OFFICINA* 40

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ISSN 2532-1218 n. 40, gennaio-febbraio-marzo 2023 Rivoluzione

Urban Regeneration di Laura Scala

Un vecchio cementificio inutilizzato, come una carcassa morta, rifiorisce. La natura riconquista prepotentemente questa archeologia industriale. L’illustrazione è una critica ai continui interventi di cementificazione e all’incessante consumo di suolo e un invito alla ri-valorizzazione e ri-significazione di tutti i beni architettonici dismessi.

Revolution 40

Non tutte le rivoluzioni sono esito di processi violenti o distruttivi. Spesso una rivoluzione si innesca nel momento in cui le condizioni a contorno sono così mutate da richiedere un cambiamento.

OFFICINA*, con il suo numero 40, ribalta nuovamente il suo punto di vista sull’editoria scientifica. Dopo sei anni di attività come rivista prevalentemente cartacea, nel 2023 OFFICINA* rilancia il suo originale formato digitale, in realtà mai eliminato, ma ora rinnovato nella forma e nei contenuti con una nuova piattaforma completamente Open Access (www.officinajournal.it), e un dossier scientifico più corposo e interamente bilingue, rafforzando così la vocazione multidisciplinare e internazionale della rivista.

Non si tratta comunque di una chiusura al mondo cartaceo che in questi ultimi anni è stato riscoperto da molte riviste vecchie e nuove, ma un affiancamento delle due versioni dove quella digitale torna a essere la protagonista di un metodo di trasmissione del sapere che, a mio avviso, più si addice al presente in un’ottica di sostenibilità e condivisione. Un sapere, quello di OFFICINA*, fatto di ricerche di giovani ricercatori che meritano uno spazio realmente libero e accessibileanche economicamente - dove proporre alla comunità scientifica le proprie tesi e, allo stesso tempo, dove le loro idee possano contaminarsi con altri saperi e discipline.

Questa è la rivoluzione di OFFICINA*, un ritorno alle proprie origini digitali che, nel tentativo di stare al passo con i tempi, ci offre la possibilità di innovare ancora una volta il progetto e di proiettarlo, senza stravolgerlo, nei prossimi anni con uno spirito nuovo, rivoluzionario forse, ma soprattutto teso a fare della ricerca scientifica un veicolo di cultura per tutti.

Stefania Mangini

Direttore editoriale Emilio Antoniol

Direttore artistico Margherita Ferrari

Comitato editoriale Letizia Goretti, Stefania Mangini, Rosaria Revellini, Elisa Zatta

Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis, Sebastiano Baggio, Matteo Basso, Eduardo Bassolino, MariaAntonia Barucco, Martina Belmonte, Viola Bertini, Giacomo Biagi, Paolo Borin, Alessandra Bosco, Laura Calcagnini, Federico Camerin, Piero Campalani, Fabio Cian, Sara Codarin, Silvio Cristiano, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Paolo Franzo, Jacopo Galli, Silvia Gasparotto, Gian Andrea Giacobone, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin, Beatrice Lerma, Elena Longhin, Antonio Magarò, Filippo Magni, Michele Manigrasso, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Mickeal Milocco Borlini, Magda Minguzzi, Massimo Mucci, Maicol Negrello, Corinna

Nicosia, Maurizia Onori, Valerio Palma, Damiana Paternò, Elisa

Pegorin, Laura Pujia, Silvia Santato, Roberto Sega, Gerardo

Semprebon, Chiara Scanagatta, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Francesca Talevi, Oana Tiganea, Ianira Vassallo, Luca Velo, Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto

Redazione Martina Belmonte, Paola Careno, Silvia Micali, Arianna

Mion, Libreria Marco Polo, Sofia Portinari, Marta Possiedi, Tommaso Maria Vezzosi

Web Emilio Antoniol

Progetto grafico Margherita Ferrari

Proprietario Associazione Culturale OFFICINA* e-mail info@officina-artec.com

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Stampa AZEROprint, Marostica (VI)

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Chiuso in redazione il 15 febbraio 2023, in Siria e Turchia si sta ancora scavando tra le macerie

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L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini pubblicati.

Direttore responsabile Emilio Antoniol

Registrazione Tribunale di Treviso n. 245 del 16 marzo 2017

Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218

Pubblicazione online ISSN 2384-9029

Accessibilità dei contenuti online www.officina-artec.com

Prezzo di copertina 10,00 €

Prezzo abbonamento 2023 32,00 € | 4 numeri

Per informazioni e curiosità www.anteferma.it edizioni@anteferma.it

OFFICINA*

“Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953

Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente

N.40 gennaio-febbraio-marzo 2023 Rivoluzione

Il dossier di OFFICINA*40 - Rivoluzione è a cura di Emilio Antoniol.

Hanno collaborato a OFFICINA* 40: Tommaso Antiga, Emilio Antoniol, Maria Antonia Barucco, Laura Badalucco, Davide Baggio, Roshan Borsato, Alberto Cervesato, Giulia Conti, Nicola Corsetto, Eugenio De Ruggiero, Paola Fortuna, Letizia Goretti, Marco Marangoni, Massimo Mucci, Silvia Narducci, Margherita Pasquali, Monica Pastore, Michele Pelloso, Martina Pietropaoli, Caterina Rigo, Laura Scala, Chiara Scanagatta, Giulia Sola.

OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08.

n•40•gen•feb•mar•2023 Revolution

Urban Regeneration

Laura Scala

INTRODUZIONE È tempo di rivoluzioni? Is it time for revolutions?

Emilio Antoniol

Liberare il lessico Liberating the Lexicon

Martina Pietropaoli

La progettazione condivisa di dettagli rivoluzionari The Shared Design of Revolutionary Details

Maria Antonia Barucco

ESPLORARE

4 84

A cura di Margherita Ferrari

PORTFOLIO Le quaranta OFFICINE* Forty OFFICINE*

A cura di Margherita Ferrari

IL LIBRO Contro_urbanesimo Versus_Urbanism

Davide Baggio

I CORTI

Lo Stato libero di Cospaia: quando l’utopia prese forma The Free State of Cospaia: when utopia took shape

Letizia Goretti

Processi di produzione culturale Cultural Production Process

Alberto Cervesato

90

DR: Digital Reintegration

Nicola Corsetto Progetto su misura Bespoke Project

Progettare terre collettive Designing Collective Lands

Margherita Pasquali, Caterina Rigo

6 28 54 36 46 10 20 64 74

Ecoarchitettura e rivoluzione Eco-architecture and Revolution

Marco Marangoni, Massimo Mucci

L’IMMERSIONE

Il computer come nuovo strumento di progetto

The Computer as a New Design Tool

Monica Pastore

Rivoluzione educativa come evoluzione progettuale Educational Revolution as Design Evolution

Circular Design Strategies

Laura Badalucco, Paola Fortuna

Chiara Scanagatta INFONDO Internet killed the Video Star

Stefania Mangini

IN PRODUZIONE

La nuova programmazione pubblica in ottica di sostenibilità The New Public Programming in Optics of Sustainability

Roshan Borsato, Michele Pelloso

CELLULOSA

La rivoluzione è di tutti a cura dei Librai della Marco Polo

(S)COMPOSIZIONE

Giulia Sola, Eugenio De Ruggiero

SOUVENIR

86 100 80 76 82

La poetica del dissenso Sciopero interprofessionale

The Poetics of Dissent Interprofessional Strike

Letizia Goretti

TESI

Una danza di manti purpurei A Dance of Purplish Mantles

Giulia Conti

105

104 94 96

Don’t you know it’s gonna be (all right)

Emilio Antoniol

Rivoluzione

Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries

15 luglio 2022 - 8 gennaio 2023

Milano

triennale.org/eventi/ La 23ª Esposizione Internazionale di Triennale di Milano ha ospitato altre due grandi mostre, oltre a quella tematica (a cura di Ersilia Vaudo, astrofisica e Chief Diversity Officer all’Agenzia Spaziale Europea): La tradizione del nuovo, curata da Marco Sammicheli, Direttore del Museo del Design Italiano di Triennale, e Mondo Reale, ideata da Hervé Chandès, Direttore Generale Artistico della Fondation Cartier pour l’art contemporain. La mostra tematica Unknown Unknowns offre numerosi spunti di riflessione, molti dei quali proiettati nello spazio extraterreste, e nei futuri spazi da abitare. Incertezza e mistero sono tuttavia protagonisti anche della mostra che si sviluppa accanto, allestita sullo stesso piano della Triennale: Mondo Reale. Ospita 17 artisti internazionali, le cui

installazioni sensibilizzano l’attenzione del visitatore sulle meraviglie e sulla forza, della natura e dell’artificio, la cui potenza talvolta non può essere dominata. Vanno in scena diverse forme artistiche, che accompagnano il visitatore a esplorare diversi scenari del mondo reale, senza però necessariamente comprendere il senso e la ragione di tutto questo. Il senso di impotenza di fronte non solo alla natura, ma anche a ciò che l’uomo crea e non riesce a controllare. Per la prima volta in Italia, il film Nature (2020) di Artavazd Pelechian mostra la grandiosità della natura, nella sua bellezza e nella sua forza distruttiva, dalla forza del vento all’incontrollabilità del mare, solo per citarne alcuni. In mostra anche il film di Andrei Ujica, Unknown Quantity (2002-2005), che racconta degli abitanti di Chernobyl dopo il disastro nucleare, attraverso il dialogo tra il filosofo Paul Virilio e la giornalista russa Svetlana Alexievich, autrice del pluripremiato libro Voices from Chernobyl.

Con questa pellicola si pone l’accento su un evento che ha segnato la storia di un pianeta intero, e che forse è stata dimenticata troppo in fretta. La 23ª Esposizione Internazionale si immerge in mondi ignoti, non necessariamente futuri lontani, bensì anche in tempi recenti e attuali, e forse più misteriosa della natura, talvolta è proprio la ragione umana e le scelte che ne derivano.

CHRONORAMA. Tesori fotografici del XX secolo

12 marzo 2023 - 7 gennaio 2024 Palazzo Grassi, Venezia palazzograssi.it

Percorrendo il secolo dagli anni Dieci fino agli albori degli anni Ottanta, questa selezione presenta le opere di oltre centocinquanta artisti internazionali come Edward Steichen, Berenice Abbott, Cecil Beaton, Lee Miller, André Kertész, Horst P. Horst, Diane Arbus, Irving Penn, Helmut Newton, tra i fotografi, Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori.

4 ESPLORARE Ron Mueck, Man in a Boat, 2002. Mixed media. Photo credits: Thomas Salva / Lumento

RIVOLUZIONE

A cura di Emilio Antoniol

Contributi di Laura Badalucco, Maria

Antonia Barucco, Nicola Crosetto, Paola

Fortuna, Marco Marangoni, Massimo Mucci, Margherita Pasquali, Martina Pietropaoli, Caterina Rigo, Chiara Scanagatta.

È tempo di rivoluzioni?

“Il termine ‘rivoluzione’ denota un cambiamento repentino e radicale. Nel corso della storia, le rivoluzioni hanno avuto luogo quando le tecnologie e le nuove modalità di concepire il mondo hanno dato il via a profondi mutamenti nei sistemi economici e nelle strutture sociali” (Schwab, 2016, La quarta rivoluzione industriale). La storia umana è infatti costellata di importanti rivoluzioni, ma le crisi che hanno colpito l’umanità oggi impongono l’adozione di prospettive diverse, orientate a un nuovo modo di concepire il mondo: la rivoluzione verde, la transizione energetica, la sostenibilità alimentare e sociale, la digitalizzazione e la pervasività delle connessioni sono solo alcuni dei nuovi orizzonti verso cui la nostra società si sta orientando.

Tuttavia, ogni rivoluzione richiede grandi sforzi per attuare il cambiamento, per uscire dalla comfort zone definita dallo stato consolidato delle abitudini. Oggi, come descrive Pietropaoli, la rivoluzione “non è più quella che mette a soqquadro la città” ma è una “nuova postura verso le contraddizioni che si producono mentre ri-abitiamo la Terra”. La rivoluzione contemporanea si manifesta nei dettagli, come scrive Barucco, attraverso processi di valorizzazione delle esperienze pratiche e di ricerca che sono in grado di cambiare il modo di pensare l’architettura e con essa la città, ma anche in forme di innovazione tecnica e strumentale che ci consentono di preservare e valorizzare la memoria, come ci racconta Corsetto.

Rivoluzionarie diventano così anche quelle azionI di innovazione “tese al superamento del progetto di suolo come teorizzato nel secolo scorso” spingendo, scrivono Rigo e Pasquali, a un “cambio di ritmo nel modo in cui l’umanità abita il pianeta” e aprendo alla straordinaria stagione di rinnovamento che oggi chiamiamo sviluppo sostenibile.

Is it time for revolutions?

“The term ‘revolution’ denotes a sudden and radical change. Throughout history, revolutions have taken place when technologies and new ways of conceiving the world caused profound changes in economic systems and social structures” (Schwab, 2015, The Fourth Industrial Revolution). Human history is studded with important revolutions, but the challenges posed by the crises that have hit humanity in recent years, require the adoption of different perspectives, oriented towards a new way of conceiving the world. The green revolution, the energy transition, food and social sustainability, digitalization and the pervasiveness of connections are just some of the new horizons to which our society is moving.

However, every revolution requires great efforts to implement change, to get out of the comfort zone defined by the consolidated state of habits. Today, as Pietropaoli describes, the revolution “is no longer the one that turns the city upside down” but it is a “new posture towards the contradictions that are produced while we re-inhabit the Earth”. The contemporary revolution manifests itself in the details, as Barucco writes, through processes of valorisation of practical experiences and research that are able to change the way of thinking about architecture and with it the city; the revolution takeS also form in technical and instrumental innovation which allowS us to preserve and enhance memory, as related by Corsetto.

In this way, innovation actions “aimed at overcoming the soil project as theorized in the last century” also become revolutionary, pushing towards a “change of pace in the way in which humanity inhabits the planet” and opening up to the extraordinary season of renewal that today we call sustainable development, as Rigo and Pasquali write.

6 RIVOLUZIONE
Earthrise Dürer. Tommaso Antiga

Su questo tema però Mucci e Marangoni evidenziano una sostanziale criticità di fondo: lo sviluppo sostenibile è infatti quasi sempre interpretato come un “processo di trasformazione graduale che porta a uno stato della realtà diverso da quello di partenza, generalmente atteso a un grado maggiore di perfezionamento” dando forma a una evoluzione del nostro modo di vivere e concepire l’architettura. Una vera rivoluzione sostenibile dovrebbe invece avere un diverso obiettivo “finalizzato all’esaltazione di una grande novità che cambierà il modo di vivere”.

Tale cambiamento, radicale e repentino, non trova però, ad oggi, le condizioni necessarie a una sua attuazione forse proprio a causa della nostra difficoltà di accettare questi bruschi cambi di rotta. Gli ultimi due saggi affrontano proprio questa tematica: da un lato il contributo di Scanagatta ragiona sul ruolo che strumenti quali i Criteri Ambientali Minimi (CAM) e le certificazioni di prodotto (EPD) possono avere in questa prevista rivoluzione sostenibile, affrontando soprattutto il tema del ruolo del progettista quale “educatore” ai principi della sostenibilità; dall’altro Badalucco e Fortuna analizzano il settore del design evidenziando come l’80% degli impatti ambientali siano connessi alla produzione e quindi alla fase di progettazione, richiamando così l’urgenza di un netto cambio di prospettiva nella pratica del design.

Al centro di questa rivoluzione ci siamo quindi noi come esseri umani, come consumatori, come progettisti; ma se è vero che quando si parla di rivoluzione tutti vogliamo cambiare il mondo, come cantavano i The Beatles (Revolution 1, The Beatles, 1968), oggi non basta più “fare quel che possiamo” ma occorre mettersi in gioco per fare del nostro presente il futuro che vogliamo.*

However, on this issue Mucci and Marangoni highlight a substantial underlying criticality: sustainable development is in fact almost always interpreted as a “process of gradual transformation that leads to a state of reality different from the starting one, generally expected at a greater degree of improvement” giving shape to an evolution of our way of living and conceiving architecture. A true sustainable revolution should instead have a different purpose “aimed at the exaltation of a great novelty that will change the way of life”.

However, this radical and sudden change, does not find nowadays the necessary conditions for its implementation, perhaps because of our difficulty in accepting these changes. The last two essays deal precisely with this issue: on the one hand, Scanagatta’s contribution reflects on the role that tools such as the Minimum Environmental Criteria (CAM) and Environmental Product Declaration (EPD) can have in this foreseen sustainable revolution, addressing above all the issue of the role of the designer as an “educator” to the principles of sustainability; on the other hand Badalucco and Fortuna analyze the design sector highlighting how 80% of the environmental impacts are connected to the production and therefore to the design phase, recalling the urgency of a clear change of perspective in the practice of design.

We are therefore at the centre of this revolution as humans, as consumers, as designers; but if it is true that when it comes to revolution we all want to change the world, as The Beatles sang (Revolution 1, The Beatles, 1968), today it is no longer enough to “do what we can” but we need to get more involved to make our present the future we want.*

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Moto di Rivoluzione. Silvia Narducci

Liberare il lessico

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01. Dopo aver incontrato nel suo studio Ragione, Rettitudine e Giustizia, Cristina da Pizzano costruisce le mura della città | After meeting in her studio Reason, Rectitude and Justice, Cristina da Pizzano builds the city walls. Ms. Harley 4431, c. 290r, 1410-1414 circa, British Library, Londra; elaborazione b/n Martina Pietropaoli Martina Pietropaoli PhD, assegnista, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi Roma Tre. martina.pietropaoli@gmail.com

Liberating the Lexicon Today the revolution does not consist in turning the city upside down but in a change of posture in the face of the contradictions inherent in the transformation work that human beings pursue in order to inhabit the Earth. This reversal is accomplished first and foremost through an active vigilance of the design vocabulary. In project cultures, automatic solutions to the “crisis” make use of certain recurring concepts, instrumentalised to label obsolete ways of extracting value. The rediscovery of a female genealogy of thought is the counter-action that, through the lexicon, places an otherness-oriented view of the globe at the centre of urban becoming. By unhinging design automatisms, an imagination capable of confronting the reality of the contemporary city is unveiled.*

Oggi la rivoluzione non consiste nel mettere a soqquadro la città ma in un cambio di postura di fronte alle contraddizioni insite nel lavoro di trasformazione che l’essere umano persegue per abitare la Terra. Questa inversione di rotta si compie innanzitutto attraverso una vigilanza attiva sul lessico progettuale. Nelle culture del progetto le soluzioni automatiche alla “crisi” si servono di alcuni concetti ricorrenti, strumentalizzati per etichettare modi obsoleti di estrarre valore. La riscoperta di una genealogia di pensiero femminile è la contro-azione che, attraverso il lessico, ricolloca al centro del divenire urbano uno sguardo sul globo orientato all’alterità. Scardinando gli automatismi progettuali, si disvela un immaginario capace di confrontarsi con la realtà della città contemporanea.*

Un esercizio di inversione di rotta degli automatismi progettuali in nome della crisi

a maggior parte degli abitanti delle città oggi difficilmente accetterebbe una rivoluzione. Eppure, nel senso comune, quasi tutti richiamano la necessità di un cambiamento. Di fronte a questa inerzia della città, derivata dall’impotenza nel controllare le esternalità negative dei processi produttivi, nelle discipline progettuali si ricorre a un vocabolario della trasformazione in cui prolifera il prefisso “ri-”, che può indicare sia la ripetizione dell’azione nello stesso modo, sia un’inversione di marcia (Centemeri, 2021, p. 97). Ma anche “un cambiamento di prospettiva che permette all’azione di svolgersi in modo più compiuto, come quando si ri-flette, si ri-considera, si ri-valuta” (ibidem). È un indizio lessicale da ricondurre alla domanda: come si cambia l’esistente a partire da come abitiamo? Ci muoviamo in un’arena fittizia della rivoluzione inventando parole diverse che indicano lo stesso problema: come cambio ciò che fa resistenza? Ristrutturazione, riqualificazione, rigenerazione e recupero sono sostantivi che entrano nel lessico comune e nella normativa disciplinare. Ma oggi le parole di cui siamo più stanchi sono le stesse “gonfie e vuote” con cui progettiamo il mondo a venire, che ci hanno nutriti fino a esserne “intossicati” (Prato, 2022). Sullo sfondo la parola “crisi”, che spesso è funzionale a essere usata in maniera equivoca (Koselleck, 2012; Gentili, 2018) per nascondere la reale possibilità di flessione della traiettoria evolutiva modernista (img. 02).

Questo testo contribuisce al numero di OFFICINA* su Rivoluzione indicando un cambio di postura poggiato su due argomentazioni. Da un lato, la necessità di scardinare gli automatismi progettuali contro la crisi, che fanno leva su alcune parole delle quali reclamare invece l’interpretazione di una forma mentis femminile (primo paragrafo). Dall’altro, l’utilizzo di una genealogia di pensiero femminile per supportare dispositivi progettuali capaci di stare nella crisi, rivelando le ambivalenze dell’agire umano e le contraddizioni della realtà fenomenologica urbana che ci si presenta all’apice della crisi globale (secondo paragrafo). In cosa consiste una rivoluzione inscritta nella crisi stessa (img. 04)?

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Smontare gli automatismi progettuali

La crisi globale non può essere affrontata senza prima compiere una riflessione sugli automatismi che nel frattempo sono stati assunti dai saperi progettuali per risolvere i problemi. Se pure è condiviso il fatto che le discipline del progetto architettonico e urbano riducano la propria capacità previsionale e persuasiva, si continua a produrre un eccesso di soluzioni a fronte della mancanza di un cambiamento di

consiste nella capacità di stare nella crisi. “Stare con il problema” (Haraway, 2019) è la vera rivoluzione. Il primo passo per imparare a farlo è praticare una vigilanza attiva sulle parole.

pensiero1. Questo rischia di vanificare molte riformulazioni critiche emergenti nella pratica architettonica. Crediamo che la crisi possa essere risolta ma il vero cambiamento di postura

I due schemi dell’immagine 03 differiscono perché nel secondo c’è una postura diversa, una contro-azione del pensiero femminile che apre una possibilità di vedere la trasformazione contenuta dentro la condizione di krisis2. Questa contro-leva impedisce di ricadere senza consapevolezza in quelle soluzioni automatiche applicate nei progetti in risposta alla crisi e assimilabili ai campi semantici di Conservazione e Contesto (destra). In molti progetti, ad esempio, la dimensione locale e i legami sociali sono ridotti a slogan che non fanno che mantenere l’ordine costituito e le disuguaglianze esistenti. Accettare di rivedere attraverso una genealogia femminile (centro) i concetti funzionali a questi automatismi permette di accedere a una inedita

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02. “Mappa della retorica della crisi”, circoli viziosi e ricorrenze nelle catene di senso che si attivano pronunciando la parola crisi | “Map of the rhetoric of the crisis”, vicious circles and recurrences in the chains of meaning that are activated by humming the word crisis. Martina Pietropaoli, 2021
Oggi le parole di cui siamo più stanchi sono le stesse con cui progettiamo il mondo a venire

comprensione dei luoghi (L, sinistra e sotto), che non nasconde la “ferita con il mondo” che si produce tra noi e la Terra quando abitiamo (Ferraro, 2001).

