, mentre nei musei dei cinque territori maggiormente rappresentativi dell’eccellenza vitivinicola senese saranno allestite delle mostre collaterali, integrate nelle collezioni permanenti. Saranno sedi della mostra: Castellina in Chianti (Museo Archeologico), Castelnuovo Berardenga (Museo del Paesaggio Montalcino (Museo Civico e Diocesano), Montepulciano (Museo Civico Pinacoteca Crociani), San Gimignano (Museo Archeologico e Spezieria di Santa Fina). Sempre a Siena, al Santa Maria della Scala (Piazza Duomo), sarà messo in mostra un oggetto unico, il cinerario di Montescudaio.


Fiere

Vitigni e vini autoctoni

Cresce la passione Ci sono piccole fiere, lontano dal clamore dei grandissimi eventi, che riescono realmente a valorizzare e far conoscere il vero vino italiano. Autochtona, il forum di fiera Bolzano è una di queste. Riesce realmente a promuovere il vero cuore dei vini italiani, quelli prodotti con vitigni autoctoni, quelli che rappresentano la vera anima dell’Italia e dei suoi mille territori. Che sia un punto di riferimento per un certo modo di pensare e fare enologia, lo dicono i numeri. La partecipazione all’ultima edizione è aumentata di più di un terzo, con un incremento del 5% dei visitatori esteri, provenienti soprattutto da Germania e Austria. In tutto sono stati 1.750 i visitatori registrati, con un +34% rispetto ai 1.300 della precedente edizione. L’edizione 2012 ha visto anche una crescita sul fronte degli espositori, registrando il tutto esaurito con 76 banchetti, contro i 63 del 2011. Sono passate da 100 a 150 le aziende, presenti singolarmente o attraverso delegazioni, consorzi di tutela, associazioni di produttori e strade dei vini e dei sapori. A garantire lo sviluppo di Autochtona è il posizionamento orientato alla valorizzazione di vitigni rari, ricercati e recuperati dalle tradizione agricole dei terroir italiani, come testimoniano le parole del direttore di Fiera Bolzano Reinhold Marsoner. «In Italia esistono centinaia di piccole ma ottime cantine che hanno investito nella biodiversità

della nostra tradizione vitivinicola e non riescono a farsi conoscere dagli operatori del settore», ha spiegato. «Produttori che grazie a un appuntamento come Autochtona possono contare su una vetrina in grado di esaltare le loro tipicità. A noi come organizzatori della manifestazione compete di ricercare le eccellenze e accendere i riflettori sui loro sforzi». La valorizzazione è passata anche attraverso l’assegnazione degli Autochtona Award. Il riconoscimento Migliori Bollicine è andato al Neblù Brut Metodo Classico Prëmetta di Les Crêtes. Miglior Vino Bianco: il migliore è risultato il Colli Tortonesi Timorasso DOC 2007 di Boveri Luigi. Miglior Vino Dolce: il

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Montenetto di Brescia IGT “M” Marzemino 2009 di La Maddalena. Il Miglior Vino Rosso: il Taurasi DOCG 2007 di Contrade di Taurasi. Il territorio carsico di Gioia del Colle, con il Gioia del Colle Doc Primitivo 2009 di Polvanera, si è aggiudicato il premio Terroir. Per i giurati Il Gioia del Colle Doc Primitivo “17” Vigneto Montovella 2009 di Polvanera prodotto con uve biologiche è il vino che meglio rappresenta il legame tra vitigno e territorio. Infine il premio dei visitatori di Autochtona 2012 è andato agli spumanti metodo classico dell’azienda Fongaro prodotti principalmente da uva Durella da coltivazione biologica nelle colline di Roncà (Vr).


Merano WineFestival

Vince il bio&dinamico Vino, ma anche gastronomia per il Merano WineFestival (MWF). L’edizione di quest’anno ha visto la presenza di 60 aziende bio&dinamiche, 300 aziende vinicole nazionali, 20 di viticoltura estrema, 29 produttori emergenti, 100 produttori internazionali fra cui i 26 Chateaux dell’Union des Grands Crus de Bordeaux, 13 produttori di birre artigianali. Novità di quest’anno sono state le mini verticali, ovvero la possibilità per i visitatori di poter degustare i vini selezionati dal MWF in tre, quattro o cinque diverse annate liberamente scelte dai produttori. Una scelta voluta da Helmuth Köcher per dare la possibilità di capire un vino ed un vitigno dalla sua evoluzione nel tempo, una scelta che solo grandi produttori e grandi vini possono garantire. Per quanto riguarda il food, a Culinaria sono state oltre 100 le aziende che hanno proposto in degustazione i prodotti golosi e curiosi provenienti da tutta Italia, con una particolare selezione di aziende proposte da FermoPromuove e dal Comune di L’Aquila. Sono stati in degustazione una grande varietà di oli, aceti da antiche acetaie emiliane, formaggi rari e pregiati, salse e sughi di Sicilia, una vasta scelta di salumi, panettoni ed altri invitanti dolci regionali. Non solo, 19 artigiani del gusto fra quelli presenti in Culinaria hanno presentato sul palcoscenico della GourmetArena i loro prodotti, raccontando come nascono ed offrendoli al pubblico in piccoli assaggi. E poi 13 affermati chef si sono esibiti nella GourmetArena per presentare i piatti con il tema dell’anno, “la sostenibilità in cucina”. Con 6.000 visitatori nelle quattro giornate il Merano WineFestival conferma la sua leadership nelle manifestazioni legate al vino di qualità.

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Speciale Natale


Natale

con i tuoi

A tavola e non solo


Speciale Natale

Per Natale e per qualunque altra occasione

Vini ottimi da regalare Andrea Settefonti

Regalare una bottiglia di vino può sembrare scontato e un po’ banale. Ma non sempre è così. Certamente non è banale regalare uno dei cinque vini made in Italy più amati da prestigiosi quotidiani mondiali. A conquistare la pole position è il famoso Ornellaia (www.ornellaia.com), un Bolgheri Doc Superiore nato nel 1985 (335 euro per la magnum del 2006), che a pari merito con Sassicaia (www.sassicaia.com), un Bolgheri Doc della Tenuta San Guido (380 euro la magnum del 2007), raccoglie il 22.5% delle citazioni nonché gli elogi dal più importante quotidiano economico americano, il Wall Street Journal. Al secondo posto (17.8%), si piazza un’altra casa vinicola toscana, la Ruffino (www.ruffino. com) con il Modus 2007 (34,5 euro), un blend di uve Sangiovese, Merlot e Cabernet. Un vino il cui spettro aromatico vede la pre-

senza di paprika, ciliegie e balsamo. Un gusto caratteristico di un grande vino italiano che va tenuto alcuni anni in cantina. Sul terzo gradino del podio (14.10%) si colloca il celebre gioiello delle Langhe piemontesi, il Barolo (260 euro per la magnum del 2001) di Bartolo Mascarello (www.barolodibarolo.com) che riceve i consensi persino dalla stampa francese, solitamente avara di complimenti verso le eccellenze italiane. Questo è quello che per gli stranieri sono i vini italiani che meglio ci rappresentano. Ma non possono essere dimenticati prodotti come il Masseto (800 euro per l’annata 1990 ma si può scendere a 480 euro per il 2007) prodotto da tenuta Ornellaia (ww.ornellaia.com). In Piemonte, il nome che più altri evoca la regione è Angelo Gaja (www.gaja.com). Il suo Barberesco 2000 viene venduto a 600 euro, una magnum con confezione in cassetta di legno. Se si torna in Veneto, tre sono gli Amarone della Valpolicella che meritano di essere segnalati. Il Monte Lodoletta 1999 Magnum Dal Forno (www.

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dalfornoromano.it) che ha un prezzo di 800 euro, l’Amarone Classico Campolongo di Torbe 2000 di Masi (www.masi.it) sul mercato a 74 euro la bottiglia da 75cl e la Riserva 1971 di Bertani (www.bertani. net) che si trova a 293 euro. Nell’enoteca di casa non possono neppure mancare il Brunello di Montalcino di Franco Biondi Santi (www. biondisanti. it), la Riserva 2001 Tenuta Il Greppo si attesta sui 270


euro e la Riserva 1966 della Fattoria dei Barbi (www.fattoriadeibarbi.it) è sul mercato a 245 euro. Blend di Sangiovese e vitigni internazionali, il Solaia Antinori 2007 (www.antinori.it ) si può acquistare a 175 euro la bottiglia. Per il Pergole Torte prodotto da Montevertine (www.montevertine.it ), in pieno Chianti Classico si arriva a spendere 60 euro per l’annata 2009, un vino Sangiovese in purezza che nasce in vasche di cemento e affina in botti grandi di Slavonia. Infine non possono mancare le bollicine, italiane. Come il Bellavista Riserva Extra Dry Vittorio Moretti (www.bellavistasrl. it), un Franciacorta 2004 che si trova sul mercato a 95 euro. O il Ferrari Giulio Riserva del Fondatore di Ferrari, anno 1996, (www.cantineferrari.it) che si impone a 90 euro la bottiglia. Tra i vini passiti, l’Amabile Del Cere Passito Bianco del Veneto e prodotto da Quintarelli ha un prezzo di 150 euro per la mezza bordolese, 0,375 cc. Per il Creato 76 Salvatore Murana, un Moscato di Pantelleria Doc occorrono 270 euro per mezzo litro. L’Occhio di Pernice, vendemmia 1997, interpretazione del Vin Santo toscano di Avignonesi, ha un prezzo di 230 euro la bottiglia da 0,375cc.

Certamente non è banale regalare uno dei cinque vini made in italy più amati da prestigiosi quotidiani mondiali. la pole position è il famoso ornellaia

(I prezzi sono una media di quanto si trova sul mercato).

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Speciale Natale

È un Natale italiano Nicola Natili

Da nord a sud, senza distinzione, il Natale è anche un’occasione unica per ritrovarsi con parenti ed amici intorno ad una tavola imbandita. Ogni regione apre i propri scrigni riproponendo i tesori gastronomici in essi racchiusi, una ricchezza che, nella sua diversità, costituisce un immenso patrimonio da difendere e trasmettere alle generazioni future. Il cenone e il pranzo di Natale fanno parte da sempre della liturgia laica di questa festa, la più sentita nel nostro paese. Purtroppo, però, viviamo un momento molto particolare; la vita marcia a ritmi forsennati, succhia energie e brucia il tempo non permettendo di soffermarci ad assaporare le piccole cose quotidiane. In questo vedere scorrere velocemente il mondo intorno a noi, le tradizioni vacillano lasciando sempre più spazio all’omologazione e questo in tutti i campi, non escluso quello alimentare. Che cosa orribile! È un grande errore a cui dobbiamo porre rimedio prima che sia troppo tardi. Difendere le radici della nostra cultura gastronomica è una battaglia che ci vedrà sempre in prima linea, iniziando da questo viaggio virtuale che, attraverso le ricette tradizionali del Natale, vuole riscoprire, o meglio ricordare, quelli che sono i sapori di una festa che rischia di cedere alla globalizzazione. Percorriamo insieme le tradizioni gastronomiche del Natale, dalle Alpi alle Isole, presentando alcuni piatti tradizionali in un viaggio a ritroso nel tempo tra sapori e ricordi, seguendo un immaginario filo che unisce l’Italia pur tra mille differenze e sfumature. Il nostro patrimonio enogastronomico è ricco, avvincente, intrigante e lo diventa ancora di più dopo essere passato attraverso le nostre esperienze personali, quelle che alla fine disegnano i contorni del nostro Natale, i suoi colori, i sapori. 20


Valle d’Aosta Un antipasto con i salumi tipici, la Mocetta, il Lardo di Arnad e il Jambon de Bosses apre il pranzo natalizio tradizionale, cui fa seguito la Zuppa alla Valpellinentze, una preparazione a base di verza, burro, fontina, brodo, pane raffermo, cannella e noce moscata. Si prosegue con la Carbonada Valdostana, delle strisce di carne macerate nel vino insieme a chiodi di garofano, aglio, bacche di ginepro, spezie cotte nel burro con aggiunta di dadini di lardo, cipolla, vino della marinatura e servita insieme alla polenta. Per concludere il soffice Mecoulin, un pane al latte con l’uvetta tipico di Cogne e le Pere a Sciroppo, pere cotte con zucchero, vaniglia, chiodi di garofano, acqua e vino rosso.

Veneto Immancabili gli antipasti a base di Soppressa Vicentina, un insaccato di maiale dal sapore avvolgente, di luganega e crostini con petto d’oca, il tutto in attesa dei ravioli in brodo di cappone e del risotto al Radicchio rosso di Treviso o dei saporiti Gnocchi di patate al ragù d’anatra. Seguiranno i lessi di manzo serviti con un condimento a base di rafano, la salsa Cren, accompagnati da purè di patate. Non mancherà il Baccalà alla Vicentina con polenta e il tradizionale cappone ripieno, un piatto che pur nelle varie interpretazioni è presente in tanti menù regionali. Chiuderà il pranzo il classico Pandoro di Verona, magari accompagnato con la Rosegotta, una variante della torta Sbrisolona, o il mandorlato di Cologna Veneta.

Piemonte

Trentino A lto A dige La tradizione gastronomica del Trentino prevede che l’onore di aprire il pranzo di Natale spetti a un piatto di salumi tipici, tra cui lo Speck dell’Alto Adige, un prosciutto crudo, lievemente affumicato, servito insieme ai Tortel di patate e cetriolini sotto aceto. Tra i primi piatti non possono mancare i Canederli, un impasto di pane raffermo arricchito con speck, uova, cipolla e prezzemolo, serviti in brodo o asciutti con burro fuso e la tradizionale polenta che da queste parti non manca mai sulla tavola e che viene servita anche con i secondi piatti come lo stinco di maiale al forno o il capriolo in umido. Dolci squisiti per chiudere come lo Strudel a base di mele e lo Zelten ricco di canditi e frutta secca.

Ravioli al plin

Il menù classico prevede un’apertura con salumi, verdure sottolio, vitel tonnè e verdure cotte al vapore. Seguono gli Agnolotti al Plin, un impasto di carne arrosto e spinaci racchiuso in una sfoglia di pasta all’uovo e conditi con il sugo di cottura della carne e i deliziosi Taijarin ai funghi caratteristici della Langhe. Sarà il “gran bollito” il piatto forte del pranzo di Natale: sette tagli di manzo e di vitello, più lingua, testina, cotechino, gallina, coda e zampa, cotte in acqua con carota, sedano e cipolla, il tutto accompagnato da tre salse, le Bagnet. Spetterà al Bunet, un budino al cioccolato con amaretti e qualche goccia di rhum e al Torrone di Alba, il compito di chiudere il pranzo. Lombardia Sarà il delicato Consommè di Tacchino in gelatina ad aprire il pranzo di Natale a Milano, accompagnato dai tipici salumi del territorio come la Coppa Piacentina, il Salame Lodigiano e la Bresaola dell a Valtellina. Primo piatto leggero a base di ravioli in brodo di cappone con le varianti costituite dai Tortelli di Zucca che troviamo in provincia di Mantova e i Casoncelli in Brodo tipici del bergamasco. Il Cappone Ripieno con una ricca farcia che prevede tanti ingredienti tra cui carne tritata, uova, grana e mortadella, accompagnato da mostarda di Cremona, costituirà il piatto forte del menu di questo giorno speciale. E per chiudere il dolce la cui fama ha varcato i confini regionali, il Panettone e il Torrone di Panettone Cremona.

Canederli in brodo

Friuli Venezia G iulia La salumeria friulana offre una grande varietà di prodotti su cui spiccano il Prosciutto di San Daniele, il Prosciutto affumicato di Sauris, il Prosciutto Carsolino e la Peta della Valcellina, salumi eccellenti che non possono mancare sulla tavola natalizia. Seguiranno la Brovada e Muset, una deliziosa zuppa di rape e cotechino aromatizzato e la polenta o gli gnocchi di patate conditi con crema al Montasio, maestoso formaggio tipico del territorio. Seguendo la tradizione, tra i secondi non può mancare la trippa al sugo di carne e il cappone al forno con patate e tra i dolci la Gubana, una pasta ripiena di noci, uvetta, pinoli e liquore e il Presnitz, sfoglia arrotolata e farcita con frutta secca, cioccolata, cannella, rhum e chiodi di garofano.

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Speciale Natale

L iguria

di paste ripiene che variano da provincia a provincia. Si va dagli Anolini di Parma e Piacenza, ai Tortellini di Bologna e Modena o ai Cappelletti della Romagna. In questa occasione sono serviti in brodo, ma anche al sugo di carne, unitamente alle tagliatelle. In Romagna è tradizione gustare i Passatelli in brodo, un impasto di pane e parmigiano aromatizzato con la scorza di limone. Segue un secondo a base di cotechino e zampone con lenticchie o accompagnato con purè di patate e mostarda. Dolci classici e i tradizionali Certosino e Panone di Bologna o il Pampapato di Ferrara, un dolce di origini antichissime. Toscana Principi di tavola a base di salumi di cinta senese e crostini di fegatini di pollo e milza. Un inizio eccellente in attesa dei tortellini in brodo di cappone e delle pappardelle sul cinghiale, due piatti che si esaltano in questa occasione. È poi la volta del cappone lesso con la caratteristica salsa Acciugata, o in umido con i gobbi prima fritti e poi ripassati nel pomodoro, a cui si aggiungerà il cinghiale o

Cappon magro

Il pranzo di Natale ligure prevede un antipasto a base di Polpo e acciughe marinate e lo straordinario Cappon Magro, un piatto di antiche origini a base di pesce e verdure. Tra i primi troviamo i Natalin, maccheroni tipo penne, ma lunghi circa 20 cm, cotti in brodo a cui vengono aggiunte piccole palline di pasta di salsiccia e i Ravioli Genovesi, con ripieno di vitello, animelle, uova, verdure, parmigiano e conditi con sugo di carne. A seguire la Cima Genovese, una sacca di carne farcita di uova, verdure, carne, frattaglie, formaggio, erbette, spezie e l’immancabile Pandolce, specialità della tradizione ligure ricca di pinoli, uvetta, canditi a pezzetti, finocchietto e pistacchi frantumati il tutto aromatizzato con acqua di arancio

Panforte

l’agnello in umido con gli spinaci e gli arrosti misti. E per chiudere in bellezza e in… dolcezza, un tris di dolci della tradizione senese come l’antichissimo Panforte nelle versioni bianco e nero, il delicato Ricciarello o lo squisito quanto rustico Cavalluccio, meno conosciuto, ma anch’esso con una storia che si perde nella notte dei tempi.

E milia e Romagna Si inizia con un antipasto in cui non può mancare il Culatello di Zibello o di Fiocchetto, prologo ad un trionfo

Marche La tradizione gastronomica marchigiana non è da meno a quella delle altre regioni e presenta piatti di grandi sapori. Tra i primi piatti, oltre ai tortellini in brodo, abbiamo i Vincisgrassi, delle lasagne al forno condite con un ragù di manzo, maiale, rigaglie di pollo e besciamella e i Maccheroncini di Campofilone al sugo. Seguiranno i secondi piatti tra cui il cappone in forno e il fritto misto a base di costolette di agnello, cremini, verdure e le conosciutissime Olive all’ascolana. Dulcis in funPampapato do due preparazioni antichissime, 22


il Frustingo ottenuto con farina integrale frutta secca e mosto d’uva e la Pizza de Natà, a base di pane, nocciole, mandorle, uvetta, cioccolato in polvere, scorza di limone, scorza di arancio, fichi, olio d’oliva, zucchero.

A bruzzo In Abruzzo il pranzo di Natale non può fare a meno del Brodo di Natale, un brodo a base di cardi, carni miste e verdure, lasciato bollire per circa tre ore e servito in vari modi a seconda

U mbria Il piatto natalizio tradizionale dell’Umbria sono i Tortellini

Rocciata

ripieni di cappone e piccione in brodo che precederà il Cappone bollito servito accompagnato dai cardi. Molto varia la tipicità dei dolci preparati per il Natale. Al Panpepato, molto diffuso in tutta la regione, si uniscono il Torciglione, un dolce a base di pasta di mandorle a forma di serpente molto diffuso nella provincia di Perugia e la Rocciata, una sorta di strudel a base di mele caratteristico di Foligno e zone limitrofe.

Stracciatella alla romana

L azio La tavola del 25 dicembre nel Lazio è ovunque molto ricca e variegata. Aprirà il pranzo un tagliere di affettati e verdure sott’olio cui farà seguito una Stracciatella in brodo di carne e, a seguire, le fettuccine al ragù. Secondi piatti a base di Cappone lesso con salsa verde, abbacchio al forno con le patate e le costolette d’abbacchio alla scottadito con contorno di puntarelle o cicoria ripassata con aglio e peperoncino. Sarà la frutta secca a chiudere il pranzo precedendo i dolci tradizionali tra cui il Pa n g i a l l o , un impasto di farina, canditi, pinoli, mandorle, cannella, noce moscata, chiodi di garofano in polvere, zibibbo o uva sultanina, cotto in forno.

della zona di riferimento. Nel teramano viene preparato il timballo di scrippelle ovvero delle frittatine sottilissime di acqua, farina e uova, abbondantemente condite con carne e formaggio. Tra i secondi troviamo il bollito e l’immancabile agnello arrosto. Molto vari i dolci dell’occasione, ma non possono mancare le Ferratelle, biscotti cotti su una piastra ricamata, il Parrozzo ricco di mandorle e i Calcionetti, pasta fritta e ripiena di marmellata, noci, mandorle e ceci.

Ferratelle

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Speciale Natale

Molise All’insegna della cucina strettamente legata ai prodotti del territorio pranzo natalizio in Molise e sulla tavola non potranno mancare i Maccarun ch’i hiucc, maccheroni conditi con cavolfiore, mandorle, mollica, aglio e pepe o una zuppa di cardi o di scarola con polpettine. Molto diffusa la tradizionale Pizza di Franz in brodo, pezzi di pizza al formaggio e uova, in brodo di cappone. Si proseguirà con il cappone imbottito e il tacchino arrosto accompagnati dai peperoni sott’aceto o dall’insalata di arance. Poi sarà il trionfo dei dolci, dai più fini come la pasta reale, i raffaioli, la pasta di mandorle, i calciuti con le castagne, a quelli più rustici: Mostaccioli, Pepatelli e la Cicerchiata, tutti dolcificati con mostocotto.

