ISSN 2532-1218
n. 33, aprile-maggio-giugno 2021
Ecolomia
Alta marea di Luigi Ruggiero
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Stefania Mangini
Bio si è? Lo scorso Natale mi hanno regalato un’ottima marmellata di mele e cannella prodotta da una piccola azienda agricola biologica della laguna veneziana. Una mattina, mentre gustavo la marmellata, mi sono soffermato sull’etichetta del vasetto. Così ho scoperto che sì, la marmellata è “prodotta” in laguna, ma viene “preparata” a Forlì. Passando poi agli ingredienti l’etichetta riportava: mele*, zucchero d’uva*, cannella*, succo di limone*. L’asterisco sta per “origine da agricoltura italiana”, quindi non necessariamente prodotto dall'azienda veneziana. Ma quindi in quella marmellata c’era qualche cosa di prodotto e lavorato in laguna? Eppure la marmellata è una cosa abbastanza facile da fare, basta cuocere a lungo la frutta matura con lo zucchero, prodotti che in provincia di Venezia certo non mancano. Mi sono perciò chiesto come sia possibile che gli ingredienti di un prodotto biologico debbano fare decine o centinaia di chilometri per giungere ai luoghi di preparazione e per tornare poi nei luoghi di distribuzione locali. Come si può ignorare l’impatto dei trasporti in questo processo? E dove sta la valorizzazione del prodotto locale se il processo si basa su materie prime che arrivano da tutta Italia o anche dall’estero? La produzione biologica è definita dal Regolamento (CE) N. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici come “un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali”. Le successive modifiche, sia a livello comunitario che nazionale, hanno poi introdotto tutta una complicata serie di regole, criteri e requisiti specifici per poter definire un prodotto “bio”. Senza nulla togliere al metodo e ai concetti che stanno alla base del biologico, ciò che rimane difficile da comprendere è come tali principi si possano poi sposare con un sistema economico globalizzato e capitalistico, in cui sempre più consumatori confluiscono in nuclei urbani improduttivi affidandosi per il loro sostentamento ai pochi che restano a lavorare la terra, e a cui però chiedono produzioni buone e sane, biologiche appunto, ma anche sempre disponibili nei formati e nella quantità richieste. Probabilmente ciò avviene perché, al momento, la produzione biologica viene vista esclusivamente come un'alternativa più “sana” alla produzione agricola “normale” ma regolata dalle medesime regole di domanda e offerta definite dal mercato. Se guardassimo però più in profondità cosa sia davvero il biologico capiremmo che esso è strettamente e indissolubilmente connesso alla terra, alla natura, al clima e ai luoghi della produzione, unici elementi regolatori che dovrebbero determinare quantità e disponibilità di un prodotto. Tutto il resto è solo greenwashing, anzi, biowashing. Emilio Antoniol
Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato editoriale Letizia Goretti, Stefania Mangini Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis, Sebastiano Baggio, Matteo Basso, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Giacomo Biagi, Paolo Borin, Alessandra Bosco, Laura Calcagnini, Federico Camerin, Piero Campalani, Fabio Cian, Silvio Cristiano, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Jacopo Galli, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin, Beatrice Lerma, Elena Longhin, Filippo Magni, Michele Manigrasso, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Magda Minguzzi, Massimo Mucci, Corinna Nicosia, Maurizia Onori, Damiana Paternò, Elisa Pegorin, Laura Pujia, Silvia Santato, Roberto Sega, Gerardo Semprebon, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Ianira Vassallo, Luca Velo, Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto Redazione Martina Belmonte, Paola Careno, Letizia Goretti, Stefania Mangini, Silvia Micali, Arianna Mion, Rosaria Revellini, Libreria Marco Polo, Sofia Portinari, Tommaso Maria Vezzosi , Elisa Zatta Web Emilio Antoniol Progetto grafico Margherita Ferrari
OFFICINA* “Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953
Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente N.33 aprile-maggio-giugno 2021
Ecolomia
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Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Prezzo di copertina 10,00 € Prezzo abbonamento 2021 32,00 € | 4 numeri Per informazioni e curiosità www.anteferma.it edizioni@anteferma.it
OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08. Hanno collaborato a OFFICINA* 33: Carly Althoff, Simone Amato Cameli, Asja Aulisio, Andrea Bernava, Eva Vanessa Bruno, Sara Codarin, Silvio Cristiano, Daphne Degiorgis, Silvia Gasparotto, Gian Andrea Giacobone,Federico Godino, Maria Leonardi, Cristiana Mattioli, Massimo Mucci, Elisabetta Paglia, Elisa Pegorin, Luigi Ruggiero, Lorenzo Rui, Peter Schlickenrieder, Roberto Sega, Gerardo Semprebon, Giada Thuong Campigotto, Giorgio Trivellin, Alberto Verde.
Ecolomia Ecolomy n•33•apr•giu•2021
Alta marea High Tide Luigi Ruggiero
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INTRODUZIONE
Verso un pensiero ecolomico Towards an Ecolomical Thinking
18
Roberto Sega, Alberto Verde
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La dimensione spaziale della sostenibilità The Spatial Dimension of Sustainability
Nuove forme di metabolismo territoriale New Forms of Territorial Metabolism Maria Leonardi
24
Simone Amato Cameli
Design sistemico e paesaggi culturali Systemic Design and Cultural Landscapes Asja Aulisio, Eva Vanessa Bruno
4 46 54
ESPLORARE Margherita Ferrari, Massimo Mucci, Rosaria Revellini
PORTFOLIO
Va' in malora Go to Ruin Margherita Ferrari, Lorenzo Rui IL LIBRO
Verso un'architettura circolare Towards a Circular Architecture Cristiana Mattioli
56 58 60
I CORTI
L’oblio della memoria The Oblivion of Memory Letizia Goretti
Natura aumentata Augmented Nature Sara Codarin, Gian Andrea Giacobone
L'economia idrica degli Aghlabidi Aghlabids' Water Economy Elisa Pegorin
62
Seconda mano, molteplici vite Second-hand, Multiple Lives Rosaria Revellini
64 68
L’ARCHITETTO
Investire in oro verde Investing in Green Gold Daphne Degiorgis
Nuove economie degli scarti New Economies From the Waste Emilio Antoniol
72 76 80 84
Ragusa città porosa Ragusa Porous City Paola Careno L’IMMERSIONE
Terra incognita Unexplored Land Giorgio Trivellin
Rotterdam Zero-waste Zero-waste Rotterdam Elisabetta Paglia
La sostenibilità del sistema prodotto The Sustainability of the Product-system Silvia Gasparotto
30 36 44 88
Civiltà ecologica Ecological Civilization Gerardo Semprebon
Duty-free Urbanism Federico Godino INFONDO
L'impronta ecologica a cura di Stefania Mangini
Secessione territorialista (furlana) (Friulian) Territorial Secession Andrea Bernava
94 98
Sotto mentite spoglie Under False Pretenses Silvio Cristiano SOUVENIR
Una folata di vento A Gust of Wind a cura di Letizia Goretti
100
AL MICROFONO
104
CELLULOSA
Oltre il progetto More than Design a cura di Arianna Mion con Carly Althoff
Per la cura universale contro il capitalismo compassionevole a cura dei Librai della Marco Polo
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(S)COMPOSIZIONE
Maggese
a cura di Emilio Antoniol
WePlanet
Cento globi disseminati nella città di Milano e qualche altro a Firenze. Cento globi di dimensioni notevoli (oltre 1,30 m di diametro) realizzati da artisti, designer, creativi internazionali, con materiali riciclati e di scarto per re-interpretare il tema della salvaguardia del pianeta sulla base delle principali tematiche dell’Agenda ONU 2030. Ciascun globo sarà adottato da aziende, enti o fondazioni. Uman, Energia Universale, Pangea Mondo Cucito, sono solo alcune delle opere che colonizzeranno la città ambrosiana – per localizzare i vari globi è stata messa a disposizione anche una web app sul sito di WePlanet – permettendo ai passanti un viaggio insolito e visionario. Nello stesso periodo, inoltre, altri globi saranno esposti a Firenze nell’ambito del progetto Travel and Joy. L’evento, inizialmente previsto per il 2020, è stato rimandato a quest’anno causa COVID-19 (con anteprima tenutasi in piazza Duomo a Milano dal 3 al 5 aprile con l’esposizione dei primi 50 globi). A novembre, a evento concluso, le opere verranno messe all’asta e il ricavato servirà a sostenere lo sviluppo del verde pubblico milanese e il sistema sanitario regionale lombardo. Promosso da WePlanet, startup che organizza iniziative per la sensibilizzazione ambientale sostenendo e finanziando progetti finalizzati alla tutela dell’ambiente, Cento globi per un futuro sostenibile si prospetta essere una nuova e creativa occasione di riflessione sui temi dello sviluppo sostenibile e sulla tutela del nostro pianeta. Rosaria Revellini
David Boureau @urbamutability
Cento globi per un futuro sostenibile 27 agosto – 7 novembre 2021 Milano e Firenze weplanet.it
How will we live together? 22 maggio – 21 novembre 2021 Arsenale e Giardini di Venezia labiennale.org/it/architettura
La Biennale di Venezia 2021 diretta da Hashim Sarkis, dal titolo How will we live together?, vede il coinvolgimento di 112 partecipanti da 46 Paesi, distribuiti tra il Padiglione Centrale, i Giardini e l’Arsenale, e 63 partecipazioni nazionali. Il programma è arricchito da eventi collaterali che si svolgeranno in altre sedi della città di Venezia, e dai consueti incontri Meetings on Architecture, dove architetti e studiosi cercheranno di rispondere al quesito del titolo. Infine, saranno riproposti il progetto Biennale Sessions rivolto a università, accademie e istituti di formazione superiore, e le attività Educational di laboratorio e guida alla mostra. Hashim Sarkis chiarisce nel suo intervento (aprile 2021) che la questione centrale è la ricerca di un nuovo “contratto spaziale” che permetta agli uomini di “vivere generosamente insieme”, e propone un approccio multiscalare ai vari gruppi sociali, dallo spazio dell’individuo fino all’intero pianeta abitato, articolato su cinque aree tematiche: Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders, As One Planet. In questo modo sembra voler affrontare ambiziosamente i temi della progettazione, dall’abitazione fino alle aggregazioni urbane globali, in relazione ai punti di vista sociale e politico. L’architettura avrebbe le potenzialità per diventare ispiratrice di nuovi modi di vivere insieme, in quanto, afferma Sarkis, “lo spazio contribuisce a plasmare e trasformare il contratto sociale”. In qualche modo denuncia il ritardo
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della politica nell’affrontare le questioni urgenti del pianeta – il cambiamento climatico, le grandi migrazioni, l’instabilità politica, le disuguaglianze crescenti – che richiedono modifiche spaziali e sociali a tutte le scale. Per questo invita progettisti e studiosi a ripensare l’architettura con un ruolo attivo all’interno dei processi di cambiamento in atto della società, perché “attraverso l’architettura possiamo offrire modi alternativi di vivere”. Un messaggio di grande fiducia, quindi, che ribalta i termini dell’agire: il nuovo contratto spaziale potrebbe determinare un contratto sociale. Una sfida interessante quella proposta da Sarkis, che potrebbe portare a ripensare il ruolo dell’architetto – e dello spazio costruito – come parte attiva del cambiamento. Massimo Mucci
Terre Alt(r)e. Traiettorie di adattamento aprile-maggio 2021 Ciclo di incontri online veniceclimatelab.net
Le terre alte, le montagne, diventano oggi lo scenario ideale per definire nuove traiettorie di uno sviluppo sostenibile basato sulla commistione tra valorizzazione del patrimonio che le aree interne conservano e sviluppo di nuove economie che sappiano guardare oltre la monocultura turistica. Le possibilità che oggi la tecnologia ci offre stanno trasformando le marginali terre alte in presidi di adattamento per le generazioni presenti e occasioni per quelle future. Il ciclo di eventi organizzato da Venice Climate Lab vuole raccontare alcune di queste esperienze di adattamento ad alt(r)a quota in un percorso volto alla ricerca di un equilibrio tra uomo e natura. Margherita Ferrari
ESPLORARE
A cura di Roberto Sega e Alberto Verde. Contributi di Simone Amato Cameli, Ajsa Aulisio, Eva Vanessa Bruno, Federico Godino, Maria Leonardi, Gerardo Semprebon.
Roberto Sega Dottore di ricerca in Architecture and Urban Sciences, École Polytechnique Fédérale de Lausanne. robertosega@gmail.com
Alberto Verde Dottore di ricerca in Architettura e Pianificazione Urbana, Università degli Studi di Ferrara. alberto.verde@unife.it
Verso un pensiero ecolomico
Towards an Ecolomical Thinking
La crisi energetica del 1973 ebbe un impatto dirompente sull’andamento economico mondiale: se da un lato mise un freno allo sviluppo economico dell’Occidente che aveva caratterizzato gli anni ’50 e ’60, dall’altro incentivò la nascita del pensiero “ecologico”, connotato per la sua critica al modello economico capitalista. L’alternativa proposta si basava sostanzialmente sul concetto di decrescita (André Gorz, Nicholas Georgescu-Roegen, Ivan Illich), ovvero sull’esigenza di un cambiamento dei comportamenti della società fondato su diversi tipi di rinunce: riduzione dei consumi, riduzione degli spostamenti, disincentivazione del libero mercato, autarchia, e in generale una riduzione della libertà dell’uomo moderno. Quasi cinquant’anni dopo, è la crisi sanitaria legata al COVID-19 a mostrarci la possibilità di vivere in un altro modo rinunciando – anche se con molti sacrifici – a certi comportamenti a lungo criticati dal pensiero ecologico. L’auspicio, una volta lasciataci alle spalle l’emergenza sanitaria, è di avere interiorizzato una nuova normalità fondata sulla consapevolezza sociale che certe abitudini e certe contraddizioni socio-economiche non sono più sostenibili. Come lo stringersi la mano non sarà più un mero rituale ma tornerà ad essere un impegno a volersi interessare all’altro, e viaggiare non sarà più un gesto compulsivo ma piuttosto una scelta di esperienza di vita, la nuova “consapevolezza” ci darà gli strumenti per intraprendere una vera transizione verso un nuovo modello economico che non può ignorare l’importanza delle componenti di giustizia sociale e ambientale. Più che sulle rinunce, il pensiero “ecolomico” trova dunque la sua ragion d’essere nelle scelte consapevoli. Il numero 33 di OFFICINA* si interroga sulle prospettive di uno scenario dove la crasi tra i concetti di ecologia ed economia non genera necessariamente decrescita, bensì modelli economici inclusivi che si fondano su indicatori di crescita che antepongono alla mera valutazione economica una condizione di benessere ecologico e sociale. I contributi raccolti in questo numero non rappresentano certamente delle risposte definitive circa il posizionamento e la forma che il modello ecolomico potrebbe avere, bensì,
The energy crisis of 1973 had a major impact on the global economic trends: if, on the one hand, it slowed down the economic development of the Western world that had characterized the 50s and 60s, on the other hand it encouraged the rise of an “ecological thinking”, characterized by its criticism of the capitalist economic model. The proposed alternative was substantially targeted on degrowth (André Gorz, Nicholas Georgescu-Roegen, Ivan Illich), that is to say on the need for a change in society’s behaviors requiring various types of sacrifices: reduction of consumption, reduction of travel, disincentive of the free market, autarky, and in general a reduction in the freedom of modern man. Almost 50 years later, it is the COVID-19 health crisis that shows us the possibility of living in a different way by renouncing - albeit with many sacrifices - to some behaviors for long criticized by ecological thinking. The hope, once we will have left behind the health emergency, is the internalization of a new normality based on the social awareness that certain attitudes and certain socio-economic contradictions are no longer sustainable. Just as shaking hands will no longer be a mere ritual, but will once again become a willing engagement in caring for others, and traveling will no longer be a compulsive action, but rather a choice of life experience, the new “awareness” will give us the tools to undertake a real transition towards a new economic model that cannot ignore the importance of the dimensions of social and environmental justice. More than on sacrifices, “ecolomic” thinking therefore finds its meaning in conscious choices. Issue 33 of OFFICINA* explores a scenario where the crossover between the concepts of ecology and economy does not necessarily generate degrowth, but rather virtuous and inclusive economic models, based on growth indicators that put ecological and social well-being before mere economic evaluation. The contributions collected in this issue are certainly not definitive answers about the positioning and form that the ecolomic model could have, but, thanks to the narrative of interesting experiences, projects and ongoing research, they aim to open up the debate and reveal the potential of con-
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ECOLOMIA
This story is no longer available. Giada Thuong Campigotto
attraverso il racconto di interessanti esperienze, progetti e ricerche in corso, vogliono aprire un dibattito e ci mostrano quale sia il potenziale di scelte consapevoli a diverse scale e in diverse dimensioni della realtà. Il contributo di Simone Amato Cameli argomenta l’impossibilità – per la nostra società – di raggiungere un’impronta ecologica neutrale, prendendo come esempio la delicata questione dell’uso delle risorse naturali, e di come la tanto auspicata transizione ecologica rischia di concretizzarsi in una mera rimodulazione della pressione estrattiva da un vecchio a un nuovo gruppo di risorse esauribili (da petrolio a minerali rari), con conseguenti ripercussioni sullo scacchiere geopolitico internazionale. Il “metabolismo territoriale” descritto nell’articolo di Maria Leonardi, così come il “design sistemico” proposto da Ajsa Aulisio ed Eva Vanessa Bruno, costituiscono due strategie che sfruttano il volano dell’ecologia per rifondare un modello di sviluppo economico “glocale” in grado di coinvolgere attori e risorse locali. Il primo in chiave produttiva, con la riterritorializzazione di nuovi cluster industriali, il secondo in chiave turistica, grazie alla valorizzazione dei paesaggi culturali. L’articolo di Gerardo Semprebon pone invece la questione della corsa alla leadership mondiale legata al raggiungimento di un modello produttivo fondato sul concetto di “Civiltà Ecologica” e il significato di una sua possibile esportazione anche a livello ideologico. Infine, come evidenzia Federico Godino, è interessante osservare che a scala mondiale esistono delle “economie di piattaforma” che, pur basandosi su un’infrastruttura immateriale, hanno un ruolo determinante nella trasformazione spaziale delle città. La loro presenza può indurre, accelerare o ritardare dinamiche di sviluppo, sollevando questioni di giustizia spaziale ed ambientale, diventando di fatto un attore politico nella governance del territorio. Geopolitica delle risorse, metabolismi territoriali, modelli ecologici produttivi da esportare, economie di piattaforma sembrano indicarci il perimetro di riflessione dentro il quale attori politici, pubblici e privati dovranno confrontarsi per trovare risposte concrete su come dirigere la transizione ecolomica in atto. In quest’ottica sarà fondamentale sensibilizzare e indirizzare la consapevolezza che si è manifestata a livello individuale in questo momento di crisi mondiale, al fine di rendere possibile il cambiamento.*
scious choices at different scales and in different dimensions of reality. The contribution of Simone Amato Cameli argues the impossibility for our society to achieve a neutral ecological footprint, taking as an example the critical issue of the use of natural resources, by showing how the highly desirable ecological transition risks to be a mere reshaping of the extractive pressure from an old to a new group of exhaustible resources ( from oil to rare minerals), with consequent repercussions on the international geopolitical chessboard. The “territorial metabolism” described in Maria Leonardi's article, as well as the “systemic design” proposed by Ajsa Aulisio and Eva Vanessa Bruno, are two strategies that exploit the driver of ecology to re-establish a model of "glocal" economic development capable of involving local actors and resources: the first in a productive way, with the reterritorialization of new industrial clusters, the second in a touristic way, thanks to the valorization of cultural landscapes. Gerardo Semprebon's paper, on the other hand, raises the question of the world leadership struggle related to the achievement of a production model based on the concept of “Ecological Civilization” and the meaning of its possible exportation on an ideological level as well. Finally, as Federico Godino highlights, it is interesting to observe that there are “platform economies” on a global scale which, although based on immaterial infrastructure, play a decisive role in the spatial transformation of cities. Their presence can induce, accelerate or even delay development dynamics, raising issues of spatial and environmental justice, actually becoming a political actor in the governance of the territory. Geopolitics of resources, territorial metabolisms, productive ecological models to be exported, and platform economies seem to suggest the framework of reflection within which political, public and private actors will have to confront in order to come up with concrete answers on how to direct the ongoing ecolomical transition. From this point of view, it will be essential to raise and re-direct the awareness that revealed itself on an individual level in this moment of world crisis, in order to make change possible.*
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ECOLOMIA
All inclusive. Peter Schlickenrieder
Simone Amato Cameli Dottore, Università Bocconi. s.a.cameli24@gmail.com
La dimensione spaziale della sostenibilità
01. Salar de Uyuni, Bolivia. La zona è ricchissima di litio. Uyuni salt flat, Bolivia. The area is tremendously rich in lithium. Dan Lundberg Wikimedia CC-BY-SA.
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ECOLOMIA
Energia, risorse, suolo: le topografie di metabolismo industriale implicite nel paradigma della sostenibilità ntroduzione Chi ha letto e, come il sottoscritto, ha amato Le città invisibili di Calvino ricorderà certamente la città di Bauci, sospesa su altissimi trampoli su di una natura lussureggiante e incontaminata, i cui misteriosi abitanti si ritiene che “con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza” (Calvino, 1972). Una città sospesa sulla natura. Non è forse questa l’immagine che meglio condensa il fine ultimo del Green Deal europeo? Tramite una serie impressionante di misure industriali, finanziarie e istituzionali, esso si propone il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 (EU, 2018). L’obiettivo è dunque costruire un sistema economico perfettamente ermetico, nel quale non entrano risorse naturali esauribili, e dal quale non esce anidride carbonica. Tuttavia, il fine più ambizioso dell’operazione europea è eminentemente metafisico: invalidare l’identità tra crescita e consumo delle risorse (EU, 2019, p. 2). Spezzata tale connessione, l’intera riflessione antisviluppista cade e il mondo è avviato verso un progresso economico senza fine, ottenuto al prezzo di una cesura tra econosfera e biosfera: il Green Deal sembrerebbe immaginare dunque un’Europa-Bauci, una città sospesa sulla natura. Tuttavia, siamo certi che sostenibilità implichi necessariamente assenza, sospensione, cioè neghi il rapporto stesso con lo spazio?
The Spatial Dimension of Sustainability What is the spatial paradigm embedded in the contemporary conception of sustainability? The present article aims at revealing the spatial patterns being latent in the technological model informing the energy transition. These patterns define a novel industrial metabolism layout, implying a reconfiguration of resources geography. Defining the spatial dimension of sustainability allows to imagine a holistic approach transcending the nature/culture dualism, towards a new interpretation of industrial metabolism as a geological force defining the landscape.* Qual è il paradigma spaziale insito nella concezione contemporanea di sostenibilità? Il fine del presente articolo è esplicitare gli schemi spaziali latenti nel modello tecnologico che informa la transizione energetica. Tali schemi definiscono una nuova configurazione del metabolismo industriale che si traduce in una corrispondente rimodulazione della geografia delle risorse. Definire la dimensione spaziale della sostenibilità permette di immaginare un approccio olistico che trascenda il dualismo uomo/natura per interpretare il metabolismo industriale come forza geologica definente il paesaggio.*
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Obiettivi Bastano pochi risultati generali per dimostrare come la premessa di una città sospesa, di un’economia senza impatto alcuno, sia fallace in partenza. Infatti, se lo spazio è forma a priori kantiana, l’attività economica non è mai pensabile in vacuo, ma si attua sempre e comunque nello spazio. Come insegna la meccanica quantistica, non c’è modo di separare osservatore e fenomeno osservato – non c’è modo di
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02. Una miniera e cielo aperto di rame: l’impronta della città sospesa. An open-sky copper quarry: the footprint of the “suspended city”. Pxhere CC-BY-SA
esistere senza impattare in qualche forma sull’ambiente. In una visione ecosistemica, qualsiasi variazione di una delle variabili influenzerà tutte le altre: dunque una separazione ermetica dal resto del mondo è inottenibile. Ma allora, se la sostenibilità non può rifuggire alla propria dimensione spaziale, qual è il rapporto con lo spazio che è ad essa implicito? L’ineludibile dispiegarsi delle attività umane attraverso lo spazio costituisce una geografia – economica, culturale, energetica. Come cambia tale geografia a seguito degli sforzi normativi, come appunto il Green Deal europeo, finalizzati alla sostenibilità? L’obiettivo del presente contributo è rispondere a questa domanda, indagando il paradigma spaziale intrinseco alla concezione contemporanea di sostenibilità. Approccio e metodi Il metodo della nostra ricerca sarà la costruzione di una metaprospettiva da risultati provenienti dall’economia dell’energia e dalla geopolitica, contestualizzata da una riflessione teorica. L’intelaiatura teorica sulla quale baseremo la nostra riflessione riprende le teorie del metabolismo industriale e urbano (Ayres, 1989; Swydgendouw, 1996; Gandy, 2005; Wachsmuth, 2012). Nelle società umane, il metaboli-
sistema fuori dal bacino d’attrazione del vecchio attrattore, in modo che inizi un processo di convergenza verso il nuovo. Il prossimo paragrafo presenterà le principali caratteristiche geografico-spaziali di quest’ultimo. Risultati Il meccanismo di transizione disegnato nel Green Deal europeo può essere scomposto in due movimenti paralleli: elettrificazione e transizione energetica. Il primo vedrà una concentrazione del flusso energetico nel vettore elettrico. Il secondo vedrà un’importante crescita delle rinnovabili (principalmente fotovoltaico ed eolico) nella produzione energetica. È possibile esplicitare una prima serie di schemi spaziali latenti nelle caratteristiche di tali tecnologie. Innanzitutto, solare ed eolico introducono una mappa di potenziale energetico definita dalla geografia dell’irraggiamento solare e dall’esposizione al vento. In generale, anche le fonti energetiche convenzionali sono influenzate da caratteristiche del territorio (come il potenziale di rischio sismico o la vicinanza dei centri abitati). Tuttavia, la capacità di produzione è di per sé indipendente dal contesto: un reattore nucleare può operare nella stratosfera come all’interno di un sottomarino, e lo stesso dicasi per gli impianti a combustibile fossile. In tal senso, queste forme di energia esibiscono un paradigma spaziale sostanzialmente isotropo, laddove le rinnovabili, al contrario, sono caratterizzate invece da una località intrinseca, che rappresenta una prima importante connessione con lo spazio. Secondariamente, un tratto tipico delle rinnovabili sono le notevoli fluttuazioni nella produzione di energia. Da questo segue direttamente che la loro efficacia è dipendente da tecnologie di stoccaggio come batterie e simili, poiché solamente un “cuscinetto” tra domanda e offerta può garantire la stabilità dell’erogazione energetica (Jacobson et al., 2019). L’incremento dell’importanza delle rinnovabili nel
Natura e uomo sono entità indissolubili, che co-evolvono e si co-definiscono in una mutua influenza smo complessivo, inteso come la somma totale di flussi di risorse ed energia in entrata e in uscita, avviene attraverso una struttura fatta di relazioni sociali, economiche e istituzionali. Schemi di metabolismo industriale aggregato emergono come gli attrattori del processo di auto-organizzazione di tale struttura. Interventi politici come il Green Deal possono essere considerati tentativi esogeni di spostare il
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ECOLOMIA
03. Gli ecosistemi sviluppatisi sulle rovine di Angkor Wat, in Cambogia. Ecosystems grown up in Angkor Wat ruins, Cambodia. Pubblico dominio CC0
mix energetico accresce l’importanza e la scala di tali strutture, e introduce dunque una variabile nuova nella pianificazione del territorio nella forma di potenziali nuovi elementi paesaggistici. In terzo luogo, una caratteristica comune sia al fotovoltaico che all’eolico è la bassa densità di potenza: per produrre la stessa quantità di energia di una centrale nucleare, un impianto fotovoltaico occupa un’area oltre 300 volte più estesa, mentre un campo eolico richiede uno spazio 580 volte maggiore (NEI, 2015). È stato calcolato che non sarebbe sufficiente ricoprire l’intera Corea del Sud con turbine eoliche per produrre la quantità di energia consumata da quel Paese. Le rinnovabili, dunque, hanno un’intrinseca dimensione spaziale nel senso che dipendono dallo spazio stesso per la propria efficacia. In maniera più strutturale, le tecnologie implicate nella transizione energetica sono basate su 39 elementi chimici (IRENA, 2019). La tecnologia fotovoltaica, ad esempio,
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richiede alluminio, cadmio, piombo, silicio. L’eolico dipende da cobalto, rame, terre rare (img. 06). Il litio è un elemento imprescindibile per le batterie, così come il titanio, il manganese, la grafite (img. 01). La transizione energetica e l’elettrificazione della mobilità porteranno a un aumento notevole della domanda di tali minerali (Arrobas et al., 2017). Laddove lo schema convenzionale aveva nel petrolio e nel gas i principali input, il nuovo schema di metabolismo industriale implica una rimodulazione della pressione verso un differente gruppo di risorse: provocatoriamente, riprendendo il motto europeo, potremmo dire che non sarà affatto “a just transition”, ma “just a transition”. Lungi dalla pretesa d’impatto zero, vi è un’importante componente minerario-estrattiva alla base delle dinamiche della transizione energetica (img. 02). In una stratificazione socionaturale, la tecnologia estrude dalla geologia terrestre una topologia energetica latente, sulla quale si poggiano topografie economiche, politiche,
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socioculturali. Il cambiamento degli input del processo metabolico industriale va a definire una trasformazione nei punti di approvvigionamento di risorse, che si traduce in una nuova geografia socioeconomica e, di conseguenza, in una nuova geopolitica (IRENA, 2019): Church e Crawford (2018) osservano che buona parte delle riserve di questi minerali strategici è concentrata in aree politicamente instabili, e parlano pertanto di green conflict minerals. Discussione: verso un’ecolomia? La conclusione che traiamo è che la sostenibilità esprima un impatto ambientale e che, paradossalmente, la città sospesa abbia un’impronta, confermando dunque la nostra tesi iniziale, cioè l’impossibilità teorica di un impatto zero. Questo risultato negativo può però condurre a un approccio più sottile e ambizioso, una vera ecolomia, che proveremo ora a delineare nei suoi contorni essenziali. La via moderna alla sostenibilità è basata sul dualismo uomo/natura. Tale dualismo esiste da lungo tempo nel-
ta formulazione della seconda legge, nella quale “la vita non dovrebbe essere vista come un evento isolato. Piuttosto, essa rappresenta l’emergenza di un’intera nuova classe di processi il cui fine è la dissipazione di gradienti” (Schneider & Kay, 1994). Kauffman (2000; 2019) parla addirittura di una quarta legge e ritiene che l’incremento di complessità non sia l’eccezione, bensì la norma: la vita appare dunque una conseguenza necessaria di un universo creativo che co-costruisce se stesso espandendosi costantemente nello spazio delle possibilità. È una rivoluzione copernicana. Se prima l’uomo era un estraneo, ora – per usare la felice espressione di Kauffman – egli è “a casa nell’universo”. La tesi di Schrödinger, nella sua incompletezza, portava infatti a vedere la vita come un evento eccezionale, un atto di ribellione alle leggi del cosmo, una corsa verso l’ordine a spese dell’ambiente: tale idea venne estesa da Georgescu-Roegen ai sistemi economici, generando la bioeconomia e la conseguente teoria della decrescita1. Questa nuova concezione porta invece a un quadro radicalmente mutato: se la vita ha un posto all’interno delle leggi del cosmo, allora lo hanno anche gli ecosistemi, gli esseri umani e le economie (Raine et al., 2006). La critica alla crescita economica viene sostituita da un approccio nel quale “la crescita economica è parte integrante della creatività dell’universo tutto” (Kauffman, 2000, p. 290). Questa riflessione ci riporta quindi all’uomo, elemento troppo spesso negletto all’interno degli approcci odierni alla sostenibilità. Sebbene sia ormai riconosciuto che la sostenibilità abbia anche un’importante dimensione sociale, occorre considerare che un approccio costruito sulla contrapposizione uomo/natura finisca inevitabilmente per generare conflitti tra gli interessi umani e la salvaguardia dell’ambiente. Riprendendo i nostri risultati, si consideri infatti il pesante impatto paesaggistico delle rinnovabili, spesso foriero di proteste da parte delle comunità lo-
Prendere atto della nostra presenza, dell’heideggeriano Dasein, del nostro esserci, essere-nella-natura la storia del pensiero e ha trovato la massima espressione nell’impossibilità di riconciliare l’emergenza del fenomeno vita (ordine dal caos), con la seconda legge della termodinamica (caos dall’ordine). Schrödinger (1944) era riuscito a dimostrare come, attraverso il metabolismo, la vita potesse persistere all’interno di un universo entropico: il problema della sua origine rimaneva però aperto. Tuttavia, l’osservazione di come, lontano dall’equilibrio termodinamico, si formino spontaneamente strutture – note come strutture dissipative – capaci di minimizzare localmente l’entropia (Prigogine, 1984), ha aperto la strada a una nuova e amplia-
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04. Le forme eccezionali degli insetti-foglia del genere Phylliium. The extraordinary shapes of walking leaves genus Phylliium. Conrad Zimmermann
cali, oppure i green conflict minerals, che costituiscono una gravissima minaccia allo sviluppo dei Paesi nei quali sono estratti. Eppure è proprio nell’uomo che si cela l’altra metà della chiave che consente di accedere a un primo abbozzo di ecolomia. Infatti, se finora abbiamo dimostrato che l’uomo è parte della natura e dunque che l’artificiale è naturale, la riflessione socio-antropologica ci aiuterà a chiudere il cerchio, mostrando come il naturale sia artificiale. “Natura” infatti è sempre un concetto inerentemente culturale e come tale esso varia sia orizzontalmente, cioè tra differenti culture, che verticalmente, ossia nel tempo (Descola, 2013). Si prenda ad esempio la nozione di “natura selvaggia” (wilderness): come osserva Cronon (1995, p. 69) “lungi dall’essere quell’unico luogo sulla Terra che rimane incontaminato dall’umanità, [la natura selvaggia] è profondamente una creazione umana”. Come ricorda anche Fernand Braudel (1985, pp. 6-7), gli elementi caratteristici che compongono quello che oggi consideriamo il tipico
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paesaggio mediterraneo, quali aranci, limoni, fichi d’India e cipressi, sono in realtà specie alloctone introdotte dalle varie culture che l’hanno popolato. Ma tale fenomeno è la regola: le conseguenze inintenzionali delle azioni umane creano continuamente ecosistemi nuovi (img. 03). La presenza umana, inoltre, influenza addirittura il genoma delle altre specie viventi: le pressioni selettive esercitate dall’uomo in millenni di allevamento e coltivazione hanno portato allo sviluppo di nuove specie di piante e animali. Ma chi definirebbe un carlino come un’entità “artificiale”? Invero, l’impatto esercitato dalla presenza dell’uomo su queste specie non è diverso da quello esercitato dalle anemoni sui pesci pagliaccio, o dai pipistrelli sugli insetti-foglia (img. 04). “Natura” e “uomo” sono dunque entità indissolubili, che co-evolvono e si co-definiscono in una mutua influenza. Riprendendo i lavori di Kelso e Engstrøm (2008), occorre superare l’opposizione uomo/natura anche in termini grafici
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05. Cava di bauxite vicino Otranto, Puglia. Bauxite quarry in Apulia, Italy. Palickap Wikimedia CC-BY-SA
e parlare invece di uomo~natura, una coppia complementare2. In questo approccio, “[…] il ‘mondo’ è un processo geostorico di metabolismo perpetuo nel quale processi ‘sociali’ e ‘naturali’ si combinano in un ‘processo di produzione di socio-natura’ geo-storico” (Swydgendouw, 1996). Ricontestualizzando la riflessione sull’Antropocene, l’umanità si configura dunque appieno come una forza geologica che interviene sulla modellazione del paesaggio e delle forme di vita (Zalasiewicz et al., 2010). Come abbiamo visto, l’approccio basato sulla finzione dell’assenza d’impatto non risolve realmente il problema della sostenibilità, ma si limita a spostarlo su altri fronti. Al contrario, prendere atto della nostra irriducibile presenza, dell’heideggeriano Dasein, del nostro esserci, essere-nella-natura, può essere il primo passo per costruire un quadro teorico all’interno del quale sia possibile trovare risposte valide alle grandi questioni sollevate dalla sostenibilità, riconciliando organicamente protezione dell’ambiente e sviluppo umano.
