OFFICINA* 34

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ISSN 2532-1218

n. 34, luglio-agosto-settembre 2021

Luoghi dell'apprendimento


Press Escape to Exit di Dorota Piechocińska


Stefania Mangini

Educare al fare Dopo quasi due anni di pandemia e di didattica a distanza, la ripresa della scuola in presenza a settembre è stata uno dei nodi cruciali del dibattito politico degli ultimi mesi. Questo non solo per l’indubbia necessità di riportare in aula in modo costante gli studenti ma, soprattutto, perché la scuola - a tutti livelli - è vista come il luogo dell’apprendimento per eccellenza. Luoghi di formazione e di crescita personale, le sedi scolastiche sono spazi di socialità e condivisione dove si formano le esperienze delle generazioni di domani, spazi spesso vissuti e partecipati dalle comunità in cui si inseriscono, come dimostrano le molte esperienze raccolte in questo numero di OFFICINA*. Ma non sempre le scuole sono così. Se da un lato è ormai stata superata la visione di scuola come luogo della rigida educazione all’ordine e alla disciplina - cantata dai Pink Floyd in Another Brick in the Wall, Part 2 - oggi i mattoni per costruire nuovi “muri interiori” si possono trovare nelle questioni di genere o nella scarsa inclusività degli spazi scolastici, nei fenomeni di bullismo accentuati dai nuovi device digitali o nell’allontanamento precoce dalla scuola ma anche nell’incapacità di accompagnare i giovani verso un mondo del lavoro in costante mutamento e che richiede sempre nuove competenze e abilità. E così, l’apprendimento si sposta anche in altri luoghi: sul web o in rete, all’aperto, nelle strade e nelle piazze o ancora nei luoghi della produzione come fabbriche e botteghe che, aprendosi al pubblico, pongono il fare come nuovo strumento di apprendimento quasi a voler contraddire il vecchio detto “Chi sa fare, fa. Chi non sa fare, insegna”. Oggi si apprende anche, e soprattutto, in nuovi luoghi dove le competenze pratiche s’intrecciano con quelle teoriche, dove multidisciplinarietà e lavoro di squadra pongono le basi per una nuova forma di disciplina: l’educazione al fare. Emilio Antoniol


Direttore editoriale Emilio Antoniol Direttore artistico Margherita Ferrari Comitato editoriale Letizia Goretti, Stefania Mangini, Rosaria Revellini, Elisa Zatta Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis, Sebastiano Baggio, Matteo Basso, Eduardo Bassolino, MariaAntonia Barucco, Viola Bertini, Giacomo Biagi, Paolo Borin, Alessandra Bosco, Laura Calcagnini, Federico Camerin, Piero Campalani, Fabio Cian, Sara Codarin, Silvio Cristiano, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Paolo Franzo, Jacopo Galli, Michele Gaspari, Silvia Gasparotto, Gian Andrea Giacobone, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin, Beatrice Lerma, Elena Longhin, Filippo Magni, Michele Manigrasso, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Mickeal Milocco Borlini, Magda Minguzzi, Massimo Mucci, Corinna Nicosia, Maurizia Onori, Damiana Paternò, Elisa Pegorin, Laura Pujia, Silvia Santato, Roberto Sega, Gerardo Semprebon, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Oana Tiganea, Ianira Vassallo, Luca Velo, Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto Redazione Martina Belmonte, Paola Careno, Letizia Goretti, Stefania Mangini, Silvia Micali, Arianna Mion, Libreria Marco Polo, Sofia Portinari, Tommaso Maria Vezzosi Web Emilio Antoniol Progetto grafico Margherita Ferrari

OFFICINA* “Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953

Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente N.34 luglio-agosto-settembre 2021

Luoghi dell’apprendimento

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Direttore responsabile Emilio Antoniol Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017 Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218 Pubblicazione online ISSN 2384-9029 Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com Prezzo di copertina 10,00 € Prezzo abbonamento 2021 32,00 € | 4 numeri Per informazioni e curiosità www.anteferma.it edizioni@anteferma.it

OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08. Hanno collaborato a OFFICINA* 34: Samanta Bartocci, Cecilia Bettini, Roshan Borsato, Marco Burrascano, Lino Cabras, Federico Camerin, Giuseppina Cannella, Raffaella Carro, Stefania Chipa, Massimiliano Condotta, Mimì Coviello, Fernanda De Maio, Annalucia D’Erchia, Massimo Faiferri, Massimo Ferrari, Paolo Franzo, Andrea Iorio, Nicole Estefania Loachamin Guerrero, Emanuele Mandolfo, Laura Masson, Teresa Medeossi, Clizia Moradei, Elena Sofia Moretti, Elena Mosa, Lorenza Orlandini, Libero Carlo Palazzolo, Elisa Pegorin, Dorota Piechocińska, Enrico Polloni, Laura Pujia, Fabrizio Pusceddu, Luigi Ruggiero, Marco Russo, Chiara Scanagatta, Bruna Sigillo, Claudia Tinazzi, Paola Virgioli, Beate Weyland.


Luoghi dell’apprendimento Learning Places n•34•lug•set•2021 Press Escape to Exit Dorota Piechocińska

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INTRODUZIONE

Abitare i luoghi dell’apprendimento Dwelling Learning Places

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Laura Pujia

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Scuole d’Italia, o una strana geografia Schools of Italy, a Strange Geography

Beate Weyland, Bruna Sigillo

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Fernanda De Maio

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Dalla teoria alla pratica From Theory to Practice Giuseppina Cannella, Raffaella Carro, Elena Mosa

ESPLORARE Margherita Ferrari, Letizia Goretti, Rosaria Revellini PORTFOLIO

San Giorgio, eroe digitale Saint George, Digital Hero Emanuele Mandolfo IL LIBRO

Paesaggi educativi Educational Landscapes Paola Careno

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Dalle armi agli studi From the Army to the Studies Federico Camerin

Ambienti di apprendimento outdoor Outdoor Learning Spaces Stefania Chipa, Lorenza Orlandini

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78 80 84

Andrea Iorio

Marco Burrascano

Agoragri: nuovo luogo di conoscenza Agoragri: a New Place of Knowledge Un’educazione senza porte An Education without Doors Elena Sofia Moretti L’IMMERSIONE

Spazi conoscitivi ibridi Cognitive Hybrid Spaces Chiara Scanagatta, Massimiliano Condotta

Dal passato soffia il presente The Present blows from the Past Elisa Pegorin

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Dalla stanza a cielo aperto al playground From the Open-air Room to the Playground Marco Russo

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I CORTI

Paesaggio educativo secondo Jørn Utzon Educational Landscape According to Jørn Utzon

La città dentro la scuola The City within the School

Mimì Coviello

Lino Cabras

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Aule, composizioni di aule, scuole Classrooms, Classroom Compositions, Schools Massimo Ferrari, Claudia Tinazzi, Annalucia D’Erchia

L’ARCHITETTO

Scuole innovative del Secondo dopoguerra Innovative Schools of the Second Post-war

Ambienti educativi con la natura Educational Environments with Nature

La scuola e il valore della complessità School and the Value of Complexity Paola Virgioli

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Imparare in provincia Learning in the Province Paolo Franzo, Clizia Moradei

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Dietro un paesaggio Behind a Lanscape Libero Carlo Palazzolo

Oltre le istituzioni scolastiche Beyond Educational Institutions Massimo Faiferri, Samanta Bartocci, Fabrizio Pusceddu

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INFONDO

I sensi e l’apprendimento a cura di Stefania Mangini

SOUVENIR

Fare o guardare? Doing or Watching? Letizia Goretti

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TESI

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IN PRODUZIONE

Idjwi Eco-village Complex Nicole Estefania Loachamin Guerrero, Cecilia Bettini

L’industria 4.0 e i suoi principi caratterizzanti Industry 4.0 and its Characterizing Principles Roshan Borsato, Enrico Polloni

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AL MICROFONO

Learning Places: Changing Society Luoghi di appredimento: cambiando la società a cura di Ariana Mion

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CELLULOSA

Il congiuntivo cambia la vita a cura dei Librai della Marco Polo (S)COMPOSIZIONE

Errori

Emilio Antoniol


15 maggio – 24 ottobre 2021 Centro Pecci, Prato centropecci.it

Online isplora.com

Isplora è una piattaforma digitale per la formazione dei professionisti che mette a disposizione, previa iscrizione e in maniera del tutto gratuita, una serie di film-documentari della durata di circa un’ora inerenti ai temi di architettura. La piattaforma, approvata dal Consiglio Nazionale degli Architetti (CNAPPC) e dall’American Institute of Architects (AIA), offre di fatto corsi FAD asincroni dal momento che la visione del film e il successivo superamento del questionario di apprendimento – con il raggiungimento di almeno 80% di risposte esatte – consentono l’ottenimento di CFP. Inoltre, per ciascun corso sono fornite schede contenenti informazioni aggiuntive – schizzi, foto, dettagli costruttivi – sul progetto oggetto del corso. Alla sezione dedicata ai film, Isplora affianca anche quella per i live stream, ovvero una sezione in cui è possibile un confronto diretto tra gli architetti “protagonisti” dei film e i professionisti discenti, e un magazine digitale (denominato Isplovers) dove sono periodicamente pubblicati nuovi progetti di architettura. Attraverso il metodo del narrative learning, la piattaforma Isplora si presenta come “luogo dell’apprendimento” alternativo e stimolante per la formazione continua degli architetti. Rosaria Revellini

Ela Bialkowska OKNOstudio

Giunge a Prato la mostra dello studio Formafantasma dedicata alla materia del legno. Dopo l’edizione londinese, ospitata nella Serpentine Gallery e curata da Hans Ulrich Obrist e Rebecca Lewin, approda in Italia nel centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, curatrice Cristiana Parrella. La mostra raccoglie contributi di esperti del settore, dal mondo produttivo a quello artistico e di ricerca; interviste e contenuti digitali inter- agiscono con installazioni materiali. Un tuffo nel mondo del legno e della sua biodiversità, dal dettaglio nanometrico alla scala territoriale della gestione del legname, dove i legni catalogati rievocano “foreste perdute”. Risorsa oggi a rischio, trascurata, poco valorizzata: lo storico ruolo nel mercato economico non è sufficiente a tutelare la filiera del legno e quindi i saperi a essa connessi. Proprio nell’ambito della selvicoltura prese forma, grazie a Hans Carl von Carlowitz, il concetto di sostenibilità e quindi la capacità di gestire le risorse naturali per le generazioni future. Com’è cambiato oggi questo settore produttivo e il valore della sua materia prima? Su quali principi si basa oggi la governance della produzione di legno? Una ricerca condotta attraverso il design e la progettazione: un’indagine in continuo aggiornamento e arricchimento, proprio come lo strato del tronco che dà nome alla mostra. Margherita Ferrari

Isplora. Una piattaforma online e-learning per la formazione degli architetti

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Letizia Goretti

Cambio

La Beauté d’une ville. Controverses esthétiques et transition écologique à Paris 26 maggio – 26 settembre 2021 Pavillon de l’Arsenal, Parigi pavillon-arsenal.com

La Beauté d’une ville. Controverses esthétiques et transition écologique à Paris è una “esposizione-dibattito” al Pavillon de l’Arsenal, il Centro di urbanistica e architettura di Parigi e della metropoli parigina. La mostra ripercorre visivamente, tramite documenti storici, planimetrie, fotografie e disegni, la storia della città di Parigi, soffermandosi su dettagli curiosi come, ad esempio, la nascita del marciapiede oppure l’arredo urbano. Il percorso è suddiviso in sette macro temi: luogo, morfologia, urbanità, architettura, esternalità, vivente, ospitalità. A sostegno del dibattito sono state realizzate da Océane Ragoucy trenta video-interviste con interventi di architetti, sociologi, filosofi, ricercatori, ecc., incentrati sullo sviluppo della città, sulla trasformazione del modo di vedere la città e la sua estetica dal XVIII secolo fino ai nostri giorni (le video-interviste sono disponibili anche online). La mostra è accessibile anche ai più piccoli, grazie alle “visite-laboratorio” dove i bambini possono scoprire la storia di Parigi e “costruire” la loro città. Inoltre, al Pavillon de l’Arsenal sono presenti altre due mostre interessanti: Histoire naturelle de l’architecture (fino al 26 settembre 2021), in cui la storia dell’architettura è ripercorsa attraverso delle cause naturali, energetiche o di salute e dell’evoluzione dei materiali, e Agora du Design (fino al 18 luglio 2021), esposizione dei sei progetti vincitori dell’omonima borsa di studio. Letizia Goretti

ESPLORARE


A cura di Laura Pujia. Contributi di Samanta Bartocci, Marco Burrascano, Giuseppina Cannella, Raffaella Carro, Fernanda De Maio, Annalucia D’Erchia, Massimo Faiferri, Massimo Ferrari, Elena Mosa, Libero Carlo Palazzolo, Fabrizio Pusceddu, Bruna Sigillo, Claudia Tinazzi, Beate Weyland.


Laura Pujia Ricercatrice in Composizione architettonica e urbana, DADU, Università degli Studi di Sassari. lpujia@uniss.it

Abitare i luoghi dell’apprendimento

Dwelling Learning Places

“What may be expected of the space that constitutes a school and what condition can be achieved within the domain of architecture?” (Hertzberger, 2008, Space and Learning).

“What may be expected of the space that constitutes a school and what condition can be achieved within the domain of architecture?” (Hertzberger, 2008, Space and Learning).

Una determinata organizzazione dello spazio, al di là della funzione accolta, può contribuire con una certa libertà a orientare le persone verso eventuali azioni che potranno aver luogo. L’ambiente influisce sulla percezione che le persone costruiscono attorno a esso e, inevitabilmente, l’architettura assume un ruolo pedagogico nei confronti di chi la abita. Questo carattere è in particolar modo visibile nelle opere dedicate all’educazione ma può essere esteso all’esperienza progettuale in genere e al compito civile, morale e culturale dell’architettura stessa. Ne deriva la necessità di un approccio interdisciplinare e interscalare del progetto che investa più saperi e non perda la centralità dell’individuo consolidando la nozione di “opera aperta” a differenti esigenze, a cambiamenti, ad attività e a nuovi significati. Una qualsiasi costruzione, difatti, dovrà costantemente fare i conti con l'operato del tempo e sarà soggetta a meccanismi spontanei e non prevedibili di adattamento e trasformazione, materiale o immateriale. In questi termini, la nozione heideggeriana di “abitare” si declina nella prospettiva teorizzata dall’antropologo Tim Ingold (dwelling perspective) e pertanto, nel presente contesto, l’interesse è posto sulle connessioni tra soggetto e ambiente, costruito e naturale. Per tali ragioni e in questo peculiare periodo in cui la pandemia ha messo in evidenza l’incongruenza tra le esigenze epidemiologiche e le possibilità di fruizione di molti spazi istituzionali e culturali, il numero 34 di OFFICINA* è dedicato al rapporto tra luogo e apprendimento, aprendo un dibattito ampio intorno ad ambiti tematici che oltrepassano la temporanea crisi che sta in parte modificando le forme, i modi di abitare e gli usi degli spazi di relazione. Dopo un lungo periodo in cui la didattica è stata erogata a distanza si sente la necessità del valore esperienziale dell’apprendimento attraverso la fisicità dei luoghi come dimostrato dagli esiti della call for papers, che chi scrive ha proposto affiancandola a una ricerca in corso finanziata dal fondo PON AIM e condotta presso la propria sede di affiliazione. A tal proposito, le proposte selezionate esplorano il ruolo del progetto di architettura alle diverse scale, da quella puntuale a quella territo-

A given organisation of space, beyond the function it performs, can contribute with a certain freedom to directing people towards possible actions that may take place. The environment influences the perception that people built around it and, inevitably, architecture takes on a pedagogical role in relation to its inhabitants. This character is particularly visible in works dedicated to education but can be extended to the design experience in general and to the civil, moral, and cultural task of architecture itself. The result is the need for an interdisciplinary and inter-scalar approach to design that involves more than one field of knowledge and does not lose the centrality of the individual, consolidating the notion of an “open work” to different needs, changes, activities, and new meanings. Indeed, any construction will constantly have to deal with the workings of time and will be subject to spontaneous and unpredictable mechanisms of adaptation and transformation, whether material or immaterial. In these terms, the Heidegger’s notion of “dwelling” is declined in the perspective theorised by the anthropologist Tim Ingold (dwelling perspective) and therefore, in the present context, the focus is on the connections between subject and environment, built and natural. For these reasons, and in this period in which the pandemic has highlighted the incongruity between epidemiological needs and the possibilities to use many institutional and cultural spaces, issue 34 of OFFICINA* journal is dedicated to the relationship between place and learning, opening a wide-ranging debate on thematic areas that go beyond the temporary crisis that is partly modifying the forms, ways of living and uses of relational spaces. After a long phase in which teaching was delivered at a distance, there is a need for the experiential value of learning through the physicality of places, as demonstrated by the results of this call for papers, which I have proposed alongside an ongoing research project financed by the PON AIM fund and conducted at my own university affiliation. In this respect, the selected proposals explore the role of architectural design at different scales, from the individual to the territorial, and

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


Ombra. Luigi Ruggiero


riale, e con differenti approfondimenti, dalla teoria alla pratica, cogliendone le capacità di tessere relazioni in specifici contesti – urbani, periurbani, dalle metropoli ai centri minori – e costituire luoghi comunitari e di pubblico interesse. Un primo campo di indagine riguarda lo spazio educativo della scuola che, essendo uno dei primi ambienti di apprendimento e di vita dove il bambino in formazione cresce e abita, è il luogo in cui l’esperienza diretta con lo spazio ricopre un ruolo essenziale quasi fosse, riprendendo il pensiero di Loris Malaguzzi, un “terzo educatore”, stringendo quindi una forte relazione con la pedagogia e il design (Malaguzzi, 1952, Invece il cento c’è). Una accezione di scuola che richiede una stretta simbiosi tra contenitore e contenuto, ovvero tra modello spaziale e modello pedagogico; un’architettura cosiddetta “educatrice”, come Ernesto Nathan Rogers la definisce nell’editoriale al numero monografico sulle scuole che la rivista Domus dedica nel 1947 sotto la sua direzione (Rogers, 1947, Architettura educatrice). L’attenzione è riposta, inizialmente, al sistema scolastico statale, enorme e disomogeneo (Fondazione Giovanni Agnelli, 2020, Rapporto sull’edilizia scolastica), in cui si tenta il superamento del concetto stesso di aula e la messa in luce di alcune opportunità progettuali a partire dallo spazio interno, dalla relazione tra le parti di una comunità scolastica fino all’aggregazione di queste e rispetto al contesto in cui si colloca. L’attuale normativa italiana in materia di edilizia scolastica risale al 1975 e prevede l’applicazione rigida di alcuni standard prescindendo dalla qualità della configurazione spaziale degli ambienti educativi. Ciò evidenzia uno scollamento con le attuali esigenze di insegnamento e di apprendimento. Queste, infatti, richiedono un’attualizzazione del patrimonio scolastico esistente orientata a un’apertura nei confronti della città divenendo un’estensione dello spazio urbano, come illustrato dai molti casi esemplari presi in prestito dalla storia dell’architettura del Novecento o dagli studi ed esperienze innovative in ambito internazionale, nazionale e locale qui esaminate e raccolte, tra cui ad esempio quelle portate avanti dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) e della rete del PRIN Pro.S.A. - Prototipi di Scuole da Abitare. Il volume cerca di tratteggiare uno stato dell’arte delle ricerche in corso e dei progetti rispondenti all’interrogativo posto dal noto architetto Herman Hertzberger nel suo prezioso libro Space and Learning.*

with different insights, from theory to practice, grasping the ability to weave relationships in specific contexts – urban, peri-urban, from metropolises to small towns – and to create community places and places of public interest. A first field of investigation concerns the educational space of the school which, being one of the first learning and living environments where the child in training grows up and lives, is the place where direct experience with space plays an essential role, almost as if it were, to borrow Loris Malaguzzi’s thought, a “third educator”, thus forging a strong relationship with pedagogy and design (Malaguzzi, 1952, Invece il cento c’è). A meaning of school that requires a close symbiosis between container and content, that is, between spatial model and pedagogical model; a so-called “educational architecture”, as Ernesto Nathan Rogers defined it in the editorial of the monographic issue on schools that Domus magazine dedicated in 1947 under his direction (Rogers, 1947, Architettura educatrice). Attention is initially focused on the huge and inhomogeneous state school system (Fondazione Giovanni Agnelli, 2020, Rapporto sull’edilizia scolastica), in which an attempt is made to go beyond the very concept of the classroom and to highlight certain design opportunities starting with the internal space, the relationship between the parts of a school community and the aggregation of these parts in relation to the context in which they are located. Current Italian school building regulation dates back to 1975 and provides a rigid application of several standards regardless of the quality of the spatial configuration of educational environments. This shows a disconnection with current teaching and learning needs. In fact, these require a modernization of the existing school heritage oriented towards opening up to the city, becoming an extension of urban space, as illustrated by the many exemplary cases borrowed from the history of twentieth-century architecture or from innovative studies and experiences in the international, national and local spheres examined and collected here, including, for example, those carried out by the researchers of the Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) and the PRIN network Prose - Prototypes of schools to live in. The publication attempts to outline a state of the art of current research and projects responding to the question posed by the well-known architect Herman Hertzberger in his valuable book Space and Learning.*

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


Sappiamo dove, ma non sappiamo come. Teresa Medeossi


Fernanda De Maio Architetto, professore ordinario di Progettazione architettonica e urbana, Dipartimento di Culture del Progetto, Università Iuav di Venezia. demaio@iuav.it

Scuole d’Italia, o una strana geografia

01. Collage per la scuola ITT M. Curie, Pergine Valsugana (Tn), motto del collage School Remix | Collage for the schoo l ITT M. Curie, Pergine Valsugana (Tn), motto of the collage School Remix F. De Maio e Prosa Architetti, studente P. Martinelli

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


La riscoperta di città e territori d’Italia attraverso l’architettura senza qualità delle scuole uesto breve saggio trova i suoi fondamenti in una ricerca PRIN finanziata dal Ministero della Ricerca per tre anni, di cui l’Università Iuav di Venezia è capofila nell’ambito di una rete nazionale, dal titolo Pro.S.A. Prototipi di scuole da abitare. Nuovi modelli architettonici per la costruzione, il rinnovo e il recupero resiliente del patrimonio edilizio scolastico e per costruire il futuro, in Italia. La ricerca, come il titolo rende evidente, prende atto della situazione al limite del collasso del vasto patrimonio scolastico italiano e propone, tra gli obiettivi, di indicare alcune traiettorie per il progetto d’architettura, intercettando e intrecciando le discipline tecniche con le discipline umanistiche come la pedagogia e la sociologia, per la prima volta in Italia nell’ambito delle ricerche di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) dedicate alla scuola. Tuttavia, all’indomani del primo convegno e mostra – svoltosi presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, il 10 e l’11 febbraio 2020 – per documentare gli esiti dei primi mesi della ricerca iniziata a settembre 2019, è deflagrata la pandemia, che ha reso necessario un profondo ripensamento e accelerazione in merito a tutto ciò che fino a quel momento il mondo, e l’Italia in particolare, intendeva come scuola, nella sua dimensione spaziale e sociale, prima ancora che concettuale. Vale la pena segnalare che la forzata clausura e il distanziamento indotti dal COVID-19 hanno fatto venir meno, per noi ricercatori e studiosi, anche la possibilità di compiere sopralluoghi negli edifici che avremmo dovuto studiare, analizzare, rilevare, reinterpretare come architetti. Quindi, l’assenza di scuola non solo è venuta alla ribalta per gli scontri e i confronti in tutte le sedi politiche e piazze d’Italia rivelando, una volta per tutte, la sua prima vera natura di infrastruttura e ammortizzatore sociale; essa, in quanto patrimonio di edifici, è divenuta offlimits per tutti mentre una pallida reminiscenza di ciò che è, o dovrebbe essere, si è trasferita altrove: negli schermi dei nostri computer e devices digitali. La realtà pandemica ha anticipato il futuro delle cosiddette “scuole innovative”

Schools of Italy, a Strange Geography In the Italian heritage of the approximately 40,000 architectures for schools, only a small minority can be considered of good or excellent quality (Fondazione Agnelli, 2020). The signs of the evident collapse, also analyzed within the PRIN research “Prose: prototypes of schools to live in”, of which the Iuav is the leader, are an opportunity to build stronger relationships between schools as buildings and schools as communities (Ingold, 2016). This requires a rethinking of the approach to the design of learning places even within the Schools of Architecture.* Nel patrimonio italiano delle circa 40.000 architetture per la scuola, solo una esigua minoranza può essere considerata di buona od ottima qualità (Fondazione Agnelli, 2020). I segni dell’evidente collasso analizzati anche con la ricerca PRIN “Prosa: prototipi di scuole da abitare”, di cui lo Iuav è capofila, sono un’opportunità per costruire relazioni più forti tra le scuole come edifici e le scuole intese come comunità che le abitano (Ingold, 2016). Ciò richiede un ripensamento dell’approccio al progetto dei luoghi di apprendimento anche all’interno delle scuole di architettura.*

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02. Una pagina dell’atlante dei collage delle scuole | A page of the collage school’s Atlas. F. De Maio e Prosa Architetti

e “avanguardie digitali” e, pur avendo fornito un incredibile supporto, ha messo a nudo anche fragilità e derive di questa nuova forma di scuola. E benché questo saggio non abbia come proprio centro l’indagine di questi aspetti, vale la pena sottolineare che la piena consapevolezza, ormai, di potenzialità e criticità della scuola smart è estremamente utile per riorientare il processo meta-progettuale che la ricerca, in generale, si propone e per fornire un’interpretazione differente dei “luoghi di apprendimento”, che attinga anche alla dimensione più autenticamente green per trasformare le architetture delle scuole ordinarie in (extra) ordinarie. Così, tornando al titolo di questo saggio, che rimanda all’ipotesi di costruire una nuova geografia dell’Italia a partire dagli edifici scolastici, va subito detto che, a livello macroscopico, la massiccia presenza di manufatti costruiti non fa altro che restituire l’immagine e la morfologia del nostro stivale come lo conosciamo, con rarefazioni e den-

sità assimilabili alle distribuzioni urbane o demografiche, come in qualche modo ben evidenziato anche dal recente Rapporto sull’Edilizia Scolastica (Fondazione Agnelli, 2020). Tuttavia non è la distribuzione geografica delle architetture scolastiche che qui interessa, bensì ciò che attraverso questo primo abbozzo si intende rilevare è come, ponendo al centro di ciascuna mappa una scuola, sia possibile rileggere il territorio in cui essa è insediata e delineare una rete di relazioni forti tra ciascuna scuola e il suo ambiente “ecologico” di prossimità. Ciò che come architetti, in altre parole, abbiamo recepito grazie al confronto con i colleghi sociologi e pedagogisti, è che ogni scuola è un prototipo e dunque i carotaggi per descrivere le situazioni di contesto utili ai fini della ricerca vanno fatti in modo puntuale. Ma come fare questa mappatura di casi studio in assenza di sopralluoghi e, soprattutto, come scegliere le scuole? E se ogni scuola è un prototipo nel senso di unicum non replicabile cosa deposita la ricerca alla fine dei tre anni? Rispetto al

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


03. Una pagina dell’atlante di scuole | A page of the school’s Atlas. F. De Maio e Prosa Architetti

primo quesito sono venuti in aiuto i ventotto studenti di architettura che, nell’ambito di un workshop di tre settimane intitolato Oltre il giardino, attraverso le scuole¹ con il loro fondamentale contributo di memorie, disegni, collage, hanno reso possibile individuare i casi studio. Ciascuno di loro ha infatti frequentato almeno un istituto comprensivo e/o più scuole. Inoltre essi sono un campione rappresentativo di un certo ambito regionale – il cosiddetto Triveneto o Nord-Est italiano – ma non solo. Rispetto al secondo punto, invece, la ricerca mostra la sua massima attendibilità proprio nella misura in cui riesce a costruire un amplissimo database di casi studio, da cui poi far discendere un contributo di metodi/approcci progettuali da reclamare per una nuova normativa nazionale sull’architettura dei luoghi di apprendimento relativa proprio alla cura del patrimonio esistente delle scuole e dei loro contesti. Ed è proprio in questa direzione che non solo lo Iuav ma tutti i partner del PRIN Pro.S.A. si stanno muo-

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vendo, con dottorati e assegni di ricerca e con corsi e workshop dedicati. Per questo i ricercatori e docenti coagulatosi, per l’occasione che qui si presenta, nel gruppo ProSA architetti², ha fornito ai ventotto studenti la cornice entro cui svolgere il carotaggio, sfruttando tra gli standard per l’edilizia scolastica quelli che definiscono le distanze casascuola, per ciascun ordine e grado, e la numerosità di ciascuna scuola. Attraverso questi standard si è costruito il primo raggio d’influenza sul territorio di ciascuna delle scuole, come illustrato negli esempi presentati (img. 03). In questi disegni è evidente come si intreccino dati strettamente empirici – i percorsi individuali e la memoria degli elementi urbani attraversati e/o costeggiati, come hanno insegnato gli approcci fenomenologici alla descrizione della città (Lynch, 1960; 2001) – con il rilievo di dati oggettivi – la presenza di spazi pubblici aperti, emergenze monumen-tali e/o edifici per la collettività, ma anche la presenza di emergenze geografiche. L’obiettivo di ciascuna ragnatela è di trattenere

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04. Progetti per la scuola di città ITT “F. Algarotti” a Cannaregio, Venezia l The projects for the town’s school ITT “F. Algarotti” in Cannaregio, Venice . F. De Maio e Prosa Architetti

parti di città da interpretare nel progetto di recupero architettonico e urbano delle scuole quali luoghi di apprendimento che amplino il mero confine dell’edificio scolastico. Proprio da questa lettura nasce infatti la più am-pia possibilità di trasformazione del patrimonio ordinario di edilizia scolastica in occasione di architettura (extra)ordinaria. A

so ciascun giovane individuo (img. 02). Entrambi questi atlanti molto particolari connettono scuole, città, territori e paesaggi attraverso l’intreccio che in quei luoghi avviene tra storie minori e storie maggiori³. Attraverso questa strana geografia si scopre, per esempio, che l’Istituto per geometri intitolato a una grande scienziata, Marie Curie, a Pergine Valsugana, non è solo un’incredibile ex architettura manicomiale progettata dall’ing. Josef Huter sotto la direzione dell’ing. Karl Lindner, in cui intervenne poi, nella cappella, anche uno dei padri dell’architettura cortinese e alpina: quel Giorgio Wenter Marini, che insegnò per qualche anno Architettura d’interni allo Iuav. Qui infatti la storia del fascismo italiano ha relegato uno dei suoi più squallidi segreti: la detenzione della prima invisa moglie di Benito Mussolini, Ida Dalser. Così i destini incrociati di due donne diversamente eroiche, si intrecciano in questa odierna scuola che trova luogo nel vasto complesso monumentale posto ai piedi delle Prealpi dolomitiche e il gioco delle

Ciascuna scuola racconta un modo diverso di appartenere al patrimonio delle architetture scolastiche questo tipo di atlante si affianca, poi, l’atlante dei collage e dei motti per ciascun collage che contiene i rilievi emotivi fatti con i ricordi dello spazio scolastico di ciascuno studente, per verificare alcune tesi della ricerca quali l’influsso che l’organizzazione spaziale ed estetica degli ambienti scolastici ha sull’educazione allo spazio e alla socialità pres-

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05. Scuole veneziane; la scuola di periferia, la scuola di città, la scuola dell’isola | Venetian schools; the periphery’s school, the town’s school, the lagoon island’s school. F. De Maio e Prosa Architetti

coincidenze attivato dal relativo collage non poteva trovare, nella composizione grafica come nel motto School Remix, indicazione più efficace per descrivere la complessità che si cela dietro ciascuna “scuola” (img. 01). Una complessità di cui non può non tenere conto anche il progetto d’architettura, ancor di più in uno scenario post-covid. Per questo, nei progetti veneziani per tre scuole (img. 05), la strana geografia delle scuole non solo descrive tre differenti condizioni molto esemplari dell’abitare a scuola (Ingold, 2016) – strettamente legate a specifici caratteri spazio-temporali dei contesti urbani e morfologici della città lagunare, in cui anche i ritmi e i flussi di vita sono profondamente variabili da un punto all’altro – ma ciascuna scuola racconta un modo diverso di appartenere al patrimonio delle architetture scolastiche. A Mestre-Chirignago, è una delle variazioni sul tema delle Scuole Valdadige progettate da G. Valle e G. Macola (Virgioli, 2016), la primaria C. Colombo, a divenire il perno intorno a cui si snodano per un verso i progetti di recupero, adeguamento e trasformazione di alcune parti dell’edificio e, per un altro, i progetti alla ricerca di una nuova selva urbana da adottare per le lezioni all’aria aperta, in ottemperanza anche ai parametri igienisti e verdi dell’era post-covid per la cosiddetta transizione ecologica. A Cannaregio, il monumentale Palazzo Savorgnan, con il parco retrostante – in parte pubblico e in parte di pertinenza della scuola – in cui è situato l’Istituto turistico F. Algarotti (img. 04), diventa il perno da cui si diramano una serie di itinerari – verso il vasto campo antistante la stazione di Santa Lucia, verso le fondamenta nuove e all’interno del ghetto – e di progetti per aule-cantieri, aule-punti informativi e aule-teatrini che sfruttino le peculiarità del fitto tessuto monumentale del quartiere ma anche la prossimità con alcuni polmoni verdi o acquei. A Sant’Erasmo, viceversa, una scuola ampia e ben costruita in mattoni rossi, ridotta a piccola scuola – per l’esiguo numero di studenti che la abitano – diviene la matassa da cui si srotolano i sentieri e i progetti che conducono alla scoperta della natura agricola dell’isola lagunare ma anche alla sua archeologia in via di disfacimento. Le piccole

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costruzioni lignee per attrezzature e attività vecchie e nuove, pensate dagli architetti della Next Generation Ue, trasformano così la scuola primaria A. Vivarini, in un luogo di apprendimento rivolto a studenti di ogni età, affinché la scuola, anche dove i più giovani non sono più così numerosi, non cessi di essere l’organo costituzionale immaginato in un giorno di febbraio del 1950 da Piero Calamandrei (Calamandrei, 1950, 2010). Le tre scuole diventano così un modo per descrivere la geografia urbana di Venezia a partire da punti molto eccentrici, rispetto alle usuali letture veneziane. Partire dalla geografia definita dalle scuole, infatti, in questo caso vuol dire mettere in discussione alcuni rapporti gerarchici tra il cosiddetto centro, la periferia di terra e la periferia lagunare. La geografia urbana definita a partire dalle scuole è strana proprio nella misura in cui sovverte senza negarli alcuni luoghi comuni, è strana perché non nasconde ciò che già esiste ma sottolinea nuovi modi di percorrere e abitare l’esistente “oltre il giardino, attraverso le scuole”.* NOTE 1 – Il workshop Oltre il giardino, attraverso le scuole si è svolto per W.A.Ve. 2020 Post Covid Scenarios. Vi hanno preso parte gli studenti E. Bacilieri, S. Baroni, V. Benno, E. Campaner, A. Casagrande Ferro, M.V. Ceola, L. Dalla Valle, F. D’Elia, S. Facchini, A. Fattorini, F. Girello, F. Gottardi, C. Grosoli, K. O. Lee, P. Martinelli, S. Maso, R. Miola, N. Montefusco, A. Rizzi, Y. Ruiz Fernandez, A. Sartori, G. Serena, S. Shiroka, L. Tang, L.E. Tommasin, I. Valmarana, J. Vardanega, N. Vianello, D. Visentini, R. Xillo. 2 – ProSA Architetti è un collettivo di architetti e studiosi dello Iuav ispirati al PRIN Pro.S.A. (F. De Maio, A. Iorio, P. Virgioli, F. Vaccher, A. De Savi, A. Scudella e V. Sarto). 3 – Di seguito si annota un parziale elenco: Istituto tecnico per geometri Delzi, Bolzano, Le attenzioni che non volevo; il Liceo delle scienze umane G.C. Manara Valgimigli, Rimini, Ricordo manifesto; Scuola Materna A. Moro, Creazzo (VI), Lo scrigno della gioventù; Istituto Tecnico Tecnologico G.B. Belzoni, Padova, Giornata di scuola, spazio interno ed esterno; Scuola primaria Statale P.A. Lecciso, Carmiano (LE), Oltre la regola, attraverso la Libertà. BIBLIOGRAFIA – Calamandrei, P. (1950, 2010). La scuola e la Costituzione. Casabella, n. 786. Milano: Mondadori, pp. 175-188. – Fondazione Agnelli, (2020). Rapporto sull’edilizia scolastica. Bari-Roma: Editori Laterza. – Lynch, K. (1960). The image of the city. Ed. Ita. Ceccarelli, P. (a cura di) (2001). L’immagine della città. Venezia: Marsilio. – Ingold, T. (2016). Ecologia della Cultura. Milano: Meltemi. – Virgioli, P. (2016). 35 Italian schools to save: “Valdadige” schools designed by the Studio Architetti Valle. In To-stoes, A., Ferreira, Z. (a cura di), Adaptive Reuse. The modern movement towards the future. Lisbon: Docomo-mo International and Casa D’Arquitectura, pp. 208-213.