La forma mentis femminile consiste in alcuni principi essenziali tratti dal saggio sulla sovranità femminile di Buttarelli (2017): sviluppo di un’intelligenza della realtà, sentire come radice del pensare, abbandono del pensiero dicotomico per stare nelle contraddizioni, radicamento nella relazione e rispetto dei corpi. La realtà dei luoghi e i legami affettivi sono alla base di una concezione elaborata da Buttarelli riprendendo il filo di una genealogia di pensiero anacronistica, attraverso l’intelletto di donne di ogni epoca, da Ipazia a Stein. Le pensatrici si confrontano con il grande problema posto dallo stato attuale di crisi: la mancanza di uno sguardo sul globo aperto all’alterità, contro il pensiero unico. Abbiamo conquistato e unificato il globo3 terrestre ma “la pluralità è il presupposto dell’azione umana” (Arendt, 2017, p. 41) e dell’abitare. Pluralità, moltitudine, alterità, in-

tersoggettività sono temi che attraversano le rivendicazioni civili attuali. Si reclama la necessità di una nuova sapienza di governo capace di dare spazio a queste istanze, fino ad abbracciare quelle portate dall’intera assemblea del vivente. Ma invece di cambiare il modo di pensare, si trovano soluzioni momentanee orientate al controllo e al rimedio.

Un automatismo di facile comprensione nel campo del progetto in risposta alla crisi è l’abuso della parola “vivibilità”, declinata nell’equazione “più vita = meno presenza umana”, che produce degli stereotipi che condizionano politiche e pratiche. Alla consapevolezza dell’impronta umana si reagisce con un “ri-dimensionamento” e la vivibilità sulla Terra è inversamente proporzionale alla riduzione della hybris

Facendo un passo indietro, sarebbe possibile ri-forestare, ri-inselvatichire e restituire spazio al non umano. Tale ripensamento si poggia soprattutto sulla retorica del “riparare il danno causato”, senza stabilire la rilevanza dell’intero processo di decisione rispetto alla prospettiva di ciò che è accaduto

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03. “Un’inversione di rotta”, automatismi progettuali contro la crisi e contro-leva della forma mentis femminile | “A reversal of course”, design automatisms against the crisis and counter-lever of the female mindset. Martina Pietropaoli, 2021

(Cruz, 2005). Questo senso di rinuncia riduce o aumenta le possibilità di immaginazione relative ai modi in cui abitiamo?

In secondo luogo, un altro automatismo emerge per compensare la dannosità dei nostri sistemi produttivi. Dal Movimento moderno in poi, l’attributo “intelligente” è stato dedicato alla città euroamericana e al suo funzionamento, superando oggi il connotato di razionalità con quello di smartness, derivato dalla tecnologia digitale4. Ne consegue un’applicazione normativa volta alla gestione della convivenza urbana (energia, infomobilità, e-government, teleassistenza e telemedicina) da cui è scaturito un dibattito sull’importanza della conversione dei vecchi sistemi infrastrutturali (Alberti et al., 2014). L’idea che le architetture e le infrastrutture interagiscano con gli abitanti è facilmente futuribile. Ma per re-impostare una relazione ecologicamente vantaggiosa e radicalmente diversa con la città non è sufficiente far coincidere il problema dell’“intelligenza” con quello della “dotazione” e dello scambio tra ambiente costruito e utenti, già proprio del pensiero urbanistico degli anni Sessanta.

sguardo cosmopolita sta nella fiducia in molteplici identità ma il concetto è antico quanto inesplorato nel Novecento (Beck, 2005, p. 13). Così l’idea di cittadinanza “cosmopolita” diventa un brand per vecchi modi di rigenerare la città per nulla o poco orientati alla pluralità.

Per concludere, le soluzioni automatiche emergono in un campo di applicazione trasversale ogni volta che si prova a reagire all’inerzia dell’urbano. Per fornire un esempio di come rivolgere questi automatismi nel prossimo paragrafo sarà reclamato il significato di alcuni dei termini – vivibilità, intelligenza, integrazione – attraverso il pensiero delle filosofe, in modo da chiarire il ruolo che una postura femminile 5 può avere.

Un’inversione di rotta attraverso il lessico femminile

Infine, si è fatta largo un’idea di cittadinanza globale mai compiuta, incarnata in un’idea stereotipata della metropoli che permette una vita urbana vibrante e cosmopolita (Rossi e Vanolo, 2010, p. 46). Un immaginario di città dove il melting pot e la mixité generano valore per effetto di giustapposizione. Il mito della “connessione” e dell’“integrazione” facilita soluzioni automatiche che abusano dell’idea di aggregazione per affrontare i potenziali conflitti d’uso di spazi e edifici, senza approfondire quali siano i progetti di vita dei cittadini che attraversano quei luoghi. Il coraggio dello

Convivenza/Vivibilità. Haraway (2019) chiarisce sia il problema che la postura necessaria per attraversarlo6: guardare la Terra come un’infinita manifestazione di “infezione” per superare il paradigma moralizzante della ricerca di un equilibrio perduto. Haraway (ibidem) vede in ogni forma di vita un repertorio di figure dell’agire, ispiranti soprattutto per gli atteggiamenti collaborativi tra specie, solo apparentemente parassitari (img. 05). L’imputato della riduzione della vivibilità del pianeta è spostato dalla specie umana in sé al nostro modo di pensare. Per non estinguerci non dobbiamo solo sopravvivere, ma imparare a “con-vivere” e a “con-morire”: il Capitalocene va disfatto su basi relazionali (ivi, p. 79).

La lezione femminile per il pensiero progettuale è che ritirarsi dal gioco non è il compito che ci spetta di fronte alla crisi. Al contrario, la compenetrazione dei nostri piani di relazione con gli altri esseri rivela sovrapposizioni che permettono di allenare la prosperità (ivi, pp. 49-50), generando e riconoscendo quelle parentele (ivi, p. 147) – making kin – da

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04. La città ideale come anelito della rivoluzione | The ideal city as a longing for revolution. Maria Zambrano (1999), L’agonia dell’Europa, p.92, traduzione di cortesia di agenzia Finking
La forma mentis femminile è la contro-leva per una cura attiva del lessico architettonico

porre alla base dei progetti. Per una nuova alleanza tra rivoluzioni e progetto, è fertile il dibattito sul “progetto minore” (Boano, 2020; Pietropaoli, 2018).

Intelligenza/Intuizione. L’idea di base della smart city è un “potenziamento” dell’efficienza dei comportamenti dei cittadini, reimpostando il concetto di “attrezzatura” sulla coppia azione/reazione e superando l’approccio bisogno/servizio e problema/soluzione. All’input del cittadino corrisponderebbe un output dell’ambiente artificiale. L’effetto, a ben vedere, è un minore coinvolgimento cognitivo del cittadino. L’attrito con i luoghi richiederebbe tempo, rispetto allo scorrimento del quotidiano. Per reclamare una postura femminile si può considerare l’“inciampo” qualcosa di proficuo (Caravero, pp. 41-44) e ricondurre l’intelligenza alla trattazione della parola “intuizione” che Buttarelli (2017, pp. 152-153) fa attraverso un carteggio tra Elisabetta del Palatinato e Cartesio. Lui non ha tempo per occuparsi degli affari della vita civile pur ri-

conoscendo l’importanza. Lei si è sempre trovata meglio a regolarsi mediante l’esperienza piuttosto che mediante la ragione. Per Buttarelli “il sentire come radice del pensare” è una prerogativa della via femminile alla realtà: si impara che l’intelligenza è fiducia nell’esperienza del corpo e dei sensi. Il dispositivo architettonico “intelligente” non può limitarsi a rimuovere gli ostacoli ma può funzionare da “inciampo” per far restare i cittadini pensanti. Nella ridefinizione di una teoria dell’urbano sovversiva nella postura è utile ricondurre questo tema ai recenti studi di Bianchetti (2020), che propone la centralità del corpo in una nuova prospettiva fenomenologica, riferendosi anche a Butler.

Cosmopolitica/Integrazione. Dall’agorà in poi, la possibilità di avere un posto nel dibattito pubblico è attributo della città: strade, piazze, edifici accolgono l’incontro e il dialogo. Oggi il coacervo di desiderabilità postmetropolitana (luoghi affollati, brand, musica, culture pop, abbigliamento, cibo)

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05. Donna Haraway in un fotogramma del film di Fabrizio Terranova Story Telling for Earthly Survival (2016, 1h 30m) | Donna Haraway in a frame of Fabrizio Terranova movie Story Telling for Earthly Survival (2016, 1h 30m). Elaborazione b/n di Martina Pietropaoli

pone una domanda di progetto (img. 06). Se riconduciamo la ricerca di una sintassi cosmopolita alla vicenda più ampia di una forma mentis femminile, l’idea che esista una cittadinanza globale si realizza solo compiendo una metamorfosi dello sguardo dell’autorità di governo, che ammette la presenza dell’Altro. Secondo Buttarelli (2017, pp. 156-157) la virtù politica indicata da Ildegarda di Bingen consiste nella pratica della “discrezione” e del “discernimento”. Ovvero in una “sapienza della misura” assunta nella forma dell’“adeguatezza” come virtù di governo (ivi, p. 154): saper prendere o non prendere parte a ordini diversi di relazione. Molti secoli dopo, nel 1958, anche Arendt ha inseguito la definizione di una sfera capace di accogliere questa dimensione attiva della vita (Arendt, 2017) e per lei è il pensiero che “apre nuove prospettive per pensare lo spazio comune dell’apparire: i legami, la condivisione, l’azione” (Kristeva, 2010, p. 5). Arendt s’impegna a evitare il politicamente corretto e l’assoluto dei buoni sentimenti (Buttarelli, 2017, p. 104), per tendere a “una forma di governo

della vita associata che mantenga la politica in una situazione sempre iniziale” (ibidem). Come in questa visione di una vita activa (Arendt, 2017), nei progetti la capacità di cogliere la molteplicità consisterebbe in un esercizio di percezione che non polarizzi le differenze (ricombinandole poi in dei collage) ma si disponga a farle apparire, modulando l’azione di progetto sulle diverse temporalità. Se il cosmos è la tenuta miracolosa del mondo, il sapere ciclico è quello che permette di accedere a una dimensione attiva della vita.

Conclusioni

Anche se la città fa resistenza, non è vero che non è possibile una rivoluzione. È nel senso che ri-diamo alle cose che ci circondano e in come cambia la relazione tra noi, le cose e il mondo. La rivoluzione non è più quella che mette a soqquadro la città ma è nella postura verso le contraddizioni che si producono mentre ri-abitiamo la Terra. La proposta di una operazione di scardinamento degli automatismi progettuali è

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06. Folla e musica di fronte al Sacro Cuore, Parigi | Crowd and music in front of the Sacred Heart, Paris. Martina Pietropaoli

un primo atto di disvelamento di un immaginario potenziale capace di confrontarsi con il campo della realtà della città contemporanea, dove dare un senso diverso a quello che c’è produce una metamorfosi di sé e dei luoghi. Oggetto di questa inversione di rotta è la fittizia domanda di cambiamento che emerge nei progetti e poggia la garanzia della continuità valoriale sulla ricucitura dei frammenti (Contesto) e la re-istituzione dell’identità (Conservazione), producendo forme di appartenenza ai luoghi ancora essenzialiste. Alcune bandiere rosse degli automatismi: eccessiva concentrazione sul senso di perdita, cui conseguono risposte progettuali basate sulla retorica del “risarcimento” o della “rottamazione”; rimando ossessivo alle nuove tecnologie come garanzia per l’“intelligenza” della città e il suo funzionamento; abuso dell’idea di “aggregazione” come ricaduta progettuale volta all’inclusione sociale.

Se come abbiamo detto questa costellazione di parole è riconducibile a concetti più ampi come “vivibilità”, “intuizione” e “connessione”, la forma mentis femminile è la controleva per una cura attiva del lessico architettonico e permette ai saperi progettuali un ri-atterraggio nelle relazioni come presupposto del vivere comune (img. 01-07). Alcuni elementi di questa postura: stare con i problemi prima di risolverli, il sentire come radice del pensare, l’allenamento del pensiero multispecie, il progetto come dispositivo di inciampo, la ciclicità come tempo del progetto.

Non ultimo, un esercizio di liberazione del lessico della krisis è la chiave di accesso a un futuro antico custodito dai saperi della trasformazione di tutta quella parte pensante relegata al margine del patto democratico, come le donne ma anche altri soggetti storicamente esclusi dalla sovranità. Per concludere, tra le possibili tracce di sviluppo di una postura progettuale sovversiva vale la pena evidenziare due linee di ricerca che ispessiscono cognitivamente la crisi: la centralità del corpo, il progetto minore. L’augurio è che si possa trarre ispirazione dall’esercizio proposto e da queste tracce di approfondimento per una vigilanza attiva nei confronti del vocabolario reso operativo quando si progetta.*

NOTE

1 – 2050 è la soglia scelta dalla Commissione europea per realizzare una strategia economica climaticamente neutra e le agende urbane producono slogan e soluzioni per sanare la ferita prodotta dall’azione umana sul pianeta. È questa la rivoluzione entro cui collocare tutte le altre? Invertire in trent’anni la parabola della distruzione degli ecosistemi è un’impresa che denota un gap cognitivo.

2 – Al concetto di crisi urbana ho dedicato la mia tesi di dottorato, Città europea. Alcuni fondamenti e alcune immagini della sua krisis, discussa a settembre 2021 e ancora in via di pubblicazione.

3 – O sul cosmo, se guardiamo al mondo prima della mondializzazione.

4 – I primi bandi europei sulle Smart Cities sono stati emanati allo scopo di utilizzare la tecnologia per migliorare la vita dei cittadini.

5 – La rilettura con un’altra forma mentis è un esercizio che può essere compiuto all’infinito e attraverso le lenti di qualsiasi alterità. Oltre a quello femminile ci sono altri principi esclusi dal pensiero dominante, portatori di una sapienza della trasformazione.

6 – Staying with the trouble è il titolo originale.

BIBLIOGRAFIA

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07. Incontro di Cristina da Pizzano con Ragione, Rettitudine e Giustizia | Meeting between Cristina da Pizzano and Reason, Righteousness and Justice. Ms. Harley 4431, c. 290r, 1410-1414 circa, British Library, Londra; Dettaglio

Most city dwellers today would hardly accept a revolution. And yet, in common sense, almost all call for change. Faced with this inertia of the city, derived from the impotence to control the negative externalities of production processes, design disciplines resort to a vocabulary of transformation in which the prefix ‘re-’ proliferates, which can indicate either the repetition of action in the same way, or a reversal of direction (Centemeri, 2021, p. 97). But also “a change of perspective that allows the action to unfold in a more complete way, as when it is re-flected, re-considered, re-evaluated” (ibid.). It is a lexical clue that can be traced back to the question: how do we change existing reality beginning with how we live? We move into a fictitious arena of revolution by inventing different words that point to the same problem: how do I change that which resists? Renovation, redevelopment, regeneration and recovery are nouns that enter the common lexicon and disciplinary regulations. But today the words we are most tired of are the same ones we use to design the world to come, those “swollen and empty” words that have nourished us to the point of “intoxication” (Prato, 2022). In the background is the word ‘crisis’, which is often used equivocally (Koselleck, 2012; Gentili, 2018) to conceal the real possibility of altering the modernist evolutionary trajectory (img. 02).

This text contributes to the OFFICINA* issue on Revolution by indicating a change of posture based on two arguments. On the one hand, the need to dislodge the design automatisms used to counteract the crisis, which rely on a few words which instead demand the interpretation of a female forma mentis (first paragraph). On the other hand, the use of a genealogy of feminine thought to support design mechanisms capable of abiding in the crisis, revealing the ambivalences of human action and the contradictions of the urban phenomenological reality that presents itself to us at the height of the global crisis (second paragraph). What is a revolution inscribed in the crisis itself (img. 04)?

Liberating the Lexicon

An exercise in reversing design automatisms in the name of crisis

Dismantling Design Automatisms

The global crisis cannot be tackled without first reflecting on the automatisms that have since been assumed by design knowledge to solve problems. While it is agreed that the disciplines of architectural and urban design reduce their predictive and persuasive capacity, there is still an excess of solutions in the face of a lack of change in thinking1. This risks thwarting many critical reformulations emerging in architectural practice. We believe that the crisis can be solved but the real change in posture lies in the ability to abide in the crisis. “Staying with the trouble” (Haraway, 2019) is the real revolution. The first step in learning to do this is to practice active vigilance over words.

The two diagrams in figure 03 differ because in the second there is a different posture, a counter-action of female thinking that opens up the possibility to see the transformation contained within the condition of krisis2. This counterleverage prevents an unconscious relapse into those automatic solutions applied in projects in response to the crisis and assimilated to the semantic fields of Conservation and Context (right). In many projects, for example, the local dimension and social ties are reduced to slogans that only maintain the established order and existing inequalities. Accepting to revise through a female genealogy (centre) some of the concepts on which these automatisms are based allows access to an unprecedented understanding of place (L, left and bottom), which does not conceal the “wound with the world” that is produced between us and the Earth when we inhabit it (Ferraro, 2001).

The female forma mentis consists of a number of essential principles that can be reworked from Buttarelli’s (2017) essay on female sovereignty: the development of an intelligence of reality, feeling as the root of thinking, the abandonment of dichotomous thinking in order to stand in contradictions, rootedness in relationships and respect for bodies. The reality of places and the affectivity of ties are at the basis of this conception, elaborated by Buttarelli by picking up the thread of an anachronistic genealogy of thought, which runs through the intellect of women of all ages, from Hypatia to Stein. These thinkers are confronted with the great problem posed by the current state of crisis: the lack of a view of the globe3 open to otherness, against the single thought. We have conquered and unified the globe, but “plurality is the presupposition of human ac-

tion” (Arendt, 2017, p. 41) and habitation. Plurality, multitude, otherness, intersubjectivity are themes that run through current claims in the field of civil rights. There is a demand for a new wisdom of government capable of giving space to these demands, to the point of embracing those brought by the entire assembly of the living. But instead of a shift in thinking, momentary solutions oriented towards control and remedy are found.

An easily understandable automatism in the field of design in response to the crisis is the misuse of the term “liveability”, transposed into the equation “more life = less human presence”, which produces stereotypes that condition design policies and practices. Awareness of the human footprint is reacted to by “redimensioning” and livability on Earth is inversely proportional to the reduction of hybris By stepping back, it would be possible to reforest, re-landscape and give back space to the non-human. This rethinking rests mainly on the rhetoric of “repairing the damage caused”, without establishing the relevance of the entire decision-making process to the perspective of what has happened (Cruz, 2005). Does this sense of renunciation reduce or increase the possibilities of imagination regarding the ways in which we live?

Secondly, there is another automatism that emerges to compensate for the harmfulness of our production systems. Since the Modern Movement, the attribute “smart” has been repeatedly dedicated to the Euro-American city and its functioning, overcoming today the connotation of rationality with that of smartness, derived from digital technology4. The result was a normative application aimed at managing urban coexistence (energy, infomobility, egovernment, tele-assistance and telemedicine) from which a debate on the importance of converting old infrastructural systems emerged (Alberti, Brughellis, Parlotto, 2014). The idea of architectures and infrastructures interacting with inhabitants is easily futuristic. But in order to achieve ecological benefits and to reestablish a radically different relationship with the city, it is not enough to make the problem of “intelligence” coincide with that of “equipment” and the exchange between the built environment and users, which was already part of urban planning thinking in the 1960s. Finally, an idea of global citizenship that has never been fulfilled, embodied in a stereotyped idea of the metropolis that allows for a vibrant

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and cosmopolitan urban life (Rossi e Vanolo, 2010, p. 46), has gained ground. An imaginary city where melting pot and mixité generate value through the effect of juxtaposition. The myth of “connectedness” and “integration” facilitates automatic solutions that abuse the idea of aggregation to deal with potential conflicts of use of spaces and buildings, without delving into the life projects of the citizens who pass through those places. The courage of the cosmopolitan gaze lies in the belief in multiple identities but the concept is as old as it is unexplored in the 20th century (Beck, 2005, p. 13). Thus the idea of “cosmopolitan” citizenship becomes a brand for old ways of regenerating the city that are not or not very oriented to plurality. To conclude, the scope of these automatisms is transversal and they emerge whenever one tries to react to urban inertia. To provide an example of how to address these automatisms in the next section, the meaning of some of the terms - liveability, intelligence, integration - will be reclaimed through the thinking of philosophers, in order to clarify the role that a feminine posture5 can play.

A Reversal through the Female Lexicon Coexistence/Livability. Haraway (2019) clarifies both the problem6 and the posture required to traverse it: to look at planet Earth as an infinite manifestation of “infection” allows one to move beyond the moralising paradigm of the search for a lost balance. Haraway (ibid.) sees in every form of life a repertoire of figures of action to be inspired by, revealing above all collaborative attitudes between species, only apparently parasitic (img. 05). The blame for the planet’s diminishing liveability is thus shifted from the human species itself to our way of thinking. In order not to become extinct, we must not only survive but learn to “live together” and “die together”: the Capitalocene must be unravelled on a relational basis (ibid., p. 79). The female lesson for design thinking is that withdrawing from the game is not our task in the face of crisis. On the contrary, the interpenetration of our plans of relating to the Earth with those of other beings reveals overlaps that allow us to train prosperity (ibid., pp. 49-50), generating and recognising those kinships (ibid., p. 147) - making kin - to be placed at the basis of projects. To define a new alliance between revolutions and the project, the debate on the “minor project” (Boano, 2020; Pietropaoli, 2018) is fertile. Intelligence/Intuition. The basic idea of the smart city is an “enhancement” of the efficiency of citizens’ behaviour by resetting the concept of ‘equipment’ on the action/reaction pair and by overcoming the need/service and problem/solution approach. The citizen’s input would correspond to an output of the artificial environment. The effect, on closer inspection, is less cognitive involvement of the citizen. Friction with places would take time, as opposed to the daily flow of life. In order to reclaim a feminine posture, one can consider the “stumbling”something fruitful (Caravero, pp. 44-41) and trace the “intelligence” back to the treatment of the word “intuition” that But-

tarelli (2017, pp. 152-153) makes through a correspondence between Elisabeth of the Palatinate and Descartes. He argues that he does not have time to attend to the affairs of civil life while recognising their importance. She replies that she has always found it better to regulate herself through experience rather than through reason. For Buttarelli, “feeling as the root of thinking” is a prerogative of feminine thinking: one learns that intelligence is trust in the experience of the body and the senses. The “intelligent” architectural device cannot limit itself to removing obstacles but can function as a “stumbling block” to keep people thinking. In the redefinition of a theory of the urban that is subversive in its posture it is useful to trace the elements just mentioned back to the recent studies of Bianchetti (2020), who has proposed the centrality of the body in a new phenomenological perspective, also referring to the work of Butler.