Conclusioni Il fine del presente saggio era rispondere alle seguenti domande: la pretesa d’impatto zero del Green Deal europeo è realizzabile? In caso negativo, come si configurerebbe tale impatto? È possibile immaginare un approccio alternativo alla sostenibilità? Si è dimostrato come la transizione ecologica sia caratterizzata da un’inerente dimensione spaziale: le rinnovabili dipendono dallo spazio per la propria efficacia e sollevano dunque importanti questioni di pianificazione urbanistica e impatto paesaggistico. Inoltre, le tecnologie implicate nella transizione ecologica si fondano su una serie di minerali rari, concentrati in poche zone della Terra: lungi dal rappresentare un salto verso l’impatto zero, la transizione ecologica si configura pertanto come una rimodulazione della pressione da un vecchio a un nuovo gruppo di risorse esauribili. La risposta alla prima domanda è quindi negativa. La risposta alla seconda è stata individuata nelle topografie
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06. Vecchi e nuovi elementi fondamentali: magneti al neodimio compongono un icosaedro. Old and new fundamental elements: this icosahedron is made of Neodymium magnets. Clarence Risher CC-SA
spaziali implicite nelle caratteristiche tecnologiche delle rinnovabili e nella nuova geopolitica delle risorse prodotta dalla transizione energetica. All’ultima domanda, infine, si è risposto proponendo un nuovo approccio nel quale l’umanità e la natura sono visti come una coppia co-evolutiva e complementare. Di questo approccio è stato fornito un primo abbozzo, dal quale ci auguriamo possa emergere un nuovo filone di ricerca e discussione. Teorizzare l’ecolomia è infatti cruciale: se la riflessione ambientale fondata sul dualismo uomo/natura conduce inevitabilmente o a un nuovo Medioevo fatto di decrescita o a una crescita falsamente sostenibile, una riflessione ecolomica basata sulla complementarietà uomo~natura può portare invece a un nuovo Umanesimo, a un nuovo Rinascimento fatto di crescita e sviluppo realmente equo e sostenibile.* NOTE 1 – Due i corollari immediati di tale approccio: l’uomo è intrinsecamente un inquinatore; la crescita economica è un’anomalia all’interno del sistema Terra. La proposta politico-economica che ne deriva non può che essere quella di un nuovo Medioevo, fatto di mortificazione dell’uomo e morigeratezza estrema nei consumi, e permeato da un senso di Apocalisse prossimo. Infatti, quando Georgescu-Roegen o Illich, per dirla con Calderón de la Barca, affermano che “el delito mayor del hombre es haber nacido”, non si sta forse reintroducendo, in una sorta di neo-Giansenismo ambientale, l’idea che l’uomo sia un peccatore per nascita? Leggendo le oscure previsioni del Club di Roma sul collasso prossimo degli ecosistemi non pare forse di sentir riecheggiare i versi del Dies Irae: “quantus tremor est futurus, quando Iudex est venturus, cunta stricte discussurus”? 2 – Kelso e Engstrøm attribuiscono la tendenza umana a dividere il mondo in coppie pitagoriche a un meccanismo cognitivo di base. Attraverso la nozione sinergetica di metastabilità, i due studiosi hanno dimostrato che nella mente esistono stati in cui due tendenze mutuamente esclusive possono coesistere, stati paradossali che permettono di fondare l’intuizione di Niels Bohr, padre della meccanica quantistica: contraria sunt complementa. I due autori introducono la tilde (~) come segno grafico di tale complementarietà, in sostituzione dell’opposizione pitagorica (/).
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Maria Leonardi Dottoranda nel curriculum di Urbanistica, XXXIII ciclo, Università Iuav di Venezia. mleonardi@iuav.it
Nuove forme di metabolismo territoriale
01. Localizzazione dei 5 distretti produttivi tradizionali friulani: 1. sedia; 2. pietra piasentina; 3. agroalimentare; 4. coltello; 5. mobile. Location of 5 Friuli's traditional production districts: 1. chair; 2. piasentina stone; 3. agri-food; 4. knife; 5. furniture. Maria Leonardi
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La transizione socioecologica dei sistemi produttivi friulani New Forms of Territorial Metabolism The contribution questions the transformations of the Friulian foothills manufacturing system. It is an interesting case study to be observed as a territory with interesting top and bottom-up drives towards an economic but also socio-ecological transition. The establishment of the Cluster LegnoArredo Casa FVG, which brings together the historical districts of chair and furniture, involves precise political and organizational actions and many concrete spatial implications. These produce phenomena for a re-territorialization of the district, whose economic restructuring opens the way to a new ecological paradigm.* Il contributo si interroga sulle trasformazioni del sistema manifatturiero del pedemonte friulano, interessante caso studio da osservare in quanto territorio con significative spinte dall’alto e dal basso verso una transizione non solo economica, ma socio-ecologica. La costituzione del Cluster Legno Arredo Casa FVG, che riunisce i distretti storici della sedia e del mobile, comporta precise azioni politiche e organizzative ed altrettante concrete implicazioni spaziali, producendo fenomeni che inducono a una riterritorializzazione del distretto, la cui ristrutturazione economica apre la strada a un nuovo paradigma ecologico.*
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ll’estremo Est del pedemonte friulano si collocano i tre comuni del “Triangolo della sedia” dove, a partire dagli anni ’60, si è formato il “distretto della sedia” (img. 01). L’equilibrio tra il tessuto di piccole e medie imprese, che costituiva tale distretto, e il retrostante territorio montano, che garantiva risorse (manodopera e materie prime), è stato cautelato fino agli anni ’90 circa (img. 04). In seguito con la globalizzazione questo modello di “industrializzazione diffusa” ha subito un drastico cambiamento: i distretti sono diventati dei sistemi chiusi, recinti dove funzionavano relazioni instabili, garantite da flussi tra lo spazio locale e un esterno molto lontano (soprattutto Est Europa). In seguito si sono succedute diverse crisi fino a quella recente del 2008. Queste hanno comportato lo svuotamento di diversi capannoni, l’avvio di processi intensi di delocalizzazione di gruppi che hanno spostato le sedi per seguire la lavorazione nei Paesi da dove proveniva la materia prima utilizzata (il 95% del legno arrivava da altri territori) e lo smantellamento e la riallocazione all’estero di molte segherie (Torbianelli, 2012). Questo fenomeno ha prodotto un aumento di naturalità e di abbandono nelle aree montane, ormai governate solo dalle successioni ecologiche (Baccichet, 2015) e percepite come “spazi vuoti”, senza prestare attenzione invece all’ingente patrimonio di conoscenze e saperi contestuali, preziosi per la tutela ambientale, per la prevenzione dei rischi idrogeologici e per la dotazione delle risorse boschive (Dematteis, 2018). Obiettivo di questo contributo è indagare alcuni interessanti fenomeni transitori, che dal 2008 ad oggi, hanno ristrutturato completamente la filiera del legno-arredo, consolidando un nuovo rapporto tra la ristrutturazione economica del distretto e un nuovo paradigma ecologico. Nello specifico, utilizzando come lente di osservazione quella del metabolismo territoriale1, vengono indagati i nuovi flussi (materiali, immateriali e monetari) che interessano due fasi della filiera produttiva della sedia. L’obiettivo è mostrare le ricadute spaziali di tali flussi, delineando come
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la componente economico-produttiva, prima ritenuta protagonista nel processo di costruzione del territorio, venga ristrutturata in parallelo alla valorizzazione di quella ecologica, rimodellando completamente il distretto. I cordoni insediativi pedemontani sono occupati oggigiorno da sistemi insediativi di città diffusa2, abitati da persone che ormai condividono valori e modi dell’abitare molto simili a quelli di chi risiede nella città di pianura. Pertanto, parlare delle trasformazioni del sistema manifatturiero pedemontano comporta un salto concettuale importante, non solo rispetto a cosa sia oggi la relazione manifattura-territoriosocietà, ma anche alla possibile rinnovata interdipendenza dei legami tra montagna, pedemonte e poli di pianura, che potrebbe concorrere a rimodellare il territorio in termini di qualità dell’abitare, capacità produttive, usi del suolo e gestione attiva di patrimoni ambientali e culturali. Oggi la produzione locale si è completamente riarticolata: delle 3500 aziende di produzione della sedia ne sono rimaste 250, di cui 50/60 medie aziende dimostrano di porre maggiore attenzione ai processi di produzione locali.
far crescere l'economia nel lungo periodo (Hausmann et al., 2014); rappresenta infatti imprese in tutto il territorio regionale, afferenti a diverse aree di specializzazione (filiera legno, costruzioni e impianti, sistemi elettrici e metallici per edilizia e arredo) e svolge iniziative per incentivare la promozione, la condivisione di strutture, il trasferimento di conoscenze e competenze, contribuendo alla creazione di reti, alla diffusione di informazioni e alla collaborazione tra gli altri enti che lo costituiscono. La transizione da distretto a cluster, per quanto possa sembrare unicamente una mera costruzione artificiale del territorio industriale, comporta precise azioni politiche e organizzative e altrettante concrete implicazioni spaziali e sociali, essendo un primo tentativo per ristrutturare i diversi flussi alla scala regionale. Osservando ad esempio l’estesa e lunga fase dell’approvvigionamento della materia prima legno, emergono oggigiorno dinamiche interessanti. Negli ultimi anni l’80% del legno utilizzato non deriva da risorse forestali locali, ma arriva come prodotto semilavorato da altri Paesi; paradossalmente tutte le industrie che lo utilizzano sarebbero in grado di utilizzare risorse italiane, nel momento in cui queste venissero messe a disposizione a costi competitivi. L’Italia infatti è povera di legni autoctoni per un problema strutturale di gestione delle risorse forestali negli ultimi cinquant’anni4. Mentre nel secolo scorso la montagna è stata considerata un’ottima alternativa ai cordoni insediativi pedemontani per le opportunità lavorative che offriva, connesse in larga misura al mantenimento della risorsa boschiva, con la crisi demografica e il suo progressivo spopolamento, si sono sviluppate forme di omologazione tra i due sistemi insediativi con ricadute dirette sulla gestione del territorio. Ormai sono pochi gli abitanti della montagna che vivono di attività legate ad esempio alla forestazione. A ciò si somma un problema di economia di scala: l’attività estrattiva e di prima lavora-
La transizione da distretto a cluster comporta azioni politiche e organizzative e concrete implicazioni spaziali e sociali Il maggiore punto di svolta, per certi versi una prima risposta alla crisi del 2008, è stato l’unione del distretto della sedia con quello del mobile per la formazione del Cluster Legno Arredo Casa fFVG3. Il cluster è un distretto industriale esteso in un territorio illimitato (De Marchi, Grandinetti, 2018), concepito come un sistema industriale complesso, che comprende un più ampio ed eterogeneo gruppo di soggetti rispetto al distretto, dove le PMI hanno capito come la prossimità tra diversi settori industriali all'interno di uno spazio metropolitano permetta di inventare nuovi prodotti complessi e di
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02. Re-infrastrutturazione leggera del territorio. Territory re-infrastructure. Maria Leonardi
zione locale ha sempre avuto dimensioni molto piccole e oggi le segherie rimaste attive sono poche, derivano da un difficile passaggio generazionale, appaiono come strutture vetuste, con elevati costi di manutenzione e proficui molto bassi, perché storicamente non si è investito nel loro ammodernamento e sviluppo. Negli ultimi anni sta emergendo però con forza una nuova consapevolezza riguardo a tali problematiche e sono stati considerati come necessari e urgenti profondi cambiamenti tecnici, organizzativi e operativi del sistema legno-arredo. In particolare le situazioni emergenziali5, considerate come un’occasione per riprogettare una filiera più corta e integrata, hanno risvegliato una rete di attori e buone pratiche nella regimentazione della foresta che, se monitorata e mantenuta, può portare vantaggi, sia in termini di altri servizi eco-sistemici, sia per il rafforzamento del sistema produttivo locale. Mettere a regime la foresta significa infatti ottenere l’adeguato guadagno per mantenere costante il suo processo di conservazione e ma-
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nutenzione, contrastando l’omogeneizzazione delle terre a solo uso agricolo, che sta portando alla perdita della varietà degli ambienti paesaggistici. Le prime forme di investimento che sono emerse riguardano incentivi per realizzare, recuperare o implementare infrastrutture e tecnologie forestali per la trasformazione, mobilitazione e commercializzazione dei prodotti delle foreste. L’accordo interregionale stipulato dalle regioni del Nord Italia nel 2016, è individuato come il primo passo importante verso la progressiva politica di investimento per consentire l’accessibilità del patrimonio forestale. Nello specifico inoltre, grazie al Piano Sviluppo Rurale, si sono investiti flussi di risorse monetarie indispensabili per l’attivazione di strade camionabili: adeguamento delle infrastrutture esistenti e costruzione di nuove, che riducono il rischio idrogeologico e sono utilizzabili anche per forme di turismo lento (img. 02). Si nota inoltre la crescita di nuove imprese, che oltre a incrementare le filiere corte, supportano anche quella timida inversione di tendenza dei processi
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2018 INPUT UNGHERIA
Risorsa materiale - materia prima semilavorata principalmente importata - strutture di prima trasformazione
OUTPUT
CROAZIA
Prodotto materiale - regimentazione dell’uso della materia prima semilavorata locale - nuove strutture di prima lavorazione
segagione
(5 segherie locali attive)
- edifici industriali (3005 aziende di cui 500 spacializzate nella produzione sedia)
SUDAMERICA
- 5 istituti formativi
(tra cui scuola professionale San Giovanni al Natisone e Brugnera)
- piattaforme riciclo scarto
- “innovazioni adattive” sugli edifici:
importazione
ampliamenti, demolizioni e ristrutturazioni
materia prima semilavorata
legno da boschi locali
segherie locali collaborazioni con altri settori
- rinnovamento tecnologico degli strumenti e delle strutture formative - scuole di formazione interne alle aziende - riutilizzo al 100% dello scarto
(utilizzato anche per produzione energia termica)
metalmeccanica
Risorsa monetaria
piattaforme riciclo
- sussidi industria 4.0 - sussidi regionali Piano Sviluppo Rurale
- fatturato medie imprese per investimenti - investimenti Cluster Legno-Arredo-Casa
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scuole formazione
tapezzeria
Prodotto monetario
tessile
- ricavo filiera Legno-Arredo-Casa:
1.547 Mln di Euro (dati 2017) 1. Francia: 2,4 Mld di Euro (+6,4%) 2. Germania: 1,8 Mld di Euro (+0,7%) 3. Stati Uniti: 1,4 Mld di Euro (+4%)
- ricavi International Platform aziende leader
riciclo scarto cucitura
DELOCALIZZAZIONE
Risorsa immateriale - posizione ambientale favorevole - collaborazione tra aziende - storica cultura sul tema del riciclo - certificazioni - Direttive comunitarie (Dir. 89/106/CE, che distingue gli
aggregati non più in base alla provenienza, ma a seconda delle prestazioni tecniche, incentivando il riciclaggio industriale degli inerti).
cluster
Prodotto immateriale
prodotto finito
- mantenimento know-how tradizionale
INTERNATIONAL PLATFORM
soft design accademy per nuovi corsi di formazione (tappezzeria, cucitura)
- collaborazioni con Università
DISTRETTO DELLA SEDIA
VENDITA ALTRI PAESI
forza lavoro locale
Addetti intero settore: circa 19.000
- Cluster Legno-Arredo-Casa
vendita
Francia, Germania, Regno Unito, Stati uniti , Austria e Russia
CLUSTER LEGNO-ARREDO-CASA TERRITORIO REGIONALE
laboratori di ricerca in collaborazione tra aziende ed esperti esterni
- Cluster Legno-Arredo-Casa: incontro /aggregazione tra imprese supporto per certificazioni prodotti - International Platform
intensificazione relazioni con l’estero
2008 2018
03. Diagramma metabolismo territoriale. In fucsia i flussi principalmente lineari nel 2008, in ciano i flussi odierni tendenti alla chiusura. Territorial metabolism diagram. In purple the mainly linear flows in 2008, in cyan current flows tending towards closure. Maria Leonardi
di spopolamento che interessano la popolazione montana. Si assiste infatti a un timido fenomeno di “immigrazione di qualità”, che per la prima volta dopo un secolo vede i territori alpini sottoposti a un lieve aumento di popolazione, “nuovi montanari” (Corrado et al., 2019), tesi a costruire progetti di vita compatibili con il carattere dei territori montani. La prima lezione che ci dà il territorio produttivo friulano è quindi quella relativa all’importanza di tornare a far convivere l’ambito territoriale montano con quello del pedemonte producendo importanti azioni per la ristrutturazione del territorio. L’obiettivo non è solo la tenuta del sistema economico manifatturiero, ma anche e soprattutto quello ambientale, all’interno di quel sistema dell’abitare diffuso che è il sistema
po lontana da quella del settore produttivo storico. Alcuni dei flussi monetari, prima previsti per la realizzazione di opere infrastrutturali, sono stati dirottati verso progetti di rinnovo parziale o di demolizione degli edifici produttivi abbandonati, favorendo una logica di riqualificazione che comprende un contesto territoriale allargato. Emergono diversi progetti per manufatti industriali, la maggior parte ancora in corso, che considerano la demolizione come un tema d’importanza primaria: nel 2018 è stata progettata la riqualificazione di circa 250 capannoni. Queste demolizioni, intese come nuovi flussi materiali, delineano forme urbane della dispersione, sempre più porosa: “Al fenomeno della diffusione subentra quello dell’implosione, un processo di ripiegamento verso l’interno che investe il costruito” (Adriani, 2015), lasciando spazio a un uso diverso del suolo libero, che torna in parte ad esempio a essere dedicato a produzioni agricole. Riassumendo, grazie a questa nuova dimensione del cluster, si stanno consolidando forme di riterritorializzazione estrema del distretto. Le diverse imprese presenti nel territorio rafforzano le azioni di sviluppo potenziale, tra cui quella di ridurre la lunghezza della filiera produttiva. Quest’ultima, come si può notare dall’immagine 03, se nel passato era divenuta sempre più lineare e fortemente dipendente da dinamiche, spazi e attori alla scala globale, oggi è strutturata da flussi che tendono a una chiusura, parziale o totale, a livello locale. La riterritorializzazione comporta concretamente la necessità di concludere il processo di re-infrastrutturazione leggera del territorio (per permettere in primo luogo la regimenta-
Nuove relazioni spaziali che il sistema produttivo deve necessariamente instaurare tra i diversi ambiti territoriali “montagna-pedemonte-polo”, dove devono essere valorizzati e ritrovati i ruoli, le specificità e le differenze degli stili di vita particolari dei diversi ambiti territoriali. La filiera produttiva prosegue con la fase di lavorazione da semilavorato a prodotto finito. Questa avviene in edifici industriali rapidamente mutati: con la crisi la città diffusa si è svuotata, a causa della sommatoria tra il fenomeno di dismissione di stabilimenti e quello del flusso di attività delocalizzate all’estero. Ad oggi è stata raggiunta la consapevolezza che la struttura e le dimensioni di molti spazi produttivi non siano adatti a ospitare una produzione trop-
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04. La grande sedia di Manzano. The big Chair of Manzano. Jessica Giantin, Wikicommons
zione del sistema di sfruttamento della materia prima locale, allontanandosi dalla dipendenza da altri Paesi europei); azioni progettuali che riguardano le pratiche e gli spazi interni alle fabbriche, ristrutturate nel tentativo di chiudere i cicli (relativi per esempio al riciclo degli scarti della produzione) fino a essere demolite per lasciare spazio a nuove forme di rinaturalizzazione. La riterritorializzazione inoltre si traduce in nuove reti sociali tra diversi attori che, condividendo maggiori obiettivi e prospettive, riescono quindi a fare sistema, sollecitando spinte dal basso intese come “finestre di opportunità” (Gells, 2004) verso processi di transizione (come la migliore organizzazione dei flussi materiali che regolano la fase di vendita e di quelli immateriali per dare maggiore valore al know-how produttivo artigianale, componente ancora importante di questa manifattura). Si parla infine di riterritorializzazione del distretto in quanto, con la struttura del cluster, gli attori produttivi del pedemonte ritrovano uno stretto legame non solo con i poli urbani vicini, che accolgono servizi terziari di riferimento e supporto, ma anche con la retrostante montagna, concependo un nuovo sistema equilibrato “montagna-pedemonte-polo”. I nuovi flussi prodotti, interessando in primis il sistema economico della produzione manifatturiera (che sfrutta adeguatamente le risorse locali), intaccano e ridefiniscono le sue interrelazioni con il sistema ambientale, che ne risulta ristrutturato. Per lungo tempo la disciplina dell’economia, ignorando il degrado arrecato all’ambiente da dove i suoi processi derivano e senza tener conto della non rinnovabilità delle risorse da cui attingeva, è andata nella direzione diametralmente opposta a quella dell'ecologia (Farina, 2004). Oggi sta emergendo invece, anche nel territorio analizzato, un nuovo paradigma in grado di valutare gli effetti combinati e inseparabili dei processi ecologici ed economici, dai quali può scaturire una nuova forma di sostenibilità. Il territorio quindi non è più inteso unicamente come sistema socio-economico, ma come sistema socio-ecologico,
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risultato dell'interazione che gli esseri viventi hanno con il loro ambiente (Buclet, Cerceau, 2019). L’ecologia quindi, se in un primo momento potrà essere considerata unicamente come “compensazione”, potrà in futuro divenire l’aspetto trainante di un nuovo modello di sviluppo locale che determina nuovi posti di lavoro e nuovo valore aggiunto ai prodotti: emerge quindi il concetto di ecolomia. * NOTE 1 – Metodo d’indagine preso a prestito dall’ecologia territoriale, un campo di ricerca interdisciplinare trattato intorno al 2010, presso il laboratorio di Scienze Sociali PACTE dell’Università Grenoble Alpes; esso offre “un’analisi del territorio rispetto alla transizione socio-ecologica, ispirandosi all’ecologia urbana, industriale e sociale [...] studiando le interazioni socio-ecologiche che si svolgono all’interno di un’area geografica” (Herbelin, 2018). 2 – Cfr. ricerca DICOTER promossa dalla SIU (Società Italiana degli Urbanisti) e coordinata da Alberto Clementi nel 2006. 3 – Il Cluster Legno Arredo Casa FVG viene istituito con L.R. 3/2015. Entrambi i Distretti sono ancora riconosciuti dalla L.R. 3/2015, ma sono rimasti contenitori che identificano aree geografiche con alta densità imprenditoriale legata a un determinato settore. 4 – La media europea dell’utilizzo delle risorse forestali è circa il 66%. In Italia invece questo dato arriva al 46%, prendendo in considerazione solo le regioni alpine. 5 – Ad esempio le azioni messe in campo a seguito dell’uragano Vaia (ottobre 2018) verificatosi nel Nord Est Italia, che ha provocato lo schianto di milioni di alberi con la conseguente distruzione di decine di migliaia di ettari di foreste alpine. BIBLIOGRAFIA – Baccichet, M. (2015). Abitare il territorio friulano. La città diffusa è già tradizione? In Morandini, S. (a cura di). I luoghi della tradizione in Friuli. Pasian di Prato: Lithostampa. – Buclet, N., Cerceau, J., (2019). Interactions and feedbacks between material and immaterial dimensions of common pool resource systems: a territorial ecology approach. Développement durable et territoires, vol. 10, n°1. In https://doi.org/10.4000/developpementdurable.13467 (ultima consultazione gennaio 2021). – De Marchi, V., Grandinetti, R. (2014). Industrial Districts and the Collapse of the Marshallian Model: Looking at the Italian Experience. Competition and change, Vol. 18 N. 1, pp. 70-87. – Dematteis, G. (2018). Montagna e città verso nuovi equilibri?. In A. De Rossi (a cura di). Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste. Roma: Donzelli. – Elzen, B., Geels, F.W., Green, K. (2004). System Innovation and the Transition to Sustainability, Theory, Evidence and Policy. Cheltenham: Edward Elgar. – Farina, A. (2004). Lezioni di ecologia. Torino: UTET Libreria. – Hausmann, R., Hidalgo, C., Bustos, S., Coscia, M., Simoes, A., Yildirim, M. (2014). The Atlas of Economic Complexity: Mapping Paths to Prosperity. Cambridge: MIT Center for International Studies. – Torbianelli, A.V. (a cura di) (2012). Oltre le fabbriche. Visioni evolutive per il territorio del Distretto della Sedia. Trieste: EUT.
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Asja Aulisio Borsista di ricerca, Politecnico di Torino. asja.aulisio@polito.it
Eva Vanessa Bruno Dottoranda, Politecnico di Torino. eva.bruno@polito.it
Design sistemico e paesaggi culturali
01. Cella Monte, Monferrato. Asja Aulisio
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Una visione olistica e globale per la valorizzazione dell’economia locale Systemic Design and Cultural Landscapes Systemic design, with its multi-scale approach, is a powerful mean to create identity and territorial protection through projects that connect the production sector with the urban and rural contexts. In cultural landscapes, sustainable development is pursued through optimising the material flows (of production, supply and consumption) input and output, creating a virtuous system which tends to zero waste. Systemic designers, experienced in a holistic-global approach, are promoters of local economies that are environmentally, socially and economically sustainable.* Il design sistemico, con il suo approccio multiscala, è un potente mezzo di creazione d'identità e protezione territoriale attraverso progetti che mettono in relazione il tessuto produttivo con il contesto urbano e rurale. Nei paesaggi culturali lo sviluppo sostenibile è perseguito tramite l’ottimizzazione dei flussi di materia in entrata e uscita (di produzione, fornitura e consumo), creando un sistema virtuoso tendente allo scarto zero. I designer sistemici, allenati a un metodo olistico-globale, sono promotori di economie locali sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.*
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na grande sfida per i ricercatori in design nell’ambito della valorizzazione territoriale è l’individuazione di un “approccio radicale che, agendo dentro al sistema, punti a evolvere lo stesso attraverso una rinnovata consapevolezza di ogni sua parte” (Barbero e Gruppo di ricerca sul design sistemico, 2019). Su queste basi teoriche si articola il design sistemico, che reinterpreta la società attraverso la Teoria dei Sistemi1, progettando le relazioni tra persone, attività e risorse di un territorio, al fine di valorizzare la cultura, l’identità locale e produrre benessere collettivo. La lettura del territorio e delle relazioni tra i diversi attori delle filiere produttive (img. 02) svolge un ruolo fondamentale per i progettisti, i quali coinvolgono la comunità locale rendendo il territorio, dunque il sistema, più resiliente. La progettazione sostenibile trova applicazione con la Blue Economy, un modello di sviluppo economico che risponde alle necessità del contesto sfruttando ciò che è già presente, ispirandosi alle dinamiche naturali e generando benefici a livello ambientale, sociale ed economico (Pauli, 2014). Il presente contributo vuole stimolare il lettore a immaginare scenari alternativi dove, secondo i principi del design sistemico e della Blue Economy, le persone, la cultura e il territorio siano gli elementi sinergici che danno vita a produzioni tendenti a scarto zero, diventando promotori di attività di turismo sostenibile. I progetti descritti in seguito nascono all’interno di due paesaggi culturali (Giusti, Romeo, 2010), tutelati da organizzazioni internazionali per la valorizzazione del patrimonio, Paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe, Roero e Monferrato (img. 01) in Italia e A Walk through the 800-year history of Japanese Tea (img. 03) nell’area di Uji in Giappone. Tali paesaggi uniscono le "opere combinate della natura e dell'uomo" (World Heritage Committee, 1992), ovvero l’ambiente naturale esistente e gli insediamenti umani, in particolare le filiere produttive. Questi patrimoni sono i perni attorno ai quali ruotano sia i singoli microsistemi composti da popolazione, produttori, enti locali, sia
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02. Le relazioni del design sistemico. Systemic design relations. Asja Aulisio, Eva Vanessa Bruno
03. Uji, Kyoto. Eva Vanessa Bruno
un’ampia rete di attori e risorse esterne come progettisti, enti di ricerca, bandi e fondi (Barbero et al., 2019). Le filiere produttive analizzate sono la trasformazione del vino rosso e del tè verde. I relativi paesaggi ed economie sono interessanti scenari di riprogettazione in ottica sistemica, in grado di generare profitto in cui la cultura locale apporta un valore aggiunto. I due casi studio e la strategia finale di valorizzazione rappresentano la volontà di trasmettere una visione olistica e globale nelle economie locali. L’approccio metodologico Il lavoro svolto è il frutto di un anno di ricerca-azione2 nelle due aree citate, così differenti per geografia e cultura. L’a-
temente lo zoom creando una strategia “glocale”3 virtuosa e sostenibile, che si impegna ad “avere memoria e rispetto della cultura locale” (Bistagnino, 2009). Il rilievo olistico è la fase preliminare del progetto che prevede la raccolta di dati puntuali (demografici, geografici, economici, ecc.) e di informazioni più ampie e tangenziali (cultura, turismo, ecc.) per esaminare la vasta gamma di nodi critici presenti nel contesto (Battistoni et al., 2019). Tale rete di informazioni genera ciò che Alan Berger definisce systemic bundles, “pacchetti sistemici” (Berger, 2009), che collegano i dati permettendo la comprensione delle dinamiche locali (artigianato, folklore, incidenza del posizionamento geografico, ecc.) e delle possibili conseguenze a livello globale. Tali connessioni amplificano la progettualità bottom up, che permette la replicabilità e l’adattamento strategico del progetto. In seguito, sono stati analizzati gli input e output della vigna e del campo di tè nel corso delle diverse stagioni e nelle successive fasi di trasformazione in azienda. L’obiettivo di questa fase è quello di mettere in evidenza i quantitativi di scarto prodotti ed esaminarne le opportunità. Nello scenario progettuale, enti locali, produttori e centri di ricerca, che istituiscono il cosiddetto gruppo culturale (Sauer, 1925), sono gli agenti che creano in modo spontaneo e naturale una catena di effetti a lungo raggio e a lun-
Le relazioni creano un sistema autopoietico e resiliente che genera valore nel paesaggio culturale nalisi dell’area italiana è accresciuta dalle conoscenze pregresse del gruppo di lavoro, nativo e locale, mentre l’analisi condotta all’estero risente delle influenze internazionali dei ricercatori stranieri, ed è arricchita da un semestre di studi delle autrici in Giappone. La visione locale e quella globale si sono sovrapposte sviluppando un processo di reciproca modellizzazione di visione multiscala, che sposta costan-
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05. Azioni e risultati attesi. Actions and results. Asja Aulisio, Eva Vanessa Bruno
04. Infernot, Monferrato. Asja Aulisio
go termine. Il paesaggio culturale è infatti un outstanding universal value, poiché racchiude un “significato culturale e/o naturale talmente eccezionale da trascendere i confini nazionali e da essere di comune importanza per le generazioni presenti e future” (World Heritage Convention, 2019). La ricerca condotta finora è quindi composta da interventi di monitoraggio del territorio (il rilievo olistico) e di pianificazione (il progetto sistemico). I tre risultati auspicati si declinano nel creare un’economia sostenibile come outcome, delineare prodotti e servizi inclusivi per la comunità come output e infine migliorare i sistemi di gestione locale della produzione e del consumo (img. 05) (UNESCO et al., 2013). Scenari di sperimentazione, contesti locali all’interno delle aree di Uji e del Monferrato Il progetto nasce all’interno del programma di ricerca Drinkscape a cui hanno collaborato il Politecnico di Torino e il Kyoto Institute of Technology per configurare nuove attività all’interno di un’agenda di sviluppo territoriale. Laureandi e ricercatori in design, architettura e paesaggio, italiani e giapponesi, hanno composto il team multidisciplinare. Il primo scenario d’intervento (Langhe, Roero e Monferrato) fa parte dei siti UNESCO dal 2014. L’area collinare è caratterizzata dalla presenza di vigneti, piccoli borghi e castelli medievali. Si compone di cinque aree vinicole di cui il Monferrato degli Infernot è l’area selezionata per il progetto, caratterizzata dalla concentrazione di una particolare archi-
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tettura scavata nella Pietra da Cantoni, gli infernot (img. 04). Lo scenario d’intervento giapponese è valorizzato dal programma A Walk through the 800-year history of Japanese Tea del Japan Heritage nel 2016. L’area ha sviluppato per oltre 800 anni coltivazioni di prima qualità e continua tutt'oggi a essere luogo di eccellenza nella produzione e nella lavorazione di un'ampia varietà di tè verde. Il sito comprende otto città nella zona sud della prefettura di Kyoto, tra cui Wazuka, luogo di interesse del progetto, vicino a Uji, nota meta a livello turistico. Segnaletica coordinata, alberghi diffusi, punti panoramici e riqualificazione di abitazioni abbandonate, sono alcuni dei concept sviluppati nel corso di Drinkscape. Essi considerano gli elementi storico-ambientali e architettonici della zona come borghi, villaggi, chiese, e quelli appartenenti all’accoglienza come alberghi, ristoranti e tour guidati. Il rilievo olistico, attraverso ricerche bibliografiche e frequenti sopralluoghi, è strutturato in categorie di analisi quali economia, cultura, geografia dei territori, che hanno definito a loro volta i sopracitati bundle come l’enogastronomia, la cerimonia e i rituali del tè, la cultura produttiva. Il Monferrato e Wazuka risultano eclissate da zone maggiormente note per la produzione di vino e tè, a causa di scarsi collegamenti infrastrutturali strategici e di una ridotta proposta di attività turistiche. Entrambe le aree risentono della fuga dei giovani, che preferiscono lasciare la campagna per vivere in città, anche se in alcuni casi tornano nelle zone
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Manufacturing company of agricultural tools
Bakery
Shiitake
Dirty water
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Dissipated heat
Asia
WORKSHOP
Mulberry fibre
Product removed
Chemical fertiliser
CO2
Pop up store Fair
Online Fabric
New inputs
Stones Matcha dyieng Camelia seeds
New products
Disposal
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Leftovers
ORGANIC DISPOSAL
er ap
Hazard wastes
Chemical pesticide
DELIVERY
ea leaves th t wi
Pepper
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Branches
Packaging
Herbs
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Camelia oil
ATMOSPHERE
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NEW PROCESSES
Tea powder
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Locals
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Plants
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Tourists
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Dried Shiitake
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Transportation
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Heated air
Fields
Veins and stems
D:MATCHA TEA SHOP ica er
Fuel
CAFE & KITCHEN WAZUKA
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TEA MAKING PROCESS
Sugar
Fruits
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Big bag 20 kg
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Labels
Not standard leaves
Milk
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Electric energy managem.