B asilicata Si inizia con i tradizionali antipasti: i ceci e i Peperoni cruschi fritti, le Pettole, pasta lievitata fritta con alici. Tradizione vuole che si passi alla minestra di scarole cotte insieme a verza, cardi, carni di maiale e osso di prosciutto. Seguiranno gli strascinati al ragù di maiale e vitello e, tra i secondi, il baccalà con i peperoni cruschi, la gallina lessa e le immancabili lucaniche con contorno di verdure selvatiche e cardi. Il dolce natalizio per eccellenza sono le Piccilattied, un pane dolce intrecciato a ciambella con le mandorle e i calzoncelli, una specie di panzerotti fritti e ripieni di ceci o di castagne. C alabria Presenze immancabili nel menù natalizio sono gli antipasti a base di salumi: salsicce, soppressata e la famosissima ‘nduja. I primi piatti variano molto a seconda delle zone della regione, ma sicuramente non mancheranno la Pasta china, maccheroni al forno farciti con vitello, maiale, la ‘nduja, caciocavallo e pecorino, le Scilatelle al ragù di maiale o la

Maccarun ch’i hiucc

C ampania Il Natale è la festa più sentita da tutti i campani che amano festeggiare l’avvenimento in famiglia davanti ad una tavola ricca di sapori. Si inizierà con un antipasto a base di Capitone alla scapece e insalata di rinforzo, una ricca insalata a base di cavolfiore, Pappacelle, verdure sott’aceto, alici e Olive di Gaeta. Tra i primi piatti spetterà alla Insalata di rinforzo minestra maritata in brodo di gallina l’onore di aprire il pranzo di Natale in attesa che sulla tavola appaia il maestoso timballo di maccheroni. Il cappone imbottito con patate novelle è un altro dei piatti tradizionali, al pari del bollito di gallina servito insieme all’insalata cafona e i broccoli. Non possono mancare i dolci tradizionali: Struffoli, Mustacciuoli, Raffiuoli, Roccocò e Susamielli.

Pasta China

Fileja, pasta a forma di vite allungata. Non mancheranno nemmeno il capretto o il castrato al forno accompagnato da patate e Vrùocculi nìvuri ammullicàti, broccoli conditi con pangrattato, pepe, alloro e aglio e lo stoccafisso con olive e uvetta. Chiusura obbligata con i Quanzunielli, pasta ripiena di uvetta, noci e cannella e la Pitta ‘mpigliata. Puglia Colorata e gustosa la tavola natalizia in Puglia. Tanti antipasti a base di salumi, verdure sott’olio, cime di rapa e i panzerotti, pasta ripiena con mozzarella e pomodoro, fritti in olio d’oliva. La prima portata è usualmente a base di pasta fatta in casa: lasagne, raschiatelli al sugo di pesce e le conosciutissime orecchiette. Tra i secondi piatti, seguendo le antiche tradizioni, non può mancare l’anguilla arrostita con alloro e l’agnello al forno con i lampascioni. E poi i dolci, con le Cartellate, ottenute da un impasto di farina e vino, fritte in olio, condito con miele o vincotto, il Mandorlaccio, di 24


Cartellate

origine contadina a base di farina, mandorle uova e miele, i Porcedduzzi e il Torrone.

non devranno mancare i Culurgiones de casu, ravioli ripieni di ricotta ed erbe, gli Gnocchetti al sugo di agnello e la Fre-

S icilia Ricca, ricchissima la tavola siciliana per il pranzo di Natale, con molte varianti a seconda della zona di riferimento. Dopo un bel piatto di salumi dei Nebrodi e focacce calde, si proseguirà con un primo piatto classico della cucina siciliana, la pasta con le sarde, cui farà seguito il Pasticcio di Natale o le Lasagne cacate, pasta fatta in casa condita con ragù, ricotta e pecorino e cotta in forno. Tra i secondi avremo le Sarde a beccafico , l’insalata di aringa e arance, l’Agglassato di lacerto servito con un contorno di broccoletti (Sparaceddi) e caponata. Gustosissimi, infine i dolci tradizionali come i Mustazzoli a base di mandorle, cannella e chiodi di garofano, la Cubbaita, i cannoli e le cassate.

Culurgiones de casu

gola, una specie di couscous, in brodo di gallina. L’agnello al forno con le patate sarà il protagonista dei secondi piatti, insieme al classico Porceddu, un simbolo della cucina isolana. Tra i dolci: ricotta con il miele, le Seads al miele, il Pan’ e saba, i Gueffus e le Pabassinas di noci, un impasto di noci, pinoli, mandorle, uvetta. Buccia d’arancia, mosto cotto e semi di anice.

S ardegna Il Natale non è una festa qualsiasi e in Sardegna, terra di tradizioni e forti legami con il territorio, la ritualità del pranzo natalizio è molto sentita. Un antipasto di salsiccia, pecorino e olive a schibeci aprirà il convivio precedendo i primi tra cui

Cubbalta

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Speciale Natale

Tutta la passione per le bollicine Martina Cenni

Bollicine spumeggianti soltanto grazie all’export. Il valore al consumo è cresciuto del 9,2% pari a +175 milioni di euro su base annua per le sole esportazioni. Per i vini spumanti italiani, secondo Ovse, Osservatorio economico vini spumanti di Giampietro Comolli, l’Europa rappresenta ancora il 57% dei volumi e il 51% del valore globale di mercato. Nella Ue si ha +7% in valore e un –2% nei volumi, con Francia, Spagna, Portogallo e Germania in calo e Svizzera, Norvegia, Svezia, Austria e UK in crescita. Germania e UK restano i principali mercati. Nei Paesi terzi l’export degli spumanti, per il 96% appannaggio del metodo italiano di Prosecco, Asti e Valdobbiadene, segna un +14% in volumi e +17% in valore assoluto, con punte rappresentate da Giappone e Estremo Oriente

attestati su +20% in valore e +11% in volumi. In Russia cresce il Prosecco e altri spumanti generici di origine piemontese e lombardi, a scapito dell’Asti Docg che segna un calo in volumi del 50% (3,5 milioni di bottiglie consumate, contro i 7,0 milioni nei primi 6 mesi del 2011). Oltreoceano, i diversi mercati, segnano numeri differenti. Se Canada e Usa mantengono un trend crescente, il Brasile e il sud America segnano per la prima volta un dato stabile. Nel 2012 ci sono i presupposti per superare il fatturato record di 4,2 miliardi di euro per tutto il vino italiano. Per quanto riguarda l’Italia, cresce la produzione, volumi spediti e valore all’origine, ma le spedizioni sul mercato interno sono calate del 10,1%, i consumi del 6,9%, a fronte di un prezzo medio/bottiglia all’origine aumentate del 3,1% e un prezzo sullo scaffale a

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per i vini spumanti italiani l’europa rappresenta ancora il 57% dei volumi +2,2% rispetto al primo semestre 2011. Vanno meglio i Docg (Franciacorta e Valdobbiadene) che i Doc (Prosecco e marchi leader del metodo classico). Per Giampietro Comolli, «L’export sta diventando l’unico canale di sbocco per Italia, ma anche Francia e Spagna sono sulla stessa linea. In Francia il calo dei consumi interni è attestato nel primo semestre sul 14,7% fra Champagne e altre bollicine, in Spagna è del 22% il calo del Cava ed è in discussione la leadership dello Champagne in UK, con cali vertiginosi. Gli Champagne poco conosciuti e quelli delle Coop registrano un calo all’estero del 12%, solo del 4,4% per le Grandi Maison, causa il prezzo al consumo. Il Cava va bene in UK e in Germania, con un prez-


zo all’origine ridotto del 3% medio». Per quanto riguarda l’Italia «il mercato interno ha bisogno di più attenzione, più personalizzazione dei rapporti commerciali, filiera corta, meno ricarichi, grande differenzazione fra Dop e spumanti». Da noi «calano i numeri dei consumi, le occasioni di consumo, il numero di acquisti, ma non calano proporzionalmente i valori e questo dato

dovrebbe far aprire un dibattito molto serrato, perché le cause sono evidenti». Solo nella Gdo italiana si è constatato nel 2012 una rimodulazione dei prezzi al consumo, alcuni con cali del 15% per una o due etichette del metodo classico nelle insegne di livello medio alto. Alcuni buoni segnali si registrano per il Brachetto d’Acqui nella Gdo, cresce ancora la voglia di vini “effervescenti” con il

Prosecco Superiore Docg (+6% in bottiglie). In GDO italiana il Conegliano Valdobbiadene Docg è posizionato fra 6,90 e 7,80 euro la bottiglia, con punte di 12,50-14,10 euro del Cartizze (un cru da 1,130 milioni di bottiglie consumate nel mondo), mentre il Prosecco Doc, che fa segnare un rallentamento importante, si posizione fra 4,10 e 5,80 euro la bottiglia.

«il mercato interno ha bisogno di più attenzione nei rapporti commerciali, filiera corta, meno ricarichi, grande differenziazione fra dop e spumanti» 27


Speciale Natale

Alta Langa Doc Zero 2008 Enrico Serafino

Contessa Rosa Alta Langa Docg Riserva 2008 Fontanafredda

Enrico Serafino è stata una delle prime Case Storiche Piemontesi a creare pregiate cuvée di Metodo Classico e nelle gallerie dell’antica cantina di Canale d’Alba vengono ancora oggi affinate migliaia di bottiglie lavorate a mano. La massima espressione del Metodo Classico di Enrico Serafino è l’Alta Langa DOC ZERO sboccatura tardiva, ottenuto da una selezione di uve Pinot Nero e Chardonnay dei vigneti collinari dell’Alta Langa piemontese. Un vero “dosaggio zero”, privo di liqueur d’expedition, con un prolungato affinamento sui propri lieviti di fermentazione (60 mesi). Dopo i successi della prima annata di produzione, il 2004, e dell’annata 2005, anche l’annata 2006 è stata premiata con i Tre Bicchieri dalla Guida Vini d’Italia 2013 del Gambero Rosso. ENRICO SERAFINO – Canale d’Alba – Corso Asti, 5 – tel. 0173 979485 – www.enricoserafino.it

È un Brut che ha in sé una piccola rivoluzione capace di coniugare la stoffa del Pinot Nero vinificato in bianco e l’eleganza dello Chardonnay. Viene presentato da Fontafredda come l’unica bollicina che ha in sé “gocce” di Barolo 1967 della riserva privata dell’azienda (una delle più grandi annate della storia). Un inedito di qualità, ottimo come aperitivo ma per la sua personalità rappresenta un modo eccellente per accompagnare tutte le portate. FONTANAFREDDA – Via Alba 15 – Serralunga d’Alba – www.fontanafredda.it

Brut di Vernaccia Pietraserena

Cinzano Asti Docg

È una delle prime spumantizzazioni delle uve provenienti dai vitigni di Vernaccia di San Gimignano (la prima Docg italiana). Si parte da una raccolta precoce delle uve da vigneti di Pietraserena per avere, come base di partenza, un vino dotato di alta acidità fissa, bassa gradazione e ottimi profumi. Queste uve vengono pressate in maniera soffice, fermentate lentamente a temperatura controllata. Il vino così ottenuto viene portato per la spumantizzazione all’azioenda veneta “Nino Franco”. Dopo una lunga fermentazione in autclave viene affinato in bottiglia per almeno quattro mesi. Ottimo come aperitivo ma, grazie alla corposità della Vernaccia, anche per pranzi leggeri, i piatti di pesce e per i brindisi di fine pasto. AZ. AGRICOLA PIETRASERENA – Via Casale 5 – San Gimignano – www. awf2000.com.

È il più rinomato fra tutti gli spumanti Cinzano. Nasce da uve Moscato bianco dell’area Docg dell’astigiano. Tipici i sentori di erbe aromatiche come la salvia e il muschio, in bocca è intenso e pieno con percezioni di pesca bianca e miele. Ha piacevoli sensazioni gustative dolci e aromatiche, delicate e persistenti. Fermenta in autoclave con una speciale tecnologia che permette di esaltare le peculiarità dell’uva Moscato. Per sua natura è perfetto per tutti i dolci, quindi si abbina benissimo a tutti quelli tipici delle nsotre feste natalizie. Ottimo anche per brindare all’anno nuovo.

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Alta Langa Docg Metodo Classico Brut Gancia

Carpineto Brut Carpineto

Metodo Tradizionale Classico, con durata della fermentazione in bottiglia di circa 40 giorni e successivo affinamento per almeno 36 mesi nelle fresche cantine di Casa Gancia a temperatura controllata. Frutto di una rigorosa selezione ed una lunga maturazione di uve Pinot Nero e Chardonnay provenienti da terreni selezionati nelle colline delle Langhe e Monferrato della DOCG “Alta Langa”: una tradizione che è esperienza, nella ricerca della migliore qualità, nel perfezionamento nel corso degli anni, nel raggiungimento di una produzione di alta qualità. Il gusto intenso, con buona fragranza, ha un equilibrio di tutti i sensi ed un finale molto lungo ricco e persistente. Ideale come aperitivo, ma anche per accompagnare antipasti, primi e carni bianche.

Quest’azienda di Greve produce spumante dal 1982 grazie alla realizzazione del primo impianto nella zona del chianti Classico. Un vino che nasce dalla fermentazione lenta e costante a bassa temperatura ad opera di un ceppo di lieviti prodotto dall’azienda, viene affinato in bottiglia per un periodo non inferiore ai sei mesi. Dal profumo elegante e fruttato, ha un sapore secco, vivo, equilibrato con struttura raffinata. Perfetto per gli aperitivi è particolarmente indicato anche per tutti i piatti a base di pesce e per i formaggi. CARPINETO – Località Dudda – Greve in Chianti – www.carpineto.com

Villa Venier Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene Extra Dry

Villa Venier Brut metodo classico

È uno spumante di uve Chardonnay in purezza che effettua la seconda fermentazione in bottiglia, come prevede il metodo Classico. La pressatura soffice e la prima fermentazione in vasche di acciaio a temperatura controllata sono la base per ottenere un bouquet di grande eleganza con spiccati caratteri varietali in armonia con i tipici sentori di lievito e nocciola tostata. La rifermentazione in bottiglia dura 24 mesi prima di passare alla sboccatura e alla ricolmatura. Dal sapore equilibrato ed asciutto con rilevante struttura e persistenza aromatica è un vino a tutto pasto, magari da evitare solo con la cacciagione. Quindi è perfetto per aperitivi, primi piatti anche di struttura e carni bianche. Ottimo anche fuori pasto. VILLA VENIER – Furo di Santa Bona – Treviso – www.villavenier.com.

Fra i nostri consigli non poteva mancare il Prosecco, il re degli aperitivi (ma non solo). Questo spumante è un Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene Extra Dry. Ha un profumo fine e pulito, tipico del Prosecco di qualità, con sentori di frutta a pasta bianca ed esotica, fiori di glicine e rose. Il suo equilibrato residuo zuccherino lo rende ideale come aperitivo, per chi preferisce gusti più morbidi rispetto ai Brut. Da provare con i molluschi e in generale con le cruditè di pesce e insalate di mare delicate. Il residuo zuccherino dell’Extra Dry consente anche abbinamenti con dessert, frutta e dolci a pasta lievitata. VILLA VENIER – Furo di Santa Bona – Treviso – www.villavenier.com.

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Protagonisti in cantina

La Campania in un bicchiere

Fare cultura del vino Villa Matilde è un’azienda unica nel suo genere. Racchiude i colori, i sapori e le qualità di quella che fu la generosa Campania felix e rappresenta, oggi, la Campania in un bicchiere, la storia e l’innovazione. Il centro aziendale è a Cellole, in provincia di Caserta, ma l’azienda è oggi presente anche nel Sannio beneventano e in Irpinia. La produzione si muove nel solco della grande tradizione vinicola della Campania. Da sempre l’azienda fa della cultura del vino oggetto di studio e di ricerca e le sue origini si legano indissolubilmente alla riscoperta dei vitigni dell’Ager Falernus che un tempo diedero vita ai più antichi vini di questa terra, come l’Aglianico, l’antico

Hellenico, il Piedirosso da cui nasce il Falerno rosso e l’uva Falanghina che dà vita al Falerno bianco. L’aver riportato in vita l’antico Falerno pone oggi Villa Matilde nella storia recente del vino italiano. L’incipit è con Francesco Paolo Avallone, avvocato e appassionato cultore di vini antichi che, incuriosito dai racconti di Plinio, dai versi di Virgilio, di Marziale e di Orazio sul “vinum falernum” e coadiuvato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Agraria, individuò le viti che un tempo davano vita al Falerno, pochi ceppi sopravvissuti miracolosamente alla devastazione della filossera di fine Ottocento. Fu allora che l’avvocato si fece vignaiolo: messi da parte codici

La produzione si muove nel solco della grande tradizione vinicola della campania. da sempre l’azienda fa della cultura del vino oggetto di studio

e norme, con l’aiuto di pochi contadini locali, ripiantò gli antichi vitigni del Falerno proprio nel territorio del Massico, dove un tempo erano prosperati, e fondò Villa Matilde, il cui nome è un gentile omaggio alla moglie. Erano gli anni Sessanta. Vendemmia dopo vendemmia, prova su prova, riuscì a riportare sulle tavole il famoso Falerno di cui tutti, nella zona, continuavano a favoleggiare. Oggi l’azienda è affidata ai suoi due figli, Maria Ida e Salvatore che con dedizione esclusiva, – entrambi hanno abbandonato la propria attività, la prima la diplomatica e il secondo la carriera forense –, proseguono il sogno e il progetto del padre. Non solo rac-

Maria Ida e Salvatore Avallone

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qui l’innovazione non si limita solo alle tecnologie, ma è frutto di un pensiero creativo, che fa del territorio la sua forza

criticità e gli sprechi. Sono stati installati 339 pannelli fotovoltaici in grado di produrre energia elettrica pulita per 100.000 kWh/anno, evitando l’emissione di 73 tonnellate di CO2 e tutti gli edifici aziendali sono stati tinteggiati con speciale vernice bianca per compensare il riscaldamento globale e il problema “effetto serra”. Anche la scelta di veicoli e macchine agricole alimentati a Bio-diesel e la diminuzione del peso vetro per bottiglia vanno nella direzione del rispetto ambientale. Il progetto è tutt’ora in corso e in continuo divenire e ha fatto guadagnare a Villa Matilde il Premio Eco-friendly 2012 di Vinibuoni d’Italia. www.villamatilde.it. Tel. 0823-932088. cogliendone l’eredità, ma guardando ancora oltre: dall’Ager Falernum si sono spinti fino alle province di Benevento e Avellino con nuove vigne, nuovi progetti e vini che raccontano l’identità forte della Campania Felix. Villa Matilde, insomma, rappresenta un successo tutto campano, risultato di una filosofia produttiva precisa che come prima regola ha la ricerca della qualità e non solo il perseguimento di premi e numeri. Qui l’innovazione non si limita solo alle tecnologie, ma è frutto di un pensiero creativo che fa del territorio la sua forza. Qui non è l’uomo a trasformare e spesso violentare il territorio per dare vita a vini selezionati, ma è

l’ambiente a suggerire e a scegliere il suo vino. Tra i principi fondamentali dell’azienda, infatti, ci sono la cura e la tutela dell’ambiente che rivestono un ruolo fondamentale. L’amore di Villa Matilde per il suo territorio è così profondo da investire grandi risorse nella conversione della produzione in Emissioni zero. Un progetto integrato per produrre vino in maniera sostenibile e i cui obiettivi sono l’azzeramento delle emissioni di CO2 e il minore impatto possibile sul territorio. Dall’energia ai trasporti, dai fertilizzanti ai carburanti, dalla vigna alla distribuzione finale, si è partiti dallo studio di ogni fase del processo produttivo individuando le 31


Protagonisti in cantina

La sfida di Nadia Nicoli con il suo Champagne Encry

Tocco di classe italiano Andrea Settefonti

«Non ci siamo inventati niente, abbiamo avuto molto semplicemente una grande opportunità e abbiamo saputo cogliere “ l’attimo fuggente”, facendo quello che era nelle nostre possibilità, per cercare di realizzare quello che per me era un sogno». Nadia Nicoli insieme a Enrico Baldin, hanno così dato vita alla Maison de champagne “Veuve Blanche Estelle”, con la grande Cuvée Encry, un marchio nato nel 2005 ma che in così pochi anni è riuscito a imporsi sui mercati. Tanto da riuscire ad affermarsi nella prima guida italiana di sole bollicine francesi, tra i primi 200 Champagne. Questo grazie alla sapienza e la tradizione di un piccolo vigneron che da generazioni produce questo prezioso vino. È stato un amore a prima vista, reciproco. Lui è un produttore che possiede 7 ettari di vigneti a Le Mesnil-sur-Oger, uno dei 17 Grands Crus della Champagne, in piena Côte de Blancs. Loro sono italiani, hanno passione per il vino e idee. Il vigneron è alla terza generazione di vignaioli e decide di mettere a disposizione degli italiani 2,8 ettari vitati del proprio vigneto. Il

Nadia Nicoli ed Enrico Baldin

loro sono italiani, hanno passione per il vino e idee. il vigneron è alla terza generazione di vignaioli

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Il tasting sogno di Nadia e Enrico prende forma. Ma prima di riuscire ad andare sul mercato c’è stato da convincere ritrosia e burocrazia francesi. Che non hanno indugiato a mettere i bastoni tra le ruote ai due “nemici” italiani, per giunta uno dei due una donna. «Abbiamo dovuto superare diverse barriere », continua Nadia Nicoli, affascinante veneta con la passione per il vino. «Il Civc (Comité interprofessionnel du vin de Champagne) ha fatto davvero di tutto per demotivarci, per ostacolarci. Loro devono difendere il loro vino dalle contraffazioni, devono tutelarlo, ma hanno letteralmente posto mille paletti, mille ostacoli possibili per tentare di farci perdere l’entusiasmo che avevamo». Encry è un nome di fantasia, non aveva una tradizione, una storia. «Per essere riconosciuti abbiamo dovuto trovare una Maison, una dimora, e questo è stato possibile grazie al nostro vigneron. Solo così siamo potuti partire. E lo abbiamo potuto fare soltanto quando il Civc ha capito che non volevamo portare via niente a nessuno, ma rimanere fedeli allo splendido territorio dello champagne». L’ingresso sul mercato è avvenuto ufficialmente nel 2010. Da allora le 25mila bottiglie delle quattro cuvée prodotte in media all’anno hanno iniziato a rappresentare uno dei migliori prodotti in commercio. «Tutto questo è stato possibile solo grazie al territorio, alla precisa posizione in cui ci troviamo e al sapiente lavoro del vigneron. Abbiamo lavorato per ridurre il dosaggio. Tanto basso che è stato addirittura tolto», spiega Nadia Nicoli. «Il nostro intento è stato quello di fare un prodotto il più naturale possibile. Ci piaceva il nostro Champagne al naturale, così come nasceva. E quindi abbiamo realizzato il Dosage Zéro. Certo all’inizio c’erano ritrosie, c’era preoccupazione da parte del nostro vigneron. Ma ci abbiamo creduto, ci ha creduto, raccogliendo una tale soddisfazione, da parte del pubblico italiano e non, oltre le nostre aspettative». Insomma, si può davvero dire che italians do it better. Anche lo Champagne.