Cosmopolitics/Integration. From the agora onwards, the possibility of having a place in public debate is an attribute of the city: streets, squares, buildings welcome encounter and dialogue. Today, the patchwork of post-metropolitan desirability (crowded places, brands, attitudes, music, pop cultures, clothing, food) poses a question of design (img. 06). If we trace the search for a cosmopolitan syntax to the broader affair of a female forma mentis, the idea that there is a global citizenship becomes a reality only by performing a metamorphosis of the gaze of the governing authority, which admits the presence of the Other. According to Buttarelli (2017, pp. 156-157), the political virtue indicated by Hildegard of Bingen consists in the practice of “discretion” and “discernment”. That is, in a ‘wisdom of measure’ taken in the form of “adequacy” as a governing virtue (ibid., p. 154): knowing how to take or not to take part in different orders of relationships. Many centuries later, in 1958, Arendt also pursued the definition of a sphere capable of accommodating this active dimension of life (Arendt, 2017) and for her, it is thought that “opens up new perspectives for thinking about the common space of appearing: ties, sharing, action” (Kristeva, 2010, p. 5). Arendt strives to avoid political correctness and the absolute of good intentions (Buttarelli, 2017, p. 104), in order to strive for “a form of governance of associated life that keeps politics in an always initial situation” (ibid.). As in this vision of a vita activa (Arendt, 2017), in projects the ability to grasp multiplicity would consist in an exercise of perception that does not polarise differences (then recombining them into collages) but is willing to make them appear, by modulating design action on the different temporalities. If the cosmos is the miraculous holding of the world, cyclical knowledge is that which allows access to an active dimension of life.

Conclusions

Even if the city resists, it is not true that a revolution is not possible. It is in the sense that we re-engage with the things around us and in how the relationship between us, things and the world changes. The revolution is no

longer what turns the city upside down but is in the posture towards the contradictions that are produced as we re-inhabit the Earth. The proposal of an operation of dislodging the automatisms of design is a first act of unveiling a potential imaginary capable of confronting the field of reality of the contemporary city, where giving a different meaning to what is there produces a metamorphosis of self and place. The object of this inversion is the fictitious demand for change that emerges in the projects and rests the guarantee of continuity of values on the stitching up of fragments (Context) and the re-establishment of identity (Conservation), producing forms of belonging to places that are still essentialist. Here are some of the red flags of automatisms: an excessive concentration on the sense of loss, resulting in design responses based on the rhetoric of “compensation” or “scrapping”; the obsessive reference to new technologies as a guarantee for the “intelligence” of the city and its functioning; the abuse of the idea of “aggregation” as a design spin-off aimed at social inclusion.

If, as we have said, this constellation of words can be traced back to broader concepts such as “liveability”, “intuition” and “connection”, the female forma mentis is the counter-leverage for an active curation of the architectural lexicon and allows design knowledge a re-landing in relationships as a prerequisite for common living (imgg. 01-07). Some elements of this posture: being with problems before solving them, feeling as the root of thinking, the training of multi-species thinking, the project as a stumbling device, cyclicity as project time. Last but not least, an exercise in liberating the lexicon of krisis is the key to accessing an ancient future guarded by the knowledge of the transformation of all that thinking part relegated to the margins of the democratic pact, such as women but also other subjects historically excluded from sovereignty. To conclude, among the possible traces of the development of a subversive project posture, it is worth highlighting two lines of research capable of cognitively thickening the crisis: the centrality of the body, the minority of the project. The hope is that inspiration can be drawn from the proposed exercise and these tracks for active vigilance towards the vocabulary made operational when designing.* Translation by

NOTES

1 – 2050 is the threshold chosen by the European Commission to realise a climate-neutral economic strategy, and urban agendas produce slogans and solutions to heal the wound produced by human action on the planet. Is this the revolution within which to place all others? Reversing the parabola of ecosystem destruction in thirty years is a feat that denotes a cognitive gap.

2 – To the concept of urban crisis I dedicated my doctoral thesis, European City. Some foundations and some images of its krisis, discussed in September 2021 and still to be published.

3 – Or on the cosmos, if we look at the world before globalisation.

4 – The first European calls for proposals on Smart Cities were issued with the aim of using technology to improve citizens’ lives.

5 – Re-reading with another forma mentis is an exercise that can be carried out endlessly and through the lens of any otherness. In addition to the feminine principle, there are other principles excluded from the dominant thought but bearers of a wisdom of transformation.

6 – Chthulucene. Surviving on an Infected Planet is the Italian translation of the title Staying with the trouble.

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La progettazione condivisa di dettagli rivoluzionari

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01. Lavorazione di vetro float in Pilkington (NSG Group) a Porto Marghera | Float glass processing at Pilkington (NSG Group) in Porto Marghera. Marta Possiedi Professore associato, Tecnologia dell’architettura, Università Iuav di Venezia. barucco@iuav.it

The Shared Design of Revolutionary Details

Nothing is more revolutionary than shared intentions and the constancy required to pursue set goals. This is true even in times of crisis, it accelerates innovation and enriches our material culture. In architecture, nothing can be revolutionary if it is not shared: a revolution must have repercussions that can be perceived by more than one person and must have repercussions in more than one area. This is especially true for technologies that transform an idea into an architectural project and a design into a living, experienced space.*

Nulla è più rivoluzionario della condivisione di intenti e della costanza necessaria al perseguimento di obiettivi stabiliti. Questo vale anche nei periodi di crisi, che accelerano le innovazioni e arricchiscono la nostra cultura materiale. In architettura nulla può essere rivoluzionario se non è condiviso: una rivoluzione deve avere ripercussioni percepibili da più soggetti e deve avere ricadute in più ambiti. Ciò vale soprattutto per le tecnologie che trasformano un’idea in un progetto d’architettura e un disegno in uno spazio vivo e vissuto.*

Idee per innovare la progettazione tecnologica e ambientale in un’epoca di crescente complessità

ra gli edifici e le loro parti ci sono nessi che vanno oltre il raggiungimento delle funzioni che assolvono: si tratta di dettagli che sono rilevanti tanto per costruire la grandiosità degli edifici più rappresentativi quanto per la realizzazione degli spazi meno noti. I luoghi che viviamo sono quindi costellati di dettagli che descrivono contesti economici, politici e ambientali, equilibri sociali e anche geniali iniziative che contribuiscono alla definizione della nostra storia. In ogni dettaglio c’è un racconto che ha genesi in un’intuizione e lì c’è il germe di un’innovazione, in alcune storie di dettagli e di innovazioni si possono riconoscere delle vere e proprie rivoluzioni alle quali è necessario guardare per innovare anche in futuro.

Inoltre, nulla può essere rivoluzionario se non è condiviso e costruire è un’azione condivisa: non è un lavoro per esseri solitari ma è l’azione di uomini e donne sociali, in grado di riconoscere il valore della condivisione e di elevare questa al di sopra della possibile piacevolezza data da un equilibrio stabile, costante, controllato e non dibattuto. In alcuni luoghi per costruire ogni casa si coinvolge un’intera comunità: è un gesto di accoglienza, di solidarietà e di coesione sociale. A chi è pronto ad ascoltare e a leggere non sfugge che anche nella più tecnologica delle realizzazioni moderne convergono saperi, equilibri, condivisioni e invenzioni che alle spalle hanno saperi, equilibri, condivisioni e invenzioni secondo una logica frattale che moltiplica gli specialismi e le competenze (Antoniol e Barucco, 2020). Questa complessità consente al progetto di assecondare la richiesta di più alti standard qualitativi: così il progetto può corrispondere a esigenze che hanno declinazioni nell’ambito della sfera sociale, ambientale ed economica del vivere.

Dunque il settore edile è un contesto perfetto in cui misurare il valore di una rivoluzione: è un comparto-frattale al quale fanno riferimento innumerevoli imprese e aziende a esse riferite. Ogni ramificazione del comparto edilizio è fatta di specialisti e di competenze particolari, spesso interdisciplinari, che si sviluppano sul confine tra il sapere

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teorico, tecnico e artigiano. L’altra faccia della medaglia è ben nota: l’inerzia del settore edile è funzione del numero di soggetti che devono comprendere un’innovazione prima di apprezzarla ed eventualmente applicarla.

Tra caratteristiche peculiari e complessità strutturali, se si vuole cogliere la potenzialità delle rivoluzioni insite nei dettagli è necessario riconoscere anche la capacità di sviluppare idee: per crescere in creatività e progettazione serve mente “sempre aperta e protesa verso tutte le alterità possibili, sempre intenta a elaborarne di nuove” (Giovita, 2019).

ghi che li compongono ma anche nella cultura materiale e imprenditoriale che li identifica e li qualifica. Sono storie fatte di altalenanti vicende dalle quali è possibile imparare a riconoscere le innovazioni e le rivoluzioni.

Idee non per costruire utopie (modelli ideali) ma per elaborare visioni positive del futuro in virtù di una gamma di cose realisticamente raggiungibili, per combattere le numerose distopie tratteggiate sulle tendenze del presente. Queste visioni positive sono plurali e riconoscono il valore delle componenti prime del progetto e il valore dell’ingegno: sono practopie tecnologiche.

I primi decenni del XXI secolo rivelano la complessità dell’epoca attuale, è chiaro che saranno le scelte condivise a consentirci di fare fronte a tanta incertezza, per mobilitare risorse e proseguire verso nuove sfidanti direzioni. “In un mondo complesso […] molti decisori preferiscono provare a diminuire l’incertezza invece di imparare a convivere e lavorare con essa. Se però l’incertezza è strutturalmente legata alla complessità della nostra epoca, cercare di diminuire l’incertezza è una strategia fallimentare. La vera sfida è saper convivere con l’incertezza e imparare a gestirla” (Poli, 2022).

Guardando a una storia più lunga, i territori hanno memoria delle complessità e delle innovazioni che li hanno caratterizzati: non solo nei dettagli degli edifici e dei luo-

Non sono infatti mai mancate le incertezze, ciò che stupisce dell’oggi è la loro frequenza e pervasività, siamo ormai davvero in un mondo interconnesso e unico, in cui ogni azione è percepita ovunque (Taleb, 2012). Saranno quindi rivoluzionari i dettagli se in essi vi è innovazione, se sono strettamente legati a un contesto e se ne si fa un buon uso nel progetto. In questo elenco di doveri e necessità c’è spazio per costruire una rivoluzione della ricerca. Dunque lo sviluppo di una nuova progettazione tecnologica e ambientale dell’architettura deve partire dal confronto con la contingenza e con le realtà imprenditoriali e industriali, attraverso dinamiche interdisciplinari che consentono di superare gerarchie e ruoli per arrivare a costruire collaborazioni utili a migliorare funzionamenti, incrementare conoscenza, facilitare la comunicazione, risolvere inghippi o proporre parti alternative di sistemi frattali complessi. Questo è un approccio pratico, una practopia tecnologica fatta di ricerca, insegnamenti e condivisione.

Così facendo, guardando contemporaneamente al passato e al futuro di un territorio e delle sue eccellenze, si collezionano aneddoti e questioni, soluzioni operative e caratteri per nulla comuni ma assolutamente condivisi tra innovatori, imprese e ricercatori che collaborano per crescere individualmente e reciprocamente nello sviluppo di idee, saperi e (auspicabilmente) innovazioni. La ricerca nell’ambito della progettazione tecnologica e ambientale entra in questo territorio animato da innovatori, inventori e imprenditori offrendo ciò che è parte della sua storia: la capacità di porre in dialogo e di interpretare informazioni. Costruisce occasioni di confronto, descrive quanto c’è di innovativo in un percorso frattale e sviluppa prefigurazioni

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02. Laboratorio Pilkington (NSG Group) a Porto Marghera | Pilkington laboratory (NSG Group) in Porto Marghera. Marta Possiedi
Quando i livelli di incertezza crescono, lo sguardo verso il futuro diventa esplorazione di possibili futuri

progettuali: si impegna, in questo modo, nell’accelerazione della pervasività dell’innovazione.

Tutti imparano, si confrontano e progettano parti infinitesimali di processi che, se la logica frattale del sistema edilizio sarà favorevole, potranno portare a una miglioria concreta. Inoltre, nulla è semplice e meno una soluzione è scontata e più è interessante osservare quanti interlocutori sono pronti a confrontarsi e a contribuire con le proprie competenze e i propri prodotti per ottenere un miglioramento.

Questo tipo di gestione della complessità è caratterizzante la progettazione tecnologica e le ricerche sviluppate in tale ambito, per essere rivoluzionarie, devono valorizzare questa complessità. Gli edifici, i luoghi e il territorio tengono traccia di questa complessità in una miriade di imprese e di eccellenze che operano con grande passione e amore artigiano, lavorando a infinite personalizzazioni, con cura per i dettagli, “capaci di creatività e flessibilità, di produttività, di specializzazione, di innovazione incrementale” (Sapelli e Quintavalle, 2019). Ed è proprio questo saper fare a regola d’arte che consente a un’idea di diventare un progetto, una macchina, un processo, un prodotto.

Si tratta di sfide, di complessità, di idee e di dinamiche di innovazione effettive e caratterizzanti la storia di comparti produttivi e di territori anche differenti e distanti tra loro e posti in relazione proprio dalle innovazioni o dalle invenzioni. Un esempio è la produzione di vetro a Venezia e nel suo territorio. Poche produzioni possono essere identificate con un territorio specifico quanto il vetro di Murano, le leggi che la Serenissima impone per preservare i segreti industriali, il rapporto con le vetrerie della Boemia, gli specchi, le perle, le murrine.

Il comparto del vetro in Veneto però non è solo storia e tradizione, innovazione e invenzione dell’artigianato artistico. Una rosa di imprese piccole, medie e grandi lavorano alla produzione e alla lavorazione del vetro piano e del ve-

tro cavo. Pilkington Italia produce per NGS Group il vetro extrachiaro impiegando le sabbie portoghesi e lavorando allo sviluppo di più alti livelli di sostenibilità ambientale, ad esempio raccogliendo l’acqua piovana per impiegarla all’interno della filiera produttiva. Sfera è una piccola impresa che detiene brevetti e segreti per la curvatura del vetro piano per la realizzazione di elementi d’arredo e vetrate curve, lavora vetri stratificati e di sicurezza con curvature doppie e ad andamento variabile. Forel è produttore di macchine per la lavorazione del vetro e incide significativamente sul mercato internazionale proponendo macchinari dall’elevata durabilità, sviluppando sistemi ad altissima automazione e in grado di lavorare anche lastre di 18 metri di lunghezza. Isoclima è specialista nella realizzazione di vetri antisfondamento e di vetri strutturali per i corpi armati della difesa, vetri per i treni ad alta velocità, gli ultraleggeri Gorilla Glass, per il settore aerospaziale e, tra le realizzazioni nel campo dell’architettura, c’è la famosa scala in vetro realizzata per Apple. Zignago Vetro dagli anni Cinquanta lavora il vetro cavo cambiando la storia delle zone rurali in cui si insedia l’azienda che produce contenitori in vetro cavo per l’industria alimentare, cosmetica e profumeria. Stevanato lavora dalla metà del Novecento alla produzione di vetro per il set-

tore sanitario e farmaceutico, innovando prodotti e produzioni, investendo fortemente nella ricerca.

E questo elenco di eccellenze non è completo e deve comprendere anche tutte le realtà produttive che, a cavallo tra l’indagine artistica e l’innovazione progettuale, fanno ricerca nell’ambito del riciclo e dell’economia circolare. Altre imprese ancora hanno come baricentro Murano e

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03. Realizzazione di finestre su progetto in Piavevetro | Production of tailor-made windows at Piavevetro. Piavevetro
Costruire è un’azione condivisa: non è un lavoro per esseri solitari ma è l’azione di uomini e donne sociali

usano la tradizione come un trampolino per sviluppare lavorazioni d’eccellenza a livello internazionale. Tra tutte, la più recente è Rehub, che lavora gli scarti del vetro grazie alle tecnologie additive e connette un’arte millenaria alle tecnologie più innovative grazie allo sviluppo di soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

Questi esempi mostrano forte tensione verso il futuro, capacità progettuale e impegno costruttivo. Sono imprese animate dalla ricerca di innovazione, dalla capacità di investire in sperimentazione e di crescere grazie a una costante ricerca di collaborazione tra molti. Sono realtà che hanno fatto (e che magari faranno) rivoluzioni e che, grazie a una capacità di lavoro straordinaria, hanno caratterizzato la crescita di un territorio che ancora meno di cento anni fa era terra di miseria ed emigrazione.

La criticità caratterizzante il periodo storico (World Uncertainty Index, 2022) mostra che i livelli di incertezza crescono e la progettazione tecnologica e ambientale deve assumere i connotati dell’esplorazione di possibili futuri. Futuri perché ogni futuro è messo in discussione da rocamboleschi e repentini cambiamenti del contesto. Futuri plurali perché è irrazionale individuare una sola via sulla quale investire risorse, tempo e ingegno. È indispensabile il

minuta dei dettagli capaci di innescare logiche frattali. Solo così è possibile che la “multi-organizzazione temporanea” (Sinopoli, 1997) che costituisce l’anima invisibile del progetto d’architettura possa sviluppare eccellenze produttive e professionali in contesti variegati e mai uguali ad altri. Un percorso difficile, più difficile nell’epoca dell’incertezza, ma per questo ancora più necessario: è una practopia in cui al centro non vi è la tecnica e la riduzione dei consumi o la tecnica e la crescita del profitto ma al centro della quale c’è il pensiero, il dialogo, l’ingegno e la relazione tra tanti per immaginare e progettare scenari a vantaggio di ciascuno e di tutti. In questo modo dettagli e intuizioni vengono studiati per capire se e come possono essere utili per lo sviluppo di progetti e che, auspicabilmente, domani saranno in grado di caratterizzare un’epoca di soluzioni, prodotti, edifici e luoghi per i quali la sostenibilità ambientale, sociale ed economica saranno i prerequisiti indispensabili.

lavoro coordinato e condiviso tra più interpreti e specialisti che fanno riferimento a diversi ambiti di studio e che sono coinvolti nel progetto condiviso di una practopia tecnologica. Questo è un lavoro utile a immaginare e a costruire il mondo di domani, anche e soprattutto a partire dalla scala

I dati Istat (2022a) mostrano l’estrema difficoltà delle imprese del settore delle costruzioni in Italia. L’indice della produzione, dopo il profondissimo crollo del 2020 e l’impennata dei primi mesi del 2021, descrive un leggerissimo ottimismo. D’altro canto la fiducia delle imprese afferenti al comparto delle costruzioni è in grande fatica: il crollo degli ordini (in tendenza settembre 2021-settembre 2022) e il raddoppio (abbondante) dei prezzi praticati dall’impresa sono difficili da ignorare. E anche l’osservazione dei dati relativi alle industrie manifatturiere non lascia grande spazio all’ottimismo: il giudizio sugli ordini a saldo a settembre 2021 era 6.9 e a settembre 2022 era -5.9 e se si osserva il giudizio sugli ordini dall’interno nello stesso periodo si deve confrontare un 2 con un -8.5, e parte della colpa va alle filiere di approvvigionamento rallentate o interrotte (Istat, 2022b).

“La pandemia, la guerra della Russia contro l’Ucraina, la

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04. Vetro curvato e temprato in Sfera | Curved and tempered glass at Sfera. Rosaria Revellini
Per una ricerca che sia in grado di descrivere e supportare il sistema frattale che porta allo sviluppo di invenzioni e innovazioni

crisi energetica e quella climatica, la carenza di materie prime alimentari e industriali, e l’inflazione che ne consegue, stanno determinando situazioni di criticità, che indeboliscono produzione e occupazione e rendono più difficile raggiungere i traguardi di sostenibilità [...] inclusi quelli di equità sociale” (Camarda, 2022).

Per queste ragioni e queste complessità è indispensabile che la ricerca dia supporto e si ponga al servizio di un’attenta descrizione del sistema frattale che porta allo sviluppo di invenzioni e innovazioni: sarà una rivoluzione (non solo per il settore edile) se questa rete di relazioni e correlazioni sarà valorizzata, compresa e conosciuta. Non esclusivamente per dare conto a una rete di esperti e competenze che caratterizzano le piccole, le piccolissime e le medie aziende che animano questo sistema ma anche per trasmettere una cultura del fare e un modo di lavorare che troppo spesso viene ignorato o dato per scontato. Una rivoluzione necessaria della ricerca: che deve insegnare a guardare contemporaneamente alla storia e al futuro di comparti che sono a tutti gli effetti storia, territorio e fucina di innovazioni, occasioni di sviluppo ed eccellenze a livello internazionale. Una rivoluzione che si fonda sulla responsabilità: insegnare e connettere è un dovere e leggere e ascoltare sono le azioni imprescindibili sulle quali deve essere fondata ogni azione di descrizione e di progetto delle innovazioni future. Un approccio pratico all’innovazione della tecnologia è fatto quindi prima di ascolto e poi di progetto. Questa practopia tecnologica fonda il proprio contributo all’innovazione sulla valorizzazione dei contesti e sull’interdisciplinarità. Una practopia tecnologica che è fatta di ricerca e vuole produrre occasioni in cui attori differenti, istituzioni, enti e imprese siedono a un tavolo di discussione per progettare soluzioni per futuri possibili, in grado di rispondere a domande di complessità crescente e riferite a livelli di qualità imprescindibili dalla componente sociale, economica e ambientale. Una ricerca che per essere practopia tecnologica descrive e insegna ciò che viene messo in atto quotidiana-

mente da imprese e ricercatori; si tratta di una vera e propria attività di informazione e di educazione che usa strumenti vari e di una velocità stupefacente. Una ricerca che deve sviluppare un nuovo tipo di formazione per mettere in discussione la lentezza delle innovazioni nell’industria delle costruzioni. Infine, non si può prescindere da strumenti per lo sviluppo, la simulazione e la prefigurazione progettuale che aprono a nuove possibilità e lasciano poco spazio all’incertezza. Strumenti e dati utili a supportare il coordinamento di informazioni e competenze varie e specifiche, ingegno e macchine in grado di concretizzare in modo flessibile e puntuale ciò che viene sviluppato per provare a divenire un’innovazione.

La fortuna delle storie e delle innovazioni è in balìa di una moltitudine di eventi e il tempo lungo dell’architettura è il giudice di questi percorsi fatti di occasioni e di sperimentazioni. Ma la ricerca condivisa tra più, la capacità di insegnare l’innovazione e il trasferimento scientifico, tecnologico e culturale e di trasformazione produttiva delle conoscenze segnano una rotta indispensabile per sviluppare future rivoluzioni.*

BIBLIOGRAFIA

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05. Scarti di vetro stampati a freddo | Glass waste printed. Rehub Studio

Buildings and their parts are connected by something beyond the achievement of the functions they fulfil: these are details. These details are made of concrete things. They are details that are as necessary for the construction of the grandeur of the most representative buildings as they are for the realisation of lesser-known spaces. The places we live in are therefore studded with details that describe economic, political and environmental contexts, social balances and even ingenious initiatives that help define our history. In every detail there is a story that has its genesis in an intuition. Therein lies the germ of an innovation. In some stories of details and innovations there are real revolutions that must be studied in order to innovate in the future. Moreover, nothing can be revolutionary if it is not shared. Building is a shared action, it is not a job for solitary beings, but it is the action of social men and women who are able to appreciate the value of sharing and to elevate this above the possible pleasantness provided by a stable, constant, controlled and non-debated balance. In some places an entire community is involved in building each house: it is a gesture of openness, solidarity and social cohesion. Even in the most technological of modern realisations, it is possible to read and understand the convergence of knowledge, balances, partnerships and inventions that only exist thanks to as many knowledge, balances, partnerships and inventions: this follows a fractal logic that multiplies specialisms and skills (Antoniol e Barucco, 2020). Due to this complexity, the project corresponds to the demand for higher quality standards and requirements that have implications in the social, environmental and economic spheres of living.