Crud e
Sanbancha
Fields
Dried fruit
Cereals
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Konjac paste
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Dishes
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Detergents
Gas station Eggs
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DRAINAGE SYSTEM
Sweets
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Laminated paper PET - MET
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Milk
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Branches
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Old plants
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Green & bro wn m ateri al
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Straws
Bamboo stake
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Weeds
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Big bag
Sellers of mainten. products
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Seller of packaging
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Water managem.
Straws
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Tools
Seller of agricultural products
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Fuel
Butter
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Big bag
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TEA FIELD MANAGEMENT
Anko beans
Wholesalers
Tractor
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Beneficial insects
Grass & straw
Wasted leaves
PH Sensor
GAS NETWORK
mi Stea
Beneficial animals Pepper plant
Beneficial bacteria
WATER AQUEDUCT
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Fields
Feeding
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Fields
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Pheromone
Producers of national products
Seller of agricultural tools
Lime
Light trap
Harmful seeds
OIL PRODUCERS Wholesalers
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Green house
OIL PRODUCERS
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Against i nsect
Seller of agricultural products
Dried Herbs Shiitake
Pepper
Dyed fabric
Washi paper
Camelia oil
Pepper Beneficial berries bacteria
Light lamp Sex Pepper pheromone
PH Sensor
Matcha dyieng
Harmful Harmful Pepper Beneficial seeds new plants plant insects
Fabric
Stones
Mulberry Beneficial fibre animals
06. Applicazione design sistemico: filiera del tè verde a Uji, Kyoto. Systemic design application: green tea supply chain in Uji, Kyoto. Asja Aulisio, Eva Vanessa Bruno
rurali dopo gli studi per portare avanti l'attività di famiglia. È presente una forte eredità culturale portata avanti da eventi locali che celebrano la tradizione gastronomica dei prodotti del territorio. Inoltre, le architetture tipiche vacanti offrono
la raccolta che della trasformazione delle materie prime. Gli zoom, flessibili e multiscala, permettono di analizzare gli input e output a cascata (img. 07): dalla piantagione, che delinea il paesaggio, alla materia prima raccolta, i prodotti derivati e infine la cultura materiale del consumo di vino e tè. Gli input nocivi, come pesticidi e diserbanti, vengono sostituiti dagli output di qualità generati dal sistema autopoietico progettato (img. 06) che, insieme ad altri output della filiera trovano nuova vita e creano nuove opportunità di guadagno. I progetti sviluppati si concretizzano in una strategia di valorizzazione ramificata in tre obiettivi, i cui confini sono sfumati e interconnessi: analizzare la filiera produttiva locale, comunicare il paesaggio culturale, promuovere l'approccio sistemico. Ogni ramo ha tre livelli di approfondimento, partendo da applicazioni progettuali globali fino a interventi locali. L’analisi della filiera produttiva necessita di un team
Analizzare la filiera produttiva locale, comunicare il paesaggio culturale, promuovere l’approccio sistemico grandi opportunità dal punto di vista dell’accoglienza turistica. Nonostante siano presenti barriere di tipo linguistico tra i visitatori internazionali e la popolazione locale, questi ultimi si dimostrano spesso disponibili a raccontare il territorio guidando il turista. Per l'analisi delle filiere produttive sono state individuate due aziende a conduzione familiare che si occupano sia del-
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07. La filiera produttiva. The production chain. Asja Aulisio, Eva Vanessa Bruno
multidisciplinare e di un insieme di strumenti metodologici per interagire con gli stakeholder del territorio. La comunicazione del paesaggio culturale nasce dalla realizzazione di un’immagine coordinata, materiali informativi multilingua e pubblicità sui social. Infine, la promozione dell'approccio sistemico si articola implicitamente in ogni azione realizzata per il contesto che genera introiti. Nuove attività, servizi turistici di scoperta delle filiere e percorsi tematici connessi alla stagionalità, sono i mezzi per educare l’utenza alla ricerca di esperienze autentiche e al consumo di prodotti locali. Un ulteriore elemento per valorizzare la cultura architettonica locale è la riqualificazione di edifici abbandonati per la realizzazione di spazi di divulgazione. L’avvicinamento al design sistemico avviene in questi edifici attraverso laboratori artigianali, degustazioni con i produttori e attività per bambini come nelle fattorie didattiche. Riflessioni finali Le soluzioni proposte si inseriscono all’interno di una più ampia strategia che pone al centro la filiera produttiva locale, creando relazioni con il territorio nelle diverse scale del progetto, dall’architettura al design fino al paesaggio. Le connessioni tra gli attori locali e le filiere definiscono un sistema autopoietico e resiliente che genera valore all’interno del paesaggio culturale ed è in grado di suscitare interesse da parte di visitatori e ospiti. Inoltre, grazie all’attenzione posta sui flussi di materia che circolano all’interno del sistema generato, esso contribuisce alla cura e alla tutela dei siti promuovendo attività di turismo sostenibile. Le linee guida globali sottoscritte dall’UNESCO (UNESCO et al., 2013) per la gestione dei paesaggi culturali hanno carattere universale, ma vengono plasmate per rispondere alle esigenze del territorio a livello locale, da qui il valore imprescindibile di interventi di carattere “glocale” per la valorizzazione di questi siti. La strategia di valorizzazione risulta in linea con la S4 -
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Smart Specialization Strategy for Sustainability, ovvero un insieme di strategie di specializzazione intelligente basate sulle peculiarità produttive territoriali (l’attuale S3), coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile del Green Deal. Infatti, sfruttando le sinergie strategiche tra le filiere produttive di un paesaggio culturale, si favoriscono buone pratiche di riduzione degli sprechi valorizzando il saper fare locale. Il concetto di ecolomia si declina all’interno della ricerca nell’applicazione del design sistemico come esperienza culturale di promozione del territorio.* NOTE 1 – Teoria proposta dal biologo austriaco Ludwig Von Bertalanffy che considera il mondo non come un complesso caotico di elementi, contraddistinto dalla legge della causalità lineare, ma come un organismo dotato di principi e leggi coinvolgenti la totalità delle sue componenti costitutive. Oggi è un settore di studi spesso interdisciplinare, a cavallo tra matematica e scienze naturali, che si occupa dell'analisi delle proprietà e della costituzione di un sistema in quanto tale. 2 – Le autrici hanno portato avanti la ricerca come tesi di laurea magistrale in Design sistemico presso il Politecnico di Torino, con la professoressa Silvia Barbero, il professor Marco Bozzola e la professoressa Beatrice Lerma in qualità di relatori. 3 – Il termine “glocalizzazione” e il conseguente aggettivo “glocale” sono stati introdotti dal sociologo inglese Roland Robertson nel 1992 nella sua opera Globalizzazione. Teoria e Cultura Globale. Indica una visione globale adattata alle condizioni locali del territorio. BIBLIOGRAFIA – Battistoni, C., Giraldo Nohra, C., Barbero, S. (2019). A Systemic Design Method to Approach Future Complex Scenarios and Research Towards Sustainability: A Holistic Diagnosis Tool. Sustainability, n. 3, issue 16, pp. 4458-4488. – Barbero, S., Gruppo di ricerca sul Design sistemico (2019). Ricerca per mettere a sistema i siti UNESCO del Piemonte (online). In http://www.cr.piemonte.it/web/files/ricerca_Siti_ Unesco.pdf (ultima consultazione dicembre 2020). – Berger, A. (2009). Systemic Design© Can Change the World. Amsterdam: SUN Publishers. – Bistagnino, L. (2009). Design sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale. Bra: Slow Food Editore. – Giusti, M.A., Romeo, E. (2010). Cultural Landscapes. Roma: Aracne. – UNESCO, ICOMOS, ICCROM, IUCN (2013). Managing Cultural World Heritage (online). In https://whc.unesco.org/en/documents/125840 (ultima consultazione dicembre 2020). – Pauli, G. (2014). Blue economy. Milano: Edizioni ambiente. – Sauer, C. (1925). The Morphology of Landscape. Geography, n. 22, pp. 19-53. – World Heritage Committee (1992). Operational Guidelines. Santa Fe (USA), art. 1. – World Heritage Convention (2019). Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention. Parigi, UNESCO World Heritage Centre, art. 49.
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Gerardo Semprebon Architetto, PhD assegnista di ricerca, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. gerardo.semprebon@polimi.it
Civiltà Ecologica
01. Shimotou Village (Shanxi Province), 2019. Gerardo Semprebon
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La corsa della Cina verso uno sviluppo inclusivo del territorio Ecological Civilization The text summarizes the notion of “Ecological Civilization”, the core ideology adopted by Chinese leadership to frame national economic development and mitigate rural-urban inequalities. The current debate on the future of rural areas, involved in a critical phase of transition, and some recent revitalization experiences set architectural design into a new cultural dimension. The paper synthesizes an extended literature review and the results of the on-field surveys carried out between 2017 and 2019.* Il testo riassume i tratti principali della nozione di “Civiltà Ecologica”, l’ideologia principale adottata dalla leadership cinese per inquadrare lo sviluppo economico nazionale e mitigare la disuguaglianza tra rurale e urbano. Il dibattito in corso sul futuro delle aree rurali, interessate da una critica fase di transizione, così come alcune recenti esperienze di rivitalizzazione, pongono il progetto di architettura in una nuova dimensione culturale. Il testo sintetizza una corposa ricognizione bibliografica con gli esiti dell’osservazione sul campo che ha avuto luogo tra il 2017 e il 2019.*
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n punto chiave dell’imponente programma politico di Pechino mira a realizzare una nazione “prospera, armoniosa e bellissima” dove, tra i numerosi obiettivi, figurava anche l’azzeramento della povertà entro il 2020. Lo sviluppo economico e l’equilibrio sociale rimangono infatti assiomatici, ma l’evocata transizione ecologica richiede un drastico ridisegno del sistema produttivo nazionale che rischia di compromettere l’attuale condizione occupazionale. Sin dalla nascita della Repubblica Popolare Cinese, la necessità di riordinare l’apparato produttivo statale aveva portato a emanare stringenti misure atte a trattenere la forza lavoro dei contadini nelle campagne, al fine di garantire la continua fornitura di cibo alle città, le quali si erano traumaticamente trasformate in centri produttivi. Il sistema di registrazione anagrafe (hukou 户口), introdotto per pianificare la distribuzione delle risorse e organizzare lo stato socialista, impediva ai contadini di accedere ai servizi nei contesti urbani, tra cui l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’educazione per i figli. L’hukou veniva ereditato dallo status dei genitori generando di fatto due rigide classi sociali. Seppur rivisto e allentato nel corso dei decenni, il meccanismo di registrazione esiste ancora e pone la Cina di fronte a una delle più grandi contraddizioni del suo presente. L’inclusione sociale invocata nella formula “sviluppo armonico” richiederebbe di annullare tutte le distinzioni sociali, ma rischierebbe di alimentare i già massicci flussi migratori di contadini che cercano fortuna ed emancipazione nelle città, esponendo il Dragone alle oscillazioni dei mercati internazionali nell’approvvigionamento di risorse alimentari. Va infatti ricordato che il rapporto tra terre coltivabili e popolazione in Cina rimane molto sfavorevole se paragonato ad altri Stati, come indicato nel libro Who will feed China? di Lester Brown. Il dibattito teorico e la narrazione politica centrati sullo sviluppo inclusivo si sono evoluti velocemente negli ultimi anni, generando sia feconde alleanze intellettuali sia imba-
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02. Schicang Village (Songyang County, Fujian Province), 2018. Gerardo Semprebon
razzanti ambiguità causate da accenti retorici. È il caso della Civiltà Ecologica (shengtai wenming 生态文明), un concetto che può apparire opaco, specialmente agli occhi degli osservatori esterni. Definizione e genesi di Civiltà Ecologica La realizzazione della Civiltà Ecologica non è solo uno slogan, ma un obiettivo scritto nel 2018 nella Costituzione della Repubblica Popolare Cinese che sancisce in modo inequivocabile la volontà politica di perseguire forme di sviluppo sostenibile del territorio nazionale attraverso la protezione dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici (Cobb e Vltchek, 2019). La Civiltà Ecologica è dunque l’ideologia di riferimento assunta dalla dirigenza cinese che garantisce legittimazione istituzionale all’azione dei governi, centrale e locali. È opinione diffusa che la Civiltà Ecologica nasca in conseguenza agli effetti disastrosi causati da una politica finora quasi esclusivamente attenta alla crescita economica, eletta a volano per l’affermazione – o il ritorno, come sottolinea il sinologo François Jullien – della Cina come
teorica del partito, il Qiushi. Da lì in poi, la nozione viene ripresa con sempre maggiore insistenza dall’establishment, fino alla recente iscrizione all’interno della Costituzione del Partito. Nella nozione di Civiltà Ecologica appare un approccio più sensibile al Marxismo, etichettato “Marxismo organico”, da cui emergono due conseguenze. La prima, esso risponde a una riduzione degli obiettivi di crescita produttiva a favore di uno scarto qualitativo piuttosto che quantitativo, rivolto principalmente alla crescente classe media cinese in cerca di un’identità in grado di sganciarla dalla massa proletaria. La seconda, ha stimolato la diffusione di pratiche sperimentali incentrate sull’agricoltura biologica, tra cui si rileva una proliferazione di progetti pilota per costruire eco-villaggi (Clayton and Schwartz, 2019; Halskov et al., 2018). Nel tracciare le origini e gli obiettivi racchiusi nella nozione di Civiltà Ecologica, Clivio (2019) e Goron (2018) sottolineano un’interessante ambiguità: la duplice dimensione temporale del concetto. Da un lato la Civiltà Ecologica si colloca nella terza – e forse ultima – fase dello sviluppo della società cinese, dopo la civiltà “materiale”, ascrivibile ai primi travagliati decenni della Repubblica Popolare Cinese, dopo la civiltà “spirituale”, che culmina con la riscoperta dei classici cinesi, e, in particolare, del Confucianesimo e del Taoismo (Gare, 2017). Dall’altro lato, la Civiltà Ecologica viene (im)posta sia come obiettivo da perseguire, sia come condizione già raggiunta, pronta per essere esportata.
La Civiltà Ecologica è l’ideologia di riferimento assunta dalla dirigenza cinese prima potenza mondiale, in grado di assumere un ruolo trainante, e guida, nello scacchiere internazionale. Il concetto viene formulato per la prima volta in ambito scientifico negli anni ’60, in Unione Sovietica, al fine di mitigare l’impatto ambientale dovuto alla rampante modernizzazione industriale in atto su scala globale. Approda in Cina solo nel 1997, all’interno di un articolo apparso sulla principale rivista
Civiltà Ecologica e questione rurale Le drammatiche disparità tra le aree rurali e quelle urbane stentano a essere alleviate e rimangono l’ostacolo prin-
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03. Hakka Indentur Museum. Progetto di DnA _ Design and Architecture, studio diretto da Xu Tiantian (Contea di Songyang, Provincia del Fujian), 2018. Hakka Indentur Museum. Design by di DnA _ Design and Architecture, office directed by Xu Tiantian (Songyang County, Fujian Province), 2018. Gerardo Semprebon
cipale allo sviluppo inclusivo del territorio cinese, soprattutto sul piano socioeconomico, che rimane drammatico in gran parte delle campagne (imgg. 01-02). È qui, infatti, che si sta giocando una partita politica decisiva agli occhi sia degli osservatori internazionali che della popolazione rurale cinese, come ampiamente dimostrato dall’imponente mobilitazione culturale e professionale in atto negli ultimi anni. Tra gli esponenti attivi nel campo della progettazione architettonica e urbana troviamo Wang Shu e Zhang Lei, celebrati nella stampa di settore per i convincenti progetti nelle campagne e meritevoli di aver portato alle luci della ribalta del dibattito internazionale la questione rurale, coadiuvati dalla narrazione epica che ha accompagnato le loro realizzazioni. Sulla loro scia si sta muovendo con successo anche Xu Tiantian, di cui possiamo apprezzare l’intenso impegno profuso nell’operazione di rivitalizzazione rurale svolta nella contea di Songyang, nella Provincia del Zhejiang, generosamente esposta e riportata sui canali accademici e mediatici (Tiantian, 2021; Jun et al., 2018) (img. 03). L’attivista Ou Ning conduce da anni un interessante esperimento sociale che lui stesso definisce utopico, intitolato Bishan Project, nel suo villaggio natale (Ou, 2015; Ou, 2020). Christopher M.C. Lee ha portato all’attenzione dei suoi studenti di Harvard il progetto per un nuovo insediamento rurale a Taiqian, portandoli a sviluppare prototipi che radicalizzano la richiesta di appianare il divario città-campagna, disegnando il villaggio come una città (Lee, 2015). Da diversi anni il collettivo Rural Urban Framework, legato all’Università di Hong Kong, indaga e opera all’interno dei processi trasformativi delle campagne cinesi, costituendo uno dei più avvincenti e fertili ponti tra professione e ricerca (Bolchover, Lin, 2014; Lange, Bolchover, Lin, 2013)1. Una raccolta di progetti esemplari atti a costruire “villaggi bellissimi” si può trovare nel lavoro di Zhang Xiaochung, dove emerge con forza l’effervescente panorama di progetti per la campagna che molto hanno
contribuito a plasmare una rinnovata dimensione culturale del fare architettura (Zhang, 2018). Il tema assume rilievo anche nel dibattito architettonico italiano, basti pensare al Padiglione Italia curato da Mario Cucinella all’ultima Biennale di Architettura di Venezia del 2018, dedicato proprio alle aree interne, apostrofate come un arcipelago, quasi a rilevare l’assenza o la difficoltà di una regia comune dietro l’operazione di rilancio.
Il nesso tra ecologia ed economia assume in Cina una emblematica valenza politica
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Analogamente, in Cina, la realizzazione della Civiltà Ecologica passa obbligatoriamente attraverso la questione dello sviluppo rurale, dove arretratezza economica, disuguaglianze sociali, contrazione demografica, pressioni sull’uso dei suoli, sicurezza alimentare, dissesti ambientali e perdite culturali trasformano le campagne in luoghi di conflitto. Non è un caso se alla medesima Biennale di Architettura del 2018 anche la Cina, all’interno del padiglione curato da Li Xiangning, intitolato Building a Future Countryside, ha portato una riflessione sul progetto di architettura nelle campagne. Strutturata su sei temi cardine per lo sviluppo rurale cinese, l’esposizione ha portato a galla le contrapposizioni tra le ragioni della stabilità ambientale, della crescita economica e della diversità culturale, proponendo una rinegoziazione delle priorità e un ri-allineamento delle visioni di sviluppo nel lungo periodo. Luci e ombre La proliferazione di progetti pilota e programmi dimostrativi sta mettendo in evidenza sia l’innegabile miglioramento della condizione socioeconomica e ambientale, sia la preoccupante cancellazione dell’ampio e fragile sostrato culturale – ma anche fisico – che caratterizza i luoghi più remoti del territorio cinese. Rimane ancora consistente la
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04. Banner propagandistico del processo di sviluppo “Beautiful Village” del villaggio di Zhangyang (Provincia del Fujian), 2018. Testo: “Coltivare una nuova campagna, sviluppare la tecnologia industriale, impostare un nuovo stile, costruire un nuovo villaggio. Incentivare lo sviluppo sostenibile del villaggio, raggiungere uno sviluppo equilibrato tra persone e ambiente naturale. Celebrare i raccolti, accogliere le riforme, promuovere la rivitalizzare del villaggio attraverso l’agricoltura. Mantenere la voce del villaggio, mantenere la memoria, insieme alle persone, rivitalizzare il villaggio. Appoggiare con convinzione le strategie di rivitalizzazione rurale, accelerare la modernizzazione del villaggio”. Propagandistic banner of the development process “Beautiful Village” of Zhangyang Village (Fujian Province), 2018. Text: “Cultivate new farmlands, develop a new industrial technology, set a new style, build a new village. Push the green development of the village, create a new co-existing development pattern between people and nature. Celebrate the harvest, embrace the reforms, and promote the revitalization of the countryside by focusing on agriculture. Preserve the home voice, keep home memory, together with people, revitalize the village. Full strength on the strategies of village rural revitalization, speed up the agriculture and village modernization process”. Gerardo Semprebon
discrepanza tra la retorica ambientalista (img. 04) e le attuali pratiche trasformative dei territori generate dall’ancora rampante sviluppo economico (Heurtebise, 2017; Geall and Ely, 2018; Delman, 2018; Krischer and Tomba, 2020). Una di queste, presentatami come caso virtuoso di sviluppo rurale, è il villaggio di Jiankou (img. 05). L’insediamen-
tettoniche. La zonizzazione mono-funzionale rende di fatto questo un distretto-dormitorio atto a concentrare la popolazione, assolvendo a diversi scopi: l’introduzione di standard abitativi migliori rispetto alle case tradizionali, la possibilità di ottimizzare la produzione agricola e l’aumento del valore fondiario dei terreni che, come accade solitamente in situazioni analoghe, vengono requisiti e urbanizzati da aziende parastatali, secondo i meccanismi previsti dal sistema economico cinese: il capitalismo di Stato. Emerge la condizione problematica delle discipline di progetto, le quali rischiano di assumere un ruolo meccanicamente piegato da altre forze, che ostacolano una riflessione critica su significati e forme dell’abitare la campagna nell’epoca contemporanea. Dietro l’effettiva necessità di mitigare le discrepanze tra campagne e città per raggiungere uno sviluppo inclusivo emerge l’intenzione di costruire forme “urbaneggian-
Sulle campagne si sta giocando una partita politica decisiva to è il risultato della demolizione e ricostruzione di alcune contrade preesistenti, di cui si è fatta “tabula rasa”. L’operazione ha permesso di aumentare la densità, sia costruita sia demografica al fine di liberare ampie superfici da dedicare all’agricoltura intensiva. Una rigida griglia organizza il tessuto vagamente urbano, che risulta indifferente alle caratteristiche del territorio e ridondante nelle forme archi-
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05. Il nuovo villaggio di Jiankou (Provincia del Fujian), 2017. The new Jiankou Village (Fujian Province), 2017. Gerardo Semprebon
ti”, tanto negli ambiti domestici quanto in quelli collettivi, che tradiscono l’essenza e l’importanza di una ruralità, dai più considerata la culla della civiltà cinese, ormai perduta e riprodotta a intermittenza in funzione del profitto, sotto forma di simulacri turistici. Ma simulacri sono anche le nuove cittadine rurali, che pur assolvendo ai loro importanti compiti socioeconomici finiscono per essere finte urbanità che servono a infrastrutturare una campagna sempre più tecnologica e meccanizzata. La scomparsa della ruralità tradizionale appare quindi, per i contadini di ultima generazione, come la definitiva emancipazione dall’umile passato agricolo e l’ingresso nella promessa civiltà urbana. Conclusioni Sebbene la svolta green cinese sia ancora lontana da un modello di sviluppo sostenibile ideale, essa rappresenta uno dei più ambiziosi programmi politici mirati a uno sviluppo inclusivo del territorio e sensibile alla salvaguardia delle risorse del pianeta (Marinelli, 2018)2. Su questa scia, la Civiltà Ecologica cinese offre agli osservatori esterni uno stimolante terreno di confronto, soprattutto in relazione agli approcci di sviluppo territoriale che intendono coniugare aspetti economici ed ecologici. L’attuale corso politico ha il merito di porre le questioni ambientali, economiche e culturali sullo stesso piano, definendo il quadro di riferimento concettuale – legittimo e riconosciuto – necessario a uno sviluppo orientato sistematicamente in senso ecologico. Nella Civiltà Ecologica trova spazio un concentrato di concetti con cui anche il progetto di architettura è chiamato a confrontarsi al fine di riposizionarsi in modo criticamente utile all’interno di un processo di sviluppo economico che il più delle volte appare conflittuale e frammentario.*
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NOTE 1 – Il Gruppo ha anche curato il numero 86 della rivista Architectural Design intitolato Designing the Rural. 2 – Si veda la narrazione retorica della “costruzione di una Cina bellissima” (building a Beautiful China). BIBLIOGRAFIA – Bolchover, J., Lin J. (2014). Rural urban framework. Transforming the Chinese countryside. Basel: Birkhäuser. – Clivio, C. (2019). La civiltà ecologica della nuova era di Xi Jinping. Sinosfere, n. 7. – Clayton, P., Schwartz, W.A. (2019). What Is Ecological Civilization? Crisis, Hope, and the Future of the Planet. Anoka: Process Century Press. – Cobb, J.B., Vltchek, A. (2019). China and Ecological Civilization. Jakarta: Badak Merah Semesta. – Delman, J. (2018). Ecological civilization. Politics and Governance in Hangzhou: New pathways to green urban development. The Asia-Pacific Journal, n. 16 (17/1), pp. 1-21. – Gare, A. (2017). The Philosophical Foundations of Ecological Civilization: A manifesto for the future. New York: Routledge. – Geall, S., Ely, A. (2018). Narratives and pathways towards an ecological civilisation in contemporary China. China Quarterly, n. 236, pp. 1175-1196. – Goron, C. (2018). Ecological Civilisation and the Political Limits of a Chinese Concept of Sustainability. China Perspectives, n. 4, pp. 39-52. – Halskov, M., Li, H., Svarverud R. (2018). Ecological civilization: Interpreting the Chinese past, projecting the global future. Global Environmental Change, n. 53, pp. 195-203. – Heurtebise, J. (2017). Sustainability and Ecological Civilization in the Age of Anthropocene: An Epistemological Analysis of the Psychosocial and ‘Culturalist’ Interpretations of Global Environmental Risks. Sustainability, n. 9(8), p. 1331. – Jun, W., Kogel, E., Chen, A., Tiantian, X. (2018). Rural moves. The Songyang Story. Berlin: Aedes. – Krischer, O., Tomba L. (a cura di) (2020). Shades of Green: Notes on China's Eco-civilisation. Sidney: Made in China. – Lange, C., Bolchover, J., Lin, J. (2013). Homecoming. Contextualizing, Materializing, and Practicing the Rural in China. Berlin: Gestalten. – Lee, C.C.M. (a cura di) (2015). Taiqian. The Countryside as a City. Cambridge: Harvard University Graduate School of Design. – Marinelli, M. (2018). How to Build a ‘Beautiful China’ in the Anthropocene. The Political Discourse and the Intellectual Debate on Ecological Civilization. Journal of Chinese Political Science, n. 23, pp. 365–386. – Ou, N. (2015). Bishan Commune: how to start your own Utopia. Copenhagen: OVO Press and Antipyrine. – Ou, N. (2020). Utopia in Practice: Bishan Project and Rural Reconstruction. Singapore: Palgrave Macmillan. – Tiantian, X. (2021). Rural, Reconsidered. In TRANSFER Global Architecture Platform. – Zhang, X. (a cura di) (2018). Beautiful Villages. Rural Construction Practice in Contemporary China. Victoria: Images Publishing.
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Federico Godino Architetto, ricercatore indipendente. federico.godino1@gmail.com
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01. Visitatori fotografano uno degli edifici di Paraisópolis più popolari su Instagram. Visitors in front of one of the most popular Paraisópolis buildings on Instagram. Federico Godino
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Platform Economies nella città informale di San Paolo, Brasile Duty-free Urbanism Platform economies are nowadays an inherent part of global cities. Processes of moving, finding an accommodation or organising one’s free time have gone digital. Consistently with M. Castells theories on global cities, this article focuses on the effects of three platform economies (Uber, Airbnb and Instagram) on the division between the formal and informal city. The goal is to investigate how these platforms interact with a strong urban inequality context. This is particularly relevant in a city with an economic model deeply bound to the network society.* Le economie di piattaforma costituiscono oggi una parte imprescindibile della vita nelle città globali avendo digitalizzato processi quali trovare un alloggio, spostarsi o informarsi e strutturare il proprio tempo libero. Seguendo una teoria sul funzionamento delle città globali, formulata da M. Castells questo articolo analizza gli effetti di tre platform economies (Uber, Airbnb ed Instagram) sulla divisione tra città formale e informale a San Paolo del Brasile. Lo scopo è chiarire come queste economie si pongano di fronte a una forte ineguaglianza sociale. Questo è particolarmente significativo in una città che per la sua struttura economica è intimamente legata alla network society.*
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innegare lo spazio Uber, Aribnb e Instagram sono piattaforme che funzionano attraverso un’infrastruttura immateriale. La retorica con la quale queste aziende si descrivono è spesso orientata a un’immagine completamente digitale e slegata da effetti sullo spazio fisico. Tuttavia negli ultimi anni queste piattaforme hanno contribuito a modificare radicalmente gli ambienti e il funzionamento della città. Questo articolo si propone di descrivere questi cambiamenti e in particolare come queste piattaforme influenzino il rapporto tra città formale e informale a livello di mobilità, mercato immobiliare e rappresentazione dell’ambiente urbano. Per osservare questi fenomeni è stata scelta San Paolo del Brasile. Questo sia perché nelle città globali le piattaforme incontrano il loro maggiore bacino di utenti, sia perché la presenza di grandi aree di informalità rende l’ambiente costruito (slegato da qualsiasi normativa o pianificazione) estremamente reattivo alle sollecitazioni economiche. La ricerca mira anche a mettere in discussione l’idea di neutralità di tali piattaforme riconoscendo nei loro effetti una concezione politica della città che è coerente con il modello di governance urbana di San Paolo ed è alla base del suo ruolo di global city come descritto da Manuel Castells (Castells, 2000). Approccio e metodi Le analisi si sono basate su tre grandi database relativi a San Paolo: corse di Uber nel 2018, alloggi su Airbnb nel 2017 e post Instagram geolocalizzati nel 2018. Le applicazioni sono state selezionate sulla base del bacino di utenti per ambito (ovvero la percentuale di utenti che utilizzano l’applicazione nei rispettivi settori). Questi dati sono stati analizzati con diversi strumenti per poi essere tradotti in cartografie attraverso QGIS. I risultati sono stati quindi combinati con dati riguardanti la distribuzione degli insediamenti informali e della vulnerabilità sociale a San Paolo. Da questa sovrapposizione è stato possibile leggere e contestualizzare gli effetti di queste economie sugli equilibri urbani della città.
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02. Corse Uber per quartiere a San Paolo. Uber rides per urban area, São Paulo. Federico Godino
L’ambiente informale a San Paolo Oggi circa il 30% della popolazione urbana di San Paolo vive in insediamenti informali situati in aree sia periferiche che centrali (SMDU, 2012). Queste si sono sviluppate in sincronia con il processo di costruzione della città globale contempo-
struire lì le proprie case. Il fenomeno è stato alimentato in anni recenti dalle migrazioni provenienti dall’entroterra che hanno generato diversi nuovi insediamenti informali (LloydSherlock, 1997). Per individuare le aree informali ci si è serviti del database del comune di San Paolo (SEHAB, 2018) che nella sua definizione comprende aree edificate al di fuori di diritti di proprietà sul terreno e regolamenti edilizi (Favelas), aree costruite al di fuori del regolamento edilizio ma in seguito riscattate da parte degli abitanti e quindi parzialmente regolarizzate (Nucleos), edifici multipiano abbandonati e occupati (Corticos), presenti in gran numero nelle aree più centrali della città.