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Giuseppina Cannella Ricercatrice INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. g.cannella@indire.it

Raffaella Carro Ricercatrice INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. r.carro@indire.it

Elena Mosa Ricercatrice INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. e.mosa@indire.it

Dalla teoria alla pratica

01. Agorà IC Bobbio, plesso di Travo (PC) | Agorà IC Bobbio, school site of Travo. Giusy Cannella

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Spazi funzionali e ambienti innovativi per l’apprendimento From Theory to Practice The research on the topic of school architecture stems from the need to overcome the transmissive model exemplified by buildings with rows of identical classrooms facing corridors and spaces dedicated exclusively to transit. Innovation in this field studies the ways in which space can also play an important role in promoting active methodologies that place the student at the centre of action and locate learning in all the spaces of the school. The 1+4 Manifesto introduces a diversification of the spaces of the school building from both a functional and symbolic point of view and conveys a different idea of learning space. The contribution proposes some case studies that have put into practice the concepts underlying the INDIRE model.* La ricerca sul tema delle architetture scolastiche nasce dall’esigenza di superare il modello trasmissivo che trova la sua esemplificazione in edifici con file di aule tutte uguali che si affacciano su corridoi e spazi dedicati esclusivamente al passaggio. L’innovazione in questo campo studia le modalità con cui anche lo spazio può giocare un ruolo importante per promuovere metodologie attive che pongono lo studente al centro dell’azione e situano l’apprendimento in tutti gli spazi della scuola. Il Manifesto 1+4 introduce una diversificazione degli spazi dell’edificio scolastico sia dal punto di vista funzionale che simbolico e veicola un’idea diversa di spazio di apprendimento. Il contributo propone alcuni studi di caso che hanno messo in pratica i concetti che stanno alla base del modello INDIRE.*

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no degli aspetti sui quali concorda la ricerca sugli ambienti di apprendimento è che gli spazi della scuola devono essere flessibili. Negli anni si è andata rafforzando l’idea che l’architettura scolastica e lo spazio fisico rivestano un ruolo importante nell’aiutare la scuola a superare il suo tradizionale approccio trasmissivo, per aprirsi a una didattica personalizzata, individualizzata, attenta a conciliare i saperi disciplinari con lo sviluppo di competenze trasversali e di cittadinanza. Il Manifesto 1+4 Spazi educativi per la scuola del terzo millennio di INDIRE1 legge gli spazi della scuola sia dal punto di vista funzionale che simbolico e propone una riflessione su come può cambiare l’uso dello spazio quando la didattica esce dalle mura della classe e in alcuni casi dall’edificio scolastico stesso. Obiettivi L’obiettivo di questo contributo è quello di leggere l’ambiente scolastico di alcune realtà nazionali e internazionali alla luce della proposta formulata nel Manifesto 1+4. Alcuni dei casi narrati hanno tratto ispirazione dagli spazi proposti nel Manifesto 1+4 (Primo Circolo didattico S. Filippo, IC Montagnola-Gramsci). Negli altri due casi (Artigianelli e Labyrinth škola) il percorso di riflessione è nato dal basso, dalla comunità dei docenti che insieme alla dirigenza hanno sperimentato l’efficacia dei cambiamenti organizzativi promossi dalla scuola in maniera autonoma, adottando soluzioni coerenti con gli spazi funzionali. Approcci e metodi La ricerca che INDIRE ha condotto sul rapporto tra ambiente fisico e aspetti pedagogici si fonda su tre dimensioni: approcci pedagogici basati su strategie didattiche che mettono al centro lo studente, l’orientamento all’acquisizione di competenze e non solo di conoscenze e la presenza diffusa di supporti tecnologici che hanno richiesto un cambiamento del setting d’aula. Le osservazioni condotte negli scorsi anni hanno portato ad attribuire allo spazio

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02. Planimetria dell’IC Montagnola Gramsci (FI) | Plan of the Primary School “Montagnola-Gramsci” Firenze. INDIRE

scolastico il ruolo di “terzo educatore” (Malaguzzi, 1992) con un approccio sistemico all’apprendimento. L’ambiente di apprendimento rinsalda così la sua dimensione sociale (Lefebvre, 1991).

esplorazione, Spazio individuale e Spazio informale sono gli ambienti che tratteggiano un nuovo profilo di scuola che viene ulteriormente elaborato e sviluppato nel 2016 nel Manifesto 1+4 e spazi educativi. Il Manifesto 1+4 introduce una diversificazione degli spazi della scuola sia dal punto di vista funzionale che simbolico e veicola un’idea diversa di edificio scolastico che apre l’aula agli ambienti che la circondano, creando una continuità fisica e didattica. L’aula diventa lo Spazio di gruppo e, pur mantenendo la sua caratteristica di luogo privilegiato del gruppo classe, diventa flessibile e consente organizzazioni che supportano attività di vario tipo: collaborative, creative, di ascolto e di riflessione, mettendo al centro lo studente e il suo personale percorso formativo e educativo. Questo spazio, rappresentato nel Manifesto dal numero “1”, si somma in un’ottica di complementarietà agli altri 4 spazi previsti (Spazio esplorazione, Agorà, Spazio individuale e Spazio informale). Lo Spazio esplorazione è il luogo dove gli studenti sviluppano competenze per risolvere problemi, osservano fenomeni e applicano strategie di intervento. L’Agorà è l’ambiente che accoglie l’intera comunità scolastica in eventi che coinvolgono potenzialmente tutti gli studenti, il personale della scuola e le famiglie. Lo Spazio individuale è dedicato alla concentrazione e allo studio dove ognuno può ritirarsi, leggere, riflettere, studiare. Infine, lo Spazio informale è il luogo per le attività non strutturate, lo svago e l’incontro libero caratterizzato da sedute morbide, divani e angoli di socializzazione, in un’ottica di benessere (Tosi, 2019). La scuola smette di essere un insieme di classi separate da corridoi e atri di passaggio, e diventa uno spazio da abitare, per vivere l’esperienza scolastica in modo più positivo e coinvolgente.

Le osservazioni condotte negli scorsi anni hanno portato ad attribuire allo spazio scolastico il ruolo di “terzo educatore” Già le ricerche di pedagogisti quali Dewey, Cousinet, Freinet, Montessori, Malaguzzi e molti altri avevano avvertito la necessità di intervenire sulla coordinata spaziale, per armonizzarla con una certa idea di scuola e per convertirla da space a place (Tuan, 1977), ovvero da spazio asettico a luogo denso di significati. La ricerca INDIRE sul tema delle architetture scolastiche prende avvio nel 2012 con l’obiettivo di riportare il tema degli ambienti di apprendimento al centro del dibattito. Il percorso ha origine con Quando lo spazio insegna (Biondi et al., 2016), una ricerca attraverso la quale INDIRE ha evidenziato che l’aula tradizionale costituisce uno strumento didattico ormai troppo rigido e inadeguato alle esigenze formative attuali che invece necessitano di spazi polifunzionali e modulari. Questa prima analisi esplorativa, nata a partire da alcuni casi di eccellenza a livello europeo, ha preso forma nella costituzione di un gruppo di lavoro incaricato di redigere le Nuove linee guida per l'edilizia scolastica, pubblicate dal MIUR nel 2013. Al loro interno vengono descritti cinque ambienti dell’edificio scolastico, basati su logiche prestazionali e guidati dalle parole chiave della versatilità e della flessibilità, fondamentali in società complesse governate dall'incertezza del futuro. Agorà, Spazio di gruppo, Spazio

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03. Istituto per le arti grafiche Artigianelli (TN) | Graphic design Secondary School Artigianelli in Trento. Screenshot da video di Giuseppe Moscato

Risultati e discussione Tra le scuole che hanno fatto esplicito richiamo al Manifesto 1+4, c’è il Circolo Didattico San Filippo di Città di Castello (PG) che ha avviato un percorso di ripensamento dei propri ambienti di apprendimento traendo ispirazione dall’allestimento dimostrativo di alcuni ambienti scolastici curati da INDIRE nell’ambito della Fiera ABCD 2016. Alla base di questo cambiamento vi era la necessità di supportare con gli spazi una pedagogia più centrata su attività laboratoriali, sull’apprendimento differenziato e su un coinvolgimento attivo degli studenti in tutte le fasi del processo educativo. Di interesse in questo caso studio è il capovolgimento del processo che di solito viene seguito per la costruzione o la ristrutturazione delle scuole. L’istituto infatti è partito dal progetto pedagogico, prendendo come riferimento il proprio specifico scenario educativo e ha messo in atto un processo di progettazione partecipata che è riuscito a coinvolgere tutti i soggetti che costituiscono la comunità educante (Chipa, 2019) (img. 05). Con un simile processo partecipativo è stato avviato un percorso di riutilizzo degli spazi della scuola MontagnolaGramsci di Firenze, una scuola innovativa già negli anni Sessanta per il rapporto di continuità tra la scuola e il quartiere. Spazio urbano e spazio scolastico erano un tutt’uno nella visione educativa e nella condivisione dei valori. Quell’innovazione si rispecchia anche nella forma dello spazio della scuola che era stato dato dall’architetto Francesco Tiezzi, allievo di Giovanni Michelucci. Una forma che nel tempo è stata “castigata” da un uso sempre più circoscritto allo spazio classe ma che negli ultimi anni, grazie ad alcune insegnanti, ha recuperato il suo ruolo di “terzo educatore”. Lo spazio della scuola, infatti, è configurato in modo tale da creare quattro spazi quadrangolari prospicienti le classi che rappresentano uno spazio fun-

zionale identificato come aula plus (Tosi, 2019). Tali spazi, prima ripostigli, sono diventati a tutti gli effetti funzionali alla didattica; spazi nei quali quella relazionalità tra quartiere e scuola viene ripresa nel rapporto tra spazio classe e spazio androne in una continuità definita da arredi mobili con angoli organizzati per realizzare attività didattiche diversificate che promuovono lavoro di gruppo e momenti individuali, sia interni che esterni (img. 02). Nel caso di studio dell’IIS Pavoniano per le Arti Grafiche Artigianelli coesistono un istituto di istruzione professionale, un percorso di alta formazione grafica, un laboratorio universitario di innovazione, due cooperative e una multinazionale dei cartoni animati. La vision espressa dall’Istituto si basa sulla logica di un ecosistema di apprendimen-

L’aula tradizionale costituisce uno strumento didattico ormai troppo rigido e inadeguato alle esigenze formative attuali che necessitano di spazi polifunzionali e modulari

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to (Brofenbrenner, 1989), ovvero un posto dove più realtà cooperano insieme contaminandosi a vicenda per formare gli studenti e per creare innovazione e sviluppo del tessuto imprenditoriale. L’istituto sfrutta la spinta all’innovazione presente sul territorio istaurando un’importante rete di relazioni e supporta questa idea di scuola con i propri ambienti che sono moderni per il design e gli arredi: pareti trasparenti facilitano la “leggibilità” delle attività, spazi tipo ufficio od open space appositamente pensati per favorire aree di contaminazione virtuosa (img. 03). Un contesto simile è quello della Labyrinth škola di Brno (Repubblica Ceca), una scuola primaria che s’ispira ai princi-

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04. Labyrinth škola di Brno (Repubblica Ceca) | Labyrinth škola Brno (Czech Republic). Immagine scattata dalle ricercatrici INDIRE

pi pedagogici dell’attivismo di Dewey, sposando un approccio in cui l'apprendimento passa attraverso l'esperienza pratica, l'azione e la percezione del mondo. Lo spazio fisico ha un ruolo fondamentale sia all’interno delle mura scolastiche, dove gli spazi facilitano il movimento, la dinamicità

to e abitato nel corso delle attività, sia su indicazione delle insegnanti, sia in modo spontaneo dai bambini. Gli ambienti complementari, come la mensa o lo spazio di esplorazione si trovano in totale continuità con le aule e sono vissuti come i luoghi domestici dove gli alunni sono liberi di muoversi e incontrarsi (Carro, Mosa, 2019). La didattica si svolge regolarmente anche fuori dalle mura e sfrutta ambienti diversi e reali che diventano preziose occasioni per favorire apprendimenti significativi e situati secondo l’approccio della PlaceBased Education2 (img. 04). In molti casi la trasformazione dello spazio educativo è un effetto dei cambiamenti che avvengono per necessità didattica. È accaduto a una delle 1400 piccole scuole italiane, situata nel comune di Travo (PC) e appartenente all’Istituto Comprensivo di Bobbio. La scuola, partendo dalla necessità di uscire dall’i-

In molti casi la trasformazione dello spazio educativo è un effetto dei cambiamenti che avvengono per necessità didattica e il ritmo, sia all’esterno, dove avviene una parte importante dell’educazione dei bambini come interconnessione tra apprendimento formale e informale. Ogni classe racchiude un microcosmo che viene modula-

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05. Circolo Didattico San Filippo di Città di Castello (PG) | Primary School San Filippo in Città di Castello (PG). Giuseppe Moscato

solamento geografico e di promuovere un rinnovamento metodologico che fosse attrattivo per invogliare le famiglie a iscrivere i propri figli nella piccola scuola locale anziché in una scuola di città, ha intrapreso un percorso di europeizzazione diventato sistemico nell’arco di qualche anno. Attraverso la partecipazione a progetti europei (eTwinning che Erasmus+) è stata rafforzata sia l’applicazione di nuove metodologie didattiche, sia l’integrazione del digitale con gli alunni arrivando fino a modificare spazi e tempi della didattica. Diverse sono anche le classi che sono passate da setting d’aula frontali a setting d’aula variabili. In alcune sono sparite le cattedre, sostituite da sgabelli mobili e diminuiti gli armadi, che hanno spesso lasciato spazio ad angoli tematici e isole di lettura. Il corridoio è diventato un’agorà grazie ad arredi adeguati. In questi ambienti è più facile implementare le metodologie attive, perché sono pensati per una didattica group based, ma sono facilmente modificabili e hanno un’impostazione inclusiva con sedute comode, pouf, divani, tappeti e scaffalature a misura di studente, facilmente accessibili e sempre aperte (img. 01). Conclusioni Il ripensamento degli ambienti di apprendimento non può avvenire in assenza di una riflessione su un modello di scuola che sia maggiormente allineato con le sfide poste dalla società contemporanea. La sola lezione frontale e il suo emblema spaziale dei banchi di fronte alla cattedra sono ormai modelli obsoleti e non sono efficaci per la crescita intellettuale, emotiva e sociale di cittadini competenti. Il Manifesto 1+4 si offre come un quadro di riferimento all’interno del quale situare le specificità dei processi di innovazione che caratterizzano le scuole autonome e rappresenta uno strumento di riflessione e ispirazione sia per la progettazione di nuove scuole, sia per quanto riguarda la ristrutturazione di vecchi edifici scolastici.*

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NOTE 1 – Il Manifesto 1+4 Spazi educativi per una nuova generazione di scuole in Italia è stato presentato alla comunità scientifica nell’ambito del convegno internazionale “Spaces for Education. Spaces of Education” (Kassel, 13-16 marzo 2016). 2 – Il Placed Based Education (PBE) è un approccio che sfrutta l’ambiente circostante per creare un apprendimento personalizzato, autentico, significativo e coinvolgente per gli studenti. Più specificamente è un’esperienza di apprendimento immersiva che pone gli studenti al centro della loro eredità culturale, storica e paesaggistica e utilizza le opportunità e le esperienze offerte dal contesto culturale come base per lo studio dell’arte, della lingua, della matematica, degli studi sociali, delle scienze e di tutte le altre materie del curricolo. GETTING SMART in partnership with eduInnovation & Teton Science Schools, What is Placed Based Education and Why Does it Matter? In http://www.gettingsmart.com/ wp-content/uploads/2017/02/What-is-Place-Based-Education-and-Why-Does-it-Matter-3. pdf (ultima consultazione maggio 2021). BIBLIOGRAFIA – Biondi, G., Borri, S., Tosi, L. (a cura di) (2016). Dall’aula all’ambiente di apprendimento. Firenze: Altralinea edizioni. – Bronfenbrenner, U. (1989). Ecological systems theory. Annals of Child Development, n. 6, pp. 187–249. – Carro, R., Mosa, E. (2019). Una scuola in movimento: il caso della Labyrinth School. In Tosi, L. (a cura di), Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, organizzare e utilizzare gli ambienti di apprendimento a scuola. Firenze: Giunti Scuola, pp. 48-58. – Chipa, S. (2019). Ripensare gli ambienti per la didattica attiva: il caso del Primo Circolo Didattico San Filippo. In Tosi, L. (a cura di), Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, organizzare e utilizzare gli ambienti di apprendimento a scuola. Firenze: Giunti Scuola, pp. 55-69. – Lefebrve, H. (2018). La produzione dello spazio. Roma: Pgreco edizioni. – Malaguzzi, L. (2017). Invece il cento c'è. In Edwards, C., Gandini, L., & Forman, G. (a cura di), I Cento Linguaggi dei Bambini: l'approccio di Reggio Emilia all'educazione dell'infanzia. Parma: Edizioni junior. – Tosi, L. (a cura di), (2019). Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, organizzare e utilizzare gli ambienti di apprendimento a scuola. Firenze: Giunti Scuola. – Tuan, Y. (1977). Space and Place: The Perspective of Experience. Minneapolis: University of Minnesota Press.

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Beate Weyland Professore associato di Didattica generale, Facoltà di Scienze della Formazione, Libera Università di Bolzano. b.weyland@unibz.it

Bruna Sigillo PhD, Professore a contratto di Architettura degli interni e allestimento, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II. bruna.sigillo@unina.it

Ambienti educativi con la natura

01. Aula green. Scuola Secondaria di primo grado J. Rampold Vipiteno | Green classroom. J. Rampold Vipiteno First Grade Secondary School. Pietracupa

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Appropriarsi degli spazi educativi tra pedagogia e architettura Educational Environments with Nature The transformation of the triadic relationship between teaching, learning and knowledge in the direction of open, cooperative and research-oriented approaches leads to investigating the architectural potential of educational spaces according to new perspectives. The EDEN project is experimenting with the introduction of plants in indoor environments: the relationship between pedagogy and architecture is expressed at a micro level and offers to children and teachers the opportunity to redesign indoor environments by creating welcoming, natural and ever-changing landscapes, in the perspective of the “open project”.* La trasformazione del rapporto triadico tra insegnamento, apprendimento e conoscenza in direzione di approcci aperti, cooperativi e orientati alla ricerca porta a indagare le potenzialità architettoniche degli spazi didattici secondo nuove prospettive. Con il progetto EDEN si sta sperimentando l’introduzione delle piante negli ambienti interni: la relazione tra pedagogia e architettura si esplica a un livello micro e offre ai bambini e agli insegnanti l’occasione di riprogettare gli ambienti interni creando paesaggi accoglienti, naturali e sempre cangianti, nell’ottica del “progetto aperto”.*

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ntroduzione L’agenda digitale dell’Unione Europea segnala un vero e proprio cambio di paradigma nell’approccio pedagogico-didattico dell’universo scuola segnando uno spostamento del baricentro dall’insegnante allo studente, dal dire al fare, dal ripetere al capire, dall’omologazione alla moltiplicazione e differenziazione di attività, esperienze, ricerche, impegni. Le nuove proposte su cui si concentrano gli studiosi all’intersezione tra pedagogia, architettura e design (Weyland et al., 2019; Weyland & Prey, 2020; Weyland & Leone, 2020) e le innumerevoli pubblicazioni degli ultimi anni sui temi degli ambienti educativi (Mondaini, 2018; Faiferri et al., 2018; Tosi, 2019; Castoldi, 2020; Paloma, 2020; Della Torre et al., 2020) riflettono un nuovo modo di fare scuola, più rispondente ai bisogni profondi degli individui, più coinvolgente e meno formale. In generale si evidenzia un progressivo passaggio da una concezione della scuola come luogo predefinito e quasi standardizzato, costruito secondo stereotipi dati da una cultura della frontalità e dell’inculturazione, a quella di un ambiente da abitare e di cui appropriarsi. La scuola diventa la casa della cultura nel senso più ampio, un ambiente in cui creare insieme conoscenza attraverso la ricerca e l’esplorazione, con l’elaborazione del patrimonio culturale per aprirsi a nuovi orizzonti e per dare senso al mondo. In questo quadro stiamo sperimentando una proposta per lavorare con le comunità educative e scolastiche a processi di appropriazione dello spazio tra pedagogia e architettura con l’ausilio di elementi vegetali. La relazione con le piante offre straordinarie occasioni a pedagogia e architettura per entrare in relazione: da una parte consente di sviluppare un incontro ravvicinato con la natura già negli ambienti interni e di indagare le misteriose qualità dei vegetali con approcci ludici e cooperativi; dall’altra le piante, come soggetti fisici, si prestano per riprogettare gli spazi interni ed esterni e permettono ai bambini e agli insegnanti di creare paesaggi accoglienti, naturali e sempre cangianti, nell’ottica del “progetto aperto”.

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02. Allestimento dell’aula green presso l’Università di Bolzano | Preparation of the green classroom at the University of Bolzano. Weyland

L’aspetto che cattura l’interesse delle comunità educanti, infatti, è la possibilità di intervenire in modo semplice e intuitivo sulla qualità degli ambienti, avendo in breve tempo una soddisfazione nel processo trasformativo, che consente poi di lavorare più compiutamente sulla progettazione condivisa dell’architettura scolastica complessiva. Obiettivi: progettare il mondo migliore in cui vivere tra pedagogia e architettura EDEN1 è un progetto interdisciplinare che intende sollecitare il coinvolgimento di diversi soggetti sullo sviluppo di nuovi scenari per il mondo dell’educazione: si interrogano le scienze pedagogiche, gli universi dell’architettura e del paesaggio, fino a intercettare le traiettorie della botanica e delle scienze naturali. Sono diverse le questioni sulle quali si intrecciano le riflessioni: prima tra tutte quella di poter creare ambienti educativi e scolastici abitati, domestici, identitari.

L’antropologo Francesco Remotti (2001), nella sua critica al concetto di identità intesa come rigorosamente separata dall’alterità, ne ribalta il predominio avanzando la proposta di considerare l’identità come un “noi” dichiarando l’alterità imprescindibile. È nei luoghi destinati alla formazione, infatti, che si stabiliscono i primi valori di socialità ed è qui che si esperisce il passaggio dal guscio, luogo di origine identificato con l’ambiente domestico, all’aula, spazio condiviso e di prossimità. Le stimolanti indicazioni dell’antropologo scozzese Tim Ingold (2016), che studia come l’essere umano abita il mondo, ci spingono come pedagogisti e architetti in una riflessione accesa sulla dicotomia tra costruire e abitare. Abitare non è occupare uno spazio, è sentirsi a casa. Per quanto riguarda la scuola, questa consapevolezza apre un percorso di ripensamento degli spazi scolastici e di sensibilizzazione dei soggetti/utenti sulla necessità di scegliere come abitarli, partendo dall’esperienza della cura dello spazio abitato.

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03. Lezioni nell’aula green presso l’Università di Bolzano | Lessons in the green classroom at the University of Bolzano. Weyland

Ingold si appella alla prospettiva dell’abitare, in contrapposizione a quella del costruire, ricordando come nel corso della storia, prima di progettare, l’uomo abbia cooptato oggetti e cose per soddisfare i propri bisogni. Le forme architettoniche, gli oggetti di arredo, la presenza delle piante negli ambienti sono tutti strumenti che hanno segnato la cooptazione sperimentale e attiva delle cose nel mondo. Dopo il fondativo ruolo dell’architettura della casa, i luoghi deputati alla formazione hanno il compito di interpretare e costruire la qualità dell’uomo quale essere sociale, precorrendo l’urbanità e ponendo le basi della capacità di abitare lo spazio condiviso (Cafiero, 2016). Partendo dalla definizione di Herman Hertzberger della scuola come micro città, l’integrazione tra visione pedagogica e progetto visto come strumento di formazione, consente la reinterpretazione dei caratteri della scala urbana, declinandoli attraverso elementi architettonici di prossimità: la soglia urbana dell’ingresso fa da tramite tra la scuola e la casa, passando per la città. Dall’atrio si snodano i connettivi, che come strade direzionano, accompagnano e conducono alle aule, spazi dai margini sempre più flessibili, fino a essere evanescenti intersecando aree ludiche e ambiti per l’apprendimento informale in una fluidità controllabile soltanto attraverso un progetto che sa calibrare le distanze, che contempla la dimensione interiore, delineando dall’interno quel paesaggio di apprendimento, “terzo insegnante”, che supera la tradizionale relazione tra spazio e didattica. Se l’architettura domestica ha un ruolo attivo nella costruzione dell’individuo, l’architettura dei luoghi destinati alla formazione e all’educazione ha un ruolo imprescindibile nella costruzione dell’uomo quale essere sociale; merita pertanto un’attenzione progettuale multidisciplinare in quanto luogo principe in cui avvengono i più delicati passaggi generazionali attraverso la formazione dei futuri cittadini di un paese.

In questo spirito si colloca la proposta di EDEN: abitare lo spazio educativo con le piante. L’obiettivo a lungo termine è profondamente trasformativo e rende più chiaro il connubio indissolubile tra pedagogia e architettura nel progettare il miglior mondo in cui vivere. Cesare Scurati (1997, 1991), nei suoi numerosi scritti, a più riprese sintetizzava l’essenza pedagogica nell’esercizio critico della ragione sulla realtà sotto il profilo dell’educazione e le assegnava due peculiari caratteristiche: un’anima euristica e propositiva, protesa alla soluzione di problemi legati all’educazione e all’individuazione di proposte efficaci. Anche l’architettura ha questo obiettivo: progetta e costruisce ambienti in cui vive l’essere umano, esprimendo le sue finalità e caratteristiche fondamentali, con una propria storicità, una tecnica specifica e svolgendo un accurato percorso di ricerca sulle soluzioni più adeguate. Come “fatto umano” primigenio, che offre innanzitutto risposta alle necessità biologiche dell’uomo quali la protezione e la sicurezza (Nair et al., 2009), l’architettura, come la pedagogia, è un particolare modo di leggere e intervenire sulla realtà e, in questo caso, ri-

La relazione con le piante offre straordinarie occasioni a pedagogia e architettura per entrare in relazione

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sente dell’insieme dei pensieri, delle ricerche e delle azioni che storicamente hanno riguardato la concezione degli ambienti tradizionalmente deputati all’istruzione. Se l’architettura è comunicazione, quindi un testo scritto, un testo che le persone leggono e che discutono, criticano, apprezzano, spesso anche inconsapevolmente, essa in quanto tale comunica i valori che l’architetto ha interpretato vivendo, ascoltando e capendo la società, la storia, i problemi dell’uomo. Nell’architettura scolastica troviamo quindi interessanti chiavi di lettura di come il nostro tempo ha ragionato sul rapporto insegnamento/apprendimento e di come si sta

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04. Spazio comune. Scuola Secondaria J. Rampold Vipiteno | Common space. J. Rampold Vipiteno Secondary School. Weyland

evolvendo il pensiero sui luoghi dell’educazione proponendo una visione che supera i bisogni e le richieste specifiche e che interpreta il sentire di un certo tempo con un approccio rivolto al futuro. Approcci e metodi: le piante al guado tra spazi e didattiche Con il progetto EDEN intendiamo trovare intesa tra l’universo degli spazi e delle didattiche per riflettere sulla concretezza e sulla materialità degli spazi educativi e scolastici per generare benessere (Hughes et al., 2019). In architettura costruire è usare ciò che si ha a disposizione, impiegando i molti linguaggi della materia. In ambito scolastico la materia ha invece una valenza astratta. Costruire pedagogie significa lavorare sulle materie prime della conoscenza, attuare didattiche significa parlare i linguaggi delle materie di studio, conoscerne le diverse qualità. In architettura costruire significa costringere i materiali a una relazione reciproca, tra distanze, vicinanze e lontananze, muovere materiali nello spazio per dare forma al vuoto tra gli elementi. In pedagogia, e soprattutto per quanto riguarda la scuola, la

clusione dello spazio nella definizione e organizzazione della relazione educativa. Le piante hanno bisogno di spazio, di luce, di appoggi. Le piante hanno bisogno di azione e relazione. Le piante necessitano di un progetto che incontra l’agire didattico e la progettazione degli interni e degli esterni. Al fine di esplorare con attenzione la dinamica dell’appropriazione dello spazio didattico da parte di insegnanti e bambini con l’ausilio delle piante, il lavoro che si sta avviando con diverse scuole italiane, dal nido d’infanzia all’università2, vuole seguire un’opera all’interno del paradigma interpretativo (Denzin e Lincoln, 2018) e adotta la metodologia della ricerca con i bambini e della ricerca-azione con gli insegnanti. La ricerca non è quindi uno studio sui bambini e gli insegnanti, ma li considera come soggetti, come attori sociali con i propri diritti e con un’ottima capacità di raccogliere dati. Tutti i soggetti della comunità educativa (bambini, insegnanti, genitori e anche collaboratori scolastici) sono considerati co-ricercatori nel processo d’indagine. Il quadro teorico è guidato dalla Grounded Theory (Charmaz, 2014) e si avvale degli approcci narrativi e riflessivi (Nuzzaci, 2012) caratterizzati da una costruzione condivisa delle interpretazioni emergenti dai dati, sul valore formativo in termini di riflessività e consapevolizzazione.

Con il semplice gesto di portare una pianta a scuola, rompiamo lo schema, creiamo una fenditura e insieme esploriamo cosa si trova al di là del muro, tra pedagogia e architettura relazione consiste nei diversi accenti con i quali si combinano tra loro l’insegnante, l’allievo e il sapere. L’introduzione delle piante nel dialogo tra pedagogia e architettura permette di costruire un sistema di relazioni in cui dalla triade insegnante-allievo-sapere nasce il quadrato, con un insieme di discorsi e risonanze che conducono all’in-

Risultati attesi: insieme al di là del muro Siamo in ricerca dall’inizio della pandemia: in marzo 2020 sullo sviluppo di rapporti di prossimità con le piante iniziati negli spazi della casa; in estate abbiamo potuto realizzare le prime simulazioni per trasformare aule tristi e spoglie in luoghi di attività cooperativa insieme alle piante. Insieme ad alcune scuole disponibili e presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, sono state allestite “aule verdi” con diverse piante, utilizzando come regola 1 a 1, quindi una pianta per ogni studente e per ogni insegnante all’interno dell’aula.

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05. Scuola Secondaria di primo grado Rio di Pusteria | Rio di Pusteria lower secondary school. Weyland

Grazie alla collaborazione con alcuni giardinieri locali, è stato possibile inserire negli ambienti didattici dalle venti alle quaranta piante di varie dimensioni. La situazione di COVID-19 ci ha sfidato ancora di più, nel senso che le piante sono state utilizzate per soddisfare le esigenze di distanziamento senza sacrificare, anzi per contrassegnare meglio gli ambienti cooperativi e per offrire una configurazione più confortevole e resiliente degli spazi interni, anche con elementi vicini alla natura. Abbiamo attivato seminari di sensibilizzazione e raccolto intorno a noi una serie di soggetti afferenti ai campi della pedagogia, dell’architettura e del design, per sviluppare proposte di arredo da una parte e attività ludico-didattiche con le piante dall’altra. Con il 2021 sono partite le prime sperimentazioni concrete della proposta. I primi riscontri sono estremamente confortanti: i bambini e i ragazzi si animano nell’incontro con le piante, gli insegnanti scoprono le potenzialità dei setting cooperativi e iniziano a studiare lo spazio come un possibile alleato, i coordinatori e dirigenti ragionano sulle tempistiche e sulle strategie organizzative. Le questioni aperte sono diverse e siamo in ricerca con le scuole per darvi risposta. Da una parte ragioniamo sulle questioni relative alla relazione educativa: cosa succede negli ambienti di apprendimento con le piante? Cambia il processo di insegnamento-apprendimento? Le persone sono effettivamente più concentrate e motivate in ambienti con piante? Le persone imparano e studiano meglio in ambienti allestiti con le piante? Come si rapportano alle piante i bambini con disabilità? Dall’altra sviluppiamo ragionamenti legati all’appropriazione degli spazi scolastici: le piante sono elementi che migliorano la qualità estetica degli ambienti? Possono aiutare a connotare meglio gli spazi per le attività cooperative, laboratoriali e aperte? Le piante sono mediatori che offrono un’opportunità agli insegnanti e ai bambini di avvicinarsi alle traiettorie dell’architettura e a concepire la tridimensionalità della scuola? Siamo convinte che la presenza delle piante come soggetti cognitivi ed emotivi negli ambienti interni stia inse-

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gnando alla pedagogia e all’architettura per la scuola un nuovo modo di abitare lo spazio educativo. Uno spazio che è contrassegnato da gesti di cura e da azioni protese alla salvaguardia del nostro benessere, che si lega di necessità a quello della nostra terra. Con il semplice gesto di portare una pianta a scuola, rompiamo lo schema, creiamo una fenditura e insieme esploriamo cosa si trova al di là del muro, tra pedagogia e architettura.* NOTE 1 – EDEN è l’acronimo di Educational Environments with Nature. Il progetto EDEN è nato durante il periodo del lockdown dovuto alla pandemia attraverso la realizzazione di un corso online con le studentesse di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano sul tema della didattica sensoriale con le piante e attraverso il seminario La natura dentro casa: prima dell’aula green proposto all’interno del ciclo di dialoghi aperti sull’educazione offerti dalla nostra Facoltà nei tre mesi di vita in casa. I temi esplorati sono: come creare l’ambiente in classe con le piante? Si può fare didattica con le piante? Come imparare dalle piante e con le piante? Si può giocare con le piante? Che tipo di giochi si possono fare con le piante al nido, all’infanzia e nelle scuole dell’obbligo? Dal seminario aperto al quale hanno partecipato insegnanti e genitori da tutta Italia è nata la pagina pubblica facebook EDEN e sta nascendo un gruppo di ricerca libero e aperto sul tema insieme agli insegnanti più attivi e coinvolti. Sulla pagina pubblica il gruppo posta attivamente contributi bibliografici sul tema, moodboard e piccoli esperimenti pratici.

BIBLIOGRAFIA – Cafiero, G. (2016). Abitare i luoghi della formazione. Scientific Open Access e-Journal FAmagazine, n. 37, pp. 19-27. – Charmaz, K. (2014). Constructing Grounded Theory (2nd ed.). California: SAGE. – Denzin, N.K., Lincoln, Y.S. (2018). The SAGE Handbook of Qualitative Research. Thousand Oaks, California: SAGE. – Faiferri, M., Bartocci, S., Pusceddu, F. (a cura di) (2018). Innovative Learning Spaces. Trento: LIStLab. – Hughes, H., Franz, J., Willis, J. (2019). School spaces for Student Wellbeing and Learning. Singapore: Springer. – Ingold, T. (2016). Ecologia della cultura. Milano: Meltemi. – Mondaini, G.(2018). Spazio e formazione. Roma: Edilstampa. – Nair, P., Fielding, R., Lakney, J. (2009). The language of School Design. Design-Share.com. – Nuzzaci, A. (2012). Competenze riflessive tra professionalità educativa e insegnamento. Lecce: Pensa Multimedia. – Paloma, F. (2020). Embodiment & School. Lecce: Pensa Multimedia. – Remotti, F. (2009). Contro l’identità. Roma: Laterza. – Scurati, C. (1991). Profili nell’educazione. Milano: Vita e pensiero. – Scurati, C. (1997). Pedagogia della scuola. Brescia: La Scuola. – Tosi, L. (2019). Fare didattica in spazi flessibili. Firenze: Giunti Scuola. – Weyland, B. (2017). Didattica sensoriale. Milano: Guerini. – Weyland, B., Stadler-Altmann, U., Galletti, A., Prey, K. (2019). Scuole in movimento. Progettare insieme tra pedagogia, architettura e design. Milano: FrancoAngeli. – Weyland, B., Leone, T. (2020). Laboratori attivi di democrazia tra spazi e didattiche. Milano: Guerini scientifica. – Weyland, B., Prey, K. (2020). Ridisegnare la scuola tra didattica architettura e design. Milano: Guerini.

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Massimo Ferrari Professore associato in Composizione architettonica e urbana, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, Politecnico di Milano. massimo.ferrari@polimi.it

Claudia Tinazzi Ricercatore in Composizione architettonica e urbana, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, Politecnico di Milano. claudia.tinazzi@polimi.it

Annalucia D’Erchia PhD, Assegnista di ricerca, Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito, Politecnico di Milano. annalucia.derchia@polimi.it

Aule, composizioni di aule, scuole

01. The One-Room School: Watson Road School, USA, about 1900. Cattaraugus County History Group

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La misura dello spazio per l’apprendimento Classrooms, Classroom Compositions, Schools The contemporary debate on the theme of school architecture focuses on the possibility of developing the space of learning starting from social and technological changes that, while rooted in a precise idea of teaching, require a redefinition shared by the various disciplines that contribute to the quality of the educational and pedagogical world. Within the research on the school theme, the minimum space of living, both in private and in public life, becomes the way and the mean to introduce the proper terms referred to the composition through the experience of the “measure of man” as E.N.Rogers well defined (Maffioletti, 2009, p. 62).* Il dibattito contemporaneo sul tema dell’architettura della scuola pone l’accento sulla possibilità di sviluppare lo spazio dell’apprendere a partire dai cambiamenti sociali e tecnologici che, pur radicandosi a un’idea precisa di insegnamento, necessitano di una ridefinizione condivisa dalle diverse discipline che concorrono alla qualità del mondo educativo e pedagogico. Lo spazio minimo del vivere, tanto nella vita privata quanto pubblica, diventa all’interno della ricerca sul tema della scuola il modo e il mezzo per introdurre i termini propri riferiti alla composizione attraverso l’esperienza della “misura dell’uomo” secondo l’accezione ben definita da E.N.Rogers (Maffioletti, 2009, p. 62).*

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alifornia 1935, il quarantenne Richard Neutra – trasferitosi da poco più di dieci anni in America dopo la formazione e l’apprendistato tra Vienna e Berlino alla Scuola di Architettura di Adolf Loos e poi sotto la guida di Erich Mendelsohn – inizia ad affiancare ai tanti progetti per un “abitare moderno” alcune riflessioni puntuali in forma di progetto attorno al tema della scuola; Typical Classroom Activity Training, uno dei disegni più emblematici di questa ricerca, testimonia ancora oggi ai nostri occhi la straordinaria ricchezza di un ragionamento che abbraccia più discipline ed è capace di riflettere con libertà sullo spazio per l’apprendimento in un’assoluta avanguardia che ingannerebbe qualsiasi critica contemporanea sull’effettiva datazione di questa allegra, quanto precisa, raffigurazione. Spazi concatenati, continuità spaziali tra interno ed esterno, materiali e colori – ruvidi, opachi o lucidi – bambini solitari o in gruppo sembrano poter animare da un momento all’altro il racconto bidimensionale in quella che sembra l’immagine catturata di un’esperienza vista o, ancor meglio, vissuta. “Agli albori della vita noi passiamo molto tempo sul pavimento, alla maniera perplessa e curiosa dei bambini. A due o tre anni io mi accoccolavo sul parquet dell’appartamento dei miei, a scrutare le fibre scrostate e scheggiate del legno consunto e le assicelle sformate. Le fessure interstiziali erano piene di una sostanza compatta che mi piaceva scavare con le dita. Per gli adulti il pavimento è lontano. Se loro si fossero fermati a esaminare ciò che estraevo da questo quieto ripostiglio delle giunture di parquet, l’avrebbero chiamato sporcizia. Con un opportuno ingrandimento al microscopio ci si sarebbe accorti che era un mondo pullulante di microbi. Io lo saggiavo con l’inveterata prova dell’infante – me lo mettevo in bocca e lo trovavo ‘non buono’ […] Quelle molte esperienze infantili mi insegnarono mute lezioni sull’apprezzamento di spazio, valori tattili, luce ed ombra, odore dei tappeti, calore del legno e freschezza del focolare di pietra sito davanti alla nostra stufa di cucina” (Neutra, 1956, pp. 22-24).