Thus, the construction sector is a perfect context in which to measure the value of a revolution: it is a fractal compartment made up of innumerable companies and related enterprises. Each branch of the construction industry is made up of specialists and special, interdisciplinary skills, which develop on the border-

The Shared Design of Revolutionary Details

Ideas to innovate technological and environmental design in an era of increasing complexity

line between theoretical, technical and artisan knowledge. The other side of the coin is well known: the inertia of the construction sector is a function of the number of people who must understand an innovation before it can be appreciated and possibly applied. Amidst peculiar characteristics and structural complexities, to grasp the potential of the revolutions inherent in details, it is necessary to appreciate the ability to develop ideas. To grow in creativity and design, the mind must always be open and stretched towards all possible otherness, it must always be intent on elaborating new possibilities (Giovita, 2019). Ideas not to construct utopias (ideal models) but to elaborate positive visions of the future by virtue of a range of things that are realistically attainable, to combat the many dystopias sketched on the trends of the present. These positive visions are plural and appreciate the value of the raw components of design and the value of ingenuity: they are technological practopias.

The first decades of the 21st century reveal the complexity of the present era. Shared choices will be essential to cope with so much uncertainty, to mobilise resources and to move forward in challenging new directions. In a complex world, many decision-makers prefer to try to decrease uncertainty instead of learning to live and work with it. But if uncertainty is structurally linked to the complexity of our age, then trying to decrease uncertainty is a failed strategy. The real challenge is to live with uncertainty and learn how to manage it (Poli, 2022). Looking back over a longer history, territories have memories of the complexities and innovations that have characterised them: not only in the details of the buildings and places that make them up, but also in the material and entrepreneurial culture that identifies and qualifies them. They are histories made up of ups and downs from which it is possible to learn to appreciate innovations and revolutions. In fact, uncertainties have never been lacking. What is astonishing about today is their frequency and pervasiveness, we are now

truly in an interconnected and unique world, where every action is felt everywhere (Taleb, 2012). So details will be revolutionary if there is innovation in them, if they are closely linked to a context and if they are put to good use in the project. There is room in this list of duties and necessities to revolutionise the research. Consequently, the development of a new technological and environmental design of architecture must start from a dialogue with the contingency and with entrepreneurial and industrial realities; it must develop through interdisciplinary dynamics that allow overcoming hierarchies and roles to build collaborations useful to improve operations; it can increase knowledge, facilitate communication, solve entanglements or propose alternative parts of complex fractal systems. This is a practical approach, a technological practopia made up of research, teaching and sharing. In doing so, looking simultaneously at the past and future of an area, much of what makes it unique emerges: anecdotes and issues, operational solutions, characters that are not at all common but absolutely shared between innovators, companies and researchers who work together to grow individually and reciprocally in the development of ideas, knowledge and (hopefully) innovations. Research in the field of technological and environmental design relates to this area animated by innovators, inventors and entrepreneurs by offering what is part of its history: the ability to dialogue and interpret information. Research builds opportunities for confrontation, describes what is innovative in a fractal path, and develops design prefigurations. In this way, research accelerates the pervasiveness of innovation. Everyone learns, compares and designs infinitesimal parts of processes that, if the fractal logic of the building system is favourable, can lead to concrete improvement. Nothing is simple. And the less a solution is taken for granted, the more people are open to confront it and contribute their expertise and products for improvement. This type of complexity management char-

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acterises technological design. And research must exploit this complexity if it is to be revolutionary. Buildings, places and territories keep track of this complexity in a myriad of companies and excellences that operate with great passion and artisan love, working on endless customisation, with attention to detail, capable of creativity and flexibility, productivity, specialisation, incremental innovation (Sapelli e Quintavalle, 2019). This know-how in a workmanlike manner allows an idea to become a project, a machine, a process, a product. These are challenges, complexities, ideas and actual innovation dynamics that characterise the history of production sectors and territories that may be different and distant from each other but are linked by innovations or inventions. One example is the production of glass in Venice and its territory. Few productions can be identified with a specific territory as much as Murano glass: the laws imposed by the Serenissima Republic of Venice to preserve industrial secrets, the relationship with Bohemian glassworks, mirrors, pearls, murrine. But the glass sector in Veneto is not only history and tradition, innovation and the invention of artistic craftsmanship. A range of small, medium and large enterprises work on the production and processing of flat and hollow glass. Pilkington Italia produces extra-clear glass for NGS group using Portuguese sands and working to develop higher levels of environmental sustainability, for example by collecting rainwater for use in the production chain. Sfera is a small company that holds patents and secrets for the curvature of flat glass for furniture and curved glazing, and processes laminated and safety glass with double and variable curvatures. Forel is a manufacturer of glass processing machines and makes a significant impact on the international market by offering highly durable machines, developing highly automated systems capable of processing even 18 metre long plates. Isoclima is a specialist in the production of shatterproof and structural glass for defence forces, glass for high-speed trains, ultra-light Gorilla Glass, glass for the aerospace industry and, among its achievements in the field of architecture, there is the famous glass staircase made for Apple. Zignago Vetro has been processing hollow glass since the 1950s, changing the history of the rural areas where the company was established, producing hollow glass containers for the food, cosmetics and perfumery industries. Stevanato has been working since the mid-20th century on glass production for the health and pharmaceutical sectors, innovating products and production and investing heavily in research. And this list of excellence is not complete and must also include all the production realities that, straddling artistic investigation and design innovation, do research into recycling and the circular economy. Still other companies have Murano as their centre of gravity and use tradition as a springboard to develop workmanship of excellence at an international level. Of them all, the most recent is Rehub, which processes glass waste using additive technologies and connects an age-

old art to the most innovative technologies by developing environmentally, economically and socially sustainable solutions. These examples show a strong drive towards the future, planning ability and constructive commitment. They are companies driven by the quest for innovation, the ability to invest in experimentation and to grow thanks to a constant search for collaboration among many. They are realities that have made (and perhaps will make) revolutions and that, thanks to an extraordinary capacity for work, have characterised the growth of an area that even less than a hundred years ago was a land of misery and emigration.

The criticality characterising the historical period (World Uncertainty Index, 2022) shows that uncertainty levels are increasing. Technological and environmental design must therefore resemble the exploration of possible futures. Futures because every future is challenged by abrupt and sudden changes in context. Plural futures because it is irrational to single out just one path on which to invest resources, time and ingenuity. To do this, coordinated and shared work between several interpreters and specialists who refer to different fields of study and are involved in the shared project of a technological practopia is indispensable. This is work that is useful for imagining and building the world of tomorrow, even and above all starting from the minute scale of details capable of triggering fractal logic.

The “temporary multi-organisation” (Sinopoli, 1997) that constitutes the invisible soul of the architectural project can thus take shape and develop productive and professional excellence in varied and ever-changing contexts. A difficult path, made more difficult by the age of uncertainty, and for this reason all the more necessary: it is a practopia in which at the centre is not technique and the reduction of consumption or technique and the growth of profit, but at the centre of which is thought, dialogue, ingenuity and networking among many. A work done to imagine and design scenarios for the benefit of each and all. In this way, details and insights are studied to see if and how they can be useful in the development of projects that will hopefully tomorrow characterise an era of solutions, products, buildings and places for which environmental, social and economic sustainability will be indispensable prerequisites. Istat data (2022a) show that companies in the Italian construction sector are in extreme difficulty. The production index, after the very deep slump in 2020 and the surge in the first months of 2021, describes a very slight optimism. On the other hand, the confidence of companies in the construction sector is in great distress: the collapse of orders (on trend September 2021-September 2022) and the (abundant) doubling of prices charged by companies are hard to ignore. And even looking at the data for the manufacturing industries does not leave much room for optimism: the balance order rating in September 2021 was 6.9 and in September 2022 it is -5.9. During the same period, the assessment of orders from within is rated first 2 and then -8.5. Part of the blame for this slump lies with supply

chains that have slowed down or stopped (Istat 2022b).

The pandemic, Russia’s war against Ukraine, the energy and climate crisis, shortages of food and industrial raw materials, and the resulting inflation are leading to critical situations that weaken production and employment and make it more difficult to achieve sustainability goals including those of social equity (Camarda, 2022). For these reasons and these complexities, it is indispensable for research to support and be at the service of a careful description of the fractal system that leads to the development of inventions and innovations: it will be a revolution (not only for the construction sector) if this network is valued, understood and known. Not only to account for a network of experts and skills that characterise the small, very small and medium-sized companies that animate this system, but also to convey a culture of doing and a way of working that is too often ignored or taken for granted. A necessary revolution in research: that must teach us to look simultaneously at the history and the future of sectors that are truly history, territory and a forge of innovations, opportunities for development and international excellence. A revolution that is based on responsibility: teaching and connecting is a duty, and reading and listening are the indispensable actions on which any description and design of future innovations must be based. A practical and pragmatic approach to technology innovation is therefore made up first of listening and then of design. This technological practopia bases its contribution to innovation on contextualisation and interdisciplinarity. A technological practopia that is made of research and wants to produce occasions where different actors, institutions, bodies and companies discuss and work to design solutions for possible futures. Futures capable of responding to demands of increasing complexity and referring to levels of quality that are inseparable from the social, economic and environmental component. A research that to be technological practopia describes and teaches what is implemented on a daily basis by companies and researchers; it is a true information and education activity that uses various tools and at an astonishing speed. Research that must develop a new type of training to challenge the slowness of innovation in the construction industry. Finally, the tools for development, simulation and project prefiguration must provide new possibilities and leave little space for uncertainty. Tools and data are useful for the coordination of various and specific information and skills. Ingenuity and tools are needed to realise in a flexible and timely manner what is developed to try to become an innovation.

The fortunes of histories and innovations are at the mercy of a multitude of events, and the long time of architecture is the judge of these paths of opportunity and experimentation. But shared research, the ability to teach innovation, and the scientific, technological and cultural transfer and productive transformation of knowledge mark an indispensable course for developing future revolutions.*

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DR: Digital Reintegration

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01. Il campanile del Duomo di Caserta Vecchia | The bell Tower of the Caserta Vecchia Cathedral. Nicola Corsetto Nicola Corsetto Dottorando in Architettura, Disegno Industriale e Beni Culturali, Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli. nicola.corsetto@unicampania.it.

DR: Digital Reintegration Cultural heritage conservation and preservation activities are leading a modern revolution with constantly updating objectives and processes. Thanks to technology transfer from the field of photography, design and rapid prototyping a novel methodology where buildings or areas are rapidly surveyed and digitized can be implemented. The prototyping and postproduction of certain architectural parts allows their restoration and/or replacement, functional to the management of new horizons for innovative and sustainable digital restoration.*

Le attività volte alla conservazione e tutela dei beni culturali sono oggetto di una moderna rivoluzione con obiettivi e processi sempre in continuo aggiornamento. Grazie al trasferimento tecnologico dall’ambito della fotografia, del design e della prototipazione rapida, può essere attuata un’inedita metodologia dove edifici o aree vengono rapidamente rilevate e digitalizzate. La successiva prototipazione e postproduzione di determinate parti architettoniche, consente il loro ripristino e/o sostituzione, funzionale alla gestione di nuovi orizzonti per un restauro digitale innovativo e sostenibile.*

ell’attuale periodo storico, caratterizzato da una profonda evoluzione dei nuovi processi di digitalizzazione, le conseguenti innovazioni comportano significativi cambiamenti con l’introduzione di inedite tecnologie volte a migliorare processi e servizi offerti per i più svariati ambiti. La conservazione e il restauro di architetture di riferimento al settore specifico dei beni culturali è parte di un settore di alto interesse, in cui alcune attività risultano ancora poco aggiornate, con applicazioni e sviluppi effettuate perlopiù “a mano” richiedendo un maggiore numero di persone e apparecchiature coinvolte nelle diverse operazioni, con grande dispendio di costi e materiali per ottenere i risultati richiesti. I procedimenti sopraccitati sono i principali attori di questa rivoluzione, maturata anche attraverso il totale cambiamento dei precedenti approcci, mediante lo sviluppo di nuove metodologie operative caratterizzate dal trasferimento tecnologico. Inoltre il successivo intreccio di differenti figure professionali direttamente connesse al contesto di industria 4.0, si fonda con tutti gli elementi che caratterizzano il fenomeno di “connessione” tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse attraverso big data e adattamenti realtime. Tale processo attuativo si rende efficiente mediante l’introduzione di una significativa mutazione dei ruoli e delle strumentazioni utilizzate, che permette lo sviluppo di nuove metodologie di restauro e ricostruzione, valorizzate da una transizione del tutto orientata su contesti e supporti digitali. Il nuovo approccio è finalizzato a orientare lo sguardo verso un inedito concetto volto al “recupero del passato” sia in termini di riduzione dei costi, sia di utilizzo di materiali. Nello specifico, attraverso una nuova metodologia sistemica che vede come protagonista la figura del “restauratore digitale” si potrà identificare una nuova figura specialistica che si occuperà di ricostruire parti architettoniche di rilevante importanza tramite strumenti digitali e una riproduzione realizzata con sofisticati macchinari a prototipazione rapida (stampa 3D).

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Inediti criteri per la drastica mutazione dei concetti relativi al restauro e alla ricostruzione architettonica

L’obiettivo atteso si concretizza in un’applicazione finale caratterizzata da materiali e tecniche permettendo nel contempo una migliore gestione dei processi in linea con le attuali esigenze che richiedono maggiori sforzi in termini di applicazioni e produzioni sostenibili, in totale compatibilità con gli ambienti e senza recare danno a cose o persone coinvolte nello sviluppo di determinati elementi.

Negli ultimi anni sono state effettuate sperimentazioni nell’ambito architettonico utilizzando software e tecnologie per il rilievo e l’analisi (Caudullo, 2020), che testimoniano la volontà di innovare i processi ed effettuare nuovi studi allo scopo di facilitare l’operatività dei tecnici specializzati e di restituire dati sempre più fedeli in linea con parametri informatici necessari ai successivi passaggi richiesti. Elemento caratterizzante del progetto è sicuramente l’utilizzo di droni, che permettono di raggiungere zone impraticabili per effettuare “scatti fotografici” a edifici o complessi architettonici difficilmente raggiungibili; un significativo

esempio è rappresentato dall’antico borgo medievale di Caserta Vecchia (Campania), dove sono state svolte diverse sperimentazioni relative alle attività di rilievo e restauro digitale, con lo svolgimento di molteplici sessioni di fotografia aerea di parti e sezioni architettoniche degli edifici e del noto campanile del Duomo, al fine di mettere in pratica tutti gli aspetti relativi al progetto DR.

Obiettivi

Volendo identificare gli obiettivi di DR bisogna sottolineare la “molteplicità degli output” e la potenziale tendenza a “rivoluzionare digitalmente” le attuali operazioni di restauro e rilievo delle architetture soprattutto storiche, che conseguenzialmente mirano all’abbassamento di rischi per gli operatori coinvolti in determinate attività. Il valore aggiunto da tale metodologia è rappresentato dai processi derivanti dal trasferimento tecnologico di strumenti e applicazioni nell’ambito Industria 4.0, a vantaggio della riduzione

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02. Strumenti operativi | Operational tools. Nicola Corsetto

delle tempistiche di lavorazione e dei materiali, impiegati nelle diverse fasi del processo, e che si occupano di porre le basi a inediti scenari nel totale rispetto dei principi di sostenibilità ambientale. Semplificare le operazioni di ispezione, rilievo e restauro di zone difficilmente raggiungibili è uno degli aspetti principali della seguente metodologia, così come sviluppare una fedele digitalizzazione degli edifici, delle parti e delle aree architettoniche senza l’utilizzo di personale direttamente collocato sul posto. La possibilità di “memorizzare” digitalmente gli elementi al fine di analizzare e cercare parti danneggiate o che comunque necessitano di sostituzione, è uno dei valori aggiunti del progetto che prevede esclusivamente l’utilizzo di macchine prototipatrici per la ricostruzione degli elementi danneggiati e/o degradati, con tecnologie che hanno subito profonde innovazioni con l’avvento dei nuovi layout industriali e delle relative procedure. È importante evidenziare come un ulteriore beneficio derivante dall’utilizzo di stampanti 3D sia anche rappresentato dalla gestione del prodotto totalmente sostenibile, infatti i diversi materiali di stampa (filamenti) attualmente in commercio, garantiscono alte prestazioni legate alla resistenza all’usura, al calore e alle sollecitazioni, con caratteristiche di biodegradabilità essendo gli stessi prodotti a partire da elementi naturali o comunque materie riciclate. Queste proprietà garantiscono la ricostruzione di piccole porzioni di architetture soggette a danni o che necessitano una sostituzione, e si unificano ad apposite tecniche di postproduzione per una corretta reintegrazione di edifici o complessi che fanno parte dei beni culturali. Le suddette metodologie mirano ad abbattere costi e tempi di sviluppo per donare una differente impronta all’ambito del restauro con il supporto di tecniche ottenute intrecciando diversi campi, come la fotografia, il design e la prototipazione rapida.

Approccio e metodi

Le tecnologie applicate nel progetto DR prevedono principalmente l’utilizzo di apparecchiature utilizzabili da utenti non professionali. Infatti le più moderne camere ad alta risoluzione 4K per foto e video sono oramai disponibili in commercio anche su droni per fotografia aerea dai costi contenuti che, tuttavia, permettono una corretta applicazione delle tecniche interessate nelle attività in oggetto. L’attenzione della sperimentazione è focalizzata sulle prestazioni d’uso di questi strumenti che consentono di aggiungere zone e aree impervie (come ad esempio poste in altezza) per un’osservazione diretta, ottenendo molteplici scatti da differenti angolazioni al fine di elaborare e processare un modello digitale definitivo. Gli strumenti indi-

cati vengono impiegati nelle tecniche di rilevazione tramite fotogrammetria, ampiamente utilizzata nell’ambito in questione (Verdoscia et al., 2022), prevedendo un processo di elaborazione e sviluppo di differenti scatti aerei ottenuti utilizzando particolari software che sfruttano l’Intelligenza Artificiale per predefinire automaticamente la missione del drone (creazione di tappe ben precise tramite sistema di waypoints, ovvero la selezione di un percorso con determinate tappe da effettuare, ecc.) al fine di fotografare precise angolazioni dell’elemento interessato nelle diverse viste, con lo scopo di sviluppare in un primo passaggio un primordiale modello tridimensionale su cui occorre

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Il nuovo approccio è finalizzato a orientare lo sguardo verso un inedito concetto volto al “recupero del passato” sia in termini di riduzione dei costi, sia di utilizzo di materiali

prin-

digitali ottenuti (nuvola di punti, gruppo digitale d’informazioni e coordinate legate all’originale forma e posizione dell’edificio scansionato) è la necessaria presenza di un operatore specializzato per la corretta messa in scala degli elementi secondo strumenti e riferimenti calcolati, specificamente introdotti all’interno dell’ambiente soggetto a scansione,

del processo di

con il conseguente controllo e pulizia di informazioni obsolete tramite software delle sezioni e delle parti coinvolte nella scansione in ambiente virtuale. Lo scopo di tale operazione è eliminare gli elementi superflui nell’ambiente riprodotto per effettuare l’isolamento dei punti interessati, a cui segue una successiva fase di elaborazione allo scopo di ottenere un’immagine 3D definitiva (nuvola densa e mesh) da cui è possibile passare allo step di produzione tridimensionale fisica. La tecnica di produzione avviene tramite la preparazione del modello in un apposito software di prototipazione rapida (in formato STL, stereolitografia), dove viene scelto il materiale e alcuni tra i principali parametri di stampa, come la resistenza, lo spessore, la finitura e la

qualità finale, contribuendo a ottenere le caratteristiche e gli aspetti fondamentali per le caratteristiche progettuali richieste. Le fasi prima citate permettono lo sviluppo del passaggio principale del progetto in questione, ovvero inserendo il modello digitale perfezionato nel computer di una macchina prototipatrice (stampante 3D) che provvede alla produzione delle matematiche elaborate in diverse ore, restituendo un modello realistico e conforme all’analisi e al rilievo precedentemente svolto. Il valore aggiunto è dovuto sicuramente dai materiali naturali utilizzati come il PET-G Natural (polietilene tereftalato) e ASA (acrilonitrile stirene acrilato), che consentono la riproduzione di elementi efficienti e duraturi nel tempo, con proprietà di resistenza meccanica e all’usura soprattutto dalle condizioni atmosferiche come pioggia e calore, con principi di biodegradabilità e sostenibilità, e il PLA (Monti, 2021) ancora in fase di sviluppo per un applicazione definitiva in ambienti esterni. La stampa 3D finale viene poi postprodotta con le più moderne tecniche che tendono a simulare gli aspetti di elementi e parti architettoniche del passato e attuali, con lavorazioni caratterizzate da vernici opache, polveri di gesso o sfumati e riflessi effettuati “a mano” con accurate tecniche di aerografia finalizzata a sua volta a una corretta riproduzione dell’usura e degli aspetti fondamentali “caratterizzanti” agli oggetti interessati dal restauro.

Risultati

Il risultato finale è conseguito attraverso la sperimentazione di una nuova metodologia di restauro e ricostruzione architettonica con un rivoluzionario concetto di “integrazione sistemica innovativa” mediante la possibilità di riprodurre determinati elementi architettonici, incrociando

32 RIVOLUZIONE
03. Scansione di un elemento architettonico | Scan of an architectural model. Nicola Corsetto una fase di ottimizzazione e verifica. Caratteristica cipale perfezionamento dei modelli
Una nuova metodologia di restauro e ricostruzione architettonica basata su un rivoluzionario concetto di “integrazione sistemica innovativa” che consente di riprodurre elementi architettonici, incrociando le tecniche di acquisizione laser/digitale fotografica con la stampa 3D

le tecniche di “acquisizione laser/digitale fotografica” con la stampa 3D. Il risultato ottenuto si fonda sullo sfruttamento di una tecnologia testimone di differenti innovazioni nell’ambito della prototipazione per il restauro di architetture storiche (Abdul Raouf Hassan et al., 2022), attraverso le più innovative applicazioni e finiture in postproduzione con materiali e prodotti afferenti da diversi ambiti. L’obiettivo progettuale atteso ha reso più performante e realistico l’elemento archeologico/architettonico preesistente, oggetto di indagine e ricostruzione, volto all’abbattimento dei limiti attuali presenti tra restauro, tecnologie e materiali attraverso la realizzazione di un modello totalmente integrato nel percorso di “acquisizione, modellazione, e ricostruzione” e totalmente sostenibile che può essere ulteriormente elaborato negli anni grazie al rapido sviluppo di sistemi e tecnologie industriali che riescono a fornire la corretta performance d’uso in questo nuovo ambito multidisciplinare. Il primo risultato ottenuto dal progetto è stata la produzione di modelli digitali di porzioni di edifici storici, come cornicioni e statue che sono stati riprodotti fedelmente con stampa 3D e soggetti, in una fase successiva, ad accurate lavorazioni di postproduzione, permettendo l’allestimento di parti specifiche per una “sostituzione sostenibile” degli elementi di origine, riducendo inoltre i tempi di elaborazione digitale e costruzione fisica. Il secondo risultato ha riguardato la possibilità di sviluppare modelli in scala, di interi complessi architettonici, ricostruendo singolarmente i differenti plessi o edifici per poi essere collocati in un’unica composizione per uno studio o analisi accurata per eventuali operazioni di allestimento, restauro, valorizzazione e organizzazione degli spazi.