Diverse aree informali sono picchi di utilizzo di Uber nella città, in particolare alcune grandi favelas vicino al centro come Paraisópolis e Heliópolis ranea – boom edilizio brasiliano degli anni ’50 e ’60. La manodopera necessaria alla costruzione di edifici e infrastrutture di questo periodo non poteva nella maggior parte permettersi un alloggio e finì per occupare i terreni disponibili e co-
Uber San Paolo è la città con il maggior numero di corse Uber al giorno (Rochabrun, 2019). Le applicazioni di noleggio con
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03. Alloggi su Airbnb a San Paolo. Airbnb listings in São Paulo. Federico Godino
conducente (NCC) hanno trovato un terreno fertile in una città che ha storicamente privilegiato l’automobile privata rispetto al trasporto pubblico. Il NCC acuisce l’isolamento delle aree più povere entrando in competizione con il trasporto pubblico (Jin, Kong e Sui, 2019). Tuttavia, molti autisti abitano proprio in aree informali, essendo Uber un mezzo semplice per trovare un impiego legale senza una formazione specifica. Per descrivere l’utilizzo di questa piattaforma è stato utilizzato il database open source di Uber Movement (Uber Technologies, Inc.) e in particolare i dati relativi all’ultimo semestre del 2018. Attraverso alcuni passaggi in Python i dati dei tempi di percorrenza sono stati convertiti in informazioni sul numero di corse in ingresso e in uscita da ogni area della città (img. 02). Diverse aree informali presentano picchi di utilizzo di Uber nella città, in particolare alcune grandi favelas vicino al centro come Paraisópolis e Heliópolis. Il 30% delle corse Uber della città arrivano all’interno, o molto vicino,
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a un insediamento informale (entro un raggio di 50 metri). Questo si deve al fatto che in alcune aree informali il servizio di Uber è sospeso e le corse devono quindi partire o arrivare appena fuori dai loro confini. Questo è un doppio controsenso considerando la forte presenza sia di autisti che di utenti del servizio all’interno delle aree informali. Un così forte utilizzo in queste aree si spiega anche considerando il pessimo sistema di trasporto pubblico della città, che funziona per tratte da pagare separatamente e che da anni evita di collegare direttamente le aree informali con quelle benestanti. Questi atti di esclusione digitale rientrano nella volontà politica di mantenere una parte di città in condizioni di emarginazione. Aribnb Nel fenomeno dell’affitto online le aree informali vengono incluse nell’economia della città globale (quando hanno da offrire qualcosa in termini di paesaggio urbano o posizio-
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04. Post Instagram a San Paolo. Instagram posts in São Paulo. Federico Godino
ne) ma a danno delle loro comunità. Il fenomeno è evidente a Rio de Janeiro dove la gentrificazione delle favelas più vicine al mare, come Vidigal, ha assunto la struttura di un vero business riuscendo a convivere simbioticamente con la malavita organizzata. L’affitto a turisti stranieri nelle favelas di Rio ha preso dimensioni rilevanti con le olimpiadi del 2006 (Gaffney, 2015) ed era già chiaro come l’ingresso di questa forza economica avrebbe spinto gli strati più fragili della popolazione delle favelas verso l’espulsione (Neuwirth, 2006). Un fenomeno simile è in atto a San Paolo. Non disponendo delle attrattive naturali di Rio de Janeiro la penetrazione di Airbnb nelle aree informali di San Paolo si lega alla posizione del quartiere e all’appeal dell’atmosfera artistica del quartiere (img. 03). La mappatura è stata realizzata grazie al database open source di Murray Cox che contiene i dati di tutti i listing (alloggi in affitto) di Airbnb registrati a San Paolo (Cox, 2017). Come si può osservare questi si concentrano in alcune fave-
las vicine al centro – Paraisópolis e Heliópolis in particolare – e in queste raggiungono prezzi medi paragonabili a quelli di molti quartieri formali. Il prezzo di questi affitti non è allineato con il valore medio degli immobili in queste aree (Montanez, 2020) e contribuisce quindi ad alzarlo. Gli insediamenti informali periferici sono quasi privi di alloggi in affitto e, se ne offrono, i loro prezzi medi sono molto bassi. Un'altra caratteristica interessante dei listing nelle favelas è che essi sono principalmente intere case (91% contro il 90% delle aree formali). Questo ridimensiona di molto la retorica dell’integrazione all’interno delle comunità degli ospiti di Airbnb (che non avviene perché nella quasi totalità dei casi affittano un’intera abitazione autonoma) e dell’affitto di una stanza come mezzo per arrotondare e arrivare a fine mese. Di fatto nella grande maggioranza delle favelas si assiste a una continua densificazione dell’abitato a opera di investitori esterni (inoltre non sono rari i proprietari che affittano alloggi sia in aree informali che formali, segno che gli stessi
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05. Airbnb pubblicizza i suoi alloggi nelle favelas di Rio de Janeiro. Airbnb promotes houses for rent in favelas Rio de Janeiro. Federico Godino, screenshot from www.airbnb.com
proprietari spesso non fanno parte delle comunità informali in cui affittano). L’attrattiva economica di una rendita extra contribuisce sia ad alimentare questo fenomeno che ad alzare i prezzi locali degli affitti (Sheppard & Udell, 2016). Instagram Complementare all’appropriazione immobiliare è l’estetizzazione dell’informale, ovvero l’appropriazione dell’estetica informale da parte di enti esterni a queste comunità e il suo sfruttamento a fini economici. In questo caso è necessaria a rendere queste aree appetibili sul mercato (Mnovich, Indaco, 2016). A San Paolo questa pratica fa affidamento sul paesaggio urbano, sull’arte e sulla scena musicale. Il primo elemento ha alcuni picchi di spettacolarità in favelas situate in aree particolari (Brasilandia, Paraisópolis) o in corticos situati in aree storiche (Ouvidor 63). Paraisópolis in particolare sta vivendo un periodo di forte interesse immobiliare dovuto a più fattori: si trova infatti al centro di un area molto ricca ed è circondata per buona parte da grattacieli di lusso; è stata il set di una famosa serie televisiva brasiliana che ne romanticizzava il paesaggio e lo stile di vita (I love Paraisópolis, Rede Globo, 2015); è infine in corso a Paraisópolis un processo di estetizzazione dal basso, che vede crescere la popolarità di artisti locali. Le forme d’arte proprie dell’informale sono molteplici ma una delle più diffuse è la pratica del pixo, un particolare tipo di graffiti che esprimono rivendicazioni sociali urgenti delle popolazioni emarginate. Questo particolare tipo di estetica è comune a favelas, corticos e aree di alta vulnerabilità sociale della città formale. Il fenomeno è contemporaneamente diventato un elemento del paesaggio urbano informale contribuendo a conferirgli un’immagine estetizzata,
venendo ripreso in videoclip musicali e pubblicità ambientati in aree informali. Per l’analisi a scala urbana dell’uso di Instagram si è svolta accedendo all’API dell’applicazione e cercando quattro hashtag legati al pixo (pixo, pixacao, pixosp e xarpi). Sono stati successivamente eliminati tutti i post non geolocalizzati (img. 04). Come mostra la mappa i post relativi al pixo sono presenti trasversalmente alla città formale e informale. Non è rara la presenza di questi graffiti in quartieri dal reddito medio-alto che contengono al loro interno nuclei di informalità. A localizzarsi all’interno di favelas è il 30% dei post relativi al pixo. Questo è spiegabile da un lato con la volontà di colonizzare spazi della città formale con le richieste sociali del pixo, dall’altro con la grandissima popolarità che questo fenomeno sta attirando su di sé a livello estetico da parte di abitanti della città formale. È infatti comune che il messaggio politico del pixo non venga riconosciuto per la difficoltà di decifrare il suo alfabeto e che questi graffiti
La divisione tra città formale e informale determina quella tra una fetta di popolazione che dispone di diritti civili e una che non ne dispone. Le piattaforme digitali ricalcano alla perfezione questo assetto preesistente che il loro funzionamento conferma e agevola
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vengano apprezzati solo a livello estetico, contribuendo così a un processo di estetizzazione della città informale che collabora poi allo sviluppo di un mercato immobiliare esogeno in questi fragili territori.
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06. Instagram preserva intatti i suoi scenari mentre intorno la città sfrutta questa popolarità ed è un ottimo veicolo per l’estetizzazione della città informale (Beco do Batman, Sao Paulo). Instagram preserves its notorious spots while the city around exploits this popularity and often leads to the exploitation of informal areas’ aesthetic (Beco do Batman, São Paulo). Federico Godino
Effetti negativi e risposte delle comunità La consapevolezza delle comunità penalizzate dalle platform economies è cresciuta negli ultimi anni e non sono mancati tentativi di utilizzare la rete per sviluppare modelli economici più equi, in contesti informali e non. Per quanto riguarda Uber, i suoi effetti negativi in termini di esclusione delle comunità informali hanno spinto alcune favelas di San Paolo a creare il proprio servizio di NCC: è il caso di Ubra nella favela di Brasilandia (Amigo, 2018). Iniziative di questo tipo mirano a dotare le comunità di uno strumento autogestito che rispecchi i loro interessi, a differenza della maggior parte dei servizi di ride sharing esistenti. In altri contesti, invece, per ovviare ai problemi di espulsione delle fasce sociali più deboli da parte di Airbnb si sono cercate soluzioni attraverso piattaforme che redistribuiscono le rendite degli affitti turistici a breve termine alla comunità ospitante e non solo al singolo proprietario. Un esempio è quello di Fairbnb, una piattaforma che nasce per mitigare
gli effetti negativi di Airbnb nelle città gravemente colpite dalla sua diffusione (Venezia, Barcellona, Amsterdam) (Fairbnb, 2016). Infine, benché la gentrificazione sia un fenomeno estremamente complesso da contrastare proprio dalla favela di Paraisópolis è nato un tentativo di arginarne gli effetti negativi introducendo una valuta sociale – sul modello di esperimenti già effettuati in contesti analoghi – per proteggere il potere d’acquisto delle comunità informali dall’ingresso di investimenti esogeni (Machado, 2018). Anche questo progetto sfrutta le potenzialità della rete basandosi su una valuta digitale gestita da un istituto di credito interno alla favela. La volontà politica sottesa Le aree informali sono incluse o escluse all’interno delle piattaforme analizzate a seconda della possibilità di ricavare un valore economico, nella maggior parte dei casi a sfavore della comunità locale. Questa lettura acritica del territorio
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Complementare all’appropriazione immobiliare è l’estetizzazione dell’informale, necessaria a rendere queste aree appetibili sul mercato
07. Edificio multipiano appena costruito, Paraisópolis. Multi-storey building in Paraisópolis. Federico Godino
accomuna le tre piattaforme analizzate ed è insita nel loro funzionamento. Esse si propongono come sistemi immateriali ad alto contenuto di innovazione sociale. Quest’innovazione è molto limitata nei fatti, poiché come abbiamo visto queste piattaforme beneficiano principalmente chi già detiene potere economico. Questa panoramica sugli effetti delle platform economies su San Paolo evidenzia come la volontà di negare ad alcune aree lo status di “città” – attuata escludendo determinate fasce di popolazione dai diritti civili – non sia messa in discussione ma rimarcata dalle economie digitali analizzate. Se non si può imputare la causa di questi squilibri alle piattaforme stesse si può però sottolineare come il loro funzionamento in questo contesto tradisca le promesse di innovazione e sostenibilità sociale che hanno da sempre alimentato la loro retorica.*
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NI IO SS O MI OTT EE D LL RO DE N P LE I U TA D TO NE IL ZIO TE DU EN O AL PR UIV LLA EQ TE A CO M2 EN E IN TA RIM ET SP DIR E E IN CH TE O URA EN MIS TAM NA ET È U DIR INT IATE TPR SOC IT FOO AS A. ON RRA CLIM ARB O SE ETE LA CFFETT WW.R A E NTE: W FO
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È ormai risaputo che le azioni quotidiane dell’uomo hanno un costo che influisce sulla salute ambientale dell’intero pianeta. Questo effetto si esprime attraverso l’impronta ecologica: un indicatore che misura gli ettari di superficie naturale che servono per rigenerare le risorse che consumiamo e riassorbire i rifiuti che produciamo, garantendoci un certo stile di vita. Dagli anni ’60, il boom economico e demografico, l’industrializzazione e il conseguente aumento del fabbisogno energetico e dell’inquinamento, hanno progressivamente aumentato il deficit ecologico, portando l’impronta ecologica a superare il valore della biocapacità nazionale del 500%. Una disparità che coinvolge l’80% dei Paesi e che produce conseguenze sia ambientali (con la riduzione della biodiversità e cambiamento climatico innanzitutto) che economiche e civili, poichè le nazioni sono vincolate a bilanciare la propria biocapacità attraverso il commercio o con un uso eccessivo delle risorse locali, obliterando, di fatto, la possibilità che si rigenerino. Il centro di ricerca internazionale Global Footprint Network, confrontando la capacità di produzione di risorse del pianeta con il relativo consumo e la produzione di agenti inquinanti, stima ogni anno la data in cui l’impronta ecologica dell’umanità sorpassa le capacità rigenerative della Terra. Tale giorno viene chiamato Earth Overshoot Day e negli ultimi anni si è anticipato sempre più: infatti se nel 1993 il giorno del superamento è stato il 21 ottobre e nel 2003 è stato il 21 settembre, nel 2020 è arrivato il 22 agosto. Da quel giorno stiamo consumando più di quanto il pianeta si possa permettere. Stefania Mangini DI GA S
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IMPRONTA ECOLOGICA DELL’ITALIA DAL 1961 AL 2017 FONTE: Global Footprint Network
PIL PRO CAPITE NAZIONALE ESPRESSO IN EURO DAL 1961 AL 2017 FONTE: datacatalog.worldbank.org
BIOCAPACITÀ DELL’ITALIA DAL 1961 AL 2017 FONTE: Global Footprint Network
Margherita Ferrari Borsista di ricerca, Università Iuav di Venezia margheritaf@iuav.it Lorenzo Rui Fotografo www.lorenzorui.com
gni volta dovremmo chiederci se ciò che stiamo gettando sia un rifiuto o uno spreco: il primo è un prodotto oggettivamente inutilizzabile, il secondo lo è invece soggettivamente. Sprecare infatti corrisponde a un utilizzo non appropriato, e la presunta etimologia latina della parola lo ricondurebbe al verbo exprecari, ovvero “mandare in malora”. Declinare tale distinzione nell’ambito alimentare significa anche evidenziare la disponibilità o meno di cibo. Negli ultimi dieci anni in Italia la sensibilizzazione sul tema dello spreco alimentare si è accentuata, grazie anche ad attività di ricerca che monitorano questo fenomeno complesso con importanti ripercussioni anche in altri ambiti, come quello ambientale. Ogni alimento infatti racchiude in sé una parte di risorse energetiche (e quindi economiche) che sono state impiegate per la sua produzione, ma anche per il suo trasporto e il suo mantenimento, che gli permettono di arrivare a un qualunque mercato ortofrutticolo. In questo ambito la ricerca indaga non solo per indivuare le quantità di spreco, ma soprattutto per conoscerne le cause, sia da parte del consumatore, che degli stessi produttori e commercianti. Non esiste una metolodogia di indagine specifica e condivisa, lo strumento più diffuso è quello dell’intervista e della costruzione di un diario, per questa ragione i dati sono indicativi.
In ambito nazionale la realtà di riferimento più importante che monitora tale fenomeno è Spreco Zero, progetto curato da Andrea Segrè, docente di Politica Agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna, nonché fondatore dell’impresa sociale Last Minute Market. All’interno di Spreco Zero prende forma l’Osservatorio Waste Watcher, che raccoglie dati, condivide, comunica e sensibilizza sul tema dello spreco, non solo alimentare (www.sprecozero.it). Nel corso degli anni l’osservatorio ha permesso di ricostruire la produzione di spreco alimentare da parte dei nuclei familiari italiani e soprattutto le ragioni che inducono tali azioni. Tra le più diffuse, come si legge nel report 2021, in primis la mancanza di attenzione, sia nell’organizzazione del frigo (il 46% dimentica di avere prodotti in scadenza o deterioramento), ma anche nella capacità di acquisto, comprando più del necessario (29%). Il report prova anche una lieve riduzione dello spreco da parte del consumatore durante la pandemia, in cui le persone erano più indotte a cucinare a casa, auspicando una maggiore attenzione all’alimentazione e quindi anche a un acquisto più consapevole dei beni. Tuttavia l’estetica ha ancora il suo peso, nella fase di acquisto del consumatore finale, ma anche nella vendita al commerciante da parte del produttore. Il mercato infatti impone specifici standard per il commercio dei prodotti alimentari, che non si limitano all’assenza di muffe o in-
setti, ma anche alle dimensioni del prodotto, alla sua forma e al suo colore. Una prassi applicata non solo per i trasporti internazionali di prodotti alimentari, ma anche per produzioni più locali, come i consorzi agricoli. La riflessione alimentare cromatica di Lorenzo Rui risalta la distinzione tra i prodotti, e allo stesso tempo ne enfatizza la percezione personale attraverso il colore, per ricondurci al punto di partenza, ovvero che lo spreco è soggettivo. Per qualcuno una zucchina raggrinzita è rifiuto, per qualcun altro è minestrone o polpetta. Ciò che fa la differenza è l’educazione e la cultura alimentare, che ci permette di vedere oltre la buccia dei prodotti.* Go to ruin In the last ten years in Italy, awareness on the issue of food waste has increased, thanks also to research activities that monitor this complex phenomenon, like Spreco Zero. The aim of the research is above all to know the causes of this phenomenon, both on the part of the consumer and of the producers and traders themselves.*
I dati riportati di seguito sono tratti da Waste Watcher International Observatory-Università di Bologna-Last Minute Market su dati IPSOS
Va’ in malora
Lo spreco alimentare medio settimanale di una famiglia italiana è di 530 g
Frutta fresca, insalate e pane sono i prodotti più sprecati dalle famiglie italiane
Il 31% delle famiglie intervistate nel 2020 ha dichiarato i cibi vengono gettati perché vengono venduti già vecchi
Cristiana Mattioli Assegnista di ricerca, docente a contratto, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. cristiana.mattioli@polimi.it
Circular Architecture. Francesca Zanotto LetteraVentidue, 2020
Towards a Circular Architecture Francesca Zanotto’s book Circular Architecture. A Design Ideology reflects on a circular model of production that aims to recover the value retained in waste, and to optimize resource utilization. Architecture becomes thus focused on its production and disposal cycles, and the designing process counts more than the final products. The book is structured in three parts. While the first two set the frame reflecting on production/consumption processes through the notions of waste, resource scarcity, and recycle, the third one deals with the implications of the circular economy in architecture.*
Verso un’architettura circolare l premio Pritzker, il maggior riconoscimento internazionale per l’architettura, è andato quest’anno ad Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal. Un segnale di cambiamento importante, considerato che il motto dei due architetti francesi è “never demolish, never remove or replace; always add, transform, and reuse!”. La demolizione, dunque, è intesa come scorciatoia, atto violento, ma soprattutto spreco di risorse: di energia, materiale, storia (Nigrelli, 2005). La giuria del premio ha ricordato come, nei loro lavori di trasformazione dell’esistente, i progettisti abbiano mostrato un approccio sostenibile, capace di coniugare tecnologia, ecologia e attenzione alla dimensione sociale, dando risposta alle più urgenti emergenze del nostro tempo. Del riuso delle risorse, dell’approccio sistemico alla sostenibilità e dell’attenzione ai valori incorporati nell’esistente (Lanzani, 2016), temi così attuali e centrali nella riflessione urbanistico-architettonica, ci parla anche il libro di Francesca Zanotto Circular architecture. A Design Ideology che riflette sulle implicazioni del concetto di economia circolare in architettura. Il libro – estratto della tesi di dottorato (Zanotto, 2018) – si articola in tre parti. Nella prima (Space, Matter, Consumption: the Thought of Waste), l’autrice riflette sul consumo di risorse
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(scarse) e la conseguente produzione di rifiuti. È sul rifiuto (waste) che si concentra poi l’attenzione, evidenziandone l’importanza come fonte di informazioni, alla base di intere economie, nonché di rilevanti questioni spaziali (Lynch, 1990). Il ragionamento arriva così a mettere in evidenza un’interessante dicotomia, ma anche un possibile equilibrio, tra l’approccio zero waste, teso a limitare la produzione stessa di rifiuti, e quello waste as a resource che valorizza i rifiuti come risorsa per ulteriori processi produttivi. La seconda parte (1969-2019: a Fifty-Year Consideration on Spaceship Earth), ancora di sfondo, ricostruisce, invece, i passaggi principali che hanno portato, nella seconda metà del XX secolo, a reinquadrare il rapporto uomonatura e a riconoscere la finitezza delle risorse terrestri, con il conseguente declino e collasso degli ecosistemi naturali, qualora non si decida di invertire la rotta e optare per un modello di sviluppo sostenibile. Proponendo un approccio sistemico, tali riflessioni stimolano, in campo urbanistico-architettonico, numerose sperimentazioni e ricerche. Fra queste, il paradigma del re-cycle (Ciorra, Marini, 2011) – che si confronta anche con la recessione economica e la rivoluzione tecnologica in atto – segnala una nuova condizione, che richiede strumenti e strategie di azione rinnovate, quali la risignificazione degli scarti, tanto nel processo
IL LIBRO
architettonico, quanto in quello di sviluppo territoriale (Latz, 2012), oltre alla cura e manutenzione dell’esistente per prevenirne la produzione. All’interno di queste due cornici di senso, nella terza parte (Circular Architecture. A Design Ideology), il modello circolare è presentato come un paradigma radicale, teso a ridisegnare completamente i processi produttivi e costruttivi esistenti, riprogettando filiere, strumenti, forme e spazi e sostenendo nuove economie. Nel capitolo si affrontano criticamente diverse questioni, mostrandone efficacemente le diverse interconnessioni, così come l’emergere di possibili contraddizioni: il riutilizzo degli scarti come risorsa; l’ottimizzazione del processo di progettazione, costruzione, manutenzione e smontaggio di edifici; il ripensamento del più ampio metabolismo urbano (Viganò, 2014); il cambiamento degli stili di vita nel segno della condivisione, della co-produzione e della flessibilità d’uso degli spazi. Entro questi ragionamenti, Francesca Zanotto propone di considerare l’architettura come “assemblaggio”, in un duplice significato. Da un lato, un assemblaggio di forme, persone, pratiche che porta a considerare il progetto, innanzitutto, come “processo”, più che prodotto finito e compiuto; un processo che, già in fase di ideazione, deve tenere in considerazione l’intero ciclo di vita di materiali ed energia impiegata. Dall’altro lato, è lo stesso
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oggetto architettonico a farsi assemblaggio, attraverso la combinazione di frammenti e materiali di seconda mano. È proprio su questi aspetti che l’autrice è attivamente impegnata con RE-sign, una startup innovativa che intende favorire l’accesso a risorse a basso costo e alto valore aggiunto nel settore edile, come suggerito dalla direttiva 2008/98/CE con la quale l’UE ha fissato l’obiettivo di riutilizzare entro il 2020 il 70% dei rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi. Anche questo è un notevole esempio di come ricerca e pratica professionale possano dialogare e reciprocamente arricchirsi, nel difficile passaggio dalla teoria alla concreta azione di cambiamento, tanto più quando si tratta del (necessario) cambiamento dell’edilizia in Italia.*
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BIBLIOGRAFIA – Ciorra, P., Marini, S. (2011) (a cura di). Re-cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta. Milano: Mondadori Electa. – Lanzani, A. (2016). Muovere da quel che c’è. In Lanzani, A., Merlini, C., Zanfi, F. (a cura di). Riciclare distretti industriali. Insediamenti, infrastrutture e paesaggio a Sassuolo. Firenze: Aracne, pp. 11-35. – Latz, P. (2012). Ruoli in trasformazione. Lotus International, 150 – Landscape Urbanism, pp. 92-95. – Lynch, K. (1990). Wasting Away. San Francisco: Sierra Club Books [trad. it. Deperire. Rifiuti e spreco nella vita di uomini e città, CUEN, Napoli, 1992]. – Nigrelli, F.C. (2005) (a cura di). Il senso del vuoto. Demolizioni nella città contemporanea. Roma: Manifestolibri. – Viganò, P. (2014). Elements for a Theory of the City as Renewable Resource. In Fabian, L., Giannotti, E., Viganò, P. (a cura di). Recycling City. Pordenone: Giavedoni Editore, pp. 13-24. – Zanotto, F. (2018). Devoid of Any Style. Problems and Perspectives of Architecture in the Age of Post-Consumption. Tesi di Dottorato in Architectural Urban Interior Design, Supervisor: prof. A. Rocca, DASTU – Politecnico di Milano.
L’oblio della memoria The Oblivion of Memory
Letizia Goretti Dottore di ricerca in cultura visuale. Ricercatrice associata BnF 2020/21. letizia.goretti@yahoo.it
Hieronymus Bosch, Il Giudizio Universale, ca. 1500-1505, Groeningemuseum, Brugge. Hieronymus Bosch, The Last Judgment, ca. 1500-1505, Groeningemuseum, Brugge. Wikimedia Commons
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Viviamo un periodo storico in cui scienza e tecnologia hanno fatto enormi progressi, donandoci degli strumenti preziosi – in linea generale e non per tutti – per migliorare la salute e il lavoro; il progresso scientifico-tecnologico continua a offrirci dei mezzi utili per combattere l’inquinamento attraverso nuove forme di energia, innovativi metodi per l’agricoltura ma, nonostante ciò, sembra che questi mezzi non siano sufficienti a risolvere i problemi del pianeta ormai “malato”. È doveroso ricordare anche il rovescio della medaglia, cioè che scienza e tecnologia, in alcuni casi, sono state fonte di sofferenza. La bomba atomica è un esempio estremo forse, ma efficace: morte, distruzione e inquinamento radioattivo, il tutto racchiuso in un “unico oggetto”. È tempo di interrogarsi e capire che cosa non funziona non solo nel sistema ma anche nel modo di agire degli uomini. Qual è la strada che dovrebbe intraprendere l’uomo? Difficile rispondere. Guy Debord scrisse, ne La Planète malade (1971), che “l’epoca che possiede tutti i mezzi tecnici per alterare in modo assoluto le condizioni di vita su tutta la Terra” (Debord, 2006, p. 1063) è la stessa epoca che utilizza la scienza e la tecnologia sia come strumenti di controllo sia per incrementare il sistema economico. La tecnologia – nella sua accezione più ampia del termine – è un’arma a doppio taglio. Dalla sua origine, essa è stata presentata in chiave distopica da “romanzieri futurologi”, come sono stati appellati da Günther Anders, i quali hanno immaginato un futuro nel quale l’uomo perde il controllo di ciò che egli stesso ha creato a suo discapito, ne è un esempio Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick del 1968; in altri casi, invece, è stato esaltato il potere liberatore della tecnologia, come nel progetto New Babylon di Constant Nieuwenhuys. A questo punto la domanda è se scienza e tecnologia, e il progresso che entrambe apportano, possano essere veramente d’aiuto per cambiare il nostro sistema. In effetti, il potenziale esiste ma soffermiamo un attimo l’attenzione sui legami che intercorrono con la vita dell’uomo, senza toccare argomenti come il lavoro-merce oppure lo sfruttamento del lavoro e della terra per estrarre metalli utili alla produzione dei dispositivi elettronici: sono questioni complesse e necessitano un’analisi su più livelli. È impossibile scindere il progresso scientifico-tecnologico dall’economia, così come non si può separarlo dai modi di vita, nel senso che il progresso scientifico-tecnologico incrementa il sistema economico, oltre ad essere un sistema di controllo, e fa parte della vita di gran parte della popo-
BIBLIOGRAFIA – Debord, G. (2006). Œuvres. Paris: Gallimard. – Anders, G. (2007). L’uomo è antiquato, voll. 1-2. Torino: Bollati Boringhieri.
lazione sia nel privato sia nell’attività lavorativa. A sua volta l’economia non incide solo sull’ambiente che ci circonda in termini d’inquinamento o di trasformazione del paesaggio, ma anche sui modi di vita dei cittadini che, a loro volta, sono influenzati dai prodotti, come ci suggerisce Anders (2007); economia, produzione e tecnologia “impongono” determinati stili di vita, “plasmano” la popolazione, e ne decretano la dipendenza. Numerosi spunti di riflessione su questo argomento li troviamo sul breve testo Abat-faim (Ammazza fame) – termine che designava il piatto servito ai commensali per placare la fame – scritto da Guy Debord nel 1985, il quale partendo semplicemente da uno dei bisogni primari dell’uomo, cioè mangiare, analizza alcuni legami tra uomo, economia e produzione. Debord inizia così il suo testo: “degradazione estrema del cibo” (ivi, p. 1582). Ingurgitiamo veleni. Mangiamo cibi preconfezionati, congelati, decongelati ecc.; i prodotti chimici sono utilizzati in modo considerevole “nell’agricoltura e nell’allevamento” (ibid.). I progressi della tecnica, entrati a far parte della filiera agroalimentare, hanno modificato il modo di mangiare: “la totalità del cibo consumato dalla società moderna è ormai costituito esclusivamente da ammazza fame” (ibid.). Ma la “grande abbuffata”, titolo del celebre film di Marco Ferreri, ha trasformato radicalmente anche la natura dell’uomo, la sua percezione e la sua interazione con il mondo. L’inquinamento non è solo ambientale ma anche culturale e mentale. Debord, inoltre, aveva colto nel segno scrivendo che “l’inquinamento è alla moda […], si espone dappertutto in quanto ideologia, e guadagna terreno in quanto processo reale” (ivi, p. 1063). Senza una presa di coscienza sulla radicale trasformazione da apportare nell’ambito dell’economia, della produzione e del sistema su cui si basa, come sosteneva lo stesso Debord, un cambiamento della vita rimane una chimera. “Non bisogna curare i sintomi ma la malattia stessa” (ivi, p. 1069). Questo sintetico contributo è solo un excursus su due testi scritti da Debord più di trent’anni fa. Il passato, infatti, potrebbe insegnare molto all’uomo, se solo ne avesse memoria, invece di rincorrere “pecore elettriche”: è l’essere umano che ha creato il “proprio mondo” e il suo sistema.*
Natura aumentata Augmented Nature
Sara Codarin Docente a contratto presso il College of Architecture and Design – LTU (MI, USA). scodarin@ltu.edu
Gian Andrea Giacobone Assegnista presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara. gcbgnd@unife.it
Struttura del Silk Pavilion creata dalla integrazione tra la lavorazione digitale di una macchina a controllo numerico e la fabbricazione biologica del baco da seta. Silk Pavilion’s structure, created by the integration between the digital fabrication of a Computer-Numerically Controlled machine and the biological fabrication of the silkworm. The Mediated Matter Group, MIT Media Lab
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Nel libro 21 lezioni per il XXI secolo Yuval Harari (2019) afferma che tra le principali sfide a cui l’umanità verrà sottoposta nel prossimo futuro vi sono la crisi climatica e l’affermarsi di una società post-human del tutto dipendente dall’avanzamento tecnologico. Poiché le due istanze – minaccia fisica la prima e condizione che impatta sulla natura dell’uomo la seconda – non possono essere de-globalizzate, esse concorrono a instaurare un dibattito rivolto alla comunità globale e interessano plurimi settori produttivi a tutte le scale, con l’obiettivo di elaborare soluzioni adeguate in risposta al quadro esigenziale economico e ambientale attuale. In merito all’irreversibilità della crisi climatica, Jeremy Rifkin (2019) parla di “feedback loop incontrollabile”, il quale avviene in concomitanza di una “inevitabile” corsa all’innovazione, non solo informatica e meccanica, ma che invaderà anche la sfera biologica attraverso intelligenza artificiale, machine learning e biochemical algorithms (Kelly, 2016). Lo sviluppo di tecnologie innovative per trarne beneficio collettivo sono oggetto d’indagine di architetti e designer i quali, fin dai primi anni 2000, hanno elaborato progetti sostenibili che nelle decadi successive si sono evoluti come high performance e infine smart. Oggi – nell’augmented age1 – coesistono invece un’aggiornata consapevolezza sulla necessità di economizzare le risorse e nuovi strumenti di fabbricazione che permettono di elaborare prodotti “aumentati” in uno spazio di lavoro ibrido uomo-macchinanatura. Questo nuovo modello progettuale evidenzia il superamento del paradigma costruttivo tradizionale, definito da unità-assemblaggio-modularità, verso un modello ispirato dalla natura, composto da coltivazione-crescita-aggregazione. Alcuni esempi che esprimono tale processo sono il Silk Pavilion e il Synthetic Apiary realizzati presso il MIT Media Lab, o il Dreamcatcher Project promosso da Autodesk Research. L’osservazione dei casi citati permette d’individuare due approcci progettuali principali, il primo orientato a simulare la natura, il secondo ad addomesticarla. L’intenzione di simulare la natura può essere espressa attraverso biomimesi, un concetto già noto a Leonardo da Vinci e ampiamente diffuso ai giorni nostri dalla biologa Janine Benyus, ai fini dell’efficientamento dei prodotti di consumo. Dall'altro lato,
BIBLIOGRAFIA – Antonelli, P. (2020). Neri Oxman: Material Ecology. New York: Museum of Modern Art. – Harari, Y. N. (2019). 21 Lessons for the XXI Century. London: Vintage. – Kelly, K. (2016). The Inevitable: Understanding the 12 Technological Forces That Will Shape Our Future. New York: Penguin Books. – Rifkin, J. (2019). The Green New Deal: why the Fossil Fuel Civilization will Collapse by 2028 and the Bold Economic Plan to Save Life on Earth. New York: St. Martin's Press.