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Blanc de Blancs Grand Cuvée Brut, ancora più straordinario in magnum, per il quale viene praticata prima la selezione di particelle specifiche del vigneto, con una migliore esposizione, e poi la selezione in pianta. Il naso è tostato, quasi croccante, poi all’assaggio dà il massimo, con una bocca pienamente armonica, sensazioni di crosta di pane tostato, fiori bianchi, zagara, e una nota citrina che ritorna floreale.
Dal 2012 Encry esce sul mercato con 4 nuovi prodotti, dei quali il più tenacemente voluto da Enrico, anche contro il parere del suo vigneron, è la Grand Cuvée Zéro Dosage, 100% Chardonnay. «Lo chef de cave non era d’accordo, ha sempre sostenuto che l’aggiunta di liqueur d’expédition impedisce la scomposizione del vino durante il trasporto, gli dà equilibrio». Non ha torto, ma di certo lo Zéro Dosage si fa quando c’è un prodotto eccezionale. Il naso è intenso, roccioso, sa di grafite, con uno sfondo di agrumi che si ritrovano in bocca più acerbi, citrini, ma mai astringenti. I primi Millesimé a vedere la luce sono il 2004 ed il 2005. Il 2004 si presenta potente e lungimirante, esemplare espressione di quell’annata che sforna Chardonnay di grande qualità e con lunga vita davanti. Se possibile, il Millesimé 2005 ad oggi è più pronto del 2004, addirittura “maturo”, e lo è ancor di più paragonando gli ultimi assaggi a quello dell’anteprima, dal quale non usciva invece perfettamente composto. Ora si rivela con le sue sfumature agrumate e di erbe aromatiche, la sua mineralità gessosa, elegante già al naso, che in bocca conferma il suo equilibrio e la sua finezza. Con il rosé Encry ha voluto sperimentare, iniziando col Grand Rosé Prestige, 95% di Chardonnay e un 5% di Rouge di Bouzy, che è stato voluto per caratterizzare l’identitá della maison, nata con il Blanc de Blancs. Gioca a nascondino appena lo porti al naso. Prima è profumatissimo poi si intimidisce e si richiude, per poi riaprirsi diventando sempre più elegante, con note di frutti rossi e salmastre. All’assaggio è dinamico, ha corpo e persistenza, il frutto polposo del Pinot noir in rosso si sposa con la freschezza e la mineralità dello Chardonnay. Una gran bella beva, piacevole ed invitante.


Protagonisti in cantina

Azienda vinicola Veglio Michelino & figlio “La Collina dei Re”

Barolo Docg for Africa

Sebastiano Ramello

Da oggi il Barolo docg della azienda vinicola Veglio Michelino & figlio “La Collina Dei Re” diventa portavoce di un progetto solidale, creato insime alla Scuola dell’Infanzia di Valle Talloria, a Diano D’Alba in provincia di Cuneo, paese di origine della azienda vinicola, e a Wine Selection Sebastiano Ramello. L’etichetta della bottiglia che identifica questo grande Barolo dai tannini morbidi e spezie vive, è stata realizzata dai bambini, in collaborazione con il pittore Beppe Grillo. Una parte del ricavato della vendita sarà devoluto a fini benefici alla missione africana di Ndugu Zangu in Kenya che si occupa di bambini orfani. Il fondatore Luigi Panzeri chiamato semplicemente mzee Luigi, nonno Luigi, è nato nel 1936 e ha avuto il suo primo contatto con l’Africa nel 1985. Da allora si è prodigato in tutti i modi per aiutare le popolazioni povere del Kenya, soprattutto quelle dei Samburu, ancora oggi pastori nomadi. Nel 1996, trasferitosi stabilmente a Oldonyiro, in piena savana, ha fondato la Ndugu Zangu Christian Community, che oggi accoglie ed educa più di duecento ragazzi e bambini orfani. Oltre alle strutture ricettive la comunità dispone di un piccolo ospedale e della scuola primaria. Dal 2001, inoltre,

è l’organizzatore dei viaggi della speranza: più di cento i giovani e i bambini cardiopatici condotti da lui in Italia per essere sottoposti ad interventi chirurgici. Dal 2010, i suoi “angioletti”, malati di cuore, hanno trovato ospitalità anche presso il modernissimo Salam Centre, realizzato da Emergency in Sudan. Una grande catena di solidarietà sostiene l’opera di nonno Luigi, che ripete a tutti: «C’è bisogno della collaborazione di tante persone dal cuore grande che sappiano amare l’umanità in sofferenza, in modo particolare i bambini». Proprio per questo motivo l’azienda vinicola Veglio Michelino & figlio “la Collina Dei Re” insieme alla associazione di promozione “Piemonte Sweet Home” ha deciso di diffondere questo progetto nel mondo attraverso un grande vino quale il Barolo, che speriamo presto faccia da traino ad altri doc e docg italiani. C’è un libro che racconta la storia di Nonno Luigi e si intitola Nonno Luigi e la comunità di Ndugu Zangu in Kenya di Antonio Molteni, dove è citata l’etichetta. Per ulteriori informazioni contattare Sebastiano Ramello 335 70 28 463.

Sebastiano Ramello

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Protagonisti in cucina

Un viaggio tra risotti e sorrisi Andrea Zanfi

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Fare un viaggio nel vercellese è come perdersi nel tempo, entrare nell’archeologia contadina di un’area d’Italia “inamidata” dal riso che qui ne è il Principe. Ormai è autunno inoltrato e quella luminosità che contraddistingue a primavera gli oltre novantamila ettari di pianura, divenendo una immensa distesa acquosa gestita da un perfetto e collaudato sistema idrico di canali che alimentano una luccicante scacchiera, è solo un ricordo. Il grigiore autunnale avvolge ogni cosa. Svagato osservo ciò che mi circonda e, come al solito, mi perdo per quelle strade di campagna tutte uguali che vanno in direzione di paesini e borgate a me sconosciute, ma che mi diventano improvvisamente note tramite un semplice cartello stradale posto a ogni crocevia. Rallento, leggo e proseguo nella certezza che al prossimo incrocio o rotonda stradale troverò le indicazioni per la giusta via. Nomi che creano confusione, confusione che diventa ancor più grande quando mi trovo improvvisamente davanti al cartello che indica Livorno. Ho letto male – mi domando – oppure ho sbagliato e di molto direi! Così frettolosamente rileggo i miei appunti... e tutto apposto, sono nella direzione giusta. Per un istante ho tremato poi leggendo “Ferraris” accanto all’altro nome, mi rilasso. Ormai sono arrivato. Rallento, man mano mi si prospetta uno stabile lungo e un po’ dismesso che ospita una riseria, alle sue spalle si erge un’enorme cen-

trale elettrica con due grandi camini. Guardo andando adagio, fino a notare sul muro, a metà della costruzione, la scritta: Balin. Sono arrivato e anche in perfetto orario. L’esterno è in netto contrasto con l’interno, un locale sobrio e spazioso, ben arredato che accoglie l’ospite in un’atmosfera rilassante. Le due stanze da pranzo sono divise da un grande caminetto, ancora spento, sopra il quale fa mostra di sé una collezione di statuette di ogni dimensione raffiguranti delle rane. Tavoli grandi, apparecchiati in modo elegante, ma non sfarzoso, mi accolgono mettendomi a mio agio. Non è cambiato niente dall’ultima volta che sono stato qui cosa che ormai è da far risalire a non meno di quattro o cinque anni addietro. Così come non è cambiato per niente anche quel sorridente e “matto” di Balin. Uno di quei ristoratori che sa farti trascorrere del tempo a tavola fra piatti ben preparati, chiacchiere e storie infinite, scoprendo, quando ti alzi e lo saluti, che nel suo locale hai mangiato anche bene, come se questo non fosse ciò che ti ha spinto fin lì, ma un semplice corollario della scelta effettuata. Da Balin è come se tu ti mettessi a tavola a casa di un amico e con lui, davanti a un buon bicchiere di vino, ti accorgessi che tutto fila liscio; nessuno ti è stato addosso e ti ha disturbato... Sono particolari, ma che fanno la differenza e che qui si amalgamano all’ambiente realizzato a immagine e somiglianza di Balin, privo di quella prosopopea e di quell’altezzosità che spesso contraddi-

stingue i locali di molti altri chef italiani. Ho sempre rifiutato di raccontare la gastronomia attraverso la voce dello chef, osannandone le capacità anche se mi sono trovato spesso davanti a personaggi adatti a riempire pagine di libri e palinsesti di trasmissioni televisive o altri spazi comunicativi di questo nuovo “Medioevo culinario”. Per scelta non ho mai voluto condividere l’esaltazione di quelle leziosità, con le quali alcuni chef indottrinano noi “miseri mortali”. Come uomo di campagna, prestato alla scrittura, sono più orientato al concreto, a tutto ciò che sa trasmettere la tradizione e a ciò che in essa è divenuta leggenda. Quindi venire da Balin ha un suo significato che va oltre il piacere di rincontrarlo e di incominciare a parlare con lui del mio viaggio nel mondo del risotto e in quell’arte che ne esalta la preparazione differenziandola, in modo profondo, da quella più generica del riso. Sottigliezze, particolari attenzioni e procedure specifiche di cottura sono ciò che fanno la differenza fra “il risotto” e il riso; fra ciò che unisce e armonizza, in un perfetto equilibrio, gli ingredienti, esaltando la scelta delle materie prime, a partire proprio dal cereale, e l’esaltazione di quel procedimento in cui il riso è solo uno degli ingredienti che va a comporre il piatto. Nel risotto il cucchiaio affonda senza trovare resistenza e la percezione che si ha nel gustarlo è di trovarsi davanti a una realizzazione culinaria figlia della cultura principesca, tutta italiana, del piacere e della buona tavola.

Angelo “Balin” Silvestri e Andrea Zanfi

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Protagonisti in cucina

Gordon Ramsey: «Ho realizzato un sogno, ma ho le stesse motivazioni dei primi anni»

In cucina senza sconti Nicola Natili

Non fa sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. Geniale, istrionico, passionale, questo e tanto altro ancora. È Gordon Ramsay, uno chef pluridecorato, amato e odiato in ugual misura. Gordon Ramsay non è un personaggio banale. Ha saputo imporsi all’attenzione dei critici, ma soprattutto, ha conquistato i palati dei tanti clienti che affollano i suoi ristoranti con cui ha conquistato ben 13 stelle Michelin. Uno chef famosissimo, un conduttore di trasmissioni tv diventate un vero e proprio cult, un idolo incontrastato per tanti amanti della buona cucina e al contempo terrore per tanti chef, o aspiranti tali, a cui non perdona niente o quasi. Da speranza del calcio scozzese, a re degli chef. Come è nata questa passione e qual è il segreto, se esiste, del tuo successo? Volevo giocare a calcio, ma un infortunio al ginocchio a 18 anni non mi ha permesso di continuare. Era uno sport che mi piaceva praticare e devo dire che ero anche piuttosto bravo, ma non ho rimpianti per questo. Quando mi resi conto che la mia avventura nel football era finita, iniziai subito l’apprendistato da chef, trovando una grande passione per il cibo e per la cucina. Tua madre era una cuoca, quanto ti ha

condizionato nella scelta della tua professione? Condizionato no, ma ispirato sicuramente. Era una cuoca in un ristorante di Statford Upon Avon e spesso andavo a trovarla e rimanevo incantato a vederla mentre preparava le pietanze. Ricordo anche quando portava il cibo a casa dal lavoro, sentivamo l’odore del cibo mentre varcava la porta e in famiglia eravamo entusiasti per quello che sarebbe stato. Ho imparato molto da lei, ma la passione per la cucina è nata solo quando sono andato al college. Come reagisci ai giudizi di critici gastronomici? Fanno solo il loro lavoro. Ma quello che veramente conta per me è l’esperienza dei nostri clienti. Il cliente è il re ed io e la mia squadra mettiamo tutta la nostra passione nel fare in modo che i nostri ospiti si sentano come tali. In Italia è possibile degustare la classe della cucina di Gordon Ramsay i due ristoranti con cui collabori il Forte Village di Pula, in Sardegna e Castel Monastero a Castelnuovo Berardenga, nel Chianti senese. Che valutazione dai alla cucina italiana? Amo la cucina italiana, l’Italia mi ha sempre stimolato. All’inizio della mia carriera ho avuto l’opportunità di lavorare in Sardegna e in Sicilia. È stata un’esperienza importante, i sapori mediterranei mi 38

appassionano, ispirano la creatività. La genuinità dei prodotti italiani e la fantasia nella preparazione dei piatti sono, per un cuoco, una vera e propria miniera d’oro. In provincia di Siena hai aperto il Ristornate Resort Castello di Monastero. La cucina senese si avvale sempre di materie prime di eccellente qualità. Hai preso ispirazione da questa tradizione? Sì, certo. Prendo sempre ispirazione ovunque vada. E ciò che è veramente emozionante è il combinare cucine e tecniche diverse, essere creativi e vedere cosa succede. Poi cerco di ispirare le persone che collaborano con me e dare loro la fiducia necessaria per essere creativi. Naturalmente ci sono anche un sacco di consigli pratici ed io offro la mia esperienza di una vita passata nelle cucine professionali. La dieta mediterranea è ormai considerata da tutti la più indicata per preservare la nostra salute, sei d’accordo? Sì, sembra certamente essere in questo modo e, naturalmente, la cucina italiana è conosciuta in tutto il mondo per la sua freschezza e la sua qualità. L’unica variante che apporto al mio regime alimentare, quando cucino per me, è quello di mangiare piccole porzioni, piccoli pasti, 5-6 volte al giorno piuttosto che i tradizionali tre pasti pesanti al giorno.


«la cucina può essere un ambiente difficile, perché c’è una costante ricerca della perfezione. ho sempre avuto un sacco di energia. Amo quello che faccio e questo gioca sicuramente un ruolo importante»

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Volendo classificare la tua cucina con un aggettivo, quale useresti? Ad alta energia. La cucina può essere un ambiente difficile, perché c’è una costante ricerca della perfezione. Ho sempre avuto un sacco di energia. Amo quello che faccio, e questo gioca sicuramente un ruolo molto importante. Mi piace alzarmi presto la mattina ed andare in palestra o a correre, questo mi dà ancora più energia. Sei considerato da molti, ed i riconoscimenti internazionali ricevuti durante la tua carriera dimostrano proprio questo, un punto di riferimento assoluto nel campo della cucina internazionale. Ti senti soddisfatto? Mi sento molto orgoglioso di quello che ho realizzato finora, ma non mi fermo qui. Ho ancora tanti obiettivi che voglio raggiungere. E ho una grande squadra dietro di me che condivide anch’essa questa passione ed unità. Il mio lavoro è una passione che mi porterò sempre dietro, sto vivendo un sogno per cui ho lavorato molto, sono soddisfatto, ma ho le stesse motivazioni dei primi anni. La tua invidiabile forma fisica fa porre una domanda: qual è il tuo rapporto con il cibo? Io sono un cuoco. Mi piace il cibo! Lavoro in modo tale da poter mantenere la mia forma fisica e contemporaneamente mangiare tutto quello che voglio. Come ho detto prima, la motivazione è anche perché le mie giornate sono molto piene, penso che ciò che per me funziona meglio è mangiare porzioni più piccole 5-6 volte al giorno. Questa è una filosofia cinese che seguo da molto tempo, mi aiuta molto. Quanto è diverso il Gordon Ramsay che vediamo in televisione rispetto a quello della vita privata? Ho sempre cercato di essere me stesso davanti alla telecamera, sono una persona molto passionale, ma quello che ricordo alla gente è che ore e ore di riprese televisive vengono poi modificate per essere riassunte in pochi minuti e quindi non sempre potrebbero essere accurate. Se vedo un buon lavoro sono pronto all’elogio, ma se qualcosa non mi piace lo faccio notare con decisione. Quando sono nella cucina di casa mia, sono sicuramente più rilassato. Non c’è niente che mi piaccia di più che stare con i miei bambini e chiedere quello che vogliono che cucini.


Resort da sogno

Relax in terra friulana

Luca Casamonti


La villa di Borgo dei Conti della Torre


Resort da sogno

Giri per la campagna friulana dove si respira l’atmosfera cara a Pierpaolo Pasolini quando imbocchi una stradina secondaria. Sembra non condurre in alcun posto. Ma invece ti imbattiti in un’autentica sorpresa. Borgo dei Conti della Torre sorge in località Bolzano, non lontano dal paese di Morsano (Pn) sulle rive del fiume Tagliamento. È una sorpresa per l’emozione che si prova a percorrere il vialetto d’accesso che ti conduce alla villa padronale circondata dal giardino all’italiana, dalla piscina e da una dependance dove sono state ricavate le camere. Fanno parte della struttura un suggestivo porticato adiacente alla piscina e una cappella privata del Quattrocento. La struttura è affascinante e suggestiva, ma il vero aspetto positivo è quello di sentirsi a casa. Le undici camere non sono le solite stanze d’albergo, spesso fredde, un po’ tutte uguali. Quando entri dentro hai l’impressione di vivere uno spazio che ti appartiene. Ampio,

il clima di ogni camera è dettato da un gusto e uno stile raffinato, caratteristico di una residenza di campagna. che unito alla simpatia e alla disponibilità di chi accoglie riesce ad affascinare gli ospiti e farli vivere nell’antica atmosfera di un tempo. confortevole, caldo. Anche il risveglio, al mattino la colazione ha il sapere casalingo. Marmellate, succo di frutta, torte, qualche concessione internazionale con prosciutto San Daniele di ottima qualità e alcuni formaggi. Ma anche in questo caso a fare la differenza è il locale destinato alla colazione, un ambiente ampio, estremamente luminoso,

arredato secondo un piacevole stile country che non scade mai nel kitch. La Villa. È una dimora storica del 1600 dove il recente e importante restauro conservativo ha saputo coniugare le moderne esigenze con l’atmosfera di una vecchia e nobile residenza. Le sistemazioni esterne del giardino all’italiana a

Stanza della musica

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sud, dell’aia a nord e delle fontane aggiungono una nota particolare di fascino. Il Giardino. Borgo dei Conti della Torre è immersa in uno parco di 3.000 metri quadrati che la circonda e la rende un’oasi lontana dallo stress quotidiano. Antistante alla villa fa bella vista di sé un tipico giardino all’italiana arricchito da una fontana quadrata, i cui zampilli sono l’unico rumore che si può sentire quando si passeggia nel parco. La Cappella. La Cappella dedicata ai Santi Pietro e Paolo è di origine quattrocentesca ed è tuttora consacrata. Il campaniletto a vela è di probabile periodo settecentesco, mentre il portale è stato ingrandito nel 1930, anno al quale risale anche la finestrella che raffigura la Trinità tra S. Sebastiano e S. Rocco, protettori dalla peste. Molto bella è l’abside, con volta e costoloni di gusto quattrocentesco, mentre la copertura a vista della navata con tavelle è stata probabilmente rifatta nei restauri del 1965, anno di costruzione della sagrestia. Il Bed&Breakfast. Sono undici stanze, molto grandi, ognuna diversa dall’altra. C’è quella “della nonna, “della musica”, ma anche “del pettirosso” o la “bellavista” oltre a quella dei “divi”. C’è quella dell’”artista” e del “caminetto”, dei “riflessi” e la “naturalia”. E poi “belle epoque” e “bianco su nero”. Ognuna delle stanze è arredata a tema a seconda del nome. Le camere sono state ricavate in quella che era “la Gastaldia” utilizzata fino a pochi anni fa come dimora del “gastaldo”, colui che dirigeva tutta l’attività agricola dei 160 ettari che circondano la proprietà. Ospitalità. Il clima di ogni camera è dettato da un gusto e uno stile raffinato, caratteristico di una residenza di campagna. Che unito alla simpatia e alla disponibilità di chi accoglie riesce ad affascinare gli ospiti e farli vivere nell’antica atmosfera di un tempo.