Conclusioni

I risultati derivanti dal progetto permettono differenti considerazioni per l’ambito in cui è applicato, con l’ipotesi di combinare le tecniche di DR per sviluppare nuove applicazioni che si intrecciano con ulteriori ambiti digitali comun-

que interessati dalle tecniche di Industria 4.0. Gli utilizzi possibili sono molto vari: ad esempio, in ottica di allestimento museale è possibile visionare scenari storici tramite realtà aumentata o virtuale e trasferire alcune architetture direttamente su supporto fisico grazie alla stampa 3D. Inoltre, è possibile porre le basi per avanzate sperimentazioni tramite una dettagliata e sapiente catalogazione delle procedure che interessano gli ambiti del restauro e del rilievo, allo scopo di ottenere la massima performance dai processi.

L’esito conclusivo è caratterizzato da una significativa evoluzione dei ruoli e delle figure professionali coinvolte, che nonostante siano stati resi “collaborativi” attraverso l’applicazione di algoritmi di Intelligenza Artificiale e tecnologie complesse, vedono ancora l’uomo in una posizione di totale centralità. In questo scenario evoluto è sicuramente richiesta alla nuova figura professionale, deputata a tale operatività specialistica, una sapiente conoscenza delle differenti procedure e lavorazioni da effettuare al fine di ottenere un risultato corretto e coerente con i principi richiesti da determinate tecniche di restauro digitale, garantendo un maggiore sviluppo tecnologico nel rispetto dei valori e di un pensiero artificiale che dovrà sempre e solo agire a sostegno dell’uomo e delle sue attività.*

BIBLIOGRAFIA

– Monti, V. (2021). Additive Manufacturing and Cultural Heritage: chemical-mechanical characterisation and environmental sustainability assessment of 3D printed Polylactic Acid treated with cold plasma source at atmospheric pressure. Tesi di laurea. Venezia: Università Ca’ Foscari Venezia.

– Caudullo, T. (2020). Scansione laser 3D: tecnologia al servizio della tutela dei beni culturali, Archeomatica, vol. 11, n. 3, pp. 6-9. doi: https://doi.org/10.48258/arc.v11i3.1761

– Verdoscia, V., Buldo, M., Mussicco, A. Tavolare, R. (2022). Tecniche di rilievo architettonico integrato per la conservazione e la valorizzazione dei Beni Culturali. Il caso di studio del Complesso abbaziale della SS. Trinità di Venosa. In XIX Congreso Internacional de Expresión Gráfica Arquitectónica Cartagena. Cartagena: Universidad Politécnica de Cartagena, pp. 539-542.

– Abdul Raouf Hassan, M., al-Moqaram, A.M.H. Samir Ali, B. (2022). The Role Of Digital Craftsmanship, Ilkogretim Online - Elementary Education Online, vol. 21, n.3, pp. 79-97. doi: 10.17051/ilkonline.2022.03.06

33 OFFICINA* N.40
04. Scansione tridimensionale, nuvola densa | Three-dimensional scan, dense-cloud. Nicola Corsetto 05. Modello scansionato stampato in 3D | 3D printed scanned model. Nicola Corsetto

In the current historical period, characterized by a deep evolution of new digitization processes, the consequent innovations involve significant changes with the introduction of unprecedented technologies aimed at improving processes and services offered for a wide variety of areas. Preservation and restoration of architectures, in the specific field of cultural heritage, is a sector of high interest, in which some activities are still outdated, with applications and developments carried out mostly “by hand” requiring a larger number of people and equipment involved in the different operations, with great expenditure of money and materials to achieve the required results. The aforementioned processes are the main actors in this revolution, which also matured through the total change of previous approaches through the development of new operational methodologies characterized by technology transfer. Moreover, the subsequent interweaving of different professional figures directly related to the context of Industry 4.0 merges with all the elements that characterize the phenomenon of “connection” between physical and digital systems, complex analysis through Big Data and real-time adaptations. The introduction of a significant mutation of the roles and methodologies made this implementation process incredibly efficient, allowing the development of new restoration and reconstruction methodologies enhanced by a transition entirely oriented on digital contexts and media. The new approach aspires to directing the gaze toward a novel concept aimed at “recovering the past” in terms of both cost reduction and material use. Specifically, through a new systemic methodology in which the “digital restorer” gains a protagonist role, a new specialized figure will be in charge of reconstructing architectural parts through digital tools and will produce a reproduction made with sophisticated rapid prototyping machinery (3D printing). The expected goal will result in a final application

DR: Digital Reintegration

Unprecedented procedures for the drastic mutation of concepts related to architectural restoration and reconstruction

characterized by materials and techniques that allows at the same time a better process management in line with current requirements that call for greater efforts in terms of sustainable applications and production, in total compatibility with the environments and without harming property or people involved in the development of the necessary elements. In recent years, experiments have been carried out in the architectural sphere using software and technologies for surveys and analysis (Caudullo, 2020), testifying to the desire to innovate processes and carry out new studies with the aim of facilitating the operations of specialized technicians and returning increasingly reliable data in line with computer parameters necessary for the subsequent steps. The use of drones is definitely a characterizing element of this project: drones allow to reach impassable areas in order to take “shots” of buildings or architectural complexes that are difficult to reach. A significant example is the context of the ancient medieval village of Caserta Vecchia (Campania), where several experiments related to digital survey and restoration activities were carried out, with the conduct of multiple sessions of aerial photography of architectural sections of buildings and the well-known bell tower of the Cathedral, in order to put into practice all aspects related to the DR project.

Goals

The aims of DR project emphasise the “multiplicity of outputs” and the potential to “digitally revolutionise” the conventional operations of survey and restoration in the architectural field, especially heritage, which consequently aim to decrease risks for the operators involved in these kinds of activities. The added value from this methodology is the series of processes resulting from the technological transfer of tools and applications in the context of Industry 4.0: these processes involve the reduction of

processing times and materials used in the different stages of the process and lay the groundwork for unprecedented scenarios in total compliance with the environmental sustainability principles. Simplifying inspection, surveying and restoration of hard-to-reach areas is one of the main aspects of the following methodology, as well as developing faithful digitization of buildings and architectural areas without the use of on site personnel. One of the added values of this project is the possibility of digitally “storing” elements in order to analyse and search for parts that are damaged or in need of replacement. These operations exclusively include the use of prototyping machines to reconstruct damaged and/or degraded elements, with technologies that have undergone profound innovations with the advent of new industrial layouts and related procedures. Moreover, it is important to illustrate how a benefit deriving from the use of 3D printers is the totally sustainable products management. In fact, the different printing materials (filaments) currently on the market guarantee high performance related to wear, heat and stress resistance, with biodegradability characteristics being the same produced from natural elements or at any rate recycled materials. These properties ensure the reconstruction of small portions of architecture that are damaged or in need of replacement and unify with appropriate postproduction techniques for proper reintegration of cultural heritage buildings or complexes. The illustrated methodologies aim to lower both costs and development time, adding a new potential to the field of restoration through the support of interdisciplinary techniques including photography, design and rapid prototyping.

Approaches and Methods

The technologies applied in the DR project mainly involve the use of entry-level equipment. In fact, the most modern 4k

34 RIVOLUZIONE
Nicola Corsetto

high-resolution cameras for shots and photos are now also installed on very lowcost aerial photography drones, allowing an easy implementation of the aforementioned activities. The focus of the experimentation is on the performance of use of the mentioned tools that allow the addition of impervious areas and zones (such as placed at height) for direct observation, obtaining multiple shots from different angles in order to gradually process a final digital model. These tools are employed in the techniques of surveying by photogrammetry, widely used in the described field (Verdoscia et al, . 2022): it is a work of processing and development of different aerial shots obtained using special software using AI to automatically predefine the mission of the drone (creation of welldefined stages via waypoints system, i.e., the selection of a path with certain stages to be performed). The purpose is to photograph precise angles of the interested element in the different views in order to develop a first three-dimensional model, which need following optimization and verification. The presence of a specialized operator is necessary for an effective optimisation processing of the obtained digital models (point cloud, digital group of information and coordinates related to the original shape and position of the scanned building). A professional figure is essential for the correct scaling of the elements, according to tools and calculated references specifically introduced within the scanned environment, with the consequent control and cleaning of obsolete information by software of the sections and parts involved in the scanning in the virtual environment, in order to eliminate the superfluous elements in the reproduced environment to carry out the isolation of the affected points. This is followed by a processing step in order to obtain a final 3D image (dense cloud and mesh) from which it is possible to pass to the step of physical three-dimensional production. The production technique is developed by preparing the model in a special rapid prototyping software (in STL, stereolithography format) where the material and some of the main printing parameters (strength, thickness, finish and final quality) are chosen, helping to obtain the fundamental characteristics and aspects for the required design features. The aforementioned activities allow the development of the main step of the project in question, namely, entering the refined digital model into the computer of a prototyping machine (3D printer) which provides the production of the processed mathematics in several hours, returning a realistic model conformed to the previously carried out survey. Moreover, a worth mentioning upgrade is certainly the use of natural materials, such as PET-G Natural (polyethylene terephthalate) and ASA (acrylonitrile styrene acrylate) which allow the reproduc -

tion of efficient and long-lasting elements with high mechanical resistance and damage resistance properties, especially due atmospheric conditions such as rain and heat, with principles of biodegradability and sustainability, and PLA (Monti, 2021) still under development for a final application in outdoor environments. The final 3D print is then postproduced by innovative techniques that tend to simulate the aspects of past and present architectural elements and parts, with a processing characterized by opaque paints, plaster powders or shading and reflections carried out “by hand” with accurate airbrushing techniques. The latter aim at a correct reproduction of the wear and the fundamental “characterizing” aspects to the objects involved in the restoration.

Results and Discussion

The DR project final result is developed by validating and testing a new methodology of architectural restoration and reconstruction with a revolutionary concept of “innovative systemic integration” through the possibility of reproducing certain architectural elements by crossing the techniques of “laser/digital photographic acquisition” with 3D printing. The used technology is the protagonist of several innovations in the field of prototyping for the restoration of historical architecture (Abdul Raouf Hassan et al., 2022) using the most innovative applications and finishes in postproduction with materials and products from different fields. The expected design objective has made the preexisting archaeological/architectural element under research and reconstruction more performant and realistic, aimed at breaking down the current present limits present between restoration, technologies and materials through the realization of a totally integrated model in the path of “acquisition, modeling, and reconstruction” and totally sustainable. This model can be further elaborated over the years thanks to the rapid development of industrial systems and technologies that manage to donate the correct performance of use in this new multidisciplinary field. The early implications of the project have produced digital models of portions of historic buildings, such as cornices and statues which were faithfully reproduced with 3D printing and subjected to accurate postproduction processing at a later stage, allowing specific parts to be prepared for a “sustainable replacement” of the source elements, reducing the time of digital processing and physical construction. The second result involved the possibility of developing scale models of entire architectural complexes, individually reconstructing the different plexuses or buildings to then be placed in a single composition for accurate study or analysis for eventual operations of fitting out, restoration, enhancement and organization of spaces.

Conclusions

The results derived from the project enable several considerations with the hypothesis that DR techniques can be combined to develop new applications that are intertwined with additional digital domains affected by Industry 4.0 techniques. There are numerous possible uses, such as using the scanned models, for example in a museum setting where it is possible to visualize historical scenarios through augmented or virtual reality and transfer some architecture directly to physical supports thanks to 3D printing, putting in place countless applications aimed at generating a profound change that involves the reorganization and use of new technologies to direct them on several domains, linking them with a single common thread. In addition, advanced experimentation can be conducted through careful and skilful cataloguing of the procedures to be carried out for the evolved activities affecting the areas of restoration and relief, in order to achieve maximum performance from the processes. The final outcome is characterized by a significant evolution of the roles and professional figures involved which, despite being made “collaborative” through the application of AI algorithms and complex technologies, still define humans in a position of total centrality. In this evolved scenario, the new professional figure is certainly called to perform the activities described, with a strong knowledge of the different procedures and processes to be performed in order to obtain a correct result consistent with the principles required by some digital restoration techniques, achieving greater technological development while respecting the values and artificial thinking that will always have to act only in support of humans and their activities.*

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Progettare terre collettive

36 RIVOLUZIONE 01.
Il paesaggio dell’Antropocene | The Anthropocene landscape. Caterina Rigo
Margherita Pasquali Dottoranda, Università di Trento, Dipartimento DICAM. Architetto e dottore magistrale in Architettura, Politecnico di Milano. margherita.pasquali@unitn.it Caterina Rigo Architetta, PhD, assegnista di ricerca presso DICEA, Università Politecnica delle Marche. rigocaterina@gmail.com

Designing Collective Lands The present moves in search of a new paradigm for habitats: how to rethink soil design, to include the dynamics of transformation of marginal territories. It proposes a change of course, and of rhythm, in the way humanity inhabits the planet: traversing the invisible territory of the collective properties and the Alpine and Apennine rural tradition. The contribution explores new possibilities and draws attention to the tangible effects of the phenomena of change on our soils to recognise the interdependent relationship between city and hinterland.*

Il presente si muove alla ricerca di un nuovo paradigma per gli habitat: come si può ripensare il progetto di suolo per includere le dinamiche di trasformazione dei territori marginali? Si propone un cambio di rotta, e di ritmo, nel modo in cui l’umanità abita il pianeta: attraversando il territorio invisibile delle proprietà collettive e della tradizione rurale alpina e appenninica. Il contributo esplora nuove possibilità e porge l’attenzione a quali siano gli effetti tangibili dei fenomeni di cambiamento sui nostri suoli per riconoscere il rapporto di interdipendenza tra città ed entroterra.*

ambiare ritmo: “May you live in interesting times”1 Il presente è un tempo di transizione che si muove alla ricerca di un nuovo paradigma per gli habitat, caratterizzato da sinergie creative tra le dimensioni ambientali, biologiche, sociali, economiche, culturali e politiche. Al centro di questa transizione, tuttavia, si può riconoscere l’elemento “umano” come fattore di cambiamento; nella confusione dell’identificazione del presente in cui viviamo, ovunque ci si occupi di un fenomeno “naturale”, ci si confronta con aspetti legati alle attività antropiche (Latour, 2019). Le mutazioni in questo tempo sono accelerate tanto velocemente che la comunità scientifica ha proposto l’istituzione di una nuova era geologica, l’Antropocene – termine coniato nel 2000 dal Nobel per la chimica Paul Crutzen – in cui la presenza dell’essere umano è riuscita a intervenire sui processi geologici, attraverso modifiche ambientali e climatiche (Rockström e Gaffney 2021).

Parlando di natura, di suoli urbani o rurali (img. 01), questo contributo si incentra sugli effetti tangibili dei fenomeni di cambiamento a cui è soggetto l’entroterra del nostro Paese e sulle forme di “proprietà collettiva”2 presenti in Italia (img. 02); si tratta nello specifico di un regime proprietario codificato dalla legge italiana come una “terza” tipologia di proprietà, intermedia tra la forma pubblica e quella privata, in cui i terreni comunali sono affidati alla gestione di soggetti privati a “uso civico” (Pasquali e Rigo, 2022). Indagando le azioni innovative tese al superamento del progetto di suolo come teorizzato nel secolo scorso, risulta evidente la necessità di un cambio di ritmo nel modo in cui l’umanità abita il pianeta. L’ipotesi che i suoli abbiano un valore che dovrebbe essere preservato, o addirittura incrementato, richiede la produzione di nuove conoscenze e, al contrario, contiene in sé le basi di un progetto alternativo (Viganò et al., 2020). Nel territorio invisibile della tradizione rurale silvo-colturale alpina e appenninica, diverse forme di proprietà collettiva valorizzano le pratiche di gestione e produzione del suolo. Gli aspetti culturali che stanno

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Un cambio di ritmo per valorizzare l’interdipendenza tra i territori

scomparendo e le attività tradizionali sono essenziali per un’innovazione sostenibile, per rispondere alle dinamiche di abbandono del suolo e agli squilibri ecosistemici che si riflettono sulla città.

Raccogliendo i primi esiti di due tesi di dottorato che analizzano diversi territori italiani3, questo contributo evidenzia la necessità di ripensare il progetto di suolo, includendo le dinamiche di trasformazione dei territori marginali. Emerge la possibilità di ritornare à la terre, ossia portare nuovamente l’attenzione su quali siano gli effetti tangibili dei fenomeni di cambiamento cui sono soggetti i nostri suoli (Bianchettin Del Grano, 2017). Cambiare ritmo significa allargare i confini del progetto di suolo urbano oltre la città (Lefebvre, 1974), osservando in modo ampio i fenomeni di “implosione-esplosione” (Brenner e Schmid, 2014), per comprendere il legame che esiste tra i contesti metropolitani e le più estese trasformazioni del territorio,

del paesaggio e dell’ambiente. Il suolo delle “terre collettive” consta di spazi lontani da contesti densamente polarizzati e urbanizzati (Brenner e Katsikis, 2020); qui il progetto di terre (Pasquali et al., 2022), adattivo e sapiente, diventa lo strumento per riconoscere il rapporto di interdipendenza tra città e aree rurali-montane (Barbera e De Rossi, 2021), elemento chiave per poter sviluppare linee guida per la trasformazione dei territori. Questo approccio risulta necessario per mettere a sistema le diverse relazioni che agiscono nella modificazione del suolo e riconoscere la capacità del suolo stesso di adattarsi velocemente ai cambiamenti.

Strumenti per indagare e progettare le terre collettive I rapporti di produzione che hanno determinato lo sviluppo delle terre collettive hanno dato luogo a rappresentazioni dello spazio, mentre lo spazio degli abitanti e degli utenti viene rappresentato attraverso altri codici, come ad esempio lo spazio vissuto direttamente, raffigurato attraverso le immagini e i simboli a esso associati (Corner, 1999). Questi elementi sono quindi considerati come parametri, fattori con cui confrontarsi attraverso un approccio di analisi multi-scalare, dal globale al locale, delle proprietà collettive in Italia. Se la capacità di riformulare ciò che già esiste è un passo importante, come in ogni spazio rappresentativo, le mappe presentano un’inevitabile astrattezza, frutto di selezione, omissione, isolamento, distanza e codifica. I dispositivi cartografici (GIS, spatial data), come l’inquadratura, l’orientamento, la scala, la proiezione, l’indicizzazione e la denominazione rivelano geografie artificiali che talvolta rimangono inaccessibili alla percezione umana (Corner, 1999); per questo motivo la mappatura viene scelta come strumento per indagare e tradurre la presenza e lo sviluppo delle terre collettive sul territorio italiano.

In questa ricerca si adotta una metodologia di suddivisione del concetto di spazio in due macrocategorie: lo spazio fisico, o spazio tangibile, che include elementi come topografia, idrografia e uso del suolo, che traccia “le caratteri-

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02. La proprietà collettiva è una forma giuridica che si colloca in uno spazio intermedio tra il pubblico e il privato | Collective property is a legal form that lies in an intermediate space between the public and the private. Caterina Rigo

stiche esterne e palpabili della Terra”, e lo spazio non fisico o intangibile che contiene “i tratti della Terra interiore e impalpabile” (Farinelli, 2009) e rivela quel sistema di relazioni che permette di avere una separazione tra gli oggetti. Mappare lo spazio tangibile significa rendere visibili condizioni di campo multiple e talvolta disparate; mappare l’intangibile ci permette di comprendere il terreno come espressione fisica di un complesso e dinamico insieme di processi sociali e naturali (Lefebvre, 1974). Nel visualizzare queste interrelazioni e interazioni, la cartografia stessa partecipa a qualsiasi sviluppo futuro (Corner, 1999); non è quindi sufficiente il dato quantitativo e spazializzato tangibile per rappresentare la complessità dei processi di cambiamento che caratterizzano le terre collettive: a esso deve unirsi un livello qualitativo in grado di raccogliere esperienze, relazioni di natura socioeconomica o ecologica, policies, memoria e tradizione che influenzano le modificazioni tangibile nel suolo. La premessa di analizzare lo spazio tangibile e intangibile delle terre collettive, per comprendere la relazione tra le persone e l’habitat in cui si inseriscono, si trova già nel paesaggio. L’integrazione della dimensione sociale nella gestione politica ed economica delle risorse delle terre collettive è stata gravemente carente nell’era odierna, portando a gravi squilibri climatici che si sono riflettuti nel progressivo abbandono di queste terre e delle loro tradizioni. Per contrastare questa tendenza, questo contributo propone di indirizzare le autorità di pianificazione locale, i piani e la maggior parte degli stakeholders verso la preservazione degli spazi immateriali, attraverso azioni di mappatura, al fine di rendere tangibile la dimensione culturale di ogni habitat.

Un catalogo di territori e pratiche da sperimentare La presenza di proprietà collettive sul suolo nazionale, con rilevanti potenzialità di valorizzazione, è emersa come tema

trasversale nelle analisi condotte all’interno della fase di esplorazione di un progetto PRIN su quattro diverse aree interne italiane4. “Comunanze agrarie”, “università agrarie”, “università degli uomini originari”, “ville” sono solo alcune delle denominazioni che ancora oggi caratterizzano le proprietà collettive dell’Appennino Centrale; in questo contesto, tra Marche e Umbria, opera ad esempio la fondazione MeditSilva – attore essenziale nella definizione della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI 2014) – con l’obiettivo di supportare le comunità nella gestione dei suoli collettivi che ancora persistono sul territorio. A partire dall’incontro con realtà come questa, è apparsa la necessità di una ricerca sull’evoluzione di questo fenomeno

che ancora persiste nell’Appennino marchigiano, con l’obiettivo di stabilirne l’estensione; ne emerge un quadro molto ampio e diversificato, in cui appare evidente l’assenza di un censimento spaziale qualitativo delle proprietà collettive che ancora oggi si occupano di attività essenziali per il presidio del suolo, come la gestione sostenibile dei boschi e delle acque, o l’amministrazione economica della terra destinata ad agricoltura e allevamento.