NOTE 1 – Maurice Conti indica l’augmented age come il futuro in cui le capacità umane di pensare e agire saranno aumentate grazie all’intelligenza artificiale e alla robotica. 2 – Knotty Objects è stato il seminario inaugurale del MIT Media Lab. Al fine di affrontare diversi approcci di ricerca in plurimi ambiti, l’evento si è incentrato su quattro oggetti: il mattone, il bitcoin, la bistecca e il telefono.
come espresso da Neri Oxman nel seminario Knotty Objects2, addomesticare la natura significa creare una tensione tra artificiale e naturale, facendo sì, ad esempio, che sovrastrutture intenzionalmente rigide indirizzino in modo controllato la casualità (Antonelli, 2020). Il filo conduttore di queste sperimentazioni è la ricerca di un sistema progettuale che vada oltre la collaborazione uomo-macchina verso un’integrazione nature-humanity-technology di componenti in grado di “aumentarsi” a vicenda. Tale concetto inedito permette di superare il design diretto verso una metodologia basata sulla definizione di un sistema di relazioni flessibili tra i componenti progettuali che comportano l’imprevedibilità del risultato finale. Un’implementazione futura potrà riguardare inoltre il coinvolgimento della genetica verso una progettazione on-demand – tramite prodotti customizzati, non standard e con materiali artificiali e attenti ai consumi energetici – dentro un sistema circolare basato su un Internet Of Things tra umani, sistemi tecnologici e organismi biologici.*
L'economia idrica degli Aghlabidi Aghlabids' Water Economy
Elisa Pegorin Architetto e PhD. Ricercatore, Centro de Estudos de Arquitectura e Urbanismo (CEAU) della Faup (Porto). eli.pegorin@hotmail.it
Vista aerea attuale dei bacini degli Aghlabiti, Kairouan (Tunisia). Aerial view of today Aghlabites water basins, Kairouan (Tunis). Bernard Gagnon 2009, Wikicommons
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La salute e la ricchezza delle società – fin dai tempi antichi – dipendono in larga misura da una buona gestione delle risorse, come cibo e acqua, e da un governo efficiente. Molte soluzioni ingegneristiche sono state ideate durante il dominio degli Aghlabidi (o Aglabiti) per mantenere e migliorare i sistemi agricoli e le risorse idriche. Gli Aghlabidi furono la prima dinastia musulmana autonoma che occupò tra l’800 e il 909 d.C. i territori del nord Africa (attuali Algeria, Tunisia, Libia), Malta e – successivamente – la Sicilia e alcune zone dell’Italia meridionale. La città di Kairouan (attualmente in Tunisia) era la capitale di questo vasto territorio, denominato Ifriqiya (Lézine, 1966). Con l’insediamento degli Aghlabidi, Kairouan ebbe un importante sviluppo urbanistico, arricchendosi di opere pubbliche tra cui la grande moschea, tanto da essere considerata la prima città santa del Maghreb. I bacini idrici, costruiti nel 856-863 d.C. (o più precisamente negli anni 242-249 del calendario islamico) erano localizzati appena all’esterno della medina di Kairouan. Il sistema era composto da una quindicina di bacini (di cui oggi ne rimangono solo due) destinati all'approvvigionamento idrico della città. Le dimensioni e l'ingegnosità di quest’opera hanno da sempre conquistato l'ammirazione dei viaggiatori, facendo guadagnare a Kairouan il nome di "città delle cisterne". La struttura, realizzata di macerie ricoperte da uno strato impermeabile, è costituita da tre elementi principali: una piccola vasca, una vasca principale e due cisterne voltate. Il piccolo bacino circolare di decantazione misura 34,80 m di diametro, 5 m di profondità e ha 17 contrafforti all'interno e 30 contrafforti all'esterno con una distanza di separazione media di 3,10 m. Il bacino principale invece misura 128 m di diametro e 4,80 m di profondità, ed è intervallato da 64 contrafforti interni e 118 contrafforti esterni, con una capacità di circa 57.000 m3 d’acqua. Le due vasche, comunicando tramite un'apertura rettangolare disposta nel muro di separazione, sono divise da un muro spesso 1,50 m, mentre i muri esterni sorgono a 1,10 m dal livello del suolo (El Amami, 1984). Il consolidamento della struttura avviene proprio grazie al sistema dei contrafforti (interni ed esterni) che, in alternanza statica, oppongo resistenza alla pressione dell'acqua.
BIBLIOGRAFIA – El Amami, S. (1984). Les aménagements hydrauliques traditionnels en Tunisie. Tunis: Centre de Recherche du Genie Rural. – Lézine, A. (1966). Architecture de l'Ifriqiya, recherches sur les monuments aghlabides. Paris: Klincksieck. – Solignac, M. (1953). Recherches sur les installations hydrauliques de Kairouan et des steppes tunisiennes du VIIe au XIe siècle. Paris: La Tipo-lytho et J. Carbonel.
Le due cisterne di prelievo sono parallele e indipendenti, di forma rettangolare e ciascuna misura dall'esterno 32 m di lunghezza e 10 m di larghezza, con un tetto voltato a botte sorretto da archi su pilastri a sezione quadrata. Ogni cisterna è collegata alla grande vasca da una baia per assicurare il passaggio dell'acqua, mentre quattro scale di quattro gradini ciascuna sono disposte ai lati. La fornitura di questi serbatoi era assicurata dall'acqua piovana e da quella del wadi (fiume con una portata irregolare) chiamato Merguellil (Solignac, 1953). L’originalità costruttiva dei bacini risiede nel fatto che gli Aghlabidi escogitarono con mezzi ecologici ed economici un sistema altamente complesso per raccogliere l'acqua, purificarla e immagazzinarla, a disposizione degli abitanti della città, dei pastori della zona e delle carovane di passaggio. Quest’opera, classificata come “monumento storico” (con decreto del 3 marzo 1915) e poi come Patrimonio dell'Umanità dall’Unesco nel 1988 rappresenta – agli occhi della contemporaneità – una delle più importanti opere idrauliche della storia musulmana, nonché un esempio di ecolomia ante litteram, che meriterebbe oggi, oltre alla sua conservazione patrimoniale, anche una reinterpretazione di ingegneria idraulica per fornire acqua alle aree interne dei luoghi desertici.*
Seconda mano, molteplici vite Second-hand, Multiple Lives
Rosaria Revellini Dottoranda di ricerca in Nuove Tecnologie presso l’Università Iuav di Venezia. rosaria.revellini@iuav.it
Il mercato di abbigliamento di seconda mano itinerante VinoKilo. VinoKilo, a traveling market of second-hand clothing. Tabakfabrik Linz on Flickr, 2019
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E se la vita di un capo di abbigliamento durasse ben oltre quel momento in cui decidiamo di non indossarlo più? Il passaggio da un processo di tipo lineare a uno di tipo circolare interessa ormai anche il settore produttivo della moda e, anzi, parlare di ecolomia in questa filiera costituisce un punto di partenza importante in merito a sostenibilità ambientale, economica e sociale. Il cambio di prospettiva è necessario, basti pensare all’ingente costo associabile all’industria del tessile e dell’abbigliamento in termini di emissioni di gas serra, consumo idrico, inquinamento delle acque (WWF, 2017; Parlamento Europeo, 2021) nonché all’impatto sociale della stessa con particolare riguardo alle condizioni lavorative e alle paghe ai minimi consentiti per la produzione di merce a basso costo1. A ciò si aggiungono i numeri sui consumi: globalmente si acquistano circa 5 kg/anno di vestiti pro capite, cifra che arriva a triplicarsi in Europa e Stati Uniti (WWF, 2017). Consumi destinati inoltre ad aumentare per effetto del fast fashion2 che ha difatti dimezzato il ciclo di vita di un capo di abbigliamento negli ultimi venti anni in quanto si stima che lo stesso venga indossato in media solo otto volte prima di essere accantonato in un angolo dell’armadio o gettato perché ritenuto già “fuori moda”. Tanto i produttori quanto i consumatori hanno delle responsabilità rispetto a questi temi. Nel primo caso occorre rendere la catena di approvvigionamento più trasparente, grazie all’azione di enti certificatori super partes e alla pubblicazione di tutte le informazioni sul prodotto tramite etichette parlanti o qr code. Tuttavia il cambiamento non avviene completamente se manca una reale consapevolezza da parte del consumatore, protagonista del processo. Pensare dunque che un indumento non abbia “fine” ma che lo stesso possa essere rammendato, ri-pensato, ri-utilizzato, riciclato, ri-amato (in inglese infatti i capi di seconda mano sono detti anche pre-loved), insomma che possa trovare nuove e – quasi – infinite vite, rappresenta l’attuale sfida del mondo della moda. Millennials e Gen Z3 sono tra i più attenti e interessati all’impatto ambientale e sociale della filiera, preferiscono spendere di più per l’acquisto di capi realizzati in modo sostenibile, comprano articoli di seconda mano, riciclano quelli dismessi. Il mercato vintage e di seconda mano sta crescendo e, secondo lo store digitale thredUp4, è destinato ad aumentare ancora, raggiungendo un incremento del 39%
BIBLIOGRAFIA – Mc Kinsey & Company (2021). The state of Fashion 2021 (online). In https://www.mckinsey.com (ultima consultazione marzo 2021). – Parlamento Europeo (2021). L'impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull'ambiente (infografica) (online). In https://www.europarl. europa.eu/news/it (ultima consultazione marzo 2021). – WWF (2017). Changing fashion. The clothing and textile industry at the brink of radical transformation. Environmental rating and innovation report 2017 (online). In https://www.wwf.ch (ultima consultazione marzo 2021).
NOTE 1 – A tal riguardo si ricorda il crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, edificio che ospitava numerosi stabilimenti tessili, che provocò la morte di 1138 persone e oltre 2500 feriti. Il tragico evento ha costituito un primo passo verso un cambio di rotta. 2 – Il termine viene utilizzato per la prima volta dal New York Times nel 1989 (31 dicembre), in occasione dell’apertura di uno store di Zara nella città statunitense. Con fast fashion si identifica quel settore dell’industria dell’abbigliamento che produce collezioni “di tendenza” a prezzi molto bassi e rinnovate in tempi brevissimi (definita anche moda “usa e getta”). 3 – Termini che identificano rispettivamente le persone nate tra il 1981 e il 1995 e tra il 1996 e il 2010. 4 – Per ulteriori approfondimenti: https://www.thredup.com/ resale/#resale-growth (ultima consultazione marzo 2021).
nel 2024, fino a superare quello del fast fashion entro il 2028. Dai negozi fisici a quelli virtuali l’acquisto di abiti e accessori che hanno già avuto una prima vita non interessa più solamente gli appassionati – fino a qualche decennio fa definiti bohémien – né solo i prodotti di lusso. Si tratta di un mercato globale e sempre più accessibile grazie all’esistenza di numerosi siti, piattaforme e applicazioni (da Ebay, Subito, o il market di Facebook, alle app come Vinted, DePop, Vestiaire Collective, per citarne alcune) che facilitano questo scambio tra venditore e consumatore ma anche direttamente tra consumatore e consumatore. Vi sono molte iniziative volte a incentivare ad acquisti consapevoli, come la campagna #nonewfashion2021, promossa dalla piattaforma-rivista Display Copy, che invita a fermare la produzione di moda nell’anno 2021 e, quando necessario, a comprare capi usati o a utilizzare ed eventualmente reinventare quelli che già si posseggono. Un piccolo tassello questo del mercato di seconda mano che contribuisce a rallentare e ripensare gli attuali cicli della moda in chiave economica ed ecologica e che si inserisce nella più ampia evoluzione, cominciata da alcune grandi aziende, destinata a cambiare il volto del settore (Mc Kinsey & Company, 2021).*
Daphne Degiorgis Studentessa, LM in Design della Comunicazione presso Politecnico di Milano. daphne.degiorgis@gmail.com
Investing in Green Gold In Italy the interest around bamboo, a super-material with extraordinary characteristics, is growing exponentially. Today, thanks to economic models based on the respect for the environment and a conscious use of resources, investing in “green gold” means a sure preservation of the value of the investment, regardless of the performance of financial markets or other conditions, with the aim of safeguarding the environment, and planning a future worthy of next generations.* alla carta Shiro Tree Free di Favini fino al CityLife Shopping District dello studio Zaha Hadid Architects (ZHA), il bambù dà costantemente prova di essere una materia prima dal potenziale (quasi) illimitato. Le sue performance sono note nei settori più vari: dall’edilizia all’agroalimentare, dall’editoria al tessile. Ma siamo certi di conoscere a fondo questo super-materiale? Storia e caratteristiche del bambù Tipico per lo più delle zone tropicali e subtropicali dell’Estremo Oriente, il bambù (la cui etimologia deriva dal nome vernacolare malese mambù) è una pianta sempreverde di tipo erbaceo appartenente alla famiglia delle Poacee, comunemente note come
01. Bamboo Forest, Arashiyama, Kyoto, Japan. Basile Morin 2019, Wikicommons
Investire in oro verde
Il bambù: da superfood a bene rifugio
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Graminacee, e alla sottofamiglia delle Bambusoideae. Attualmente si contano più di 1.000 specie di bambù e circa 100 generi, che variano molto in dimensioni fino a raggiungere i 25 m di altezza nel caso del genere più diffuso nelle zone temperate: il Phyllostachys edulis (dal latino edulis, commestibile), chiamato più comunemente bambù gigante o MOSO®. È noto soprattutto per le sue notevoli proprietà: prima fra tutte, l’elevato assorbimento di anidride carbonica grazie alla perenne superficie fogliare lanceolata, oltre che per la capacità di trasformare gli agenti inquinanti in biomassa. E, ancora, quella di agire da sistema filtrante per le acque di fiumi e laghi, di essere difficilmente combustibile allo stato verde e di resistere all’attacco di malattie usuali, invece, per altre graminacee. Dal kōgei all’acciaio vegetale Apprezzato per tutti i suoi “frutti” fin dall’antichità, questo prezioso materiale ha conquistato storicamente un posto nella tradizione artigianale ed edilizia asiatica (soprattutto giapponese, chiamata kōgei) per diffondersi ufficialmente in Italia a partire dal 1884 grazie al botanico toscano Emanuele Orazio Fenzi (AA.VV., 1996). Definito – non a caso – “acciaio vegetale”, è proprio nell’edilizia che il bambù esprime il suo massimo potenziale. L’architetto americano Richard
Buckminster Fuller (1895-1983), visionario e pioniere nella sperimentazione di strutture leggere, fu tra i primi a notarlo, ritenendolo la migliore alternativa sostenibile nonché materiale ideale per una progettazione in cui il rapporto tra resistenza e massa viene massimizzato. Un concetto portato avanti anche dagli studi decennali di Pablo van der Lugt, che ha posto a confronto il bambù gigante con materiali comunemente usati nell’edilizia dal punto di vista dell’impatto ambientale e del potenziale di commercializzazione. Un progetto lungimirante: Forever Bambù Secondo il rapporto biennale della Global Sustainable Investment Alliance, gli investimenti sostenibili stanno aumentando a livello globale e l’Europa si conferma un centro per la finanza responsabile (GSIA, 2018; Pesce, 2020): dimostrazioni tangibili del fatto che è possibile reindirizzare le scelte economiche tenendo a mente gli effetti generati su un ambiente sempre più fragile e una società sempre più green. “In Europa, dove l’utilizzo a livello industriale è agli albori, si registra […] un potenziale di crescita importante. In Italia le prime piantumazioni risalgono al 2014, e ad oggi sono circa 1.900 gli ettari piantumati, con la previsione di oltre 2.500 ettari per la fine del 2021” (Rissone, 2020, p. 3).
In Italia le prime piantumazioni risalgono al 2014. Oggi sono circa 1.900 gli ettari piantumati
02. Scarpe da donna Innbamboo. Innbamboo women shoes. Forever Bambù
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Proprio in questo frangente si inserisce il progetto Forever Bambù, un modello economico fondato sul rispetto dell’ambiente e sull’uso consapevole delle risorse il quale, ad oggi, conta oltre 500 soci e 25 società agricole che entro il 2021 si fonderanno nella più grande S.p.A. del settore. Nata nel 2014 con il duplice scopo di strutturare una filiera sostenibile e generare vantaggio sociale ed economico, è la prima S.r.l. italiana a basare il suo business sulla coltivazione biodinamica (certificata DEMETER) e biologica (certificata ICEA) di bambù gigante, la specie principale per la produzione di legname e germogli1. Il suo potenziale economico? Grazie alla sua tenacità costituisce un bene rifugio eccellente che si allontana da “un’inquietudine tutta economica” (Corrado, 2020). Garantisce il mantenimento del valore dell’investimento, a prescindere dall’andamento dei mercati finanziari o da altre condizioni e, rispetto ad altri investimenti forestali, è capace di offrire rendimenti in net-
to anticipo: il suo primo periodo improduttivo è di soli 5 anni contro, ad esempio, i 20 del teak. Inoltre, nel caso del bambù, il bene rifugio è costituito da due elementi: l’acquisto del terreno e la coltivazione della pianta, il cui rendimento è dato da canna, germoglio e sequestro di CO2.
Strutturare una filiera sostenibile e generare vantaggio sociale ed economico
Il potenziale italiano Durante i sei anni di attività Forever Bambù ha piantumato 85 ettari di terreno di sua proprietà, diviso in 2 comparti piemontesi e 3 toscani, ognuno dei quali offre lavoro a cinque dipendenti stagionali. Le piante, fornite dal vivaio di Consorzio Bambù Italia SpA, crescono a formare il bambuseto su terreni pianeggianti o collinari in presenza di una falda acquifera a cui attingere. Grazie a sistemi sotterranei, le radici non possono propagarsi al di fuori del comparto, preservando la vegetazione e il paesaggio autoctono dalla natura infestante della pianta. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, viene ta-
03. Bioplastica in fibra di bambù. Bioplastic made with bamboo fiber. Forever Bambù
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gliato solo il 30% della foresta matura, lasciando al resto del sistema-foresta la possibilità di rigenerarsi fino all’anno successivo. In questo modo, le radici possono acquistare vigore ed energia tali da far nascere nuove canne in numero proporzionale a quelle asportate. “Raggiunge la maturazione al 7° anno e per il resto del suo ciclo di vita non necessita di molta irrigazione, fertilizzante o pesticidi. Infatti, una volta messa in piedi la foresta questa si autososterrà […]. Inoltre, grazie alla sua rete di radici complessa, densa e dura che fornisce un’eccezionale stabilità al terreno, [il bambù] è ideale per progetti di rimboschimento in cui il suolo è stato indebolito, per esempio dall’agricoltura” (Rissone, 2020, p. 4). Dopo il periodo di assestamento un bambuseto maturo, grazie al suo alto tasso di crescita e alle proprietà autorigeneranti che lo contraddistinguono, darà risultati costanti per circa un secolo garantendo effetti ambientali ed economici di cui potrà beneficiare non solo chi ha sostenuto il suo avvio, ma anche le generazioni successive, con un ritorno sull’investimento che va dal 10% al 20% annuo. Sul piano applicativo il bambù in Italia trova un palcoscenico sfidante: dovrà farsi spazio nella patria del laterizio, cercando di scardinarsi da esoticismi non propriamente conformi all’idea di design italiano. Il progetto di ZHA, in questo senso, può essere preso a modello: scelto per le sue proprietà tattili il bambù ingegnerizzato si trasforma armoniosamente in colonna, rivestimento, bancone da bar in un flusso materico e sensoriale.
economico importante (la redditività di un ettaro è la più alta tra le coltivazioni agricole) un risvolto ambientale non trascurabile, sequestrando fino al 700% in più di CO2 delle altre piante. Insomma, “un contributo attivo per la tutela dell’ambiente ma anche profitti che dureranno per anni” (Rissone, 2020, p. 8). È ora di abbandonare i modelli di business tradizionali e superare le derivazioni di un darwinismo economico “in favore di una visione di business puntata su classi di attività etiche e rispettose” (Rissone, 2020, p. 3), lasciandoci trasportare dalle celebri note dei Fleetwood Mac: “Don’t stop thinking about tomorrow”2.*
NOTE 1 – Oltre a fornire fibra e viscosa per la realizzazione di bioplastica, carta e filati e un cippato per generare energia nelle centrali termiche, il legno di bambù gigante è in grado di espletare funzioni solitamente svolte da materiali tradizionali e legni tropicali: rivestimenti, pavimentazioni, cucine, serramenti, scale, panchine, piatti, bicchieri e vestiti sono solo alcune tra le tante applicazioni. I germogli della canna giovane, invece, sono edibili e vantano un posto tra i superfood per il basso contenuto di grassi abbinato a un elevato contenuto di fibre. 2 – Tratto dal singolo Don’t stop, pubblicato nel 1977 dalla rock band angloamericana all’interno dell’album Rumours. BIBLIOGRAFIA – AA.VV. (1996). Dizionario biografico degli italiani. Vol.46. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana. – Corrado, M. (2020). La buccia dell’arancia blu (online). In doppiozero.com/materiali/la-buccia-dellarancia-blu (ultima consultazione marzo 2021). – GSIA (2018). Global Sustainable Investment Review 2018 (online). In http://www.gsi-alliance.org/wp-content/uploads/2019/06/GSIR_Review2018F.pdf (ultima consultazione marzo 2021). – Mancuso, S. (2019). La nazione delle piante. Bari, Roma: Laterza. – Pesce, R. (2020). Perché investire nella green economy e nel bambù gigante (online). In robertopesce.com/intelligenza-finanziaria/investire-green-economy-bambu/ (ultima consultazione marzo 2021). – Rissone, E. (2020). Come guadagnare col bambù gigante. Dall’idea alla quotazione in borsa (online). In https://www. foreverbambu.com/wp-content/uploads/2021/03/Comeguadagnare-col-bambu-gigante-feb-lite-5.pdf (ultima consultazione marzo 2021).
Progettare futuro: risorse e modelli dal mondo vegetale “Oggi tutte le risorse che utilizziamo sono in esaurimento e la tecnologia, da sola, non può aiutarci. I problemi che abbiamo richiedono una vera e propria conversione del nostro modo di porci di fronte alla natura, che non deve più essere accomunata ad un bacino di materie prime da consumare quanto, invece, ad una casa comune” (Mancuso, 2019, p. 72). Dunque, perché investire nel bambù? Oggi costituisce uno tra i pochi investimenti che avvicina a un ritorno 04. Accessori in legno di bambù. Bamboo wood accessories. Forever Bambù
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Emilio Antoniol Dottore di ricerca in Tecnologia dell’architettura, Università Iuav di Venezia. antoniolemilio@gmail.com
New Economies From the Waste In Europe, the idea of circular economy finds application in the transition from a linear economic model based on the extraction-production-consumption paradigm with the consequent production of waste, towards a circular model that reintegrates waste into new production processes. In developing countries such as Africa or the Middle East, characterized by a wide availability of natural resources but unstable both in a political and economical point of view, the application of the circular economy criteria can offer solutions that go beyond the simple reuse of waste, activating systemic changes that generate long-term economic opportunities and social benefits.* l 2015 è stato un anno di grande rilievo per le tematiche relative alla sostenibilità: il 2 dicembre 20151 viene presentato dalla Commissione europea il pacchetto sull’economia circolare chiamato L’anello mancante: un piano d’azione europeo per l’economia circolare (CE, 2015). Sebbene concetti come sostenibilità ed economia circolare possano ormai vantare oltre settant’anni di storia (Bompan e Brambilla, 2016) solo nell’ultimo ventennio tale dibattito si è animato, diventando uno dei fulcri tematici più importanti della ricerca scientifica. Uno dei principali attori di questa ascesa è la Ellen MacArthur Foundation che, da oltre vent’anni, in-
veste in azioni di sensibilizzazione e ricerca sui temi dell’economia circolare, definendola come una economia capace di rigenerarsi, in cui l'attività economica ricostruisce la salute generale del sistema che deve funzionare in modo efficace a tutte le scale: dall’impresa all’individuo, dal livello globale a quello locale. La transizione verso un'economia circolare non significa quindi solo portare aggiustamenti volti a ridurre gli impatti negativi dell'economia lineare ma impone un cambiamento sistemico che genera opportunità economiche e commerciali e fornisce vantaggi ambientali e sociali a lungo termine (Ellen MacArthur Foundation, 2013a). Questo “approccio circolare”, basato
sulla riduzione degli sprechi e sull’ottimizzazione delle risorse disponibili, sta lentamente prendendo piede in Italia e in Europa dove il paradigma produttivo basato sulla produzione industriale di massa sta gradualmente mostrando le sue inefficienze. Una maggior consapevolezza ambientale, legata a una sempre maggiore produzione di rifiuti, costringe a ripensare il concetto di scarto, rileggendolo in chiave di risorsa come proposto dalla ricerca di Arup Urban Bio-loop (Carra et al., 2017). Questa ci dimostra come dai rifiuti organici urbani sia oggi possibile recuperare materie prime utili a produrre un’ampia gamma di nuovi prodotti dalle caratteristiche diversificate che vanno
01. Pannelli ottenuti dagli scarti del mais e altri cereali. Panels obtained from scraps of corn and other cereals. University of Zaria /University of Enugu
Nuove economie dagli scarti Processi circolari per la ricostruzione e lo sviluppo socio-economico in Africa e Medio Oriente
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02. Esempi di economia circolare in Africa. Circular economy examples in Africa. Peter Desmond
dai panelli isolanti, agli intonaci fino alle membrane impermeabili. Nel contesto europeo la fase di fine vita di alcune filiere produttive può diventare il punto di partenza per nuovi progetti di sviluppo industriale come proposto da RiceHouse, azienda piemontese che ha sviluppato una linea di prodotti per l’edilizia derivati dall’utilizzo dei sottoprodotti di scarto della filiera del riso - in particolare paglia, lolla e pula - che, miscelati con calce o argilla, danno origine a nuovi prodotti come intonaci, massetti isolanti e pannelli di rivestimento. Allo stesso modo, in circostanze di emergenza che colpiscono i centri urbani, come nel caso dei terremoti, le macerie possono divenire risorse disponibili in loco e of-
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frire soluzioni di immediata applicabilità. L’esperienza di Catalyst con il suo blocco Ri-Block, pensato per la ricostruzione dopo eventi sismici tritando e compimento a secco le macerie derivate dalla demolizione, offre un primo spunto di riflessione su come una materia di scarto, come le macerie, possa diventare una preziosa risorsa per la ricostruzione e la ripresa economica in contesti di emergenza (Antoniol e Villani, 2018). Peculiare è invece la condizione del continente africano e della regione del Medio Oriente dove le esperienze di economia circolare presentano, generalmente, un approccio differente. Queste regioni sono infatti caratterizzate da un’ampia disponibili-
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tà di risorse naturali e da un tasso di industrializzazione meno diffuso che in Europa. Allo stesso tempo sono regioni instabili, sia a livello politico che economico: guerre, emergenze umanitarie e cambiamenti climatici pongono l'accento sulla necessità di individuare soluzioni urgenti allo sviluppo socioeconomico di queste regioni (Albrecht, 2014). Di particolare rilievo sono i temi della ricostruzione di città e villaggi e lo sviluppo di politiche volte a ridurre la povertà, agendo soprattutto sui processi primari di produzione e trasformazione delle risorse presenti in loco (Albrecht e Galli, 2019). In questi scenari non è quindi tanto la sovrapproduzione di rifiuti o lo spreco di risorse a spingere verso processi di tipo
L’economia circolare è un cambiamento sistemico che genera opportunità economiche e commerciali e fornisce vantaggi ambientali e sociali a lungo termine 03. Il pannello in paglia compressa e cartone. Compressed straw and cardboard panel. Strawtec
circolare quanto piuttosto l’esigenza di ottimizzare le risorse locali valorizzando produzioni e filiere esistenti fino ad oggi poco sfruttate. Le indagini condotte dalla Ellen MacArthur Foundation dimostrano infatti che, mentre nei contesti economici occidentali la produzione di rifiuti e lo spreco di risorse avvengono in particolare nella fase finale legata al consumo dei prodotti, nei paesi in via di sviluppo queste si concentrano prevalentemente nelle fasi di produzione e lavorazione della materia. Esempio emblematico è il caso dello spreco alimentare che presenta valori del 32% nei paesi in via di sviluppo contro il 22% dei paesi occidentali per le fasi di produzione, lavorazione e distribuzione. A questi si sommano le percentuali di spreco legate alle fasi di consumo che si attestano al 12% nei paesi occidentali contro un solo 3% dei paesi in via di sviluppo (Ellen MacArthur Foundation, 2013b). Questo dimostra come in contesti come quello africano e medio orientale agire sulle fasi di produzione e trasformazione della materia, prima che sul recupero dei rifiuti a fine vita, costituisca una valida strategia per la riduzione del consumo di risorse e soprattutto per la valorizzazione di ciò che è già disponibile. Alcuni esempi di recupero circolare in Africa e Medio Oriente Negli ultimi anni il contesto africano si è notevolmente applicato in ricerche
ed esperienze volte a migliorare l’efficienza dei sistemi di produzione nel continente (Desmond, 2019) (img. 02). Uno degli esempi più interessanti è il primo programma di simbiosi industriale del continente, sviluppato dalla città di Cape Town, in Sud Africa, a partire dal 2013 (Ellen MacArthur Foundation, 2020). Il progetto ha individuato alcuni settori cruciali in cui agire. Tra questi le industrie della plastica, dell’elettronica, dell’alimentare e delle costruzioni sono tra gli ambiti più interessanti in cui sviluppare sinergie a livello di recupero e riuso di scarti o risorse locali. Nel caso alimentare, ad esempio, è stata attivata una filiera per la raccolta di oltre 2.500 litri di albumi provenienti della filiera del gelato da reintrodurre nelle produzioni dolciarie locali. In ambito edile, negli ultimi 5 anni sono stati recuperati oltre 4.500 m3 di macerie da demolizioni, destinate alla discarica, per la produzione di nuovi prodotti edili quali blocchi e calcestruzzi alleggeriti. In entrambi i casi, oltre a produrre una sensibile riduzione dei prezzi dei prodotti finiti ed eliminare parte dei rifiuti inviati in discarica, i processi hanno attivato “nuove economie locali” comportando anche un beneficio a livello sociale e occupazionale. In questo ambito anche il riuso di scarti agricoli o di derivazione vegetale come materie prime seconde per la realizzazione di prodotti edilizi è un tema rilevante in Africa, continen-
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te ancora a forte vocazione agricola (Goedde et al., 2019) in cui la possibilità di generare reddito dallo scarto derivato dalle produzioni alimentari è ormai una realtà sempre più consolidata. Aziende come la Ecopost di Nairobi, in Kenya, hanno affrontato il problema della scarsità della risorsa legno, causata della deforestazione, proponendo prodotti in Wood Plastic Composite (legno rigenerato con matrice polimerica) come sostituti del legno, e usando per la loro produzione scarti agricoli legnosi come gusci di noci e arachidi, scarti della produzione del caffè e scarti della lavorazione della palma. In tal modo, oltre a soddisfare un mercato edilizio in continua espansione il progetto ha generato nuovo lavoro e redditività aggiuntive per produttori agricoli locali che vedono trasformato uno scarto in nuova risorsa commercializzabile. In Ruanda la Strawtec produce dal 2015 sistemi tecnologici per l’edilizia realizzati con materiali agricoli di scarto (img. 03). Secondo il Rwanda Development Board l’agricoltura è uno dei settori economici più importanti del Paese e occupa circa il 70% della popolazione lavorativa. Tra le produzioni principali troviamo i cereali con la relativa sottoproduzione di paglia; di questa solo il 30% viene usata in attività domestiche o nell’allevamento mentre il restante 70% è un bio-rifiuto. L’azienda ha inizialmente attivato un sistema produttivo indu-
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04. La produzione dei blocchi GreenCake a Gaza e l'ing. Majd Mashharawi. The production of GreenCake blocks in Gaza and eng. Majd Mashharawi. GreenCake
striale per la produzione di blocchi in paglia per arrivare oggi alla produzione di un vero e proprio sistema tecnologico prefabbricato composto da pannelli in paglia compressa rivestisti con cartone riciclato. Processi simili sono stati attivati in Nigeria già nel 2011 con il progetto Affordable building materials from recycled agricultural waste esperienza sostenuta dalla LafargeHolcin Foudation che prevedeva l’uso di scarti agricoli derivati dal mais e da altri cereali per la produzione di pannelli per l’edilizia sfruttando come legante un adesivo a base di tannino, anch’esso di derivazione agricola (img. 01). L’uso di macerie come materiale di partenza per la produzione di nuovi componenti edili, in particolare blocchi e mattoni, è invece una pratica che sta trovando margini di applicazione rilevanti in ambito mediorientale. Interessante è l’esperienza di GreenCake (img. 04), i cui mattoni in cemento sono prodotti impiegando la cenere deriva-
Integrazione della manodopera locale e riduzione del consumo di risorse OFFICINA* N.33
ta dagli incendi dovuti ai bombardamenti sulla città di Gaza2. Sviluppati dall’ingegnere edile Majd Mashharawi, i blocchi impiegano una ridotta quantità di cemento di importazione per legare tra loro macerie di calcestruzzo e cenere derivanti dalla demolizione degli edifici distrutti dalla guerra. Più leggeri dei tradizionali blocchi in calcestruzzo, sono prodotti con un impiego ridotto di materie prime e sfruttando la manodopera locale, in particolare femminile, bisognosa di occupazione. Conclusioni Gli esempi riportati propongono una lettura del concetto di economia circolare che prende via via le distanze dalla semplice reintroduzione di scarti in nuove filiere produttive e abbracciano invece la più ampia definizione del termine “economia circolare” come cambiamento sistemico che genera opportunità economiche e fornisce vantaggi ambientali e sociali. Una visione economica che, nel generare utili e ricchezza per le comunità ove è applicata, pone al centro del proprio sviluppo la sostenibilità in senso ampio favorendo processi di integrazione della manodopera locale e la riduzione del consumo di risorse non rinnovabili, sfruttando invece ciò che fino a poco prima era considerato solo un rifiuto.*
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NOTE 1 – Data che coincide con la conferenza ONU di Parigi sul clima in cui i Paesi di tutto il mondo si sono impegnati a sottoscrivere un patto per ridurre l’aumento della temperatura globale sotto la soglia di 1,5°C. 2 – Per approfondire il tema dei blocchi Green Cake si veda il documentario realizzato da Richard Kenny per la BBC nel 2018. Disponibile su: https://www.bbc.com/news/av/stories-46074563 (ultima consultazione marzo 2021). BIBLIOGRAFIA – Albrecht, B. (a cura di) (2014). Africa: Big Change, Big Chance. Bologna: Compositori. – Albrecht, B., Galli, J. (a cura di) (2019). Urbicide rural Syria: reconstruction of villages. Conegliano: Anteferma Edizioni. – Antoniol, E., Villani, R. (2019). Esportare la ricostruzione. Innovazione e nuovi materiali per la ricostruzione post bellica nella MENA region. Conegliano: Anteferma Edizioni. – Bompan, E., Brambilla, I.N. (2016). Che cosa è l’economia circolare. Milano: Edizioni Ambiente. – Carra, G., Ilardi, S., Perkins, C., Acharya, D. (2017). The Urban Bio-loop. Growing, Making And Regenerating. Milan: ARUP. – CE, COMMISSIONE EUROPEA (2015). L'anello mancante. Piano d'azione dell'Unione europea per l'economia circolare (online). In https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ TXT/?uri=CELEX%3A52015DC0614 (ultima consultazione novembre 2020). – Desmond, P. (2019). Rethink Solutions (online). In http:// www.rethinkglobal.info/circular-economy-in-africa-1/ (ultima consultazione novembre 2020). – Ellen MacArthur Foundation (2013a). Towards the circular economy 1. Economic and business rationale for an accelerated transition (online). In https://www.ellenmacarthurfoundation.org/publications (ultima consultazione novembre 2020). – Ellen MacArthur Foundation (2013b). Towards the circular economy 2. Opportunities for the consumer goods sector (online). In https://www.ellenmacarthurfoundation.org/ publications (ultima consultazione novembre 2020). – Ellen MacArthur Foundation (2020). Cape Town Africa’s first industrial symbiosis programme. Generating multiple benefits for the manufacturing industry (online). In https:// www.ellenmacarthurfoundation.org/case-studies/africasfirst-industrial-symbiosis-programme (ultima consultazione novembre 2020). – Goedde, L., Ooko-Ombaka, A., Pais, G. (2019). Winning in Africa’s agricultural market (online). In https://www. mckinsey.com/industries/agriculture/our-insights/winningin-africas-agricultural-market# (ultima consultazione novembre 2020).