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02. Ciro Cicconcelli, studi planimetrici per le scuole, 1957 | Ciro Cicconcelli, planimetric studies for schools, 1957. Quaderni del centro studi per l’edilizia scolastica

Questa riflessione contenuta all’interno del suo libro Progettare per sopravvivere (1956), affiancato al disegno sopra descritto, ci sembra oggi più che mai il più chiaro manifesto di indirizzo di un modo preciso d’immaginare l’ambiente scolastico. La definizione dell’ambiente per l’apprendimento, per meglio dire degli spazi adeguati all’apprendimento, è trascritta da Neutra in un ragionamento quasi prettamente centrifugo, a partire dallo spazio interno minimo della classe, coinvolgendo tanto le possibilità di azione quanto le più differenti percezioni sensoriali. Nella precisa cura che l’architetto austriaco rivolge alla composizione dell’ambiente – spesso spazio singolo contenuto in uno spazio più generale o luogo principale che affaccia a un altro luogo in un dialogo quasi complementare e simbiotico – il ruolo o meglio il significato della classe supera il rifiuto contemporaneo per l’aula scolastica e ci ricorda quanto questo ambiente ideale – pedagogico prima di tutto – rappresenti per i bambini la prima espe-

rienza di socializzazione che esce dal fare domestico, luogo esperienziale di una piccola comunità, luogo in cui singolare e collettivo possono e devono convivere. In questo senso l’esempio americano della scuola a un’unica classe (One Room School) poi esportato in molti paesi tra cui la Germania, l’Australia, l’Irlanda, rappresenta un orizzonte figurativo più che un obiettivo della formazione, una suggestione singolare come la sua unicità denuncia. Queste scuole rurali costruite alla fine del 1800 immerse nella natura non lontano dal loro piccolo centro cittadino si componevano di un’unica aula comprimendo tutti i luoghi necessari nella loro misura minima: una scala d’ingresso, un atrio, la stanza dell’insegnamento spesso senza servizi igienici, una grande finestra posta a est; una sola classe per bambini di diverse età, un solo insegnante per imparare a leggere, scrivere, contare, la storia e la geografia. Piccoli edifici dalle forme elementari che spesso nell’immaginario collettivo sono diventati il centro della comunità.

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03. Dieci aule per il futuro, consultazione in occasione della mostra “Di ogni ordine e grado”, Triennale di Milano, 2015 | Ten classrooms for the future, consultation on the occasion of the exhibition “Of Every Order and Degree”, Triennale di Milano, 2015. Massimo Ferrari

Ma tutto il Novecento, a ben guardare, è costellato da queste ricerche e da altrettanti progetti che, contrariamente a quanto ci si possa aspettare, trovano proprio nell’aula il luogo da cui partire per la massima sperimentazione riferita al progetto: spazi composti, flessibili, trasformabili, concatenati tra loro, che vivono nel rapporto critico con l’esterno e nell’obbligato ragionamento di un efficiente sistema di distribuzione, la compiutezza del più vero significato. In questo contesto del nostro passato prossimo – ancora da ripercorrere oggi con profondità – quasi nessuna differenza separa l’esperienza italiana da quella straniera, al contrario incroci e intersezioni tra forme e significati ci fanno pensare a un grande unico laboratorio che ha riflettuto “a distanza” su temi e orizzonti comuni. Intersezioni che tra gli altri accolgono il dialogo tra l’architetto americano d’adozio-

ne e Arrigo Arrighetti, architetto milanese attivo nell’ufficio tecnico del Comune di Milano. “Felicitazioni! Richard Neutra”. Con queste epigrafiche parole scritte sopra il proprio biglietto da visita, il noto ar-

Aula come spazio che si definisce dall’interno, composizione di aule nell’astrazione ideale dei suoi principi, edificio scolastico come architettura collocata in un determinato contesto

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chitetto celebra con l’architetto milanese sia gli anni di lavoro dedicati all’architettura della scuola sia la comunanza di intenti nell’evidenziare l’elemento naturale dell’albero come

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04. Esperienze didattiche attorno allo spazio minino dell’apprendimento. Politecnico di Milano, Polo Territoriale di Mantova, Laboratorio di Progettazione 1, a.a. 2019-2020 | Didactic experiences around the minimum learning space. Politecnico di Milano, Mantova Campus, Design Laboratory 1, a.y. 2019-2020. POLIMI-MN

primo luogo educativo già rappresentato anche nei suoi tanti schizzi americani. L’idea di albero, cristallizzato in pilastro sormontato da un capitello dalle mille sfaccettature, è infatti il centro fisico e ideale della scuola materna in via Santa Croce a Milano, gemella, in questo caso maggiore, del successivo edificio costruito con lo stesso disegno in via Valvassore Peroni a Lambrate. Identici in ogni dettaglio i due istituti scolastici concretizzano la geometria cartesiana dell’incrocio degli assi principali in una pianta centrale e circolare che, nella sua immediata ed elementare figurazione, riconosce il ruolo della scuola come centro del giardino verde che rappresenta il luogo di relazione di tutta la comunità. La contemporaneità che ci si pone davanti – interrogando il tema della scuola – ci spinge forse sempre di più a riconoscere la necessità istintiva di una “rottura critica” con tutti questi esempi e con ciò che ci ha preceduto nell’ultimo tempo appena trascorso, per rinsaldare in una nuova unità i due termini di un unico racconto, architettura e pedagogia, che per oltre un trentennio hanno viaggiato su strade diverse senza capacità di confronto, né di incontro, per una concreta idea di scuola adeguata al proprio tempo. Sicuramente il passato prossimo – più vicino alla verifica sul campo dell’adeguatezza dello spazio a un possibile suo uso educativo – ci restituisce con evidenza le conseguenti distanze che inducono la necessità di agire per opposizione, istanze ben espresse da termini di contrasto e rifiuto come “L’aula si è rotta”. Eppure, l’urgenza di rivoluzione e il bisogno concreto di inventare “di nuovo” un’idea di scuola adeguata al nostro tempo – sempre nel dialogo serrato tra architettura e pedagogia - ci ha fatto in alcuni periodi dimenticare quell’atteggiamento ben espresso dall’Angelus Novus di Paul Klee, i cui occhi tradiscono la duplice direzione dello sguardo nell’insoluta relazione tra passato e futuro. Ma se la pedagogia con maggiore facilità ha trovato più familiare il confronto anche critico con il passato, ritrovando all’interno di alcuni principi dei più noti pensieri pedagogici

del Novecento una possibilità di ripartenza, l’architettura si è divisa – contesa senza possibilità di soluzione – tra la volontà di proteggere quasi “acriticamente” il valore compositivo di alcuni esempi storici capaci di rispondere solo al proprio tempo, collocandoli contemporaneamente in un ideale atlante di architettura del Novecento e dall’altra parte un’istintiva tabula rasa nella giovane illusione di una facile ridefinizione senza vincoli di una nuova idea tipologica dell’edificio scuola. Questa impasse ha così tolto la possibilità di un lavoro serio della disciplina della composizione architettonica e del progetto per un consapevole sguardo sulla storia capace di restituirci esperienze che ancora oggi potrebbero sembrare rivoluzionarie. Il tempo della scuola, il frangente cronologico che la vede protagonista delle trasformazioni necessarie con tutte le riflessioni e ipotesi che ne conseguono, attraversa quindi, in un certo senso, gran parte del Novecento tanto che spesso, se si provasse a ingannare la critica contemporanea con la riproposizione di alcuni progetti per nuove scuole della metà del Novecento o testi del secolo scorso – falsificandone la fonte temporale – si rischierebbe di contribuire con sfrontata sicurezza alla più proficua ricerca sull’adeguatezza degli spazi per l’apprendimento del nostro tempo (Arrighetti, 1956; Cicconcelli, 1952; Rogers, 1947). Pensare la scuola del futuro non è quindi uno slogan ma la riproposizione nel presente di quegli esempi centrali, quei picchi di sintonia tra le discipline che punteggiano il secolo scorso (Ministero della Pubblica Istruzione, 1953; Casabella Continuità, 1960). Significa – ancora – sicuri della capacità critica del confronto, credere a una generazione di architetti ben consapevoli e capaci di affrontare e far progredire la qualità dell’architettura italiana. Ma allora è facile domandarsi: è ancora possibile ripartire dall’aula?¹ L’aula scolastica – senza un riferimento né limite preciso a una forma oggi da ridiscutere – unità minima della scuola, può diventare il primo passo di avvicinamento alla composizione per affrontare il tema dell’architettura

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05. Richard Neutra “Typical Classroom Activity Training”, 1935. Moma

scolastica e contemporaneamente l’occasione per introdurre la necessaria componente interdisciplinare, dall’architettura alla pedagogia, dalla tecnologia alle scienze fino alle arti. Un rovesciamento di scala, capace di avviare una prima riflessione onesta sul luogo minimo e non riducibile ulteriormente per l’insegnamento, sviluppando la concreta sinergia tra la qualità dello spazio progettato e i nuovi metodi di apprendimento (Hertzberger, 2008). Un corpo a corpo tra le due discipline che impone da una parte un’idea pedagogica (Lodi, 1977) sempre più lontana da quel pericoloso “su misura” a cui spesso assistiamo nelle tante scuole contemporanee e dall’altra un aperto ascolto da parte dell’architettura, di tutte quelle istanze che indirizzano le ragioni più profonde delle nostre figurazioni. Da questa prima riflessione quasi “elementare”, il lavoro di ricerca prosegue all’interno dell’occasione di mettere alla prova questa elaborazione di spazi innovativi con composizioni più complesse che nella verifica delle differenti possibilità – dalla somma alla sovrapposizione – possano ragionare sul carattere della scuola di oggi. Operazioni che portano a riflettere sulla necessaria contaminazione degli spazi nel riconoscimento della perdita d’identità statica dell’aula tradizionale. Esito della ricerca, per noi ancora in corso, diviene quindi la possibile definizione di luoghi concatenati in cui lo spazio minimo si riconosce ma non si esaurisce nella composizione del tradizionale spazio della lezione frontale come unico luogo autoreferenziale e deputato all’apprendere. Il contributo interdisciplinare, indispensabile confronto nella definizione del tema scolastico, diventa guida per la ricerca e continua verifica per la composizione. L’educazione, la filosofia, la psicologia, la politica, l’arte, la musica, il teatro diventano in parallelo materia concreta su cui confrontare la disciplina architettonica, garantendo la profondità del racconto. “Aula” come spazio che si definisce dall’interno, “composizione di aule” nell’astrazione ideale dei suoi principi, “edificio scolastico” come architettura collocata in un determinato contesto, diventano quindi le tappe di un possibile processo capovolto per affrontare con profondità il tema urgente della scuola.* OFFICINA* N.34

NOTE 1 – La ricerca sul tema dell’architettura scolastica di cui si presentano qui alcune riflessioni, a partire dalla mostra Di ogni ordine e grado. L’architettura della scuola (Ferrari, 2015), Triennale di Milano 2015 (a cura di M. Ferrari) ha trovato diversi ambiti di applicazione ancora in corso, tra cui il Laboratorio di Progettazione dell’architettura 1 (Politecnico di Milano e Polo Territoriale di Mantova) e il PRIN – Progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale, Bando 2017 del MIUR dal titolo Prototipi di scuole da abitare – nuovi modelli architettonici per la costruzione, il rinnovo e il recupero resiliente del patrimonio edilizio scolastico e per costruire il futuro, in Italia” che vede coinvolti oltre al Politecnico di Milano, l’Università Iuav di Venezia, l’Università degli Studi di Sassari, l’Università Politecnica delle Marche, l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. BIBLIOGRAFIA – AA.VV. (1960). Numero speciale dedicato alla scuola. Casabella Continuità, Rivista Internazionale di Architettura e di Urbanistica, n. 245. Milano: Editoriale Domus. – Arrighetti, A. (1956). Edilizia Moderna. Scuola Materna a Milano, n. 58. – Cicconcelli, C. (1952). Lo spazio della scuola. Rassegna Critica di Architettura, n. 25. Roma: Danesi, pp 5-7. – Ferrari, M. (a cura di) (2016). Di ogni ordine e grado. L’architettura della scuola. Soveria Mannelli: Rubbettino. – Hertzberger, H. (2008). Space and Learning. Rotterdam: 010 Publishers. – Lodi, M. (1977). Cominciare dal bambino. Scritti didattici, pedagogici e teorici. Torino: Einaudi editore. – Maffioletti, S. (a cura di) (2009). Il pentagramma di Rogers. Lezioni universitarie di Ernesto N. Rogers. Padova: Il Poligrafo. – Ministero della Pubblica Istruzione (1953). Scuole minime. Studi schemi progetti. Firenze: Centro studi del servizio centrale per l’edilizia scolastica. – Neutra, R. (1956). Progettare per sopravvivere. Milano: Edizioni di Comunità. – Rogers, E. N. (a cura di) (1947). Architettura educatrice. Domus, n. 220. Milano: Editoriale Domus, p. 1.

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Marco Burrascano Professore associato di Composizione architettonica e urbana, Dipartimento di architettura, Università degli Studi Roma Tre. burrascano@gmail.com

La città dentro la scuola

01. Lo spazio pubblico odierno nella valle di Anhangabau che separa il nucleo originario della città dal Centro Novo | Today’s public space in the Anhangabau valley that separates the original core of the city from the Centro Novo. Marco Burrascano

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Gli edifici per l’educazione nella traiettoria dell’architettura brasiliana The City within the School Contemporary South American architecture has a direct and profound relationship with the Modern Movement, the spaces for learning have constituted the field of application and development of a recognizable and effective language, as in Europe it happened with dwelling. The key of the story is the birth of the Escola Paulista, a group of architects who formulate a new model of school building by incorporating the characteristics of the urban space within the architecture. This model will expand beyond the borders of the city and Brazil, lasting over time to the new generations of South American architects.* L’architettura sudamericana contemporanea ha un rapporto diretto e profondo col Movimento Moderno, gli spazi per l’apprendimento hanno costituito il campo di applicazione e sviluppo di un linguaggio riconoscibile ed efficace, come in Europa è avvenuto con la residenza. La chiave della vicenda è nella nascita dell’Escola Paulista, un gruppo di architetti che formula un nuovo modello di edificio scolastico incorporando i caratteri dello spazio urbano all’interno dell’architettura. Tale modello si espanderà oltre i confini della città e del Brasile, perdurando nel tempo fino alle nuove generazioni di architetti sudamericani.*

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identità e la fortuna critica odierna dell’architettura sudamericana dipendono da molti fattori, uno di questi è senza dubbio la straordinaria produzione di edifici per l’educazione. Scuole, università e centri culturali costituiscono il campo di applicazione e sviluppo delle istanze del Movimento Moderno, a differenza dell’Europa nella quale la residenza collettiva è stata la protagonista della rivoluzione moderna. La cultura architettonica europea è oggi attratta e sedotta dalla capacità di sintesi e astrazione concettuale dell’architettura sudamericana, ma soprattutto dal fatto che tale architettura è accettata dall’opinione pubblica e nei contesti socialmente difficili. Il Centro Novo di San Paolo Questo discorso vale in particolare per l’architettura brasiliana, per la quale uno dei principali fattori di successo è legato allo straordinario sviluppo urbano di San Paolo che a partire dagli anni Trenta conosce una crescita vertiginosa che ne modifica rapidamente le sembianze e le dimensioni. L’esplosione demografica è accompagnata da una massiccia immigrazione principalmente europea, un fenomeno urbano estremo e unico che il grande antropologo Levi Strauss1 sente il bisogno di documentare pubblicando il libro fotografico Saudades de Sao Paulo (Levi Strauss, 1996). Proprio a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta l’attività di Francisco Prestes Maia, ingegnere e prefetto della città dal 1938 al 1945, produce un sistema di grandi Avenidas che ordina il traffico veicolare e costituisce un nuovo centro oltre la valle di Anhangabau collegato al nucleo originario dal Viaduto do Cha (img. 01). Il Centro Novo diviene il luogo chiave, nel quale la città moderna si installa attraverso la costruzione di un tessuto densissimo fatto di architettura eclettica e modernista allo stesso tempo, totalmente eterogenea per stile e dimensioni, un tessuto generoso in termini di spazio pubblico: spazi pedonali, ampi marciapiedi e piazze rapidamente si estendono nell’edificato costituendo una rete permeabile all’interno degli edifici.

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02. La piazza centrale coperta del Ginásio de Guarulhos di Vilanova Artigas e Carlos Castaldi, 1960 | The covered central square of the Ginásio de Guarulhos by Vilanova Artigas and Carlos Castaldi, 1960. Nelson Kon 03. Pianta e sezione longitudinale del Ginásio de Guarulhos di Vilanova Artigas e Carlos Castaldi, 1960 | Plan of the Ginásio de Guarulhos by Vilanova Artigas and Carlos Castaldi, 1960.

Il centro moderno di San Paolo presenta dunque negli anni Cinquanta un sistema di edifici-città, complessi che promuovono nuove relazioni urbane, implementate dalle molteplici funzioni e dai nuovi percorsi pedonali sovrapposti ai tracciati viari. Almeno venti edifici vengono costruiti con gallerie commerciali e di servizi, vere e proprie strade interne, collegate alle vie di passaggio pubblico e tra di loro, offrendo percorsi pedonali alternativi e creando una ricca trama di relazioni spaziali; tra di essi il celeberrimo Copan di Oscar Niemeyer. I venti edifici passanti creano un sistema omogeneo e continuo al suolo, una piccola città nella metropoli, con una misura certamente più semplice da abitare e da utilizzare per la multiculturale comunità di San Paolo (Jorge, 2011). Lo spazio pubblico si dilata, raggiunge le quote alte degli edifici e penetra all’interno del costruito sfumando i bordi

strumento di forte ingerenza dell’architettura nella costruzione di una nuova società. Si tratta di un momento decisivo nell’architettura del Novecento, nel quale l’idea architettonica diviene strumento per indirizzare la cultura e la società di un Paese (Wisnik, 2012). La figura chiave di questa vicenda è senza dubbio João Batista Vilanova Artigas, che dopo una prima fase di intensa attività professionale legata all’impresa di costruzioni da lui stesso fondata, nel 1945 si iscrive al partito comunista e inizia la militanza politica. Contemporaneamente lavora a progetti di residenze singole che, coerentemente con la propria visione politica, propongono un diverso modo di vivere, nel quale è evidente il rifiuto del modello di abitare europeo e borghese imposto dalla colonizzazione2. Artigas vive tuttavia un momento di crisi di coscienza, dovuto alla delusione seguita al viaggio in Unione Sovietica nel 1953 e alla dialettica tra la sua militanza e le commesse residenziali per la borghesia (Vilanova Artigas, 1952). La svolta arriva con il Plano de Ação di Carvalho Pinto, programma di sviluppo per lo stato di San Paolo che prevede di costruire centinaia di scuole e altri servizi, nel quale Artigas trova finalmente la possibilità di occuparsi di una dimensione pubblica e sociale. Dal 1959 al 1963 coordina il piano applicando alla progettazione degli edifici scolastici i temi solo accennati nelle case, producendo opere memorabili come le scuole di Guarulhos e Itanhem nelle quali propone un nuovo tipo di scuola con nuove sequenze tra pubblico e privato e tra città e edificio. Nelle nuove scuole lo spazio è fluido e continuo, le aule chiuse sono ridotte al minimo indispensabile, la vita della scuola avviene all’aperto sotto grandi coperture che ospitano luoghi informali adatti alle attività ordinarie o ai grandi eventi collettivi. La composizione della scuola ruota intorno all’aula magna, al teatro o alla palestra, spazi aperti più simili a piazze urbane che ad aule autonome per funzioni specifiche (imgg. 02-03).

La figura chiave di questa vicenda è senza dubbio João Batista Vilanova Artigas di marciapiedi, gallerie, centri commerciali e edifici pubblici, partecipando e integrandosi alla topografia tormentata, in un sistema continuo e unico (Fontenele, 2015). L’architettura moderna paulista incorpora da allora questa lezione che diviene un carattere identificativo fortissimo, una sorta di codice genetico nel quale il dato più rilevante è la continuità tra spazio pubblico e edifici, tra spazio collettivo e privato. Il distacco dal suolo per accogliere lo spazio pubblico e la dilatazione del confine tra esterno e interno, sono i due meccanismi che modificano le automatiche nozioni sociali dentro/fuori e pubblico/privato favorendo usi e comportamenti diversi. Vilanova Artigas e le scuole del Plano de Ação Principale campo di applicazione di questa visione architettonica è costituito dagli edifici per l’educazione, nei quali l’uso di tali meccanismi diviene anche manifesto politico,

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04. Vista di uno dei vestiboli di accesso dell’Istituto Centrale di Scienze dell’Università di Brasilia di Oscar Niemeyer, 1963-71 | View of one of the access halls of the Central Institute of Sciences of the University of Brasilia by Oscar Niemeyer, 1963-71. Marco Burrascano

Getta così le basi per il resto della sua produzione e per il progetto esemplare della Facoltà di Architettura dell’Universisade de São Paulo, aprendo la stagione della Scuola Paulista. Con Artigas al coordinamento delle scuole del Plano de Ação collabora il giovane Paulo Mendes da Rocha che apprenderà la lezione consolidando ed esasperando il modello proposto dal maestro, applicandolo successivamente anche ai progetti residenziali3. L’università di Brasilia di Oscar Niemeyer L’eco della vicenda giunge forte a Rio de Janeiro e coinvolge in prima persona Oscar Niemeyer il quale è il primo a pubblicare nel 1960 le scuole del Plano de Ação nella rivista Modulo. Come Artigas, anche Niemeyer vive un momento di transizione, di ripensamenti e autocritica4. Già nel 1958 Niemeyer scriveva il celebre articolo autocritico Depoimento (Niemeyer, 1958), una sorta di “mea culpa architettonica” (Bo Bardi, 1958), convertendosi a una logica

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strutturalista, a sistemi costruttivi prefabbricati e al concreto bruto. Con questi presupposti affronta l’incarico per l’Universidade de Brasilia (UnB) e in particolare la costruzione dell’Istituto Centrale di Scienze, applicando le istanze dichiarate e producendo un’architettura straordinaria, probabilmente delle tante la più lontana dall’immaginario tipico di Niemeyer5 (imgg. 04-05). L’importanza dell’UnB è data dalla dimostrazione di quanto gli spazi per l’educazione siano in quegli anni lo strumento per riformare la società brasiliana, superando le profonde disparità e promuovendo uno sviluppo economico fondato sull’allargamento del ceto medio. Pur proseguendo la traccia del Plano de Ação, la vicenda dell’UnB si pone a un livello più alto, non solo perché riguarda l’università della nuova capitale, ma perchè coinvolge delle personalità importanti, del calibro di Anísio Teixeira e soprattutto Darcy Ribeiro, i quali portano questa riforma al parlamento nazionale modificando il sistema universitario vigente in favore di

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05. Vista della galleria dell’Istituto Centrale di Scienze dell’Università di Brasilia di Oscar Niemeyer | View of the gallery of the Central Institute of Sciences of the University of Brasilia by Oscar Niemeyer, 1963-1971. Marco Burrascano

uno completamente nuovo e innovativo. Differentemente dalle scuole di San Paolo, create solo da architetti, nel caso di Brasilia la sinergia tra programma pedagogico e architettura è completa, grazie al lungo lavoro congiunto tra Niemeyer e Ribeiro e alla grande amicizia che ne consegue. Nel 1964 inizia la dittatura militare e questo interrompe il clima di riforma della società, intrapreso e fomentato anche dagli architetti; la repressione culturale ostacolerà la nascita di altre idee rivoluzionarie. Le istanze politiche portate avanti attraverso la costruzione di scuole e università sono bruscamente interrotte, il progetto di Niemeyer e Ribeiro per l’Università di Brasilia rimane incompleto in seguito all’occupazione dello stesso da parte dell’esercito. Tuttavia le basi dell’architettura brasilana contemporanea sono state gettate, l’opera dei maestri è fondata su temi profondamente umanistici con una straordinaria unità e coerenza nel linguaggio, nel ruolo della struttura e nell’uso del calcestruzzo armato a vista.

I centri Sesc di San Paolo È proprio durante la dittatura che emerge la vicenda dei centri culturali e sociali del Serviço Social do Comércio (Sesc), vicenda che riceve l’eredità della nuova architettura paulistana e che riesce a metterla in pratica malgrado la dittatura. Molti centri Sesc vengono costruiti durante il ventennio sfruttando la vocazione ricreativa del loro programma, utilizzata come strumento di consenso dal regime. Si tratta di un fatto importante che prosegue l’esperienza degli anni precedenti, col grande merito di portarla a disposizione di tutti nella città, fuori dalle scuole e dalle università, in una dimensione completamente aperta alla vita urbana e allo spazio pubblico. Il programma dei Sesc è generico per definizione, si adatta perfettamente alle caratteristiche di libera circolazione, di fluidità dello spazio e di poca specializzazione rispetto alle scuole o alle università. I Sesc Concolacao, Interlagos e Campinas, tra i primi a essere costruiti, presentano continuità con la nuova archi-

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06. Vista della piscina minore che circonda la caffetteria all’undicesimo piano del Sesc 24 de Maio realizzato nel 2017 nel centro di San Paolo su progetto di Paulo Mendes da Rocha e dello studio MM.BB. | View of the swimming pool surrounding the cafeteria on the eleventh floor of the Sesc 24 de Maio built in 2017 in the center of San Paolo on a project by Paulo Mendes da Rocha and the MM.BB. studio. Marco Burrascano

tettura paulista nata dalle scuole e soprattutto presentano caratteri omogenei tra loro: continuità tra spazio esterno e interno, una grande disponibilità di spazio vuoto non specializzato liberamente utilizzabile e interpretabile, che invita allo stare per le sue qualità di luce, di proporzioni, di profondità in orizzontale e a volte anche in verticale. A suo modo anche il Sesc più famoso, il Pompeia di Lina Bo Bardi, presenta le stesse caratteristiche seppur applicate a un progetto di trasformazione di un complesso esistente e con un linguaggio più personale. Si tratta di un racconto che continua ancora oggi e che è ben testimoniato dal recente Sesc 24 de Maio, progettato da Paulo Mendes Da Rocha con lo studio MM.BB.6. Anche in questo caso si tratta di un intervento di riuso di un lotto compatto, sviluppato in altezza nel centro della città, nel quale le caratteristiche di continutà con lo spazio pubblico, generosità e genericità degli spazi vuoti e fluidità della circolazione sono confermate (img. 06). Anche la libertà nell’uso degli spazi della città è espressa eloquentemente, nella rampa che collega tutti i piani come una strada e nella grande piscina pubblica sulla copertura, al tredicesimo piano. La vicenda dell’architettura moderna brasiliana è rilevante perché interpreta più di ogni altra un carattere chiave del Movimento Moderno, che riguarda la possibilità di unire esterno e interno, vita pubblica e vita privata, riguarda una visione della vita sociale guidata da un’idea di libertà e inclusione, necessaria nella costruzione della città contemporanea. Per comprendere la grande diffusione odierna dell’architettura sudamericana è utile rileggere questa vicenda, nella quale un’idea politica e sociale forte e chiara nasce e si definisce proprio con la costruzione di scuole, università e centri culturali, attraverso progetti che lasceranno una ricca eredità ancora oggi profondamente custodita nelle giovani generazioni degli architetti sudamericani.*

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NOTE 1 – Claude Levi Strauss dal 1935 al 1939 insegna sociologia all’Università di San Paolo e studia le popolazioni indigene dell’Amazzonia. 2 – “Una casa costruita da Artigas non segue le leggi emanate dalla vita ordinaria dell’uomo, ma impone una legge vitale, una morale che è sempre severa, quasi puritana. Ogni casa di Artigas rompe tutti gli specchi dei saloni borghesi. Nelle case di Artigas, viste dall’interno, tutto è aperto, ovunque vetro e soffitti bassi, molte volte la cucina non è separata” (Bo Bardi, 1950). 3 – Le case di Mendes da Rocha propongono uno spazio continuo completamente aperto che non concede nulla alla dimensione privata o individuale, annullando anche la divisione tra strada e casa attraverso una labile soglia nello spazio di parcheggio. 4 – Tale ripensamento avviene anche in seguito alle critiche ricevute da Max Bill nel 1953 e in seguito al primo viaggio in Europa. 5 – La concezione e l’insediamento dell’Universidade de Brasilia merita un posto di assoluto rilievo nell’architettura brasiliana e nell’opera di Oscar Niemeyer, la vicenda si sviluppa tra il 1960 e il 1970 e coinvolge anche l’antropologo Darcy Ribeiro e il pedagogista e politico Anísio Teixeira. 6 – MM.BB., fondato nel 1991 a San Paolo, è uno studio di architettura formato da Fernando de Mello Franco, Marta Moreira e Milton Braga, architetti laureati presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica dell’Università di San Paolo. BIBLIOGRAFIA – Bo Bardi, L. (1950). Casas de Vilanova Artigas. Habitat, n.1. San Paolo, pp. 2-16. – Bo Bardi, L. (1958). arquitectura o Arquitectura. Crônicas de arte, de historia, de costume, de cultura da vida. Arquitectura. Pintura. Escultura. Música. Artes visuais. Página dominical do Díario de Noticias, n 2. Salvador de Bahia. – Fontenele, S. (2015). Edifícios modernos e o traçado urbano no centro de São Paulo (1938-1960). San Paolo: Annablume. – Jorge, L.A. (2011). Sao Paulo: trasformation and preservation for a cosmopolitan culture. Area, n. 114. Milano: Il Sole 24 ore, pp. 18-31. – Levi Strauss, C. (1996). Saudades de São Paulo. San Paolo: Instituto Moreira Salles. – Niemeyer, O. (1958). Depoimento. Modulo, n. 9, vol. II, Rio de Janeiro. – Vilanova Artigas, J.B. (1952). Os Caminhos da arquitetura moderna. Fundamentos, Revista de Cultura Moderna, n. 24, São Paulo, pp. 20-25. – Wisnik, G. (2012). Public space on the run. Brazilian art and architecture at the end of the 1960s. Third Text, n. 26. Londra: Routledge, pp. 117-129.

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Libero Carlo Palazzolo PhD, Università Iuav di Venezia. l.carlopalazzolo@libero.it

Dietro un paesaggio

01. Duvin, la nuova scuola dà forma a uno spazio pubblico alla scala del piccolo paese | Duvin, the new school shapes a public space on the scale of the small town. Maddalena Basso

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Paspels, Duvin, Vella, le scuole condensatori urbani nelle aree interne dei Grigioni Behind a Lanscape Whether new constructions, additions or refurbishments, the schools built in the Grisons by the end of the 20th century are significant references for the villages they are located in. Examples of a Neues Bauen in den Alpen, albeit their limited size, they brought their respective designers to the attention of the international public. Olgiati, Caminada, and Bearth & Deplazes gave shape to a politics aimed not only at promoting mountain areas, but also at acknowledging the school as the core of the community: a place for education and gathering, a means to prevent the depopulation of Helvetic inner regions.* Che si tratti di nuove costruzioni, ampliamenti o adeguamenti, le scuole realizzate alla fine del Novecento nei Grigioni sono presenze significative dei paesi in cui si trovano. Esempi di un Neues Bauen in den Alpen, nonostante la loro modesta dimensione, hanno portato all’attenzione internazionale i loro autori. Olgiati, Caminada, Bearth & Deplazes hanno dato forma a una politica che non si è limitata a valorizzare la montagna, ma ha riconosciuto la scuola come centro delle comunità: luogo di formazione e d’incontro capace di evitare lo spopolamento delle aree interne elvetiche.*

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olti hanno risalito la valle del Valser Rhein per vivere l’esperienza delle Terme di Vals di Peter Zumthor, non altrettanti si sono spinti nelle vicine valli per visitare la scuola di Paspels (1996-1998) di Valerio Olgiati, quelle di Vrin (1995) e Duvin (1994-1995) di Gion Caminada, o quelle di Alvaschein (1989-1991), Zillis (1997-1999), Tschlin (1991-1993) e Vella (1994-1997) di Valentin Bearth e Andrea Deplazes, realizzate nei Grigioni alla fine del Novecento. Eppure sono queste architetture a garantire il paesaggio fatto di prati impeccabili punteggiati da piccoli fienili (img. 08) e incorniciato dalle grandi aperture delle terme. Che si tratti di nuove costruzioni, ampliamenti o adeguamenti di strutture esistenti, sono presenze significative rispetto ai piccoli centri in cui si trovano e, nonostante la loro modesta dimensione, hanno contribuito a portare all’attenzione internazionale architetti di valore. Alcuni sono edifici iconici, altri sono architetture legate a un luogo e a una cultura precisi: esempi di un Neues Bauen in den Alpen1 sono stati oggetto di mostre, premi e sono stati studiati perché capaci di dare nuova linfa a una tradizione che non si esaurisce nella costruzione in legno, ma è in grado di produrre anche esempi di strutture libere da schematismi (Iorio, 2011). E l’attenzione per la sostenibilità energetica che rivelano è legata a consuetudini, non solo costruttive, di luoghi difficili come la montagna. Il loro numero rivela però che sono parte di un preciso disegno, di una politica che non si limita a valorizzare la montagna, ma contribuisce a evitarne lo spopolamento. Anche quando si tratta di ampliamenti di strutture esistenti, più che nuove tecnologie al passo con i tempi, questi interventi garantiscono spazi adeguati alla didattica contemporanea, obbligando a riflettere sul ruolo dello spazio della scuola più che sulle sue dotazioni. Queste architetture sono però esemplari anche per il ruolo che svolgono all’interno dei nuclei abitati in cui sono costruiti: paesi delle vallate più difficili da raggiungere, ai margini dei principali flussi turistici invernali o estivi. Seppur alla scala di un villaggio di montagna, il programma che le informa produce infatti veri e propri fenomeni di “congestione” urbana.