Borgo dei Conti della Torre Via Ponte Madrisio, 13 Località Bolzano 33075 Morsano al Tagliamento +39 348 5169135 +39 347 9252553 info@borgodeicontidellatorre.it 43


Weekend

Bianca, quella giovane, più o meno ambrata, quella invecchiata, dentro ogni sorso si ritrova il calore di un rito che si ripete da decenni e che in ogni gesto della lavorazione nasconde il segreto di chi la produce. La grappa rappresenta il calore e la passione del Trentino. Girare per grapperie è un modo per scoprire una realtà diversa da quella “classica” delle Dolomiti delle piste da sci. A muoversi alla scoperta di produttori di grappa, quello che colpisce per prima è la passione. La passione che ci mettono nel raccontare come nasce la loro grappa, la passione che mettono nel produrre quella che in Trentino è cultura, storia, tradizione. La cura nella selezione della vinaccia, ancora “calda” di spremitura e ricca di vino, la pazienza dei gesti per dosare il vapore della distillazione a bagnomaria e selezionare la parte migliore del distillato, la scelta dell’acqua migliore, di fonte, priva di impurezze, per portare la grappa alla gradazione desiderata. L’azienda agricola Pravis di Lasino (Tn) è una piccola realtà sullo sfondo unico delle Dolomiti del Brenta. Produce vino con varietà di viti autoctone, la Nosiola, anzitutto, con il recupero di specie a rischio

d’estinzione come il Negrara e il raro vitigno della val di Non, il Gropello di Revò, simbolo di un’archeologia vitivinicola ancora tutta da scoprire. E grazie alla passione di uno dei proprietari, Pravis chiude la “filiera” con la distillazione artigianale “a bagnomaria” delle vinacce, completa il ciclo dell’uva con la più schietta espressione della cultura contadina trentina. Le vinacce appena pigiate e ancora bagnate di vino, vengono velocemente immesse nell’alambicco e attraverso una manualità antica si produce una grappa profumata come il vitigno dal quale arriva la vinaccia. Ma come Pravis, anche i sei distillatori di S. Massenza di Vezzano (Tn), poche case con la più alta concentrazione di produttori di grappa del Trentino, tra i quali Casimiro di Bernardino Poli, Giovanni Poli, Maxenzia, Francesco Poli. O gli altri soci del Trentino Grappa (www.grappatrentinadoc.it), l’istituto nato nel 1969 e che oggi conta 29 iscritti. Una passione che accomuna tutti ad iniziare dal presidente Beppe Bertagnolli, anche lui produttore di grappa (www.bertagnolli.it). A Santa Massenza dal 7 all’8 dicembre si può compiere un viaggio inebriante nella patria 44


Trentino

La magia degli alambicchi Andrea Settefonti

della grappa trentina con la “Notte degli alambicchi accesi”, (www.valledeilaghiturismo.it) una festa di gusti e suggestive atmosfere che invaderà le vie del borgo. La manifestazione celebra gli antichi riti con cui da secoli si prepara il liquore con una originale rievocazione storica del tempo che fu, quando si distillava anche al calar delle tenebre. Una buona grappa si aggira sui 27 euro per la bianca, quella appena uscita dalla distillazione, e i 34 euro di una invecchiata, un prodotto morbido, elegante, che non ha niente da invidiare a più raffinati e blasonati distillati. Tra le migliori invecchiate, quella della distilleria Pilzer (www.pilzer.it) di Faver, 24 chilometri da Trento. Per mangiare, Trento rappresenta il punto di partenza non solo perché capoluogo. L’Antica Trattoria Orso Grigio (www. orsogrigiotrento.com) è lo storico ristorante della città famoso per le zuppe, il carrello del bollito servito con la mostarda, peverada e varie salse e il baccalà con polenta di Storo. Con un buon Teroldego della zona non si superano i 35 euro. Sulla strada verso Santa Massenza, il ristorante La Cacciatora di Mezzocorona 45

310 e per due persone tutto compreso

è specializzato in cacciagione. Prosciutti di cervo e cinghiale con funghetti e pan brioche alla frutta secca, Canderli in brodo e filetto di cervo con salsa al timo e ginepro, terrina di castagne con salsa di uva fraga sono un menù completo che si ferma a 37 euro. La cantina offre una buona scelta, dal Teroldego Rotaliano della Cantina Mezzacorona (12 euro) alla piccola “follia” di un Teroldego Rotaliano “Riserva” 1999 di Endrizzi (380 euro). Sono oltre ottocento, le etichette della cantina del ristorante Da Pino a Grumo – San Michele all’Adige (www.ristorantedapino.it). Fagottino di carne salada con ricotta affumicata e insalatine novelle, il budino di spressa delle Giudicarie con soutè di porcini e il tortino di prugne di Dro con salsa alla grappa di moscato sono tre piatti da non lasciarsi sfuggire. Il menù degustazione tipico trentino costa 30 euro. E per dormire, il relax si trova nelle venti camere dell’albergo Ponciach (www.albergoponciach.it) a Faver, nella Val di Cembra. Trenta euro a notte è il prezzo della camera che comprende anche la prima colazione.


Novità editoriali

Il romanzo del Sangiovese Andrea Zanfi

L’origine del pensiero d’appartenenza, la forza e il parallelismo che esiste fra il mondo rurale, così come la comprensione di come si costruisca un grande terroir intorno a un grande vitigno, sono state le molle che mi hanno spinto a dar vita a questa sua nuova avventura letteraria che coinvolge la maggior parte delle terre nelle quali si coltiva il Sangiovese. Terre che hanno cambiato pelle, cultura e finalità e che in poco meno di trent’anni, fra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Novanta del secolo passato hanno voluto coprire un gap temporale di seicento anni, avviando una frenetica e smaniosa rincorsa verso il futuro. Un’azione dirompente, durante la quale molte cose sono state distorte, mentre altre, per fortuna, centrate, ma di sicuro si sono perse, per strada, importanti opportunità, con le quali, forse, non sarebbero stati commessi certi errori macroscopici «come quello di togliere il vino dalla tavola e porlo su un piedistallo facendolo divenire un prodotto elitario». Furono anni in cui gli impianti dei vigneti e le stesse tecniche di vinificazione si modellarono su un passato che, non avendo più ragione d’esistere rispetto all’evoluzione dei mercati, divenivano sempre più un trapassato remoto. La tradizione venne cementificata dentro schemi rigidi, disconoscendo come la stessa, essendo entità culturale di una popolazione, è in continuo divenire ed è parte integrante dell’innovazione. Per dare delle risposte più moderne e concrete nacquero i Supertuscan, che ora sembrano essere completamente dimenticati, di cui io stesso mi sono occupato in un mio precedente volume, con i quali si avviò un vero e proprio Rinascimento culturale ed enologico. Alcuni, scioccamente, si spinsero a sollevare timori sul fatto che quei vini sottraevano visibilità

alle denominazioni, non percependo invece che gli stessi, in termini di conoscenza e scienza, avevano posto nelle terre da Sangiovese il seme dell’innovazione, che di lì a poco sarebbe germogliato e sfociato nel progetto Chianti 2000 e con esso nella valorizzazione di tutti gli areali produttivi che interessavano questo grande vitigno. Una trasmigrazione culturale avviata però “correndo”, che dette vita a una sempre maggiore omologazione dei vini prodotti e ad una nuova e quanto mai destabilizzante percezione di quale fosse la loro identitaria realtà da cui avrebbe dovuto prendere spunto proprio dalle specifiche e peculiari diversità che caratterizzano i territori nei quali sono prodotti. Una confusione che non aiutò a fare chiarezza sul concetto dell’origine dei vini, né sulla loro provenienza. Questi lunghi anni, vissuti da scrittore a stretto contatto con il mondo del Sangiovese, mi hanno spinto a ricercare gli elementi con i quali comprendere quale sia l’origine del vino e quale la conclusione per cui qualsiasi vigneron possa ottenere un simile risultato, da parte di qualsiasi vigneron. Per fare questo è necessario che il vigneron possegga la conoscenza della scienza genetica e di quella ampelografica, della tecnica produttiva, oltre a sapere quali siano i propri limiti culturali vitivinicoli e imprenditoriali costituitesi attingendo a quella tradizione, spesso inesistente, alla quale appartiene. Non trascurando infine quali siano le 46

reali potenzialità della terra che ha a disposizione e verso la quale dovrebbe porre fiducia e obbedienza, «evitando di mettere viti dove per 2000 anni si è coltivato grano». Un artifizio quasi algebrico che molti produttori stentano ancora oggi a comprendere, pensando che solo uno dei fattori indicati possa sopperire all’assenza degli altri. Anche perché possederli tutti comporta la costruzione di un pensiero filosofico rappresentato in un pentagono dai cinque lati uguali, i quali, non essendo mai statici, devono essere, ogni anno, posti in equilibrio fra di loro. Un lavoro difficile, ingegnoso, creativo, faticoso, mai ripetitivo e senza fine che


mette in relazione il vignaron con tutto ciò che lo circonda al fine che lo stesso possa ricercare la qualità assoluta per il suo vino, quello “originale”. In questa ottica porsi la domanda di quale sia stato e sia oggi il processo culturale evolutivo che ha coinvolto e coinvolge il mondo del Sangiovese mi è sembrata la cosa più logica da fare avviare un personale viaggio che dalla Maremma mi ha condotto fin nel riminese, in Romagna, ricercando risposte di cosa siano, oggi, le terre da Sangiovese. Un libro che diventerà un lungometraggio e anche un sistema interattivo di promozione e conoscenza riferito al Sangiovese da immettere nei massimi sistemi comunicativi presenti. Il libro tratta la connessione che esiste fra il vitigno Sangiovese e le terre sulle quali lo stesso è coltivato, le quali si diversificano in modo netto fra di loro dando allo stesso prodotto finale connotazioni organolettiche diversissime e molto specifiche, oltre a nomi e tipologie di vini che spesso non sono neanche riconducibili, dai mercati, al Sangiovese. Vi assicuro che è necessario quindi far comprendere che il Morellino di Scansano, il Montecucco, il Monteregio, il Brunello di Montalcino, il Nobile di Montepulciano, il Chianti Classico e il Sangiovese di Romagna sono tutti vini

realizzati con lo stesso vitigno, il quale dà risultati diversi a seconda delle zolle, a seconda del clima e della capacità che l’uomo ha di agire e interpretare se stesso e ciò che lo circonda. Dunque, il mondo di un vitigno, quello più diffuso in Italia, quello più particolare e difficile da coltivare, aveva, forse, la necessità di essere raccontato nel suo insieme, così da unire sotto un’unica bandiera la poliedricità con la quale si presenta al mondo intero. Il libro, nel quale sono compresi 64 produttori, è corredato da foto di Francesco Orini, da filmati dello studio Moviment di Sovicille e da musiche selezionate. Ci si avvale inoltre della collaborazione di Riccardo Cotarella, Carlo Ferrini, Paolo Vagaggini, Vittorio Fiore, Barbara Tamburini, Alessandra Ticci, Alberto Antonini, Andrea Paoletti, Attilio Scienza, Nicolò D’Afflitto, e giornalisti come Andrea Dal Cero, Fabio Bottonelli, Fabio Piccoli, Giampaolo Gravina, Riccardo Viscardi, Stefano Tesi e altri. Inoltre ho cercato di descrivere gli areali facendoli raccontare dal protagonista principe, il Sangiovese, cercando di non farli travalicare l’uno sull’altro, proprio con l’intento di evitare una trasmigrazione foriera di più subdole conseguenze che condurrebbero a un’omologazione che non è nello scopo dell’opera. 47

Dal libro Ora basta! Silenzio! Ora parlo io. Quanti venti, quanti soli hanno sferzato gli acini che porto in grembo. Quante zolle li hanno nutriti. Quante emozioni dà il sentirmi parte integrante di queste terre. Godo del silenzio che esiste fra le vigne, anche se ora sono tutti qui intorno a me, a recitar profezie sul mio conto e su quanto io valga. Devo migliorare, dicono. Me se sono già perfetto così come sono? Non devo cambiare per far contenti loro, anche perché mi basta un raggio di sole, un po’ di pioggia o un po’ di argilla o del galestro per trasformarmi e diventare un altro. Basta una mano amorevole e una goccia di sudore per divenire un altro vino. Del resto, sono il trasformista per eccellenza, il Fregoli dei vini, che si veste da Morellino, Monteregio, Montecucco, Brunello, Nobile, Chianti e da romagnolo. Io sono l’immagine del vino rosso italiano. Io sono il vino per eccellenza, non un racconto, non una storia, ma una leggenda. rosso di Sera


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Piemonte Land of perfection Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perchÊ la sua carne valga e duri qualcosa di piÚ che un comune gioco di stagione. Cesare Pavese 48


“Land of perfection”, terra della perfezione. Certo può sembrare altisonante, ma il Piemonte è davvero terra reale per le produzioni agricole e alimentari. È terra di vino, prodotto piemontese per eccellenza, storicamente riconosciuto, con 45mila ettari di vigneto, dalle colline di Langa, Roero e Monferrato, nelle aree del Tortonese e del Monregalese, fino alle fasce alpine, dove tanto lavoro viene ripagato da una grande qualità. Sono 20mila le aziende vitivinicole e tre milioni gli ettolitri di vino prodotti annualmente, con 16 vini Docg e 41 Doc. Ma il Piemonte è anche terra di formaggi e di carne dove la razza bovina Piemontese è quanto di meglio si

possa considerare come razze da carne alla quale sono dedicate rassegne come quella del Bue grasso di Carrù o di Moncalvo. E non si può parlare di Piemonte senza non farsi venire in mente le zone frutticole del Saluzzese o i prodotti orticoli di Motta di Costigliole e Carmagnola. E poi la Nocciola Tonda Gentile di Langa strettamente legata all’industria dolciaria e quella del cioccolato in particolare. Si sostiene che l’arte di lavorare il cioccolato sia nata proprio a Torino e che siano stati gli svizzeri a copiare i piemontesi. E infine il riso, altro grande prodotto agricolo piemontese che influenza le caratteristiche del territorio con le distese allagate49del vercellese.


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Fin dall’antichità il Piemonte si è distinto nel mondo vinicolo

Vini che hanno fatto storia Claudio Zeni “B & Company” ovvero Barolo, Barbaresco, Barbera e poi Gattinara, Ghemme, Ruchè, Moscato e tanti altri “Nettari di Bacco”, sinonimi del Piemonte vitivinicolo, una regione dove la vite è presente fin dall’età romana, descritta da Plinio il Vecchio con parole elogiative sia per le sue caratteristiche qualitative che per la sua ampia diffusione. Definito «il re dei vini e il vino dei re», il Barolo è uno dei fiori all’occhiello dell’enologia italiana, che si è conquistato nei secoli la fama di vino regale visto che era consuetudine di sovrani e di moltissimi nobili arricchire con le classiche bottiglie bordolesi e borgognone scure le proprie mense. Si racconta, infatti, che il Barolo fu spesso presente sulla tavola di Luigi XIV, del re Carlo Alberto e dei Marchesi di Saluzzo, anche se a contribuire alla fama di questo vino fu senza alcun dubbio il Conte Camillo Benso di Cavour, che soleva offrire dei pranzi nei quali il vino era l’assoluto protagonista. Anche i Pontefici rimasero incantati di questo vino. Pio VII all’inizio dell’800, dopo aver degustato dell’ottimo Barolo, esclamò: «Ah! La Morra! Bel cielo e buon vino” pretendendo di averne sempre un

po’ a disposizione. Radici lontane o meglio romane ne ha pure il Barbaresco. Furono, infatti, i romani a sottomettere le popolazioni celtiche che qui vivevano, tagliare le foreste di querce sacre a Marte e piantare quelle viti, che non erano ancora nebbiolo, ma lo sarebbero diventate in futuro attraverso mutazioni genetiche e giochi del destino. Una data storica per la nascita del Barbaresco è comunque il 1894, quando Domizio Cavazza, direttore delle Regia Scuola Enologica di Alba, acquistò il castello di Barbaresco con le proprietà nelle zone Pora e Ovello, fondano le Cantine Sociali di Barbaresco, codificano il “metodo moderno” per la vinificazione del nebbiolo e lanciando il vino Barbaresco sui mercati nazionali accostandolo al già famoso Barolo: «... in te si correggono le austere doti del tuo maggior fratello... a te non son misurati i calici, come convensi ai pesanti e capitosi tuoi rivali; a te ogni ora è propizia ed ogni vivanda buona compagna...» (da Ode al Barbaresco, 1897, D. Cavazza). Meno antico dei vitigni coltivati in Piemonte è il Barbera, il cui vino è sempre indicato sul mercato al femminile “la” Barbera. Non che

chiamare questo vino al maschile sia disdicevole, ma è più simpatico e distintivo chiamarlo al femminile. Le prime notizie storiche certe di uve “barbera” risalgono al 1700, come riportano alcuni documenti che evidenziano questa coltivazione nella zona di Montegrosso d’Asti, anche se è probabile che la varietà esistesse già da molto tempo ma non fosse conosciuta con questo nome. Di là in poi il successo di questo vitigno fu immediato, propagandandosi in quasi tutto il Piemonte aiutato anche dal disastro provocato dalla filossera che costrinse i viticoltori a reimpiantare completamente i vitigni distrutti. È indubbio, infine, che la Barbera ha potuto contare su produttori storici che l’hanno diffusa in bottiglia piuttosto che sfusa, migliorandone l’immagine e dimostrando trattarsi di un vino molto delicato indicato all’invecchiamento. Lega il suo nome al Marchese di Gattinara cardinale Mercurino Arborio, Cancelliere di Carlo V e amante del vino delle sue terre, anche se alcuni propendono che il nome derivi da “Catuli Ara” ossia Ara di Catullo, visto che la città di Gattinara sorge nel luogo dove il Proconsole


Lutazio Catulo sacrificò agli dei le spoglie di guerra dei Cimbri vinti nella zona circostante nel 101 a.C. Sempre in tempi lontani, nell’area viticola dei colli novaresi e vercellesi, pare che i vignaioli dell’attuale vino Ghemme badassero più alla quantità che alla qualità, al punto da farsi rimproverare da Plinio per l’errata scelta dei terreni e, soprattutto, per l’adozione di una tecnica detta ad alteno, che consiste nel far arrampicare le viti agli alberi, assicurando un alto rendimento a scapito della qualità, caratterizzata da un sapore aspro e ruvido. Era tale la quantità di vino prodotto che la città di Anagnum, in seguito Ghemme,

scelse come simbolo un grappolo d’uva ed un mazzo di spighe di grano per il gonfalone comunale. Non essendoci, invece, attestazioni bibliografiche certificate ed essendo molto vaghe le testimonianze verbali sull’origine del vitigno, il vino Ruché si è dotato di un alone di mistero che lo ha reso assai affascinante nei secoli. L’etimologia di questo vitigno è incerta, in quanto la toponomastica locale non annovera nemmeno in tempi antichi siti ai quali il nome Ruché sia chiaramente riconducibile e per questo motivo l’origine del nome risulta quindi avere molte ipotesi di nascita. Una di queste è quella che derivi da “San 51

Rocco”, una comunità di monaci devoti a questo Santo che avrebbero introdotto la sua coltivazione in zona; c’è chi invece attribuisce il suo nome a “roncet”, una degenerazione infettiva che in tempi passati attaccò i vitigni nella zona e di fronte alla quale il Ruchè si dimostrò particolarmente resistente e robusto. Una cosa, comunque, è certa: questo magico vino deve i suoi primi vagiti di notorietà tra gli appassionati grazie a due personaggi di Castagnole Monferrato. In primis il parroco, Don Giacomo Cauda, che alla fine degli anni settanta si dedicò con grande entusiasmo alla produzione del Ruché. Ma un ruolo fondamentale giocò anche il Sindaco Lidia Bianco – già segretaria della scuola d’Agraria di Asti – che si impegnò per l’assegnazione della “denominazione di origine controllata”, arrivata nel 1987. Sempre documenti antichi dei primi anni del 1300 citano la coltivazione del Moscato in Piemonte, il cui termine compare nel Medio Evo con il significato di “profumato”. Questo nome, che ricorre anche nell’accezione “Moscado”, viene dal tardo latino muscus, la cui parola all’origine si riferisce ad un’essenza utilizzata nella più pregiata profumeria. Il moscato piemontese, già prodotto nel 1300 e 1400, vide il suo exploit soprattutto a partire dalla seconda metà del 1500, quando nuove condizioni storiche si manifestarono nella regione. Il duca di Savoia, Emanuele Filiberto, soprannominato Testa d’Fer per la sua volontà ferrea, a partire dal 1560 iniziò un’opera di radicale riorganizzazione del suo Stato. Questa politica andava a toccare in modo consistente l’agricoltura e, al suo interno, la viticoltura. Data l’alta vocazione viticola che mostravano le colline piemontesi, era di tutto interesse la possibilità di incrementare la produzione locale di un vino prezioso e pregiato quale era il Moscato. Così, grazie al periodo di pace che durò per molti anni, si estesero le aree coltivate, si ampliarono i vigneti e si diffuse notevolmente la coltivazione del Moscato, simbolo ancora oggi dei tanti celebri vini piemontesi, che unitamente alle altre “eccellenze” vinicole racchiude in sé vicende sociali, economiche e di costume della viticoltura e dell’enologia del Piemonte.


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Intervista a Giulio Porzio, viticoltore e presidente di Vignaioli Piemontesi

Uniti per vincere le sfide

In Piemonte, il 2012 ha regalato una vendemmia povera d’uva, ma eccellente in qualità. Ora si tratta di capire quali nuove sfide attendono il vino piemontese sui mercati italiani e internazionali. Presidente, dall’osservatorio Vignaioli Piemontesi, com’è cambiato l’approccio al mercato e ai consumatori con gli anni della crisi? Il mondo agricolo deve preoccuparsi sempre più del consumatore finale. Siamo di fronte a una svolta epocale: il produttore d’uva si è sempre fermato alla vigna e quando va bene alla cantina. Oggi deve preoccuparsi della vendita diretta e di chi beve il vino. Anche la cooperazione deve fare il salto di qualità: organizzarsi in modo aggregato e diventare partner dell’industria con la consapevolezza che siamo noi agricoltori i proprietari della vigna. Abbiamo l’uva, le cantine, le

nostre facce. Questa è la nostra forza ed è così che affronteremo le nuove sfide in Italia e all’estero. La Vignaioli Piemontesi ha fatto scelte in questa direzione. I risultati? Faccio parlare i numeri: nel 2012 abbiamo già venduto oltre 49 mila ettolitri di vino sfuso, pari a un valore che supera i 5 milioni di euro. Il progetto è partito tre anni fa e siamo già arrivati in Norvegia. Siamo riusciti a riportare la Barbera nella grande distribuzione tedesca. Rispetto all’anno passato, c’è stato un incremento di vendite dell’81%. E siamo solo all’inizio. Contiamo di convincere tutto il mondo della cooperazione che si vince se c’è un interlocutore forte, non più andando ognuno per conto proprio a commercializzare il

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vino. Fare squadra, alla lunga, paga. Ogni vino ha un suo mercato e una sua fascia di consumatori. A chi si rivolge oggi la cooperazione? Quali sono le ambizioni? Partendo dal presupposto che oggi si beve meno ma meglio, ci interessano innanzitutto i mercati che hanno già una cultura del vino. Per questo anche le cantine sociali devono puntare ad avere un prodotto che si collochi nella fascia medio-alta, pur mantenendo un ottimo rapporto qualità-prezzo. Ci sono, poi, i mercati più “immaturi”, meno educati al vino, come quello asiatico, dove occorre far crescere i consumatori. Qui ci vogliono progetti pluriennali con investimenti e promozione. L’importante è che la produzione si presenti compatta e parli un’unica lingua. Questa è la nostra sfida.