Paola Careno Laureata in Architettura e assegnista di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia. pcareno@iuav.it
Ragusa Porous City The thesis aims to investigate the potential of underground environments, their relationship with the context and their intrinsic nature. They are not "empty spaces to be filled” with functions proper to the "above-ground": the thesis underscores the importance to restore a culture of the underground more sensitive to the issues of ecology, understood as the harmonious relationship between man and nature, and read the investment in the existing underground heritage as a tool to enhance the historical and housing background and the landscape.* ntroduzione “Nelle giornate di vento, quando la sabbia che viene dal deserto copre tutto, non c’è posto più dolce e più fresco per aspettare che questo caldo afoso finisca. Mi ricordo allora che tutti si rifugiavano qui dentro e ci restavano senza muoversi, immobili, fermi e aspettavano...”1 (img. 01). Queste parole, tratte dal libro e omonimo film La stanza dello scirocco, proiettano immediatamente nell’atmosfera che la tesi desidera trasmettere e motivano i colori scelti per la sua rappresentazione, ovvero il blu e l’azzurro, perché descrivono una caratteristica che gli ambienti sotterranei (oggetto di studio della tesi) hanno in
comune: il fresco. Sotto terra, infatti, la temperatura è costante tutto l’anno e si attesta intorno ai 10 gradi. Il blu è inoltre un colore che ha a che fare con la spiritualità, il silenzio e la tranquillità e assieme all’azzurro è il colore dell’acqua, elemento principe del progetto architettonico all’interno delle latomie di cava Gonfalone. La tesi, se da una parte nasce dalla fascinazione per gli spazi sotterranei, dall’altra si pone l’obiettivo di indagarne le potenzialità, il rapporto con il contesto e quali valori o caratteri necessitano di essere riconosciuti e preservati, sulla base della riflessione secondo cui “sottosuolo” e “sopra-suolo” appartengono a due categorie differenti.
La tesi è divisibile in tre parti. La prima - di carattere analitico - nasce come un viaggio attraverso gli spazi sotterranei del territorio di Ragusa con l’obiettivo di analizzarne l’eterogeneità (vi sono infatti catacombe, miniere di asfalto, latomie e rifugi antiaerei) e mostrarne criticità e potenzialità incrociando alcune tappe del viaggio del pittore francese JeanPierre Houël che, all’epoca del Grand Tour, fu uno dei pochi ad attraversare questa parte di Sicilia, descrivendo e rappresentando anche alcuni dei suoi ipogei (Macchia et al., 1977). La seconda parte - di natura progettuale e su cui si concentrerà l’argomentazione del presente articolo - riguarda il pro-
01. Vista del progetto negli spazi della latomia di cava Gonfalone. View of the project in the spaces of the Gonfalone quarry. Paola Careno
Ragusa città porosa
Progetto di valorizzazione delle latomie di cava Gonfalone
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L'ARCHITETTO
02. Porosità e Densità. Mappa della città di Ragusa e i suoi ambienti sotterranei (le latomie, la miniera di asfalto e i rifugi antiaerei). Porosity and Density. Map of the city of Ragusa and its underground environments (the quarries, the asphalt mine and the air-raid shelters). Paola Careno
La latomia come luogo “altro” rispetto al sopra-suolo, luogo di evasione non solo dal caldo estivo ma anche dalla dimensione caotica della città
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getto di valorizzazione delle latomie di cava Gonfalone. Infine la terza parte – di natura progettuale e concettuale al tempo stesso – trae spunto da questioni proprie “l’abitare sotterraneo” per immaginare la composizione di una catabasi attraverso uno scavo che definisce uno spazio di unione e distacco tra cava Gonfalone e la città soprastante e che fornisce materiale da costruzione per il progetto all’interno e all’esterno della latomia. Un parco sotterraneo di pietra, acqua e silenzio Il termine “porosa” è un aggettivo coniato da W. Benjamin per la città di Napoli (Velardi, 1992) ma scelto in
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questo caso per la città di Ragusa in quanto funzionale a descrivere la roccia calcarea iblea e la morfologia di un territorio scolpito da numerose cave e caratterizzato dalla presenza di un patrimonio ipogeo dalle potenzialità latenti (img. 02). Il progetto architettonico si sviluppa all’interno della latomia di cava Gonfalone2, interessante per la sua estensione e per lo stretto rapporto con la città. Nel 2005 la soprintendenza ha avviato un progetto di valorizzazione per gli spazi della latomia al fine di restituirli all’uso comune e con lo slogan della “piazza coperta” (img. 03). Il progetto non è stato portato a termine ma prevedeva la realizzazio-
Le tracce dei picconi scolpiti sulle pareti, sui pilastri e sull’intradosso della volta e l’effetto scenico del fuoriscala
ne di una vera e propria strada, marciapiedi e padiglioni ospitanti negozi, bar, servizi e inoltre la realizzazione di spazi di aggregazione conformati a cinema, teatro e auditorium. Il progetto di tesi (img. 03) se da una parte si pone in continuità con quello descritto, dall’altra ne prende le distanze adottando una strategia e uno slogan diversi. L’immagine che il progetto intende trasmettere della latomia è di luogo “altro” rispetto al sopra-suolo, luogo di evasione non solo dal caldo estivo ma anche dalla dimensione caotica della città. All’interno di questi spazi si percepisce una sacralità paragonabile a quella delle cattedrali, la città e i suoi rumori scompaiono e c’è solo un silenzio interrotto dal volo di qualche uccello. La riflessione che sta alla base del progetto è che non necessariamente, o non sempre, i vuoti siano da considerare come “vuoti da riempire” con funzioni proprie del sopra-suolo. Affinché si possa continuare a sentire “il peso del vuoto” e lo stupore che suscita, si sceglie una strategia volta a valorizzarlo e preservarlo. Il progetto si pone così l’obiettivo di dare spazio e tempo a questa dimensione: si propone la rimozione dei padiglioni, oggi ad uno stato avanzato di degrado, e la collocazione di servizi (quali bar, infopoint, camerini per eventuali performance, etc.) all’esterno della latomia, in prossimità dei suoi portali d’acces-
03. Planimetria della latomia di cava Gonfalone: stato di fatto e stato di progetto. Sezione della latomia di cava Gonfalone: stato di progetto. Plan of the quarry of cava Gonfalone: current status and project status. Section of the quarry of cava Gonfalone: project status. Paola Careno
so, immersi nel contesto naturalistico della cava a evidenziarne il ruolo di filtro tra la città e la latomia stessa. Vengono mantenuti gli spazi conformati a teatro e auditorium così come le rampe e le scale presenti. Tra gli elementi introdotti dal progetto l’acqua è il più importante. Debolmente presente all’interno della latomia, viene introdotta sfruttando la naturale pendenza della cava e alcune concavità esistenti (img. 03). Il progetto interviene sulla parte della latomia che meno conserva le tracce del tempo, a causa delle molteplici modificazioni subite, per specchiare e moltiplicare i suoi tratti essenziali: le tracce dei picconi scolpiti sulle
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pareti, sui pilastri e sull’intradosso della volta e l’effetto scenico del fuori-scala. L’acqua scorre da una vasca all’altra, caratterizzando così gli spazi col proprio suono, attraverso un sistema di impiantistica collocato al di sotto degli elementi in pietra (rampe o passaggi) inseriti ex novo, e fuoriesce attraverso piccoli ugelli in acciaio cor-ten similmente all’acqua delle sorgenti che fuoriesce dalla roccia. Inoltre, vengono inserite sedute in pietra in corrispondenza di determinate prospettive completando gli spazi di aggregazione già definiti dal precedente progetto, con alcuni spazi che privilegiano una dimensione piuttosto individuale. La superficie
L'ARCHITETTO
le implicazioni culturali, percettive e psicologiche che il sottosuolo porta con sé. Molteplici sono gli scenari di fruizione degli ambienti ipogei e non necessariamente comportano un uso permanente dello spazio. La speleoterapia, ad esempio, è una pratica terapeutica che consiste nella permanenza di circa due ore in cavità sotterranee, durante le quali predisporre lo svolgersi di diverse attività ludicoricreative al fine di curare malattie del tratto respiratorio come l’asma. Paul Virilio e François Burkhard, in un articolo dal titolo Abbiamo bisogno del sottosuolo del 2005, suggeriscono come gli spazi sotterranei siano naturalmente predisposti a ospitare l’arte contemporanea sempre più fatta di proiezioni e percorsi. È importante precisare che l’architettura sotterranea non è “ecologica” solamente perché mimetizzata, al contrario essa muta irreversibilmente l’ambiente, ne provoca la definitiva antropizzazione. Le sue qualità stanno piuttosto nella diversa concezione del paesaggio che propone (Croatto e Boschi, 2015). La tesi quindi vuole sottolineare l’importanza di investire nel patrimonio ipogeo esistente per valorizzare il contesto paesaggistico, storico e abitativo in modo sostenibile ripristinando un rapporto armonico tra uomo e natura.* 04. Assonometrie esplicative la diversità di fruizione degli spazi della latomia in rapporto all’elemento acqua. Axonometries explaining the diversity of use of the latomia spaces in relation to the water element. Paola Careno
della latomia è considerata dal progetto come un parco sotterraneo di pietra e acqua per cui ogni spazio ha una propria identità e la diversità delle vasche d’acqua concorre a questa definizione. Dall’estremità occidentale si susseguono: una piscina; una vasca d’acqua che distingue tre ambienti differenti e confluisce nella cascata; un velo d’acqua che è possibile percorrere a piedi nudi diventando spazio ludico; una vasca d’acqua più piccola e uno specchio d’acqua all’estremità orientale che invade l’intera superficie lasciando spazio a un percorso che conduce, come fosse un foyer, allo spazio adibito a teatro (img. 03).
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Verso una cultura del sotterraneo “I giovani di Sibari, figli di una società dedita al lusso e al godimento e prospera nel secolo VI a.C., durante l’estate si allontanavano da casa per passare il tempo nelle grotte delle Ninfe (ἄντρα), dove traevano ogni genere di piacere soggiornando in un luogo fresco, poiché nel sottosuolo si era riparati dalla calura del sole” (Basso e Ghedini, 2003, p. 31) (img. 04). Nel corso della storia l’approccio all’underground è cambiato notevolmente. Ciò che rispetto al passato è mutato è la perdita di contenuti simbolici a vantaggio della mera risoluzione di problemi di spazio: un passaggio da rifugio a contenitore prescindendo
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NOTE 1 – Il film “La stanza dello scirocco” del 1998 (regia di Maurizio Sciarra) è tratto dall’omonimo libro di Domenico Campana del 1986. 2 – La città di Ragusa è caratterizzata principalmente dalla presenza di due cave: cava Santa Domenica e cava Gonfalone. Nei versanti di entrambe le vallate sono state scavate latomie in periodi diversi. Quelle di cava S. Domenica vennero scavate dopo il sisma del 1963 per la ricostruzione di Ragusa Superiore mentre quelle di cava Gonfalone dopo l’elezione di Ragusa a capoluogo di provincia nel 1929. BIBLIOGRAFIA – Basso, P., Ghedini, F. (a cura di) (2003). Subterraneae Domus. Ambienti residenziali e di servizio nell’edilizia privata romana. Caselle di Sommacampagna: Cierre. – Burkhardt, F., Virilio, P. (2005). Abbiamo bisogno del sottosuolo. Domus, n. 879. Rozzano: Editoriale Domus, pp. 103-108. – Croatto, G., Boschi, A. (2015). Filosofia del nascosto. Costruire, pensare, abitare nel sottosuolo. Venezia: Marsilio. – Macchia, G., Sciascia, L., Vallet, G. (a cura di) (1977). Jean Houel. Viaggio in Sicilia e a Malta. Palermo, Napoli: Edizione per il Banco di Sicilia realizzata dalla Storia di Napoli e della Sicilia società editrice. – Velardi, C. (a cura di) (1992). La città porosa. Conversazioni su Napoli. Napoli: Cronopio.
Giorgio Trivellin Architetto. giorgiotrivellin01@gmail.com
Unexplored Land The expansion of the city gathers more than half of the earth's population in overcrowded urban contexts, triggering environmental and social complications. Ecological awareness calls for a new economy and new ways of living in order to guarantee the future for the next generations. With "Countryside: The Future" at the Guggenheim Museum in New York, nowadays the architect Rem Koolhaas urges to explore the countryside as a laboratory for new virtuous and inclusive ways of living. There are already proliferating examples of new alternatives to metropolitan governance and its environmental impasses.* partire dalla rivoluzione industriale complicazioni contemporanee ambientali e sociali sfidano i modi in cui le società umane si sono sviluppate. Ricadono nel primo settore fenomeni quali il cambiamento climatico, il picco della produzione petrolifera, l’esaurimento di minerali e metalli, l’erosione del suolo, la scarsità d’acqua dolce e il collasso della biodiversità. Nel secondo, invece, problematiche inerenti a disoccupazione, welfare inadeguati, analfabetismo, polarizzazione della ricchezza e discriminazioni. I nostri metodi di procurare e gestire le risorse di base, in particolare il cibo, ma anche di abitare e organizzare territori, architettura e urbanistica,
ne saranno necessariamente influenzati nei decenni altamente problematici a venire. Dal punto di vista urbano, l’espansione delle città del secolo scorso ha catalizzato più della metà della popolazione terreste in contesti urbani super-affollati, super-connessi, super-caldi, super-rumorosi innescando processi di disgregazione interna e di incontrollata espansione esterna. La chiamata ad uno sviluppo sostenibile nel giro di pochi anni è al centro di varie discipline che legano il pensiero ecologico a soluzioni per valorizzare le risorse e permettere condizioni di vita sane, economicamente produttive e felici. Allora viene da chiedersi se le metropoli siano davvero il destino dell’umanità, oppure dobbiamo solo ampliare il nostro sguardo oltre le mura urbane verso qualcosa che è lì e ci circonda: la campagna. Oggi è l’architetto Rem Koolhaas che punta il dito verso quella “terra incognita” come fosse un inesplorato laboratorio di nuovi modi di vivere economicamente virtuosi ed inclusivi, interessanti anche per le ricadute spaziali che forniscono. Negli ultimi trent'anni architetti e urbanisti hanno selezionato la città come materia di studio preferita dove riporre speranze di crescita economica e sociale nel lungo termine deluse. Lo sviluppo disordinato di quartieri a bassa densità abitativa che divorano la campagna, urban sprawl, è il nuovo paesaggio che domina le grandi e me-
die città della nostra penisola. Questo indiscriminato “cadere scomposto” si verifica anche oltreoceano dove trova il suo modello implicito in una nuova forma urbana, la Megalopoli. Introdotta dal geografo Jean Gottmann questa parola si usa oggi per indicare aggregati urbani con almeno venti milioni di abitanti. È forse utile ricordare che nel 1850 solo il 3% della popolazione mondiale viveva in città, mentre oggi, secondo le stime pubblicate dalle Nazioni Unite nel 2018, questa percentuale ha raggiunto il 54% e si prevede che nel 2050 si avvicinerà al 70%: i due terzi dell’umanità (UN, 2018). La città piatta cresce su sé stessa e inghiotte la campagna formando tutto intorno una moltitudine di segmenti residuali, né buoni né cattivi, né abitati, né coltivati, una zona grigia, favorendo occasioni di “terzo paesaggio” (Clément, 2005). Qui, dietro le case borghesi, la città ha prodotto orizzonti sterminati di casamenti squallidi e treni fuggenti da cui escono le storie sinistre della periferia. Ma il teatro metropolitano, troppo grande per essere compatto, si frammenta, si lacera anche al suo interno creando favelas e gated communities dove le grandi ingiustizie sociali si traducono in ingiustizie spaziali. Mentre un settimo della popolazione umana vive in bidonvilles al polo opposto ci sono quartieri per benestanti spesso sorvegliati da guardie armate che innescano il meccani-
Terra incognita
Un racconto dell’esposizione Countryside: The Future di Rem Koolhaas
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L’IMMERSIONE
L’espansione delle città ha catalizzato più della metà della popolazione terreste in contesti urbani super-affollati, super-connessi, super-caldi, superrumorosi OFFICINA* N.33
01. L'allestimento della mostra "Countryside: the future" al Museo Guggenheim di New York. The installation of the exhibition "Countryside: the future" at the Guggenheim Museum in New York. Laurian Ghinitoiu
smo di privatizzazione della città. Tristi periferie e ghetti urbani esiliano i meno abbienti che cercavano in città quella presunta vita migliore. Al contrario downtown e grattacieli proteggono i ricchi che esigono il comfort, il decoro, la privacy. Il saccheggio del mondo impone allora una nuova etica, un’etica del presente, della responsabilità che il filosofo Hans Jonas traduce nella formula “imperativo ecologico” (Jonas, 1990) dove Economia ed Ecologia si alleano per garantire il futuro alle prossime generazioni. Tuttavia l'urbanizzazione totale richiede che qualcosa dietro l’urbano sia il motore che permetta alla città di esi-
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stere. L’architetto Rem Koolhaas, dopo aver passato anni della sua carriera a indagare in prima linea le conurbazioni cittadine, abbandona il comfort e oltrepassa i confini urbani. Con l’esposizione Countryside: The Future (da febbraio ad agosto 2020) al museo Guggenheim di New York raccoglie campioni globali di quel “retro” per costruire un quadro composito dell'attuale condizione di “campagna” (termine palesemente inadeguato per tutto il territorio che non è urbano) e mostrare qualcosa di nuovo, prove di “progresso", allarmi che non sono mai arrivati in città. L’esposizione è un assortimento di episodi e ricerche per conoscere e per disfare
02. Particolare dell'allestimento della mostra e uno dei crescioni inventati nella serra olandese Koppert Cress ed esportato in tutto il mondo. Detail of the exhibition and one of the cress invented in the Dutch greenhouse Koppert Cress and exported all over the world. Laurian Ghinitoiu and Luca Locatelli
i meccanismi interni di un territorio completamente alieno, ignoto. Oggi la campagna è in gran parte fuori dal (nostro) radar se consideriamo che le sue condizioni e il suo futuro erano una priorità fino al secolo scorso: l'Unione Sovietica, il New Deal, la Germania nazista, Mao e l'UE stavano sperimentando enormi sforzi per migliorare la sua accessibilità ed efficienza. Anche i primi presidenti di paesi africani recentemente indipendenti e leader arabi come Nasser, Gheddafi, Saddam Hussein hanno pubblicato trattati agricoli che erano componenti importanti delle loro rivoluzioni. La campagna era una tela su cui ogni movimento, ideologia, blocco politico e singolo rivoluzionario proiettava le proprie intenzioni. Tuttavia gli ultimi tre decenni di storia politica e urbana sono stati caratterizzati dall'aspettativa compiaciuta che un tipo di civiltà – “metropolitana, orientata al capitale, agnostica, occidentale” (AMO, Koolhaas, 2020) – sarebbe rimasta il modello per lo sviluppo globale per sempre. In quel retro, che definirlo ignoto non è allora sbagliato ma un atto strategico per analizzarlo con gli occhi di chi non sa nulla, Koolhaas percepisce la campagna come la pianura dell’immaginazione. “Oggi anche una città "nuova" è familiare: un prevedibile accumulo di strade, torri, icone... Ma non appena lasciamo la condizione urbana alle nostre spalle ci confrontiamo con la novità e con ciò che è profondamente sconosciuto” (AMO, Koolhaas, 2020, p.
2). L'ipotesi è dunque che si possa già trovare lì un tesoro di lezioni ed esempi per avviare o negoziare delle alternative alla governance metropolitana e alle sue impasse ambientali. Lì nel confine tra naturale e artificiale, tra modernità e tradizione, mentre si avvicina la fine dell’era dei combustibili fossili, si sono sviluppate “testimonianze di un nuovo pensiero, nuovi modi di pagare, nuovi modi di coltivare, nuovi modi di costruire, nuovi modi di ricordare, nuovi modi di esplorare, nuovi modi di agire, vecchi modi di contemplare ed essere, nuovi modi di usare nuovi media, nuovi modi di possedere, affittare, nuovi modi di proteggere, nuovi modi di piantare, nuovi modi di coltivare, nuovi modi di fondersi, nuovi modi di raccolta, che stanno già avvenendo al di là di una coscienza metropolitana” (AMO, Koolhaas, 2020, p. 3). Lo scrittore tedesco Niklaas Maak racconta, in una sezione dell’esposizio-
Oppure dobbiamo solo ampliare il nostro sguardo oltre le mura urbane verso qualcosa che è lì e ci circonda: la campagna 78
ne, il suo viaggio nel Sud dell’Italia alla scoperta di borghi che sembrano essere inaspettatamente risorti e ripopolati dopo anni di abbandono. Sono i paesi di Riace e Camini i protagonisti della storia i quali per oltre due millenni hanno ospitato abitanti che vivevano tra agricoltura, olivicoltura e viticoltura. Dopo la seconda guerra mondiale molti giovani sono partiti in cerca di lavoro, emigrando nel nord del Paese o in Germania. Di oltre 1.000 abitanti ne erano rimasti meno di 250. Le case cadevano a pezzi. I negozi e le scuole chiusero. Finché un giorno nel 1998 una barca di profughi Curdi si arenò sulle rive di Riace Marina e il sindaco del paesino chiese soldi al Governo italiano per accogliere i profughi e per offrire loro una formazione professionale. All'improvviso c’è di nuovo vita negli stretti vicoli. A Camini, Rosario Zurzulo e sua moglie Giusy Carnà fondano una cooperativa, denominata Jungi Mundi, finanziata con il contributo del Ministero dell'Interno italiano per creare opportunità di lavoro per i rifugiati. Il villaggio è risorto. Oltre 150 rifugiati, provenienti da Siria, Sudan, Eritrea, Costa d'Avorio, Iraq, Bangladesh e Afghanistan aiutano a ricostruire le vecchie case per poi abitarci. Così bar e negozi riaprono e la scuola passa da otto a cinquanta bambini. Le donne siriane iniziano a produrre sapone di Aleppo e marmellata cotta, mentre i vasai eritrei fondono le loro conoscenze con i ceramisti calabresi, creando nuove forme di cera-
L’IMMERSIONE
03. Alcune delle tante domande che Rem Koolhaas inserisce nella parte finale del catalogo dell’esposizione. Some of the many questions that Rem Koolhaas lists in the final part of the exhibition catalog. AMO, Koolhaas
mica. Tra gli 800 migranti, rifugiati e richiedenti asilo da 20 paesi diversi c’è anche una stilista nigeriana che è stata quasi costretta a prostituirsi prima di arrivare a Camini dove crea gli abiti più belli. Ci sono poi quattro rifugiati che aiutano i vecchi del paese a trasportare una statua di Cristo fuori dalla Chiesa locale alla spiaggia (un rituale che non veniva praticato da decenni poiché nessuno degli anziani residenti era più in grado di farlo). Con una prova di inaspettata contemporaneità per un paesino dell'Appennino calabro, questi villaggi italo-afro-arabi misurano un nuovo modello di vita così attraente da richiamare alcuni autoctoni in città. Spazio di sperimentazione e modelli di vita alternativi forniscono una possibile soluzione per un problema attuale come quello dei migranti e scenari di sopravvivenza per borghi storici esclusi da logiche di mercato. Di tutt’altro sapore sono invece permeate le campagne della città diffusa olandese che appaiono altamente calibrate, ottimizzate, ingegnerizzate. Scatole di vetro ad un piano tutte uniformi tra loro sono le cattedrali delle culture orticole che producono in modo così efficiente da far diventare il piccolo paese sotto il livello del mare il secondo esportatore di cibo al mondo. A Manhattan, Rem Koolhaas aveva trovato "una metropoli archetipica che ha scolpito il paesaggio in un tappeto cartesiano di macchine illuminate in lega di acciaio che corrono da Nord a Sud,
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Est-Ovest e verticalmente in una scansione infinita, una danza decentralizzata di sopravvivenza della forma più adatta” (AMO, Koolhaas, 2020, p. 41). Lo stesso accade in una fabbrica nell’Ovest dei Paesi Bassi ma al posto di persone sono le piante ad essere spostate e seguire percorsi definiti. Un bagliore magenta di sole artificiale ottimizzato fa crescere il crescione (pianta erbacea perenne della famiglia delle Crocifere), i portali smistano le colture parcellizzate attraverso un percorso a ostacoli strettamente calibrato per la coltivazione di precisione: una giungla infrastrutturale con la complessità di una metropoli dedita interamente alla raccolta di una singola specie perfetta di verdura. Un’atmosfera completamente controllata tanto che i robot limitano la presenza umana e gli OGM e i pesticidi sono superflui. Un trionfo cartesiano avvolto nel silenzio di “architetture post-umane” (AMO, Koolhaas, 2020). “Oggi la nuova questione urbana emerge in anni di profonde crisi delle economie e delle società occidentali, anni in cui la crescente individualizzazione e destrutturazione della società e una maggiore consapevolezza della scarsità delle risorse ambientali, unite a domande crescenti nei confronti della sicurezza, della salute e dell’istruzione, del processo tecnologico costruiscono un futuro incerto” (Secchi, 2013, p. 9). La mostra Countryside: the future è il fermo immagine di un’ossessione verso una nuova prospettiva e versione
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della civiltà oltre a quella urbana. Oggi che il cambiamento climatico minaccia un futuro cupo per le prossime generazioni, nuovi modelli in zone di confine proliferano. Nella metropoli diffusa non esiste ancora una gestione e valorizzazione delle risorse che è già in atto in alcune zone del mondo contrassegnate come “campagna”. E in tutto ciò Koolhaas si chiede: “ma dove sono finite le mucche?” (AMO, Koolhaas, 2020).* BIBLIOGRAFIA – AMO, Koolhaas (2020). Countryside, a report. Countryside in your Pocket! Köln: Taschen. – Clément, G. (2005). Manifesto del terzo paesaggio. Macerata: Quodlibet. – Jonas, H. (1990). Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Torino: Einaudi. – Secchi, B. (2013). La città dei ricchi e dei poveri. RomaBari: Edizioni Laterza. – United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2018). World Urbanization Prospects: The 2018 Revision (online). In https://population. un.org/wup/ (ultima consultazione aprile 2021).
Elisabetta Paglia Architetto. Collabora con Nauta Architecture&Research a Rotterdam. betta.paglia@gmail.com
Zero-waste Rotterdam Rotterdam, the second city of the Netherlands for population, has started a widespread process of transformation: the city aims at adopting a circular economy and a zero-waste system. The goal is a 25% reduction in the pollutant emissions within 2050, and to adapt step by step to climate change, referring to the model of Delta city, a resilient city that lives together with the water rising. Thanks to these strategies have been identified new scenarios capable of producing cascadeeffects in the economic, social and urban fields.* n’evoluzione green: da città business-oriented a città circolare Quando pensiamo a Rotterdam, seconda città per popolazione dei Paesi Bassi, facciamo certamente riferimento all’architettura di stampo moderno che la contraddistingue, ai grattacieli che compongono il suo skyline e al Porto, il più grande in Europa, una delle principali fonti di introito economico (img. 01). Tuttavia la città non è solo questo e, ad oggi, sta cercando di imporsi nel panorama europeo come nuova capitale green, portavoce di nuove forme economiche e di ricerca nel campo della sostenibilità.