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02. Paspels, il volume della scuola segna il margine del paese verso monte | Paspels, the volume of the school marks the edge of the village towards the mountain. Carlo Palazzolo

03. Paspels, serramenti a filo interno o esterno rivelano la presenza delle aule o degli spazi comuni al di là della superficie di calcestruzzo | Paspels, internal or external windows reveal the presence of classrooms or common spaces beyond the concrete surface . Carlo Palazzolo

La scuola di Valerio Olgiati segna con il suo volume il limite dell’abitato di Paspels verso monte (img. 02), mentre all’interno propone una sequenza spaziale tesa e articolata nonostante una struttura elementare e simmetrica – un quadrato con al centro una scala lineare. Gli spazi comuni variano di piano in piano producendo equilibrate distorsioni grazie alla disposizione delle aule, che variano continuamente per forma e posizione (El Croquis, 156, pp. 56-73). Una sequenza spaziale che è la conclusione di un percorso che collega il nuovo intervento con la scuola esistente e che dal buio del sottopasso porta a conquistare la dimensione del paesaggio; una sequenza spaziale solo parzialmente rivelata all’esterno

si concretizza – piuttosto che sul suo programma. Esemplari sono le bucature che, rinunciando a elementari allineamenti, rivelano la natura portante della facciata e ancor più quella concettuale del cemento armato. Il cubo della scuola ha una sezione complessa: è costituito da due scatole autonome di calcestruzzo separate da uno spessore di isolante. L’appartenenza delle aule a quella interna e degli spazi pubblici a quella esterna è rivelato dai serramenti: a filo interno nel primo caso e a filo muro nel secondo (img. 03). La sala polifunzionale che Gion Caminada costruisce a Vrin è uno dei tanti interventi che hanno reso inscindibile questo architetto dal suo paese natale: architetture, anche di scala irrisoria, che rivelano lo stretto rapporto del loro autore con la cultura – soprattutto materiale – di quel luogo. Il semplice volume esterno cela uno spazio dove la dimensione delle finestre rivela l’orografia e dove lo sguardo corre verso la struttura della copertura che ripensa le capriate tradizionali con un sistema in cui legno e metallo collaborano (Schlornhaufer, 2005). A Duvin, Caminada costruisce una scuola di poche aule che ripropone lo Strickbau, la struttura a travi squadrate incastrate tra loro caratteristica dei Grigioni. A quest’immagine apparentemente mimetica, in cui la distribuzione interna è restituita all’esterno dalle teste delle travi, fa da contrappunto l’astrazione della pianta (Carlana, Mezzalira, 2011, pp. 52-55). Ancor più interessante è però la relazione che la nuova scuola – che oggi ospita solo 12 bam-

Tra i servizi pubblici la scuola è quello che garantisce maggiormente la continuità di una comunità dallo scorrere delle finestre trou dans le mur e delle fenêtre en longueur (Reichlin, 1989). Come altre architetture di Valerio Olgiati, la scuola di Paspels possiede una “intellectual dimension” che si traduce in “buildings that appear coded, cryptic, otherworldly, and metaphysical and, thus, allow for thought” (Breitschmid, 2011, p. 27). Nonostante il progetto costruisca ambienti per la didattica di raro valore, ogni suo elemento obbliga a riflettere sulla natura del farsi dell’architettura sia dal punto di vista spaziale che formale – e sui materiali in cui

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04. Alvaschein, il volume delle aule inquadra la palestra-sala civica | Alvaschein, the volume of the classrooms frames the civic gym-hall. Carlo Palazzolo

05. Zillis, il nuovo corpo delle aule e la palestra definiscono uno spazio pubblico | Zillis, the new block of the classrooms and the gym define a public space. Carlo Palazzolo

bini riuniti in un’unica pluriclasse – costruisce con la chiesa e il vecchio edificio postale grazie alla sua precisa collocazione: il nuovo intervento dà forma a uno spazio che coinvolge tutti gli edifici pubblici di un borgo di dimensioni minime e lo dota di una piazza alla sua scala che si apre sul parco giochi (img. 01). La natura materiale di questi edifici può ingannare, facendoli sembrare frutto di una sapienza artigiana più che architettonica. Valentin Bearth e Andrea Deplazes hanno dimostrato in molti progetti la loro capacità di controllare gli aspetti materiali del mestiere senza mai dimenticare il valore culturale dell’architettura. Non a caso ogni capitolo di Constructing Architecture: Materials Processes Structures. A Handbook (Deplazes, 2005) è preceduto da un saggio che introduce l’aspetto concettuale – architettonico – dei singoli problemi costruttivi: il capitolo dedicato alle finestre si apre con il saggio di Bruno Reichlin For and against the long window – The Perret – Le Corbusier controversy (Reichlin, 2005). L’Handbook di Deplazes invita a guardare la natura concettuale dell’architettura, anche quando ci si occupa di temi “pratici” come materiali o processi costruttivi. E il testo di Reichlin è esemplare per ricordarne il valore semantico: come ammonisce anche la scuola di Paspels, una finestra non è solo una finestra. Nei progetti per le scuole di Bearth & Deplazes emerge però anche l’interesse per il ruolo urbano dei nuovi edifici e il ricorrere del titolo Schule mit Halle, Schule und Mehrzweckhalle o Schule mit Saal (Wirz, 2005, pp. 56, 108, 178 e 276) testimonia che già il programma non prevedeva solo una scuola, ma un luogo d’incontro per tutta la

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comunità. Da questo punto di vista sono esemplari sia il progetto per Alvaschein (Wirz, 2005, pp. 108-113) (img. 04) che quello per Zillis (Wirz, 2005, pp. 178-189) (img. 05). Nel primo caso la strada che arriva dalla piazza del paese si trasforma nella rampa che porta alla palestra, pensata per fungere anche da sala civica; nel secondo, il nuovo corpo delle aule e la palestra definiscono uno spazio pubblico che coinvolge sia il precedente edificio scolastico che il sistema degli uffici parrocchiali. E per non contraddire la scala del contesto, l’aula della palestra è parzialmente interrata: in questo modo quelle che sembrano le aperture di una loggia si trasformano in un affaccio pubblico sul campo da gioco. Ancor più significativo è il progetto per Vella (Wirz, 2005, pp. 56-65) poiché dietro l’intervento si cela un vero condensatore urbano, tanto per la dimensione quanto per la complessità funzionale. Il progetto della nuova scuola è infatti l’occasione per realizzare anche tutti gli spazi pubblici necessari al piccolo nucleo abitato. Oltre al sistema delle aule, c’è di nuovo la palestra che al bisogno funge da sala per assemblee o rappresentazioni per la comunità – con il palco che si apre sia verso l’interno che verso il campo da gioco all’aperto – cui si aggiunge il deposito dove i locali pompieri volontari si radunano e trovano i loro mezzi. Un programma articolato cui la definizione Schule mit Halle non rende giustizia. Per garantire un’immagine urbana all’intervento, pur conservando le forme elementari caratteristiche di molte architetture svizzere recenti, i volumi della scuola sono legati da un piccolo portico (img. 07) e sono disposti attorno al campo da gioco – che può

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06. Vella, un portico lega tutti gli edifici che compongono la scuola | Vella, a portico links all the buildings that make up the school. Maddalena Basso

07. Vella, una lunga panca si lega alle finestre e segna lo spazio di accesso alle aule | Vella, a long bench binds to the windows and marks the access space to the classrooms. Carlo Palazzolo

trasformarsi in luogo per manifestazioni pubbliche all’aperto – come gli edifici di una piazza. Un’immagine chiara, oggi ancor più necessaria per compensare l’intervento di adeguamento termico che ha alterato molti aspetti architettonici del progetto, a partire dai profili essenziali originari (img. 06). Al di là della loro dimensione – a volte minima, spesso si tratta infatti di adeguamenti di spazi esistenti – questi interventi rivelano nel loro insieme la presenza di un progetto per le aree interne2 che mette la scuola al centro della vita di questi paesi e ne fa il principale strumento per la sopravvivenza di quei territori. Gli architetti sono stati chiamati a dare forma a un disegno che è però frutto di una volontà politica. Esattamente come accadde nel Cinquecento, quando la nobiltà veneziana abbandonò i commerci del Levante per ritirarsi in villa e Palladio, Sansovino e Sammicheli furono chiamati a dare forma a un paesaggio ben diverso da quello rappresentato da Cima da Conegliano o da Giovanni Bellini. Non è un caso che queste scuole si trovino nella Confederazione Elvetica; non perché è lo stato europeo in cui il peso delle aree di montagna è maggiore, ma perché nel corso della sua storia ha sempre dovuto misurarsi con il conflitto tra Stette und Lender3 e cercare il difficile equilibrio tra città e territori rurali. Se prescindiamo dai loro autori e le consideriamo nel loro insieme, queste architetture rivelano quale sia il ruolo della scuola in quelle aree interne attualmente oggetto di interesse sia da parte della ricerca universitaria che da parte delle strategie governative di rivalorizzazione territoriale. Tra i tanti servizi pubblici la scuola è infatti quello che garantisce maggiormente la continuità di una comunità (come insegnano anche le recenti polemiche legate alla didattica al tempo della pandemia), e la sua mancanza o la sua inadeguatezza è una delle principali ragioni dell’abbandono di molti paesi di montagna – e di tutte le aree interne. È una politica che, con largo anticipo sulle recenti riflessioni sulle aree interne del nostro governo evidenzia il loro “potenziale di sviluppo economico” (SNAI, 2013, p. 9) non limitandosi a promuoverne lo sviluppo turistico, ma valorizzando

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La scuola garantisce la sopravvivenza di comunità e paesaggi altrimenti condannati a essere solo scenografie per vacanze da sogno la diversificazione delle fonti di reddito: agricoltura, trasformazione, artigianato, commercio, servizi, il tutto nel quadro di un’attenta tutela del territorio e dell’ambiente. Sono esempi di buone pratiche non solo perché l’istruzione e la formazione professionale emergono come pre-condizioni dello sviluppo delle aree interne, ma perché dimostrano che “le scuole possono essere il luogo privilegiato per uno scambio di conoscenze e competenze tipiche dei contesti di apprendimento formali con le competenze derivanti da esperienze legate ai contesti, ai mestieri e alle tradizioni locali. [Qui] si possono realizzare circuiti virtuosi per valorizzare la sapienza e la specificità di tradizioni tipiche e produzioni locali, con la possibilità di una loro rivisitazione e riproposizione in contesti completamente nuovi” (SNAI, 2013, p. 39). In tutte queste scuole colpisce il ricorrere del laboratorio di falegnameria, a testimonianza della volontà di trasmettere anche il “saper fare” della tradizione locale. Il paesaggio di Vals (img. 08) è l’immagine di una cultura che può sopravvivere perché la montagna è abitata. I prati con l’erba sempre perfettamente tagliata sono frutto del lavoro costante di chi abita le valli. E quei piccoli fienili, oltre che garanzia di cibo per gli animali durante i rigidi mesi invernali, sono la materia in cui si sono cristallizzati secoli di sapere costruttivo e artigianale. Dietro a prati, fienili e ai numerosi formaggi che si scoprono sulla tavola di un ristorante o nelle botteghe del fondovalle c’è un’economia diversificata. Se è infatti lo sviluppo turistico a garantire il reddito maggiore, è la presenza della scuola che garantisce la sopravvivenza della comunità e la vita di paesaggi altrimenti condannati a essere solo scenografie per vacanze da sogno. Dietro a quel paesaggio di prati ritmati da piccoli fienili c’è una popolazione attiva, c’è la presenza capillare di scuole adeguate alle esigenze contemporanee. Quest’immagine farà parte del futuro di questi luoghi finché l’essenzialità della panca che lega il sistema delle aule di Vella (img. 07) sarà contraddetta dal disordine dei piumini e delle scarpe da ginnastica dei bambini che la frequentano.*

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08. Vals, i prati punteggiati dai fienili | Vals, the meadows dotted with barns. Carlo Palazzolo NOTE 1 – Neue Bauen in den Alpen è il nome del premio dedicato all’architettura contemporanea dell’arco alpino organizzato dal 1992 da Sesto Cultura, cfr. Mayr Fingerle, C. (1992 e 1995). 2 – Per la definizione di aree interne è interessante leggere SNAI, Strategia nazionale per le aree interne (2013), p. 5. 3 – L’espressione Stette und Waldstette alternata a Stette und Lender (cantoni urbani e cantoni rurali) designò la confederazione fino alla fine del XV secolo. BIBLIOGRAFIA – AA.VV., (2011). El Croquis, n. 156, Valerio Olgiati 1996-2011. – Breitschmid, M. (2011). Valerio Olgiati’s Ideational Inventory. El Croquis, n. 156, Valerio Olgiati 1996-2011, pp. 16-39. – Carlana, M., Mezzalira, L., (a cura di) (2011). Jürg Conzett, Gianfranco Bronzini, Patrick Gartmann Forme di strutture / Forms of Structures. Milano: Electa. – Deplazes, A. (2005). Constructing Architecture: Materials Processes Structures. A Handbook. Basel, Boston, Berlin: Birkhäuser Verlag. – Iorio, A. (2011). L’opera come fine. In Carlana, M., Mezzalira, L. (a cura di), Jürg Conzett, Gianfranco Bronzini, Patrick Gartmann Forme di strutture / Forms of Structures. Milano: Electa, pp. 8-16. – Mayr Fingerle, C. (a cura di) (1992). Neues Bauen in den Alpen. Architettura contemporanea alpina. Architekturpreis. Premio d’architettura 1992. Bolzano: Edition Raetia. – Mayr Fingerle, C. (a cura di) (1995). Neues Bauen in den Alpen. Architettura contemporanea alpina. Architekturpreis. Premio d’architettura 1995. Basel-Boston-Berlin: Birkhäuser Verlag. – Reichlin, B. (1989). ‘Une Petite maison’ sul Lago Lemano – La controversia Perret-Le Corbusier. Lotus international, n. 60, pp. 58-83. – Reichlin, B. (2005). For and against the long window – The Perret – Le Corbusier controversy. In Deplazes, A. (2005), Constructing Architecture: Materials Processes Structures. A Handbook. Basel, Boston, Berlin: Birkhäuser Verlag, pp. 175-183. – Schlornhaufer, B. (a cura di) (2005). Cul Zufel e l’aura dado – Gion A. Caminada. Luzern: Quart Verlag. – SNAI, (2013). Strategia nazionale per le aree interne: definizioni, obiettivi, strumenti e governance, Documento tecnico allegato alla bozza di Accordo di Parternariato trasmessa alla CE il 9 dicembre 2013 (online). In https://www.miur.gov.it/documents/20182/890263/strategia_nazionale_aree_interne.pdf/d10fc111-65c0-4acd-b25363efae626b19 (ultima consultazione giugno 2021). – Wirz, H. (a cura di) (2005). Bearth & Deplazes Konstrukte/Constructs. Luzern: Quart Verlag.

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Massimo Faiferri Professore associato, DADU, Università degli Studi di Sassari. faiferri@uniss.it

Samanta Bartocci Dottore e assegnista di ricerca, DADU, Università degli Studi di Sassari. sbartocci@uniss.it

Fabrizio Pusceddu Dottore di ricerca, DADU, Università degli Studi di Sassari. fapusceddu@uniss.it

Oltre le istituzioni scolastiche

01. Gravitational Waves Architecture: l’installazione permette di percepire la dimensione sotterranea dell’Einstein Telescope (ET) | Gravitational Waves Architecture: The installation helps to perceive the underground dimension of the Einstein Telescope (ET). Massimo Faiferri

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


Territori dell’apprendimento e nuovi paesaggi della conoscenza Beyond Educational Institutions Nowadays, the idea of learning has expanded going beyond the dimension of training courses, to become a potential element that is realized in a plurality of spaces and times. In this sense, the gap between the scientific community and society is getting more and more thinner, opening up new opportunities for the development and generalized diffusion of learning processes, beyond scholastic institutions. There is a different, potential, complementary, flexible and multi-purpose idea of school that is taking space.* L’idea di apprendimento oggi si è espansa, superando la dimensione dei percorsi formativi, per declinarsi come potenzialità che si realizza in una pluralità di spazi e tempi. In questo senso il distacco tra comunità scientifica e società si fa sempre più sottile, aprendo a nuove opportunità intorno allo sviluppo e alla diffusione generalizzata dei processi di apprendimento, oltre le istituzioni scolastiche. C’è un’idea diversa di scuola, potenziale, complementare, flessibile e polivalente che sta prendendo spazio.*

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l cambiamento che ha caratterizzato la nostra società negli ultimi decenni costituisce un’accelerazione nella ricerca educativa, nelle modalità di apprendimento e nell’idea di spazio per l’apprendimento. Questa conquista definisce un avanzamento verso una formazione continua, partecipata e condivisa finalizzata ad alimentare nuove possibilità per i paesaggi della conoscenza, soprattutto in termini di sperimentazioni tipologiche e di funzionamenti condivisi, come progetto delle relazioni tra elementi e processi a scale differenti. Rompere il paradigma dell’edificio scolastico e riconoscere il ruolo possibile dei nuovi spazi dell’apprendimento all’interno dello spazio urbano, rende ad esempio tangibile l’urgenza di una rottura dell’idea ormai radicata di questi luoghi nell’immaginario diffuso. La scuola tradizionale, infatti, come e più di altre funzioni strutturanti la vita pubblica e di comunità, si è dimostrata non completamente capace di reagire al cambiamento, all’imposto “distanziamento sociale”, non solo nella sua organizzazione, ma anche come entità urbana, abdicando al ruolo di presidio spaziale e culturale sul territorio. A testimonianza di ciò i dati intorno all’abbandono scolastico, in Italia dal 13% al 25% da inizio 2020 ad oggi (Venturi e Zunino, 2021). L’obiettivo diviene quindi l’individuazione di dispositivi per l’apprendimento capaci di intervenire sul territorio, che integrino caratteristiche di innovatività e interdisciplinarità, capaci di collaborare alla costruzione di mondi altri e possibili. Luoghi nei quali l’esperienza, ma anche la ricerca e la conoscenza, emergono come processi interattivi e relazionali. Tutto questo apre uno spazio originale in cui il dialogo tra scienza e società si compie “per libera scelta” ( free-choice learning), alimentato dallo stupore, dalla scoperta, dall’emozione e dalla motivazione, e questo spazio può trovare luogo, territorio e città. “È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si

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02. Aree interne della Sardegna, i territori del Montalbo | Inland areas of Sardinia, the Montalbo territories. ILS 2019

credono liberi” (Rodari, 1979). Con questa lezione un maestro come Gianni Rodari ci invita a non banalizzare i processi di conoscenza, ma ad affrontarli con visione critica, la stessa che per Kant consente il passaggio dalla “questione di fatto” alla “questione di diritto” e che per Carl Schmitt, proprio nel diritto, ritrova i fondamenti di libertà senza i quali non esiste tempo e non esiste spazio. Il diritto di conoscere è il diritto di

considerazioni nasce l’esperienza di ILS-Innovative Learning Spaces, percorso di ricerca e didattica sviluppato dal laboratorio Ecourbanlab¹ del Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università degli Studi di Sassari, come proposta metodologica di riflessione teorica e pratica intorno ai temi del progetto dello spazio urbano inteso come grande e comune piattaforma per l’apprendimento. Le attività messe in campo da Ecourbanlab esplorano la realtà, incluse le nuove progettualità dello spazio urbano intese come occasioni potenziali, perché ripensare al ruolo che lo spazio stesso ricopre nella dinamica dei processi d’uso e di appropriazione della città, intesi come personali percorsi di azione e conoscenza, è esso stesso un obiettivo applicativo della ricerca. Tramite il progetto è possibile rivelare e rafforzare il ruolo di spazio pubblico come spazio urbano d’apprendimento. Un teatro,

Rileggere il territorio come un grande, potenziale paesaggio dell’apprendimento essere liberi, in una condizione nella quale è proprio lo spazio a fornire le coordinate della conoscenza e della libertà. “Poiché alla base di ogni nuovo periodo e di ogni nuova epoca della coesistenza tra i popoli […] vi sono nuove suddivisioni dello spazio, nuove delimitazioni e nuovi ordinamenti spaziali della terra” (Schmitt, 1991). Da queste

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LUOGHI DELL' APPRENDIMENTO


03. Relazioni di scala | Scale spatial relationships. Rita Cuggia

04. Punti di vista | Points of view. Rita Cuggia

un giardino, una piazza, una chiesa, un museo, conservano in sé dei caratteri che, se opportunamente riletti in chiave progettuale, possono trasformare luoghi della quotidianità in dispositivi di crescita della conoscenza, ognuno rispetto a specifiche qualità spesso non immediatamente o spontaneamente leggibili. Inedite relazioni tra città e scuola definiscono così il futuro dell’apprendimento e della convivenza civica. Ma se si pensa alla capacità di inversione di significato, è immediato pensare al potenziale di stimolo alla conoscenza che lo spazio urbano conserva: come scuola da abitare (Ingold, 2000), nel fare scuola (Weyland, 2014), fino alla città educante (Mottana e Campagnoli, 2017), declinazione della città formativa (Clemente, 1974) o della città come aula (Brusa et al., 1985) o, ancora, del bambino e la città, crescere in ambiente urbano (Ward, 2000), dove al posto di una scuola c’è la città che ramifica spazi educativi e diventa luogo connettivo e piattaforma di apprendimento aperto e inclusivo. A partire da questi riferimenti teorici e dal considerare le scuole come ambiti istituzionalmente riconosciuti, ma non unici luoghi deputati ad accogliere le dinamiche e i processi orientati all’apprendimento, le esperienze di ricerca di Ecourbanlab hanno sempre inteso rileggere il territorio come un grande, potenziale paesaggio dell’apprendimento e uno spazio di stimolo all’azione e portatore di conoscenza, contaminando i saperi locali e generando occasioni di sviluppo per la società. Le attività, spesso articolate in forma di workshop, nei diversi anni, hanno offerto un tavolo operativo che ha visto coinvolti centinaia di studenti e decine di professionisti provenienti da tutto il mondo, principalmente nel campo della progettazione dello spazio, ma anche della pedago-

gia, della scienza dei materiali e del controllo dell’energia, dell’informatica e delle nuove tecnologie, dando a tutti i partecipanti l’opportunità di sperimentare, in un ambiente ricco e interdisciplinare, la complessità del progetto dei molteplici “paesaggi dell’apprendimento”. Una prospettiva che racchiude la consapevolezza del fatto che anche la scuola più bella che si possa mai rea-

Come possono iniziative di altissimo profilo scientifico essere accolte dalle comunità locali e condivise nella forma di divulgazione diffusa della conoscenza, contaminando i saperi locali e generando occasioni di sviluppo per la società?

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lizzare sarà sempre un luogo troppo introverso per cogliere le potenzialità didattiche e generative della realtà che ci circonda. La Sardegna rappresenta in tal senso un’importante piattaforma di ricerca e sperimentazione diffusa, luoghi in cui il territorio stesso si fa depositario di immagini e narrazioni che si stratificano nel corso del tempo, intrecciandosi, con lo stesso meccanismo evolutivo, a una pluralità di pratiche sociali che ricostruiscono il senso dell’abitare e le forme d’uso dello spazio. Quando il territorio, infatti, ha la forza di raccontare la storia dei suoi paesaggi, attraverso la costruzione di immagini (spaziali e non), questo diventa sia strumento attraverso il quale la manipolazione dello spazio può proporre e orientare futuri possibili, ma anche divenire esito di un processo di apprendimento e

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05. Una serie di elementi, chiamati “diabolos”, definiscono il percorso espositivo, ospitando contenuti transmediali | A series of exhibition displays, called “diabolos”, define the exhibition path, hosting transmedia contents. Massimo Faiferri

interazione sociale democratico e un veicolo per la produzione e riproduzione di beni comuni e di capitale sociale e simbolico, di cui si sostanziano le pratiche del progetto contemporaneo. È il caso di una delle più recenti esperienze, ancora in corso, che Ecourbanlab sta sviluppando, nel tentativo di coniugare progetti scientifici di altissimo profilo con la riqualificazione di territori dell’interno, soggetti a processi di forte spopolamento. Parliamo dell’Einstein Telescope (ET), un ambizioso progetto sviluppato in Sardegna, presso il sito minerario dismesso di Sos Enatos a Lula, per la realizzazione di un osservatorio delle onde gravitazionali in grado di captare i segnali provenienti da sorgenti astrofisiche dall’intero universo, collocato all’interno di un tunnel a geometria triangolare, di circa 10 km di lato, a circa 200 metri di profondità. Un’infrastruttura scientifica, unica al mondo nel suo genere, che riverbererà le proprie attività verso il territorio che la ospita, collaborando alla definizione di un grande proget-

colte dalle comunità locali e condivise nella forma di divulgazione diffusa della conoscenza, contaminando i saperi locali e generando occasioni di sviluppo per la società e, di conseguenza, anche in termini di modificazione spaziale. In tale senso la proposta di progetto per ET, nata dalla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Ecourbanlab e l’Equipo Mazzanti, in particolare in quelle porzioni di territorio non ipogeo, interpreta l’infrastruttura come una grande opportunità per ripensare il suolo nella sua definizione di rete fisica e concettuale, e come un apparato capace di rendere visibile l’invisibile attraverso diversi “sistemi di paesaggio”. Una trama di fili colorati unisce e rende percepibile ogni parte come occasione di relazione tra elementi differenti. Il primo sistema si pone l’obiettivo di restituire il senso della miniera verso la superficie. Torri di trasmissione di grandi dimensioni con grossi cavi in propilene ripropongono la figura geometrica del triangolo, connettendo ogni vertice del progetto di ET. Luoghi in cui concentrare spazi di divulgazione scientifica e avere un contatto con le attività di ricerca sviluppate nel sottosuolo. Il secondo sistema mira a unire i centri urbani e rendere visibile ciò che si produce nei territori di riferimento. Il gesto progettuale si traduce in un nuovo sentiero che unisce i paesi. Nel terzo sistema si propongono dei pali di circa cinquanta metri di altezza, con stoffe colorate a segnalare i siti di pregio paesaggistico. La ricerca, proprio per la sua rilevanza scientifica sia sul piano teorico che applicativo, è raccontata alla 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia How will we live together?, diretta da Hashim Sarkis (22 maggio- 21 novembre 2021) dove trova posto in un allestimento multimediale e immersivo dal titolo GWA - Gravitational Wave Architecture ( from Venice to Sardinia)2 all’interno del Padiglione Italia. In questi termini ragionare intorno ad ambiziosi progetti di educazione diffusa implica l’individuazione di percorsi

Rivelare e rafforzare il ruolo di spazio pubblico come spazio urbano d’apprendimento to di riqualificazione delle vecchie miniere e di costruzione di un inedito paesaggio della conoscenza. Le onde gravitazionali sono una delle principali conseguenze della teoria della relatività generale formulata più di 100 anni fa da Albert Einstein e confermata sperimentalmente grazie alla collaborazione internazionale LIGO-VIRGO e al funzionamento congiunto dei tre interferometri negli Stati Uniti e in Italia. La rivelazione delle onde gravitazionali rappresenta una delle più importanti scoperte del secolo e ha rivoluzionato il modo di osservare e studiare l’Universo. La domanda che si pone è, quindi, come tutte queste iniziative di altissimo profilo scientifico possano essere ac-

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06. Nuovi spazi dell’apprendimento | Innovative learning spaces. Rita Cuggia

capaci di dare origine a un processo, più o meno profondo, di trasformazione spaziale. Nel territorio sardo questi meccanismi sono già intrinsechi alle caratteristiche dei paesaggi che lo compongono, al punto tale che la città perde quasi rilevanza rispetto al territorio e ai suoi elementi ambientali. Parliamo di una visione socio-spaziale della città secondo la quale l’apprendimento diviene pratica che connette i cittadini ai luoghi (Amin, 2008; Amin, 2015). Il progetto dello spazio, in questo contesto, si pone in un livello intermedio, elemento di mediazione tra senso della realtà e senso della possibilità, fornendo gli strumenti necessari affinché ognuno possa sentirsi libero di sviluppare personali progetti di azione e conoscenza. Secondo Bertrand Russell per poter crescere culturalmente in questo contesto la ricerca deve puntare alla scoperta di altri dati, quelli non evidenti, quelli che costituiscono il “mondo esterno”. L’esternalità non è spaziale né apparente, ma strutturata su oggetti sensibili, ovvero non composti di materia, toccabili, concreti, ma invisibili e oltre le apparenze (Russell, 1995), come il progetto dell’Einstein Telescope cerca di fare. In quest’ottica, la distinzione tra mondi privati e la lettura delle differenze è la base della definizione di un futuro equo e sostenibile, in una comunità fatta da infiniti mondi possibili non necessariamente coincidenti. “Capire una cosa è un ponte e una possibilità di ritornare in carreggiata, mentre invece spiegare una cosa è arbitrio e a volte persino assassinio. Hai contato quanti assassini ci sono tra i dotti?” (Jung, 2012).*

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NOTE 1 – Ecourbanlab è un laboratorio di ricerca internazionale del DADU con sede ad Alghero che individua nel progetto dello spazio lo strumento interdisciplinare di indagine e verifica della complessità urbana e di alcuni temi fondativi della città contemporanea, come “l’abitare collettivo”, “il riuso” e “le forme innovative dell’apprendimento”. Il laboratorio opera cercando di seguire un metodo basato sulla costruzione di relazioni di tipo interdisciplinare, ma anche tra la componente teorica e quella pratica (responsabile scientifico: M. Faiferri; gruppo di ricerca: S. Bartocci, L. Cabras, R. Manca, L. Pujia, F. Pusceddu). 2 – L’istallazione Gravitational Wave Architecture comprende due momenti espositivi: Landscape of Knowledge (curatori: M. Faiferri, F. Arras, S. Bartocci, L. Cabras, R. Manca, L. Pujia, F. Pusceddu) dedicata all’edizione 2019 della ILS e Rendere visibile l’invisibile (curatori: El Equipo Mazzanti con G. Mazzanti, E.C. Giménez-Coral, N. Sanchez, J. Villescas; Ecourbanlab con M. Faiferri, S. Bartocci, L. Cabras, L. Pujia, F. Pusceddu) che racconta la proposta del progetto paesaggistico intorno all’infrastruttura ET. BIBLIOGRAFIA – Amin, A. (2008). Collective culture and urban public space. City: analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, 12(1), pp. 5-24. – Amin, A. (2015). Animated Space. Public Culture, 27(2), pp. 239-258. – Brusa, A., Borri, D., Porsia, F., Sasso, A. (a cura di), (1985). Città come aula: gli itinerari della scoperta: lezioni e visite guidate per docenti e studenti. Bari: Edipuglia. – Clemente, F. (1974). I contenuti formativi della città ambientale. Pisa: Pacini. – Ingold, T. (2000). The perception of the environment: essays on livelihood, dwelling and skill. London: Routledge. – Jung, C.G. (2012). Il libro rosso. Liber novus. Torino: Bollati Boringhieri. – Mottana, P., Campagnoli, G. (2017). La città educante. Manifesto della educazione diffusa. Come oltrepassare la scuola. Trieste: Asterios. – Rodari, G. (1979). Parole per giocare. Firenze: Manzuoli. – Russell, B. (1995). La conoscenza del mondo esterno. Milano: TEA. – Schmitt, C. (1991). Il nomos della terra: nel diritto internazionale dello Jus publicum Europæum. Milano: Adelphi. – Venturi, I., Zunino, C. (2021). I dispersi della Dad. Quei 200 mila ragazzi in fuga dalla scuola. La Repubblica, 16 maggio. – Ward, C. (2000). Il bambino e la città. Crescere in ambiente urbano. Tr. it. di Nicoletti Altimari P. Napoli: L’Ancora del Mediterraneo. – Weyland, B. (2014). Fare scuola. Un corpo da reinventare. Milano: Guerini.

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I sensi e l’apprendimento Gli organi di senso mettono l’uomo e tutti gli esseri viventi in comunicazione con la realtà esterna e pertanto possono essere considerati come la primissima fonte di informazioni e apprendimento. Come ben descritto da Stefano Mancuso e Alessandro Viola nel libro Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale (Giunti, 2013), nonostante il linguaggio comune leghi l’aggettivo “vegetale” a condizioni di vita private di tutte le facoltà sensorie, anche le piante possiedono tutti e cinque i sensi rivelando una natura più sofisticata di quanto si pensi. Stefania Mangini Fonti: Mancuso, S., Viola, A. (2013). Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale. Firenze: Giunti Editore.

INFONDO


Le piante hanno la capacità di recepire una certa classe di odori dette BVOC (Biogenic Volatile Organic Compounds) per ricevere informazioni dall’ambiente e per comunicare tra loro e con gli insetti. Il sistema attraverso cui “annusano” sarebbe il più sofisticato di quello di qualsiasi animale presente sulla Terra, superando anche l’elefante africano che conta 1948 recettori olfattivi.

Le piante sono in grado di intercettare la luce, di usarla e di riconoscerne qualità e quantità. Per l’ovvio motivo che essa è l’alimento principale della loro dieta energetica, la ricerca di luce è l’attività che più influenza la vita e i comportamenti di ogni pianta.

Anche alcuni invertebrati, come le meduse Cubozoa, presentano il ropalio, ovvero l’organo sensoriale che permette loro di muoversi nuotando attivamente per cacciare ed evitare gli ostacoli.

È noto che le basse frequenze favoriscano la germinazione dei semi, l’accrescimento dei germogli e l’allungamento delle radici. La pianta, infatti, attraverso organi meccano-sensibili capta il suono, inteso come vibrazione, utilizzando la terra come conduttore. Questa capacità di intercettare le frequenze è comune anche ai piccioni che sono in grado di rilevare suoni a partire da 0,5 Hz, come temporali ed eruzioni vulcaniche.

Le piante possiedono il senso del gusto. Oltre alle piante carnivore, che hanno modificato la forma della loro foglia trasformandola in una vera e propria trappola, alcune specie come la pianta della patata, secernono sostanze appiccicose e velenose che uccidono gli insetti, lasciandoli cadere al suolo a decomporsi, andando ad arricchire il terreno. Attraverso le radici,infatti, le piante riescono a distinguere i diversi nutrienti nel terreno percependo minuscoli gradienti chimici fino a grande profondità. Anche la lingua del topo possiedela stessa capacità recettiva, riuscendo a intercettare gusti come il biossido di carbonio e il calcio.

Il senso del tatto nelle piante è strettamente connesso a quello dell’udito e si serve di piccoli organi detti canali meccano-sensibili presenti in misura maggiore nelle cellule epidermiche, cioè quelle a stretto contatto con l’ambiente esterno, per percepire stimoli esterni e per distinguerne la natura e quindi la pericolosità. Allo stesso modo, il coccodrillo ha nelle mascelle e nelle squame pigmentate una sensibilità maggiore di quella delle dita umane, riuscendo a percepire e rilevare anche le più piccole vibrazioni dell’acqua e infinitesimi livelli di pressione.

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Emanuele Mandolfo Illustratore mandolfoemanuele@gmail.com

emanuelemandolfo.com

l COVID-19 ha cambiato il nostro modo di vedere e raccontare la realtà. Il nostro oggi sembra la concretizzazione di una serie TV distopica di ieri. Si inserisce in questo scenario la mostra diffusa San Giorgio contro il virus: dieci tavole create dal digital illustrator modicano Emanuele Mandolfo ed esposte nel centro storico della sua città natale. L’artista siciliano regala alla sua città un messaggio di speranza che, come una Via Crucis a ritroso, accompagna il patrono della città in una battaglia che va da un momento di “morte” – la diffusione del virus – a un’acme di “vita”, la sua sconfitta per mano di San Giorgio, il cui culto arriva a Modica e in Sicilia con la dominazione normanna. La mostra, esposta appunto “a cavallo” del 23 aprile, è stata curata da Paola Contino, patrocinata dal Comune di Modica e sostenuta dal Nuovo Cineteatro Aurora, che ha concesso gli spazi orfani delle locandine dei film fermati dal virus. Il Giuramento, La Promessa, La Battaglia, L’Abbraccio: queste alcune delle dieci tappe di una battaglia a suon di vibranti fendenti della spada del cavaliere che diventano i tratti digitali dell’artista. Mandolfo reinterpreta un’antica iconografia legata al Santo e alle leggende a lui ispirate, sfuggendo alla trappola di una visuale fissità ieratica e dando dinamismo ai suoi protagonisti (tra cui Dio Padre, Santa Margherita, il COVID-19/ Drago, la stessa Chiesa di San Giorgio). Sono vivi di bit, animati da una poesia binaria insolita e consolante. I social media oggi impongono l’urgenza di vedere rappresentate le proprie utopie quotidiane nei modelli e negli “eroi ed eroine” che li popolano. C’è fretta di vi-

vere, attraverso una banalizzazione reiterata, tipica di alcuna content creation per il web. Ma per fortuna tra le pieghe di questo flusso di copy e visual, nuove espressioni artistiche si fanno strada: quella creata da Emanuele Mandolfo è certamente una di queste. Il suo San Giorgio è un eroe antico e moderno insieme, che attualizza quella fede che sembra essere fra gli ingredienti della sua poetica. Sappiamo che anche il cinema è fra le sue fonti di ispirazione, quindi diremmo che, a differenza del The Dark Knight (2008) di Nolan, il suo San Giorgio/Batman è l’eroe che Modica/Gotham merita, ma anche quello di cui ha bisogno adesso. Un eroe del passato e che dal passato viene “richiamato alle armi” in un presente che avremmo detto post-apocalittico. San Giorgio vive e vince, vince e vive… e può così tornare il contatto, tutto umano, de L’abbraccio. Ma se anche così non fosse, se anche l’uomo dovesse morire oggi e il Santo vivere domani, l’astrazione digitale di questo artista ci direbbe (e anche qui attingiamo al cinema e al Jack Harper in Orazio Coclite dell’Oblivion di Kosinski, 2013): “per un uomo quale fine migliore che affrontare rischi fatali, per le ceneri dei suoi padri e per i suoi Dei immortali”.* Diego Mandolfo Saint George, Digital Hero On the day of the celebration for Saint George, the city of Modica became an outdoor art gallery to host the exhibition “Saint George against the virus”. With the use of outdoor posters the Sicilian illustrator, Emanuele Mandolfo, tells the imaginary story of Saint George called by God to protect the city of Modica and to save the beloved Saint Margaret from the virus of the pandemic.*

Un’antica iconografia legata al Santo e alle leggende a lui ispirate


San Giorgio, eroe digitale

01. Il Giuramento | The Oath.


02. La Promessa | The Promise.

Il nostro oggi sembra la concretizzazione di una serie TV distopica di ieri

03. La Battaglia | The Battle.


Un messaggio di speranza come una Via Crucis a ritroso

05. La sua Chiesa | His Church.

04. San Giorgio e il Portatore | Saint George and the Bearer.


San Giorgio vive e vince, vince e vive…

06. Santa Margherita | Saint Margaret.

07. La Vittoria | The Victory.

08. L’Abbraccio | The Hug.


09. I primi visitatori davanti La Preghiera | The first visitors in front of The Prayer.

Modica (RG), 2021


Paola Careno Assegnista di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia. pcareno@iuav.it

La scuola oltre la pandemia Cristiana Mattioli, Federica Patti, Cristina Renzoni, Paola Savoldi (a cura di) Altraeconomia, 2021

Educational Landscapes We can no longer talk about schools by splitting content, container and context because they are highly interconnected factors and in mutual contamination. The book is edited by architects, researchers, professionals in the field of urban and territory planning, collects 11 interviews privileging the point of view of public actors and shows what has already been done in part by the pandemic that, perhaps for the first time, has placed at the centre of the public debate the issues of health and schools, usually addressed only by professionals.*

Paesaggi educativi aesaggi educativi” è un binomio contenuto tra le righe di La scuola oltre la pandemia. Punti di vista ed esperienze sul campo e colpisce perché è in grado di sintetizzare in maniera esaustiva i temi chiave che emergono dalle undici interviste raccolte nel volume, a cura di Cristiana Mattioli, Federica Patti, Cristina Renzoni e Paola Savoldi, architette, ricercatrici, professioniste nel campo dell’Urbanistica e della progettazione del territorio. È un libro che dà voce a dirigenti scolastici, assessori all’istruzione, funzionari dei servizi educativi comunali e degli uffici scolastici del territorio, e che riporta le loro esperienze dirette sul campo durante questi mesi di convivenza con la pandemia da COVID-19 a partire dal primo lockdown di marzo 2020. Analogamente alla definizione di paesaggio che, in termini strettamente geografici, è un insieme di elementi che caratterizzano e compongono una parte di territorio1, il fil rouge delle esperienze raccolte è un insieme di tentativi, progetti virtuosi e lotte per una scuola che vuole oltrepassare i propri confini, per fare rete e disegnare nuove geografie. Il 6 marzo 2020, a causa dell’emergenza sanitaria, vengono sospesi, su tutto il territorio italiano, i servizi educativi dell’infanzia e della scuola di ogni ordine e grado, incluse le università. La pandemia ha fatto emergere problemi e necessità già presenti nelle

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scuole, specie quelle situate in contesti urbani caratterizzati da condizioni di maggiore fragilità (quartieri periferici, malavitosi o con un elevato tasso di dispersione scolastica) dove prima ancora che un’emergenza sanitaria, il COVID-19 ha rappresentato un’emergenza sociale ed economica e dove la scuola si è configurata come il più importante presidio pubblico e civile. Uno dei maggiori problemi emersi è stata la forte disparità tra le scuole. Elena Cappai, dirigente tecnico presso l’ufficio scolastico regionale per il Piemonte sottolinea come “le scuole vanno innanzitutto collocate in un territorio e i territori non sono tutti uguali” (p. 35). I vincoli di distanziamento tra le persone, le caratteristiche degli spazi delle scuole e del loro intorno, l’organizzazione della mobilità pubblica e individuale, le condizioni di lavoro del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario, il coinvolgimento e il ruolo di figure di supporto alle attività educative sono le variabili da far quadrare. Se durante la pandemia si è verificata l’esigenza di accentrare il più possibile il controllo per una gestione e un esito uniforme, dalle parole degli intervistati emerge unanimemente la necessità di una rete che connetta le autonomie scolastiche, rispettandole e supportandole, in modo che dialoghino tra loro e si compensino. Senza la presenza di una rete che faccia da regia e da collante, una scuola o un’isti-

IL LIBRO


tuzione è incapace di sopravvivere ed evolversi, per questa ragione occorre cominciare a parlare di scuole e non di scuola. Il libro privilegia il punto di vista degli attori pubblici perché il focus è interrogarsi sulle trasformazioni che la crisi ha determinato e determina nel sistema scolastico in primis e più in generale nelle infrastrutture della quotidianità ad esso inevitabilmente connesse. Ad esempio la didattica a distanza, resa necessaria dalla pandemia, ha messo fortemente in discussione l’approccio educativo tradizionale ma il ritorno in presenza, nel rispetto delle misure di contenimento del contagio e dei vincoli di distanziamento, ha comportato il rischio di un ritorno a una didattica esclusivamente frontale. Le scuole allora hanno cominciato a utilizzare spazi esterni, a contaminare e stravolgere quelli interni, ad “adottare” quartieri, e così è emerso il bisogno di un rapporto ancora più forte e reciproco tra scuola e territorio. Occuparsi di scuola in relazione alla città e al territorio di cui fanno parte significa interessarsi non solo agli spazi strettamente connessi agli edifici scolastici, quali palestre, campi sportivi, refettori o auditorium, ma anche agli spazi di accesso pedonali e carrabili e agli spazi pubblici adiacenti come il marciapiede, la piazza, il giardino pubblico, lo spazio della strada, gli attraversa-

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menti, gli stalli dei parcheggi. Se prima l’inadeguatezza degli spazi di transizione tra scuola e città veniva risolta attraverso una maggiore vigilanza da parte di genitori, della polizia municipale o con la chiusura, permanente o temporanea, del traffico, la pandemia ha evidenziato come non sia mai stato affrontato spazialmente il tema dell’ingresso e dell’uscita della scuola e ha acceso i riflettori anche e soprattutto sugli spazi di transizione. È chiaro quindi il messaggio che non si può più parlare di scuole scindendo contenuto, contenitore e contesto perché sono fattori altamente interconnessi e in reciproca contaminazione, e che scuola e salute sono temi che meritano di essere al centro del dibattito pubblico, di essere affrontati non solo dagli addetti ai lavori e non solo in situazioni emergenziali.*

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NOTE 1 – Definizione di “Paesaggio”, vocabolario Treccani online, www.treccani.it (ultima consultazione giugno 2021).