Giulio Porzio


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Qualità, una scommessa che paga Una vendemmia a “quattro stelle” In Piemonte, il 2012 sarà ricordato come l’annata vitivinicola più povera d’uva dal Dopoguerra ad oggi. Prima il gelo a inizio primavera, poi il caldo e la siccità che hanno caratterizzato buona parte dell’estate: due cause che insieme hanno contribuito a rendere inferiori le rese in vigna. I primi dati parlano di un meno 14% di produzione in vigna rispetto alla vendemmia 2011. È la fotografia presentata a “Piemonte Anteprima Vendemmia”, il tradizionale appuntamento organizzato dalla Vignaioli Piemontesi per presentare i dati ufficiali della produzione vitivinicola regionale. Quest’anno la produzione di vino piemontese non supererà i 2 milioni e mezzo di ettolitri, mentre l’anno passato era di oltre 2,8 milioni. Un anno bisesto dunque tra i filari piemontesi, ma solo sulla quantità. Il riscatto si è già avuto sulla qualità delle uve e si avrà sulla qualità dei vini. Questa è una certezza. I bianchi hanno sofferto un po’ di più

il caldo e la mancanza di pioggia, ma hanno mantenuto intatti i profumi e il quadro aromatico. Per i rossi, l’annata si profila addirittura eccellente. La Vignaioli Piemontesi assegna un “quattro stelle” alla vendemmia 2012. La presentazione è stata anche un’occasione di confronto sullo stato di salute del comparto vitivinicolo piemontese, che pur risentendo in questi ultimi anni della crisi mondiale dei mercati, cerca nuove strategie per affrontare le sfide del futuro. «È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie» sosteneva Einstein. Così nonostante il periodo difficile per vendite e consumi, il 2012 ha già dato cenni di un timido ottimismo: a cominciare dai prezzi delle uve che dopo anni di tribolazioni, hanno ripreso a crescere. Non bisogna abbassare la guardia: nuove sfide attendono la viticoltura di domani e bisogna fare delle scelte coraggiose, in vigna come in cantina e poi sul mercato, sempre avendo come obiettivo la qualità,

segno distintivo della produzione vinicola del Piemonte. La Vignaioli Piemontesi, custode delle piccole doc e della cooperazione

Il Piemonte è terra di grandi vini. Ci sono i rossi importanti, come il Barolo e il Barbaresco, che nel mondo, competono a suon di brindisi con i grandi cru francesi. C’è poi il vino quotidiano, quello da bere tutti i giorni, che arriva sulle tavole con un buon rapporto prezzo-qualità ma che non è ancora riuscito a trovare uno spazio adeguato sul mercato. Piccole doc e docg, alcune più note, altre meno conosciute al di là dei confini regionali, ma che sanno parlare bene di un territorio e della sua gente. Barbera, Dolcetto, Grignolino, Freisa, Cortese, solo per citarne alcuni vitigni autoctoni. È di queste “nicchie” di produzione enologica che da anni, è attenta custode la Vignaioli Piemontesi. È la più grande organizzazione di produttori vitivinicoli d’Italia, riconosciuta dall’Unione europea. Ha sede a Castagnito, vicino ad Alba, e riunisce 43 cantine cooperative e oltre 400 aziende vitivinicole, per un totale di circa 8.000 famiglie. Complessivamente la produzione delle aziende associate è di 950.000 ettolitri in media all’anno, che rappresentano più del 30% della produzione regionale di vino. Dalla selezione “Mille Vigne” all’alleanza con Eataly fino alla scommessa del vino sfuso

L’obiettivo primo della Vignaioli Piemontesi è di rafforzare la capacità di commercializzazione delle aziende associate e, di conseguenza, la loro presenza sul mercato attraverso un’attenta strategia di marketing unita a un’opera di promozione e valorizzazione di tutte le denominazioni. Da alcuni anni, la commercializzazione è anche diretta. L’inizio nel 2007, con la nascita del progetto “Mille Vigne” che coinvolge molte enoteche e punti vendita in tutta Italia. Ancora oggi è un marchio per la distribuzione di una selezione di vini e prodotti gastronomici piemontesi

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legati al mondo della cooperazione. La sede principale è l’enoteca “Millevigne” di Castagnito (tel. 0171-210350), sulla statale Asti-Alba, a due passi dal Roero e dalle Langhe. Attorno all’enoteca “madre” si è creata una rete di punti vendita, di cui i principali sono: “Dolce Ronco” di Ronco, in provincia di Parma (0521-371244; 3927697381); Enoteca Calici di Torino (0115618296); Eurodelizie di Novara (321625082); In Vino Veritas di Alessandria (0131 535970); Red&White di Orbassano, in provincia di Torino (011-9063875). Ultimo in ordine di tempo a entrare nella rete il punto vendita della cantina Terre del Pinerolese di Bricherasio, nel torinese, cooperativa appena acquisita da Vignaioli Piemontesi. Un’alleanza è poi, stata stretta con Eataly: da Torino a Roma fino a New York, sugli scaffali del supermaket del gusto si possono acquistare i vini delle cantine sociali del Piemonte. La Vignaioli Piemontesi è anche l’unica fornitrice di vini per la catena di ristorazione del gruppo Marachella. Così anche il patto con la Venaria Reale, dove ha l’escusiva di distribuzione dei vini nei locali e durante gli eventi che vengono organizzati nella Reggia. In progetto c’è anche l’apertura di un punto vendita diretta di bottiglie ed eccellenze gastronomiche. Ma di questo se ne parlerà nel 2013. Recentemente, poi, la passione per le vigne e la qualità hanno trovato un’espressione concreta ne “La selezione dei Vignaioli Piemontesi”:

un listino con quattordici etichette che selezionano le migliori bottiglie di Roero Arneis, Freisa di Chieri, Grignolino d’Asti, Dolcetto d’Ovada, Barbera d’Asti, Ruche di Castagnole Monferrato, Albarossa Piemonte, Barbera d’Asti superiore, Nebbiolo d’Alba, Barbaresco, Barolo, Moscato d’Asti, Brachetto d’Acqui e Asti docg. In Italia, la selezione è già entrata nei ristoranti e locali Horeca, e ora punta a conquistare i consumatori del Nord Europa, da Copenaghen a Stoccolma, degli Stati Uniti e della Cina. Una scommessa del mondo della cooperazione per fare gioco di squadra e concentrare le forze sui mercati italiani e internazionali. Non è l’unica scommessa di Vignaioli

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Piemontesi, che ha siglato un accordo con sette grandi cantine per il rilancio del vino sfuso, in particolare Barbera, Dolcetto e Cortese. L’idea è che in tempi di crisi, si beve qualità a un prezzo equo. Ci credono la Viticoltori del Tortonese, l’Antica Vineria, la Vecchia Cantina di Alice Bel Colle e le cantine sociali di Alice Bel Colle, Castagnole Monferrato, Mantovana e Fontanile. Info: 0173-210311, www. vignaioli.it, gamba@vignaioli.it.


Il territorio

Dentro ogni vino un racconto L’idea è semplice: riunire le forze della viticoltura piemontese per fare fronte comune contro l’agguerrita presenza delle grandi enologie del mondo sui mercati internazionali. Nasce così il Consorzio Piemonte Land of Perfection, dalla necessità di presentare il Piemonte come punto di forza del vino italiano, con le sue eccezionali specificità: dai grandi vini rossi, alle piccole varietà autoctone, alla sfida dei brindisi tutta la conquistare. Ogni vino una storia e dietro a ogni etichetta un racconto da sviluppare che apporta valore e aggiunge fascino

alle bottiglie. È già stato ribattezzato il “Consorzio dei Consorzi”, perché raggruppa e armonizza le strategie promozionali dei principali Consorzi di tutela (Asti, Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero, Brachetto d’Acqui, Barbera Vini d’Asti e del Monferrato, Gavi) e delle associazioni di produttori più rappresentative: la Produttori Moscato, la Vignaioli Piemontesi e la Cantina sociale di Canelli. Nato nell’estate del 2011, ha come obiettivo di far conoscere i vini e le eccellenze del Piemonte soprattutto all’estero e nei mercati emergenti come 56

quello asiatico. Proprio al Vinexpo Asia Pacific di Hong Kong, in primavera, Piemonte Land of Perfection ha fatto il suo debutto fuori dall’Europa. Un’esperienza che avrà una continuità nel 2013 con la partecipazione al Top Wine China di Pechino a giugno. Altre attività sono state organizzate negli e dagli Stati Uniti, mercato importante per l’export del vino piemontese ma tutto da consolidare nel dopo crisi. Da segnalare, a luglio, una degustazione a New York che ha richiamato oltre 300 tra giornalisti, ristoratori e buyers da Florida, Texas,


Massachusetts e California. A settembre, il primo incoming ha portato trenta giornalisti e importatori americani e cinesi a conoscere le terre del Piemonte: «Vorremmo che diventasse un incontro annuale con la stampa e i buyers internazionali – ricorda il presidente di Piemonte Land of Perfection Andrea Ferrero – così che si possa far conoscere direttamente il territorio e le cantine dove si produce il vino». E aggiunge: «L’opera di promozione all’estero continuerà anche nel 2013, con la partecipazione a fiere ed eventi in Cina e Stati

Uniti, ma non dimentichiamo i consumatori italiani». Così una delegazione di Piemonte Land of Perfection ha dato vita ad ottobre a “Piemonte Grandi Vini”, la prima edizione di un salone enologico ospitato a Villa Miani a Roma. In primavera, la squadra Piemonte tornerà al Vinitaly nello spazio comune del Consorzio. Ancora insieme, l’anno prossimo, si parteciperà a due importanti fiere enologiche d’Europa: il Prowein di Dusseldorf e il Vinexpo di Bordeaux. Tornando alle attività già fatte, a inizio autunno, i vini piemontesi sono anche 57

sbarcati nelle aule delle università americane con sei educationals rivolti agli studenti delle più prestigiose università e accademie del vino degli States: da New York a Miami, da San Francisco a Las Vegas fino a Chicago. «Abbiamo iniziato un’attività formativa – dice Gianluigi Biestro, vice presidente del Consorzio – per i giovani che vogliono intraprendere una carriera nel mondo del vino e della ristorazione. Scommettiamo sulla crescita dei futuri ambasciatori dei nostri vini negli Stati Uniti». Altre info: www. piemonte-landofperfection.org.



Fuori dalle rotte vip

Ecco il vero Piemonte Paolo Corbini

Il Piemonte del Vino è conosciuto soprattutto per alcuni suoi grandi prodotti, dal Barolo al Barbaresco, alle bollicine dell’Asti spumante. In realtà il territorio offre molte altre sorprese, in aree forse meno conosciute ma ricche di qualità vitivinicole, ambientali ed enogastronomiche. Sono le Città del Vino di un Piemonte diverso, lontano dalle Langhe o dal Monferrato, ma altrettanto interessante da scoprire. Si tratta

delle Coste della Sesia e del Canavese. Nel territorio delle colline che si affacciano sul fiume Sesia, il paesaggio alterna dolci pendii con boschi, frutteti e vigneti. Il vino Coste della Sesia doc, se vinificato in bianco, è prodotto con uve erbaluce; le versioni rosso e rosato con nebbiolo (qui anche detto spanna), barbera, vespolina, bonarda, o croatina. La zona è famosa anche per la produzione

del Bramaterra doc, fatto con prevalenza di uve nebbiolo, ma che può contenere anche bonarda, vespolina e croatina; un vino longevo dal colore rosso rubino che vira al granato con l’invecchiamento; il profumo ricorda la violetta e la frutta rossa e al palato è secco e ben strutturato con un finale amarognolo. Info: www.costedellasesia.it, www.mtb-sentieribiellesi.it.


Il territorio

Brusnengo (BI) è un piccolo borgo di 4.000 anime che oltre al vino offre anche una eccellente produzioni risicola. Compreso nell’area delle doc Bramaterra e Coste della Sesia, Brusnengo merita senza dubbio una sosta per visitare il centro e i caratteristici cantoni di via Forte e frazione Caraceto, per poi risalire verso le suggestive colline e le vigne. Nella frazione Caraceto in occasione del Carnevale è organizzata la tradizionale Fagiolata: volontari cucinano fagioli e salamelle su fuochi a legna in grossi paioli di rame; la gente arriva con pentole o altri contenitori a ritirare la zuppa di fagioli lasciando una piccola offerta. Info: www.prolocobrusnengo.it, www.comunebrusnengo.it.

Lessona (BI), è patria dell’omonima doc, vino raro perché prodotto solo all’interno del territorio comunale. Il bouquet fruttato e con sentori di frutti di bosco e il gusto secco e morbido, con buoni tannini, rendono questo vino adatto ad accompagnare piatti come il bollito misto e la fonduta alla piemontese. Prodotto con base di nebbiolo cui possono concorrere vespolina e bonarda fino al 25%, è un vino strettamente legato al Risorgimento: infatti, Quintino Sella, rifiutando lo Champagne, brindò con questo vino al battesimo del primo governo di unità nazionale. In ottobre si svolge la Prevostura, gara ciclistica che deve il nome ad un’antica cascina immersa tra le vigne da cui un tempo si ricavava il vino Lessona. Oggi di quella cascina non restano che ruderi ma la strada sterrata ripristinata fa ripercorrere antiche vie frequentate dai carri agricoli, ora diventate sentieri adatti ad escursioni in mountain bike; la gara porta infatti alla scoperta di boschi, vigne, pascoli e cascinali, antichi borghi e torrenti. Nella sezione “Antiche strade” del sito web del Comune, sono segnalati antichi percorsi nel territorio. Info: www.comunelessona.it

A Villa del Bosco (BI), nella frazione di Ferracane, è visitabile il Museo degli attrezzi agricoli e degli oggetti domestici antichi, una vera curiosità. Nel territorio comunale sopravvivono quattro giganteschi alberi secolari: il tiglio di San Fabiano, il castagno di Ferracane, la quercia di Fornacette e il castagno di Canton Rivetto. Il sito internet del Comune segnala il Percorso del Bramaterra e delle Rive Rosse. Info: www.comune.villadelbosco.bi.it.

A Roasio (VC), terra di produzione del Bramaterra Doc, è interessante visitare il Museo dell’Emigrante che raccoglie le memorie dei suoi abitanti che dalla fine del ‘700 hanno lasciato le loro case per emigrare verso altri Paesi in cerca di fortuna. Info: www.comune.roasio.vc.it.

Agliè (TO) è un antico borgo medioevale, dove si possono visitare la chiesa barocca di Santa Marta e il Castello Ducale di Casa Savoia. Sulle sue colline si snodano i vigneti di erbaluce, che occupano il 25% del territorio. Il 18 e il 19 aprile si festeggia la Sagra del Torcetto e dei vini piemontesi; il torcetto è un biscotto artigianale d’antica tradizione, che spesso si gusta intinto nel vino. Info: Pro loco tel. 0124 33033533401/333 9343214, www.comune.aglie. to.it.

Carema (TO) sorge al confine con la Valle d’Aosta. Il paese conserva una planimetria di vicoli tortuosi e tipiche case medievali canavesi, formate da lobbie e lose. Interessanti il Palazzotto degli Ugoni e la Grand Maison o Masun. In questo comune si produce il Carema doc, prodotto su un terreno difficile, con terrazzamenti scavati nella roccia e pergolati (topie) sorretti da muretti e pilastri a tronco di cono di origine romana. I vigneti, grazie all’esposizione favorevole, permettono però di accumulare calore e mantenere una temperatura ottimale anche durante le ore notturne. Info: Comune tel. 0125 811168

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A Caluso (TO), nelle storiche cantine di Palazzo Valperga, ha sede l’Enoteca regionale dei vini della Provincia di Torino (www.enotecaregionaledicaluso.it). I locali risalgono al 1600. A metà marzo si può partecipare a CiccolaTò & Caluso Passito Day, rassegna di dolci tipici con degustazione guidata di Passito di Caluso. A metà settembre si svolge la Festa dell’uva. Info: www.comune.caluso.to.it.

Frossasco (TO) è zona di produzione della doc Pinerolese, con cui magari accompagnare una fetta di toma stagionata come il tomino del Talucco. In Via Principe Amedeo 42 si può visitare la Bottega del Vino di Frossasco e il Museo del Gusto con annessi laboratori didattici. La Bottega ospita anche la Scuola Internazionale di cucina (tel. 0121 352398, www.museodelgusto.it). Info: www.comune.frossasco.to.it.

Il Canavese e le Valli del Lanzo sono comunemente definite “il giardino di Torino”: un’affascinante alternanza di storia e natura, tra castelli, borghi medievali, manifestazioni folkloristiche ed enogastronomiche dalla piana del Po e della Dora Baltea fino all’anfiteatro morenico di Ivrea per giungere ai 4000 metri delle vette del Gran Paradiso. Tre le perle dell’enologia dell’area, attraversata dalla Strada del Vino del Canavese e Valli di Lanzo, vi è l’Erbaluce di Caluso doc, vino secco dal sapore intenso, che ben si adatta agli antipasti e ai piatti di pesce. La versione passito, più famoso e raro, è un vino dolce dagli aromi complessi, adatto ad accompagnare pasticceria secca ma interessante con il fois gras. Le vigne storiche sono caratterizzate dalla struttura a pergola; non mancano tuttavia esempi, per i vitigni a bacca rossa, di altre forme di allevamento quali lo scarlà canavesano e l’obi.

Il Carema doc, che prevede per disciplinare almeno tre anni di invecchiamento, nasce da uve di nebbiolo ed è un vino strutturato, complesso, dal sapore asciutto e di ottima persistenza. Si sposa con piatti di carni bianche e carni rosse, anche di cacciagione importante, accompagnate da salse delicate (in particolare agnello, capretto, stracotti e carni alla griglia), e con formaggi di alpeggio non troppo stagionati. Il Canavese doc, nelle diverse tipologie ottenute da uve di nebbiolo, barbera, bonarda, freisa, neretto, nella versione rosso è adatto a paste ripiene, carni rosse in umido o arrosto, salumi e formaggi non troppo stagionati. Nella versione rosato è ottimo con antipasti o primi piatti a base di verdure. Il bianco è ideale come aperitivo, con minestre a base di pesce di acqua dolce e di verdura, formaggi a pasta molle (www.canavesedoc.it). 61

La leggenda dell’Erbaluce di Caluso L’Erbaluce di Caluso è uno dei sette vitigni italiani il cui nome è indissolubilmente legato al territorio: si produce, infatti, solo nel Canavese. Vino bianco sorprendente e profondo, capace di raggiungere notevole complessità, è stato tra i primi vini italiani a ottenere la doc nel 1967. Il suo nome, ricco di fascino, si deve alla favola di Albaluce. La leggenda racconta che un tempo queste colline erano popolate da ninfe e dèi venerati dagli uomini, tra cui l’Alba e il Sole, innamorati ma destinati a non incontrarsi mai. Dal loro amore, grazie ad un’eclissi e all’intercessione della Luna, nacque la ninfa Albaluce la cui bellezza e grazia spinse l’uomo ad offrire ogni sorta di dono e omaggio. Privatosi di ogni sostentamento, l’uomo ricercò nuove terre fertili deviando il corso del lago che però travolse ogni cosa seminando morte e distruzione. Il dolore fu tale che dalle lacrime di Albaluce stillate in terra nacquero tralci di vite dai dolci frutti, un uva bianca il cui nome fu Erbaluce.


Il territorio

Langhe e letteratura nelle bottiglie di Terre da Vino

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Il territorio

Ritrovare le atmosfere degli scritti di Cesare Pavese, la passione per la sua terra di Beppe Fenoglio. È possibile farlo dentro un’azienda agricola, dentro una sua bottiglia di Barolo. Terre da Vino è una azienda che ha fatto del legame con il suo territorio, la Langa, un marchio indelebile. Come spiega Piero Quadrumolo, direttore generale di Terre Da Vino. «Al romanzo più importante di Pavese, La Luna e i falò, abbiamo dedicato il nostro vino più famoso e

premiato che da ben 18 anni consecutivi ottiene 2 bicchieri sulla guida vini d’Italia del Gambero Rosso: la Barbera “La luna e i falò”. In essa troviamo tutte le caratteristiche tipiche di un’opera completa. Sapori, aromi e sentori che, in un perfetto equilibrio sensoriale, diventano armonia, come nel romanzo di Pavese in cui le sperimentazioni linguistiche sono risolte in un linguaggio e in una costruzione semantica e contenutistica elegante ma decisa, ar-

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moniosa ma di carattere, ricca ma con una precisa identità». Pavese scrive «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli», e quindi «un paese dà un’identità – commenta Quadrumolo – ti dice chi sei, e «sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, anche quando non ci sei resta ad aspettarti», significa avere una certezza, una Luna sotto cui riposare e un falò in cui credere». Proprio attraverso le pa-


sapori, aromi e sentori che in un perfetto equilibrio sensoriale diventano armonia

La passeggiata esterna

La barricaia

role dei romanzi e i vini che la cantina vuole comunicare il territorio. Come con il Barbaresco “La Casa in Collina”. «La Casa in collina dimostra come il nostro territorio sia diversamente ricco. Anticamente, si parla di milioni di anni fa, le Langhe erano coperte dalle acque del mare e questo ha implicato che il terreno, all’epoca fondale marino, si arricchisse di sedimenti variegati e di65

versi. Ecco una delle caratteristiche più importanti di Langa: la diversità. Ogni collina è diversa da quella di fronte, per esposizione al sole, per conformazione, ma soprattutto per i diversi sostrati terreni da cui è fatta». E poi c’è “Paesi tuoi”, il Barolo chiamato così perché «Tu sei giovane....e non sai che tre nasi son quel che ci vuole per bere il Barolo». Con queste parole che Pave-


Il territorio

se scrive ne “Il Compagno”, lo scrittore vuole sottolineare due importanti caratteristiche di questo vino così pregiato: la strutturazione e la complessità dei sentori, che implicano la necessità di avere più di un naso per apprezzarli tutti e a fondo, ma soprattutto, ed è questa la caratteristica più importante, il fatto di essere il vino ideale per la convivialità. Il Barolo si beve tra amici è un alimento da condividere, da discutere, da apprezzare». E tra gli scrittori della Langa non può mancare il riconoscimento a Beppe Fenoglio. “La Malora”, uno vino il cui nome deriva proprio dal romanzo di Fenoglio. «“La Malora” è un assemblaggio equilibrato tra uve Nebbiolo e uve Barbera, leggermente surmature, ricche, strutturate. Il racconto parla della malora, che in dialetto piemontese ha un’accezione negativa, uno stato che caratterizza i destini di tutti i protagonisti e questo vino vuole celebrare per non dimenticare quei tempi e quella gente così legata alla propria terra e alle proprie tradizioni in un difficile momento storico nel dopoguerra». Terre da Vino si trova nel cuore di una delle zone vinicole più famose al mondo, a Barolo in Langa. Una cantina circondata da pittoreschi vigneti, situata in un territorio unico, un’azienda che rappresenta una realtà produttiva senza confronti sul territorio regionale con oltre 5.000 ettari di vigneto coltivati da più di 2.500 viticoltori. La Cantina dispone di un’imponente sala di affinamento, la Sala delle Barbera o delle Barrique, che può contenere fino a 2.000 barrique a temperatura ed umidità controllata oltre alla Cantina della Tradizione o Sala dei Nebbiolo, alla sala imbottigliamento ed agli ampi locali per l’affinamento in bottiglia. Obiettivo, oltre al legame con il territorio, è la qualità realizzata con una serie di progetti mirati. A partire dal primo del 1996, “Superbarbera” dedicato alla produzione della Barbera d’Asti Superiore “La Luna e i Falò”, vino che è diventato il portabandiera dell’azienda. Dalla vendemmia 2011 tutti i vini della linea Agricole sono prodotti da progetti in vigneto; si tratta circa 300 ettari per circa 1.200.000 bottiglie, coordinati dall’agronomo Daniele Eberle mentre tutte le operazioni di cantina sono dirette dall’enologo Bruno Cordero. 66


Tre progetti per tre grandi vini Il lavoro che porta alla produzione di un vino di eccellenza inizia in vigneto, programmando basse rese per ettaro per ottenere uve più mature, concentrate, ricche in zucchero, materia colorante ed estratti e dalla piacevole sensazione gustativa di frutto maturo. Per raggiungere questi obiettivi, a Terre da Vino hanno messo in piedi una serie di progetti viticoli. SuperBarbera Prende il via nel 1996. È il primo e più importante progetto viticolo e dal quale nasce il vino più rappresentativo dell’azienda, il Barbera d’Asti Superiore Doc “La Luna e i Falò”. Terre da Vino ha messo in campo le sue migliori esperienze, consapevole che la qualità del vino deriva dalla qualità delle uve. Per il progetto è stato elaborato un protocollo viticolo che prevede la scelta di vigneti vocati con esposizioni da Sud Est a Ovest e sulle dorsali collinari, una densità di impianto non inferiore a 4.000 ceppi per ettaro e al 100% uva Barbera, un’età dei vigneti di almeno venti anni, potatura con massimo 8-10 gemme per pianta e produzione di circa 1,5 kg per ceppo. Infine raccolta e cernita effettuata a mano. I vigneti selezionati del SuperBarbera si trovano tra di Nizza Monferrato, Calamandrana, Agliano Terme e Rocchetta Tanaro in provincia di Asti.