Rotterdam nacque nel 1270, come villaggio di pescatori sulle rive del fiume Rotte. Successivamente sviluppò una florida economia basata sul commercio via acqua, instaurando relazioni commerciali con Inghilterra, Spagna, Francia e America. Il porto ha da sempre giocato un ruolo centrale nella storia della città, crescendo di dimensioni e importanza nel corso dei secoli, fino ad affermarsi nel XIX secolo come il più importante in Europa, grazie allo scavo di un ampio canale navigabile che collegò direttamente la città con il Mare del Nord, negli anni tra il 1866 e il 1872. Ciò che tuttavia ha maggiormente segnato l’evoluzione di questa città così come la vediamo oggi è stata la Secon-
da Guerra Mondiale, quando i bombardamenti tedeschi la rasero completamente al suolo. L’approccio seguito per la ricostruzione fu quello della tabula rasa, ovvero la progettazione di una città totalmente differente rispetto a quella passata, con nuovi schemi urbanistici e una connotazione moderna che guardava alle metropoli americane e, per questo, connotata da un rigido funzionalismo e da una visione urbana business-oriented (Couvreur, 2015), elemento caratterizzante piuttosto difficile da riscontrare nelle altre città europee. Tuttavia, proprio grazie all’assenza di una memoria storica urbana tangibile, Rotterdam si è sempre mostrata incline al cambiamento, dinamica e
01. Lo skyline di Rotterdam: il De Rotterdam e l’Erasmus Bridge. Rotterdam’s skyline: the De Rotterdam and the Erasmus Bridge. rotterdammakeithappen.nl, Ossip Van Duivenbode
Rotterdam Zero-waste
Strategie e visioni del processo di transizione verso la circolarità
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L’IMMERSIONE
open-minded. Nell’ultimo decennio ha intrapreso un processo capillare di radicale innovazione, tanto da venire insignita, nel 2015, del titolo di European City Of the Year dall’Academy of Urbanism (Carmona et al., 2017). Strategie di adattamento climatico e resilienza: verso una waterproof city La grande sfida che la città si è preposta è quella di aderire all’economia circolare e a un sistema zero-waste, avvalendosi anche del supporto della popolazione locale grazie a un processo partecipato che include al suo interno municipalità, cittadini e investitori. Rotterdam make it happen, slogan ufficiale di queste trasformazioni, dapprima diffuso in città tramite riviste e cartelloni pubblicitari, è diventato ora un portale internet, dove cittadini, investitori e istituzioni cittadine collaborano nella creazione di uno scenario fatto di immagini, articoli, suggestioni, capace di spiegare e di documentare in via digitale ciò che sta avvenendo in città. L’obiettivo è quello di ridurre, entro il 2025, del 50% le emissioni inquinanti e di adattare progressivamente la città al cambiamento climatico in corso, secondo la strategia comunale Rotterdam Climate Change Adoption Strategy. Questo obiettivo rientra nella visione UE che, in seguito al Consiglio tenutosi a fine 2020, si propone di ridurre significativamente le emissioni di gas serra entro il 2030, e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (von der Leyen, 2021). Rotterdam infatti è particolarmente sensibile al cambiamento climatico: è una “città delta” e, come tale, è interamente costruita al di sotto del livello del mare (a quota -6,67 m) e vive grazie a un ingegnoso sistema di ingegneria idraulica che la mantiene al sicuro dalle inondazioni. Tuttavia alcune conseguenze del cambiamento climatico quali l’aumento del livello del mare e dei fiumi che la circondano, il pericolo di precipitazioni più abbondanti, la siccità e l’aumento della temperatura (il cosiddetto urban warming) espongono la città a un forte rischio. Per questo è necessario mettere in campo alcuni interventi volti a rendere
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02. Floating Farm. rotterdammakeithappen.nl, Iris van den Broek
la città meno vulnerabile e più resiliente attraverso soluzioni mirate quali l’incremento delle zone verdi e permeabili, la creazione di nuovi spazi pubblici che sappiano immagazzinare l’acqua in eccesso e la progettazione di nuovi edifici galleggianti come innovativa e strategica tipologia architettonica. Il territorio viene pertanto percepito come luogo di sperimentazione e di verifica. Obiettivi economici e circolarità Allo stesso tempo questa sfida è anche economica, in quanto si ambisce a creare nuovi posti di lavoro nell’ambito della circolarità, seguendo un nuovo modello economico che reinterpreti l’economia tradizionale. Quando parliamo di economia circolare, o doughnut economy, (Raworth, 2018) facciamo riferimento a un sistema economico in contrapposizione a quello lineare, introdotto dall’economista inglese Kate Raworth nel 2012. In questo sistema le grandi sfide del benessere sociale e del cambiamento climatico sono affrontate non più mediante un approccio tradizionale volto alla crescita incondizionata, bensì mediante il raggiungimento dell’equilibrio tra il welfare di tutte le fasce della popolazione e l’uso delle risorse del pianeta, che vengono sfruttate in modo oculato, senza eccedere i limiti ecologici dei sistemi naturali. Questo modello è capace di generare introiti mediante nuove tipologie di oc-
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cupazione per settore. Ad esempio, nel settore edile avremo: - l’installazione e la realizzazione di pannelli solari per rendere la città autosufficiente dal punto di vista energetico; - la manutenzione dell’esistente, così da limitare l’inquinamento derivato dalle demolizioni e dalle nuove costruzioni; - la progettazione di nuovi edifici e porzioni di città con materiali sostenibili e riciclati. Nel settore agro-alimentare: - il potenziamento di agricoltura e agro-tecnologie al fine di rendere la città indipendente dal punto di vista alimentare; - il riciclo dei rifiuti organici. Nel settore dei beni di consumo: - l’eliminazione della plastica e il dimezzamento degli imballaggi; - la ricerca e la creazione di nuovi materiali sostenibili mediante il riciclo dei materiali di scarto. Nel settore della sanità invece: - l’utilizzo di energia rinnovabile per il funzionamento degli ospedali; - una migliore raccolta differenziata, l’utilizzo di saponi biodegradabili, ecc. Grazie al dialogo con gli investitori della città e con le istituzioni, volto a ricercare soluzioni e strategie per garantire introiti e generare nuovi posti di lavoro, viene garantito uno sviluppo solido e resiliente della società, grazie a un’economia nella quale “l’output di
La sfida che la città si è preposta è quella di aderire all’economia circolare e ad un sistema zero-waste
03. Floating Office Rotterdam. Powerhouse Company
un imprenditore diventa l’input di un altro”1. In tal senso, ad oggi, sono già 31.000 – sui 310.000 esistenti – i posti di lavoro circolari in città (MacArthur e Webster, 2015), e l’obiettivo è quello di aumentare tali numeri del 35% entro il 2030 (Galdek et al., 2018). È all’interno di questo contesto che si inseriscono alcuni casi studio urbani piuttosto emblematici, capaci di spiegare concretamente il cambiamento che si è innestato in città. Rotterdam città d’acqua Un primo caso studio è quello della Floating Farm e del Floating Office Rotterdam. Entrambi fanno parte della tipologia architettonica degli edifici galleggianti, una tipologia resiliente che vuole sperimentare quali potrebbero essere le nuove forme dell’abitare in una città che si adatta progressivamente alla condizione anfibia. Nell’ottica del cambiamento climatico infat-
ti, se non fosse possibile controllare l’aumento del livello delle acque con interventi cuscinetto, in particolare nelle zone sprovviste di dighe, intere aree urbane dovranno convivere con l’acqua mediante nuove modalità. La Floating Farm nasce nel 2017 come la prima fattoria galleggiante al mondo. È un progetto sperimentale volto a indagare quali possano essere le strategie più sostenibili per incrementare la filiera corta e per potenziare l’allevamento a km0, riducendo perciò inquinamento e rifiuti. La fattoria, che ad oggi ospita 30 mucche e produce latte e formaggi venduti all’ingrosso nei supermercati cittadini, è indipendente dal punto di vista energetico, grazie a pannelli solari, collettori di acqua piovana e turbine eoliche integrate con il panorama circostante. I rifiuti organici vengono riutilizzati per concimare parchi e giardini. Lo stesso concept nella medesima area è in via di realizzazione anche per un allevamento di polli (img. 02).
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Il Floating Office Rotterdam, progetto dello studio Powerhouse Company, è in via di costruzione. Si tratterà dell’edificio galleggiante per uffici più grande al mondo, e ospiterà la sede del Global Center on Adaptation, una ONG che mira a promuovere la pianificazione, gli investimenti e la tecnologia per mitigare il cambiamento climatico. La struttura si svilupperà su tre livelli e sarà realizzato con un sistema costruttivo timber frame, in legno strutturale: grazie a questo l’edificio minimizzerà le emissioni di CO2, e potrà essere smontato o spostato a seconda delle esigenze. Particolare attenzione è stata posta all’efficienza energetica, raggiunta grazie ai pannelli solari posizionati sul solaio di copertura e a un sistema di scambiatori di calore che utilizza l'acqua del porto (img. 03). Il secondo caso studio è quello di Benthemplein Square, una water square, ovvero una piazza/spazio pubblico pensato come magazzino di stoccaggio per le acque meteoriche in eccesso (Boer, 2014). Benthemplein Square è capace di stoccare fino a 1.700 m3 di acqua piovana. Costruita nei pressi di un liceo, è concepita come spazio ricreativo e sportivo, ed è capace di mutare aspetto a seconda delle condizioni climatiche. In caso di precipitazioni leggere la piazza immagazzina le acque in eccesso in vasche sotterranee, in caso di precipitazioni abbondanti invece si allaga, fungendo da vero e proprio
L’IMMERSIONE
04. Fenix Factory I. Mei Architecten
bacino idrico artificiale. Questo rende possibile lo smaltimento graduale dell’acqua in eccesso nel sistema fognario, evitando problemi di sovraccarico. La fruibilità dello spazio pubblico non viene compromessa, in quanto grazie a giochi d’acqua pensati per i più piccoli mantiene il suo carattere ludico in ogni circostanza. Lo spazio pubblico diventa pertanto un luogo dinamico e adattabile alle condizioni climatiche. Rotterdam città di up-cycling Il terzo caso studio è la Fenix Factory I, interessante esempio di riuso di un edificio esistente, non più inteso come restauro e conservazione di un edificio di pregio, ma diversamente come riutilizzo di edificio industriale, ogni qual volta questa scelta risulta più sostenibile ed economicamente più vantaggiosa della demolizione. La Fenix Factory I, shipping terminal in disuso dagli anni '80, oggi nuova food-hall a km0, diviene il basamento per un edificio residenziale a loft le cui fondazioni poggiano sul solaio di copertura. La demolizione del terminal infatti avrebbe prodotto molte tonnellate di materiali di scarto, dimostrandosi una scelta poco consapevole nell’ottica circolare. Questo intervento architettonico è estremamente innovativo, in quanto permette di riqualificare intere aree urbane riutilizzando al cento per cento l’esistente, senza stravolgere le caratteristiche originarie dell’area. I loft sono flessibili e, sfruttando al meglio
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l’orientamento solare, sono efficienti dal punto di vista energetico (img. 04). Rotterdam città verde Il quarto e ultimo caso studio invece è quello relativo alle strategie per incrementare il verde e l’agricoltura urbana, in grado di rendere la città una “spugna” permeabile alle variazioni climatiche. Tra le varie strategie di implementazione del suolo permeabile possiamo ricordare il potenziamento dei giardini d’acqua collettivi nelle aree private comuni, dell’uso dei tetti verdi che consentiranno di immagazzinare in parte le acque meteoriche, delle aree di accumulo dell’acqua all’interno della città. Ad oggi infatti un sistema di questo tipo è già esistente ed è sviluppato mediante canali e piccoli laghi circondati dal verde e distribuiti uniformemente in tutti i quartieri periferici: queste blue lines andranno potenziate e collegate al water system urbano. Potranno inoltre rivestire anche la funzione di spazio per la socialità e il tempo libero. Per quanto riguarda invece il centro della città, più compatto e densamente costruito, sono stati previsti massicci interventi quali la trasformazione dell’Hofplein, una piazza ad oggi punto nevralgico del traffico automobilistico, in parco con la piantumazione di alberi e riduzione del suolo impermeabile lungo Cool-singel, il limitrofo asse stradale, anch’esso particolarmente trafficato. L’agricoltura urbana gioca anch’essa un ruolo importante, in quanto è ormai pratica comune che ampie aree cittadi-
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ne vengano attrezzate a orto e che i ristoranti ne utilizzino i prodotti per una cucina sostenibile e a km0, in cambio di manutenzione e mantenimento. Alla luce di queste considerazioni emerge come Rotterdam si stia preparando al cambiamento climatico anticipandolo, trovandosi cioè già strutturalmente pronta ad affrontare le emergenze ambientali, e dimostrandosi ancora una volta la più sicura tra le città delta. Allo stesso tempo le trasformazioni messe in atto permetteranno alla città di diventare più fruibile, più verde, più incline alle necessità dei suoi cittadini. Questo processo avviene non mediante lo stravolgimento del carattere della città bensì mediante una reinterpretazione in chiave contemporanea del tessuto urbano e degli edifici esistenti, così che vi sia integrazione e dialogo tra vecchio e nuovo, in linea con le esigenze reali dei cittadini. Vengono inoltre implementate le tipologie architettoniche presenti in città, con un focus particolare su strutture galleggianti e architetture anfibie o semi anfibie, così da creare oggi solide basi per un probabile scenario futuro. In conclusione, non è utopico pensare che gli interventi architettonici, se ben direzionati mediante una strategia ad ampia scala, possano davvero fare la differenza.* NOTE 1 – Questa citazione fa riferimento a un’intervista rilasciata da Diane Van Ewijjk, communication manager di Blue City, un incubatore di startup circolari e sostenibili con sede a Rotterdam. BIBLIOGRAFIA – Boer, F. (2014). Dancing in the rain. In My Liveable City. Mumbai: Ironmedia and Advisory Services, pp. 84-87. — Carmona, I. (2017). Urban (E)scapes. Rotterdam: PYSB Rotterdam. – Couvreur, E. (2015). Rotterdam walk: exploring cultural treasures, modern architecture and historic sites. Rotterdam: Coolegem Media. – MacArthur, E., Webster, K. (2015).The Circular Economy: A Wealth of Flows. Cowes: Ellen MacArthur Foundation. – Gladek, E., et. al (2018). Circular Rotterdam: opportunities for new jobs in a zero waste economy. City of Rotterdam. Disponibile su https://www.metabolic.nl/publications/ circular-rotterdam/ (ultima consultazione gennaio 2021). – Raworth, K. (2018). Doughnut economics: seven ways to think like a 21-st century economist. Londra: Cornerstone. — von der Leyen, U. (2021). Speech at the One Planet Summit (online). In https://ec.europa.eu/commission/ presscorner/detail/en/speech_21_61 (ultima consultazione gennaio 2021).
The Sustainability of the Product-system The topic of environmental sustainability, at the center of the political debate and fundamental for the choices that the main international organizations will have to make, is related, in this article, to the design discipline. There are many approaches that, with different degrees of complexity, can influence the environmental sustainability of a product: from green design to eco-redesign, from bio-inspired design to system design. Together with these, another hypothesis that can bring a significant innovation in the sustainability of the production system concerns the use of open manufacturing machinery.* videnziate dai mutamenti climatici e dai costanti flussi migratori, le questioni legate allo sviluppo sostenibile, saldamente interconnesse con quelle che interessano la crescita economica, sono di primario interesse nel panorama politico internazionale. Ad esempio, l’Accordo di Parigi, siglato da 195 Stati, si pone come obiettivo quello di mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2° C e guidare gli sforzi per limitare l’innalzamento della temperatura. Il Green New Deal intende invece convertire la tradizionale economia seguendo una nuova prospettiva che contempli il rispetto per l'ambiente all’interno di uno scenario economi-
Livello di complessità
Silvia Gasparotto Ricercatore, Università degli Studi della Repubblica di San Marino. silvia.gasparotto@gmail.com Green design Eco- redesign Bio-inspired design
Approcci legati al prodotto
Behavioral design Design emozionale
Approcci legati al comportamento
Deisgn sistemico Innovazione di sistemi socio tecnici Open Manufacturing
Approcci sistemici
01. Approcci al design per la sostenibilità ambientale. Approaches to design for environmental sustainability. Silvia Gasparotto
camente sostenibile e socialmente responsabile. A livello sistemico, proponendo iniziative che mettono assieme lo sviluppo economico e la transizione ecologica, anche l’Agenda 2030 definisce 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che delineano un comune progetto di pace e prosperità che interessa in egual misura gli esseri umani e il pianeta. La disciplina del design, grazie al suo approccio volto all’innovazione, gioca un ruolo fondamentale in questa transizione socio-economica verso la sostenibilità. Secondo Vezzoli e Manzini (2007) l’80% dell’impronta ecologica di un prodotto viene determinata in fase di progettazione e ciò significa tenere conto di moltissime variabili. Per ci-
tarne solo alcune: i fattori funzionali, quelli economici, i canoni estetici, le caratteristiche dei processi produttivi, i sistemi di distribuzione, consumo e dismissione, oltre all’impatto che il prodotto trasmette a livello sociale. Il designer deve quindi operare una continua mediazione tra i fattori stessi che determinano il progetto e tra coloro che ne hanno il controllo. Nonostante queste premesse, il filone di ricerca dedicato al design per la sostenibilità ambientale, dopo aver avuto il suo maggiore exploit durante gli anni Novanta e i primi anni Duemila, sembra aver subito un lento e graduale calo d’interesse fino al 2010, per poi attestarsi attorno a un valore mediano
La sostenibilità del sistema prodotto
Dall'eco-redesign all’open manufacturing
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L’IMMERSIONE
02. Scarpe biodegradabili. Biodegradable shoes. Adidas Futurecraft Biofabric
che perdura sino a oggi. Tale tendenza è confermata da una parte dal numero di prodotti editoriali e scientifici pubblicati, e dall’altra dal motore di ricerca Google Trends. Questo orientamento non sembra essere determinato dalla mancanza di interesse, ma dalla molteplicità di approcci metodologici con cui l’argomento stesso è stato finora affrontato e dal numero di progetti che, in modo più o meno efficace, hanno esaminato il tema della sostenibilità ambientale. Dal punto di vista teorico Ceschin e Gaziulusoy (2019) affrontano, all’interno di uno dei volumi più recenti sul tema, una interessante disamina dei principali approcci del design sostenibile. Alcuni di essi vengono qui sinteticamente espressi a partire da quelli a bassa complessità fino ad arrivare a quelli più articolati (img. 01). Un primo livello, costituito da azioni rivolte al prodotto, contempla gli approcci del green design, dell’eco-redesign, del design emozionale, del bioinspired design e del behavioural design volto alla sostenibilità ambientale. Lo scopo del green design è quello di diminuire l’impatto ambientale dei prodotti attraverso l’uso delle 3R “Riduci – Riusa – Ricicla”. L’attenzione si focalizza sull’utilizzo di materiali atossici, di energie rinnovabili, sull’efficientamento energetico dei prodotti e sull’utilizzo di risorse rinnovabili. L’eco-redesign ha invece come obiet-
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tivo quello di minimizzare il consumo di risorse naturali e di energia utilizzate per la realizzazione dei prodotti. A questo livello viene introdotto il concetto di ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Design), che consiste nella scomposizione e analisi (Life Cycle Assessment) di tutte le fasi di vita di un oggetto, dalla sua nascita alla sua dismissione. Altro approccio legato alla ricerca sul prodotto è quello relativo ai materiali. I filoni di riferimento, in questo caso, sono due. Il primo è chiamato cradle to cralde, che si basa sul presupposto di utilizzare materiali eco-efficienti che possono essere riutilizzati senza perdere le loro qualità, oppure reintegrati a fine vita nel ciclo naturale, senza produrre inquinamento (img. 02). Il secondo è chiamato bio-inspired design e utilizza la natura come modello al quale ispirarsi. Il presupposto di quest’ultimo orientamento risiede nel fatto che l’ambiente è il risultato di un’evoluzione durata millenni e che quindi il livello di perfezionamento è via via crescente. Gli approcci sin qui descritti fanno capo a una serie di strategie che mirano a ridurre l’impatto ambientale del prodotto, senza però tenere in considerazione i comportamenti delle persone. Il design del comportamento o behavioral design, se adottato in chiave ecologica, include nel processo progettuale anche lo studio del com-
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La disciplina del design gioca un ruolo fondamentale nella transizione socioeconomica verso la sostenibilità
portamento, più o meno sostenibile, di una persona in relazione all’oggetto in questione (img. 03). Il termostato Google Nest, ad esempio, attraverso la propria interfaccia, comunica in modo semplice non solo la temperatura domestica, ma anche quanto l’utilizzo del riscaldamento impatta sull’ambiente. Altro approccio connesso ad aspetti psicologico-percettivi è quello legato all’emozione. Per alcuni prodotti la fine del ciclo di vita non è dettato da problemi tecnici, ma interviene la cosiddetta obsolescenza psicologica. Per questo motivo si è cominciato a introdurre all’interno del processo di progettazione una particolare attenzione all’elemento emozionale. Questo accorgimento fa si che l’utente affezionandosi all’oggetto non lo percepisca come obsoleto. Accanto a questi approcci, legati prevalentemente al prodotto, è necessario introdurre anche quelli che agiscono a livello sistemico. L’innovazione di sistemi può essere definita come un mix di prodotti tangibili e servizi intangibili progettati e combinati in modo tale che, uniti assieme, siano in grado di soddisfare i bisogni delle persone. L’innovazione sostenibile di sistemi sia tecnologici che sociali non si basa sul possesso e sul consumo individuale, ma sempre di più sull’accesso e sulla condivisione. L’obiettivo del design sistemico è, invece, quello di immaginare una rete produttiva so-
stenibile nella quale i flussi di materiali ed energia sono progettati per fare in modo che lo scarto di un sistema diventi l’input di un altro sistema, producendo così meno rifiuti (Bistagnino e Petrini, 2009). Infine, attraverso l’innovazione di sistemi socio-tecnici è possibile progettare azioni e attività a lungo termine, spesso connesse con programmi governativi di ricerca, che mirano a prefigurare degli scenari futuri influenzati dall’innovazione tecnologica e da quella sociale. Questo approccio tenta di indirizzare una transizione verso la sostenibilità in modo etico, pacifico e graduale, che contempli da un lato la resilienza del pianeta e dall’altro il “principio di equità”. Uno tra i molti possibili scenari futuri è basato sul cambiamento del paradigma produttivo. In particolare, attraverso la diffusione e l’implementazione delle tecnologie legate all’open manufacturing è possibile immaginare un sistema ibrido nel quale gli oggetti vengono distribuiti in modo virtuale attraverso la rete internet, ma prodotti localmente con macchinari a controllo numerico, come ad esempio stampanti 3d o CNC (img. 04). La grande potenzialità di questi macchinari di fabbricazione consiste nella riproduzione dello stesso oggetto con le medesime caratteristiche, ma in modo decentralizzato. Si tratta di un sistema a network che, superando le regole della
Per alcuni prodotti la fine del ciclo di vita non è dettato da problemi tecnici, ma interviene la cosiddetta obsolescenza psicologica
03. Esempio di oggetto che modifica il comportamento considerando la sostenibilità ambientale. Example of an object that modifies behavior considering environmental sustainability. Google Nest
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L’IMMERSIONE
04. Computer Aided Woodcut CNC. Gerda Feldmeier, Wikicommons
Si tratta di un sistema a network che potrebbe diventare un potenziale volano economico e produttivo per la manifattura locale
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grande distribuzione, potrebbe diventare un potenziale volano economico e produttivo che favorisce la manifattura locale, pur all’interno del mercato globale sostenibile, abbattendo le emissioni derivanti dalla distribuzione e utilizzando materie prime locali (Gasparotto, 2020). Le caratteristiche di questi macchinari non sono ancora sufficientemente sviluppate per poter produrre oggetti a costi di mercato e con dettagli e finiture paragonabili a quelle di produzioni industriali, ma nell’ottica di futuri sviluppi tecnologici tale prospettiva potrebbe rientrare in quello che Magatti e Gherardi (2014) chiamano “economia della crescita integrale” ovvero un modello di sviluppo
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compreso in un sistema economico nel quale la condivisione delle informazioni, la partecipazione, la sostenibilità e la sperimentazione sono elementi che costituiscono i valori fondamentali di una progettazione che incorpora valori etici e sostenibili.* BIBLIOGRAFIA – Bistagnino, L., Petrini, C. (2009). Design sistemico: progettare la sostenibilità produttiva e ambientale. Bra: Slow food Editore. – Ceschin, F., Gaziulusoy, İ. (2019). Design for Sustainability: A Multi-level Framework from Products to Socio-technical Systems. Londra: Routledge. – Magatti, M., Gherardi, L. (2014). Una nuova prosperità: quattro vie per una crescita integrale. Milano: Feltrinelli. – Gasparotto, S. (2020). From 0 to 20: An evolutionary analysis of Open Design and Open Manufacturing. Strategic Design Research Journal, n. 13, pp. 57-71. – Vezzoli, C., Manzini, E. (2007). Design per la sostenibilità ambientale. Bologna: Zanichelli.
Andrea Bernava Architetto e Istruttore Tecnico presso il Comune di Sesto al Reghena nel Friuli Venezia Giulia. andrea.bernavas@libero.it
(Friulian) Territorial Secession The small compendium of the Nevian universe is changing: its territorial heritage is eroding, not due to the impetus of Tagliamento river but as a result of the 1970s economic-urban planning , now unsuitable for the economic and social enhancement of the territory’s resources. The crisis of the regional mountain ranges is a phenomenon known since the post-war period, but in these areas it hasn’t always been possible to activate projects that are truly sustainable in the long term. Landscape, Ecology, Economy: rethink and implement new policies with the structural and operational tools at our disposal.* l piccolo compendio dell’universo neviano sta mutando, il suo patrimonio territoriale (materiale e immateriale) si sta erodendo, non a causa dell’impeto tilaventino ma per effetto di supertisti politiche economiche-urbanistiche degli anni ’701 oramai inadatte sia alla conservazione che alla riproduzione della vita economica e sociale fondata sulle risorse proprie del territorio. La crisi economico-demografica degli areali montani e alto collinari è un fenomeno ormai noto dal dopoguerra ad oggi, tuttavia non si è riusciti ad attivare programmi di sviluppo sempre sostenibili nel lungo periodo (molto spesso basandosi solo su iniezioni contributive prive di
01. Il paesaggio rurale pinzanese ai primi del ’900. The rural landscape of Pinzano in the early 1900s. Collezione Emanuele Fabris
progettualità). L’unico obiettivo perseguibile diviene pertanto la messa in valore del patrimonio territoriale attraverso la costruzione di un’economia locale autosostenibile, costruita sull’interazione tra settore economico primario e terziario. La messa in valore del patrimonio territoriale come vedremo in seguito, coinciderà con un approccio innovativo che di fatto traspone la prassi del restauro su un oggetto diverso dal consueto, un opera d’arte a scala territoriale: il paesaggio. Il taglio temporale in questione, che scaturisce da un’analisi diacronica fatta di metadati e fonti documentali (sublimati da valori identitari direttamente riconosciuti dalla comuni-
tà) ci riporta a quel paesaggio rurale visibile sino alla prima metà del ’900, costrutto di morfologie naturali ed antropiche millenarie: terrazzi golenali dalle magre praterie, suoli umidi di resultiva, campi di modeste dimensioni diversamente orientati secondo la giacitura e l’esposizione, geometrici filari di siepi e alberature interpoderali, sentieri, mulattiere e capezzagne, ciglionamenti e muretti a secco, colline arse e circoscritti boschi di castagno, un tempo tanto cari alla Dominante. Boschi diversi da quelli attuali e, dato che di vero e proprio restauro si tratta, il fenomeno di degrado in questione risulta proprio l’avanzare del bosco, un bosco di successione
Secessione territorialista (furlana)
Il restauro del paesaggio attraverso la costruzione di un’economia locale autosotenibile 88
L’IMMERSIONE
02. Un progetto di restauro del Paesaggio di tipo “molecolare”: una rete di microprogetti uniti dalla sentieristica storica (legenda: 01 Col Pion, 02 Colle del Castello, 03 Gelso monumentale, 04 Agroparco Bas-Tese-Businiat, 05 Casa del traghettatore). A “molecular” landscape restoration project: a network of micro-projects united by historical pathways (legend: 01 Pion hill, 02 Castle hill, 03 Monumental mulberry, 04 Bas-Tese-Businiat Agropark, 05 Ferryman’s house). Andrea Bernava
Un progetto di rigenerazione territoriale contro la “chiusura del paesaggio” conseguente gli abbandoni agricoli
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ecologica secondaria, fatto di specie alloctone a rapido accrescimento, non funzionale alla conduzione agro-silvo-pastorale ed elemento di dissesto idrogeologico per i fragili pendii argillosi. Ebbene, come buoni restauratori, ragioniamo ora sulle cause generatrici del degrado, ovvero: l’abbandono delle pratiche agro-silvo-pastorali dal dopoguerra ad oggi. La politica del “miracolo” economico postbellico ha mutato il contesto socio economico sacrificando i saperi locali, in nome del globale sviluppo industriale figlio della civiltà delle macchine. Per il contesto montano tale politica poco avveduta, o forse forte del dominio tecnologico sulla natura, ha messo in crisi un’economia fatta di
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agricoltura e ha minato quel rapporto di cura del territorio insito proprio nella tradizioale pratica agricola. L’abbandono delle sistemazioni idraulico agrarie è strettamente correlato alla mitigazione del rischio idrogeologico: se vengono meno le opere e i mezzi tecnici ad assicurare la regimazione delle acque nel suolo, quest’ultimo accelera il suo continuo movimento. Seppur con dinamiche diverse era già accaduto al tempo della decadenza dell’Impero Romano, quando l’abbandono del sistema di canalizzazioni dell’agro aquileiese aveva nuovamente reso l’ambiente ostile alla vita dell’uomo segnando definitivamente la caduta del più prospero emporio della regio X Venetia et Histria.
03. Il bosco di successione ecologica secondaria (elemento di degrado) ha progressivamente depauperato il paesaggio agrario storico, anno 2015. The forest of secondary ecological succession (an element of degradation) has progressively impoverished the historical agricultural landscape, year 2015. Massimiliano Santin
Attivazione di pratiche territoriali tradizionali in chiave innovativa per il restauro del Paesaggio
L’elaborazione di nuove strategie socio-economiche non può perciò prescindere dall’analisi delle precedenti politiche economiche. Il così detto Progetto di programma economico nazionale 1973-1977, espressamente ripreso dal Piano Urbanistico Regionale Generale del Friuli Venezia Giulia (attualmente in vigore dal 1978) e consapevole di uno sviluppo urbano irrazionale e scarsamente controllato, promuoveva obiettivi di sviluppo socio-economico molto green e forse non a caso in linea con i nascenti movimenti ambientalisti dell’epoca. Tra quegli obiettivi annoveriamo: la difesa e l’uso razionale della già riconosciuta “risorsa suolo”, la promozione di una attiva politica di formazione e conservazione delle aree agricole, la tutela e la valorizzazione delle fasce marine lacuali e fluviali, e la valorizzazione e difesa della montagna. Proprio alla montagna veniva attribuita una funzione territoriale rilevante, sia in termini qualitativi che quantitativi, alla quale doveva essere dedicata una particolare politica di interventi: conservazione del patrimonio culturale e paesaggistico, sviluppo delle attività specifiche e compatibili al fine di contrastare la depauperazione economica e sociale e l’abbandono degli
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insediamenti e delle attività sul suolo. Ma se gli obiettivi di allora risultano tuttora condivisibili, la strategia allora adottata si è dimostrata inadatta al loro perseguimento: l’unica soluzione prospettata era il potenziamento della struttura urbana zonale sotto il profilo produttivo, infrastrutturale e residenziale, attenuando il processo di gravitazione la sulle planiziali aree produttive pordenonese e udinese, con la creazione di agglomerati industriali sussidiari di pedemontana. Poco o niente veniva invece indicato per lo sviluppo di un agricoltura montana sostenibile, il cui unico futuro doveva essere la zootecnia di grande scala, strettamente correlata allo sviluppo delle colture foraggere (come già dai primi dell’800) (Menegon, Del Zan, Bovolenta, 2010) e in particolare di quei cereali destinati alla produzione di insilati. L’investimento pubblico doveva invece occuparsi dell’alta e media pianura, incentivando lo sviluppo della rete irrigua e il riordino fondiario con la conseguente distruzione di quel mosaico che era il paesaggio agrario friulano del cjamp a la grande e a la pizule. Si creava così il paesaggio della monocoltura del mais (alla quale oggi si affianca la viticoltura estensiva)
L’IMMERSIONE
04. La fase operativa della trinciatura meccanica per la rigenerazione dei prati magredili del Pontaiba, anno 2018. The operational phase of mechanical shredding for the regeneration of the magredili meadows of Pontaiba, year 2018. Emiliano De Biasio
e dei grandi allevamenti per la produzione di carne. Questo atteggiamento, figlio di una cultura che supponeva legittimo e progressivo separarsi dalla natura e dalla storia, ha incrementato il fenomeno dell’abbandono della montagna e dell’alta collina friulana, processo socio-culturale che si è perpetrato senza soluzione di continuità dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Le piccole Amministrazioni Comunali delle comunità montane si trovano pertanto a gestire con scarse risorse umane e finanziarie (a eccezione di qualche contributo regionale erogato ad hoc per il sostentamento dei servizi basilari al cittadino) dei territori sempre più spopolati, senza prospettive occupazionali e con un patrimonio territoriale che rischia di essere cancellato dall’incuria del tempo e dell’uomo. Nell’odierna crisi economica, di valori e di indentità, come può fare quindi un fragile Comune montano a rigenerare il proprio patrimonio territoriale? Come si può generare economia locale sostenibile nel contesto di un’intricato labirinto normativo? Il “Modello Pinzano”, ideato nel 2016 e attualmente progetto in itinere, è il concreto esempio di come un Ente
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Locale possa fronteggiare la perdita di dinamismo socio-economico generata dal fallimento di modelli economici di massa. Per fare ciò ci siamo ispirati all’esperienza francese della Valléè de la Bruche, in cui già a partire dagli anni ’80 la Direzione Dipartimentale Agricoltura e Foreste aveva elaborato un progetto di rigenerazione territoriale contro la “chiusura del paesaggio” conseguente gli abbandoni agricoli. Similmente, la nostra strategia si è basata su un progetto di valorizzazione territoriale di tipo “molecolare” (rete di microprogetti), promuovendo l’innovativa sinergia tra strumenti di carattere strutturale-finanziario di derivazione europea e regionale. Stiamo parlando dell’interrelazione tra la LR n.10/2010 Recupero dei terreni incolti e il Piano di Sviluppo Rurale FVG ’14-’20. La multidisciplinarietà necessaria a questo tipo di progettualità, ha poi previsto l’attivazione e la collaborazione di molteplici attori sociali con un team composto da un amministrazione, un’architetto, un’agronomo, un’allevatore e dal servizio forestale. Ne consegue l’attivazione di pratiche territoriali tradizionali in
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chiave innovativa per il “restauro del paesaggio” agrario e rurale storico, e la ricomposizione delle sue morfologie identitarie (img. 01) (Riegl, 1990). La riconversione produttiva di suoli incolti da sottrarre alla successione ecologica del bosco di neoformazione (elemento di degrado a scarsa biodiversità) è pertanto operata da un’ azienda zootecnica locale, la quale sostenuta dalle forme contributive sopracitate viene gestita secondo un Piano di Gestione degli Interventi elaborato per micro ambiti. La prima fase è stata l’elaborazione di uno scenario futuro (img. 02) attraverso la messa in rete di 5 microprogetti per la valorizzazione di relitti rurali in totale abbandono, collegati tra loro dalla sentieristica storica dell’anello CAI 822 che un eroico volontariato ha comunque provveduto a manutentare nonostante la impari lotta contro la vegetazione invasiva. Successivamente si è provveduto a rielaborare il quadro normativo regionale in materia di risorse forestali, relativo all’utilizzazione dei terreni incolti2 e al contenimento del bosco per l’equilibrio dell’ecosistema e del paesaggio3, permettendo così l’avvio del nostro progetto attraverso gli strumenti di
cui alla L.R. 10/2010 Interventi di promozione per la cura e la conservazione e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati dell’area montana. Si è effettuata in seguito la verifica catastale delle particelle boscate oggetto di intervento, le quali dovevano essere catastalmente individuate come pascolo, prato o seminativo non oggetto di pratiche selvicolturali da almeno vent’anni4. Attestata quindi l’ammissibilità al recupero dei nostri terreni incolti, si è provveduto a individuarne la classe di pendenza e lo stato di degrado secondo quanto prescritto dal D. P.Reg. n.259/2011, nonché regolamento di attuazione della L.R. 10/2010. Lo step seguente è stato l’elaborazione del documento finalizzato alla richiesta di contributi erogati ai sensi della medesima legge. In questa fase abbiamo fatto la differenza: con la finalità di perseguire quell’auspicata autosostenibilità nel lungo periodo, abbiamo voluto mettere nelle più solide condizioni economiche il soggetto operatore che avrebbe eseguito la riconversione. Si è elaborato quindi, un quadro sinottico di modalità operative per la tutela della biodiversità dei prati/pascoli che permettesse l’accesso ai contributi erogabili dal Piano di Sviluppo Rurale FVG ’14-’20. nonchè a quelli derivati dalla L.R. 10/2010. In sintesi, la ratio è stata quella di adottare pratiche ecologicamente virtuose e funzionali al nostro progetto che nel contempo permettessero l’accesso ai contributi PSR. Questo approccio sistemico si è quindi rivelato un decisivo contributo sia in termini economici che operativi, permettendo il mantenimento delle aree riconvertite con pratiche agro-zootecniche ecologicamente virtuose, quali a titolo esemplificativo: la riduzione del carico di bestiame sulla superficie pascolata (≥ 0,4 e ≤ 1,4 UBA/ha) per un periodo del pascolamento non inferiore ai 75 giorni all’anno, assicurando almeno il 70% dell’alimentazione caprina da superfici pascolate, ed effettuando la pulizia annuale dei pascoli dalle infestanti erbacee e arbustive. Con la redazione di un Piano di Gestione degli Interventi si è poi mirato alla caratterizzazione degli interventi di riconversione e man-
tenimento, attribuendo a ciascuna area specifiche modalità operative rapportate al relativo degrado ambientale. Nel particolare, per i terreni a giacitura piana (parco del Mulino di Borgo Ampiano e Pontaiba) (img. 03) si è puntato alla riconquista del prato stabile attraverso l’eliminazione di tutta la copertura arborea costituita da prevalenti ceppaie di populus nigra e vegetazione arbustiva di alnus glutinosa, amorpha fruticosa. La modalità operativa prevedeva dapprima azioni di decespugliamento, con asportazione della biomassa legnosa al fine di evitare apporti di sostanza organica; successivamente l’aratura delle superfici maggiormente invase da specie alloctone al fine di interrane le ceppaie e inibirne la capacità pollonifera; infine la ricolonizzazione spontanea dei prati con sfalci di contenimento dei ricacci di amorfa. Per i terreni acclivi (colle del Castello e col Pion) interessati dalla colonizzazione di rubus fruticosus, robinia pseudoacacia, quercus rubra, ailanthus e phytolacca, si è attuata la riduzione della vegetazione invasiva mediante un primo passaggio meccanico manuale (senza estirpazione delle ceppaie sui pendii), con successivo passaggio di ovicaprini per il mantenimento e la riduzione della ripresa vegetativa delle aree aperte – infraperte (imgg. 04-05). Prima di concludere lasciamo lo spazio a due ultime considerazioni. La prima, vuole sottolineare come il Codice dei beni culturali e del paesaggio5 consenta l’attuazione di queste attività agro-silvo-pastorali purchè non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie e altre opere civili, e che non alterino l’assetto idrogeologico. L'altra considerazione va fatta in termini di snellimento del carico burocratico nella fase di individuazione del soggetto operatore: va ricordato infatti come il Codice dei contratti pubblici6 consenta procedure “agili” per l’affidamento diretto di lavori di importo sotto soglia senza la consultazione di due o più operatori economici, o tutt’al più previa valutazione di tre soli preventivi. Questo modello di sviluppo ha così permesso al Comune di Pinzano di poter risparmiare sui capitoli di spesa (al
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05. Le capre dell’azienda Capramica al pascolo sul Colle del Castello: strumenti per il contenimento della ripresa vegetativa, anno 2019. Capramica farm goats grazing on the Colle del Castello: tools for limiting vegetative growth, year 2019. Debora Piantanida 06. Un vero supporto alla filiera agro-alimentare locale, con la produzione e la vendita a km0 di formaggio caprino autoctono, derivato di una sana alimentazione fatta del foraggio di prati magredili e pascoli rigenerati. A real support to the local agro-food chain, with the production and sale at km 0 of native goat cheese, derived from a healthy diet made of forage from lean meadows and regenerated pastures. Azienda Agricola Capramica
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07. I risultati del Modello Pinzano: riemerge il Paesaggio storico dei prati arborati sul Col Pion, anno 2020. Progetto premiato con la Bandiera Verde come pratica innovativa ed esperienza di qualità ambientale e culturale. The results of the Pinzano Model: the historical landscape of the wooded meadows on the Col Pion re-emerges, year 2020. Project awarded with the Green Flag as an innovative practice and experience of environmental and cultural quality. Objective photo - Ruben Sacilotto and Fabrizio Moccia NOTE titolo I) per la manutenzione del patri- 1 – La secessione territorialista di cui al titolo nasce monio, consentendo all’azienda locale proprio dalla rielaborazione di questi modelli di sviluppo Capramica, affidataria dell’esecuzione figli di un fordismo annientatore di saperi locali, così come sovente riportato dal Prof. Alberto Magnaghi); del progetto, di generare utile dalla essa non vuole essere solo un passivo allontanamento cura del proprio territorio. Un dato: da tali economie di massa ma, come vedremo, vuole bensì realizzare nuove economie commisurate alle reali per la manutenzione di questi 16 ettari risorse del territorio, unendo saperi locali a strumenti comunali con 70 capi, Andrea Zannier programmatico-finanziari a nostra disposizione, e forse troppo spesso non considerati. (titolare di Capramaica) risparmia una 2 – Rif. normativo art. 86 (Utilizzazione dei terreni media di 3.600 euro di foraggio per la abbandonati o incolti) c.1, L.R. 9/2007 Norme in materia sola stagione estiva, compensando con di risorse forestali. 3 – Rif. normativo art. 85 (Tutela dell’ambiente rurale, dei la gratuita e genuina alimentazione al prati e dei pascoli) c.1, L.R. 9/2007 Norme in materia di pascolo. Un vero supporto alla filiera risorse forestali. 4 – Rif. normativo art. 86 (Utilizzazione dei terreni agro-alimentare locale, con la produ- abbandonati o incolti) c.3, L.R. 9/2007 Norme in materia zione e la vendita a km0 di formaggio di risorse forestali. 5 - Rif. normativo art. 149 (Interventi non soggetti ad caprino autoctono (img. 06), derivato autorizzazione) c. 1 lett. b), D.Lgs. 42/2004 Codice dei di una sana alimentazione fatta del fo- beni culturali e del paesaggio. raggio di prati magredili e pascoli rige- 6 – Rif. normativo art. 36 (Contratti sotto soglia) c.2 lett. a) e b), D.Lgs. 50/2016 Codice dei contratti pubblici.