Lino Cabras Ricercatore tdA in Composizione architettonica e urbana, DADU, Università degli Studi di Sassari. lcabras@uniss.it

Innovative Schools of the Second Post-war The architectural heritage of schools built by the regional institutions ESMAS and ETFAS after the Second World War in Sardinia, widely spread throughout the villages and rural areas, has been gradually disused and abandoned. In light of the current pandemic crisis, the research aims at investigating the spatial outcomes of this architectural legacy in order to confirm the validity of its originating principles in the local context for contemporary communities, identifying the influences of the Modernist authors who interpreted the pedagogical principles for an "open" and "democratic" school.* l territorio della Sardegna, costituito da una pluralità di piccoli centri abitati, ospita un patrimonio di architetture scolastiche esito di progetti di qualità tipologica e spaziale che all’indomani del secondo dopoguerra hanno risposto alle necessità di un contesto prevalentemente agropastorale, in condizioni di arretratezza strutturale dal punto di vista sociale ed economico; in questo quadro le iniziative promosse della Regione Sardegna attraverso l’Ente per le Scuole Materne della Sardegna (ESMAS) e l’Ente per la Trasformazione Fondiaria in Sardegna (ETFAS), istituiti con finalità diverse, si sono rivelate determinanti per lo sviluppo dell’edilizia educativa di quegli anni.

La realizzazione ex-novo di scuole materne attuata attraverso il Piano 1957 dall’ESMAS – attivo dal 1942 al 1998 – è parte di un progetto più ampio di cura per l’infanzia che vede la realizzazione di oltre cento edifici, intesi non come “opere di particolare importanza artistica” (Amicarelli, 1957, p. 3) ma come scuole efficienti, impostate su una tipologia replicabile a una, due o tre sezioni (img. 01). Pochi anni dopo la creazione dell’ESMAS (Pujia, 2021), la Sardegna vede l’istituzione dell’ETFAS1, ente volto alla strutturazione delle attività agricole attraverso opere di bonifica fondiaria e agraria, ma anche al miglioramento delle condizioni di vita mediante la realizzazione di infrastrutture, case coloniche,

borgate e centri di servizio a riferimento della vita pubblica e sociale per le comunità di assegnatari residenti nelle aziende agricole (Di Felice, 2005). La bassa densità e le diverse condizioni geografiche degli insediamenti colonici hanno permesso di strutturare una dotazione comune di infrastrutture, ma allo stesso tempo diversificata da “un’ampia e piena libertà di espressione tecnica ed artistica” (ETFAS, 1962, p. 25) dei progettisti. Il piano generale dei servizi predisposto dall’Ente prevedeva la realizzazione di sette borghi residenziali, trentatré centri di servizio, cinquanta scuole rurali isolate e quindici cappelle. Le borgate e i centri di servizio erano dotati di un piano regolatore generale che include-

01. Scuola materna ESMAS a due sezioni, Tratalias (1954) | ESMAS kindergarten with two sections, Tratalias (1954). Archivio Storico del Comune di Cagliari, fondo fotografico

Scuole innovative del Secondo dopoguerra

Declinazioni del Moderno negli spazi educativi delle borgate rurali in Sardegna

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L'ARCHITETTO


Identificare i principi spaziali che hanno generato le architetture scolastiche per potenziarne le affinità con le contemporanee teorie pedagogiche

02. Planimetria di Tottubella, 1953-1956 | Plan of Tottubella, 1953-1956. Archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore 03. Planimetria della scuola elementare e materna di Tottubella (sinistra); progetto di ampliamento del 1964 | Plan of the primary school and kindergarten of Tottubella (left); extension project, 1964. Archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore

va, nello schema tipico: il circolo sociale, la scuola elementare, la scuola materna, lo spaccio, l’ufficio postale e la caserma. La ricerca in corso2, oltre a vedere riconosciuto il valore storico, culturale e documentale delle architetture scolastiche individuate, mira a identificare i principi spaziali che le hanno generate per potenziarne le affinità con le contemporanee teorie pedagogiche e prevedere interventi progettuali di recupero mirati all’integrazione tra la vita sociale propria della dimensione urbana e le attività di apprendimento, che si mostrano sempre più alla base di processi virtuosi finalizzati a “fare comunità” (Weyland, 2014). Nei progetti di scuole analizzati, emerge chiara la presenza

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di spazi flessibili e “polivalenti” (Hertzberger, 1996) così come la ricerca di un rapporto diretto con lo spazio esterno e l’attenzione al benessere psicofisico dei bambini, per i quali anche l’atto di lavarsi le mani avviene con fontane circolari al centro dello spazio, analogo ai contemporanei atelier dell’acqua intesi come occasione di azione (Weyland e Galletti, 2018). Muovendo da tali presupposti, attraverso ricerche d’archivio e mappature sul territorio, si sono identificate quelle architetture scolastiche che già nella loro concezione originaria contemplavano spazialità fluide e attività didattiche all’aperto. In questo contesto l’espressione del Movimento Moderno nella sua prima formulazione si rin-

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traccia nelle immagini d’epoca degli interni delle scuole materne ESMAS (img. 01), dove emerge chiara l’affinità con gli ambienti comunicanti realizzati a Como nell’asilo Sant’Elia di Giuseppe Terragni, seppure con un impianto spaziale più povero e lineare. Le diverse varianti tipologiche, presenti su tutto il territorio insulare sia in aree rurali che nelle zone di espansione dei centri maggiori, sono state concepite tenendo ben presente la necessità di contenere i costi di costruzione con quella di “una scuola materna modello” (Sanjust, 1957, p. 11). Già negli ultimi anni del Ventennio l’esperienza progettuale sulle scuole, in particolare del movimento en plein air, è presente in Italia attraverso proget-


04. Borgata di Tottubella: scuola elementare e materna (sulla destra) | Tottubella village. Primary school and kindergarten (on the right). Archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore 05. Sezione della sala centrale con camino della scuola elementare e materna, Tottubella | Section on the central room with fireplace of the primary school and kindergarten, Tottubella. Archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore

ti eminenti che dimostrano l’avvenuto cambio di passo rispetto all’approccio positivista, informato principalmente da criteri di efficienza funzionale: “un vero fallimento dal punto di vista pedagogico e igienico psichico” (Carbonara, 1942, p. 81). L’esperienza del Moderno ristabilisce quindi un rapporto di scala umana e supera in maniera definitiva l’idea di scuola autoritaria e monumentale (Pezzetti, 2012). Nel secondo dopoguerra le istanze della modernità in Italia assumono i connotati del “Neorealismo architettonico” (Benevolo, 1960, p. 927), che mutua dal cinema di quegli anni un vocabolario di elementi tipologici appartenenti al linguaggio dell’edilizia rurale, come i tetti a falde rivestiti in coppi, l’utilizzo del laterizio e dei paramenti lapidei a vista, temi ricorrenti nei centri di servizio e nelle borgate ETFAS, impostati su impianti urbanistici variabili in relazione alle condizioni del contesto (Casu, 2001). È proprio negli edifici per l'apprendimento3 che si riscontrano le sperimentazioni più varie alla ricerca di qualità spaziali che pongano la scuola come centro di riferimento della vita ci-

vica, così come delinea Ciro Cicconcelli, alla direzione del Centro Studi per l’edilizia scolastica: “l’ambiente della scuola, (come sostiene anche Mumford), valicando i confini, divenuti troppo angusti, dell’edificio scolastico, viene ad essere costituito non solamente da questo, bensì da tutta l’unità di quartiere, ampio campo di osservazione e teatro di molteplici attività” (Cicconcelli, 1958, p. 906). La borgata di Tottubella, situata nel centro di colonizzazione di Sassari, è la prima a essere realizzata (img. 02) su progetto dell’architetto Fernando Clemente4 e dell’ingegner Oreste Noto. Dalla descrizione dell’impianto della borgata, impostata sullo schema della città-giardino di matrice organicistica, si evince che le relazioni tra le parti sono pensate per “suscitare nei frequentatori un senso di cordialità e di affiatamento in modo che ne risulti agevolata l’educazione e l’intesa di gruppo”5. L’edificio della scuola (imgg. 03-04), servito da due accessi distinti, ospita tre aule destinate alle elementari e due alla materna6 ed è impostato su un impianto libero in cui una

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Rafforzare il rapporto tra la scuola e la sua estensione verso l’esterno sala centrale dotata di camino (img. 05) individua il cuore “pubblico” dedicato ai momenti d’incontro. Da qui, verso l’ala ovest, un’ampia rampa curva ad assecondare l’orografia del sito conduce alle aule della scuola elementare, ognuna delle quali ha uno spazio all’aperto dedicato; sul lato est si trovano invece le due aule della scuola materna, impostate sul medesimo schema delle precedenti. A nord, un corpo dalla geometria poligonale ospita gli spazi direzionali e amministrativi. Nelle intenzioni dei progettisti gli spazi esterni (img. 06) sono riconosciuti come essenziali per l’attività didattica e sono così descritti: “anche le aule hanno diretto accesso dall'esterno;

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06. Aula all’aperto della scuola materna (in primo piano a destra), il centro sociale (a sinistra) e la chiesa (sullo sfondo), Tottubella | Open air classroom of the kindergarten (in the foreground at the right), the civic centre (at the left) and the church (in the backgorund), Tottubella. Archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore

le lezioni si potranno svolgere all'aperto con vantaggio della salute degli insegnanti e degli allievi”7. Questo progetto, esemplificativo di una qualità diffusa nel territorio insulare raggiunta a seguito degli interventi degli enti regionali citati, mostra piena affinità con le esperienze progettuali che negli stessi anni occupano il dibattito architettonico internazionale (Roth, 1950), di cui la scuola elementare di Darmstadt8, presentata da Hans Scharoun alla conferenza Mensch und Raum del 1951 (Bartning, 1991), costituisce uno dei modelli di riferimento nel tradurre in termini spaziali le istanze di democrazia e condivisione di valori civici. In relazione ai principi informatori emersi, la ricerca ha avviato una ricognizione delle architetture scolastiche locali che hanno accolto un’idea di scuola ancora valida rispetto ai metodi della didattica contemporanea, fondata sull'informalità e sull'ibridazione degli spazi (Tagliagambe, 2016). La scuola, intesa come estensione naturale del corpo capace di apprendere attraverso un atto percettivo dinamico (Berthoz, 1998), ri-

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chiama l’attenzione sulle nuove possibilità di aggregazione che l’attuale crisi pandemica rende necessarie, anche nel ripensamento del valore dei borghi quali possibili luoghi da riabitare, alla luce del progressivo processo di dismissione e abbandono del patrimonio presente nel territorio che ha lasciato i manufatti in una situazione di degrado, negando future possibilità di inclusione per le comunità locali di riferimento. In ragione dell’impoverimento sociale e culturale causato dall’assenza di questi presidi, la ricerca prevede, attraverso azioni progettuali a basso impatto, il ripristino delle condizioni originarie degli edifici individuati, anche in considerazione dei vincoli di natura paesaggistica e ambientale vigenti. Preservare dunque le caratteristiche spaziali per riaffermare il ruolo dell’architettura nei processi formativi e potenziare le relazioni tra la scuola e il contesto attraverso l’integrazione con le esperienze del territorio.*

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NOTE 1 – L’ente nasce nel maggio del 1951, nel quadro della riforma fondiaria nazionale approvata dal parlamento italiano con la L. 21.10.1950 n. 841, nota come “Legge Stralcio” o “Legge Segni”. 2 – Il tema qui presentato è parte di uno studio nell’ambito del PON RICERCA E INNOVAZIONE 2014-2020 AIM - ATTRAZIONE E MOBILITÀ INTERNAZIONALE, in fase di sviluppo, con un progetto di ricerca, dal titolo Spazi e luoghi dell’apprendimento. Esperienze, pratiche e progetti. 3 – A differenza delle scuole materne ESMAS, impostate su unico progetto dell’Ing. A. Sanjust, le scuole realizzate dall’ETFAS sono frutto di sperimentazioni personali dei diversi progettisti coinvolti. È previsto l’impiego di tipologie standard solo nel caso di edifici pluriclasse sparsi nell’agro, localizzati fuori dai centri di servizio. 4 – Fernando Clemente è allievo di G. Michelucci, dal quale riprende nei progetti realizzati per l’ETFAS i principi delle “unità di vicinato” di L. Mumford e le istanze del Movimento Comunità fondato da A. Olivetti. 5 – Relazione illustrativa di progetto depositata presso l’archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore. 6 – Nel progetto di ampliamento del 1964 figurano due ulteriori aule, con le medesime caratteristiche delle preesistenti, e un blocco di servizi. Dalla relazione illustrativa del primo progetto del 1952 si evince che nel tempo tutte le aule sarebbero state destinate alla scuola elementare. La possibilità di edificare nuove aule in tempi successivi è una caratteristica ricorrente nei negli elaborati di progetto delle scuole ETFAS, nei quali sono sempre tracciate graficamente eventuali addizioni. 7 – Relazione illustrativa di progetto depositata presso l’archivio ex ETFAS ora Agenzia Laore. 8 – Il progetto della scuola elementare di Darmstadt presentato da Scharoun in quell’occasione, sviluppato attraverso le realizzazioni successive a Marl e a Lünen, mostra nell’articolazione planimetrica diversi punti in comune con l’impianto spaziale della scuola di Tottubella. BIBLIOGRAFIA – Amicarelli, A. (1957). Prefazione. In ESMAS (a cura di), La scuola materna in Sardegna. Cagliari: Tipografia Doglio. – Bartning, O. (1991), Mensch und Raum / Das Darmstädter Gespräch 1951. Braunschweig: Vieweg. – Benevolo, L. (1960). Storia dell’architettura moderna. Bari: Laterza. – Berthoz, A. (1998). Il senso del movimento. Milano: Mc Graw-Hill. – Carbonara, P. (1942). La scuola all’aperto. Architettura: Rivista del sindacato nazionale fascista architetti, n. 3. MilanoRoma: Garzanti, pp. 78-86. – Casu, A. (2001). Le campagne tra continuità ed elementi di rottura. Parametro, n. 235. Bologna: Faenza editrice, pp. 45-50. – Cicconcelli, C. (1958). Scuole materne, elementari e secondarie. In Carbonara, P. (a cura di), Architettura Pratica, Vol. III, Torino: Utet, pp. 835-1082. – Di Felice, M.L. (2005). Terra e Lavoro: uomini e istituzioni nell'esperienza della riforma agraria in Sardegna (1950-1962), Roma: Carocci. – ETFAS (1962). Case rurali e borghi. S.L.: Centro Sardo di documentazione. – Hertzberger, H. (1996). Lezioni di architettura. Bari: Laterza. – Pezzetti, L.A. (2012). Architetture per la scuola. Impianto, forma, idea. Napoli: CLEAN. – Pujia, L. (2021). Modern School Heritage: Architectural And Pedagogical Models In Sardinia. In Scuola Democratica (a cura di), Book of Abstracts of the International Conference of the journal Scuola Democratica, Reinventing Education. Roma: Associazione “Per Scuola Democratica”, pp. 433-434. – Roth, A. (1950). The New School. Zurich: Girsberger. – Sanjust, A. (1957). Motivi informatori della edilizia prescolastica per le Scuole Materne della Sardegna. In ESMAS (a cura di), La scuola materna in Sardegna. Cagliari: Tipografia Doglio. – Tagliagambe, S. (2016). Idea di scuola. I presupposti e i cardini di una buona educazione. Loreto: Tombolini. – Weyland, B. (2014). Fare scuola. Un corpo da reinventare. Milano: Guerini. – Weyland, B., Galletti, A. (2018). Lo spazio che educa. Generare un’identità pedagogica negli ambienti per l’infanzia. Parma: Edizioni Junior.


Federico Camerin PhD, assegnista di ricerca in Urbanistica, Università Iuav di Venezia. fcamerin@iuav.it

From the Army to the Studies The reuse of former military sites as spaces for university is a practice that is being consolidated in Italy as well as in other European countries. The work explores how disused barracks can be intended as learning places, where the conservative reuse enhances the pre-existing architectural and urban features in its change from military to academic space.* l presente lavoro indaga i riusi delle caserme militari dismesse in luoghi di aggregazione pedagogici, precisamente in spazi universitari1. L’obiettivo è delineare come il progetto architettonico-urbano adegui le antiche enclavi militari alle esigenze di nuovi spazi educativi attraverso il riuso conservativo degli edifici esistenti e mantenendo praticamente inalterato il rapporto vuoto/ pieno. Attraverso un’attività di desk research, di inventario e specifiche visite sul campo in Italia, Spagna e Svezia2, ciò che si vuol metter in risalto è che le caserme possono essere viste come luoghi dell’apprendimento in un doppio senso. Da un lato, tali spazi mutano la finalità dell’apprendimento che ha luogo al loro interno, convertendosi da locus “per eccellenza” dell’istruzione militare, chiuso alla società civile da mura perimetrali invalicabili, a luogo per l’educazione universitaria, aper-

01-02. Le università spagnole Pompeu I Fabra nelle ex-caserme Roger de Llúria e Jaume I di Barcellona (in alto) e l'UGR di Granada, Escuela Técnica Superior de Arquitectura nell’ex ospedale militare di Granada (in basso) | The Spanish universities Pompeu i Fabra in the former Roger de Llúria and Jaume I barracks in Barcelona (top) UGR in Granada, Escuela Técnica Superior de Arquitectura in the former military hospital in Granada (bottom). Federico Camerin

Dalle armi agli studi

Il recupero delle aree militari dismesse in spazi universitari

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03-04. Il campus spagnolo dell’Università UCLM nell’ex-fabbrica di armi di Toledo (in alto) e il Blekinge Institute of Technology di Karlskrona (Svezia) nelle ex-caserme della Marina militare (in basso) | The Spanish campus of the UCLM University in the former arms factory in Toledo (top) and the Blekinge Institute of Technology in Karlskrona (Sweden) in the former Navy barracks (bottom). Federico Camerin

ta al contesto di ubicazione. Dall’altro lato, i riusi messi in pratica rispettano e valorizzano gli antichi artefatti militari, che a loro volta furono elaborati secondo specifiche azioni di apprendimento da parte degli ingegneri del genio militare, essendo frutto di innovazioni tecnologiche e architettoniche per garantire ambienti funzionali all’apprendimento militare (Bruni, 1937; Fara, 1985; Dallemagne, 1990). Dalla fine della Guerra Fredda è iniziata una lunga e tumultuosa stagione di dismissione delle proprietà immobiliari militari che ha messo a disposizione della società civile nuove aree di grandi dimensioni, costituendo dunque ambiti strategici per la riqualificazione di ampie parti urbane in tutto il Paese

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(Gastaldi e Camerin, 2019). La complessità del reinserimento di tali beni nella società civile implica approcci interdisciplinari per il recupero di spazi aperti ed edificati sulla base della ponderazione di aspetti architettonici, economici, sociali e urbani per cambiare di segno la preesistente relazione tra aree militari invalicabili e il contesto di inserimento (Storelli e Turri, 2014). Il ruolo del progetto di architettura in queste riconversioni agisce dunque come nel caso di altri vuoti urbani (Lopez-Pineiro, 2020) alle diverse scale, da quella puntuale a quella territoriale, al fine di permettere il passaggio dalla cesura del luogo dell’apprendimento militare alla permeabilità del locus dell’insegnamento universitario.

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Come sottolineato da Turri e Zamperini (2017), nonostante le criticità insite nei manufatti edilizi delle caserme realizzate tra l’Unità e la Seconda Guerra Mondiale (vetustà e obsolescenza tipologico-tecnologica con ripercussioni sugli aspetti relativi a sicurezza in termini sismici e antincendio, fruibilità, benessere, sostenibilità e salvaguardia dell’ambiente), la qualità costruttiva, il discreto stato di conservazione, e l’ampiezza e la modularità degli ambienti permettono l’installazione di vari tipi di nuove funzioni. Tra i riusi di successo si rileva il progressivo passaggio da questi luoghi d’istruzione militare a nuovi spazi per l’apprendimento, soprattutto a livello universiario. Ne sono esempio, in Spagna, quaranta insediamenti militari riconvertiti a sedi universitarie (Sánchez Pingarrón, 2018), mentre la Blekinge Institute of Technology - BTH di Karlskrona (Svezia) si ubica in antiche caserme della Marina militare. In Italia, otto caserme dismesse ospitano attualmente funzioni universitarie (caserma Vilarey di Ancona, Università Politecnica delle Marche; complesso di S. Cristina di Bologna, Università degli Studi di Bologna; caserma Sani di Roma, Sapienza Università di Roma; caserma Perrone di Novara, Università degli Studi del Piemonte Orientale; caserma Zucchi di Reggio Emilia, Università di Modena e Reggio Emilia; caserma Bligny di Legino, Savona, Università degli Studi di Genova; caserma Abela di

Quali sono le caratteristiche architettonicourbanistiche che facilitano questo passaggio da luoghi dell’istruzione militare a quella accademica?


Le architetture militari risultano idonee e adattabili all’uso multifunzionale tipico del sistema universitario proprio perché derivano da un antico uso rivolto all’istruzione

05-06. L'entrata della caserma Rossi a L’Aquila, in corso di dismissione da parte dell’Esercito (a sinistra) e gli spazi della corte interna dell’ex caserma Reni di Roma, oggi sede dell'Università La Sapienza (a destra) | The entrance to the Rossi barracks in L’Aquila, currently being decommissioned by the Army (top) and the spaces of the internal courtyard of the former Reni barracks in Rome, now home to the La Sapienza University (bottom). Federico Camerin

Siracusa, Università degli Studi di Catania; caserma Santa Marta di Verona, Università degli Studi di Verona). Sono invece sette le caserme che nel futuro ospiteranno funzioni universitarie, con progetti i cui iter sono stati avviati o sono in corso di realizzazione (caserma Testafochi di Aosta, Nuova Università Valdostana; caserma Colli di Felizzano di Asti, Università di Asti; caserma Montelungo-Colleoni di Bergamo, Università degli Studi di Bergamo; base logistica di Edolo, Brescia, Università degli Studi di Milano; caserma Rossi a L’Aquila, nuovo polo scolastico, cultu-

rale e sportivo; caserma Piave di Padova, Università degli Studi di Padova; caserma Di Collo di Pescara, Università Politecnica delle Marche). Visti tali numeri, la domanda che ci si pone è la seguente: quali sono le caratteristiche architettonico-urbanistiche che facilitano questo passaggio da luoghi dell’istruzione militare a quella accademica? Gli edifici delle caserme sono organizzati all’interno dei recinti militari secondo schemi di impianto razionalmente definiti e standardizzati, provvisti di ampi spazi aperti e verdi, destinati in origine alla circolazione

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e alle esercitazioni. Oltretutto, viali alberati e piazze danno agli accasermamenti i valori e le potenzialità di vere e proprie “città nella città”. Con questo termine ci si riferisce al fatto che, per ragioni di accasermamento e relativa istruzione dei soldati, tali aree si costituivano come veri e propri ambiti “urbani” autosufficienti, dotati di tutti i servizi e standard necessari alla vita militare costruiti secondo precise tipologie d’impianto, i cui edifici si disponevano a corte, a padiglioni e secondo uno schema lineare (Cantera Montenegro, 2007; Turri et al., 2008). Con tali soluzioni si trattava di garantire adeguati rapporti edilizi per ottimizzare i parametri d’esposizione dei fabbricati all’irraggiamento solare e ai venti dominanti e funzioni di base come edifici “dormitorio” attrezzati con adeguati servizi igienico-sanitari, cucine, mense, spazi per il tempo libero come sale studio, biblioteche e persino cinema. In termini di riconversione, oltretutto, l’incidenza dei fabbricati delle caserme è in genere relativamente contenuta, quindi i recinti militari si avvalgono di vaste aree libere che, nell’ottica di una possibile riutilizzazione, consentono una residua capacità edificatoria nel rispetto delle distanze minime tra i fabbricati (Turri et al., 2008). I progetti di riuso messi in atto sono sostanzialmente opere di ristrutturazione e risanamento conservativo di un sistema integrato di immobili tra

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loro funzionalmente interconnessi: le architetture militari risultano idonee e adattabili all’uso multifunzionale tipico del sistema universitario proprio perché derivano da un antico uso rivolto all’istruzione. Le riconversioni valorizzano i caratteri identitari delle strutture architettoniche esistenti e degli spazi aperti. In altre parole, gli atteggiamenti progettuali verso le preesistenze si basano generalmente sul rispetto dei valori formali e delle caratteristiche costruttive, distributive e statiche degli edifici. Le funzioni universitarie confermano generalmente i corridoi esistenti, sfruttano e valorizzano la modularità dell’organizzazione planimetrica originaria e la flessibilità garantita dal sistema di pilastri e muri di partizione, da cui è possibile ricavare sale e aule di varie dimensioni, con soluzioni semplici e razionali. Nonostante ciò, l’adeguamento alle attuali normative prestazionali richiede vari interventi finalizzati a inserire nuove reti impiantistiche, fornire standard d’illuminazione e sicurezza antincendio, oltre a garantire le prestazioni acustiche degli ambienti e la loro accessibilità. Per concludere, i riusi delle caserme in luoghi universitari rispettano la memoria collettiva dell’apprendimento di cui tali architetture sono portatrici. I nuovi usi sono coerenti con quelli del passato per tipo di utenza e attività (giovani maggiorenni in fase di formazione) e commisurati senza forzature alla distribuzione e alle caratteristiche degli spazi originari. La conferma degli impianti storici dei fabbricati rispetta oltretutto la gerarchia esistente nell’edificato di questa “città nella città”, anche se si introducono funzioni finalizzate a un apprendimento diverso, quello universitario. È proprio questo cambio di segno il fattore capace di attivare in modo dinamico continui scambi all’interno e con l’esterno, e di creare nuove relazioni urbane e territoriali.*

07-08. Gli spazi aperti incolti della caserma Piave di Padova (in alto) e gli spazi riconvertiti dell’ex-caserma Santa Marta di Verona (in basso) | The uncultivated open spaces of the Piave barracks in Padua (top) and the converted spaces of the former Santa Marta barracks in Verona (bottom). Federico Camerin NOTE 1 – Il presente lavoro è stato svolto all'interno del progetto di ricerca Aree militari dismesse come opportunità urbanoterritoriali in Spagna e in Italia: una classificazione qualitativa come indicatore di rigenerazione sostenibile e resiliente in territori post-emergenziali, finanziato dal programma GoforIT promosso dalla Fondazione CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), call 2020. 2 – Sono state effettuate visite sul campo e interviste con professori di università locali presso alcune ex aree militari dismesse riconvertite a usi universitari nelle città spagnole di Barcellona, Granada e Toledo, italiane di L’Aquila, Roma, Padova e Verona e nella città svedese di Karlskrona. BIBLIOGRAFIA – Bruni, N. (1937). Igiene militare. Milano: Società editrice libraria. – Cantera Montenegro, J. (2007). La «domus» militaris hispana: origen, evolución y función social en España. Madrid: Ministerio de Defensa. – Dallemagne, F. (1990). Les Casernes Françaises. Parigi: Picard.

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– Fara, A. (1985). La metropoli difesa: architettura militare dell'ottocento nelle città capitali d'Italia. Roma: Stato Maggiore dell'Esercito-Ufficio storico. – Gastaldi, F., Camerin, F. (2019). Aree militari dismesse e rigenerazione urbana: potenzialità di valorizzazione del territorio, innovazioni legislative e di processo. Siracusa: LetteraVentidue. – Lopez-Pineiro, S. (2020). A Glossary of Urban Voids. Berlino: Jovis. – Sánchez Pingarrón, J. (2018). Orígenes y desarrollo de la política de enajenación de infraestructuras militares en España. La reconversión de espacios militares para uso universitario. Madrid: UNED. – Storelli, F., Turri, F. (a cura di) (2014). Le caserme e la città: i beni immobili della difesa tra abbandoni, dimissioni e riusi. Roma: Palombi. – Turri, F., Zamperini, E. (2017). Da caserme a università: riconversione e recupero di beni militari dismessi. In Fiorino, D.R. (a cura di), Military Landscapes. A future for Military Heritage. Milano: Skirà, pp. 1006-1017. – Turri, F., Cappelletti, V., Zamperini, E. (2008). Il recupero delle caserme: tutela del patrimonio e risorsa per la collettività. Territorio, n. 46, pp. 72-84.


Stefania Chipa Ricercatrice INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. s.chipa@indire.it Lorenza Orlandini Ricercatrice INDIRE, Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa. l.orlandini@indire.it

Outdoor Learning Spaces The paper describes three solutions for redesign the learning environments developed during the pandemic to allow the return to school in compliance with the anti-contagion regulations. The rethinking of learning environments is characterized by the openness to the outdoors and is aimed at supporting the schools’ pedagogical concepts. In relation to the reference literature, three types of layout, based on the relationship between spaces and pedagogy and applied in the outdoors, have been traced: extra classroom, cluster classroom and open learning environment.* ntroduzione Il periodo di emergenza da COVID-19 ha posto la scuola italiana di fronte a nuove sfide. Studenti e insegnanti si sono confrontati con la “de-territorializzazione” degli spazi educativi e alcune scuole hanno adottato soluzioni di ripensamento degli ambienti di apprendimento aprendosi agli spazi esterni. In questo lavoro vengono descritte tre soluzioni di configurazione di ambienti di apprendimento outdoor.

Obiettivi Obiettivo della ricerca è delineare come la trasformazione degli ambienti di apprendimento, nell’ambito delle restrizioni imposte dall’emergenza da COVID-19, si sia evoluta al fine di sostenere il rinnovamento metodologico-didattico. In letteratura (Seydel, 2018) sono presenti alcuni schemi funzionali pensati per descrivere l’integrazione degli ambienti delle scuole e per supportare la realizzazione di attività didattiche che prevedono un ruolo attivo degli studenti. Le soluzioni presentate estendono lo schema funzionale allo spazio outdoor, evidenziando la connessione fra spazi interni ed esterni, agire didattico e vision della scuola (Weyland, 2014). In queste esperienze, l’esterno diventa contenuto e ambiente di apprendimento, simbolo e luogo di aggregazione sociale per la comunità (Giunti e Orlandini, 2019). Approccio e metodi Da ottobre 2020 a gennaio 2021 si è svolta la prima fase della ricerca di tipo esplorativo basata su approcci comprendenti (Trinchero, 2002). Il processo ha coinvolto tre scuole che hanno avviato percorsi di trasformazione degli spazi: l’IC Venturino Venturi di Loro Ciuffenna (AR), l’IC Teresa Mattei di Bagno a Ripoli (FI) e il Liceo Giovanni da San Giovanni di San Giovanni Valdarno (AR). Si tratta di tre realtà sco-

lastiche che da tempo hanno avviato percorsi di rinnovamento metodologico-didattico. Sono state svolte interviste semistrutturate ai tre dirigenti scolastici, ai quali è stato richiesto l’invio di documentazione fotografica a sostegno. Le domande sono state organizzate sulla base di tre tassonomie, scelte per indagare la relazione tra spazi e attività didattiche, e basate sul concetto di spazio come terzo educatore (Edwards et al., 2017). È stata usata la tassonomia del Manifesto 1+4 Spazi Educativi per la Scuola del Terzo Millennio1 ( INDIRE, 2016), quella relativa agli schemi funzionali (Seydel, 2018) e, infine, quella inerente alle situazioni didattiche (Tosi, 2019). Il Manifesto 1+4 consente di individuare cinque principali funzioni educative degli ambienti di apprendimento: lo spazio per l’approfondimento individuale, quello organizzato per il lavoro di gruppo, quello informale (luogo dell’incontro e del riposo al termine delle attività didattiche), lo spazio della scoperta e dell’esplorazione (esplorativo) e, infine, lo spazio dedicato all’incontro fra la scuola e la comunità esterna (agorà) (img. 01). La tassonomia degli schemi funzionali consente di descrivere il modo in cui gli ambienti di apprendimento sono raccordati fra loro per evidenziare in questo caso la relazione fra spazi indoor e spazi outdoor della scuola: l’aula plus (spazio esterno collegato a un’aula

Ambienti di apprendimento outdoor Tre configurazioni possibili dal primo al secondo ciclo

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01. Il Manifesto 1+4 Spazi Educativi per la Scuola del Terzo Millennio | The 1+4 Learning Spaces for a New Generation of Schools Manifesto. INDIRE

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di cui rappresenta il prolungamento, riservato allo stesso gruppo classe), il cluster (collegato a due o più aule contigue, così da avere uno spazio esterno didatticamente complementare alle classi) e il paesaggio didattico (accessibile a tutte le classi della scuola, anche se non direttamente collegato ad esse). Infine la tassonomia delle situazioni didattiche (Tosi, 2019) permette di comprendere la metodologia che il docente sceglie come più appropriata per quello spazio educativo ai fini del raggiungimento degli obiettivi formativi: lezione frontale, collaborazione in piccolo gruppo, mentoring, peer-to peer, attività ludica, e così via (img. 05). Risultati e discussione Le interviste sono state trascritte e “taggate” sulla base delle tre tassonomie. Sono emerse le differenti scelte che ciascuna scuola ha compiuto per rispondere all’emergenza pandemica. L’IC Venturino Venturi ha realizzato delle aule plus (Seydel, 2018), soluzione che prevede l’estensione della classe tradizionale, in questo caso al giardino della scuola (img. 02). Gli spazi dell’IC Teresa Mattei presentano aule con zone differenziate che si raccordano a uno spazio esterno, posto nel giardino della scuola, inteso come cluster, ossia ambiente comune a disposizione di più aule (img. 03). La configurazione degli ambienti si collega, inoltre, alla visione pedagogica di questa scuola, nota coma “scuola comunità” (Chipa e Orlandini, 2019). Infine, il paesaggio didattico è una soluzione che prevede l’assenza di aule a favore di grandi aree aperte; è il caso del “Giardino di Epicuro” realizzato dai Licei Giovanni da San Giovanni (img. 04). Questo ambiente nasce da un percorso di progettazione partecipata: il giardino è strutturato in aree differenziate che accolgono situazioni didattiche diverse ed è progettato per aprirsi al territorio, in un’ottica di scuola come centro civico. Dalle interviste è emerso inoltre che aprire le aule allo spazio esterno ha permesso alle scuole di non rinunciare a metodologie didattiche attive nel rispetto della salute e sicurez-

za di docenti e studenti. Gli ambienti esterni consentono il proseguimento di attività cooperative e laboratoriali, momenti di discussione e presentazione, favoriscono situazioni didattiche che pongono lo studente al centro dei percorsi in continuità con l’esperienza pre-pandemica. È emerso inoltre che i docenti reputano opportuno mantenere questi allestimenti anche in condizioni “standard”: hanno infatti osservato una diminuzione dei livelli di stress negli studenti e un innalzamento della motivazione e della partecipazione alle attività proposte. L’ambiente esterno costituisce inoltre un laboratorio multisensoriale che consente agli studenti di potersi esprimere attingendo a differenti linguaggi. I vantaggi descritti dalle esperienze, seppur nei limiti di questa prima analisi, si connettono agli studi che individuano la stretta correlazione tra apprendimento, movimento e benessere (Breithecker, 2005). Le soluzioni osservate non rappresentano dunque una risposta transitoria all’emergenza, ma un’occasione per un rinnovamento metodologico orientato all’introduzione di una didattica outdoor collegata al curricolo e ai saperi disciplinari, non sporadica ma strutturata (Farnè et al., 2018).