La passerella

Superpassito Il progetto nasce da un gruppo di vignaioli che ha accettato di modificare radicalmente il modo di produrre il Moscato abbassando le rese in vigneto a 50/60 q/Ha. L’obiettivo è quello di riproporre un vino dolce da uva Moscato di antica tradizione, con uno stile innovativo in linea con le aspettative del consumatore moderno. È nato così il Piemonte Moscato Passito DOC. È stato messo a punto un innovativo sistema di appassimento delle uve in cella, a temperatura ed umidità controllata, in modo da ottenere una lenta concentrazione ed una esaltazione degli aromi. L’area di produzione comprende i comuni di Ricaldone, Alice Bel Colle, Cassine, Strevi. Superbarolo La produzione prevede alcune piccole partite di cru scelti tra le zone di elezione del Barolo. In particolare, La Volta a Barolo, Ravera a Novello, Scarrone a Castiglione Falletto, Bussia a Monforte, e Annunziata a La Morra. I vigneti sono seguiti con l’obiettivo di ottenere un prodotto dil altissima qualità, effettuando periodicamente prove di maturazione delle uve che sono poi raccolte a mano e vinificate in loco. La vinificazione avviene in serbatoi di piccole dimensioni, a temperatura controllata, a cui segue la fermentazione malolattica. I vini sono quindi travasati in legno per poi proseguire l’affinamento in botti per due anni. Al termine dell’affinamento effettuato separatamente per i vari cru, viene deciso il miglior assemblaggio per il Barolo “Essenze” di quella vendemmia, sempre diverso di anno in anno. I cru prescelti vengono indicati in retroetichetta 67


Il territorio

Vini italiani in Cina Dalla fine dell’anno 2012 una cordata di aziende vinicole piemontesi, con l’aiuto del Consulente Internazionale di Vini Sebastiano Ramello, approderanno in Cina. Lo scopo sarà quello di creare nel sud di questo grande paese una piattaforma per la promozione e distribuzione dei vini italiani. In collaborazione con importatori locali con cui Sebastiano Ramello lavora da anni e l’associazione “Piemonte Sweet Home”. Così Sebastiano Ramello racconta gli obbiettivi di questa nuova cordata «Sono molti anni ormai che per un motivo o l’altro frequento il mondo asiatico. Negli ultimi 4 anni la Cina si sta conquistando una piccola fetta di mercato, da prima portando vini di media qualità e oggi esportando assieme ad aziende vinicole italiane vini di alta e top qualità. Il tutto in collaborazione con diversi importatori, localizzati sia a Hong Kong, che su tutto lo stato cinese, lavorando per lo più sulla qualità del prodotto, l’immagine e la promozione. È stata proprio questa rapida crescita, in questo non facile mercato, che mi ha spinto insieme ad aziende vinicole con cui collaboro a decidere di trasferire parte del mio ufficio, e così dare il via a un progetto che mi vedrà per un anno

di base nel sud della Cina, da dove comunque continuerò a muovermi come sempre sul resto del mondo. I nostri obbiettivi saranno di aprire uno show room di rappresentanza sia dei vini italiani ma anche del turismo, in quanto enogastronomia e turismo da sempre devono essere accompagnati in

«un progetto che mi vedrà per un anno di base nel sud della cina» sinenrgie uniche. Lo show room servirà da base per incontri tra addetti ai lavori, importatori, distributori, media e produttori. Il mio ruolo sarà quello di mettere in contatto compratori con venditori e di sviluppare azioni di promozione per far si che aziende vinnicole italiani, per ora per lo più piemontesi, possano penetrare con forza il mercato cinese. Dall’altra parte, come consulente internazionale di vini, mi occuperò di consigliare al meglio i miei partner e collaboratori cinesi, istruendoli sulla alta qualità dei nostri fantastici vini italiani. Per chi fosse interessato può contattarmi alla mia email piemontewine@ yahoo.it o numero di telefono 335 70 28463.

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Top ten

I migliori alberghi e ristoranti scelti per voi

Francesca Bucalossi 69


Il territorio

1.

Il Circolo dei Lettori

I ristoranti

Via Bogino 9, 10123 Torino (0114 326828) – ristorante@circololettori.it Molto più di un ristorante ma uno dei più importanti circoli culturali d’Italia che merita una visita accurata. Si cena nelle sale storiche caratterizzate dalla galleria di ritratti di artisti piemontesi. I piatti sono tipici e raffinati. Ne citiamo alcuni: Lingua e Testina di Fassone “al Brusch”, Uovo Pochè cotto nel guscio, fusione di Raschera e Carciofi d’Albenga in Tempura; Tajarin di solo tuorlo al “Cumudà” di Coniglio Grigio di Carmagnola; Guancia di Fassone brasata al Nebbiolo; Bunet, Torta alle Nocciole di Langa con Zabajone, Tiramisù al Moscato d’Asti. Si spende dai 60 euro in su.

Piazza Duomo Piazza Risorgimento 4, 12051 Alba (0173 366167) – nfo@piazzaduomoalba.it

2.

Una particolare cucina fusion abbinata con ottimi vini piemontesi. Ogni piatto è un piacere per gli occhi e stupisce il palato. Affascinante la location affacciata nella Piazza Duomo di Alba. Si inizia con il coniglio alla nocciola, da provare il risotto à la Cardamone noire e la scaloppa di fois gras con mosto d’uva e fragole. Belle e buone le insalate. Per finire Crema fredda di latte bruciato e pane nero. Si spende molto, almeno 150 euro.

3.

Ristorante Manuela via Po 31, Isola Santa’Antonio (AL) (0131 857177 – 339 4340032) –info@ristorantedamanuela.it Cucina tradizionale che si presenta con salumi misti, fra cui il salame crudo prodotto in proprio, accompagnati da cipolle in agretto e giardiniera di verdure tiepide. Come vino ordinate Barbera e fidatevi dei consigli del proprietario. Ci troviamo in quella che era una baracca di pescatori in riva al Po, oggi ristrutturata ma sempre piena di fascino. Il menù offre risotti, lumache, rane e tutte quei piatti creati con le materie prime che questa terra esprime. Si spende intorno ai 40 euro.

Osteria Eneo Via Crova 11, 14049 Nizza Monferrato (0141 702546) – http://eneo.it/contact.html

4.

Atmosfera accogliente, con il personale pronto a spiegarvi tutti i piatti. il menù è quello classico della tradizione piemontese e varia a seconda della stagione. Vitello tonnato, carne cruda di fassone battuta al coltello , ravioli, tajarin, stinco di vitello, bunet, tortini da forno, funghi ma anche piatti come acciughe al verde o con il bagnet , merluzzo e pesce di fiume rivisitati in chiave moderna. Si spende dai 40 euro in su.

5.

Ristorante Torrismondi Via Michele Coppino 33, 12100 Cuneo (0171 630861) – torrismondi@hotmail.it Al primo impatto sembra un posto come tanti, la posizione non è il massimo, ma entrando vi immergete nella vera cucina regionale piemontese. Materie prime di qualità preparate con una cucina tipica ed essenziale. Da provare il carrello dei formaggi di alpeggio, il risotto mantecato, lo zabaione fatto al tavolo, i biscottini di meliga. Anche il pane è fatto in casa, come la pasta e la giardiniera. Attenzione, la sera è aperto solo da giovedì a domenica. Si spende intorno ai 35 euro.

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Azienda Agrituristica Ca’ d’Andrei Via Trento 2, Case Code Superiore 13816 Biella (0152 475013) – info@cadandrei.it

6.

Una proposta per gli appassionati dei prodotti a km 0 e delle location tranquille e in campagna. È aperto solo nei week end e conviene prenotare. Quasi il 100% dei prodotti usati in cucina sono coltivati o allevati dall’azienda agricola. Grande il tagliere di formaggi, soprattutto i caprini. Da provare i dolci come la torta rovesciata di frutti di bosco accompagnata con panna fresca o il semifreddo di nocciole. Buonissimi la pasta fresca alle ortiche e il capretto con patate. Si spende da 25 ai 35 euro.

7.

Al Desinar Divino Via Marconi 23, 12011, Borgo San Dalmazzo (0171 265745) – http://www.facebook.com/pages/AL-DESINAR-DIVINO/209991955863 Posizionato nel centro storico di un piccolo borgo è la classica vecchia osteria con cibo di grande qualità e ottima carta dei vini. Da provare i ravioli con la burrata e l’aragostella o al pesto di zucchine, il polpo con patate e riso di venere, i calamari ripieni, la panna cotta alla menta o al limone. La cantina può soddisfare qualsiasi esigenza e, se non si esagera con i vini, si spende intorno ai 30 euro.

Serenella via Martiri 5, frazione Feriola 28831 Baveno (0323 28112) – info@hotelserenella.net

8.

Un ottimo punto di riferimento nella zona dell’alto Lago Maggiore, a pochi km da Stresa, con una bella terrazza panoramica (anche se non proprio sulla riva). Buona la carta di vini fermi e bollicine. Tagliolini della tradizione fatti in casa da provare con l’astice (ottima anche la catalana). Fra i piatti tipici da provare la carne battuta al coltello. Si spendono da 30 euro in su. Serenella è anche un hotel.

9.

Pelledoca Via Cravetta 10, Savigliano (331 3232554) – info@pelledoca.net Un lounge bar-enoteca nell’antico palazzo Cravetta del bel centro storico di Savigliano che ospita sovente piccole mostre d’arte, serate a tema e regionali. Buona scelta di birre artigianali e ovviamente di vini. Ottimo per “apericene”. Assaggiate la tagliata di fassone. Una proposta perfetta per un pubblico giovane. Si può cenare con 20 euro e ascoltare buona musica anche dal vivo.

Mordeo via Mondovi 1, Alessandria (339 2663071) – info@mordeo.eu Una proposta inconsueta, una paninoteca di prodotti tipici. Davvero una rarità. Si inizia scegliendo il tipo di pane e si prosegue fa una miriade di salumi, formaggi, verdure e salsine della tradizione piemontese e non, come il pecorino siciliano al pistacchio di Bronteo la Mustela sarda. Per panino piemontese consigliamo quello con Carne Salada, Bra Tenero d’Alpeggio, lattuga croccante. Costa poco più di un qualunque Mc Donald.

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10.


Il territorio

1. L

ido

Palace Hotel

Gli alberghi

Strada Statale del Sempione 30, 28831 Baveno (0323 924444) – www.lidopalace.com, info@lidopalace.com Affacciato sul Lago Maggiore, con una magnifica vista sulle Isole Borromee, il Lido Palace vanta un passato illustre. Qui sono stati la Regina Vittoria, durante il suo soggiorno nel 1879, e Winston Churchill, che scelse il Lido per trascorrere la luna di miele nel 1908. Il Lido combina insieme il comfort delle strutture moderne con il tradizionale stile che ha affascinato i visitatori per oltre un secolo. La struttura risale al 1857, era la villa del Marchese Durazzo di Genova. Ancora oggi si può soggiornare nella suite che fu di Churchill. Si spende da 102 euro in su.

Hotel Bellevue Rue Grand Paradis 22, 11012 Cogne (0165 74825) – www.hotelbellevue.it, info@hotelbellevue.it

2.

Piccola incursione in Valle d’Aosta, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso, proprio di fronte al ghiacciaio, per trovare l’Hotel Bellevue di Cogne, uno dei locali storici d’Italia. Offre inoltre uno splendido centro benessere con saune profumate, bagni di vapore, grotte termali. Grande professionalità e disponibilità nell’accogliere e mettere a proprio agio gli ospiti. Le camere e i panorami sono davvero unici. Non si può dire però che sia a buon mercato. Si va dai 170 euro di una doppia in bassa stagione ai quasi 400 dello Chalet La Cheminée in alta.

3.

Hotel Cannero Lungo Lago 2, 28821 Cannero Riviera (0323 788046) – www.hotelcannero.com, info@hotelcannero.com Un altro albergo storico sul Lago Maggiore che festeggia i 110 anni di attività. L’Hotel Cannero, formato dai 2 corpi principali di colore giallo e rosa antico, è situato nel centro storico di Cannero Riviera in prossimità dell’imbarcadero. Dai balconi affacciati sul lago si godono panorami straordinari. Piacevolissimo fare colazione sulla terrazza direttamente sul lago. Le camere sono curate e le suite davvero ricche negli arredi. Davvero ottimi i prezzi. Si va dai 60 euro per la doppia standard (senza vista lago) ai ai 115 della suite più cara.

Hotel Castello Santa Vittoria Via Cagna 4, 12069 Santa Vittoria d’Alba (0172 478198) – www.santavittoria.org, hotel@santavvittoria.org

4.

Si trova all’interno delle mura del Castello del borgo di Santa Vittoria in provincia di Cuneo. Ci troviamo fra Langhe e Roero e dalla sommità del castello si godono panorami mozzafiato.Le camere rispecchiano ancora lo stile neo-classico d’inizio ‘900, anche se sono state ristrutturate di recente. Perfetto per staccare la spina e immergersi nella tranquillità Poi volete mettere la suggestione di alloggiare in un vero castello. Molto bella anche la piscina ma attenti alle api. Ce ne sono davvero molte. I prezzi vanno dai 170 euro della doppia ai 200 della suite. Vista l’esigua differenza vi suggeriamo di esagerare.

5.

Alter Hotel Piazza Stazione 1, 12032 Barge (0175 349092) – info@alterhotel.it Affacciato sul Monviso ha un arredamento moderno con molti pezzi di design. È stato realizzato in una vecchia fabbrica ristrutturata nel cuore del paesino di Barge (Cuneo). Particolare e curato offre un piccolo centro fitness e camere di design con connessione Wi-Fi gratuita e TV satellitare e un bagno con morbidi accappatoi e pantofole. Tra una seduta di aromaterapia, un bagno turco e una passeggiata nel giardino potrete anche ammirare una bella collezione di auto d’epoca dagli anni ‘20 e ‘30 agli anni ’60. Si spendono per una notte poco meno di 100 euro, 250 per la suite.

72


Grand Hotel Sitea Via Carlo Alberto 35 Torino (011 5170171 – www.grandhotelsitea.it, info@grandhotelsitea.it

6.

Non poteva mancare un albergo per chi vuole visitare Torino. Abbiamo scelto il Siltea perché fa parte dei locali storici d’Italia e perché rappresenta una pietra miliare dell’hôtellerie piemontese. Gli spazi dell’hotel, teatro di mille avvicendamenti tra cronaca, storia e quotidianità dagli anni ‘30 ad oggi, rappresentano il simbolo liberty dell’ospitalità torinese. Nelle vicinanze ci sono il Museo Egizio e il Palazzo Reale, siamo a dieci minuti a piedi da Piazza Castello. Si spendono per una notte circa 200 euro. Praticamente il doppio per la suite con salottino.

7.

Palazzo Finati Via Vernazza 8, 12051 Alba (0173 366324) – www.palazzofinati.it, albergo@palazzofinati.it Si trova nel centro storico di Alba, vicinissimo a Piazza Duomo. È un piccolo albergo molto curato situato in un palazzo dell’Ottocento ed è stato ristrutturato da poco. Le camere sono dotate di ogni comfort. Si dorme fra soffitti affrescati, decorazioni d’epoca e tappeti persiani. Ottimo per una vacanza nelle Langhe a caccia di vini pregiati e prelibati tartufi. La spesa è abbordabile, la suite costa 200 euro a notte.

Grand Palais Excelsior Largo Roma 9, 12015 Limone Piemonte (0171 929002) – www.grandexcelsior.com, info@grandexcelsior.com

8.

Si trova al temine della zona pedonale di Limone, perfetto per gli amanti dell’architettura Liberty. Stanze ampie e curate, vista splendida sulle Alpi e tutte le comodità a disposizione (Tv satellitare, aria condizionata, Wi Fi). Servizio reception e ai piani di alta qualità. Offre anche una spa gradevole e tranquilla. In inverno è disponibile una scuola di sci. Per una matrimoniale si spendono 120 euro a notte. Attenzione però, nel periodo invernale si possono prenotare soltanto soggiorni settimanali o di lunga durata.

9.

Hotel Residence La Luna nel Porto Corso Italia 60, 28838 Stresa (0323 934466) – www.lalunanelporto.it, info@lalunanelporto.it La nuova struttura alberghiera, situata in posizione dominante il lago ed affacciata sul porto turistico, offre moderne suite con balcone o patio finemente arredate. Molto belli il giardino e la terrazza vista lago. Splendidi i balconi affacciati sulla spettacolare Isola Bella. È sicuramente un albergo che si sceglie anche per la qualità della location. Camere dotate di tutti i comfort (Tv satellitare e Wifi), molte delle suite sono munite anche di angolo cucina. Il personale è molto disponibile e preparato. Si spende dai 150 euro in su a notte per due persone.

Hotel Castello di Sinio Vicolo del Castello 1, 12050 Sinio (0173 263889) – reservation@hotelcastellodisinio.com Un magnifico castello di piccole dimensioni, del 1142 perfettamente ristrutturato nel cuore delle Langhe fra vigneti di Barolo e Barbaresco. Si è accolti con un welcome drink che ti fa subito sentire a tuo agio. Le camere sono spaziose e comodissime, complete di tutto. I gestori sono statunitensi e hanno dato al castello un tocco molto personale. Massima è la professionalità e la cura per accogliere gli ospiti. Spettacolare la piscina per gli scorci che offre, ma anche la veranda e il giardino non sono da meno. Struttura particolarmente adatta ai turisti stranieri. Ci vogliono almeno 150 euro per una doppia, cento in più per una suite.

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10.


Il territorio

Abbiamo assaggiato 74


VOTO

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7

6 Dolcetto di Diano d’Alba 2010

Rossana Dolcetto d’Alba 2011

Tipologia: Rosso Uva: Dolcetto Gradazione: 13 Commento: Un rosso rubino

Tipologia: Rosso Uva: Dolcetto Gradazione: 13,5 Commento: Classico Dolcetto

Ceretto d’Alba

Collina del Re

che basa la propria espressività su freschezza rotondità, piacevolezza immediata. Per antipasti piemontesi e vitella tonnata.

ormai maturo, al naso si presenta con buone note ma in bocca è scomposto.

65,

VOTO

VOTO

7

Montemirano Colli Tortonesi Doc 2008

Monsordo Langhe Rosso Doc 2010

Claudio Mariotto di Tortona

Ceretto d’Alba

Tipologia: Rosso Uva: Croatina Gradazione: 14 Commento: Molto pulito al

Tipologia: Rosso Uve: Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah

Gradazione: 14,5 Commento: Vino potente,

naso che dà il meglio di si sé in bocca, tannini freschi e di buona grana.

grasso, opulento. Avrà bisogno di tempo per esprimersi.

7

VOTO

VOTO

75,

Bernardina Nebbiolo d’Alba Doc 2010

Sturcignot Nebbiolo d’Alba Doc 2010

Ceretto

Cascina Palazzo Rosso Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 13 Commento: Bel rubino

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Evoluto, piacevole al

non profondo, fragranze di un Nebbiolo giovane, il tannino giustamente aggressivo. Per chi ama il Nebbiolo a tutto pasto.

naso, la nota classica del Nebbiolo si ritrova subito nel bicchiere. Complesso in bocca.

75


VOTO

VOTO

Il territorio

65,

55,

Vho Colli Tortonesi Doc 2007

Poggio del Rosso Colli Tortonesi Doc 2006

Claudio Mariotto di Tortona

Claudio Mariotto di Tortona

Tipologia: Rosso Uva: Barbera Gradazione: 14 Commento: Bella espressione

Tipologia: Rosso Uva: Barbera Gradazione: 14,5 Commento: Non ancora aperto

di Barbera in legno che approfitta del caldo 2007 per smussare molti spigoli e essere immediatamente piacevole. Ottimo per coniglio in civet e formaggi d’alpeggio.

al naso nonostante l’età. In bocca ha tutta la scomposta acidità della Barbera.

6

VOTO

VOTO

75,

Dei Tempi Barbera d’Alba Doc 2011

Diana Barbera d’Alba Doc 2011 Ceretto

Az. Agr. f.lli Massucco – Castagnito

Tipologia: Rosso Uva: Barbera Gradazione: 14,5 Commento: Già pronto al naso,

Tipologia: Rosso Uva: Barbera Gradazione: 14 Commento: Naso molto tenue,

bella frutta, in bocca piacevole, acidulo come deve essere una Barbera fresca da bersi. Bene con i ravioli al plin.

bocca ancora molto giovanilmente scomposta. Alcuni grammi di zucchero residuo in eccesso non fanno bene al vino.