Un vero supporto alla filiera agroalimentare locale, con la produzione e la vendita a km0 di formaggio caprino
nerati. Si sono resi nuovamente fruibili al turismo le rovine di un castello con il suo carpino monumentale (divenuto ormai landmark condiviso dai visitatori), un totemburg germanico unico per il suo morfotipo e decine di avamposti della guerra fredda che a breve saranno oggetto di un intervento di restauro conservativo; e poi la viabilità storica millenaria, i prati magredili e i pascoli d’altura (Aloisi et al., 2011); il tutto in riva al re dei fiumi alpini oggi candidato a patrimonio UNESCO: il Tagliamento. Questo vuol dire fare ecolomia.*
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BIBLIOGRAFIA – Aloisi, S., Anastasia, D., Bulfon, A.M., Candon, I., Colledani, G., Daffarra, M., De Biasio, L., Fabris, E., Missana, D.,Mizzaro, S.,Raccanello, R., Reale, I., Ricci, M., Tockner, K., Toffolutti, S., Vecchiet, R., (2011). Pinzano al Tagliamento. Il territorio e la sua gente. Pordenone: Omino Rosso. – Menegon, S., Del Zan, F., Bovolenta, S. (2010). L’uomo domini sul bestiame...Dalla pastorizia alla zootecnia. Gorizia: E.R.S.A. Agenzia regionale per lo sviluppo rurale. – Riegl, A. (1990). Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi. Traduzione di Renate Trost, a cura di Sandro Scarrocchia. Bologna: Nuova Alfa.
Silvio Cristiano Assegnista di ricerca in Ecologia, Università Ca’ Foscari Venezia. silvio.cristiano@unive.it
Under False Pretenses This contribution offers a critique of the new European Green Deal, aimed at evaluating its potentials and drafting its local effects. In particular, it highlights how the Green Deal drifts away from its declared sustainability goals, concerning issues both related to an endless economic growth and to social and ecological issues. Through a conceptual analysis, driven by a transdisciplinary approach, this work discusses some systemic flaws of the “Deal”, and explores a new roadmap to frame and approach integrated sustainability in this challenging 21st century.* l Green Deal (“Patto verde”) è il principale strumento con cui la Commissione Europea intende affrontare cambiamenti climatici e degrado ambientale. Da qui al 2050, ambisce a rendere l’Unione leader economica mondiale con una strategia di crescita. Un pianeta finito pone dei limiti all’attività umana; eppure, la crescita li ignora e, in virtù di strutture sistemiche votate ad altri obiettivi (Cristiano e Gonella, 2020), confligge con la sostenibilità ambientale e sociale. Dopo gli anni ’70 e l’evoluzione del pensiero ecologico1, sembriamo giunti a un’era di pacificazione. Lo “sviluppo sostenibile” pare aver ridimensionato
la critica ai modelli politico-economici responsabili delle crisi socio-ecologiche, i cui effetti climatici sono sempre più preoccupanti2. È in tale contesto che si colloca la politica del Green Deal. Partendo dalla tensione tra la definizione del problema socio-ecologico e la proposta di soluzioni, è qui offerta una critica concettuale di tale nuova politica “verde”, che intende iniziare a valutarne (1) le potenzialità nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che dichiara e (2) alcune ricadute spaziali. L’approccio usato è transdisciplinare: abbraccia il pensiero sistemico (Odum, 1994), l’ecologia politica (Robbins, 2011), l’analisi del discorso (Foucault, 1970) e apre agli studi urbani.
Discussione Una nuova stagione di crescita per affrontare problemi socio-ecologici contrasta col pensiero ecologico, che evidenzia come a una maggiore attività economica corrispondano maggiori danni ambientali e, oltre una certa soglia, sociali. Il Patto verde si pone in continuità col problematico sviluppo sostenibile3. Il pensiero sistemico invita a capire l’obiettivo che governa i processi di una questione. Il Patto persegue per prima cosa la crescita economica; ciò è alla base della macchina capitalistica e, come ricordato, il sistema è configurato a tale scopo. Vale la pena notare un aspetto semantico: deal significa anche “affare commerciale”.
01. Sotto mentite spoglie. Under False Pretenses. Autore sconosciuto
Sotto mentite spoglie
L’insostenibilità sistemica nascosta nelle nuove politiche europee verdi (e alcune prime implicazioni spaziali)
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La crescita economica tende a portare urbanizzazione e consumo di suolo fertile (anche il Patto rilancia il settore edile). Ciò non è sostenibile né resiliente (Cristiano, 2020a): una maggiore dipendenza da beni o servizi esterni indebolisce la città (Cristiano, Gonella, 2020). Il metabolismo sociale studia la “memoria” dei flussi richiesti a monte per portare ciò di cui la città ha bisogno (Ortega e Bacic, 2014): cambiare a valle la loro natura non sembra poterne compensare una domanda crescente. L’efficacia delle azioni del Patto risulta dubbia: i trasporti elettrici e il fotovoltaico negli edifici sono comunque prodotti e manutenuti con materiali rari e forme di energia “sporca”. Le crisi socio-ecologiche richiedono azioni differenziate (piani, politiche, ecc.), non solo tecniche (Cristiano, 2020b). Il dominio del profitto e della tecnica è palese nella narrazione delle smart cities, su cui il Patto pure investe: le best practices dell’UE usano decine di volte la parola “affari” e mai povertà, disuguaglianze o welfare (Gonella, 2019); la digitalizzazione sposta il degrado ambientale e il prelievo di risorse lontano dal luogo di consumo (basti pensare ai server). Dalla costruzione al soddisfacimento di esigenze di consumo sempre maggiori, gli edifici smart dipendono da flussi ingenti di energia e materiali. Dopo una crisi produttiva, Detroit si è spopolata per far rinascere dalla città
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Dei tre obiettivi dichiarati, uno vuole ridurre le emissioni climalteranti ma non dice come farlo. Stessa accusa è rivolta all’Accordo di Parigi, accusato di sostenere la crescita e mantenere lo status quo economico senza basi biofisiche (Spash, 2016). Leggendo il Patto tramite l’equazione IPAT dell’ecologia politica4, una maggiore efficienza tecnologica – ove davvero migliorata lungo un’intera filiera – comunque indurrebbe consumi maggiori (Jevons, 1865), neutralizzando i benefici e aumentando la produzione di merci e servizi, già crescente in un’economia in crescita. Il Patto vuol poi disassociare crescita e impatti ambientali, ma tale pretesa è dimostrata infondata anche se l’economia fosse “circolare” o “a rifiuti zero” (Parrique et al., 2019). Il terzo proposito – non causare iniquità – non parla di benessere ma di “supporto finanziario e assistenza tecnica” per miglioramenti tecnologici (il che, come visto, non porta necessariamente vantaggi). Affrontare gli effetti di un sistema nocivo rafforzando tale sistema lascia presagire danni ulteriori. La sostenibilità non pare inseguita con la stessa forza riservata a crescita e affari. Se capitalismo e sostenibilità siano compatibili è una domanda perlopiù evitata (Porritt, 2005): il discorso è condizionato dal potere del modello politico-economico dominante.
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Il Green Deal insegue una crescita economica iniqua e impossibile su un pianeta finito
Risorse Resources Produzione industriale pro capite Industrial output per capita Cibo pro capite Food per capita Popolazione Population Inquinamento Pollution 02. La simulazione di Meadows et al. (1974), confermata da Meadows et al. (2004), prevede che i limiti del pianeta imporranno verso la metà del XXI secolo una forte riduzione delle economie umane; come Odum e Odum (2008), i rapporti Meadows propongono di agire tempestivamente per evitare conseguenze indesiderabili. Simulation by Meadows et al. (1974), confirmed by Meadows et al. (2004), forecasting that the planetary limits will cause human economies to significantly downsize in mid 21st century; like Odum & Odum (2008), this report suggests to take prompt action to avoid undesirable consequences. Own translation (CC-BY-NC-SA)
03. La fabbrica abbandonata delle automobili Packard, Detroit, 2009. Abandoned Packard Automobile Factory, Detroit, 2009. Wikicommons
scampoli di campagna (Coppola, 2012); i disoccupati hanno iniziato a prodursi il cibo da sé: la contrazione ha aumentato la resilienza della città. Di fronte all’ineluttabilità di un’era urbana postcrescita (Cristiano, 2021), la questione diventa attrezzarsi verso una trasformazione voluta, non imposta, e basata su ciò su cui si può contare: non accelerare un’economia “circolare”, ma rallentare la ruota (Cristiano et al., 2020), ricordando che il 2° principio della termodinamica non conosce piena circolarità e pieno riciclo; non cercare energia difficilmente “più pulita”, ma necessitare di meno energia; difendere il suolo e usarlo come a Detroit per produrre cibo, ecc.
Ecolomia, dunque, è prima écolo che economia Scenari alternativi a politiche atte a conservare un insostenibile status quo sono condizionati dal discorso economico dominante: nonostante decenni di evidenza scientifica (img. 02), è difficile opporsi a qualcosa definito sostenibile, verde, equilibrato; è difficile fare proposte “costruttive” quando le crisi chiamano a decostruire e ripensare alcune certezze. Occorre però capire se gli aggettivi di mercato siano fondati e,
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di fronte a crisi che minacciano l’umanità, “se vogliamo essere parte della soluzione o continuare a rappresentare il problema” (Brown e Ulgiati, 2011). Possibili alternative sono accomunate dalla necessità di porsi come primo obiettivo ridefinire le relazioni tra ambiente, economia e società. La sostenibilità è affrontata come compromesso tra dimensioni economica, ambientale e sociale che godono di pari dignità5. L’economia è però un sottosistema delle società, a loro volta sottosistemi della natura (img. 04). Nuovi scenari possono dunque nascere dal non pretendere di soddisfare un’indiscussa domanda economica cercando di essere “anche” socio-ecologicamente sostenibili, ma
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SISTEMI ECOLOGICI ECOLOGICAL SYSTEMS SOCIETÀ UMANE HUMAN SOCIETIES ECONOMIA ECONOMY
04. Il rapporto tra economia, società umane e sistemi ecologici nel pensiero fisiocratico ripreso dall’ecologia politica e dall’economia ecologica. The relation among economy, human societies, and ecological systems in the physiocratic thought, as adopted by political ecology and ecological economics. Own re-elaboration by the Author, CCO
– una volta soddisfatte esigenze fondamentali – inseguire una sostenibilità socio-ecologica scegliendo strumenti anche economici adatti. Prima di pianificare le esatte ricadute spaziali di un ripensamento sistemico delle nostre società, occorre ripensare l’obiettivo primario dei nostri sistemi socio-economici, e di conseguenza le priorità, gli attori, i funzionamenti e le strutture, differenziati per geografia e cultura. Conclusioni Il Green Deal ha l’obiettivo primario di inseguire una crescita economica iniqua e impossibile su un pianeta finito: ciò che domina i sistemi politico-economici, creando crisi socio-ecologiche, domina anche le sedicenti politiche di sostenibilità. Le crisi sono viste come opportunità per crescere ancora: il problema è presentato sotto le mentite spoglie della soluzione; l’insostenibilità che ne deriva è strutturale. L’alternativa sembra emergere da un cambio di approccio: essendo l’economia un sottosistema delle società umane, a loro volta inserite nel sistema ambientale, le dimensioni ecologiche e sociali della sostenibilità dovrebbero assumere un ruolo primario, non essere puri orpelli dei desiderata economici; la domanda andrebbe quindi calibrata su ciò che socio-ecologicamente ci si può permettere. Ecolomia, dunque, è prima écolo che economia. Una crasi perfetta rischierebbe di portare avanti le crisi in atto.*
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NOTE 1 – Si vedano Gorz, Illich, Georgescu-Roegen e Meadows et al. (1974). 2 – La crisi ecologica può indurre crisi sanitarie, pandemia in corso inclusa (Contini et al., 2020) 3 – Lo “sviluppo sostenibile” si basa sulla crescita economica; per Latouche (2015) è un ossimoro coniato per non mettere questa in discussione, per Springett e Redclift (2019) una “minaccia per la sostenibilità”. 4 – Impatto ecologico = Popolazione*Consumo di merci/ servizi*Impatto per unità di merci/servizi (Commoner, 1972). 5 – Sono viste come cerchi che si intersecano o pilastri che sorreggono uno stesso architrave. BIBLIOGRAFIA – Brown, M. T., Ulgiati, S. (2011). Understanding the global economic crisis: A biophysical perspective. Ecological Modelling, n. 223(1), pp. 4-13. – Commoner, B. (1972). Il cerchio da chiudere. La natura, l’uomo e la tecnologia. Milano: Garzanti. – Contini, C., Di Nuzzo, M., Barp, N., Bonazza, A., De Giorgio, R., Tognon, M., Rubino, S. (2020). The novel zoonotic COVID-19 pandemic: An expected global health concern. The Journal of Infection in Developing Countries, n. 14(3), pp. 254-264. – Coppola A. (2012). Apocalypse Town. Cronache dalla fine della civiltà urbana. Roma-Bari: Laterza. – Cristiano, S. (2020a). Tavola vuota? Tabula rasa! Per un ripensamento urgente della forma e dei rifornimenti della città in una stagione di crisi e vulnerabilità: la priorità del cibo. Working papers. Rivista online di Urbab@it, n. 1, pp. 1-4. – Cristiano, S. (2020b). Settlements for tomorrow? Review of Nelson’s and Schneider’s book Housing for Degrowth. Journal of Housing and the Built Environment, n. 36, pp. 341-343. – Cristiano, S. (2021). Sviluppo urbano sostenibile? Di ecologia, economia politica e città post-crescita. Territorio, in corso di pubblicazione. – Cristiano, S., Gonella, F. (2020). Kill Venice – A systems thinking conceptualisation of urban life, economy, and resilience in tourist cities. Humanities and Social Sciences Communications, n. 7, 143, disponibile su https://doi.org/10.1057/ s41599-020-00640-6 (ultima visualizzazione gennaio 2021). – Cristiano, S., Zucaro, A., Liu, G., Ulgiati, S., Gonella, F. (2020). On the systemic features of urban systems. A look at material flows and cultural dimensions to address postgrowth resilience and sustainability. Frontiers in Sustainable Cities, n. 2, 12, disponibile su https://doi.org/10.3389/ frsc.2020.00012 (ultima visualizzazione gennaio 2021). – Foucault, M. (1970). L’ordre du discours. Parigi: Gallimard. – Gonella, F. (2019). The Smart Narrative of a Smart City. Frontiers in Sustainable Cities, n. 1, 9, disponibile su https:// doi.org/10.3389/frsc.2019.00009 (ultima visualizzazione gennaio 2021).
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– Jevons, W.S. (1865). The coal question: An inquiry concerning the progress of the nation, and the probable exhaustion of the coal-mines. Londra: Macmillan. – Latouche, S. (2015). Come sopravvivere allo sviluppo. Torino: Bollati Boringhieri. – Meadows, D. H., Meadows, D. L., Randers, J., Behrens III, W. W. (1974). I limiti dello sviluppo: rapporto del System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell'umanità. Milano: Mondadori. – Meadows, D., Randers, J., Meadows, D. (2004). Limits to growth: The 30-year update. White River Junction: Chelsea Green Publishing, . – Odum, H.T. (1994). Ecological and General Systems: An Introduction to Systems Ecology. Niwot: University Press of Colorado. – Odum, H. T., Odum, E. C. (2008). A prosperous way down: principles and policies. Niwot: University Press of Colorado. – Ortega, E., Bacic, M.J. (2014). Social metabolism analysis using emergy. Ecological Questions, n. 19, pp. 97-105. – Parrique, T., Barth, J., Briens, F., Kerschner, C., Kraus-Polk, A., Kuokkanen, A., Spangenberg, J.H. (2019). Decoupling debunked: Evidence and arguments against green growth as a sole strategy for sustainability. European Environmental Bureau, traduzione italiana Il mito della crescita verde, 2020. Massa: Lu::Ce Edizioni. – Porritt, J. (2005). Capitalism as if the World Matters. Londra: Earthscan. – Robbins, P. (2011). Political ecology: a critical introduction. Hoboken: John Wiley & Sons. Spash, C.L. (2016). This Changes Nothing: The Paris Agreement to Ignore Reality. Globalizations, vol. 13, n. 6, pp. 928-933. – Springett, D., Redclift, M. (2019). Sustainable Development. In Davoudi, S., Cowell, R., White, I., Blanco, I. (a cura di), The Routledge Companion to Environmental Planning. Londra: Routledge.
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SOUVENIR
Letizia Goretti Dottore di ricerca in cultura visuale. Ricercatrice associata BnF 2020/21. letizia.goretti@yahoo.it
Una folata di vento Comune di Roye, Somme, Francia
La Somme è uno dei cinque dipartimenti della regione Hauts-de-France con il più alto numero di turbine eoliche (960 nell’ottobre del 2018). Se da una parte la forza del vento ha fornito energia pulita, dall’altra associazioni di cittadini iniziano a ribellarsi contro la costruzione di nuovi impianti in questa zona. Perché questo passo indietro? Che cosa è successo? Ascoltiamo il vento.*
A Gust of Wind Municipality of Roye, Somme, France
Somme is one of the five departments in the Hauts-de-France region with the highest number of wind turbines (960 in October 2018). If on the one hand the force of the wind has provided clean energy, on the other hand in this area citizen associations are starting to rise against the construction of new plants. Why this step backwards? What happened? Let's listen to the wind.*
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More than Design
Journeyman International brings high quality sustainable design to humanitarian organizations Arianna Mion ariannamion0@gmail.com
Oltre il progetto Journeyman International è una NGO che lavora per realizzare edifici sostenibili considerandone il contesto culturale e l’impatto ambientale. Partendo dal lavoro dei progettisti umanitari, considerando l’importanza di coinvolgere le comunità locali nel processo, passando per alcune questioni legate al caso ruandese, per finire con una riflessione su concetti quali “rivoluzione verde” e “decrescita”, Carly Althoff, l’amministratrice delegata di JI, ci propone alcuni spunti di riflessione. L’ecologia è il leitmotiv di questa intervista che mira anche ad indagare l’impatto della sostenibilità ambientale, sociale ed economica specialmente quando avviene a scapito dei paesi in via di sviluppo.*
Carly Althoff, the managing director of Journeyman International and in charge of the Africa regional office located in Rwanda, is an architect expert in sustainable community development and humanitarian aid. Sustainability and ecology are cross-sectional topics in this interview, whose purpose is not only to give a different perspective on design, particularly taking into account the work of Journeyman International in Rwanda, but also to go beyond it. A final opening reflection on the “green revolution” and its outrageous relation with the close Democratic Republic of Congo combined with a critical analysis of the concept of “degrowth” closes the various set of questions. A humanitarian designer has to own a set of interdisciplinary skills, due to the particularity of his/her work. Apart from the classic notions of architecture, some knowledge of, for example, history, sociology and anthropology are likely required too. Do you think that the co-presence of such different disciplines make the work more interesting, but also more complicated? Absolutely. Architecture is innately interdisciplinary, but typically within building-related professions. In dealing with sensitive contexts – especially those which are unfamiliar to us - we have to team up with a variety of specialties to more deeply understand the needs and existing capacities of the communities we are working with. In that way, the designer must be familiar with the complexity of sustainable development and the implications of aid response to know what areas of expertise to consult. Both design and humanitarian relief are highly collaborative, and when combined together only add to the intricacy of the work. Journeyman International is expert in providing sustainable facilities for the population according to cultural and infrastructural needs. Which is the reaction of the local population on the impact of such facilities on their lives and on the environment? Moreover, is the local population involved in the design and construction process?
01. Carly Althoff, JI.
We always involve representatives of the local population in the design process, sharing updates along the way and asking for feedback through focus groups and community meetings. Keeping in mind who is most vulnerable and how to make the process most inclusive, we work with a variety of people to gain insight into the strengths and weaknesses that the design process must address. Although construction methods are at the discretion of the project client,
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02. Carly works with colleagues to assess a potential building site in Northern Rwanda (in the map below) in 2017. Journeyman International
We work with a variety of people to gain insight into the strengths and weaknesses that the design process must address
we typically encourage them to hire construction laborers from the immediate area, which provides more training opportunities and local sense of ownership in the long run. Is the work of Journeyman International in Rwanda linked to the post conflict reconstruction started after the genocide occurred during the 90s? While the overall ecosystem of development and social impact work in Rwanda is largely focused on reconciliation and peace-building as a result of the conflicts that existed in the 90’s, Journeyman International’s Rwandan branch office does not explicitly aim to contribute to post-conflict reconstruction. Over the last 27 years, Rwanda has shown significant resilience in its development since the genocide of 1994. This country promotes high levels of self-sufficiency and grassroots progress to balance the need for international relief assistance with local sustainability. Most of our local partnerships and clients are doing a diverse variety of work, not necessarily affiliated with the genocide. Which position does the Rwandan government endorse on the promotion of environmentally and economically sustainable practices in the architectural field? The architectural field is very new in Rwanda. In fact, there are currently only 10 locally-registered architecture firms in the entire country. Therefore, practices in design and sustainable development generally follow internationallyrecognized standards, which are not always appropriate to the context. Resulting, our small industry is in an interesting position to pioneer new approaches of development that hope to respond more and more appropriately to the environmental and cultural context of Rwanda. The government is usually supportive of
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Journeyman International www.journeymaninternational.org
A new model of development would require us to completely realign our habits and ways of thinking about living in balance with our natural environments
new approaches and very open to change and positive growth, which makes it a truly fascinating context to work and learn in. Which role do you believe ecological thinking will have in the next years in the Rwandan policy making process? Ecology is already on the forefront of policy making in Rwanda. There are efforts to expand the buffer zones around national parks, conserve wetlands within urban areas, reintroduce indigenous plantlife on government owned land, ban against plastic bags because of its impact on the environment, and engage local communities in tree planting programs. In future years there will be even stronger policies to reclaim the natural ecosystems of the Rwandan landscape, especially with the attention that tourism is getting these days. At the core of our technological progress there is the so-called “green energy”, whose main element is represented by a precious mineral listed in our phones battery: cobalt. The extraction of cobalt in DRC (particularly in the province of Lualaba), whose border is shared with Rwanda, occurs under the violation of human rights, having 40.000 children involved in it too. In addition, the territory has been exploited so much throughout the last century, because of its richness of raw materials to cause an environmental emergency. Ironically, what is now becoming on the one hand better for the environment such as the use of electric cars, is on the other hand cause of environmental damage in addition to an already on-going humanitarian crisis. Isn’t the relation between the more and more raising awareness in the “Western” world towards the “green revolution” and the various abuses behind the raw materials, which characterised it, contradictory? All things considered, yes, it is contradictory. However, from my perspective it comes down to ignorance. Most people in the “Western” world are simply unaware of these abuses behind raw materials because the offenders don’t ad-
03. JI volunteers visit a site in the Dominican Republic and participate in residential construction in 2018. Journeyman International
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AL MICROFONO
04. Interior photo of the Sunzu Village library in Rwanda, designed by JI and built in 2016. Journeyman International
vertise it. They want money, and they won’t get it if their audience disagrees with the ethics of their practices. The “green revolution” is great for the climate when that’s the only aspect being considered - but it has a dark side. It can be argued that it is not “green” at all, and alternatively depletes the environment of its natural resources and destroys the balance of ecology - which, unfortunately, is true in many cases. From my experience, the rampant industrialization of the “developed” world is one of the root causes of environmental destruction and corruption in the “developing” world. And it’s hard to fight against a cycle that benefits only the most powerful and influential people. In the XX century colonialism ended, nevertheless today someone talks about a “neocolonialism of raw materials”. In the Western world we are constantly asked to reduce our energy consumption, to waste less, to buy less and to become more aware of our footprints in order to promote what can be regarded as a new system of “degrowth”. Is this a new model of development or just a way for proposing again an old one but in other terms? Colonialism never ended - it only evolved. The definition of the word itself involves taking control of properties and exploiting resources for unequal gain, and that pattern is alive and well across the world. It might just look different from how it did in the 19th and early 20th centuries as global powers grasped for what never belonged to them. Colonialism has evolved for centuries and now likes to disguise itself as “globalization” or “progress.” As we industrialize and adapt new technologies unethically - taking advantage of the people and places that cannot defend themselves - we will continue to bring ruin to the natural world as well as the most vulnerable people who once lived in harmony with it. A new model of development would require us to completely realign our habits and ways of thinking about living in balance with our natural environments, and that’s a lofty expectation to place on ourselves.* BIBLIOGRAFIA – Attanasio, L. (2021). I bambini del Congo avvelenati dalle nostre auto elettriche. Domani, settembre, pp. 6 -7. – Da Pra Pocchiesa, M. (2021). Crisi climatica, il grande esodo degli invisibili. L’extraTerrestre - Settimanale Ecologista del Manifesto, febbraio, pp. 2-3. – Marshall, T. (2016). Prisoners of geography. Ten maps that tell you everything you need to know about global politics. London: Elliott and Thompson Limited, pp. 123-126, 138-139. – Rai (2020/2021). Frontiere: Sotto il cielo del Congo (online). In https://www.raiplay.it/video/2021/03/Frontiere-7ca655d3cdfe-4567-ac1b-3ebabe94c9a9.html (ultima consultazione aprile 2021).
OFFICINA* N.33
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05. JI student interns discuss their site analysis with clients in Rwanda in 2018. Journeyman International
Per la cura universale contro il capitalismo compassionevole
a cura di
Manifesto della cura The Care Collective Alegre 2021 (cover design Rita Petruccioli)
anifesto della cura di The Care Collective (Andreas Chatzidakis, Jamie Hakim, Jo Littler, Catherine Rottenberg, Lynne Segal) e tradotto da Marie Moise e Gaia Benzi, è un invito a trasformare la nostra economia e la nostra società, una mappa per capire come uscire dalla crisi senza fine. L'etica della cura universale contro la spirale dell'incuria verso le persone e il pianeta, diventa una pratica e un valore organizzativo. La prefazione è di Sara R. Farris e leggiamo: “Di cosa parliamo, quando parliamo di cura degli altri? E chi sono questi altri? Come fare in modo che prendersi cura degli altri non sia solo un'attitudine individuale, da filantropi, ma un imperativo etico e una responsabilità politica?
Queste sono le domande che guidano il Manifesto della cura, un testo che – come scrivono le autrici e gli autori – pone la cura al centro del dibattito sulle crisi del presente: dalla pandemia da COVID-19, alla crisi economica e finanziaria, alla crisi ambientale. Quasi a sottolineare che discutere di cura, così come prendersi cura, non può essere un processo individuale ma collettivo, il Manifesto della cura è stato scritto a dieci mani. Autrici e autori sono cinque accademici e attivisti di varie nazionalità (Grecia, Australia, Stati Uniti, Regno Unito) tutti residenti a Londra e riuniti sotto il nome di The Care Collective (Collettivo per la cura). Il contesto in cui il collettivo si riunisce non è casuale. Da più di vent'anni Londra (e il
Regno Unito) è non solo crogiuolo di nazionalità e culture diverse che trovano spazio di espressione dentro le università [...] ma è anche laboratorio avanzato di processi contradditori che hanno al centro la cura. Da una parte il Regno Unito è lo stato europeo in cui il processo di mercificazione e privatizzazione della cura è tra i più avanzati. [...] Dall'altra parte anche qui si moltiplicano iniziative di mutuo soccorso e reti di solidarietà che continuano a concepire il prendersi cura degli altri come un bene comune, un obbligo morale e un processo collettivo. In questo contesto di ombre e luci prende forma una delle riflessioni più attuali sui danni dell'incuria e sulla necessità di prendersi cura”.*
Cosa sosteniamo? Timothy Morton Aboca, 2019
Mal di casa Catrina Davies Atlantide Edizioni, 2020
sullo scaffale
Una lepre con la faccia di bambina Laura Conti Fandango libri, 2021
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CELLULOSA
Maggese “Ogni volta, ogni maggese, che ritorna a dar vita a un seme Sarà vita nuova anche per me” Cesare Cremonini, Maggese, Maggese, 2005 Immagine di Emilio Antoniol
(S)COMPOSIZIONE