Diversamente, nel caso Trentino della Val di Rabbi, piccolo comune della Val di Sole, la gestione del territorio da parte delle comunità locali insieme alla frammentazione in piccole unità si sviluppa su un sistema di proprietà collettive chiuse. Queste realtà di piccole terre collettive prendono il nome di Consortele ed estendono per tutta la valle la proprietà della maggior parte dei suoli. Più precisamente, la necessità di nuovi pascoli, di ampliare i campi da semina e di utilizzare l’acqua ha portato alla formazione di gruppi che si autodefinivano “consorti”, formate da proprietari o affittuari di case e terreni insediati in diverse zone del fon-

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03. Inquadramento del patrimonio naturale delle proprietà collettive della Val di Rabbi (TN) | Natural heritage framework of collective properties in Val di Rabbi (TN). Margherita Pasquali
Interdipendenza tra città e aree interne, tra contesti urbani e rurali-montani

04. La mappa mette in relazione la presenza di proprietà collettive (dato comunale) e la loro distribuzione per altimetria su base regionale | The map relates the presence of collective properties (municipal data) and their distribution by elevation on a regional basis. Caterina Rigo

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Consortele avevano vari diritti e concessioni su territori montani: diritti di pascolo, di legnatico, di erbatico (Minora, 2012) (img. 03).

L’estensione fisica delle terre che afferiscono a forme di proprietà collettiva sul suolo italiano può essere resa evidente dall’analisi dei dati relativi ai censimenti sull’agricoltura forniti dall’ISTAT negli ultimi decenni5. La necessità di catalogare e rappresentare la relazione delle proprietà collettive con il territorio è sperimentata in questo contributo attraverso una interpretazione e rappresentazione di questi dati. Si tratta di un lavoro di ricerca in divenire, che evidenzia la necessità di ulteriori fasi di approfondimento e di campionatura dei suoli per conferire una reale spazializzazione dei dati, che oggi risultano limitati su base comunale o provinciale.

I principali risultati che emergono dall’analisi dei dati ISTAT (img. 04) mostrano una interessante discrepanza tra il numero di aziende agricole e la quantità spaziale di

terre possedute; si nota come il numero di aziende agricole di proprietà collettiva su territorio nazionale sia lo 0,28% del totale di aziende, ma possieda il 4,41% del totale della S.A.U., Superficie Agricola Utilizzata (ISTAT 2020). La distanza tra il fenomeno fisico e il dato numerico delle aziende – che spesso viene presentato nei report statistici sintetici – evidenzia la generale difficoltà di comprensione dell’estensione spaziale di queste terre.

In secondo luogo, si evince come le potenzialità delle proprietà collettive siano sfruttate solo parzialmente: dai dati del 2010 relativi a tutto il suolo agricolo italiano, appare una notevole differenza tra S.A.U. e superficie totale; in particolare, solo il 37% della superficie delle proprietà collettive risulta sfruttato, dato che si discosta dalle altre forme giuridiche di proprietà (come le aziende agricole individuali, in cui la superficie è utilizzata per l’82%). Inoltre, dall’analisi dell’evoluzione temporale dei dati sulla S.A.U. di proprietà collettiva, si registra una tendenza di diminu-

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05. La mappa illustra una raccolta (parziale) delle diverse denominazioni storicamente attribuite alle proprietà collettive in base al contesto regionale, e la loro distribuzione sul territorio italiano in relazione al suolo consumato | The map illustrates a (partial) collection of the different designations historically attributed to collective properties according to the regional context, and their distribution over the Italian territory in relation to the land consumed. Caterina Rigo dovalle. Tali

zione di uso delle terre; questo dato è da attribuirsi sia ai processi in atto – più o meno leciti – di alienazione delle proprietà collettive, che al sempre maggiore abbandono dei suoli, conseguenza diretta dei fenomeni di spopolamento dei territori in atto nelle aree interne del Paese.

Attraverso i risultati raccolti è possibile sottolineare l’importanza di spazializzare i dati per dare una dimensione chiara al fenomeno delle proprietà collettive in Italia, attualmente retaggio di una concezione frammentata a seconda dei contesti regionali (img. 05); occorre individuare le aree potenziali, oggi sottosfruttate, e quali siano parte di un patrimonio da presidiare, anche mettendo in relazione la morfologia del territorio delle terre collettive in base all’altitudine con l’impronta dello sfruttamento del suolo.

Nel confronto tra i dati analizzati riguardanti la distribuzione nazionale delle proprietà collettive, e i due casi studio di partenza che rivelano elementi qualitativi rilevanti, emerge la necessità di estendere lo sguardo a diversi contesti,

attraverso una campionatura di situazioni specifiche che possano allargare la casistica di spazializzazione del fenomeno. Inoltre, assumendo che le proprietà collettive diventino spazio tangibile attraverso l’esperienza del cammino e del viaggio “lento” (Pileri, 2020), si evidenzia la possibilità di una indagine sulle pratiche positive di valorizzazione di questi suoli, da utilizzare per orientare il ritorno “alla terra”, in contrasto con il progressivo abbandono e i rischi generali legati alla perdita del presidio di questi luoghi.

Istruzioni per una transizione: conoscere per progettare

In questa sede appare evidente l’urgenza di ritrovare la terre delle proprietà collettive e riconoscere lo spazio di questi luoghi solo apparentemente lontani dalla legittimità; si esprime la necessità di un censimento completo che possa spazializzare le politiche in atto per questo tipo di domini. Questi valori intangibili di significato, memoria, esperienza vissuta e attaccamento, in relazione al legame

42 RIVOLUZIONE
06. L’ espansione delle terre collettive nell’entroterra italiano. The expansion of collective lands in the Italian hinterland. Elaborazione grafica di Margherita Pasquali, Caterina Rigo

delle persone con il luogo e il paesaggio, potrebbero quindi essere ricondotti al tessuto tangibile del luogo (img. 06).

Il paesaggio e la memoria sono fondamentalmente interconnessi: entrambi fanno parte di un continuum e sono ugualmente suscettibili di cambiamento. Emerge nel territorio italiano una enorme varietà di terminologie per indicare la presenza di domini collettivi, che cambiano denominazione a seconda della località; appare urgente la necessità di costituire una tassonomia delle forme di proprietà collettive in Italia, una classificazione di termini che rischiano di scomparire, da ricercare attraverso un viaggio nelle terre interne del nostro Paese, territori da riscoprire tra tradizioni millenarie e fenomeni di abbandono.

Attraverso un processo di mappatura, si propone di approfondire la conoscenza delle diverse forme di proprietà collettiva che popolano la struttura del nostro paese, e vedere queste terre come nuovi contesti in cui mettere in atto azioni progettuali efficaci (img. 07). Si evidenzia quindi la necessità odierna di indagare le pratiche che possono essere utili per un ritorno “alla terra”. A tal proposito, questo contributo vuole mantenere attivo il dibattito sul tema e stimolare ulteriori ricerche su come valorizzare le pratiche di gestione e produzione delle aree interne, per un’innovazione sostenibile, per rispondere alle dinamiche di abbandono e agli squilibri ecosistemici che si riflettono sulle città; il dialogo sull’interdipendenza tra città e aree interne, tra contesti urbani e rurali/montani rimane un elemento-chiave per poter sviluppare linee guida per la trasformazione delle proprietà collettive attraverso un progetto di terre (Pasquali et al., 2022) che metta a sistema le diverse relazioni che agiscono nella modificazione del suolo.*

NOTE

1 – L’espressione di uso inglese, scelta come titolo della 58° Biennale d’Arte di Venezia a cura di Ralph Rugoff (2019), appare come un augurio e insieme una maledizione, perché i tempi “interessanti” sono spesso difficili.

2 – Per una definizione normativa della “proprietà collettiva”, si faccia riferimento alla Legge sui Domini Collettivi n.168/2017.

3 – Slow-Living Habitats. Visioni e scenari per una riconnessione degli spazi abitati nei territori lenti della Regione Marche” è il titolo della tesi di dottorato (non pubblicata) di Caterina Rigo, discussa nel 2022 presso l’Università Politecnica delle Marche; Extreme Terres of Anthropocene è il titolo della tesi di dottorato di Margherita Pasquali, in discussione nel 2023 presso l’Università di Trento.

4 – Branding For Resilience. Tourist infrastructure as a tool to enhance small villages by drawing resilient communities and new open habitats è un progetto di ricerca PRIN MIUR 2017, coordinamento scientifico prof. arch. Maddalena Ferretti, Università Politecnica delle Marche.

5 – Esistono due catalogazioni ISTAT sulle proprietà collettive: il 6° e il 7° Censimento Generale dell’Agricoltura (2010 e 2020). Con l’espressione Superficie Agricola Utilizzata (S.A.U.) si intende la superficie delle aziende agricole occupata da seminativi, or ti familiari, arboreti e colture permanenti, prati e pascoli; la Superficie Agricola Totale (S.A.T.) è comprensiva di superfici produttive ed improduttive (boschi, strade, canali, ecc.).

BIBLIOGRAFIA

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– Bianchettin Del Grano, M. (2017). Suolo. Letture e responsabilità del progetto. Ediz. illustrata. Roma: Officina.

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– Corner, J. (1999). The agency of mapping: speculation, critique and invention. In Cosgrove, D. E. (a cura di), Mappings. London: Reaktion, p. 311.

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– Pasquali, M., Rigo, C. (2022). Valorizzare il suolo o abitare la terre? Una visione transcalare per riconnettere gli habitat marginali nei territori marchigiani e trentini. In Atti della XXIV Conferenza Nazionale SIU “Dare valore ai valori in urbanistica”, Brescia, 23-24 giugno 2022. Roma-Milano: Planum. – Pileri, P. (2020). Progettare la lentezza. Busto Arsizio: People. – Rockström, J., Gaffney, O. (2021). Breaking Boundaries. The Science of Our Planet London: Dorling Kindersley.

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07. Pascoli nelle terre collettive appenniniche | Pastures in the Apennine collective lands. Margherita Pasquali

Change of Pace: “May you live in interesting times”1

The present is a time of transition that moves in search of a new paradigm for habitats, characterised by creative synergies between environmental, biological, social, economic, cultural, and political dimensions. At the centre of this transition, however, we can recognise the “human” element as a factor of change; in the confusion of identifying the present in which we live, wherever we deal with a “natural” phenomenon, we are confronted with aspects linked to anthropic activities (Latour, 2019). The changes in this time have accelerated so fast that the scientific community has proposed the establishment of a new geological era, the Anthropocene – a term invented in 2000 by Nobel Prize winner for chemistry Paul Crutzen – in which the presence of human beings has managed to intervene in geological processes through environmental and climatic modifications (Rockström & Gaffney, 2021). Talking about nature, urban or rural soils (img. 01), this contribution focuses on the tangible effects of the phenomena of change to which the hinterland of our country is subject and on the forms of “collective property”2 present in Italy (img. 02); specifically, this is a property regime codified by Italian law as a “third” type of ownership, intermediate between the public and private forms, in which municipal land is entrusted to the management of private entities in “civic use” (Pasquali & Rigo, 2022). Investigating innovative actions aimed at overcoming the soil design as theorised in the last century, the need for a change of pace in how humanity inhabits the planet becomes evident. The assumption that soils have a value that should be preserved or even increased requires the production of new knowledge and, on the contrary, contains within itself the basis for an alternative design (Viganò et al., 2020). Various forms of collective property valorise soil management and production practices in the invisible territory of the alpine and Apennine salvo-cultural rural tradition.

Designing Collective Lands

The disappearing cultural aspects and traditional activities are essential for sustainable innovation to respond to the dynamics of soil abandonment and the ecosystem imbalances reflected in the city. Collecting the first outcomes of two doctoral theses analysing different Italian territories3, This contribution highlights the need to rethink soil design, including the transformation dynamics of marginal territories. The possibility of returning à la terre emerges, i.e., bringing attention back to the tangible effects of the phenomena of change to which our soils are subject (Bianchettin Del Grano, 2017). Changing the pace means expanding the boundaries of the urban soil design beyond the city (Lefebvre, 1974), looking broadly at “implosion-explosion phenomena” (Brenner & Schmid, 2014) to understand the link that exists between urban contexts and the broader transformations of land, landscape and environment. The soil of collective lands counts spaces away from densely polarised and urbanised contexts (Brenner & Katsikis, 2020); here, the adaptive and wise design of lands (Pasquali et al., 2022) becomes the tool to recognise the interdependent relationship between cities and rural-mountainous areas (Barbera & De Rossi, 2021), a key element to be able to develop guidelines for the transformation of territories. This approach is necessary to systematise the different relationships acting in soil modification and recognise the soil’s capacity to adapt quickly to changes.

Tools for Investigating and Designing Collective Lands

The relations of production that have determined the development of common lands have given rise to representations of space. In contrast, the space of inhabitants and users is represented through other codes, such as directly experienced space, depicted through the images and symbols associated with it (Corner, 1999). These elements are therefore considered as parameters, factors to be confronted

with through a multi-scalar analysis approach, from global to local, of collective properties in Italy. While the ability to reformulate what already exists is a relevant step, as in any representative space, maps present an inevitable abstractness, resulting in selection, omission, isolation, distance, and codification. Cartographic devices (GIS, spatial data), such as framing, orientation, scale, projection, indexing and naming, reveal artificial geographies that sometimes remain inaccessible to human perception (Corner, 1999); this is why mapping is chosen as a tool to investigate and translate the presence and development of communal lands on Italian territory.

In this research, we adopt a methodology of subdividing the concept of space into two macro-categories: physical space or tangible space, which includes elements such as topography, hydrography and land use, which traces “the external and palpable features of the Earth” (Farinelli, 2009), and non-physical or intangible space, which contains “the features of the inner and intangible Earth” (Farinelli, 2009) and reveals the system of relations that allows for a separation between objects. Mapping tangible space means making visible multiple and sometimes disparate field conditions; mapping the intangible allows us to understand the land as the physical expression of a complex and dynamic set of social and natural processes (Lefebvre, 1974). In visualising these interrelationships and interactions, mapping itself participates in any future development (Corner, 1999); therefore, it is not enough to use quantitative and spatially tangible data to represent the complexity of the processes of change that characterise communal lands: it must be joined by a qualitative level capable of gathering experiences, socioeconomic or ecological relationships, policies, memory, and tradition that influence the tangible changes in the land. The premise of analysing the tangible and intangible space of communal lands to understand the relationship between people and the habitat in which they are embedded is al-

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A change of vision to enhance interdependence between territories

ready found in the landscape. The integration of the social dimension into the political and economic management of the resources of communal lands has been severely lacking in today’s era, leading to severe climatic imbalances reflected in the progressive abandonment of these lands and their traditions. To counter this trend, this contribution proposes directing local planning authorities, plans and most stakeholders towards the preservation of intangible spaces through mapping actions to make each habitat’s cultural dimension tangible.

A Catalogue of Territories and Practices to Experience

The presence of collective properties on national soil, with significant potential for valorisation, emerged as a transversal theme in the analyses conducted within the exploration phase of a PRIN project on four different Italian inner areas4. Comunanze agrarie, università agrarie, università degli uomini originari, ville, are just some of the names that still characterise the collective properties of the Central Apennines; in this context, between Marche and Umbria, the MeditSilva foundation – an essential player in the definition of the National Strategy for Inner Areas (SNAI 2014) – operates to support communities in the management of the collective soils that persist in the territory. Starting from the encounter with realities such as this one, the need for research on the evolution of this phenomenon that persists in the Marche Apennines emerged to establish its extension. A comprehensive and diversified picture emerges, in which the absence of a qualitative spatial census of the collective properties that still deal with activities that are essential for soil preservation, such as the sustainable management of forests and water, or the economic administration of land destined for agriculture and livestock breeding, is evident.

On the contrary, in the Trentino case of Val di Rabbi, a small municipality in Val di Sole, land management by local communities and fragmentation into small units is based on a system of closed collective properties. These realities of small, closed collective lands take the name of Consortele, which extends the ownership of most of the soils throughout the valley. More precisely, the need for new pastures, to extend seeding fields and to use water led to the formation of groups that called themselves “consorti”, formed by owners or tenants of houses and land settled in different areas of the valley floor. These consortia had various rights and concessions over mountain territories: grazing rights, timber rights, and grass rights (Minora, 2012) (img. 03).

The physical extent of land belonging to forms of collective ownership on Italian soil can be made evident by analysing the data on agricultural censuses provided by ISTAT in recent decades5. The need to catalogue and represent the relationship of collective properties with the territory is tested in this contribution by interpreting and representing these data. This is a research work in progress, highlight-

ing the need for further in-depth studies and soil sampling to give a real spatialisation of the data, which is currently limited on a municipal or provincial basis. The main results emerging from the analysis of the ISTAT data (img. 04) show an interesting discrepancy between the number of farms and the spatial amount of land owned; the number of collectively owned farms on national territory is 0.28% of the total number of farms but owns 4.41% of the total S.A.U., Utilised Agricultural Area (ISTAT 2020). The distance between the physical phenomenon and the numerical figure of holdings –often presented in summary statistical reports – highlights the general difficulty in understanding the spatial extent of these lands. Secondly, the potential of collective properties is only partially exploited: from the 2010 data on all Italian agricultural land; there is a considerable difference between S.A.U. and total surface area; in particular, only 37% of the surface area of collective properties is exploited, a figure that differs from other legal forms of ownership (such as individual farms, where 82% of the surface area is used). In addition, an analysis of the temporal evolution of the data on collectively owned S.A.U. shows a downward trend in land use; this can be attributed both to the processes underway of alienation of collective property and to the increasing abandonment of the land, a direct consequence of the phenomena of depopulation of the territories underway in the country’s inner areas.

Through the results collected, it is possible to emphasise the importance of spatialising the data in order to give a precise dimension to the phenomenon of collective property in Italy, which is currently the legacy of a fragmented conception according to regional contexts (img. 05); it is necessary to identify the potential areas, which are currently under-exploited, and which are part of a heritage to be safeguarded, also by relating the morphology of the territory of communal lands according to altitude with the footprint of land use.

In comparing the analysed data concerning the national distribution of collective properties and the two starting case studies that reveal relevant qualitative elements, the need to extend the gaze to different contexts emerges through a sampling of specific situations that can broaden the spatialisation of the phenomenon. Furthermore, we suppose collective properties become tangible space through the experience of walking and “slow” travel (Pileri, 2020). In that case, the possibility of an investigation into the positive practices of valorisation of these soils is highlighted to be used to guide the return “to the land”, in contrast with the progressive abandonment and the general risks linked to the loss of the praesidium of these places.

Instructions for a Transition: Knowing to Design

Here, the urgency of rediscovering the land of collective properties and recognising the space of these places that are only apparently far from legitimacy is evident; the need

for a comprehensive census that could spatialise the policies in place for these types of domains is expressed. These intangible values of meaning, memory, lived experience and attachment to people’s connection to place and landscape could thus be traced back to the actual fabric of place (img. 06). Landscape and memory are fundamentally interconnected: both are part of a continuum and are equally susceptible to change. An enormous variety of terminologies emerges in the Italian territory to indicate the presence of collective domains, which change denomination depending on the location; there appears to be an urgent need to constitute a taxonomy of the forms of collective property in Italy, a classification of terms in danger of disappearing, to be researched through a journey through the inner lands of our country, territories to be rediscovered amidst millenary traditions and phenomena of abandonment.

Through a mapping process, it is proposed to deepen knowledge of the different forms of collective property that populate the structure of our country and to see these lands as new contexts in which to implement practical design actions (img. 07). Thus, the current need to investigate the practices that may be useful to the return “to the land” is highlighted. In this regard, this contribution aims to keep the debate on the topic active and stimulate further research on how to enhance the management and production practices of inner areas for sustainable innovation to respond to the dynamics of abandonment and ecosystem imbalances that are reflected in the cities. The dialogue on the interdependence between cities and inner areas, between urban and ruralmountainous contexts, remains a critical, crucial element to be able to develop guidelines for the transformation of collective properties through a design of terre (Pasquali et al., 2022) that systematises the different relationships involved in land modification.*

NOTES

1 – The expression in English usage, chosen as the title of the 58th Venice Art Biennale curated by Ralph Rugoff (2019), appears as both a wish and a curse because “interesting” times are often complex.

2 – For a normative definition of “collective property”, please refer to the Italian Law on Collective Domains No. 168/2017. 3 – Slow-Living Habitats. Visions and scenarios for a reconnection of inhabited spaces in the slow-moving territories of the Marche Region is the title of Caterina Rigo’s doctoral thesis (unpublished), discussed in 2022 at the Università Politecnica delle Marche; Extreme Terres of Anthropocene is the title of Margherita Pasquali’s doctoral thesis, to be discussed in 2023 at the University of Trento.

4 – Branding For Resilience. Tourist infrastructure as a tool to enhance small villages by drawing resilient communities and new open habitats is a research project PRIN MIUR 2017, scientific coordinator prof. arch. Maddalena Ferretti, Università Politecnica delle Marche.

5 – There are two ISTAT catalogues on collective property: the 6th and 7th General Census of Agriculture (2010 and 2020). Utilised Agricultural Area (SAU) refers to the area of agricultural properties occupied by arable land, family gardens, trees and permanent crops, grassland and pastures; Total Agricultural Area (SAT) includes productive and unproductive areas (forests, roads, canals, etc.).

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Ecoarchitettura e rivoluzione

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Marco Marangoni Docente di scuola secondaria superiore. Collaboratore, Dipartimento di Italianistica e Filologia classica, Università di Bologna. marcomarangoni1961@gmail.com
01.
Massimo Mucci PhD, Professore a contratto, Università di Padova. massimo.mucci@unipd.it
Klas
Than, masterplan del quartiere Bo01, Malmö, Svezia, 1999-2001 | Klas Than, Bo01 housing masterplan, Malmö, Sweden, 1999-2001. Massimo Mucci

Eco-architecture and Revolution The concept of “revolution” presupposes that the fundamentals are in crisis, that these need modifying and re-thinking in order to re-establish them. Re-thinking it in the light of the ideas of origin and holism belonging to deep ecology together with a critical review of the concept of sustainability as development leads to various revolutionary characteristics of eco-architecture being identified: the search for a “return” to spaces of sociality, to archetypes of architecture, and to using traditional construction materials and techniques to regenerate the relationship between man and nature, all aspects that can lead to the recreation of a poetic dimension in architecture.*

Il concetto di “rivoluzione” presuppone la messa in crisi dei fondamenti, modificandoli e rielaborandoli per una rifondazione. La sua rielaborazione, alla luce delle idee di origine e olismo appartenenti alla ecologia profonda, insieme a una rilettura critica del concetto di sostenibilità intesa come sviluppo, porta a individuare alcune caratteristiche rivoluzionarie della ecoarchitettura: la ricerca di un “ritorno” a spazi di socialità, ad archetipi dell’architettura, all’uso di materiali e tecniche costruttive tradizionali, infine a un rigenerato rapporto tra uomo e natura, tutti aspetti che possono condurre al recupero di una dimensione poetica dell’architettura.*

a rivoluzione in generale significa il ritorno all’origine come azzeramento e ripartenza, data l’impossibilità di procedere linearmente e di tornare indietro. Il concetto di “rivoluzione” presuppone la messa in crisi dei fondamenti: rivisti, modificati, rielaborati, per una rifondazione. Il movimento da lineare si fa circolare con un intento non restaurativo però delle acquisizioni del passato, ma produttivo di radicali nuove possibilità. L’archetipo è arcaico: ossia fin dalla mentalità dei “primitivi” il tempo è di creazione e distruzione (Eliade, 1969), di circolare rigenerazione della comunità attraverso riti. Residuo millenario di ogni mentalità cultuale è proprio questo meditare sull’inizio, ripetendolo in una sempre originale e mai meccanica “ripetizione” (Kierkegaard, 2021)1. Concetto ripreso anche da Heidegger per indicare il ritorno filosofico all’inizio (Anfang) piuttosto che al cominciamento (Beginn), che essendo originario accade solo una volta (einmal) e non può essere superato da una serie, ma solo essere ripetuto (wieder-holt) in un altro inizio: “Ereignis ist Anfang” ossia “Evento è inizio” (Heidegger, 1977). Insomma l’inizio e il pensiero, che a esso tende, non possono che appartenersi reciprocamente in un processo ininterrotto di creazione-rivoluzione dove la posta in gioco è però l’abolizione della linearità cronologica.