75 ,

VOTO

VOTO

65,

Roero Doc 2009

Asij Barbaresco Docg 2009

Az. Agr. f.lli Massucco – Castagnito

Ceretto

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Abbastanza

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Classico colore

piacevole e semplice, già maturo da apprezzare in tavola. Bene sul bollito, in particolare la lingua.

scarico del Nebbiolo, si introduce con un naso complesso e una bocca elegante, giustamente tannica e di buona lunghezza. Buono per il cinghiale in umido.

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VOTO

VOTO

65,

7 Collina del Re

Zonchera Barolo Docg 2008

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Naso non molto

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Naso indubbiamente

Barolo Docg 2008

Ceretto

piacevole ma non molto intenso con bocca ancora molto giovane e con tannino da arrotondare.

intenso, è un Barolo corretto di non grande profondità apprezzabile per eleganza fin da adesso.

95,

VOTO

VOTO

, 75 Cavallotto

Bricco Boschi vigna San Giuseppe Barolo Riserva 2006

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Naso ampio

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Uno dei vini migliori

e piacevole che avrà ampie possibilità di evoluzione. Palato con tannino fitto e ben dosato. Grande possibilità di evoluzione anche in bocca.

di quest’anno. Figlio dell’eleganza e della potenza della zona di Castiglion Falletto. Naso veramente armonico e molto complesso, bocca austera, profonda di grande futuro.

Bricco Boschis Barolo Docg 2008

Cavallotto

, 75

VOTO

VOTO

8

Barbaresco Docg Roncaglie 2008

Riserva Vignolo Barolo Docg 2006 Cavallotto

Az. Poderi Colla, Barbaresco

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Potenza in bocca e

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Un Barbaresco

notevole giovinezza nonostante sia un 2006, per un Barolo di Cavallotto che evolve più lentamente. Naso molto equilibrato e profondo, tannini che devono ancora affinarsi.

molto classico, nel colore rubino scarico con note aranciate e nel naso, dove la frutta è preminente. Bella freschezza accanto ad un tannino abbastanza equilibrato.

77


VOTO

VOTO

Il territorio

65,

7

Barbaresco Rio Sordo 2009

Barbaresco 2009 Az. Boffa Carlo

Az. Cascina delle Rose, Barbaresco

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 13,5 Commento: Buone note fruttate

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Un barbaresco di ottima

adesso disturbate dal tenore alcolico ci portano a questo Barbaresco dal bel color rubino. In bocca però ci saremmo aspettati di più, magari non nell’equilibrio ma nella potenza.

potenza con ancora vive le note giovanili. Lo vediamo dai taninni ruvidi ma di buona fattura. Naso leggermente maturo ma classico per l’annata. Una lepre in umido sarà ben lieta di accompagnarlo.

6

VOTO

VOTO

85, Barolo Sarmassa 2008

Barolo Costa Grimaldi 2008

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Un grande Barolo

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Un bel color rubino

sia al naso, con note floreali e sentori fruttati e balsamici, sia in bocca dove la bella tannicità è sposata alla freschezza, creando un connubio che durerà per molti, molti anni.

non intenso ci porta ad un naso ancora da precisare, dove il frutto stenta ad uscire. Potenza e tannicità di buon livello ma ancora molto da affinare, specie nel finale.

Az. Poderi Luigi Einaudi

Az. Brezza

, 75

VOTO

VOTO

8 Barolo del Comune di Serralunga 2008

Barolo Bussia 2008

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14 Commento: Con l’eleganza nei

Tipologia: Rosso Uva: Nebbiolo Gradazione: 14,5 Commento: Un bel color rubino

vini di Serralunga non si può che essere felici e sarete felici anche voi se berrete questo ottimo barolo dal color rubino tenue, dal naso floreale e dalla tannicità marcata ma elegante.

non profondo e dei bei profumi floreali e balsamici sono le prime due sensazioni positive in questo Barolo, che chiude con il solito tannino elegante, ma ben definito della zona di Monforte.

Az. Silvano Bolmida

Az. Giovanni Rosso

78


VOTO

VOTO

7

8

Pitasso Colli Tortonesi Timorasso Doc 2009

Dertona Colli Tortonesi Timorasso Doc 2009

Claudio Mariotto

Claudio Mariotto

Tipologia: Bianco Uva: Timorasso Gradazione: 14,5 Commento: Non giocato sulle

Tipologia: Bianco Uva: Timorasso Gradazione: 14,5 Commento:Vino caldo e ampio

tonalità del frutto fin dall’inizio, ha grande struttura e potenza in bocca. Bel giallo carico. Da provare con un tagliolino al tartufo.

in bocca, potente ma fresco. Ben dosato ed equilibrato.

6

VOTO

VOTO

65,

Profilo Colli Tortonesi Bianco 2010

Le Vignasse Roero Arneis Docg 2011 Cascina Palazzo Rosso

Claudio Mariotto

Tipologia: Bianco Uva: Cortese Gradazione: 13 Commento: Vino esile,

Tipologia: Bianco Uva: Arneis Gradazione: 13 Commento: Un Arneis già

elegante, con note floreali e di frutta bianca. Non è di grande struttura, ma è una caratteristica del vitigno Cortese.

pronto e maturo. Con sentori di frutta bianca al naso e in bocca. Rotondo con la giusta freschezza.

7

VOTO

VOTO

6

Moscato d’Asti 2011

Roero Arneis Docg 2011

La Collina del Re

Massucco

Tipologia: Bianco Uva: Arnesi Gradazione: 13 Commento: Lievi note

Tipologia: Bianco Dolce Frizzante

Uva: Moscato Gradazione: 5,5 Commento: Intenso, piacevole

floreali, evidenziano la semplicità dell’Arneis. In bocca tonalità di frutta matura e media persistenza.

e dolce. Un classico vino da pasticceria secca.

79


Il territorio

Bolle in pentola la tradizione

Nicola Natili

Il mio incontro con la gastronomia piemontese è stato del tutto casuale. Mio padre, raffinato buongustaio e amante del buon vivere, mi chiese di accompagnarlo nel suo consueto viaggio autunnale in Piemonte, una sorta di pellegrinaggio alla scoperta di vini “con la V maiuscola”, come amava ripetere. Confesso che aderii alla richiesta più per dovere filiale che per convinzione e mai avrei immaginato che, da lì a poco, sarei venuto a contatto con un mondo che mi avrebbe indirizzato, irrimediabilmente, verso la passione per la produzione agroalimentare di qualità e l’enogastronomia. Meta del nostro viaggio erano le Langhe, il Roero e il Monferrato, terre che l’avevano conquistato grazie anche alle amicizie che da anni coltivava in luogo: Giacomo Bologna, Gianfranco Bovio, Luciano De Giacomi e Romano Levi. E scusate se è poco! Non vado oltre con i ricordi personali, ancora vividi e indelebili ma di poco o punto interesse per chi legge, posso solo dire che quei giorni hanno acceso in me una passione che a distanza di anni ancora coltivo. Quando il direttore mi ha chiesto un pezzo sulla gastronomia piemontese, ho risposto con entusiasmo, ma subito dopo, pensando alla vastità delle proposte e alla loro qualità, mi sono reso conto dell’impegno che avrebbe richiesto. La cucina piemontese è esaltante e appagante, frutto dell’ingegno e del buon gusto di mani sapienti che utilizzano prodotti sceltissimi, ottenuti grazie alla passione e il lavoro di mani altrettanto sapienti. I piemontesi sono dei buongustai che sono riusciti a difendere e trasmettere fino ai giorni nostri tradizioni di antichissime origini. Forse il segreto di tanto successo sta proprio qui. Sintetizzare in poche righe una si grande cultura diventa quasi impossibile, ma ci proverò confidando sulla benevolenza da parte del lettore.


Bagna Cauda


Il territorio Tajarin al tartufo

Gli antipasti In Piemonte gli antipasti non rappresentano solo un modo di iniziare un pasto, ma un rituale irrinunciabile, basti pensare alla Bagna Cauda, uno dei tanti emblemi della gastronomia piemontese. Questa classica specialità si ottiene facendo sobbollire lentamente nelle sciunfiette di terracotta, riscaldate da un fornellino, dell’olio, le acciughe e l’aglio. In questo intingolo vengono immersi molti tipi di verdure, cotte o crude come il cardo, il peperone, il topinambur e gli asparagi, fino all’uovo da aggiungere alla fine in ciò che rimane nel contenitore. Molto diffuse le insalate di carne cruda, tritata o tagliata a fettine sottilissime e condita con olio, aglio e limone o con sua maestà il tartufo bianco protagonista incontrastato anche nell’insalata di porcini e ovuli crudi. E poi le acciughe al verde, la lingua salmistrata, il vitello tonnè, gli zucchini in carpione, le frisse, polpette di carne di maiale e fegato aromatizzate con bacche di ginepro e fritte nel burro, i caponet, croccanti fiori di zucca ripieni di carne e salame cotto e anch’essi fritti nel burro. Assolutamente da assaggiare, infine, i fagioli all’astigiana, la giardiniera e il tagliere di salumi dove

accanto al Crudo di Cuneo, al Salame d’oca di Novara e allo Spalot, spalla di maiale tipica del biellese, non può mancare il Salam’d la duja, salame conservato in un contenitore di coccio e ricoperto di strutto. I primi piatti È nei primi piatti che il Tartufo Bianco d’Alba trova la sua definitiva consacrazione, riuscendo con il suo aroma intenso e inebriante a creare prelibatezze senza pari come i famosi Taijarin delle Langhe, pasta all’uovo tagliata finissima con aggiunta di burro fuso e tarfufo. Spaziando in largo e lungo per questo magico territorio, dalle grandi città alle realtà di provincia, dai piccoli borghi alle frazioni più isolate non è difficile accorgersi che, nelle grandi occasioni gli agnolotti non mancano mai sulla tavola dei piemontesi. Di antiche origini, gli agnolotti si ricavano da una sottile sfoglia di pasta all’uovo farcita con un ripieno di carne arrosto o stufata, prosciutto, uova, noce moscata ed altri ingredienti. Ottimi se conditi con burro e lamelle di tartufo, ma non da meno se irrorati da un saporito sugo

Bollito

d’arrosto. Una variante è costituita dai Ravioli del Plin, ripieni anch’essi di carne e chiusi con un plin, un pizzico. Le origini contadine della cucina piemontese condizionano, in parte, tutte le ricette e accanto ai piatti molto elaborati troviamo anche molte ricette semplici. Gli Gnocchi alla Bava, gnocchi di patate conditi con la Toma fresca sciolta nella panna e nel burro e gli amaretti mombaruzzo ne sono un chiaro esempio. Un altro protagonista della cucina piemontese è il riso. Nella zona di Novara e Vercelli, si ha un’importante produzione di riso e da sempre quest’alimento costituisce la base di partenza in tantissime preparazioni. Ricordiamo la Panissa novarese, un risotto a base di fagioli, verdure, lardo e salam’d la duja, il risotto con le rane, il risotto al Barolo, quello con i funghi, in cui non può mancare una pioggia di scaglie di tartufo, il risotto al Gorgonzola e il maestoso risotto al Castelmagno. Meno presenti, infine, le minestre in brodo. Da ricordare la Cisrà, una zuppa di ceci, il Brudera, un risotto in brodo con carne di gallina, carne e sangue di maiale, il minestrone di verdure, la zuppa di trippe e lo Sciüghèt, una minestra con latte, vino rosso e farina. I secondi piatti Nella tradizione gastronomica piemontese i secondi piatti, per la quasi totalità a base di carne, occupano un posto di rilievo. Due piatti su tutti per la loro ricchezza di sapori e il grande gusto: il bollito misto e il fritto misto. Parliamo di bollito, non di lesso, cioè di carni introdotte nella pentola quando l’acqua è in pieno bollore. Per fare un buon bollito dobbiamo utilizzare tante qualità di carni: di manzo e di vitello, la testina, il piedino di maiale, la lingua, la gallina e il cotechino. Non dobbiamo avere fretta nella cottura, ne guadagnerà il risultato finale che verrà servito accompagnato dal bagnet vert, una salsa verde a base di prezzemolo, acciuga, olio, aceto e aglio o dal


bagnet ‘d tomatiche, preparata con pomodoro, aglio, sottaceti, senape, olio e aceto. Ancora più varia la composizione del fritto misto, un vero cult della cucina piemontese, che non può prescindere dai seguenti ingredienti: scaloppine di vitello, fegato, funghi, semolino amaretti, crocchette di pollo, salsiccia tagliata a pezzetti, fette di mela, cervello, animelle, filoni e piccole grive. Un vero trionfo di sapori. Molto in uso anche gli arrosti, con protagonisti le pregiate carni di manzo, di capretto e di pollo e la cacciagione tra cui spicca la Lepre in Civet, la beccaccia sul crostone di polenta, le quaglie e le starne. Altri piatti classici sono rappresentati dai brasati, su tutti il Brasato al Barolo, e dagli umidi come il coniglio con i peperoni, tipico delle Langhe e il Pollo alla Marengo. Ci sono infine le ricette a base di uova, molto economiche ma non per questo meno appetito-

se e segnaliamo al proposito la frittata con l’erba di San Pietro e l’uovo strascicato nel sugo dell’arrosto.

Fritto misto

pregio. Tra le tante tipicità ci piace ricordare il Bra servito con la Cognà, mostarda a base di uva, una delle più genuine espressioni della tradizione tramandata di generazione in generazione, il Cachat ricavato da pezzi di formaggio caprino avanzati e rifermentati con aggiunta di latte di capra e la Seirass del fen, la ricotta avvolta in fieno montano.

I dolci Quella tra la cioccolata e il Piemonte, ma è più corretto dire Torino, è una storia bellissima che parte da molto lontano e che meriterebbe un capitolo a parte. Il cioccolato è tra gli ingredienti più utilizzati nella pasticceria piemontese. L’abilità e le intuizioni dei cioccolatieri torinesi ci hanno consegnato numerose specialità la più nota delle quali il Gianduiotto, Krumiri una delicata crema di cacao e nocciole. In tutta la regione, la pasticceria è molto curata e presenta delle preparazioni meritevoli di attenzione. Partiamo dal Bonet, un budino a base di uova, zucchero, amaretti, cioccolato, latte e rhum che prende il nome

I Formaggi Non si può parlare dei formaggi piemontesi senza fare un tuffo nel passato, fino ai tempi di Carlo Magno, periodo in cui si narra che ci fu il primo incontro tra lo storico personaggio e un formaggio piemontese, il Castelmagno. Verità o leggenda? Sta di fatto che la tradizione casearia del Piemonte affonda nel passato più remoto e non potrebbe essere diversamente in virtù delle caratteristiche del territorio. Questo prezioso alimento costituisce una variante molto valida ai ricchi secondi piatti della tradizione, sia si parli di prodotti tutelati dai marchi di qualità – sono ben nove le DOP – quanto per le piccole e tipiche produzioni artigianali, che sono numerose e di grande

dallo stampo in cui si prepara. Molto conosciuta è anche la Panna Cotta, crema di latte fresca completata con zucchero caramellato. Con le nocciole gentili di Alba si preparano la Torta di Nocciole, il Torrone e la Giacometta, finissima crema di nocciole dal gusto deciso ma delicato, una preparazione questa tipica della zona di Alessandria patria anche della Polenta di Marengo a base di farina di mais e mandorle. Vasta anche la produzione di biscotti: i Crumiri di Casale, i Biscottini di Novara, gli Amaretti di Monbaruzzo, i Turcetti, i Brût e Bon, i Savoiardi e la Torta Savoiarda. Notevoli poi gli Albesi al Rhum, piccole meringhe imbevute di liquore e ricoperte di cioccolato fondente e per quanto concerne i dolci a base di frutta, meritano citazione le Pesche Ripiene, pesche divise in due, riempite con un composto di amaretto e tuorli d’uovo, bagnate con moscato e passate al forno. Non manca un dolce di derivazione contadina: la Torta de San Pedar, una squisita preparazione per non buttare il pane avanzato. E chiudiamo con le castagne, i dolcissimi Marroni di Cuneo, buoni lessi o arrostiti, ma anche ingredienti importanti in tante ricette di pasticceria, dal Castagnaccio ai Marron Glacés.

Amaretti

83


Il territorio

Viaggio tra le eccellenze piemontesi

Made in Piemonte

Nicola Natili

La Regione Piemonte è caratterizzata da numerose produzioni agroalimentari d’eccellenza che ne fanno uno dei territori più affascinanti e ricchi dell’intero paese. L’eccellenza corrisponde, quasi sempre, a territori specifici e ogni prodotto racconta la storia di un luogo e l’impegno degli uomini nel custodire i sapori più autentici e tipici che la terra e la tradizione gli affida. Oggi il settore agroalimentare costituisce uno degli elementi economici più importanti e riveste un ruolo irrinunciabile per le ricadute che crea sul turismo e sulla stessa qualità del territorio. Il Piemonte, per le sue innumerevoli eccellenze e il processo avviato per la valorizzazione del territorio passando attraverso la tutela dell’identità locale, rappresenta una delle regioni guida nel panorama nazionale in quasi tutte le categorie produttive agroalimentari. Le caratteristiche geologiche del territorio piemontese, catene montuose che si alternano ad estese aree collinari e di pianura, favoriscono l’allevamento di ovini, caprini e bovini tra cui la Razza Bovina Piemontese, un bovino dalla carne molto pregiata per il basso contenuto di colesterolo. Dove sono presenti queste specie animali c’è anche una produzione di latte e quindi di formaggio. Sono ben nove i formaggi tutelati dalla DOP: Bra, Castemagno, Gorgonzola, Grana Padano, Murazzano, Raschera, Robiola, Taleggio, Toma Piemontese, ma è impossibile non citare altri eccellenti produzioni che esaltano l’arte casearia piemontese: - Il Brus, tipico dell’Alta Langa eccellente spalmato sulla polenta o sul pane - Il Macagn, formaggio d’alpeggio dal sapore delicato che ricorda il latte e il burro

Marronei di Cuneo

- Il Cevrin di Coazze, dall’odore penetrante e sapore piccante - Il Montebore, di antichissime origini, prodotto con latte ovino o misto Secondo una stima recente, in Piemonte si producono 121 tipi di formaggi, 89 con latte vaccino, 12 con latte caprino, 8 con latte ovino e 12 con latte misto. Una particolare attenzione è riservata anche alla produzione dei salumi. In Piemonte sono molti gli allevamenti di suini e, di conseguenza, dei prodotti da essi derivati. Anche in questo settore

troviamo eccellenze garantite dal riconoscimento dell’Unione Europea, ma non mancano altri prodotti tradizionali di grande pregio. Tra i primi ricordiamo il Crudo di Cuneo (DOP), la Mortadella di Bologna (IGP), il Salame di Cremona (IGP) e i Salamini Italiani alla Cacciatora (DOP), tra i secondi: - Il salam d’la duja, un salame che si consuma crudo e che viene utilizzato per preparare piatti tradizionali come la Panissa. - Il Salame di Patate, tipico del Canavese e del Biellese, ottenuto da un impa-

Tinca


Bitto

85


Il territorio

sto di carne suina e patate - Il Prosciutto della Valle Vigezzo, che si ottiene seguendo un antico procedimento e che prevede, dopo la salatura, un’affumicatura con legno di ginepro. Nella filiera ortofrutticola il Piemonte può vantare cinque prodotti garantiti dal marchio di qualità rilasciato dall’Unione Europea: la Castagna di Cuneo (IGP), il Fagiolo di Cuneo (IGP), il Marrone della Val di Susa (IGP), la Nocciola del Piemonte (IGP) e il Riso della Baraggia Biellese e Vercellese (DOP), eccellenze che si affiancano ad altre tante produzioni di non minore pregio. Citiamo, ad esempio: - Il Sedano Rosso di Orbassano, profumo intenso e gusto leggermente ammandorlato - Il Peperone Quadrato d’Asti, carnoso, succulento e con lieve piccantezza - L’Asparago di Santena, dal sapore particolarmente delicato - Il Cardo Gobbo di Nizza Monferrato, ottimo consumato crudo con la bagna cauda. Senza dimenticare come prodotto spontaneo soprattutto nelle Langhe, nel Monferrato e nel Roero, il tartufo bianco, protagonista in moltissime ricette, dai primi, alle carni, alle insalate, ai formaggi, ai salumi, un vero e proprio tesoro. Molto interessante anche il patrimonio zootecnico piemontese, agevolato dalle condizioni pedoclimatiche e morfologiche del territorio che hanno favorito la presenza di tanti allevamenti rivolti a un gran numero di razze, molte delle quali autoctone. Segnaliamo tra i tanti, oltre alla Razza Bovina Piemontese, il Coniglio Grigio di Carmagnola, l’Agnello Sambucano, il Cappone di Morozzo, la Gallina Bianca di Saluzzo e la Gallina Bionda Piemontese e la Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Piorino (DOP)

Nocciole di Cuneo

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Finisce qui il nostro rapido e parziale viaggio tra i prodotti tipici agroalimentari del Piemonte, un piccolo contributo con l’intento di dimostrare la grande disponibilità di materie prime che, unite a una tradizione gastronomica che si perde nella notte dei tempi, è alla base dell’ineguagliabile offerta culinaria che non finiremo mai di apprezzare.


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Il territorio

Satragno: bene l’accordo, ma in ritardo

Moscato meno effervescente

Andrea Settefonti

Nel momento nel quale sembra sgonfiarsi la bolla della “moscato-mania”, arriva l’accordo sul prezzo delle uve Moscato. Aumento del prezzo del 6,5% rispetto allo scorso anno e garantito anche per la prossima vendemmia quando ci sarà da ridiscutere soltanto la resa per ettaro delle uve. «È un risultato importante e soddisfacente in quanto le vendite di Moscato e di Asti in questo momento sono in calo», commenta Giovanni Satragno, 59 anni, presidente dei Produttori di Moscato d’Asti. Che non manca però di esprimere una nota polemica. «Certo, il risultato è importante, per la prima volta la parte agricola si è presentata compatta e ciò dimostra che compatti si vince. Negli anni passati molti, invece, si professavano agricoltori ma si comportavano da industriali». «Ma questo leggero aumento – continua Satragno – è, secondo me, arrivato fuori tempo. Ossia in ritardo, in quanto l’aumento vero si sarebbe già potuto ottenere nella vendemmia 2010,

quando esistevano tutte le condizioni favorevoli e soprattutto una grande richiesta di prodotto, in quanto ci si accingeva a superare la soglia dei 100 milioni di bottiglie totali, mentre ora stiamo tornando nuovamente verso i 90 milioni». L’accordo prevede un prezzo di 100,6 euro al quintale e una resa di 108 quintali per ettaro «È vero che il disciplinare fissa la resa a 100 quintali per ettaro – spiega il presidente dei Produttori di Moscato d’Asti –

Giovanni Satragno

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ma consente, in caso di accordo tra le parti, di poter arrivare a 120 quintali». Moscato e Asti sembrano risentire adesso di un calo delle vendite. «C’è crisi, ma l’Asti è calato parecchio in Russia dove abbiamo avuto un problema con le dogane bloccate per sei mesi per l’ingresso dei vini spumanti. E in Russia potrebbero pesare gli interventi di protezionismo con la minaccia di aumento dei costi di dogana da 6 a 36 rubli al litro per i vini spumanti dolci con una gradazione inferiore a 9,5 gradi». I dati delle vendite del primo semestre 2012 sono sotto di oltre 5milioni di bottiglie rispetto allo scorso anno. In debole crescita i livelli delle scorte.