02. L’aula plus outdoor dell’IC Venturino Venturi di Loro Ciuffenna (AR) | The outdoor aula plus from the Comprehensive School Venturino Venturi di Loro Ciuffenna (AR). Immagine concessa dalla scuola

03. Il cluster dell’IC Teresa Mattei di Bagno a Ripoli (FI) | The cluster from the Comprehensive School Teresa Mattei di Bagno a Ripoli (FI). Giuseppe Moscato

04. Il paesaggio didattico outdoor dei Licei Giovanni da San Giovanni di San Giovanni Valdarno (AR) | The outdoor open learning environment from the High School Giovanni da San Giovanni di San Giovanni Valdarno (AR). Immagine concessa dalla scuola

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L'ARCHITETTO


05. Le situazioni didattiche | Learning situations. INDIRE

Conclusione Quando progettato in base a una precisa visione educativa (Weyland e Attia, 2015) lo spazio esprime il concetto pedagogico di un’istituzione scolastica. Nelle esperienze analizzate, la relazione tra visione educativa e spazi di apprendimento diviene metafora di apertura all’esterno della scuola (De Bartolomeis, 2018) e favorisce il rinnovamento metodologico in un contesto in cui le restrizioni, dovute alle norme anti-contagio, rischiavano di riportare le scuole a setting fissi e immutabili, in cui il ricorso alla lezio-

Connessione tra scuola e territorio e superamento dell’aula come ambiente unico per la didattica

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ne frontale poteva rappresentare la soluzione più semplice. I tre casi evidenziano un’evoluzione degli schemi funzionali, finora osservati solo all’interno degli edifici scolastici, anche in contesto outdoor. Nelle realizzazioni si rilevano inoltre livelli di complessità diversi che possono ispirare le scuole sulla base delle proprie caratteristiche architettoniche e delle progettualità didattiche. Dall’aula plus, classe immediatamente raccordata a una porzione di ambiente esterno, si passa al cluster che prevede uno spazio comune condiviso con altri gruppi classe e la necessità di organizzare le turnazioni; infine, il paesaggio didattico sostiene attività differenziate che devono essere attentamente progettate e che implicano una revisione del tempo-scuola in modo da garantire a tutti gli studenti (organizzati in gruppi classi omogenei o per classi aperte in verticale o orizzontale) di potervi svolgere le attività. Alla luce della ricerca si rileva inoltre quanto sia strategico per le scuole prevedere una formazione dedicata del corpo docente per favorire quel cambiamento di mentalità necessario per la realizzazione di esperienze didattiche all’aperto che affrontino i temi della progettazione didattica connessa a una consapevole gestione di spazi e tempi, ma anche per interpretare in chiave educativa il concetto di rischio connesso alle attività all’aperto (Farnè et al., 2018).*

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NOTE 1 – Il Manifesto 1+4 Spazi educativi per la scuola del terzo millennio è stato redatto nel 2016 da INDIRE. Per ulteriori approfondimenti si rimanda al link: http://www.indire.it/ wp-content/uploads/2016/03/ARC-1603-Manifesto-Italiano_LOW.pdf (ultima consultazione giugno 2021). BIBLIOGRAFIA – Breithecker, D. (2005). The Educational Workpla­ce. What the “classroom of the future” will look like (online). In https://www. haltungundbewegung.de https://www. learniture.co.uk/wp-content/uploads/2021/03/Breitheckerreport.pdf (ultima consultazione giugno 2021). – Chipa, S., Orlandini, L. (2019). Dall’aula al cluster didattico: l’innovazione che guarda al futuro con le radici nel passato. Pedagogia Oggi, vol. 17, n. 1. Lecce-Brescia: Pensa Multimedia editore, pp. 44-63. – De Bartolomeis, F. (2018). Fare scuola fuori della scuola. Canterano: Aracne. – Edwards, C., Gandini, L., Forman, G. (a cura di) (2017). I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia. Parma: Edizioni junior; Spaggiari. – Farnè, R., Bortolotti, A., Terrusi, M. (2018). Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche. Roma: Carocci. – Giunti, C., Orlandini, L. (2019). Educare alla territorialità attraverso l'approccio pedagogico del Service Learning. Attualità pedagogiche, vol. 1, n.1. Fisciano: Università di Salerno, pp. 80-92. – Seydel, O. (2018). Cluster Classroom - Open Learning Environment. Three Different Lines of Development to Redesign Schools in Germany. In Borri, S. (a cura di), The Classroom has Broken. Changing School Architectures in Europe and Across the World. Salerno: Ediguida, pp. 183-196. – Tosi, L. (2019). Fare didattica in spazi flessibili. Progettare, organizzare e utilizzare gli ambienti di apprendimento a scuola. Firenze: Giunti. – Trinchero, R. (2002). Manuale di ricerca educativa. Milano: Franco Angeli. – Weyland, B. (2014). Fare scuola: un corpo da reinventare. Milano: Guerini Scientifica. – Weyland, B., Attia, S. (2015). Progettare scuole. Tra pedagogia e architettura. Milano: Guerini Scientifica.


1959

1958, primo premio

1961

1958, primo premio (versione alternativa)

1958, schizzi

1958, terzo premio


Paesaggio educativo secondo Jørn Utzon Educational Landscape According to Jørn Utzon

Andrea Iorio Architetto, PhD in Composizione architettonica, docente a contratto, Università Iuav di Venezia. aiorio@iuav.it

Confronto tra le varie versioni del progetto. Comparison between the various versions of the project. Andrea Iorio

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Nel dibattito contemporaneo sul tema degli spazi di apprendimento la fortuna critica del concetto di “paesaggio educativo”, pur nelle sue molteplici declinazioni, è da tempo consolidata. Rimane tuttavia aperta la questione della sua effettiva traduzione in termini architettonici contro i pericoli di una generalizzazione o neutralizzazione dell’ambiente spaziale (Masschelein e Simons, 2007). Un contributo significativo in tal senso, per quanto ante litteram, è offerto dalla serie di progetti elaborati da Jørn Utzon per il centro scolastico dell’Unione dei lavoratori danesi a Højstrup, presso Helsingør1. Al concorso, bandito nel giugno del 1958, l’architetto aveva consegnato due progetti – uno dei quali composto a sua volta da due varianti – che avevano ottenuto primo e terzo premio. In entrambi i casi il nucleo di partenza è costituito da una grande piattaforma sopraelevata che “si staglia in un paesaggio leggermente ondulato ed enfatizza, con le sue linee piane e ortogonali, il morbido movimento del contesto circostante” (Utzon, 1962, p. 140, tda). Si tratta di una delle numerose occasioni che, in quegli stessi anni, vede Utzon impegnato nella riscoperta ed esplorazione di un dispositivo archetipico fondativo dell’architettura: Platforms and Plateaus, cui è dedicato un celebre articolo su Zodiac nel 19622, sono presenti dallo Yucatan all’Acropoli, fino a Cina e Giappone, e ora ricompaiono nei progetti che l’architetto danese elabora per Londra (1946), Helsingør (1958), Copenhagen (1959), Costa del Sol (1960), Zurigo (1964), trovando infine celeberrima realizzazione a Sydney. Il grande nuovo suolo al di sopra della piattaforma, che non è mai cristallizzazione della naturale topografia, ma si costruisce in una controllata tensione dialettica con essa3, nel progetto di Helsingør si articola in sezione per distribuire le diverse componenti di un programma composito – oltre alle aule, un’area amministrativa, alloggi per gli studenti e vari servizi come biblioteca, mensa e auditorium – pensato per un centro dove ospitare seminari e workshop, fortemente orientato cioè a un’idea di interazione. Di qui i due progetti presentati prendono però percorsi differenti: nel progetto vincitore il grande podio orizzontale è controbilanciato dall’accostamento di due corpi che si stagliano in alzato, la torre degli alloggi e il volume dell’auditorium, mentre nel terzo classificato le funzioni si dispiegano su un unico piano attorno a una serie di patii che bucano una grande copertura continua modulata da lucernari. In entrambi i casi, e nelle successive versioni sviluppate sulla base del progetto vincitore, il tema del limite, verso il paesaggio intorno e tra gli ambiti interni, presenta

BIBLIOGRAFIA – Masschelein, J., Simons, M. (2007). The Architecture of the Learning Environment. A 'School' without a 'soul'? OASE, Back to School, n. 72, pp. 6–9. – Utzon, J. (1962). Platforms and plateaus: ideas of a Danish architect. Zodiac, n. 10. Milano: Edizioni Comunità, pp. 111-140. – Utzon, J. (2011). Platforms and Plateaus. Idee di un architetto danese. In Utzon, J. (trad. Melotto, B.), Idee di architettura. Scritti e conversazioni. Milano: Marinotti, pp. 9-16.

NOTE 1 – Per una approfondita disamina della sequenza di varianti elaborate da Utzon si rimanda alla meticolosa ricostruzione fatta da Jaime J. Ferrer Forés in Ferrer Forés, J.J. (2017). Jørn Utzon. Plataformas y recintos en Højstrup. Cuaderno de notas, n. 18. Madrid: Departamento de Composición Arquitectónica (ETSAM), Universidad Politécnica de Madrid, pp. 110-124. 2 – Nello stesso numero di Zodiac, a seguito dell’articolo, Utzon pubblica anche una serie di immagini del progetto per il centro scolastico. 3 – Diversamente da altre occasioni, peraltro, in questo caso il luogo è particolarmente familiare all’architetto, la cui casa di Hellebæk dista due chilometri in linea d’aria dal sito di progetto.

una serie di variazioni che ne confermano la rilevanza: nel perimetro frastagliato della piattaforma, che si inspessisce a contenere una vasca di vegetazione, introflessioni e scalinate declinano il rapporto con il suolo circostante e, a più ampia scala, i rapporti visivi verso l’Øresund o, nel senso opposto, verso il bosco che racchiude l’area. Ugualmente, nell’organizzazione interna della pianta, il confronto tra le diverse versioni del progetto racconta una sorta di danza immobile messa in atto dalle pareti che definiscono gli ambienti, in un continuo gioco di avvolgimenti itinerari tangenziali e trasparenze visive, a suggerire un’esperienza di fluida circolazione tra i vari ambiti, continui eppure diversificati. Infine, il tema delle coperture individua il terzo dispositivo di caratterizzazione dello spazio, sebbene qui ancora in modo preliminare rispetto alle più spettacolari elaborazioni di Sydney: sul profilo del nuovo suolo che disegna il dorso della piattaforma si librano ampi piani orizzontali, che progressivamente si articolano nei grandi lucernari a shed del terzo premio o nel ritmico ripetersi delle grandi travi in calcestruzzo nello sviluppo del 1961, così come nelle varie versioni della grande superficie ondulata che avvolge l’auditorium. Tra piattaforma e coperture “il contrasto tra le forme e le altezze di questi due elementi, che mutano continuamente, genera spazi di grande intensità architettonica” (Utzon, 2011, p. 16): in questo grande spazio, continuo eppure molteplice, fortemente caratterizzato dalle tensioni tra i vari elementi architettonici che lo definiscono, trova luogo un paesaggio educativo di particolare vividezza.*



Agoragri: nuovo luogo di conoscenza Agoragri: a new Place of Knowledge

Mimì Coviello Partner meson ro studio. m.coviello@mesonro.it

Tavolo di lavoro sulla sostenibilità, 2017. Sustainability work table, 2017. Rocco Giove

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A Matera nel 2017 un collettivo di professionisti ipotizza un modello spaziale di rigenerazione urbana a partire dagli spazi abbandonati della città1. Il modello urbano di riferimento è il Continous Productive Urban Landscape2 teorizzato dagli architetti inglesi Katrin Bohn e André Viljoen che ha trovato nella città di Matera, per le sue caratteristiche urbane e sociali, la giusta applicazione sperimentale e spaziale (Bohn et al., 2005). Costruito il modello, una piattaforma su base open street map che consente di mappare le aree abbandonate e inutilizzate della città, l'idea è stata quella di sperimentare realizzando un progetto pilota in un'area pubblica non in uso (Coviello e Paoletti, 2013). Attraverso collaborazioni tra istituzioni pubbliche ed enti privati, il Parco di Agoragri viene realizzato nel corso di un anno insieme alla comunità, agli attivisti e a professionisti che la materana Associazione Agrinetural coinvolge nel processo. Nel corso del tempo, lo spazio è diventato un riferimento per la città e viene attualmente considerato una buona pratica tra i progetti di rigenerazione urbana che gravitano sul territorio italiano. Facendo leva sui nuovi bisogni che la pandemia ha portato alla luce, il collettivo ha studiato nuovi modelli di uso dello spazio a partire da una necessità oggettiva ossia quella di socializzare in sicurezza, spostando l'attenzione su un target diverso e tra i più penalizzati: i bambini e degli spazi educativi adeguati, in un ambiente stimolante e suggestivo. Fin dalla sua costruzione, il parco di Agoragri è stato concepito come una scuola del “fare”: dato il masterplan, tutte le componenti sono state progettate e realizzate insieme ad equipe di studenti provenienti da tutta Italia, adottando il metodo del learning by doing. Ogni parte del parco è stata costruita organizzando workshop operativi che hanno consentito di dare forma ad uno spazio e di rendere in cambio una formazione specifica su aspetti costruttivi contemporanei utilizzando un approccio innovativo. Lo spazio di Agoragri è diventato un'area di sperimentazione e un'aula all'aperto per sviluppare progetti legati alla sostenibilità, all'educazione ambientale e alla riqualificazione degli spazi aperti. Nel corso dell’ultimo anno, insieme al team di edu-

BIBLIOGRAFIA – Bohn K., Viljoen A., Howe J. (2005). Continuous Productive Urban Landscape. Designing Urban Agriculture for Sustainable Cities. Oxford: Architectural Press. – Coviello, M., Paoletti A. (2013). Agrinetural | Coltivare lo spazio. An alternative project of re-use for the spaces of the Sassi in Matera. In Mora Alonso-Munoyerro, S., Rueda Marquez de la Plata, A., Cruz Franco, P. A. (a cura di), La Experiencia del Reuso. La experiencia del disfrute nuevos usos en monumentos. Madrid: Madrid University Press, pp. 77-84.

NOTE 1 – Il progetto rappresenta un’icona forte per l’intervento di riqualificazione perché crea ecosistemi dinamici e facilitanti intergenerazionali tra i bambini, giovani, adulti e anziani, rendendo attiva la cittadinanza e responsabilizzandola. 2 – “CPULs will not be about knocking cities down or erasing urban tissue; they do not seek a tabula rasa from which to grow. Instead, they will build on and over characteristics inherent to the city by overlaying and interweaving a multiuser landscape strategy to present and newly reclaimed open space” (Bohn et al., 2005, p. 11).

catori della società cooperativa Netural Coop, nel Parco si sono organizzati numerosi cicli di eventi dedicati all’educazione alla sostenibilità e alla costruzione di spazi educativi che permettano di utilizzare lo spazio come un’aula all’aperto, i cui elementi costruttivi costituiscono nella loro totalità dei dispositivi per l’educazione ambientale, sociale e culturale. Il monitoraggio delle attività che nel Parco si sono svolte durante gli anni, ci consente di affermare che Agoragri è un luogo educativo, lo è sempre stato fin dal principio e si è dimostrato nel tempo versatile nel riuscire ad accogliere le diverse esigenze educative. Lo spazio è sempre in evoluzione e continuerà a esserlo, a cambiare tenendo conto dei nuovi utenti e delle nuove possibili necessità, lasciando coesistere la sua natura di laboratorio di rigenerazione urbana e quella di spazio educativo all'aria aperta.*



Un'educazione senza porte An Education without Doors

Elena Sofia Moretti Dottoranda in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, Università Iuav di Venezia. elenasofia.moretti@gmail.com

B.V. Doshi: il Center of Enviromental Planning and Tecnology ad Ahmedabad. B.V. Doshi: Center of Enviromental Planning and Tecnology in Ahmedabad. Vinay Panjwani

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L’India post coloniale1, sotto la guida del visionario primo ministro Jahwalal Nehru, si distingue nello scenario mondiale per aver attribuito particolare importanza al tema dell’educazione, promuovendo una serie di riforme sociali indirizzate alla crescita culturale della popolazione e che hanno determinato un grande fiorire di istituti di formazione e luoghi di cultura. In questo panorama, Ahmedabad, città ad ovest dell’India e capitale dello stato del Gujarat, rappresenta uno dei luoghi più significativi: grazie alla presenza di alcune famiglie di imprenditori illuminati viene dato il via a un vasto campo di sperimentazioni architettoniche che vede progettisti locali e internazionali2 impegnati nella costruzione di numerosi edifici quali musei, scuole e università. Tra gli architetti indiani che contribuiscono maggiormente alla progettazione dei luoghi dell’apprendimento, emerge la figura di Balkrishna Vithaldas Doshi. Il lavoro dell’architetto, sebbene presenti aspetti peculiari interpretabili come eredità appresa dalle lezioni dei “maestri del moderno” (si forma con Le Corbusier e collabora con Luis Kahn)3 (Doshi, 1992), si pone in continuo confronto con la tradizione dal punto di vista materiale e simbolico. Questa personale via, che coniuga modernità e attenzione verso gli aspetti specifici della storia e della cultura indiana, è documentata dal progetto per l’Università di Architettura di Ahmedabad, ovvero il Center for Environmental Planning and Technology (CEPT) fondato, diretto e costruito proprio da Doshi a partire dal 1962. L’università si compone di dieci edifici per un’area complessiva di circa dodici acri, dove il 76% è destinato a zone libere. I volumi, in calcestruzzo e mattoni locali, si raccolgono attorno agli ampi spazi aperti, e sono sapientemente orientati per accogliere brezze e luce, così da fronteggiare un clima difficile quale quello indiano, caratterizzato da caldo torrido alternato a forti piogge monsoniche. Il piano terra appare completamente permeabile, dando vita a un ambiente che scorre liberamente, in stretta relazione con il sistema di cortili su cui affaccia. Le spazialità tipiche dell’urbanità indù, caratterizzate da una particolare predisposizione dei cittadini ad abitare il “vuoto”, sono qui riproposte attraverso l’uso di portici e verande, ambienti fluidi senza porte né percorsi prestabiliti, dove piazze alberate si offrono a un riparo

BIBLIOGRAFIA – Doshi, B.V. (1992). Le Corbusier and Louis I. Kahn. The acrobat and the yogi of architecture. Ahmedabad: Vastu Shilpa Foundation for Studies and Research in Environmental Design. – Kries, M., Kugler, J., Panthaki Hoof, K. (2019). Balkrishna Doshi: Architecture for the people. Weil am Rhein: Vitra Design Museum.

NOTE 1 – L’India conquista l’indipendenza dal dominio britannico nel 1947. 2 – Tra i primi architetti occidentali a essere chiamati a progettare ad Ahmedabad troviamo Le Corbusier e Louis Kahn, giunti nella città rispettivamente nel 1951 e nel 1962. 3 – Doshi si forma nello studio parigino di Le Corbusier (1951), per poi tornare in India e seguire i cantieri avviati dall’architetto francosvizzero nel Paese. Nel 1962 si prodiga per avere nella città Louis Kahn, al quale viene affidata la progettazione dell’Indian Institut of Management (IIM).

d’ombra, mentre scale e corridoi sono trattati come luoghi d’incontro, e non come semplici punti di circolazione (Kries et al., 2019). Infatti, l’idea cardine che guida la costruzione del CEPT risiede nella creazione di uno spazio libero, senza compartimentazioni, dove studenti e docenti si mescolano, condividendo i medesimi ambienti. Il progetto della scuola e del suo campus, ancora oggi in continua evoluzione ad opera degli allievi, incoraggia l’interazione e il dialogo, promuove l'apprendimento sia all'interno sia all'esterno della classe e stimola lo scambio tra discipline diverse. La scuola di architettura è infatti immaginata come un organismo multidisciplinare e si compone di diverse sezioni incorporando, ad esempio, arte e musica. Questa “architettura per le persone” – come viene spesso definita l’opera di Doshi – propone un ambiente inedito e, al contempo, in continuità con gli spazi della città e della casa; un luogo che offre a chi lo abita la possibilità di ritrovare gli stessi rapporti che animano la vita quotidiana.*


Chiara Scanagatta Assegnista di ricerca, Università Iuav di Venezia. cscanagatta@iuav.it Massimiliano Condotta Ricercatore in Tecnologia dell’architettura, Università Iuav di Venezia. condotta@iuav.it

Cognitive Hybrid Spaces Knowledge of the place is a necessary condition for developing co-creation processes aimed at urban regeneration. Therefore, the city becomes a space for learning and sharing knowledge. This article illustrates how, through the European project Looper, hybrid knowledge spaces have been experimented for understanding the built environment, spaces capable of activating relationships between different stakeholders and enabling the sharing of the produced knowledge.* a gente si muove nello spazio e abita un luogo” (Sennet, 2018). La transizione verso “comunità e ambienti urbani più inclusivi, sicuri e sostenibili” auspicata dal Sustainable Development Goal 111 richiede, secondo tale visione, la conversione degli ambienti urbani, ora relegati al ruolo di “spazio”, in “luoghi”, costituiti da un “insieme fatto di cose concrete con la loro sostanza materiale, forma, testura e colore” (Norberg-Schultz, 1979) e da “una rappresentazione mentale, in cui concorrono percezioni, comportamenti e credenze

di vario tipo” (Sennet, 2018). Un luogo urbano è perciò la sintesi sia di fatti fisici e spaziali, sia delle esperienze e percezioni delle singole persone e delle comunità locali che lo vivono. In tale scenario interpretativo, per concepire e prefigurare il rinnovamento dell’ambiente costruito, diviene condizione abilitante saper penetrare e comprendere le parti di città secondo questi due insiemi. Utilizzando la lettura che Richard Sennet (2018) dà di questi ultimi, li possiamo identificare con due termini di origine francese: ville e cité. Il primo identifica il territorio edificato, il secondo lo spazio del vivere collettivo: il modo in cui la gente abita e vive, lo stile di vita di un quartiere, i sentimenti delle perso-

ne. Dal punto di vista conoscitivo, queste due “città” sono dominio di due gruppi di stakeholder diversi. La governance, con gli strumenti di cui dispone, ha competenza sulla ville, mentre le comunità locali hanno percezione e cognizione della cité. Partendo dal presupposto che per ottenere trasformazioni urbane efficaci e condivise queste si devono basare su una conoscenza partecipata e locale (Fisher, 2000; Berman, 2017), la creazione di momenti in cui i conoscitori della ville e della cité possano interfacciarsi, così da generare nuova conoscenza condivisa e comprensiva, rappresenta un asset strategico. Con questi presupposti, il progetto europeo Looper2 ha svolto un percorso

01. Processo Looper di co-creazione | Looper co-creation process. Joe Ravetz

Spazi conoscitivi ibridi

Tecnologie e Urban Living Lab per la comprensione dell’ambiente costruito tra ville e citè

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L’IMMERSIONE


02. Momento formativo per i cittadini che partecipano agli Urban Living Lab | Training moment for citizens participating in Urban Living Labs. Chiara Scanagatta

Luogo urbano come insieme di fatti fisici e spaziali, abbinato a esperienze e percezioni

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di ricerca per indagare come la lettura della complessità dell’ambiente costruito possa essere incrementata attraverso spazi conoscitivi virtuali, supportati da tecnologie ICT partecipative, e come tale conoscenza possa migliorare i processi di co-creazione delle trasformazioni urbane (Borga et al., 2021). Il progetto Looper ha pertanto testato, in contesti socioeconomico-culturali differenti (Verona, Bruxelles e Manchester), un processo di co-creazione (modello Looper) basato su momenti di apprendimento ciclici (learning loop) implementati in Urban Living Lab coinvolgendo abitanti ed amministratori comunali. Il processo (img. 01) inizia con la definizione delle problematiche di interesse e le criticità dei luoghi oggetto dello studio (1a). Su tali criticità si imposta una campagna di analisi attraverso una raccolta dati condivisa, alla quale partecipano i diversi stakeholder utilizzando un set di sensori per il crowdsensing (1b). I dati raccolti sono successivamente trasformati in informazioni (1c) attraverso la loro visualizzazione georeferenziata su una piattaforma condivisa e interattiva. La seconda fase del processo prevede dapprima la progettazione di una serie di possibili soluzioni per la risoluzione delle problematiche precedentemente individuate (2a), successivamente la loro valutazione e selezione sulla base dei criteri trasversali ai vari portatori di interessi (2b) attraverso un’analisi multi-attore e multi-criterio. Il loop si

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conclude con l’implementazione delle idee selezionate in ambiente reale (3a) e con il monitoraggio, attraverso una seconda campagna di raccolta dati partecipata, dell’efficacia di tali soluzioni (3b). Il modello Looper prevede la ripetizione di almeno un secondo ciclo del processo che, costruendosi sull’esperienza e la conoscenza prodotta nel primo loop, porti all’ideazione di soluzioni progettuali sempre più adeguate, condivise ed efficaci. Dalla descrizione del metodo Looper emerge come questo sia basato su un percorso di apprendimento che pervade tutte le fasi del processo. Tale peculiarità rende necessario uno scambio di conoscenze tra le varie figure coinvolte all’interno degli Urban Living Lab utilizzando metodi, strumenti e spazi diversificati, atti ad agevolare la condivisione di informazioni e conoscenze tra stakeholder locali (es. cittadini, lavoratori, residenti) ed enti ufficiali (es. amministrazione comunale, enti locali). Il processo di apprendimento si concretizza di conseguenza sia attraverso spazi fisici che spazi virtuali (img. 02). Nell’applicazione del metodo a Verona, l’attività di participatory sensing (1b, 3b) effettuata dai cittadini con sensori low-cost portatili (imgg. 03-04), per sua natura è stata svolta nell’ambiente reale della città. Sono state infatti tre le campagne di monitoraggio, della durata di circa un mese ciascuna, finalizzate alla raccolta di dati ambientali. Tali rileva-


03. Sensore low-cost AirBeam per PM2.5 e PM10 | AirBeam PM2.5 and PM10 low-cost sensor. HabitatMap

zioni hanno acquisito dati sulla qualità dell’aria attraverso la concentrazione di PM2.5, PM10, NO2, e sull’inquinamento acustico misurando il livello sonoro degli ambienti urbani (in dB(A)). Si sono dunque utilizzante tre postazioni ARPAV3 (PM10, NO2), tre sensori low-cost mobili (PM2.5 e PM10) e più di 70 sensori low-cost fissi (PM2.5, PM10, NO2, dB(A)) per ottenere informazioni sull’ambiente fisico. Ovviamente, anche le operazioni di implementazione delle soluzioni ideate nei processi di co-design sono state realizzate nell’ambiente reale. La successiva trasposizione dei dati raccolti con il participatory sensing in “informazione” è avvenuta attraverso una piattaforma interattiva online di visualizzazione e interrogazione. Essa diviene uno spazio di convergenza delle conoscenze relative alla città che, attraverso un insieme di indicatori tangibili appositamente individuati, sono state dedotte dalla misurazione dei fenomeni urbani. I primi destinatari del

04. Sensore low-cost per la raccolta di dati sull’inquinamento acustico | Low-cost sensor to collect data about noise pollution. Laboratorio Fistec, Università Iuav di Venezia

processo di indagine sono i cittadini i quali, attraverso uno spazio virtuale, hanno la possibilità di confrontarsi con tale sapere, integrando la loro conoscenza della ville. Per facilitare la comprensione e l’analisi delle informazioni contenute nello spazio online, sono stati organizzati, all’interno degli Urban Living Lab, dei momenti di consultazione condivisa delle informazioni contenute nella piattaforma, dando in tal modo forma a uno “spazio conoscitivo ibrido”. Sempre attraverso una modalità ibrida fisico-virtuale, i cittadini hanno potuto condividere le loro idee sulle possibili soluzioni di mitigazione da implementare. Un aspetto importante di questa fase è stato il confronto, all’interno dello spazio ibrido degli Urban Living Lab, con l’amministrazione comunale, attraverso momenti in cui esperti dell’amministrazione – i conoscitori della ville – hanno avuto l’occasione di dialogare con i cittadini sui limiti tecnici e legislativi di alcune delle idee propo-

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La governance ha competenza sulla ville, le comunità locali hanno cognizione della cité L’IMMERSIONE


05. Proposta di ampliamento di Parco Santa Teresa | Proposed extension of Santa Teresa Park. Verona Urban Living Lab

ste, agevolando la comprensione degli aspetti più strettamente progettuali. Al contempo, questo momento di scambio ha permesso ai rappresentanti dell’amministrazione di confrontarsi con le narrazioni dei cittadini e con le loro interpretazioni sulle informazioni veicolate dalla piattaforma virtuale, consentendo di estendere la loro conoscenza anche agli aspetti legati al concetto della cité: il modo in cui la gente vive luoghi specifici e ben circoscritti dell’ambiente urbano che può conoscere e comprendere solo chi abita e vive questi luoghi quotidianamente. Questo processo cognitivo, generato all’interno di uno spazio ibrido collaborativo, si arricchisce ancor più durante il secondo loop poiché trae vantaggio dalla conoscenza sedimentata durante il primo ciclo: è l’utilizzo di uno spazio conoscitivo ibrido come luogo dell’apprendimento che agevola questo processo di scoperta e continuo raffinamento dei processi di

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co-creazione, dove la valenza virtuale funge anche da repository del sapere generato evitandone la dispersione (Condotta e Scanagatta, 2020). L’applicazione del metodo Looper e la sua concretizzazione attraverso spazi conoscitivi ibridi ha prodotto durante il primo loop trentotto idee di trasformazione urbana. Nel secondo loop, grazie all’esperienza e alla conoscenza maturata, oltre a operare una revisione delle soluzioni precedentemente proposte, l’attività si è concentrata sulla redazione di una soluzione progettuale a più vasta scala relativa alla realizzazione e ampliamento di un parco urbano (img. 05) quale ridisegno della ville, e di riflesso, anche della cité. In tal modo è stato possibile conformare un luogo che non fosse solo spazio attraverso il quale muoversi, ma che rappresentasse, per i residenti del quartiere, un luogo da vivere.*

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NOTE 1 – Il Sustainable Development Goal 11 è uno dei diciassette obiettivi che costituiscono l’Agenda 2030, approvata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e intitolata Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development. 2 – Looper, Learning Loops in the Public Realm, è un progetto di ricerca finanziato nell’ambito della call ERA-NET Cofund Smart Urban Futures (ENSUF) del programma JPI Urban Europe. 3 – Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambiente del Veneto. BIBLIOGRAFIA – Berman, T. (2017). Public Participation as a Tool for Integrating Local Knowledge into Spatial Planning: Planning, Participation, and Knowledge. New York City (NY): Springer International Publishing. – Borga, G., Condotta, M., Scanagatta, C. (2021). Data visualisation and knowledge sharing in participatory design to improve people liveability in urban places. In Design Culture(s) Cumulus Roma Conference. Roma: Proceedings of the 2021 Design Culture(s) Cumulus Roma Conference. – Condotta, M., Scanagatta, C. (2020). Extending Architecture Practice to Improve Participatory Design. The learning loop and the atelier methodologies applied at Urban Living Labs in the LOOPER project. In Sanchez Merina, J. (a cura di), Eurau Alicante / Retroactive Research. Alicante: Alicante University, pp. 58-67. – Fisher, F. (2000). Citizens, Experts, and the Environment. The Politics of Local Knowledge. Durham (NC): Duke University Press. – Norberg-Shultz, C. (1979). Genius loci. Paesaggio ambiente architettura. Firenze: Electa. – Sennett, R. (2018). Costruire e abitare. Milano: Feltrinelli.


Elisa Pegorin Assegnista di ricerca, Università Iuav di Venezia. Researcher, CEAU-FAUP Porto. epegorin1@iuav.it

The Present blows from the Past The 2020 will be remembered worldwide for the COVID-19 pandemic, but it is not the first time in recent history that the world faces a global health crisis. If, on the one hand, politics seeks immediate solutions, on the other one, architecture problematizes the built spaces. Primary schools have lost the spatial richness explored during Modernity, following, from the 1970s, “ manual- typology” formulas, highlighting however – in the current emergency – their fragility.* a crisi della scuola dell’infanzia Il tema dello spazio della scuola è sempre stato al centro del dibattito architettonico e la crisi pandemica del 2020 ne ha riportato in luce le numerose fragilità, già evidenziate negli ultimi decenni. Non solo la vita individuale, ma in particolare tutte le forme di convivenza collettiva sono state radicalmente trasformate, condizionando il modus vivendi di tutti gli spazi comuni, pubblici e comunitari. Se in un primo momento l’architettura si è concentrata sulla questione degli spazi domestici (individuali), il proseguirsi della pandemia ha allargato la riflessione agli spazi collettivi.

01. Mappa di alcune scuole dell’infanzia selezionate dall’autore | Map of some primary schools selected by the author. Elisa Pegorin

Dal passato soffia il presente

La rilettura delle “scuole all’aria aperta”: un modello futuro?

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L’IMMERSIONE


La crisi pandemica del 2020 ha riportato a galla numerose fragilità della scuola

02. Asilo a Dulwich, Samuel & Harding | Kindergarden in Dulwich, Samuel & Harding. Domus n. 211, 1946, p.27

03. Pianta del piano terra, Asilo Sant’Elia a Como, G. Terragni, 1936-37 | Plan ground floor, Kindergarden Sant’Elia in Como, G. Terragni, 1936-37. Disegno Elisa Pegorin

04. Pianta del piano-tipo: Open-air school, Clioostraat, Amsterdam, J. Duiker, 1930 | Floor-type plan: Open-air school, Clioostraat, Amsterdam, J. Duiker, 1930. Disegno Elisa Pegorin

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La storia testimonia come non sia la prima volta che l’Uomo affronta una pandemia a scala globale e, a ogni “crisi” sanitaria, l’architettura ha cercato di rispondere adattando gli spazi a nuove soluzioni tipologiche. Sono state quattro le pandemie influenzali del XX secolo: la spagnola nel 1918-1919, l’asiatica nel 1957-1958, l’influenza Hong Kong nel 1968-1969 e la russa nel 1977. Nel XXI secolo si susseguirono: l’aviaria nel 2003-2004, la suina nel 2009-2010, l’epidemia di ebola nel 2014 e di dengue nel 2019-2020. Con l’aumento della popolazione mondiale e la crescente densità abitativa nelle città, gli studi statistici indicano che ogni 10-15 anni il mondo potrà essere costretto ad affrontare (e dovrà esserne preparato) una crisi pandemica o epidemica (Poter, 2001). Nel 2020-2021 con la pandemia COVID-19 gli spazi dell’educare sono stati chiusi e il sistema scolastico riorganizzato, appoggiandosi alle nuove tecnologie, con conseguenze imponenti dal punto di vista sociale, sia per gli alunni che per i docenti, obbligati a “re-inventare” le pratiche pedagogiche. Inoltre, tale condizione ha aumentato le disuguaglianze sociali ed economiche, ad esempio nelle possibilità di accesso alla tecnologia, nonché nella difficoltosa gestione di coordinamento per i nuclei famigliari con figli iscritti alla scuola dell’infanzia1. In tutti i paesi europei durante la crisi

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sanitaria si è tentato di dare soluzioni rapide a spazi poco flessibili, ma le risposte sono risultate spesso inadeguate e insufficienti. È questo aspetto una conseguenza delle declinazioni architettoniche che, a partire dagli anni ’60-’70 del secolo scorso, hanno progressivamente disinvestito nella relazione tra gli ambienti esterni e gli spazi interni: luoghi didattici costruiti come blocchi chiusi, sia per ragioni economiche (associate all’elevato costo della manutenzione degli spazi esterni) che per la mancanza di spazi più ampi nelle città consolidate, nonché aggravata da una normativa sempre più restrittiva e “da manuale”. Emerge con evidenza l’inadeguatezza di questi luoghi: aule con spazi ridotti, poche superfici vetrate apribili (anche in nome di un risparmio economico ed energetico), oltre all’obbligo normativo e a-critico dei sistemi di ventilazione meccanica, anche laddove sarebbe stato possibile (e auspicabile) un riciclo dell’aria naturale esterna poiché salubre. La pandemia ha dimostrato come tali architetture scolastiche non riescano a rispondere, per la poca flessibilità, a un ri-adattamento dello spazio in caso di necessità collettiva. Un modello dal passato Al contrario, dall’inizio del Novecento, l’ambiente scolastico ha cercato, anche nell’architettura, di combattere la diffusione di patologie infettive: medici, politici e architetti hanno, in


Una stretta interrelazione tra interno ed esterno, con spazi esteriori aperti e in parte coperti

05. Schizzo della Scuola Ermerson, Los Angeles, R. Neutra, 1938 | Drawing of a classroom at the Emerson School, Los Angeles, R. Neutra, 1938. Boesiger, W., Neutra, R. (1950). Buildings and Projects. Zurich: Verlag Girsberger

una mutua collaborazione, pensato e progettato nuove condizioni spaziali (Penzo, 2009), sperimentando soluzioni nuove in grado di fondere le necessità igieniche (salubrità dell’aria) e sanitarie (la lotta ai virus) con le nuove visioni pedagogiche: Pestalozzi in Svizzera, Petersen Oestreiche e Steiner in Germania, Montessori in Italia, Morris in Inghilterra, Dewey e Dalton negli Stati Uniti (img. 01). Sono sorte così in tutta Europa, Stati Uniti, America Latina e Africa del nord le scuole all’aria aperta, o ecole de plein air, o open air school generando un proficuo dibattito internazionale, concretizzato anche nei Congressi internazionali in Francia (1922), Belgio (1931), Germania (1936), Italia (1949) e Svizzera (1953) (Châtelet et al., 2003) (img. 02). Tema questo della scuola sottolineato nel Congresso Internazionale e alla XII Triennale di Milano (1960) dedicato a La casa e la scuola dove lo stesso Italo Calvino definì la scuola inglese, costruita come prototipo nel parco milanese, come “rivoluzionaria” (Quattrocchi, 2009). Queste tipologie scolastiche, soprattutto destinate alla prima infanzia e progettate tra gli anni ’30 e ’60, furono diverse: edifici a un unico piano con una distribuzione a padiglioni; blocchi compatti con ampi spazi aperti a terrazzi, o nuclei compatti con grandi aree vetrate aperte

06. Asilo Nido nel quartiere Ina-Casa Unità Galleana, Piacenza, G. Vaccaro, 1953-55 | Kindergarden in the Ina-Casa Unità Galleana neighborhood, Piacenza, G. Vaccaro, 1953-55. Mulazzani, M. (2002). Giuseppe Vaccaro. Milano: Electa Mondadori

07. Open-air school, Clioostraat, Amsterdam, J. Duiker, 1930 | Open-air school, Clioostraat, Amsterdam, J. Duiker, 1930. Roth, A. (1957). The new school. Zurich: Girsberger

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L’IMMERSIONE


Riconsiderare gli spazi scolastici, partendo dalle potenzialità spaziali messe in atto nel secolo scorso

08. Asilo Sant’Elia a Como, G. Terragni, 1936-37 | Kindergarden Sant’Elia in Como, G. Terragni, 1936-37. Flickr

su patii e giardini (Pegorin, 2019) (imgg. 03-04). Se però da un lato i linguaggi architettonico-formali furono molto eterogenei, dall’altro i principi ordinatori risultarono simili: ventilazione naturale, controllo della luce naturale, attenzione al clima, grande flessibilità degli spazi interni, e – elemento fondamentale – una stretta interrelazione tra interno ed esterno, con spazi esteriori aperti e in parte coperti. Era proprio la possibilità di estendere l’aula all’esterno, una delle grandi innovazioni di questa “tipologia”, come sottolineato anche da Richard Neutra nello schizzo per la scuola Emerson, dove disegnava uno spazio in continuità con il giardino esterno e affermava: “Si sa che, nel passato, filosofi e santi erano soliti sedersi con i lori discepoli all’ombra di un albero, trasmettendo il proprio sapere senza strutture di cemento armato sopra la testa” (Neutra, 1935) (img. 05). Tra gli esempi più interessanti del periodo potremmo citare gli asili a Como (1936-1937) di Giuseppe Terragni; a Ivrea (1939-1941) di Luigi Figini e Gino Pollini; a Piacenza (1953-1955) di Giuseppe Vaccaro; a Gubbio (1958) di Marco Zanuso. In Europa, le scuole di Johannes Duiker e Willem Marinus Dudok in Olanda, o ancora in Francia i progetti di Eugène Beaudouin, Marcel Lods, e Jean Prouvé. Ciononostante, grazie all’introduzione dei vaccini e degli antibiotici, questa tipologia scolastica è caduta in una crescente amnesia.