Ora, nella crisi ecologica attuale, che con le sue conseguenze non può non investire il pensiero in architettura, i concetti fin qui analizzati appaiono quanto mai utili per l’impostazione di un dibattito. I concetti “rivoluzionari” di origine, di dono dell’essere, di olismo, ecc., che oggi fanno parte del pensiero ecologico più avanzato (Dalla Casa, 2011) non possono lasciare indifferente la teoria dell’architettura, proprio come già il pensiero “rivoluzionario” di Marx non l’aveva lasciata indifferente, col suo richiamo al superamento della divisione del lavoro e il ripristino dell’unità dell’uomo con se stesso. Sembra, come dire, che la modernità sia scandita, nel corso del suo sviluppo, in una sorta di fenomenologia della alienazione cui si cerca di porre di contro un pensiero critico.

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Per una revisione critica del rapporto tra sostenibilità e architettura

Ora, quando si parla oggi di architettura sostenibile siamo di fronte all’idea di una “rivoluzione” o di una semplice “evoluzione”? Per “evoluzione” si intende la presenza di un processo di trasformazione graduale che porta ad uno stato della realtà diverso da quello di partenza, generalmente atteso ad un grado maggiore di perfezionamento2. Infatti, poiché l’evoluzione implica un movimento lineare di avanzamento, senza negare le basi di partenza, è di significato esattamente opposto a quello di “rivoluzione”. Entrambe, tuttavia, possono portare a un miglioramento, ma questo è in relazione ad aspettative e obiettivi opposti. Lo sviluppo sostenibile è generalmente inteso nell’accezione di evoluzione, mentre richiamare la rivoluzione sostenibile è spesso finalizzato solo all’esaltazione di una grande novità, solitamente tecnologica, che cambierà il modo di vivere.

perfetto, efficiente, privo di conflitti tra gli uomini e la natura, solo attraverso l’innovazione tecnologica, determina un continuo innalzamento dei livelli prestazionali richiesti che porterà ben presto a esigere non solo “risparmio”, ma “produzione” di energia, come già visibile nell’elogio di quegli edifici virtuosi che forniscono un sovrappiù riutilizzabile (quindi vendibile). L’uomo diventando “produttore” al posto di “consumatore” potrà espiare le sue colpe nei confronti della natura e delle generazioni future.

I limiti alla crescita dell’attuale modello di sviluppo economico sono un dato di fatto noto da diversi anni (Meadows et al., 1972; Latouche, 2011), che tuttavia l’approccio prestazionale della sostenibilità affronta senza rinunciare al concetto di “sviluppo” basato su economia di mercato e crescita economica continua (Giovannini, 2018), quindi senza sostanzialmente cambiare la struttura economica e lo stile di vita occidentali, ma anzi estendendoli al resto del pianeta. Sono innumerevoli gli esempi di progetti che rappresentano questa idea con la spettacolarizzazione dell’architettura, esasperandone le caratteristiche in modo delirante (Calabrese, 2012).

L’architettura sostenibile intesa come evoluzione, implicitamente ha come obiettivo il miglioramento delle prestazioni tecniche, all’interno di un pensiero, dove la “sostenibilità” sembra avere sostituito la “funzionalità” (Prestinenza Puglisi, 2012): è sostenibile (funzionale) se ci fa risparmiare energia, se i suoi materiali sono riutilizzabili o riciclabili, se utilizza le risorse naturali senza sprechi, se ha una funzione utile, se costa poco. Problemi vitali di carattere climatico, energetico, alimentare, economico, sembrano rendere inaccettabile qualunque mistificazione in architettura, perché lo sviluppo sostenibile sembra essere l’unica soluzione possibile per la sopravvivenza, e forse la salvezza, del genere umano. L’illusione di raggiungere un mondo

La questione della rivoluzione ecosostenibile in architettura, invece, ha delle caratteristiche di ritorno al “passato” talvolta in conflitto con la stessa idea di sviluppo. In uno dei più significativi interventi urbani ecosostenibili, il quartiere Bo01 (1999-2001) a Malmö, Svezia, l’attenzione è posta soprattutto sul ritorno a spazi di socialità tipici della città premoderna europea, piuttosto che alle eccellenti prestazioni di autonomia energetica3 (Caperna, 2003) (img. 01). Ripetitività e monotonia formale, che rinviano a tutta una cultura della omologazione e dello stereotipo quali effetti sradicanti e destoricizzanti della globalizzazione postmoderna (cfr. Augé, 1993; Settis, 2014) sono evitate variando le tipologie edilizie, coinvolgendo diversi progettisti, introducendo rotazioni e asimmetrie dei

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02. Étienne-Louis Boullée, Cenotafio di Isaac Newton, 1784 | Étienne-Louis Boullée, Cenotaph for Isaac Newton, 1784. Source gallica.bnf.fr / Bibliothèque nationale de France
Quando si parla oggi di architettura sostenibile siamo di fronte all’idea di una “rivoluzione” o di una semplice “evoluzione”?

volumi, come nel blocco Tango4. Nel masterplan di Masdar City (2007-14) lo studio di Norman Foster estende questo approccio a una nuova città dal tessuto compatto, mettendo in relazione l’intera forma urbana, oltre al linguaggio architettonico, con le caratteristiche climatiche del luogo e la tradizione locale5 .

È interessante anche riflettere sul fatto che siamo di fronte a un atteggiamento rivoluzionario ogni volta che l’architetto si pone il tema di un cambiamento dei paradigmi progettuali in rapporto ai bisogni di un cambiamento radicale sentito nella società. Si pensi al caso degli architetti cosiddetti “rivoluzionari” del ’700, come Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux, che hanno attuato una ricerca figurativa rivolta alle “origini”, in coincidenza del periodo della Rivoluzione francese. Il loro riferimento all’architettura classica non va inteso in senso meramente razionalista, ma piuttosto come un ritorno, nient’affatto regressivo dunque, agli archetipi dell’architettura, che in Boullée è rappresentato dalla dimensione colossale degli edifici e dalla “purezza geometrica” dei volumi: parallelepipedo, prisma, sfera, cono, piramide, sono figure di un passato senza tempo slegate dalle contingenti esigenze funzionali e costruttive, per elevarsi a simboli di un ripensamento dei principi fondativi (Chizzoniti, 2008) (img. 02). Le conseguenze di questa ricerca influenzano l’architettura del Movimento Moderno, più in generale il purismo e l’astrazione predominanti a partire da quegli anni (Kaufmann, 1973). Ma le ritroviamo anche nelle ricerche dei costruttivisti, sebbene i volumi siano composti su tracciati geometrici diversi e dinamici, o di architetti più recenti che ripercorrono spazi ed elementi formali archetipi all’interno di un linguaggio rarefatto, come Louis Kahn, Oswald Mathias Ungers, David Chipperfield, Uwe Schröder, ma con intenzioni rivoluzionarie simili di ritorno ai fondamenti della disciplina. Si affaccia qui il tema del modello geometrizzante in un senso speculativo e non piegato alla ragione calcolante, un modello che viene richiamato, nella Krisis, a rifondare una visione non sogget-

tiva o riduttiva del mondo: si pensi alla ricerca in pittura di Paul Cézanne o di Piet Mondrian da cui dipende il Neoplasticismo architettonico.

Oggi certamente le istanze storiche-sociali che sollecitano l’architettura a un ripensamento in toto, sono ecologico-energetiche. In tale direzione, con un visibile “ritorno” al passato, si può parlare oggi di rinnovato interesse verso i materiali naturali e le tecniche costruttive tradizionali. Si intendono generalmente, in tal senso, quelle tecniche che sono ancora esistenti, ma che risalgono al periodo preindustriale e considerano modi di produzione più semplici, se non addirittura artigianali. Questo orientamento si lega alle richieste di materiali con basso contenuto di energia grigia, ecosostenibili e biocompatibili, facilmente riutilizzabili o riciclabili. Tutte caratteristiche che erano già presenti nella cultura costruttiva preindustriale in laterizio, pietra e legno (Calabrese e Frampton, 2012, p. 50) che, tuttavia, dimostrano il loro limite se l’approccio rimane solo “tecnologicoprestazionale”: soddisfare una sostenibilità intesa come “necessità prosaica” significa incorporarla nella normale pratica costruttiva senza nessuna capacità di “espressione poetica”. Questo non accade invece in alcuni recenti esempi di ecoarchitettura che dimostrano come antiche tecniche costruttive possono essere riutilizzate senza rinunciare al linguaggio architettonico contemporaneo, come nelle costruzioni in terra battuta quali la Villa Eila, Mali, Guinea (1996) di Heikkinen-Komonen Architects, la Chapel of Reconciliation, Berlin (2000) di Reitermann & Sassenroth Architekten (Rael, 2009), la casa Rauch a Schlins, Austria (200408) di Roger Boltshauser con Martin Rauch (Karpfinger e Simon, 2011) (img. 03); oppure le innumerevoli costruzioni in legno, come ad esempio le Zumthor Vacation Homes, Leis, Svizzera (2009) di Peter Zumthor, o le opere di Shigeru Ban, più sperimentali nell’uso di tubi di cartone pressato.

L’istanza di un rapporto rinnovato con la natura è certamente l’aspetto “rivoluzionario” del nostro “spirito epocale” (Zeitgeist), perché, ben oltre le semplici richieste performa-

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03. Roger Boltshauser con Martin Rauch, casa Rauch, Schlins, Austria, 2004-08 | Roger Boltshauser and Martin Rauch, Rauch house, Schlins, Austria, 2004-08. Beat Bühler

tive, l’uomo cerca di rigenerare in profondità il suo patto con la natura. È una esigenza contenuta certamente anche nell’idea di sostenibilità, ma che supera nettamente le istanze di miglioramento delle condizioni di sfruttamento del pianeta, per cercare nella “ecologia profonda” un sistema radicalmente diverso. L’uomo non è più visto come soggetto esterno alla natura (modello cartesiano: res cogitans versus res extensa) in grado di sfruttarla e governarla a piacimento, bensì come “parte-di-un-tutto” a cui appartiene, al pari delle altre creature viventi - si pensi al concetto di “mente totale” (Bateson, 1977). Nei confronti di questo ritorno a un rapporto originario con la natura l’architetto contemporaneo è particolarmente sensibile e attento, e pone uno sguardo contemplativo sul mondo simile a quello del viandante rappresentato da Caspar David Friedrich: la natura contiene l’infinito reale a cui si appartiene (Givone, 2018) (img. 05).

Potremmo individuare nella casa Kaufmann (1936-37) di Frank Lloyd Wright una immagine emblematica, divenuta ormai iconica, di un dialogo tra artificiale e naturale alla ricerca di un equilibrio profondo tra immersione nella natura incontaminata, linguaggio contemporaneo neoplastico – decisamente antinaturalistico – uso di tecniche costruttive moderne come il cemento armato e l’acciaio, purezza orientale degli spazi interni (Argan, 1970). Tuttavia, una particolare assonanza tra le posizioni dell’ecologia profonda e una corrispondente sensibilità architettonica si trova anche

materiali,

nel luogo, alla “leggerezza” dell’intervento. Nello Juvet Landscape Hotel (2004-08) a Valldal in Norvegia, dello studio Jensen & Skodvin Architects, l’albergo è scomposto in piccoli padiglioni in legno sparsi nel bosco in modo da ottenere una immersione corporea nella natura incontaminata, con un impatto minimo sul luogo (Slessor, 2009; Flora e Postiglione, 2010). Gli spazi interni essenziali e vuoti assumono la funzione di catalizzatore di una dimensione contemplativa e di un senso di appartenenza alla natura (img. 04). Un simile approccio lo troviamo nel Breitenbach Landscape Hotel 48°Nord (2015-20) in Alsazia, Francia, di Reiulf Ramstad Arkitekter con ASP Architecture, con padiglioni sviluppati anche in altezza (Reiulf Ramstad Arkitekter, 2020), e nell’ampliamento di un albergo a Briol (2001-04) di Peter Zumthor (Durisch, 2014).

La ecoarchitettura, ora delineata, ha senza dubbio una forte spinta evolutiva sotto l’aspetto tecnologico, ma non basta – ed è questo il nodo che si deve sciogliere onde fugare ogni ambiguità metodologica – un cambiamento in termini di miglioramento dell’efficienza per parlare di “rivoluzione”, se questa non porta anche a una “svolta” nel modo di vivere il rapporto con la natura: con un passo indietro che si rivolge tuttavia all’avvenire, come ci ricorda Heidegger nella sua riflessione sul tramonto dell’Occidente e sulla sua attesa “svolta” (Kehre) dal pensiero dell’ente, al pensiero dell’Essere. “Evoluzione” e “rivoluzione” potrebbero coesistere nell’attuale discorso sulla ecoarchitettura, se indirizzato a rielaborare il sentire più profondo del rapporto tra uomo e natura. È necessario un approccio olistico alla complessità della situazione, per considerare la natura un intero più ampio della semplice somma delle parti che lo compongono. Gli architetti qui esposti, anche se chiamati a

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04. Jensen & Skodvin Architects, Juvet Landscape Hotel, Valldal, Norvegia, 2004-08 | Jensen & Skodvin Architects, Juvet Landscape Hotel, Valldal, Norvegia, 2004-08. Olav Jensen in altri autori, quali Alvar Aalto, Sverre Fehn, e più recenti progettisti che aggiungono particolare attenzione all’uso dei all’inserimento
Evoluzione e rivoluzione potrebbero coesistere nell’attuale discorso sulla ecoarchitettura, se indirizzato a rielaborare il sentire più profondo del rapporto tra uomo e natura

risolvere questioni performative della costruzione, sostengono che lo sviluppo sostenibile basato solo sulle indifferibili necessità prosaiche porterebbe ad un abitare privo di poesia, di ideali, incapace di trascendere gli aspetti materiali della vita. Ecco perché i percorsi di ricerca di alcuni progettisti, orientati verso una ecoarchitettura tesa a includere nel suo ambito le istanze della sostenibilità, pongono maggiormente l’attenzione sui temi del recupero degli spazi urbani per la socialità, degli archetipi progettuali, delle tecniche costruttive originarie, o su un rigenerato rapporto con la natura. Il recupero della dimensione poetica dell’architettura6 attraverso una rifondazione dei suoi caratteri è la vera necessità della disciplina progettuale, affinché non ci si appiattisca sul termine “sviluppo”, e si compia invece una “rivoluzione” sostenibile.*

NOTE

1 – Opera pubblicata da Søren Kierkegaard nel 1843 con lo pseudonimo Constantin Constantius, dal titolo originale Gjentagelsen

2 –“Evoluzione” in Vocabolario Treccani (on line). In https://www.treccani.it/vocabolario/ evoluzione (ultima consultazione settembre 2022).

3 – Il masterplan è dell’architetto Klas Than: si evidenziano strade pedonali strette, piazze, corti, dove la viabilità carrabile è ridotta e subordinata a quella pedonale. Tham, K. (2001), The Urban Form, in Tham, K., Roberts, H., Persson, A. (2001), Bo01 City of Tomorrow (on line). In https://www.scandinaviandesign.com/newsstand/bo01/index.htm (ultima consultazione settembre 2022).

4 – Progetto di Moore Ruble Yudell Architects and Planners & SWECO FFNS Arkitekter; Kuitenbrouwer, P. (2013). Bo01 City of Tomorrow Malmö. Klas Tham et al. In van Gameren, D., van Andel, F. (a cura di), Delft Architectural Studies on Housing n. 09: Housing exhibitions Rotterdam: NAi, pp. 154-161.

5 – Foster + Partners, Masdar City Masterplan, Abu Dhabi, United Arab Emirates (2007-14).

6 – Ormai classica è l’indicazione sull’abitare poetico di Heidegger: “… Poeticamente abita l’uomo…”, in Heidegger, M. (1976). Saggi e discorsi. Milano: Mursia, pp. 125-38.

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05. Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia, 1818. Hamburger Kunsthalle, Hamburg

In general, revolution means returning to the origin as if resetting back to zero and restarting given the impossibility of turning back and proceeding linearly. The concept of “revolution” presupposes that the fundamentals are in crisis: reviews, modifications, and re-evaluation take place to re-establish them. Time is not a linear progression but is a circular movement returning to its point of origin without restoring the acquisition of things from the past as a purpose while producing radical new opportunities. The archetype is antiquated, that is, the mentality ever since the “primitives” has been one of creating and destroying (Eliade, 1969), circulating regeneration of the community through rites. The millennial residue of every cultural mentality is precisely this meditation on the start, always repeating it in the original and never through mechanical “repetition” (Kierkegaard, 2021)1. This concept is also taken up by Heidegger to state the philosophical return to the start (Anfang) rather than the beginning (Beginn), and that in being original it only occurs once (einmal) and cannot be superseded by a series, only repeated (wieder-holt) in another start: “Ereignis ist Anfang”, which means “Event is Start” (Heidegger, 1977). Therefore, the start and the thought, which aspire to it, can but belong to each other reciprocally in an uninterrupted process of creation-revolution in which the game in play is, however, the abolition of chronological linearity.

In the ecological crisis present at the time of writing, whose consequences have to involve thought in architecture, the concepts analysed seem to be a very useful approach to a debate. The original “revolutionary” concepts of the gift of being, of holism etc. are nowadays part of more advanced ecological thought (Dalla Casa, 2011) and cannot be indifferent to the theory of architecture just as the “revolutionary” thinking of Marx did not make him indifferent to his call to overcome the division of labour, and restore and repair the unity of man with himself. It seems to say that modernity during the course of its development has been

Eco-architecture and Revolution

A critical review of the relationship between sustainability and architecture

articulated in a kind of phenomenology of alienation which tries to oppose critical thought. So, when sustainable architecture is spoken of, is it an idea of “revolution” or is it a simple “evolution”? “Evolution” here means the presence of a process of gradual transformation leading to a different reality from that pertaining at the beginning, generally meaning a greater degree of perfection2. In fact, since evolution involves linear progress without refuting the starting bases, it is the exact opposite of “revolution”. Moreover, both may lead to an improvement but this is in relation to opposing aims and expectations. Sustainable development is generally included in the accepted meaning of evolution whereas talking of sustainable revolution is often only aimed at exalting a great novelty, usually technological, that will change the way of life.

The implicit aim of sustainable architecture in terms of evolution is to improve the technical performance from a point of view where “sustainability” seems to have been substituted by “functionality” (Prestinenza Puglisi, 2012). Architecture is sustainable (functional) if it makes us save energy, if its materials are reusable or recyclable, if natural resources are used without waste, if it has a useful function, and if it is cheap. Vital climate problems as well as energy, food, and economic problems seem to make mystification in architecture unacceptable because sustainable development looks like the only possible solution for survival, and perhaps even to save the human race. The illusion of only creating a perfect world through technological innovation, efficient, devoid of conflicts between man and nature, determines a continuous raising of the performance levels required that will soon not only lead to needing “savings” but also “production” of energy as can already be seen in the way those virtuous buildings that provide a reusable surplus (therefore saleable) are praised. Man becoming “producer” in place of “consumer” may atone for his faults that affect nature and future generations.

In fact, the limits of growth in the current model of economic development have been a given noted for some years (Meadows et al., 1972; Latouche, 2011), which the performance approach to sustainability, moreover, confronts without renouncing the concept of “development” based on market economics and continuous economic growth (Giovannini, 2018) and so without substantially changing the economic structure and the western way of life but rather extending them to the rest of the planet. There are innumerable examples of projects that represent this idea whose showy displays of architecture wildly exaggerate their characteristics (Calabrese, 2012).

On the other hand, the question of the ecosustainable revolution in architecture has characteristics of returning to the “past”, sometimes in conflict with the same idea of development. In one of the most meaningful eco-sustainable urban interventions, the Bo01 neighbourhood in Malmö, Sweden (19992001) a return to spaces of sociality typical in the premodern European city is emphasised rather than excellent autonomous energy performances3 (Caperna, 2003) (img. 01). Formal monotony and repetitiveness from a culture of homologation and stereotyping such as eradicating effects of postmodern globalisation and considering them to be outside their historic context (cf. Augé, 1993; Settis, 2014) have been avoided by varying the building typologies by involving different planners and by introducing rotations and asymmetries in the volumes as is the case in the Tango block4. The Masdar City masterplan (2007-14) by Norman Foster extends this approach to a new city with a compact fabric, placed in relationship with the whole urban form, in addition to the architectural language, with the climatic characteristics of the place and local tradition5 .

It is also interesting to reflect on the fact that a revolutionary attitude is involved every time that an architect poses the subject of a change of planning paradigms in response to the society feeling it needs a radical change. One exam-

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ple is the so-called “revolutionary” architects of the Eighteenth Century such as Étienne-Louis Boullée and Claude-Nicolas Ledoux who at the same time as the French Revolution activated a figurative search for the “origins”. Their reference back to classical architecture was not merely rationalist or at all regressive but was above all a return to archetypes of architecture that Boullée represented by the colossal size of the buildings and the “geometric purity” of the volumes: parallelepiped, prism, sphere, cone, and pyramid are figures from a past without time released from the contingent functional and construction requirements to elevate the rethinking from basic principles to symbolic ones (Chizzoniti, 2008) (img. 02). Consequently, this search influences the architecture of the Modern Movement, more generally the purism and abstraction predominating from the start of those years (Kaufmann, 1973). However, this involves a search by constructivists although the volumes are compounds on dynamic and different geometric outlines, or by more recent architects who turn to spaces with formal archetypal elements in a rarefied language such as Louis Kahn, Oswald Mathias Ungers, David Chipperfield, and Uwe Schröder but with similar revolutionary intentions to returning to the fundamentals of the discipline. Here the theme of the geometrically inspired model presents itself in a speculative sense and is not bent to calculating reason, a model that is seen in the Krisis, the re-thinking of a vision of the world that is neither subjective nor reductive. An example of this is the research into the paintings of Paul Cézanne and Piet Mondrian on which architectural Neoplasticism depends. Certainly, the historic-social applications that call for a total rethinking of architecture today are energy based and ecological. With a visible “return” to the past in this direction, today there is renewed interest in natural materials and traditional construction techniques. These practices still in existence are generally involved for this purpose but they go back to the pre-industrial period with simpler if not even artisan production methods. This orientation is linked to the need for material with low grey energy content, eco-sustainable, biocompatible, and easy to recycle or reuse. All of the characteristics that were already present in the pre-industrial construction culture in wood, brick, and stone (Calabrese, Frampton, 2012, p. 50) which moreover demonstrate their limit if the approach only remains “technologicalperformance”. Satisfying sustainability as “prosaic necessity” means incorporating it into normal construction practice without any “poetic expression”. On the other hand, this does not occur in any recent examples of eco-architecture that shows how historic construction techniques can be reused without renouncing contemporary architectural language such as using rammed earth in construction, for example, Villa Eila, Mali, Guinea (1996) by Heikkinen-Komonen Architects, the Chapel of Reconciliation, Berlin (2000) by Reitermann & Sassenroth Architekten (Rael, 2009), and the Rauch house in Schlins, Austria (2004-08) by Roger Boltshauser with Martin

Rauch (Karpfinger and Simon, 2011) (img. 03), or innumerable wooden buildings such as the Zumthor Vacation Homes, Leis, Switzerland (2009) by Peter Zumthor, or more experimental projects by Shigeru Ban using tubes made of millboard.