Arte di...vino

Arte e territorio vestono la bottiglia a cura dell’Associazione Italiana Collezionisti Etichette Vino

Azienda Agricola Franco Roero

Via Zucchetto 8, Fraz. S.Stefano Montegrosso d’Asti (AT) L’azienda è situata nel comune di Montegrosso d’Asti in località “Zucchetto”, in una delle zone più belle e interessanti del Monferrato. L’Azienda è stata creata agli inizi del Novecento da Vincenzo Roero che con tutti i suoi risparmi comperò la vigna, chiamandola Bastone. Ad essa ben presto si aggiunsero altri appezzamenti, tra i quali la Carbunè, dove oggi si vendemmia un meraviglioso cru di Barbera. La famiglia Roero ha continuato la sua strada fino ad oggi lavorando sui vitigni autoctoni: Barbera, Grignolino, Cortese, Moscato e Dolcetto. Il rapporto con l’arte si esplicita attraverso l’opera di famosi artisti fra i quali Carlo Carosso, anche lui astigiano, di cui mostriamo tre opere sul Carbunè Barbera d’Asti Doc, Il Brigantino Piemonte Cortese Doc e Redivino Monferrato Doc.

Azienda Vitivinicola Michele Chiarlo

Azienda Agricola La Contea

P.zza Cocito, 8 - 12052 Neive (CN) www.la-contea.it Nasce grazie all’opera di Tonino Verro, all’inizio degli anni ‘90, una piccola azienda agricola, denominata Ripa Sorita. Nel corso degli anni i vini prodotti dalla Contea di Neive hanno acquistato fama e importanza; l’azienda si è dotata delle più avanzate tecnologie ed è stata in grado di estendere la coltivazione della vite su terreni collinari sparsi a macchia di leopardo sui colli di Langa e del Roero. A sottolineare il legame affettivo con il prodotto, ogni vino è dedicato ad un membro della famiglia. Tunin per il Roero Arneis, dedicato a Tonino; Mary per il Langhe Chardonnay; Caplin per il Barbera d’Alba, dedicato a Claudia; Paciocchi, dedicato ad Elisa, figlia primogenita, per il Dolcetto d’Alba; Scricciolo, dedicato ad Alessandro, il figlio più piccolo, per il Moscato d’Asti; Cianin per Moscato Piemonte Passito, dedicato al nonno di Claudia. A completare la produzione si aggiungono il Nebbiolo d’Alba Moncastello ed il Barbaresco Ripa Sorita. Le etichette sono di Gabriella Piccato. 90

Strada Nizza-Canelli, 14042 Calamandrana (Asti) L’Azienda Michele Chiarlo è senz’altro una delle più importanti del Piemonte, custode di “terroir” tra i più prestigiosi. Qui vogliamo parlare delle bellissime etichette che identificano tutti i loro vini e che sono il frutto della collaborazione con l’artista Gian Carlo Ferraris che ha recentemente illustrato in un primo volume il progetto culturale “Semidivite” che testimonia il felice connubio fra ispirazione artistica e passione enologica. Attraverso i colori, gli schizzi e le idee dell’artista, amico e collaboratore da oltre vent’anni del produttore vinicolo piemontese, viene testimoniata l’unione del mondo del vino all’arte e alla valorizzazione del territorio che, da sempre, è alla base della filosofia dell’azienda. Sensazioni e suggestioni regalate dai disegni dell’artista così come dai vini del produttore. Della sua produzione per Michele Chiarlo vi presentiamo un’etichetta.


Oltre confine

CANADA

Sebastiano Ramello

Il canada, paese culturalmente molto vicino all’europa, anche se molto diverso territorialmente, fa si che ogni regione abbia leggi totalmente differenti riguardo l’importazione del vino ll Canada, Paese culturalmente molto vicino all’Europa anche se molto diverso territorialmente in quanto Stato Federale, democrazia parlamentare e monarchia costituzionale, dove da anni importo vini per lo più Piemontesi e Toscani tramite miei agenti/importatori nei principali territori, fa si che ogni regione abbia leggi totalmente differenti riguardo l’importazione del vino, proprio per questo da oggi e nei prossimi numeri cercherò di spiegarvi il funzionamento dei singoli monopolio che non solo controllano l’importazione ma gran parte della distribuzione. Nella regione dell’Ontario con capitale Toronto (una delle città mondiali con maggior numero di emigranti italiani) il monopolio LCBO, che a sua volta si divide in tre categorie di inserimento del prodotto: “Vintages”, “ Riserve Personali/ spedizioni”, “Lista Generale”. Il Vintage offre vini di media-alta qualità provenienti da tutto il mondo, e si accede tramite ten-

der emessi dalla LCBO ai propri agenti che a loro volta propongono alle aziende vinicole. Ogni azienda vinicola per legge non può affidarsi a più di un agente LCBO, inoltre sarà il tender a indicare il vino, denominazione, regione e gamma di prezzo. Importante per entrare nel “Vintage” è possedere riconoscimenti internazionali su guide e riviste in quanto solo dopo aver passato il primo step vengono degustati i vini. Una volta inserito il proprio vino bisogna sapere che difficilmente verà riordinato, bisognerà ritentare con un tender successivo. Tenete presente che su 100 aziende proposte normalmente riescono a passare al secondo step solamente circa il 5% e da queste verranno acquistate circa un 2%. Altro metodo per le piccole medie aziende che fanno prodotti di media e alta qualità è di entrare attraverso la “Riserva Personale” tramite agenti/importatori che trattano la vendita alla ristorazione. In questo caso vengono presentati i vini tramite degustazione a un agente/importatore che una volta convinto deciderà di importarli sempre per legge tramite LCBO, e distribuirli ai propri ristoranti sempre tramite monopolio, in quanto il vino dopo il ritiro dalla cantina finisce nei depositi della LCBO e esce solo nel

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caso in cui gli agenti hanno la certezza della vendita ai loro clienti. Per quanto riguarda i pagamenti in entrambi i casi che sia un acquisto tramite tender “Vintage”, o che sia in via privata verranno emessi direttamente dal monopolio all’incirca dopo 3 mesi dal ricevuto pagamento nel caso del “Vintage” e a 30 giorni dall’ultima cassa di uno specifico vino è stata totalmente esaurita da parte del magazzino LCBO. Esiste un altro metodo ancora più complesso e difficile per poter entrare nella LCBO, quella “Lista Generale” che comprende vini a prezzi moderati, quelli abitualmente chiamati “Entry level”, prodotti in grandi quantità e per lo più provenienti da imbottigliatori e legati a grandi budget promozionali e di investimento. Nel caso si riuscisse ad entrare e mantenere un’alta percentuale di vendita, il vino verrà riordinato, nel caso contrario messo fuori con una penalità inflitta al fornitore del 25% sul prezzo ExCellar del rimanente in magazzino. Nei prossimi numeri SAQ,BC e Alberta, per ulteriori informazioni sul mercato e la vendita dei vini italiani in Canada potete contattarmi direttamente al mio numero di telefono 335 70 28 463 o email: piemontewine@yahoo.it.


Viaggi

Claudio Zeni

Occasioni golose Blue australia soft adventures

“Blue Australia Soft Adventure” è il nuovo programma di Go Australia (Tel. 011.5187245 www.goaustralia.it) per un’indimenticabile vacanza alla scoperta di alcuni tra i più suggestivi angoli di questo straordinario paese. La porposta prende avvio da Sidney con due giornate a disposizione per visitare la città. Via quindi alla volta di Ayers Rock ad ammirare Uluru, il famoso monolito caro agli aborigeni. Il viaggio tocca poi Cairns e da qui in catamarano a Fitzroy Island, autentico paradiso tropicale: spiagge da sogno, immersioni e uscite in barca. Costo del pacchetto di 11 giorni/10 notti a 1680 euro: trasferimenti e hotel con prima colazione. A parte la spesa del passaggio aereo dall’Italia secondo le migliori tariffe. Partenze fino a dicembre.

brindisi di capodanno in patagonia Originale e suggestivo brindisi di Capodanno ad Ushuaia, la città della Patagonia Argentina “alla fine del mondo” nell’atmosfera irreale del canale Bearle, con i suoi leoni marini e uccelli acquatici. Ecco lo spunto per un fantastico viaggio in questo estremo lembo d’Argentina, che ha il pregio di offrire al vacanziero natalizio tante e belle sorprese. La penisola Valdes, Punta Tombo con la più grande colonia di pinguini, il Lago Argentino e infine lo sterminato e spettacolare ghiacciaio Perito Moreno. Serata finale a Buenos Aires nello storico locale “Café de Los Angelitos” con show di tango e cena. Costo del pacchetto di 12 giorni/10 notti proposto da Tour 2000 (Tel. 011.5172748 www.tour2000.it) è di 3940 euro. Volo da Milano (Roma), trasferimenti, hotel con alcuni pranzi e cene (Capodanno) incluse. Partenza il 27 dicembre.

ultimo dell’anno in india con la tigre Capodanno in India in compagnia della tigre nella suggestiva atmosfera del parco di Ranthambore, suo habitat naturale. La proposta di Go Asia (Tel. 071.2089301 www.goasia.it) prevede la partenza dall’Italia a Delhi (visita città vecchia e templi) prima di raggiungere Agra per ammirare il famoso Taj Mahal, la bianca costruzione in marmo fatta costruire da un imperatori Moghul in memoria della moglie morta. Il tour raggiunge poi Ranthambore, ora riserva di salvaguardia per le tigri che vivono nel parco (pernottamento e cena di Capodanno). Tappa finale a Jaipur, la città rosa capitale del Rajasthan, con i suoi gioielli: il Palazzo dei Venti, il Johari Bazar e Fort Ambert, raggiungibile a dorso di elefante. Costo del pacchetto di 9 giorni/6 notti euro 1480: volo da Milano (Roma e altre città) con Lufthansa, trasferimenti e hotel con quasi tutti i pranzi o cene incluse nella cifra. Partenza il 28 dicembre.

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Innovazione

Nebulizzatore Pneumatico elettrostatico b-612 “Duo-Wing-Jet” Rappresenta la più recente risposta di Martignani all’imperativo che sempre più incombe sugli agricoltori: “RIDURRE al minimo le perdite nell’ambiente durante i trattamenti antiparassitari”. Può definirsi la prima e unica irroratrice che effettua il RECUPERO del prodotto combinando l’azione dell’attrazione elettrostatica tra vegetazione e microgocce nebulizzate con quella di due speciali SCHERMI PROTETTIVI a cuscino d’aria, senza alcun RICICLO di miscela antiparassitaria, con 95% di effetto non solo ANTI-DERIVA ma anche ANTI RESIDUI chimici su frutta, uva, vino, ecc. Questo preciso obiettivo, ricercato da MARTIGNANI per superare anche quanto si è finora ottenuto con le cosiddette irroratrici a TUNNEL, è raggiunto grazie alle seguenti modalità: A) Data la possibilità della macchina di regolare all’istante qualsiasi volume da distribuire, in un vigneto a inizio vegetazione si può partire con appena 10 l/ha di miscela concentrata 10 v. aumentando man mano a 20–30–40, fino ad un massimo di 100 l/ha in piena vegetazione. Così non risulta alcuna frazione liquida da dover raccogliere e riciclare, con il vantaggio di disporre di una miscela sempre integra senza la minima varianza di concentrazione, con un’apparecchiatura più semplice e maneggevole, esente da qualsiasi rischio di possibili effetti indesiderati attribuibili (secondo esperti fitoiatri) al continuo rici-

clare delle misture fuoriuscite dalla vegetazione. B) I due SCHERMI PROTETTIVI pressurizzati con ARIA (regolabile) da una delle 2 uscite del ventilatore, senza la presenza di tubi flessibili in plastica, ma utilizzando come condotte gli stessi elementi telescopici preposti al loro posizionamento, hanno la semplice funzione di eliminare, con il cuscino d’aria uscente dai mille fori delle due pareti in materiale isolante e idrorepellente, la dispersione della residua popolazione di goccioline che possono sfuggire al campo elettrostatico completando in siner-

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gia con esso la copertura delle due pareti esterne di ogni interfilare percorso C) Si possono regolare anche VOLUMI, VELOCITA’ e INCIDENZA dei flussi d’aria degli erogatori elettrostatici (8+8) e quindi anche le dimensioni delle microgocce in funzione delle varie fasi fenologiche della vegetazione. In definitiva viene sensibilmente migliorata la nota capacità del BASSO e BASSISSIMO VOLUME ELETTROSTATICO MARTIGNANI di garantire trattamenti efficaci con RISPARMI di ACQUA 90%, TEMPO–MANODOPERA 70%, PRINCIPI ATTIVI fino al 45-50% e con raccolti esenti da residui chimici pluridocumentati, ottenibili grazie alle ridotte dosi di principi attivi e all’eccezionale uniformità di copertura delle microgocce, che, cariche dello stesso segno mentre sono attratte dalla vegetazione che si carica di segno opposto, si respingono tra loro evitando ogni forma di sovrapposizione o accumulo irregolare. Dunque: una protezione delle piante ancora più efficace, più economica, più rispettosa dell’ambiente, della salute degli operatori dei trattamenti e dei consumatori degli agroalimentari.


Economia

Gdo, nuovo mercato del vino

Andrea Settefonti

Il futuro del vino ha un nome, grande distribuzione. Cresce, infatti, del 6% il vino venduto nei supermercati con la private label, i marchi insegna. Un mercato salito all’8,9% del valore del vino venduto in Italia e che in volume è pari al 14,4%. In Europa, poi, i dati sono ancora più interessanti dal momento che si arriva al 29% in volume e al 22% in valore. Sono i numeri di una ricerca di Fedagri-Confcooperative presentata all’assemblea nazionale del settore vino. «Si tratta di un trend che abbiamo il dovere di osservare e studiare da vicino, ma che non ci vede affatto entusiasti, poiché la marca privata toglie valore a quella dei singoli produttori, che corrono in tal modo il rischio di diventare semplici riempitori di bottiglie», commenta Adriano Orsi, presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative. I trend di crescita della private label sono stati illustrati da Virgilio Romano, consulente di Symphony IRI Group. La quota del marchio commerciale nel nostro paese è pari all’8,1% del vino venduto in Italia (dati a consuntivo 2011), dato che si assesta all’8,9% (ultimo dato progressivo 2012, relativo a giugno). «Se l’Europa è un valido benchmark – ha dichiarato Romano – il futuro della Private Label nella categoria vino sarà quello di crescere. La quota a volume in Italia è circa la metà di quella europea (14,4% contro 29%) e a valore è circa 1/3 (8,1% rispetto al 22,6% dell’Europa)». Lo sviluppo della marca privata, +42% in soli 7 anni La marca privata ha aumentato la propria quota di mercato passando negli ultimi 7 anni dal 12,6% al 17,9% delle vendite complessive in Gdo. Private label, +6% in valore tra gennaio-agosto 2012 Nei primi 8 mesi del 2012, le marche private hanno fatto registrare incrementi nelle vendite in tutti i settori, fatta eccezione per quello dell’ortofrutta. A fronte di un incremento complessivo delle vendite nell’ordine del +1,7%, le vendite in valore dei prodotti a marca privata hanno segnato un +6%, rispetto all’incremento molto più contenuto dei prodotti a marca industriale (+0,7%). . I vini nella Gdo, 600 milioni di bottiglie vendute Relativamente al prodotto vino, la Gdo si conferma uno dei canali privilegiati per le vendite in Italia, con un giro di affari di 1,5 miliardi di euro, pari a circa 597 milioni di bottiglie e 568 milioni di litri venduti nell’ultimo anno, ad un prezzo medio di 2,63 euro/litro, in crescita del +3,5% rispetto all’anno precedente (confronto agosto 2012/agosto 2011).

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Macch[in]azione

Troppe grandi annate

Carlo Macchi

Anche quest’anno è successo! Erano appena stati tagliati i primi grappoli (come oramai è purtroppo consuetudine ai primi di agosto…) e il tam-tam della “grande vendemmia” era entrato in moto. Sono partiti i telegiornali a cui si sono subito accodati blog e soprattutto molti produttori, pronti a spergiurare che da loro era piovuto, che il caldo c’era stato ma nelle giuste proporzioni e via cantando. Per Winesurf ho girato per buona parte dell’Italia durante questa calda estate e dove arrivavo, oltre a sentire i peana di sconforto dei produttori, usavo i miei occhi per controllare cosa veramente stava succedendo. Stava succedendo quello che i telegiornali (quelli dove non si parlava della vendemmia ) dicevano! Caldo soffocante, mancanza di precipitazioni e purtroppo d’agosto abbiamo perso anche l’ultima carta a disposizione, quella della forte escursione termica tra giorno e notte. Anche se ogni varietà reagisce in maniera diversa, la mancanza di precipitazioni unita al grande caldo diurno ottiene il risultato di bruciare molti degli aromi delle uve e soprattutto blocca la fotosintesi e quindi la maturazione della parte fenolica, quella che ci hanno insegnato serve a dare “la marcia in più” ad ogni vino. Inoltre il gran caldo porta l’uva verso gradazioni alcoliche molto alte e, di conseguenza, verso acidità piuttosto basse. Questo, lo ripeto, in linea generale e esistono le ovvie eccezioni (tanto per fare un esempio l’Alto Adige, dove è piovuto anche troppo). A tutto questo devo aggiungere alcune cose che da anni accadono: oramai le vendemmie anticipate non sono più anticipate perché da tempo tutti vendemmiano almeno 15-20-se non 30 giorni prima di quello che succedeva fino a 10 anni fa. Inoltre molti vigneti italiani, piantati per l’appunto negli ultimi 10-15 anni, hanno un “Know how” (portainnesti meno produttivi, sesti d’impianto più stretti, minor produzione per ceppo etc) che il caldo eccessivo porta molto più facilmente verso uve con alte gradazioni alcoliche e

con maggiori differenziazioni tra quest’ultime e le maturazioni fenoliche. Insomma, se mi permettete il paragone automobilistico abbiamo piantato Ferrari pensando di avere di fronte autodromi e invece l’andamento climatico le fa correre su capezzagne sconnesse. Taccio per bontà d’animo sugli impianti di uve con maturazione precoce (Merlot über alles!), presentate come fondamentali per fare grandi vini ed oggi vendemmiate alla metà di agosto con risultati che si possono immaginare. Mi ricordo ancora come vennero presentate le annate 1991-1992-1993-1994-1995 e (Piemonte a parte) 1996. Erano annate all’opposto di quest’ultime, spesso fredde e piovose, indubbiamente di scarso livello almeno nelle zone viticole/mediatiche, eppure sempre grandi, talmente grandi da doversi inventare l’annata grandissima per antonomasia, il 1997! Ma torniamo ad oggi e, appunto non da oggi in Italia stiamo dicendo (non solo noi, anche i produttori e, in generale, l’universo mondo)che molte delle ultime vendemmie sono state troppo calde, siccitose, difficili, anticipate etc, ma regolarmente ogni anno si parte con i primi di agosto (I PRIMI DI AGOSTO!!!!!!!!!!! Qualche anno fa i primi di agosto i produttori andavano in ferie!!) con le vendemmie delle basi spumanti, affer-

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mando urbi et orbi di essere di fronte all’ennesima grande vendemmia, dove magari c’è meno quantità ma più qualità. Poi è il turno dei produttori di bianchi fermi e di quelli di rossi e anche lì la solfa non varia. Dobbiamo ricordare che una delle peculiarità di una grande vendemmia sono i tempi di maturazione che non devono e non possono essere troppo brevi per permettere alle uve di maturare nei giusti tempi, nei giusti modi e con il giusto equilibrio?? Capisco ci sia anche del giusto nel cercare di portare acqua al proprio mulino (tutti teniamo famiglia...) ma in certe annate come questa, dove molti torrenti nonché sorgenti di grandi fiumi si sono seccate, forse tacere e “vendemmiar silenti” sarebbe stato indubbiamente meglio. Per carità! Poi in cantina la tecnologia (e non lo dico scherzando ma con profondo rispetto) riesce a fare tanto ma quello che fa arrabbiare è che pochi produttori dicono «Beh, l’annata non è eccezionale..staremo a vedere». Molti, troppi, rincarano la dose, dichiarando la solita e assolutamente non sostenibile GRANDE ANNATA che quindi dovrà dare GRANDI VINI, quelli che tutti si sognano di bere. Magari l’annata sarà migliore del 2011 o addirittura buona da qualche parte, ma aspettiamo almeno ad assaggiare il vino svinato per dirlo!


e dintorni

Anno II - Numero 6 Registrazione Tribunale di Siena numero 12 del 29/10/2011 www.vinoedintorni.org Direttore responsabile David Taddei Vicedirettore Andrea Settefonti In redazione Luca Casamonti, Martina Cenni Hanno collaborato a questo numero Associazione Italiana Collezionisti Etichette Vino, Francesca Bucalossi, Paolo Corbini, Carlo Macchi, Nicola Natili, Sebastiano Ramello, Andrea Zanfi, Claudio Zeni Progetto grafico e impaginazione Claudia Gasparri

Responsabile commerciale Marilena Masia +39 0577 905316 masia@salviettiebarabuffieditori.com

Stampa Modulgrafica Forlivese srl In copertina Un vigneto piemontese

Casa Editrice Salvietti & Barabuffi Editori Z.I. Belvedere, ingresso 2 53034 Colle Val d’Elsa (Si) www.salviettiebarabuffieditori.com Amministratore Unico Milena Galli Direttore Editoriale Leo Salvietti

Tutti i diritti sono riservati. Manoscrittti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore, a eccezione di brevi passaggi per recensioni. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Prezzo di questo numero è € 4,90. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato. Per questa pubblicazione l’IVA è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74 - 1° comma Lettera “c” del D.P.R. n. 633/72 e successive modificazioni.


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