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Quale sarà il futuro dei luoghi didattici? Nel 1972, Oriol Bohigas nell’articolo La escuela viva: um problema arquitectónico ripercorreva l’evoluzione di questo “modello” scolastico, criticando appunto le scelte tipologiche degli anni ‘70, e citando – tra gli altri – la scuola di May a Francoforte (1927), di Duiker ad Amsterdam (1930), di Terragni a Como e di Scharoum a Darmstadt (Bohigas, 1972), e sottolineando la necessaria integrazione di tali soluzioni funzionaliste a una nuova articolazione di spazi ampi di relazione comunitaria come un problema “urbano” (imgg. 06-07). Questa riflessione, frutto di una ricerca più ampia e complessa, vuole rimettere in luce il ruolo dell’architettura che troppo spesso dimentica la ciclicità di alcuni eventi che – come la pandemia, le catastrofi naturali o le guerre – sono invece stati momenti generatori di nuove soluzioni e che dovrebbero, declinati all’attualità, rappresentare un campo di rilettura critica della situazione contemporanea (Rogers, 1947). Contrariamente alla attuale normativa tecnica imposta ai progettisti, sarebbe invece necessario ripensare gli spazi scolastici dell’infanzia, partendo dalle potenzialità sperimentate nel secolo scorso, in considerazione di una maggiore flessibilità e di una relazione architettonica tra interno ed esterno, invece che di un “intorno” lasciato a semplice spazio di risulta tra edifici. Si può ripensare

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a un modello di “scuola all’aria aperta”? La politica potrebbe investire in queste soluzioni, nonostante i costi economici elevati? E la città può trovare spazi aperti da integrare nella scuola? (img.08). Le scuole all’aria aperta nel XX secolo furono costruite come una “misura preventiva” di cura: oggi potrebbero, cogliendone le soluzioni innovative, rappresentare una “soluzione applicativa” per rispondere rapidamente a una (futura) pandemia. “Si tratta di considerare la scuola – scriveva Rogers su un numero di Domus dedicato a questo tema – come la più gelosa matrice dei diritti dell’uomo dai quali conseguono tutti i suoi doveri” (Rogers, 1947).* NOTE 1 – Rapporto CENSIS, La scuola e i suoi esclusi. Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020, maggio 2020. BIBLIOGRAFIA – Bohigas, O. (1972). La escuela viva: un problema arquitectónico. Cuadernos de arquitectura y urbanismo, n. 89. pp. 34-38. – Châtelet, A-M., Lerch, D., Luc, J-N. (dir.) (2003). L’école de plein air. Une expérience pédagogique et architecturale dans l’Europe du XXe siècle. Parigi: Éditions Recherches. – Mulazzani, M. (2002). Giuseppe Vaccaro. Milano: Electa. – Neutra, R. (1935). New Elementary Schools for America. Architectural Forum, n. 65, gennaio, pp. 25-36. – Pegorin, E. (2019). A Reorganização Assistencial da Infância. In Pegorin, E. (a cura di), Arquitectura e Regime em Itália e Portugal. Obras Públicas no Fascismo e no Estado Novo (1928-1948). PhD, Porto: Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto, pp. 212-252. – Penzo, P.P. (2009). Le scuole all’aperto (1907-1931). In Penzo, P.P. (a cura di), L’urbanistica incompiuta. Bologna dall’età liberale al fascismo (1889-1919). Bologna: Clueb, pp. 87-102. – Poter, C.W. (2001). A history of influenza. Journal of Applied Microbiology, n. 91, pp. 572-579. – Quattrocchi, L. (a cura di) (2009). Architetture per l’infanzia. Asili nido e scuole materne in Italia 1930-1960. Torino: Umberto Allemandi. – Rogers, E.N. (1947). Architettura educatrice. Domus, n. 220, p. 1.


Marco Russo Assegnista di ricerca, DADI, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. marco.russo2@unicampania.it

From the Open-air Room to the Playground The technological and aesthetic revolution completed during the first decades of the Twentieth century led to the substitution of the traditional wooden truss with the concrete slab; following this radical change, Le Corbusier made the roof terrace habitable in the original model of single-family residence, Ville Savoye in Poissy, and a new type of collective dwelling, the Unité d’Habitation in Marseille. Going beyond the idea of the roof as a place for technological systems, this solution allows it to become a space for collective learning, with important implications on museum and school typologies.* utilizzo improvvisato delle coperture degli edifici residenziali durante l’attuale periodo emergenziale impone una riflessione sulla mancanza di spazi collettivi in città e sull’organizzazione monofunzionale delle architetture in cui viviamo. Alcune ricerche e progetti recenti dimostrano che il recupero di questo ambito possa contribuire in modo positivo alla qualità dello spazio pubblico. Di seguito si presenta una lettura basata sulla riproposizione del tetto a terrazza in chiave contemporanea, con un particolare riferimento alla natura esperienziale di questo luogo. Le potenzialità e soprattutto le dimensioni di questo discorso sono messe in risal-

01. Percorso aereo sulla copertura del museo ARoS in Danimarca | The aerial path on the rooftop of the ARoS Museum in Denmark. Marco Russo

to da un recente studio degli olandesi MVRDV (2021), i quali hanno calcolato 18,5 km2 di coperture inutilizzate (2.600 campi da calcio o 10 Villa Pamphilj) nella città di Rotterdam e per le quali è stato redatto un abaco di centotrenta modelli finanziabili con gli introiti degli ampliamenti. Il rinnovato interesse verso questo spazio ci rimanda inevitabilmente alle innovazioni introdotte da Le Corbusier nel corso del Novecento e delle quali possiamo evidenziare alcuni aspetti paradigmatici per il recupero degli edifici esistenti e non solo. Henry-Russel Hitchcock e Philip Johnson (1982) identificano la scelta del tetto piano quale conseguenza di specifiche esigenze costruttive e di un essenziale

significato estetico strutturato da Le Corbusier come luogo esperienziale d’ispirazione nautica (Campo Baeza, 2008). Sulla copertura delle sue ville ci sono continui riferimenti al parapetto continuo che taglia parte del paesaggio o al palco dal quale gli ufficiali del piroscafo L’Aquitania osservano oltre la balaustra (Le Corbusier, 1924, p. 74). Questa immagine viene rievocata nell’Unité d’Habitation nella quale Le Corbusier celebra il “mito mediterraneo” e concretizza il sogno di “una vita sana” (Curtis, 2006, p. 438). L’alto parapetto permette la sola visione di una parte dei lontani picchi rocciosi e l’esperienza individuale delle abitazioni unifamiliari si trasforma in una serie di attività

Dalla stanza a cielo aperto al playground

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L’IMMERSIONE


02. Interno del percorso aereo di centocinquanta metri lungo il quale ogni settore della città ha un colore specifico | Interior of the 150-meter-long aerial path along which each sector of the city has a specific color. Marco Russo

collettive o in un “playground for the imagination” (Benton, 2015, p. 55). Le Corbusier viene accusato di esser guidato da una ricerca sociale arbitraria e astratta (Easton et al., 1951), ma le attività collettive poste sul tetto possono essere collegate alle teorie di John Dewey e di Johan Huizinga con i rispettivi testi Art as Experience del ’34 e Homo Ludens del ’39. Lo spazio collettivo e il nido sulla copertura della Cité Radieuse ci rimandano all’idea del gioco come scopo sociale da svolgere in gruppo1; sempre Huizinga (2002, pp. 65-66) sottolinea il minor impatto sull’individuo del “gioco solitario” rispetto alle attività collettive legate al concetto di vittoria o “istinto agonale”.

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Il progetto di Marsiglia, già pubblicato prima del completamento, diventa un prototipo inevitabile e i suoi principi, come la rue interieure, vengono diffusi grazie all’attività accademica e professionale dei coniugi Smithson. La mostra The Brutalist Playground, allestita nel 2015 presso la sede del RIBA, porta l’attenzione verso il fenomeno del playground nei vasti complessi residenziali come il Park Hill Estate del 1961 di Jack Lynn e Ivor Smith, entrambi allievi degli Smithson. Le sculture di calcestruzzo armato, posizionate a varie altezze, hanno il merito di aver tramandato nella seconda parte del Novecento l’esperienza di Marsiglia, seppur si sia perduta nel tempo

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quell’articolazione verticale basata sulla cultura fisica e sulla vita all’aperto. Questi ideali sono tornati di grande attualità e trovano la loro naturale applicazione nel museo e nella scuola contemporanei, riportati al centro del dibattito internazionale da alcuni esempi nordeuropei. La copertura come spazio sociale Parallelamente alle realizzazioni di Le Corbusier, il playground diventa un tema rilevante per artisti quali Isamu Noguchi o Egon Møller-Nielsen. La mostra del MOMA Playground Sculpture del 1954 contribuisce a mitigare il senso di esclusività ed estraneità nei confronti dell’arte, oltre che fornire


03. Il playground sulla copertura del parcheggio multipiano a Copenaghen presenta un’installazione continua generata da un tubolare rosso | A continuous red pipe generates the playground on the parking roof in Copenhagen. Rasmus Hjortshøj/Coast Studio

Il museo contemporaneo riporta sulla copertura piana il gioco e varie attività partecipate una soluzione contro il degrado urbano con l’esposizione delle opere al di fuori dall’istituzione museale (Burkhalter, 2014). Il museo contemporaneo implementa questo concetto portando sulla copertura piana il gioco e varie attività partecipate. Nel 2007 Olafur Eliasson vince un concorso per reinventare la copertura del museo ARoS nella città danese di Aarhus con l’opera Your rainbow panorama (img. 01). Sul museo, progettato dallo studio Schmidt Hammer Lassen, è stato installato un percorso circolare lungo centocinquanta metri nel quale lo spettatore concepisce il movimento come veicolo della percezione (Eliasson, 2009). A seconda

04. Il successo del progetto è assicurato dalla libera entrata al playground e dalla vista sul nuovo quartiere di Nordhavn | The free entry to the playground and the view towards the new Nordhavn district are the keys to the project’s success. Rasmus Hjortshøj/Coast Studio

della posizione del visitatore il paesaggio urbano cambia in base al colore (img. 02), riprendendo il lavoro di Eliasson sull’interazione tra opera e osservatore presente nelle sue installazioni con nebbia, luce o acqua. Nel 2018 un’operazione analoga è portata sulla copertura del Bundeskunsthalle di Bonn di Gustav Peichl con opere incentrate sul gioco. L’installazione itinerante The Playground Project2 si basa sulle teorie tratte da Homo Ludens (Huizinga, 2002), in base al quale attraverso delle attività ricreative, si possono sviluppare le proprie capacità. In linea con i precedenti allestimenti museali, vi è la sistemazione di un parcheggio multipiano nel nuovo quartiere di Nordhavn di Copenaghen (imgg. 03-04). In seguito a un concorso pubblico-privato, lo studio JAJA Architects elabora Park’n’Play tra il 2014 e il 2016, nel quale sono richiamati i valori degli urbanisti scandinavi degli anni ’40 con la congiunzione di temi quali gioco, arte, educazione e spazio pubblico (Burkhalter, 2014). La visuale sul panorama portuale permette di trasformare la funzione prettamente utilitaristica in un’occasione di sperimentazione urbana e un nuovo modo di ripensare il futuro delle aree ad alta densità (Waco, 2016).

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La scuola all’aperto ovvero sulla copertura Il concetto di imparare attraverso il gioco nasce in ambito pedagogico, ma la ricerca di un modello di edificio scolastico basato sull’insegnamento attivo non risulta ancora conclusa3. La rimodulazione dell’aula con la proiezione all’esterno e la copertura come luogo per l’educazione attiva diventano i capisaldi sui quali modellare gli istituti scolastici esistenti o di prossima realizzazione. Ad Anversa, lo studio AgwA realizza il piccolo intervento Prins Dries all’interno della corte di un asilo nido mediante l’ampliamento dello spazio destinato al gioco (imgg. 05-06). Per far fronte alle modeste dimensioni del vuoto esistente viene costruita una soletta in cemento armato dalla forma triangolare che permette di aumentare l’area per il gioco di ulteriori novanta metri quadri. Al piano superiore i bambini sono trasportati in uno spazio singolare la cui particolarità è accentuata dai fronti ciechi degli edifici limitrofi. L’ideale della scuola a cielo aperto, tratto dagli scritti di Dewey (2005), si diffonde nei primi decenni del Novecento in risposta all’epidemia di tubercolosi. Per far fronte a questa emergenza sanitaria vengono sviluppate soluzioni inedite, come la scuola olandese Openluchtschool di Duiker e Bijvoet del 1927. Negli stessi anni Richard Neutra propone altri modelli nei quali esterno e

L’IMMERSIONE


La copertura può essere riproposta come luogo privilegiato per l’educazione attiva

05. Il nuovo spazio sopraelevato è stato premiato con il Belgian Award of Architecture 2015 per il merito di aver rivoluzionato lo spazio esistente con un semplice gesto | The new raised space won a special mention at the Belgian Award of Architecture 2015 with the consideration: “they made more than possible”. M.F. Plissart

interno sono risolti senza soluzione di continuità; l’intento è di rivoluzionare l’impostazione delle scuole degli anni ’20 basate su lunghi corridoi, le aule con banchi fissi e con le finestre su una sola parete senza possibilità di uscita (McCoy, 1961). Neutra cerca di ridurre l’impatto dato dalla separazione del fanciullo dalla propria abitazione attraverso il suo progressivo coinvolgimento con soluzioni a lui familiari come il sedere sul terreno del giardino o sul pavimento di casa (McCoy, 1961). La disponibilità di spazio libero nel contesto californiano favorisce lo sviluppo orizzontale dell’edificio, mentre in aree densamente urbanizzate, come in Italia e in Europa, diventa “inevitabile” articolare l’edificio secondo la dimensione verticale.*

NOTE 1 – In una lettera del 12 luglio 1960, conservata presso la Fondation Le Corbusier con riferimento FLC T1(3)367 (Naegele, 2020), Le Corbusier chiede al fotografo Louis Sciarli di fargli recapitare alcune foto scattate sulla copertura della Cité Radieuse. Nelle immagini sono ritratti i bambini dell’asilo situato sulla copertura dell’edificio di Marsiglia, i quali sono catapultati alla scoperta di questo mondo bizzarro. 2 – The Playground Project è una mostra itinerante curata da Gabriela Burkhalter. Il gioco e la partecipazione sono alla base delle installazioni di un gruppo di artisti tra i quali possono essere citati Ólafur Elíasson, Carsten Höller, Llobet & Pons e Rirkrit Tiravanija. 3 – È indicativa la mancata assegnazione del premio speciale (Ri)progettare la scuola nell’ambito della Festa dell’Architetto 2020, infatti, come si legge nel verbale della giuria “non ci sia stata una idea capace di riprogettare la scuola superando gli ordinari schemi compositivi e formali”.

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06. La corte sopraelevata si integra ai fronti esistenti diventando un mondo dedicato ai bambini | The raised courtyard integrates the existing fronts in a new world dedicated to children. M.F. Plissart BIBLIOGRAFIA – Benton, T. (2015). Marseille: Unité d’Habitation, a Geography. AV Monografías, n. 176, Madrid: Arquitectura Viva, pp. 50-55. – Burkhalter, G. (2014). When play got serious (online). In https://www.tate.org.uk/tate-etc/issue-31-summer-2014/ when-play-got-serious (ultima consultazione aprire 2021). – Campo Baeza, A. (2008). Aprendiendo a pensar. Buenos Aires: Nabuko. – Curtis, W.J.R. (2006). L’architettura moderna dal 1900. New York: Phaidon. – Dewey, J. (2005). Art as Experience. New York: Perigee Book. – Easton, K. et al. (1951). Le Corbusier’s Unité d’Habitation. The Architectural Review, n. 653, Londra: EMAP, pp. 293-300. – Eliasson, O. (2009). Frictional Encounters. In Andersen, M. e Oxvig, H. (a cura di). Paradoxes of appearing. Baden: Lars Müller Publishers, pp. 130-47. – Hitchcock, H.R., Johnson, P. (1982). Lo stile internazionale. Bologna: Zanichelli.

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– Huizinga, J. (2002). Homo Ludens. Torino: Giulio Einaudi. – Le Corbusier (1924). Vers une Architecture. Parigi: Éditions Crès. – McCoy, E. (1961). Richard Neutra. Milano: Il Saggiatore. – MVRDV (2021). Rooftop catalogue. Rotterdam: Rotterdamse Dakendagen. – Naegele, D. (2020). Who shot Le Corbusier? The architect of the century and his photographers. Delft: BK Books. Waco, M.N. (2016). Park ‘n’ Play (online). In dac.dk/en/ knowledgebase/architecture/park-n-play/ (ultima consultazione aprire 2021).


Paola Virgioli Assegnista, Infrastruttura di ricerca IR.IDE, Università Iuav di Venezia. pvirgioli@iuav.it

School and the Value of Complexity New paradigms of the design discipline invite us to interact with spaces, buildings and contexts in a new way, considering multiple and ever-changing relationships. In an era in which connections move fast in the web, the school environment has remained stuck in the last century. The essay briefly describes a particular case of this architectural heritage still in use, highlighting its potential in relation to current educational needs. Studies which emphasise the value of complexity in architecture and pedagogy can in fact guide its renewal.* nizia con gli anni Sessanta in Italia una stagione riformatrice della scuola, che ha come fondamento l’istituzione della scuola media unica, triennale, gratuita e obbligatoria, nata per fornire a tutti i giovani le stesse opportunità educative. Con il Sessantotto cresce anche l’esigenza di una maggiore partecipazione: la scuola deve diventare una comunità che agisce con la più vasta comunità sociale e civica attraverso la collaborazione di tutte le componenti interessate al processo formativo (Catarsi, 2003; Susi, 2012). Il MIUR promuove in quegli anni diverse indagini per valutare il metodo fino ad allora utilizzato per progettare gli spazi della scuola,

con l’obiettivo di accompagnare le trasformazioni avvenute in campo culturale-didattico. Negli esiti dei lavori delle diverse Commissioni sono sostenute alcune necessità: l’inserimento tra gli ambienti di una sala comune, strettamente relazionata con le aule, in cui insegnanti e allievi potessero condividere attività ed esperienze e che fosse luogo di incontro con le famiglie; l’introduzione del calcolo della superficie dell’edificio non più per aule ma per numero di alunni; l’esigenza che la scuola fosse un organismo flessibile non solo dal punto di vista didattico ma anche tecnico e tecnologico; il riconoscimento delle sue potenzialità come motore della migliore industrializzazione della nazione

attraverso l’uso di una prefabbricazione dedicata (Pennisi, 2013). Esito di questo dibattito è il DM 18 dicembre 1975 che, a tuttora, è il riferimento legislativo per la progettazione di architetture scolastiche. Il gruppo di scuole Valdadige, così chiamate perché edificate dalla omonima ditta veronese di prefabbricati, costruite nell’arco di un decennio a partire dal 1976 in diverse periferie del nord Italia su progetto degli architetti Gino Valle e Giorgio Macola, è il frutto di questa stagione riformatrice1 (img. 03). Se attualmente l’obiettivo, ormai condiviso, di avviare un nuovo processo di cambiamento del sistema scolastico passa attraverso possibili approc-

01. Scuola E. Fermi, Zelarino, Venezia | E. Fermi school, Zelarino, Venice. Paola Virgioli

La scuola e il valore della complessità

Il modello delle scuole Valdadige progettate da Gino Valle e Giorgio Macola

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Una comunità che agisce con la più vasta comunità sociale e civica attraverso la collaborazione di tutte le componenti interessate al processo formativo ci alla sua fisicità, tra cui uno basato su un modello capace di rispondere alle esigenze di diversi contesti, quindi ripetibile, le scuole Valdadige sono già state progettate con questo principio (Cannella, 2015). Originato dai contenuti presenti nella normativa, vi corrispondono una serie di criteri generali: possibilità di realizzazione in più fasi; capacità di crescita per aggiunte successive; semplicità dell’organismo architettonico per garantirne una facile leggibilità complessiva e delle singole parti; massima integrazione tra i diversi spazi didattici; introduzione di elementi spaziali peculiari come la navata centrale a doppia altezza aperta verso il giardino e lo spazio interciclo, affac-

02. Assonometria di un contenitore didattico, di una palestra, del portico e della centrale termica | Axonometry of an educational container, of a gym, of the porch and of the thermal power plant. Studio Valle Architetti Associati

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ciato verso di essa, in cui svolgere attività alternative e di gruppo, con anche la giusta dimensione per giocare; cura del dettaglio di elementi tangibili e prossimi. Le scelte di Valle e Macola si traducono, quindi, nell’organizzazione della scuola per “contenitori” di attività omogenee, così come da loro definiti, coordinati lungo un asse pedonale (Cavalli, 1977; Collenza, 1979; Valle e Macola, 1977). La scuola si compone, infatti, di diversi edifici, autonomi e indipendenti, ognuno contenente una particolare funzione (img. 02). La loro dimensione è legata alla moltiplicazione del modulo strutturale con una sezione trasversale costante. Il risultato è un’immagine molto astratta, di volumi semplici che si aggregano in diversi modi nei diversi contesti. Un’immagine forte, dove l’uniformità cromatica serve a restituire l’idea di un piccolo villaggio, in armonia con una necessità di riduzione semantica vincolata alla progettazione prefabbricata (img. 01). È evidente, da parte degli architetti, la volontà di costituire un nucleo identitario nelle periferie italiane allora in forte espansione (img. 04). Attualmente, per tutte le scuole, un impegno speciale verso l’insieme diventa prioritario, superando la centralità dell’aula, parallelamente all’attribuzione di un nuovo ruolo sociale dell’architettura. Le richieste di rinnovamento provenienti dal mondo dell’educazione possono, a partire da un

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03. Le scuole Valdadige nel nord Italia | Valdadige schools in northern Italy. Paola Virgioli


04. Scuola G. Di Vittorio in costruzione, Mestre, Venezia. Si noti che la strada di fronte a uno degli ingressi non è ancora ultimata | G. Di Vittorio school under construction, Mestre, Venice. Note that the road in front of one of the entrances is not yet completed. Studio Valle Architetti Associati

modello, essere messe a sistema. Alcune evidenze emergono dall’elaborazione di dati ottenuti dopo un monitoraggio che ha coinvolto i dirigenti delle diverse scuole Valdadige: il 75% di esse condivide gli spazi con associazioni del terzo settore, principalmente palestra, navata centrale o laboratorio di informatica; il 33% dei giardini è inutilizzato; nel 55% degli edifici sono stati eseguiti interventi volti al risparmio energetico, ma non in modo organico. Se le richieste riguardano le dotazioni informatiche, le rimostranze sono tutte relative alla scarsa manutenzione, che in taluni casi comporta infiltrazioni d’acqua o inagibilità dei giardini, oltre al mancato adeguamento all’attuale normativa antisismica. Nessuna richiesta riguarda invece la necessità di spazio che viene indicato come uno dei caratteri di qualità di queste scuole, assieme alla buona illuminazione degli ambienti delle aule. L’analisi delle informazioni messe a disposizione da centri di ricerca nazionali fa emergere una scarsa conoscenza delle reali caratteristiche distributive delle scuole italiane e delle loro necessità di spazio2. La costante diminuzione demografica renderà sempre minore il numero di alunni, tuttavia, la crisi pandemica da una parte e i nuovi orientamenti pedagogici dall’altra, spingono verso un alto grado di flessibilità fisica della scuola e verso la costruzione di ambienti dalle dimensioni generose.

Rispetto alle richieste del DM del 1975, l’uso del sistema prefabbricato Valdadige ha come conseguenza una maggiore superficie del manufatto: del 25% per le scuole primarie e del 10% per le scuole secondarie di I grado (Valdadige, 1978). Se molti plessi, pur difronte a una scarsa manutenzione e a una conseguente riduzione del comfort, sono riusciti a costruire comunità, questo è certamente dovuto alla capacità dell’istituzione e del contesto colturale di interagire, ma non va trascurata la scelta compositiva di Valle e Macola di procedere per “contenitori”, né la disponibilità del grande spazio centrale o della balconata dello spazio interciclo come soluzioni architettoniche che ne favoriscono l’attuabilità. È dunque ormai assodato che disponibilità e qualità dello spazio fisico giocano un ruolo fondamentale per il benessere di chi sta a scuola, influenzando i processi di insegnamento, di apprendimento, di relazione. Però, oggi, essere vicini spazialmente non dà più alcuna garanzia di essere vicini culturalmente ed emotivamente. L’eterogeneità delle esperienze a cui sono sottoposti i singoli studenti comporta un nuovo approccio alla formazione. Il compito della scuola è diventato quello di valorizzare la varietà delle esperienze individuali, intrecciando insieme multiple connessioni (Ceruti, 2003). Se questa complessità può farsi principio educativo, un’architettura basata su

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È dunque ormai assodato che disponibilità e qualità dello spazio fisico giocano un ruolo fondamentale per il benessere di chi sta a scuola, influenzando i processi di insegnamento, di apprendimento, di relazione

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SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO G. DI VITTORIO, MESTRE

SCUOLA PRIMARIA C. COLOMBO, CHIRIGNAGO

SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO E. FERMI, ZELARINO

05. Schema assonometrico delle tre scuole Valdadige del Comune di Venezia | The three Valdadige schools of the Municipality of Venice. Paola Virgioli

tale complessità deve dare centralità anche agli spazi esterni delle scuole e a un rapporto più esplicito con la città. Rispetto a quest’ultima, Valle e Macola, oltre alla restituzione di una immagine complessiva che rimanda a un piccolo villaggio, pongono attenzione al disegno del dispositivo di accesso delle singole scuole, declinandolo in base alle condizioni del contesto. Ciò è reso evidente da un confronto tra i tre edifici Valdadige costruiti nel Comune di Venezia, in cui gli architetti compongono elementi semplici ma efficaci: marciapiede che si allarga, muri in cemento armato, rampa carrabile, rampa pedonale in continuità con il portico che accompagna agli accessi di ogni

06. W.A.Ve. 2020, Scuola di periferia a Chirignago | W.A.Ve 2020, Suburban school at Chirignago. Gruppo di lavoro: De Savi-Virgioli e Berto, Casagrande, Ceola, Lee, Maso, Montefusco, Ruiz Fernandez, Serena, Tang, Vardenega, Visentini, + De Maio, Iorio, Sarto, Scudella, Vaccher

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“contenitore” (img. 05). Più semplice la sistemazione dello spazio verde, senza un particolare disegno, in questo simile alle altre scuole italiane. Lo spazio aperto deve però, oggi, acquisire centralità, superando l’idea che questo non sia uno spazio didattico o della comunità3; così pure le relazioni tra la scuola e gli altri spazi della città devono assumere un ruolo importante che comporta la necessità di aumentarne la qualità. Un esercizio didattico svolto in occasione dei W.A.Ve. 2020 sulla primaria G. Di Vittorio di Chirignago propone una serie di interventi sull’edificio, nel giardino, sul recinto e nello spazio pubblico – in prossimità della scuola o lungo i percorsi urbani più significativi per gli alunni - che riflettono sulla necessaria innovazione della scuola ma, soprattutto, sui possibili modi per migliorarne il rapporto con il contesto (img. 06). Esperienze europee recenti vanno nella stessa direzione4. La ricerca espressa nelle scuole Valdadige da Valle e Macola attraverso la manipolazione di un prodotto prefabbricato per esprimere un’idea pedagogica, che si traduce in disegno dello spazio interno e di rapporto con la città, deve spingerci a riflettere sugli attuali limiti che condizionano il mondo della scuola. Migliorare le condizioni fisiche del nostro patrimonio, soprattutto quando si tratta di un’opera di architettura manifesto di una stagione della cultura italiana, è da ritenersi prioritario; accompagnarlo con una visione d’insieme, una nuova sfida.*

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NOTE 1 – Una ricca bibliografia ancora edita descrive l’opera completa di Gino Valle, tra cui, in sintesi, le scuole Valdadige. 2 – Indire, Fondazione Agnelli, Ocse, Lega Ambiente, WWF, Anci, Cresme, tra gli altri, si sono occupati in più documenti degli spazi scolastici, delle loro caratteristiche nonché di lacune ed esigenze. 3 – Le scuole Valdadige, così come le altre scuole progettate dopo il DM del 1975, sono state progettate con una superficie aperta pari a due terzi dell’area totale, in base all’articolo 2.1.3. In alcuni casi parte di questa superficie è stata alienata dalle amministrazioni. 4 – Si vedano, a titolo esemplificativo, i casi di: Barcellona che con Protegim les escoles vuole migliorare la qualità e la sicurezza ambientale dei bambini, creando spazi più accoglienti in prossimità di 200 scuole entro il 2023; Parigi che con la ville du quart d’heure fa diventare la scuola “capitale” del quartiere, aprendo i cortili fuori dall’orario scolastico e pedonalizzando le rues aux écoles. BIBLIOGRAFIA – Cannella, G. (2015). Dallo spazio al progetto: la relazione tra pedagogia e architettura. a - Rivista dell’Ordine APPC della Provincia di Trento, n. 2, pp. 28-29. – Catarsi, E. (2003). Gli Anni Settanta. L’altra stagione di idee e di innovazione scolastica. In Damiano, E. (a cura di), Idee di scuola a confronto. Contributo alla storia del riformismo scolastico in Italia. Roma: Armando, pp. 34-60. – Cavalli, A. (1977). La scuola è un contenitore: architettura per la scuola di Gino Valle. Modulo, n. 5. pp. 340-349. – Ceruti, M. (2003). Educazione planetaria e complessità umana. In Callari Galli, M., Cambi, F., Ceruti, M. (a cura di), Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione nelle società globali. Roma: Carocci, pp. 12-24. – Collenza, E. (1979). Nuove soluzioni tipologiche per la scuola. L’industria delle costruzioni, n. 5. pp. 17-24. – Pennisi, S. (2013). La conoscenza e la manutenzione degli edifici scolastici. Le scuole a Palermo dal secondo dopoguerra. Roma: Aracne edizioni. – Susi, F. (2012). Scuola, società, politica, democrazia. Dalla riforma Gentile ai Decreti delegati. Roma: Armando. – Valdadige, (1978). Valdadige Edilizia scolastica Elementari e Medie. Verona. – Valle, G., Macola, G. (1977). Sistema per la scuola. Domus, n. 571. pp. 24-30.


Paolo Franzo PhD, ricercatore, Università Iuav di Venezia. paolofranzo@iuav.it Clizia Moradei Ricercatrice, Università Iuav di Venezia. cmoradei@iuav.it

Learning in the Province The contribution aims to demonstrate, through the analysis of the case studies Bottega Veneta and Lanificio Paoletti, how traditional spaces for fashion production have been transformed into places for formal and informal learning: increasing synergies with local educational institutions and encouraging public events inside the factories. The industrial districts of the Italian province, in decline from a production point of view, are proving to be an ideal territory for generating change by seeking greater transparency and openness with the territory.* ra il 2008 e il 2009 un insieme di fattori, tra cui l’avvio della crisi finanziaria e le politiche di reshoring attuate da molti brand di moda, ha dato origine in Italia a nuove relazioni tra i luoghi della produzione e i consumatori: gli artigiani si spostano in città, all’interno dei negozi, per mostrare il lavoro manuale, mentre il pubblico si reca in provincia ed entra nelle fabbriche (Franzo, 2016). Questo fenomeno ha generato una frattura nell’immaginario legato ai distretti industriali che, dal secondo dopoguerra, hanno disegnato il panorama visivo della provincia italiana (Manfredi, 2019). Il Made in Italy è stato infatti per decenni realizzato all’interno di

architetture spesso anonime, che hanno impedito ogni relazione tra interno ed esterno (Parisi, 2011), costruendo un’aura di segretezza attorno alla moda italiana. Nell’ultimo decennio molti luoghi produttivi della moda localizzati nella provincia italiana, sono stati aperti al pubblico per visite e attività, hanno ospitato scuole, associazioni e istituzioni per trasferire conoscenza e consapevolezza (Maffei, 2017). Questo fenomeno risponde all’esigenza sempre più diffusa nei marchi internazionali del lusso di incentivare forme di educazione del consumatore rispetto alle implicazioni delle sue scelte d’acquisto sull’ambiente e sulle persone, non solo

attraverso comunicati stampa e campagne pubblicitarie, ma anche grazie a nuove forme di trasparenza della manifattura. Le fabbriche per la moda del XXI secolo sono dunque interpretabili come spazi aperti al dialogo, come ambienti per l’apprendimento, luoghi di confluenza per la collettività, in cui la segretezza del processo produttivo viene svelata. Bottega Veneta e Lanificio Paoletti, situati in Veneto, rappresentano due casi di studio di trasformazione delle fabbriche in luoghi dell’apprendimento formale e informale. L’architettura della fabbrica non funge qui solo da contenitore in cui promuovere la conoscenza, ma svolge un ruolo centrale

01. Bag Design & Product Development a.a. 2014-15 | Bag Design & Product Development a.y. 2014-15. Bottega Veneta

Imparare in provincia

Le fabbriche della moda come luoghi dell’apprendimento

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I luoghi della produzione di moda della provincia italiana si stanno aprendo al pubblico

nella creazione di spazi per l’apprendimento. L’indagine è stata sviluppata con un approccio qualitativo, attraverso due esperienze di osservazione partecipante che hanno coinvolto direttamente gli autori di questo contributo1. Bottega Veneta Bottega Veneta, azienda fondata nel 1966 nel distretto vicentino della pelle e acquisita nel 2001 dall’attuale gruppo del lusso francese Kering, è un esempio di apertura del luogo della produzione a nuove funzioni. La volontà di rendere la fabbrica uno spazio anche per la formazione è testimoniata dall’attivazione nell’anno accademico 2011-2012 del corso di perfezionamento Bag Design & Product Development, ideato e realizzato in collaborazione con l’Università Iuav di Venezia sotto la responsabilità scientifica di Mario Lupano. Le tre edizioni del corso hanno sperimentato un modello formativo a cavallo tra università e industria, trasferendo le attività progettuali all’interno della fabbrica, con l’obiettivo di definire figure ibride di progettisti maggiormente consapevoli delle dinamiche produttive. Le metodologie didattiche universitarie si sono confrontate con le modalità di trasmissione del sapere proprie di artigiani e tecnici specializzati, con lo scopo di fornire ai dodici partecipanti di ogni edizione – provenienti da tutto il mondo – una preparazione ap-

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02-03. Atelier Bottega Veneta interno ed esterno, progetto architettonico di Alessandro Fantetti | Interior and external Bottega Veneta atelier, architecture project by Alessandro Fantetti. Hiepler Brunier

profondita su tutti gli aspetti relativi al design della borsa e al suo sviluppo produttivo. La fabbrica, dunque, si è trasformata in uno spazio per l’apprendimento e la sperimentazione di nuove figure professionali. La trasformazione della fabbrica in un luogo dell’apprendimento formale coincide con un progetto architettonico che sottolinea la volontà di apertura e trasparenza. La sede di Montebello Vicentino è costituita dalla villa palladiana Schroeder-Da Porto a cui nel 2013, su progetto dell’architetto Alessandro Fantetti, è stato integrato un volume in acciaio e vetro che ac-

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coglie gli artigiani: le fasi di realizzazione del prodotto sono così esposte, quasi fossero in vetrina, pur rimanendo all’interno della fabbrica. L’architettura, sfumati i limiti tra interno ed esterno2, si allinea così alle mutate esigenze: si sviluppa l’idea di progettare “spazi di invito all’azione” (Faiferri et al., 2017), ovvero luoghi che, per propria struttura e configurazione, favoriscono il ruolo attivo dei soggetti con i quali si trovano a confrontarsi. Nell’esperienza analizzata l’architettura ha agevolato la dinamica formativa tra studenti, docenti universitari, tecnici, artigiani e designer (imgg. 01-03).


04-06. Lanificio Paoletti, rassegna La Via della Lana, 2019 | Lanificio Paoletti, event La Via della Lana, 2019. Thomas Possamai

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Lanificio Paoletti Il Lanificio Paoletti di Follina, nel distretto tessile di Treviso, è una manifattura a conduzione familiare nata nel 1795 per la produzione a ciclo completo di filati e tessuti in lana cardata. L’azienda si distingue per un’originale compenetrazione tra tecniche di lavorazione tradizionali e innovazione, promuovendo una sensibilizzazione sulle tematiche della contemporaneità altrimenti distanti, mediante l’organizzazione della rassegna La Via della Lana, la cui prima edizione risale al 2013. In occasione di questa iniziativa la fabbrica apre i suoi spazi al pubblico, diventando visibile e fruibile da tutti e trasformandosi in un luogo dell’apprendimento informale3. Artigiani e designer vengono invitati all’interno della fabbrica, mutando la sua configurazione statica tradizionale in una sorta di incubatore temporaneo, dove si tengono esposizioni e seminari. Il pubblico può così conoscere i processi produttivi dei tessuti Paoletti, unitamente alle pratiche progettuali che caratterizzano la moda contemporanea. In questa cornice vengono inoltre presentati progetti speciali di collaborazione tra l’azienda e designer, artisti o studenti del territorio. Appare chiaro come questo caso sia esemplificativo del rapporto (anche di responsabilità) delle aziende rispetto alla cultura locale, sottolineando l’importanza di come tale scambio dialogico diretto

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Queste realtà appaiono capaci di reinterpretare le proprie architetture, trasformandosi da luogo puramente produttivo a polo culturale possa concretizzarsi all’interno di un contesto esperienziale condiviso, arricchendo il prodotto stesso di valore culturale ed estetico, parti integranti della value proposition della moda (Rinaldi e Testa, 2013) (imgg. 04-06). Conclusioni I casi di studio analizzati consentono di comprendere come gli spazi tradizionali per la produzione della moda si stiano a tutti gli effetti trasformando in luoghi dell’apprendimento: incrementando le interazioni e le sinergie sul piano formativo locale (Bottega Veneta); attraverso eventi che aprono le porte al pubblico consentendo l’incontro tra cittadini, artigiani e designer all’interno del contesto aziendale (Lanificio Paoletti). Queste realtà appaiono capaci di reinterpretare le proprie architetture rimodellando i propri confini di azione, forti della loro expertise che li colloca e li connette a un determinato contesto industriale e culturale, riconfigurandosi come luoghi della “craft of combination” in cui incentivare interattività, esperienza e apprendimento (Lundvall et al., 1994). Il distretto industriale della provincia italiana, in declino da un punto di vista produttivo, si sta dunque dimostrando un territorio ideale per generare cambiamento: sperimentando modalità di apprendimento formale e informale, promuovendo la condivisione di know-how e competenze, instaurando

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innovative connessioni con la dimensione locale. Riprendendo il concetto di distretto industriale, che è sinonimo di legame prodotto-territorio e di precisi standard di qualità, ne deriva la trasformazione da luogo puramente produttivo a polo culturale, sulla scia del “distretto culturale evoluto” (Sacco e Tavano Blessi, 2005). Laddove la conoscenza, non essendo unicamente un fatto cognitivo ma direttamente collegato alla necessità di agire, fa maturare la nuova esigenza di studiare un prodotto vedendone la sua realizzazione (Faiferri et al., 2017). Ne risulta che le fabbriche della moda italiana, nella loro messa in rete con altri luoghi fisici, divengono grandi, diffusi e complessi spazi di apprendimento.*

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NOTE 1 – Paolo Franzo ha indagato il caso studio Bottega Veneta, con cui ha coordinato per l’Università Iuav di Venezia le edizioni 2014-2015 e 2016-2017 del corso di perfezionamento Bag Design & Product Development. La ricerca sul Lanificio Paoletti è stata sviluppata da Clizia Moradei attraverso la partecipazione, in qualità di jewelry designer, all’edizione 2019 della rassegna La Via della Lana. 2 – Casi simili di utilizzo del vetro in progetti recenti di fabbriche per la moda sono: la “fabbrica-giardino” di Prada a Montevarchi (Arezzo) e la Manufacture de souliers di Louis Vuitton a Fiesso d’Artico (Venezia), entrambe destinate alla produzione di calzature. 3 – Altri esempi recenti di apertura delle manifatture alle visite sono: Les Journées Particulières, organizzate dal 2011 da LVMH per aprire al pubblico i luoghi della produzione dei brand del gruppo francese; ApritiModa, che dal 2017, per un fine settimana all’anno, organizza su tutto il territorio italiano visite gratuite alla scoperta dei luoghi della moda Made in Italy. BIBLIOGRAFIA – Faiferri, M., Bartocci, S., Pusceddu, F. (2017). Spazi urbani d’apprendimento. In Galdini, R., Marata, A. (a cura di), La città creativa. Roma: CNAPP, pp. 205-214. –Franzo, P. (2016). L’artigianato in vetrina nelle città della moda. In Vaccari, A. (a cura di), Moda, città e immaginari. Milano-Udine: Mimesis, pp. 296-307. – Lundvall, B., Johnson, B. (1994). The Learning Economy. Journal of Industry Studies, n. 1 (2). pp. 23-42. – Maffei, S. (2017). Design e distretti industriali. Un contesto territoriale ed apprendimento collettivo situato (online). In https://www.milomb.camcom.it/design-e-distrettiindustriali (ultima consultazione aprile 2021). – Manfredi, P. (2019). Provincia non periferia. Innovare le diversità italiane. Milano: Egea. – Parisi, R. (2011). Fabbriche d’Italia. L’architettura industriale dall’Unità alla fine del Secolo breve. Milano: Franco Angeli. – Rinaldi, F.R., Testa, S. (2013). L’impresa moda responsabile. Integrare etica ed estetica nella filiera. Milano: Egea. – Sacco, P.L., Tavano Blessi, G. (2005). Verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Distretti culturali e aree urbane. Meridiana, n. 54. pp. 187-209.


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SOUVENIR


Letizia Goretti PhD in Cultura visuale, ricercatrice associata BnF 2020/2021. letizia.goretti@yahoo.it

Fare o guardare? Olga Treivas, Rag Chapel (interno dell’opera), Glasstress 2015 Gotika, Berengo Centre for Contemporary Art and Glass, Murano/Visita didattica.

Questo è il nodo! Quando si assiste alla curiosa meraviglia delle ragazze e dei ragazzi nel vedere delle opere e il loro processo di lavorazione, ci si chiede perché l’apprentissage debba passare solo dai banchi di scuola. Guardare un’opera non basta e tanto meno solo studiarla. Ma se pensassimo a un nuovo modo di fare scuola? In fondo, l’esperienza è un grande insegnamento.*

Doing or Watching? Olga Treivas, Rag Chapel (interior of the artwork), Glasstress 2015 Gotika, Berengo Centre for Contemporary Art and Glass, Murano/Educational visit.

That is the question! When one witnesses the curious amazement of girls and boys looking at works and their manufacturing process, one wonders why the “apprentissage” should only go through school desks. Looking at a work is not enough, neither just studying it. But what if we thought of a new way of doing school? After all, experience is a great lesson.*

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Nicole Estefania Loachamin Guerrero Laureata in Architettura e innovazione, Università Iuav di Venezia. nicoleloachamin@gmail.com Cecilia Bettini Laureata in Architettura e innovazione, Università Iuav di Venezia. ceciliaabettini@gmail.com

Idjwi Eco-village Complex The Eco-village Complex project is the result of a collaboration with the American NGO Journey Man International, which operates on Idjwi Island. This collaboration has been an important tool for growth and knowledge of the area. The main objective of the training centre design project is to respect the local cultural and constructive characteristics, and to turn the initial constraints into strong points for the subsequent design choices, with the intention of developing a lasting and sustainable process.* l progetto del centro di formazione si colloca sull'isola di Idjwi, all'interno del lago Kivu nella Repubblica Democratica del Congo. Sebbene le condizioni sanitarie ed economiche della popolazione siano considerate precarie, l'isola è ritenuta un’oasi di pace in quanto rifugio per i profughi in fuga dalle guerre civili (Cuvelier, 2010). La comunità di Idjwi non ha conosciuto direttamente la guerra ma ne ha subito le conseguenze: ne è un esempio il grave fenomeno di sovrappopolazione dovuto all’immigrazione dal continente che causa un eccessivo uso di risorse naturali e di sfruttamento del

suolo con il conseguente fenomeno di deforestazione nell’isola (Hadley, 2011). A partire da queste considerazioni, la tesi di laurea1 si è concentrata sulla progettazione di un eco-villaggio avente l’obiettivo di sostenere e incrementare il turismo naturalistico e l’economia locale per migliorare la qualità della vita sull’isola. All’interno dell’eco-villaggio, il progetto si è focalizzato su un centro di formazione con spazi dedicati all’apprendimento e allo sport, spazi che rappresentano uno strumento di crescita umana, di integrazione e di condivisione sociale dal momento che il concetto di “collettività” rappresenta un valore fondamentale per la cultura africana (img. 03).

Il metodo Miyawaki, una metodologia innovativa che ha dimostrato di funzionare in tutto il mondo, indipendentemente dal suolo e dalle condizioni climatiche

01. Sezione tecnologica con dettagli costruttivi del sistema di raccolta d’acqua piovana | Technological section with construction details of the rainwater harvesting system. Nicole Loachamin, Cecilia Bettini

Idjwi Eco-village Complex

La riforestazione come possibilità di vita

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TESI


02. Centro di formazione con spazi polifunzionali. L'insediamento del complesso segue l’andamento del terreno e prende come ispirazione l’architettura vernacolare africana | Cultural centre with multifunctional spaces. The layout of the complex follows the contours of the land and is inspired by African vernacular architecture. Nicole Loachamin, Cecilia Bettini

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03. Il fulcro è generato da uno spazio esterno centrale di aggregazione e socialità in cui sostare e confrontarsi, in quanto il concetto di collettività è un valore fondamentale per la cultura africana | The project is generated by a central outdoor space for gathering and socialising where stay and discuss, as the concept of community is a fundamental value in African culture. Nicole Loachamin, Cecilia Bettini

Per far fronte alle problematiche della deforestazione che ha colpito l'isola, è stato pensato un programma di riforestazione che utilizza il metodo Miyawaki2, una metodologia innovativa che ha dimostrato di funzionare in tutto il mondo, indipendentemente dal suolo e dalle condizioni climatiche. Tale metodo presenta infatti numerosi vantaggi in termini di tempistiche e manutenzione rispetto a quelli tradizionali, riducendo i tempi di riforestazione a 25-30 anni rispetto ai 200 anni delle piantumazioni convenzionali. Questo risultato è ottenuto grazie a una piantumazione densa che cresce così fitta da non far filtrare la luce solare: in questo modo il terreno rimane umido e l'acqua piovana non evapora (Orrù e Bedini, 2021). Nell’eco-villaggio il ripristino della natura nasce dalla progettazione di un vivaio, di forte impatto visivo, che si posiziona come elemento di produzione di specie vegetali autoctone3. La serra si presenta come un unico edificio che sfrutta al massimo la ventilazione naturale e re-

cupera le acque piovane garantendo l’autosufficienza idrica4. Significativa è stata anche la scelta del rivestimento della serra in ETFE, un materiale durevole e trasparente in grado di regolare il passaggio di calore all’interno della serra (img. 04). Il progetto del centro di formazione si è poi confrontato con proposte capaci di integrare soluzioni costruttive tradizionali con nuove tecniche sfruttando le risorse locali, in particolare quelle naturali o derivanti da recupero di materiale. Il centro, infatti, è stato concepito sin dal principio con materiali locali come le foglie di banano5, pietra lavica6, legno di mvule7 e mattoni in terracotta. Questi ultimi vengono prodotti localmente miscelando l’argilla con scarti vegetali derivanti dalla coltivazione e produzione del caffè, un’attività molto diffusa sull’isola che ha anche l’obiettivo di incentivare e incrementare la manodopera (img. 01). In accordo con i principi di sostenibilità ambientale, gli impianti del complesso sono alimentati da fonti

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Il progetto indaga e approfondisce il concetto di luoghi di apprendimento promuovendo la socialità e stimolando la conoscenza e la creatività

TESI


04. Il vivaio è composto da una grande serra e da spazi all'aperto dedicato al processo di riforestazione | The nursery consists of a large greenhouse and open spaces dedicated to the reforestation process. Nicole Loachamin, Cecilia Bettini 3 – Banano, Palma, Pinus Kesiya, Eucalyptus cloeziana rinnovabili: è stato previsto un siste- per la collettività - campi sportivi, orti, e Mvule. ma di pannelli fotovoltaici per coprire mense - e per il lavoro, incrementando 4 – Lo spazio della serra prende ispirazione dal nuovo orto botanico progettato dall’arch. Giorgio Strappazzon il fabbisogno energetico del centro di la manodopera locale. (VS associati) a Padova. Per ulteriori approfondimenti si formazione, mentre le strategie bioIl principio progettuale è stato quello rimanda al link: http://www.vsassociati.it/focus/scheda(ultima consultazione luglio 2021). climatiche utilizzate nel progetto fa- di legare il centro di formazione al ter- orto-botanico/ 5 – Le foglie di banano sono utilizzate per produrre pannelli voriscono un uso maggiore di sistemi ritorio, alle sue risorse, alla natura e alla isolanti attraverso pressatura. Il pannello funge sia da isopassivi, rispettando così l’ambiente e cultura delle persone che ci abitano ma lante termico, per ridurre lo scambio di calore dall'esterno all'interno, sia da isolante acustico. migliorando le condizioni di benesse- allo stesso tempo connetterlo al turi- 6 – La pietra lavica, che viene recuperata dalle numerose re delle persone che vivono gli spazi. smo internazionale e naturalistico, con cave minerarie dell'isola, è un materiale utilizzato per le fondazioni, muri di contenimento e pavimentazione. Infatti, sono tenuti in considerazione l’intento di far scoprire la cultura Afri- 7 – Il legno di mvule è il materiale da costruzione diffuso nell'isola, si tratta di un grande albero che cresce fino a orientamento ed esposizione solare cana attraverso gli spazi progettati.* 50 metri di altezza. Produce un legname duro e di colore dell’edificio, pertanto sono presenti marrone scuro, denso e durevole, ideale per l'uso in edilizia. NOTE elementi di controllo della luce all’in- 1 – Tesi dal titolo Idjwi Eco-Village Complex: La riforestaBIBLIOGRAFIA terno degli ambienti come claustra o zione, una possibilità di vita discussa nell’ a.a. 2019/2020. – Cuvelier, J. (a cura di) (2010). The complexity of resource Relatrice: P. Montini Zimolo, Correlatori: E. Antoniol, F. sistemi frangisole. Infine, attraverso Vaccher. governance in a context of state fragility: The case of eastern DRC. International Alert (online). In https://www. ampie coperture e la progettazione di 2 – Akira Miyawaki era un botanico ed ecologo giapponese international-alert.org/sites/default/files/DRC_ResourceGoha dedicato la sua intera carriera allo studio della vegemuri di raccolta, l’acqua piovana viene che vernanceEasternDRC_EN_2010.pdf (ultima consultazione tazione naturale e allo sviluppo di metodi di riforestazione luglio 2021). convogliata in serbatoi interrati garan- naturalistica. Ha intrapreso una serie di sperimentazioni di – Hadley, M., Thomson, D., Mchale, T. (2011). Health metodi innovativi di riforestazione che si configuravano in tendo così un’autosufficienza idrica. & Demographics of Idjwi Island, DRC: Key findings of a un’ottica di restauro ecologico. Il metodo Miyawaki si può Il progetto indaga e approfondisce il suddividere in sei fasi: la prima fase consiste nella semina multidisciplinary assessment. Cambridge: Harvard Edu (online). In http://www.greylit.org/sites/default/files/colconcetto di “luoghi dell’ apprendimen- di specie autoctone all’interno di serre, durante la seconda lected_files/2012-09/idjwihadley.pdf (ultima consultazione e la terza fase le piantine crescono in vasi e si adattano to” promuovendo la socialità e stimo- progressivamente alle condizioni di luce e temperatura luglio 2021). – Orrù, R., Bedini, A. (2021). Innovazione dal passato. naturali con un sistema di reti che fungono da filtro. Nella lando la conoscenza e la creatività. ACER, n. 1, pp.45-50. successiva le piante vengono posizionate per qualche Il centro di formazione sviluppa dif- fase settimana in una foresta esistente per farle adattare alle ferenti spazi di apprendimento a par- condizioni naturali; nella quinta fase avviene il trapianto nella tire dalla progettazione di luoghi per zona scelta per il rimboschimento, mentre la fase finale consiste nel dare origine a un ambiente forestale analogo a l'insegnamento e la ricerca a luoghi quello naturale.

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Roshan Borsato Università Ca’ Foscari. roshan.borsato@unive.it Enrico Polloni Università Ca’ Foscari. enrico.polloni@unive.it

Industry 4.0 and its Characterizing Principles The current 4th Industrial Revolution is a phenomenon playing a pivotal role for private companies, which are now called to redesign their organizational processes under a strong incorporation of the technological paradigm. In this regard, this paper aims at providing a brief description of the phenomenon, illustrating the characteristic features of smart factories and quickly describing the main enabling technologies of Industry 4.0. The methodology used for the drafting of this paper is based on a solid analysis of peer-review international and national papers published in the field.* apire i tratti fondamentali della Industria 4.0 oggi è fondamentale perché si tratta di un fenomeno che rivoluzionerà il mondo economico nei prossimi decenni: nessun settore resterà escluso. Questo determina, da un lato, la presa di consapevolezza della necessità di capire come applicare i principi fondanti l’Industria 4.0 al settore di riferimento e, dall’altro, la imprescindibile urgenza che ne deriva di fare un up-skill delle competenze proprie delle risorse umane. Su questi due punti si gioca la sfida dei prossimi anni.

La quarta rivoluzione industriale Osservando la storia economica dei paesi industrializzati, le grandi rivoluzioni industriali che si sono succedute ogni 50-60 anni hanno sempre alimentato una repentina crescita economica e portato a enormi cambiamenti sociali. Analogamente, oggigiorno un operaio si trova a operare in un contesto completamente diverso rispetto a quello di cinquanta anni fa, poiché negli ultimi anni una serie di tecnologie inedite hanno portato nuovo dinamismo nella competizione tra le imprese. L’introduzione di queste nuove tecnologie ha spinto a ipotizzare di essere imminenti a una rivoluzione industriale raffrontabile a quelle che sono state indotte in passato dalla diffusione nei processi industriali del vapore, dell’elettricità e delle ICT (Information and Communications Technology). Effettivamente, grazie all’introduzione massiccia delle grandi tecnologie all’interno degli spazi produttivi, il mondo d’oggi si sta addentrando nella sua quarta rivoluzione industriale (Hozdić, 2015). L’azienda del futuro: la smart factory Alla base di questa rivoluzione vi è il concetto di Industria 4.0, che si basa su interventi a sostegno della produttività, della flessibilità e della competitività, allo scopo di favorire un cambiamento produttivo e tecnologico volto alla crescita delle imprese.

Un’azienda che implementa i concetti e le tecnologie dell’Industria 4.0 nei sistemi di produzione della propria fabbrica converte quest’ultima in una moderna smart factory. Con questo termine s’intende propriamente una fabbrica che grazie alla digitalizzazione produttiva e a sistemi di lavorazione automatizzati e intelligenti riesce ad affrontare al meglio le complessità derivate dai continui cambiamenti esterni e interni, adattando la produzione in base alle richieste del momento e dei clienti, così da reagire prontamente alle variazioni, anche eccezionali, del mercato. In particolare, la trasformazione delle moderne industrie in smart factory risulta importante per l’ottimizzazione della produzione, con conseguente riduzione del lavoro non necessario e dello spreco di risorse (Rüßmann et al., 2015). Le moderne tecnologie necessarie per la realizzazione di una smart factory hanno reso le varie fasi della filiera non più distinguibili e separate, ma trasformate in un flusso integrato con una crescente integrazione tra parte digitale e componente fisica, portando alla scomparsa del confine tra manifattura e servizi. In una smart factory dell’Industria 4.0 ci sono perciò sensori e macchinari interconnessi tra loro; ma soprattutto circolano informazioni integrate, precise e in tempo reale, che vengono analizzate e adoperate per ottimizzare i processi stessi e per ammodernare l’intera catena di distribuzione.

L’industria 4.0 e i suoi principi caratterizzanti

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IN PRODUZIONE


L’Industria 4.0 è incentrata sull’implementazione di sistemi cyber-fisici nelle aziende, cioè presuppone la connessione in tempo reale dei sistemi fisici e digitali Le principali tecnologie dell’Industria 4.0 L’Industria 4.0 è infatti incentrata sull’implementazione di sistemi cyberfisici nelle aziende, cioè presuppone la connessione in tempo reale dei sistemi fisici e digitali (Imkamp et al., 2016). Questa connessione viene realizzata tramite le cosiddette tecnologie abilitanti della quarta rivoluzione industriale. Tra queste, fondamentali per la realizzazione di una smart factory, sono incluse la Manufacturing Big Data, la produzione additiva, l’Internet of Things, il cloud, l’Advanced Automation, e l’Advanced HMI (Human Machine Interface). Queste tecnologie si dividono principalmente in due grandi insiemi: uno più vicino all’IT e l’altro più vicino al livello operativo. Nel primo raggruppamento rientra l’Internet of Things (IoT). L’idea alla base di questo concetto è la presenza pervasiva intorno a noi di una varietà di oggetti, come tag di identificazione a radiofrequenza (RFID), sensori, attuatori, telefoni cellulari che, attraverso schemi di indirizzamento univoci, sono in grado di interconnettersi tra loro e scambiarsi dati tramite Internet. In particolare, all’interno di una smart factory svolge un ruolo imprescindibile una sottocategoria dell’IoT: l’Industrial Internet of Things (IIoT). L’IIoT utilizza apparecchiature e dispositivi connes-

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si a Internet per migliorare il processo produttivo, attraverso l’interconnessione delle macchine dell’impianto, ed elaborando i dati provenienti dalle macchine stesse. L’impiego di questa grande mole di dati, definito anche come Manufacturing Big Data, è considerato infatti uno dei punti cruciali per sviluppare controlli e analisi predittive che migliorano la gestione della manutenzione e velocizzano il processo produttivo (Witkowski, 2017). Infine, per gestire e immagazzinare questi dati risulta nodale la tecnologia del cloud computing, che consente di avvalersi di servizi di calcolo in remoto per la raccolta, la gestione e la trasmissione di dati (Schuh et al., 2014). Il secondo insieme di tecnologie risulta essere più eterogeneo e sostanzialmente raccoglie le tecnologie più vicine al livello operativo. Tra di esse, con il termine Advanced Automation ci si riferisce in generale allo sviluppo dei sistemi produttivi e alla loro automazione avanzata. In particolare, si richiama lo sviluppo di Intelligenze Artificiali (IA), capaci di auto-apprendere e di interagire con l’ambiente circostante e con gli operatori. Questa interazione tra i macchinari e gli operatori passa anche attraverso l’Advanced HMI, ovverosia l’interazione uomomacchina, con la quale ci si riferisce ai moderni sviluppi dei dispositivi e delle nuove interfacce per l’acquisizione e veicolazione di informazioni in formato vocale, visuale e tattile. L’Advanced HMI include infatti sistemi ormai consolidati, come i display touch o gli scanner 3D, ma anche soluzioni più̀ innovative, come i visori per la realtà aumentata. Innovativo risulta essere anche un nuovo processo industriale: la produzione additiva, in inglese Additive Manufactoring, che permette la produzione di un oggetto partendo da un modello computerizzato dello stesso e aggiungendo uno strato di materiale sopra l’altro, in opposizione alle metodologie tradizionali di produzione sottrattiva. Inoltre, questo processo contribuisce sempre più rilevantemente alla realizzazione di stampaggi, alla realizzazione rapida di prototipi, e alla riparazione di particolari usurati o

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danneggiati (Mohamed, 2018). Conclusioni Quanto evidenziato fin qui ci permette di capire immediatamente la portata rivoluzionaria dell’Industria 4.0. Inoltre, da queste prime analisi, si capiscono immediatamente come tutto questo sia la base per ulteriori riflessioni. Prima di tutto, come accennato all’inizio, si apre il fondamentale nodo di capire come le risorse umane sapranno adeguarsi alle nuove competenze che si stanno affermando. In secondo luogo, appare evidente porsi il problema di come i policy makers nazionali e regionali intendano affrontare e favorire la digitalizzazione. Le politiche fino a qui sostenute, in linea di principio, non hanno consentito alle imprese di vedere nel pubblico un partner, in qualunque modo si possa intendere, in grado di aiutarle e di accompagnarle nella creazione di un nuovo valore aggiunto. Si aprono diverse linee di ricerca su questo tema poiché, se è vero da un lato che l’innovazione del mondo economico riguarda la microeconomia, è altresì vero che ci sarà assolutamente bisogno di istituzioni pubbliche che non lascino i vari attori da soli, ma che si facciano compagni di un viaggio che può portare benefici a tutta la società, non solo ai diretti interessati.* BIBLIOGRAFIA – Hozdić, E. (2015). Smart Factory for Industry 4.0: A Review. International Journal of Modern Manufacturing Technologies, n. 7, pp. 28-35. – Imkamp, D. et al. (2016). Challenges and trends in manufacturing measurement technology – the “Industrie 4.0” concept. Journal of Sensors and Sensor Systems, n. 5, pp. 325-335. – Mohamed, M. (2018). Challenges and Benefits of Industry 4.0: An overview. International Journal of Supply and Operations Management, n. 5, pp. 256-265. – Rüßmann M., et al. (2015). Industry 4.0: The Future of Productivity and Growth in Manufacturing Industries. The Boston Consulting Group, n. 9, pp. 54-89. – Schuh, G. et al. (2014). Collaboration mechanisms to increase productivity in the context of Industry 4.0. In Procedia CIRP, n. 19. Stuttgart (DE): Robust Manufacturing Conference, pp. 51-56. – Witkowski, K. (2017). Internet of Things, Big Data, Industry 4.0. Innovative Solutions in Logistics and Supply Chains Management. Procedia Engineering, n.182, pp. 763-769.


Learning Places: Changing Society

Argentina. How mass movements bring values, create knowledge and change worldwide history Arianna Mion ariannamion0@gmail.com

Luoghi di apprendimento: cambiando la società Gli spazi pubblici, quali strade e piazze, sono “luoghi di apprendimento”. L’Argentina ha una relazione storica con l’occupazione delle strade: il “Ni una menos” è solamente l’ultima parte di una forte tradizione di proteste di massa. Recentemente le donne argentine hanno fatto la storia con l’approvazione della legge sull’aborto, allo stesso modo di come fu per la “Madres de Plaza de Mayo” durante la dittatura. Questo mostra come anche lo spazio pubblico, quando occupato in un modo attivo, può contribuire a cambiare la società e riscrivere la storia. Laura Masson ci aiuta nel comprendere come da decenni, il dibattito pubblico femminista e la protesta abbiano giocato un ruolo fondamentale nella società, arrivando a portare nuova conoscenza e, diritti.*

Learning is commonly associated with schools and universities. However, there are other places that do provide whole generations with information and values: public spaces when turned into “learning places”. Argentina has a special tie with mass protests, last but not least for importance, it is the case of the world-know collective Ni una menos, born there in 2015. Laura Masson, Argentine anthropologist and academic, will guide us to discover her country and its strong connection with mass movements, with a special focus on feminist ones. Normally, when we think of “learning places” we refer to schools and universities, rather than public open spaces such as streets and squares. However the latter are socially important, contributing to shaping learning, knowledge and values of citizens. How can they be considered or classified in a system where education is generally structured in a strict way? I believe that all public spaces are important for learning, those where knowledge is structured in a formal way and have an official recognition, like schools and universities, as much as those places that are open public spaces such as streets and squares. What you learn in these spaces that are no classified in terms of formal learning is particularly significant for acquiring collective values which are built through socialization and that make the understanding of the place we have in the world according to our sex, gender, gender identity, social class and racial ethnicity, among other variables. When occupying these places is done in an active way, starting from a collective organization with a specific purpose, then learning multiplies itself. Also considering that, what is acquired in these not formalized-spaces, if put in perspective and in a dialogue with formal learning, it is a fundamental tool not only for social transformation, but for creating theoretical knowledge as well. Taking over the streets can be defined as a distinctive feature of Argentine mass movements, starting from Madres de Plaza de Mayo (Mothers of the Plaza de Mayo) during the dictatorship, passing through the protests in 2001 caused by one of the biggest national economic crises of the whole world and arriving to the feminist movements of the last years. How would you describe the historical relation between (and within) Argentina and its mass movements?

01. Laura Masson. Julieta Bugacoff

I believe that the three examples that you mentioned are essential for thinking

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AL MICROFONO


about the historical relation between Argentina and social movements: the Madres de Plaza de Mayo, the protests of 2001 and the feminists movements. In my case, I particularly dealt with researching the feminist movement in Argentina, but before the massive protests which began occurring in 2015 with the Ni una menos (Not one more) movement. In Argentina there is a large tradition of occupying the streets which started previous to the Madres de Plaza de Mayo, however with them a new form of protests was inaugurated. In fact, it was no longer possible to talk of massive social movements and, in addition, its leading characters were women only. Under the dictatorship, those women who were 02. Abuelas de Plaza de Mayo (Grandmothers of the Plaza de Mayo). The picture shows Abuelas de Plaza demanding for their sons and daughters, by de Mayo demanding for their grandchildren. Both Abuelas de Plaza de Mayo and Madres de Plaza de meeting, talking and occupying public space, Mayo started their action during the dictatorship. If the first one have always asked for their disappeared grandchildren, the second ones have been looking for their missing sons and daughters. were making social activism. They started setting up a specific knowledge about the situation they had to experience, which was different from the version of the reality given by the government and, thanks to a collective creation, they were able to give meaning to what it was trying to hide. At the same time, their presences on the square began being a new reality also for the people that were looking at them. With the economic crisis in 2001 social movements called piqueteros arose. One of their main features was the presence of women in those social protests. Besides taking to the streets to channel their complaints, women organized themselves in popular neighborhoods in order to guarantee subsistence to their families. In this way, “popular pots” were 03. Encuentro Nacional de Mujeres, Ciudad de la Plata, Buenos Aires, 2001. organized, which then turned into spaces for debating women’s position in society and also within organizations. Another important feature of Argentina is the organization of Encuentros Nacionales de Mujeres (National Women’s Gatherings) since 1986. From that moment until now, every year a three-day event is held. In these yearly meetings, topics around the social condition of women are discussed and at the end there is always a plenary followed by a demonstration. Hence, when looking at 2015 and the beginning of massive protests due to Ni una menos, it must be taken into account all that was previously done along more than three decades of collective public debate training and public demonstration’ learning. In Argentina the expression poner el cuerpo (to put the body) is used a lot. Do you believe that a physical presence has a different weight compared to the virtual one in activism? Yes, it is true that the expression poner el cuerpo is used a lot. However it does not mean only having a physical presence, but it refers to the degree of compromise that someone has with a cause or a specific situation too. Personally, I do believe that being physically present has a different weight in social activism. I would like to underline again the value that the Encuentros Nacionales de Mujeres have, es-

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04. Decriminalization of the abortion law. Julieta Bugacoff

pecially for women belonging to popular sectors. Thanks to these events, they can travel and get to know other provinces and other cities, and also eat in a restaurant or stay in a hotel, which are usually middle-class habits. All this was, and it is still possible, because during the whole year women together plan ways for fundraising, hence creating strong ties and experiencing something new. In particular, the final march at the end of each ENM makes it visible in a very clear way what this group, where generational, social class, ethnic, racial and sexual diversity is represented, can mean. Which is the role that “streets and squares” covered in the obtainment of the legal abortion law in 2020 in Argentina?

When occupying these places is done in an active way, starting from collective organization with a specific purpose, then learning multiplies itself

I believe that squares and streets had a central role for the approval of the law of legal abortion in Argentina. The mass mobilisations started in 2015 made visible a feminist movement, which had been quietly built during more than three decades. From my own perspective, it is about a change which was set up over time. Nevertheless, the achievement was not only the result of mobilizations. In my book Feministas en Todas Partes I analyse feminism as a social space where, through disagreements and accusations, different forms of feminism dialogue. When I had to carry out my field-work, I identified four kinds of feminists: the academic feminists, the radical feminists (those who do not receive any forms of financing), the institutionalized feminists (who work in NGOs or in the government) and the feminists belonging to political parties. In the sanction of the law for the voluntary interruption of pregnancy, it was possible to clearly see how these different ways of being feminists were articulated in a virtuous way to obtain the law’s approval. But, without doubts, the mass protests had an important weight. Likewise, I would like to emphasize that in order to understand how we were in these women-mass protests in Argentina, it is necessary to consider the former feminist activism, as much as the way in which the progresses of the feminist movement institutionalize themselves through laws and programmes linked to women’s rights.

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When looking the beginning of massive protests due to Ni una menos, it must be taken into account all what previously was done along more than three decades of collective public debate

Is the public space the place where “the personal is (turns) political”? Yes, but public space can be a collective demonstration in the squares or in the streets as much as the meeting of two women who gather for discussing a text or for exchanging 05. Decriminalization of the abortion law. Julieta Bugacoff opinions on gender perspective or on the emotional and affective support that can be received in cases where a woman has suffered sexual harassment or abuse. In both cases we are referring to public space. I believe that “the personal is political” acquires its full meaning when we realize that the celebrations of the supremacy of masculinity’s values are not related to a difficulty or a personal problem, but that are binded to a social structure which supports and promotes them. And this is discovered in the collective interactions of women like the consciousness-raising groups of the 1970s. Do urbanists, architects and politicians need to take more into consideration a gender perspective while planning cities? Yes, for sure. Cities’ design reflects the values that are given to its citizens. In most of the cases cities are planned taking into consideration an archetype who should be a male inhabitant of middle age, eterosexual and white. When we do not build ramps for people who have mobility difficulties, we are showing a devaluation of this specific situation, that whoever can live in a specific moment of his/her life. If there are places in the city that women cannot cross, because they are dangerous for their lives or for their sexual integrity, that means that we as society are dropping to protect a part of our population. If we cannot circulate in the city with baby carriages, because the pavement is broken, that means we are depreciating care tasks towards children.* BIBLIOGRAPHY – Hanisch, C. (1970). The Personal is Political. Notes From the Second Year: Women’s Liberation. – Masson, L. (2008). Feministas en todas partes. Buenos Aires: Prometeo Libros. – Masson, L., de Urquiza, J. Soy feminista, hago política (online). In Anfibia, www.revistaanfibia.com (accessed in July 2021).

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Il congiuntivo cambia la vita

a cura di

Piovevano uccelli Jocelyne Saucier Iperborea 2021

ullo sfondo silenzioso di grandi spazi è arrivato il primo libro canadese di Iperborea, Piovevano uccelli è una meditazione sulla libertà, sulla vecchiaia e sull’autodeterminazione, una storia di scelte, decisioni, occasioni per le personagge e i personaggi del romanzo e una scuola per noi che lo leggiamo, poiché apprendiamo una parte importante della storia del Canada, quella cioè dei Grandi Incendi di inizio Novecento, e anche un modo alternativo di vivere attuabile... Tre ottantenni hanno scelto di vivere gli ultimi anni a modo loro, quasi senza contatti con la società, ciascuno nel proprio cabin di le-

gno nel folto della foresta canadese dell’Ontario settentrionale, ciascuno accompagnato dal proprio cane. Incontriamo Charlie, Tom e Boychuck: il primo ha rifiutato un destino di cure ospedaliere, il secondo ha voltato le spalle a una vita spericolata tra alcolismo e assistenti sociali, del terzo sappiamo poco perché è taciturno e ancora più sulle sue degli altri. I tre hanno imparato di nuovo a vivere, vicini ma per conto loro con un solo ponte verso il mondo esterno, e cioè altri due uomini più giovani ai margini della società, Steve e Bruno. Il primo gestisce un albergo fantasma nella foresta, il secondo è un intraprendente coltivatore di... marijuana.

Fino a che arrivano due donne. La visita di una fotografa sulle tracce degli ultimi sopravvissuti ai Grandi Incendi che hanno devastato la regione quasi un secolo prima sembra solo una breve parentesi nel loro isolamento, ma quando un’altra donna, fuggita da un ospedale psichiatrico, arriva in quell’angolo sperduto del mondo, niente sarà più come prima: con l’aiuto dei suoi nuovi amici, l’anziana Marie-Desneige, un essere etereo e delicato che custodisce il segreto di amori impossibili, riuscirà a riprendere in mano la sua vita e a cambiare per sempre le regole di quella piccola e insolita compagnia. Il cauto, rigoroso rispetto degli spazi di ciascuno lascia il posto a un nuovo senso di comunità, a una condivisione delle emozioni e degli affetti, a nuove cose da scoprire e imparare. Ah, un’ultima lezione, la vita può cambiare grazie all’uso del congiuntivo.*

sullo scaffale

Una scuola arcobaleno Valeria Roberti, Giulia Selmi Settenove, 2021

Osserva, raccogli, disegna! Giorgia Lupi, Stefanie Posavec Corraini, 2018

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Il genere è fluido? Sally Hines, Matthew Taylor Nutrimenti, 2021

CELLULOSA


Errori “We don’t need no education, We don’t need no thought control No dark sarcasm in the classroom, Teachers leave them kids alone” Pink Floyd, Another Brick in the Wall - Part 2, The Wall, 1979 Immagine di Emilio Antoniol

(S)COMPOSIZIONE



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