The application of a renewed relationship with nature is certainly the “revolutionary” aspect of the “epochal spirit” of present times (Zeitgeist) because, in addition to the simple performance requirements, mankind is trying to regenerate his pact with nature as strongly as possible. This requirement is certainly also contained in the idea of sustainability but clearly supersedes the applications of improvement in the conditions of exploiting the planet in order to create a radically different system in “deep ecology”. Mankind is no longer viewed as being a subject outside nature (Cartesian model: res cogitans versus res extensa) capable of exploiting and governing it at will but as “part of a whole” to which mankind belongs on the same level as other living creatures – like the concept of “total mind” Bateson, 1977). The contemporary architect is particularly attentive and sensitive to this return to an original relationship with nature, and gazes contemplatively at the world like the traveller represented by Caspar David Friedrich: nature contains the real infinity to which one belongs (Givone, 2018) (img. 05). An emblematic image can be identified in the Kaufmann house (1936-37) by Frank Lloyd Wright, which has now become iconic, dialoguing between the artificial and the natural in search of a deep balance between immersion in uncontaminated nature, neoplastic contemporary language – decidedly antinaturalistic – using modern construction techniques such as steel and reinforced concrete as well as the oriental purity of the internal spaces (Argan, 1970). Moreover, there is specific assonance between the positions of deep ecology and a corresponding architectural sensitivity also found with others such as Alvar Aalto and Sverre Fehn, and more recently with designers who pay particular attention to using materials, the relationship with the place, “lightening” the on-site operation. Jensen & Skodvin Architects’ design of the Juvet Landscape Hotel (2004-08) in Vallall in Norway is broken down and distributed in small wooden pavilions spread out throughout the trees in the wood so as to obtain a body immersion in uncontaminated nature with minimal impact on the place (Slessor, 2009). The essential, empty internal spaces acquire the function of catalyst of a contemplative dimension along with a sense of belonging to nature (img. 04). A similar approach is found in Breitenbach Landscape Hotel 48°Nord (2015-20) in Alsace in France by Reiulf Ramstad Arkitekter with ASP Architecture also using pavilions developed with height (Reiulf Ramstad Arkitekter, 2020), and in Peter Zumthor’s extension of a hotel in Briol (2001-04) (Durisch, 2014).

Eco-architecture, now outlined, has without doubt technologically taken a strong evolutionary step forward but has not progressed enough – and this is the knot that must be untied in order to dispel every methodologi-

cal ambiguity – a change in terms of improving effectiveness. Therefore, a “revolution” can be spoken of if this does not also lead to a “turning-point” in the way of living in relationship with nature: with a step backwards, that will happen in the future anyway, as Heidegger points out in his reflection on the decline of the West and on the “turning-point” (Kehre), he expects in the thinking of being into the thinking of Being itself. “Evolution” and “revolution” could coexist in discussions about ecoarchitecture taking place at the time of writing if directed towards reappraising the deepest feeling in the relationship between man and nature. A holistic approach to the complexity of the situation is needed in order to consider nature as a whole in all its aspects rather than the simple sum of the parts it is composed of. The architects mentioned in this article, even if required to solve questions of construction performance, maintain that sustainable development only based on prosaic needs that cannot be deferred will lead to habitations lacking poetry, ideals, and incapable of transcending the material aspects of life. This is why the pathway taken by various designers are oriented towards eco-architecture intended to include applications of sustainability in its scope, largely paying attention to themes of restoration of urban spaces for sociality, designing archetypes, original construction techniques, or a regenerated relationship with nature. Restoring the poetic dimension of architecture12 by re-establishing its characteristics is really needed by the discipline of design so that design does not limit reasoning to the term “development” but achieves a sustainable “revolution”. *

NOTES

1 – Work published by Søren Kierkegaard in 1843 under the pseudonym of Constantin Constantius and under the original title of Gjentagelsen.

2 – “Evolution” in Vocabolario Treccani (on line). In https:// www.treccani.it/vocabolario/evoluzione (last consulted September 2022).

3 – The masterplan of the architect Klas Than: narrow pedestrianised streets distinctly manifest themselves as well as piazzas and courtyards where road traffic is limited and secondary to pedestrians. Tham, K. (2001), The Urban Form, in Tham, K., Roberts, H., Persson, A. (2001), Bo01 City of Tomorrow (on line). In https://www.scandinaviandesign.com/newsstand/ bo01/index.htm (last consulted September 2022).

4 – Project by Moore Ruble Yudell Architects and Planners & SWECO FFNS Arkitekter; Kuitenbrouwer, P. (2013). Bo01 City of Tomorrow Malmö. Klas Tham et al. in van Gameren, D., van Andel, F. (editors), Delft Architectural Studies on Housing n. 09: Housing exhibitions. Rotterdam: NAi, pp. 154-161.

5 – Foster + Partners, Masdar City Masterplan, Abu Dhabi, United Arab Emirates (2007-14).

6 –Nowadays the poetic information of Heidegger on dwellings is considered to be a classic: “… Mankind dwelling Poetically…”, in Heidegger, M. (1976). Essays and discussions. Milan: Mursia, pp. 125-38.

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Progetto su misura

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01. Casa sperimentale di Alvar Aalto a Muuratsalo | Alvar Aalto’s experimental house in Muuratsalo. Chiara Scanagatta Chiara Scanagatta Assegnista di ricerca in Tecnologia dell’architettura, Università Iuav di Venezia. cscanagatta@iuav.it

Bespoke Project Minimum Environmental Criteria (CAM) and Environmental Product Declarations (EPDs) help to design in sustainable ways in public procurements. In private projects this is devolved to the designer’s willingness and ability to educate clients on the importance of the issue. This contribution aims to analyse how new design strategies, no longer standardised but attentive to the use of materials and their integration, can facilitate the achievement of these sustainability requirements, while also paying attention to the end of life of the building.*

I Criteri Ambientali Minimi (CAM) e le dichiarazioni ambientali dei prodotti (EPD) contribuiscono a progettare, negli appalti pubblici, secondo requisiti di sostenibilità. Nei progetti privati questo viene demandato alla volontà e capacità del progettista di educare i clienti sull’importanza del tema. Il presente contributo vuole analizzare come nuove strategie progettuali, non più standardizzate bensì attente all’uso dei materiali e alla loro integrazione, possano facilitare il raggiungimento di questi requisiti di sostenibilità, ponendo attenzione anche al fine vita dell’edificio.*

Nuove strategie per ripensare l’uso di materiali e sistemi costruttivi nella progettazione architettonica sostenibile

l tema della sostenibilità è oggi parte integrante del processo progettuale per gli architetti, sia che si tratti di recupero del patrimonio esistente, sia che ci si occupi di nuove costruzioni. Ciò non sempre è percepibile, ma risulta evidente in quegli esempi progettuali che tendono a considerare l’intero ciclo di vita dell’edificio. Studi di architettura quali Superuse, Lendager e Rotor, che già da tempo lavorano ponendo al centro dei loro progetti il recupero e riuso dei materiali, hanno fatto loro questo principio. Nei loro lavori è possibile riconoscere sia una catalogazione dei materiali da costruzione presenti in loco riutilizzabili in fase di realizzazione, sia scelte progettuali volte a pacchetti costruttivi che tengano in considerazione il successivo fine vita e il possibile smontaggio per un ulteriore riuso. Pertanto, la loro attenzione progettuale rende evidente come l’involucro edilizio debba essere considerato in qualità di organismo che si modifica nel tempo, e non come oggetto immutabile a seguito della sua realizzazione. Infatti, come ci ricorda Røstvik (2021), l’architettura sostenibile non si limita all’efficienza energetica, alle emissioni zero di anidride carbonica o all’uso di energie rinnovabili nell’ambiente costruito, bensì deve anche alleviare l’impatto complessivo sull’ambiente naturale o sull’ecosistema che lo circonda per poter raggiungere risultati ottimali e funzionali.

La questione dell’approccio sostenibile viene da tempo affrontata e considerata in diversi ambiti e con diverse finalità. L’Agenda 2030 per il raggiungimento dei Sustainable Development Goals (SDGs)1 delle Nazioni Unite considera, infatti, i diversi aspetti sociali della sostenibilità e, attraverso gli obiettivi SDG11 “Città e comunità sostenibili” e SDG12 “Consumo e produzione responsabili”, si occupa anche del tema del costruito. Nello specifico, è grazie al target 12.7 “Promuovere pratiche in materia di appalti pubblici che siano sostenibili, in accordo con le politiche e le priorità nazionali” che è stato possibile definire il Green Public Procurement (GPP)2. L’Unione Europea, con il GPP, ha cominciato ad introdurre delle norme legate alla progettazione

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sostenibile intesa come attenzione progettuale alla provenienza dei materiali, al loro ciclo di vita e alla possibilità di un loro successivo riuso o riciclo. Conseguentemente, la normativa italiana li ha attuati attraverso la definizione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM)3. Tali criteri attualmente sono obbligatori per i progetti pubblici, ma si prevede possano essere introdotti anche in ambito privato. I CAM stabiliscono dei parametri entro i quali ci si deve muovere in fase progettuale “non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, ‘circolari’ e nel diffondere l’occupazione ‘verde’” (Ministero della Transizione Ecologica, 2021).

È proprio a seguito dell’istituzione dell’obbligatorietà dei CAM che si è presentata la necessità di valutare i materiali e servizi da utilizzare negli appalti pubblici, affinché risultino conformi a questi requisiti “di minima”. Le aziende e i prestatori di servizi, a seguito dell’istituzione dei CAM nel 2017, hanno avviato le procedure per l’ottenimento delle etichette e delle dichiarazioni ambientali dei prodotti attraverso enti certificatori. Queste vanno a descrivere gli impatti ambientali necessari alla produzione di un determinato prodotto o servizio con specifiche caratteristiche. Tra queste, una delle più utilizzate in edilizia è la Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD). Questo tipo di dichiarazione si inserisce all’interno di una categoria di prodotti di riferimento e si basa su di un’analisi del ciclo di vita del prodotto, realizzata secondo uno studio del Life Cycle Assessment (LCA), volta a valutare il consumo di risorse e gli impatti sull’ambiente che il prodotto ha non solo durante la fase di produzione. I risultati dello studio definiscono quindi un valore, basato su degli indicatori ambientali. Questo consente un confronto sia con altri elementi di pari caratteristiche tecniche sia con soluzioni alternative. In tal senso, i materiali sintetici utilizzati finora non sempre risultano essere la miglior scelta in termini di prestazioni e di sostenibilità, ma in alcune situazioni potrebbero essere una valida alternativa ad altri mate-

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02. Materiale di risulta del cantiere di demolizione delle palazzine di via Anelli a Padova | Waste material from the demolition site of the buildings in Via Anelli in Padua. Chiara Scanagatta 03. Manto stradale realizzato con inerti in laterizio derivanti dalla demolizione delle preesistenti case popolari in Mawson Road a Manchester | Road surface made of brick aggregates collected from the demolition of social houses in Mawson Road in Manchester. Chiara Scanagatta

Date queste premesse, è necessario considerare soluzioni costruttive alternative che guardino all’intero ciclo di vita dell’edificio, poiché è necessario superare quanto richiesto dai CAM. Pertanto, sia produttori sia progettisti devono effettuare uno sforzo in tale direzione. I primi hanno già cominciato a sviluppare materiali maggiormente sostenibili e corredati da dichiarazioni ambientali sempre più precise, ma devono trovare soluzioni che incentivino i progettisti a scegliere tali prodotti, spesso più costosi. I secondi devono progettare con più attenzione, informandosi sulle alternative costruttive, e educando al contempo i clienti al valore del progetto sostenibile.

Questo cambio di prospettiva sul progetto non è di semplice e immediata attuazione. Infatti, in ambito privato si è appena cominciato a introdurre le richieste dei CAM relative agli isolanti attraverso lo strumento del Superbonus 110%5, e non tutti i materiali presenti sul mercato sono corredati da certificazioni. Data la non obbligatorietà di applicazione dei CAM in tale ambito, e considerando i maggiori vincoli dati dalla scelta dei materiali e i conseguenti maggiori costi, perseguire con strategie di sostenibilità risulta essere disincentivante per gli attori coinvolti.

Inoltre, anche i sistemi costruttivi nel loro insieme devono essere rivalutati per considerare ogni fase del ciclo di vita come già avviene nella valutazione dei singoli materiali. In tal senso i sistemi costruttivi a secco, già diffusi in America del Nord e in Oceania, permettono di perseguire soluzioni progettuali che agevolino la manutenzione e gestione dell’edificio, e consentono il riuso dei diversi elementi costruttivi giunti alla fase di fine vita.

Questa evoluzione, da un punto di vista della produzione di materiali, è già visibile nell’aumento del numero di EPD registrati dai Program Operator delle diverse Nazioni; in-

fatti, all’inizio del 2021 si sono superati i 10.000 EPD per il settore costruzioni nel mondo e, di questi, al 2020 già 7.550 venivano prodotti solo in Europa. Anche l’operatore EPD Italy ha visto un aumento da 46 EPD del 2018 a 110 EPD nel 2020, raggiungendo le 341 EPD pubblicate fino a novembre 2022 (dati relativi ad elementi prodotti in Italia reperiti da epditaly.it). Questa volontà delle aziende di ottenere le dichiarazioni per i diversi materiali è incentivata anche grazie al sistema di punteggi su cui si basano i protocolli LEED e Breeam: in fase di inserimento dei dati relativi all’edificio un prodotto corredato di dichiarazione EPD consentirà di raggiungere punteggi maggiori rispetto ad un suo equivalente senza dichiarazione ambientale. Nonostante ciò, la dichiarazione EPD non è sempre indice diretto di sostenibilità del materiale all’interno dell’involucro edilizio: il suo scopo è di consentire una comparazione con altri materiali cosicché il progettista possa operare delle scelte informate.

Il ruolo del progettista diviene centrale: deve valutare come combinare progettazione architettonica e studio dei pacchetti costruttivi adatti in un’ottica di sostenibilità e di intero ciclo di vita del progetto. L’aiuto concreto che possono dare gli EPD è quello di fornire una valutazione sempre più precisa dell’impatto di uno specifico elemento rispetto ad un suo equivalente di un altro produttore o rispetto a quanto ipotizzato dai database utilizzati per i protocolli di certificazione (Del Rosario et al., 2021; Tozan et al., 2022).

Altro tema importante, in un’ottica di riuso e riciclo dei materiali di risulta derivanti da demolizioni e smantellamenti

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04. Facciata in palancole in legno del Museum Kaap Skil dei Mecanoo a Texel | Façade made of sawn sheet piles of Mecanoo’s Museum Kaap Skil in Texel. Chiara Scanagatta riali più naturali, fino ad oggi non considerati per la verifica del rispetto dei CAM, se derivanti da materiali riciclati4 .
Progettare con più attenzione, informandosi sulle alternative costruttive, e educando al contempo i clienti al valore del progetto sostenibile

dell’esistente, è il sempre maggiore accumulo di componenti che non possono essere reimpiegati con la medesima funzione per la quale erano stati inizialmente prodotti. È il caso del calcestruzzo, le cui macerie (img. 02) possono essere reimpiegate solo in minima parte come inerti per usi strutturali, e subisce dunque un processo di downcycling per riusi quali, ad esempio, componenti per la realizzazione di manti stradali (img. 03). Manca quindi, almeno in parte, un mercato certificato per il riuso e riciclo di questi materiali di recupero. Al contempo, anche gli elementi di arredo e finitura recuperabili rischiano di venire accumulati senza scopo, poiché non sempre raggiungono i volumi di elementi necessari per un inserimento coerente all’interno di nuovi progetti.

Si potrebbe dunque pensare che questi materiali diventino utilizzabili solo per esercizi di sperimentazione, come poteva succedere negli anni ’50 (img. 01). Sarà pertanto necessario, per i progettisti, lavorare sempre più in un’ottica di fine vita del progetto, così da consentire in futuro l’effettivo riuso dei materiali smantellati senza che questi rischino di venire accumulati senza possibilità di reimpiego. Tuttavia, attraverso un’attenta progettazione, si possono utilizzare i diversi elementi di recupero per rievocare la storia di un luogo o di dichiarare la funzione presente al suo interno: ne sono un esempio il Museum Kaap Skil dei Mecanoo a Texel (img. 04) o il Padiglione Terra all’Expo 2020 di Dubai (img. 05). Il primo presenta delle facciate realizzate con palancole in legno duro segato recuperate dal canale Noord-Hollands, storicamente rilevante per il commercio via nave; il secondo dichiara il percorso che i visitatori faranno sul tema della sostenibilità attraverso la presenza di rivestimenti esterni in risorse naturali, quali gabbie di contenimento riempite di rocce.

L’approccio progettuale da perseguire, basandosi su queste premesse di uso di sistemi costruttivi a secco e di riuso a fine vita, è vicino ai principi del Design for Adaptability e del Design for Disassembly. Relativamente al primo principio è necessario far propria l’ottica di avere flessibilità delle funzioni sul lungo termine (Askar et al., 2022) e di rispon-

dere efficacemente all’evoluzione delle esigenze dell’edificio in quanto inserito nel contesto (Schmidt e Austin, 2016). Il secondo principio invita a prestare attenzione non solo ai materiali scelti ma anche a come questi verranno assemblati per facilitarne il fine vita (Bertino et al., 2021).

La sostenibilità in architettura, infatti, non è risolvibile con una strategia generica: piuttosto deve tenere a mente dei principi che si possano declinare in ogni situazione, sulla base alle caratteristiche del progetto, del luogo e del fine vita. Non è dunque sufficiente replicare soluzioni costruttive, quali quelle anni ’60, divenute “tradizionali” nella loro rivisitazione contemporanea: infatti, telai in calcestruzzo con tamponamenti in laterizio e isolamenti a cappotto vengono riproposti senza considerazione per il contesto (img. 06). Si deve invece preferire l’uso di materiali locali, per ritornare ad una architettura più contestualizzata che cerca di ridurre l’impatto del trasporto dei materiali, e soluzioni innovative di gestione del fine vita del progetto, per consentire la dismissione o la rifunzionalizzazione nel caso cambino le necessità. Sono un esempio di questi principi il recupero dell’exFornace di Riccione di Pietro Carlo Pellegrini Architetti, dove si sono scelti mattoni “km 0” (img. 07) per il completamento dei volumi necessari, e la Wooden Nursery dei Djuric Tardio Architectes, studiata con un montaggio a secco degli elementi per poter smontare e ricollocare l’intera struttura secondo necessità (img. 08). Il primo progetto si è occupato del recupero della ex-Fornace di Riccione. Questa, fino alla sua dismissione nel 1970, era utilizzata per la produzione di laterizi e ospita oggi un complesso scolastico. Il proposito progettuale è stato di reinterpretare gli aspetti storici delle preesistenze, mantenendo una certa uniformità in termini di forme, materiali e colori. Seguendo questo principio il progettista ha scelto di recuperare i mattoni esistenti e lavorare integrando una nuova pelle in laterizio. Utilizzando materiali di provenienza locale è stato pertanto possibile dare continuità con l’esistente e richiamare la precedente funzione dell’edificio. Il secondo progetto, partendo da spe-

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05. Dettaglio della facciata del Padiglione Terra all’Expo 2020 di Dubai | Detail of the façade of the Earth Pavilion at Expo 2020 Dubai. Chiara Scanagatta
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06. Esempio di costruzione a telaio in calcestruzzo | Example of a frame construction in concrete. Chiara Scanagatta

cifiche necessità temporali e la particolare localizzazione nei Jardin du Luxembourg a Parigi, è stato sviluppato secondo i principi della reversibilità. L’edificio si basa su una struttura primaria smontabile, ispirata al sistema costruttivo della Casa Smontabile 6x6 m disegnata da Jean Prouvé, che consente la libera gestione di moduli autoportanti, as-

sostenibili, se applicati con metodi costruttivi capaci di adeguarsi alle diverse necessità, possono contribuire all’obiettivo generale di sostenibilità. Una diversa soluzione di posa potrebbe infatti consentire di riciclare o riutilizzare diversi tipi di materiali per poter ulteriormente contribuire al raggiungimento, e superamento, dei requisiti dei CAM. È dunque la capacità di considerare l’intero ciclo di vita dell’edificio, oltre che l’applicazione ad hoc dei diversi prodotti, a permettere l’implementazione di una nuova strategia progettuale.

semblati secondo sistemi tradizionali giapponesi e realizzati in officina: la disposizione interna è anch’essa modulare, per consentire usi ed esigenze differenti in futuro.

Questi esempi mostrano come i diversi materiali e prodotti, anche se tradizionalmente non considerabili come

In conclusione, l’idea di architettura sostenibile, che si è evoluta nell’ultimo decennio, è cambiata e sta cambiando sia in termini di modo di progettare sia nelle scelte dei materiali costruttivi utilizzati. Infatti, per applicare nuove strategie progettuali è necessario mettere insieme gli aspetti legati alle questioni energetiche e i sistemi costruttivi non tradizionali: questo

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07. Recupero dell’ex-Fornace di Riccione di Pietro Carlo Pellegrini Architetti | Renovation of the former Kiln in Riccione by Pietro Carlo Pellegrini Architetti. Mario Ciampi
È dunque necessario tornare all’idea di progettazione come attività specifica per il luogo e l’uso

lavoro deve essere frutto di una stretta collaborazione tra produttori, architetti, ingegneri e costruttori. Il fine comune deve pertanto essere quello di raggiungere risultati di sostenibilità dell’intero involucro edilizio, visto come organismo che si modifica nel tempo. In questo senso, le indicazioni date dai CAM, pensate per consentire il raggiungimento di obiettivi di maggiore sostenibilità in edilizia, non risultano sufficienti in quanto impongono dei limiti minimi che i produttori hanno già superato in fase di certificazione dei loro prodotti. Il nuovo Decreto sui CAM per l’edilizia lo rende evidente poiché ha stabilito le percentuali necessarie per ogni singolo prodotto da costruzione e ha introdotto il criterio premiante relativo ai materiali rinnovabili, cioè naturali. La presenza di un criterio relativo a questi ultimi indica un adeguamento dei CAM rispetto alla presenza sempre maggiore di prodotti realizzati con elementi naturali presenti in commercio: finora, infatti, questi non erano stati considerati nelle verifiche per il rispetto dei criteri. La nuova strategia deve essere quella di tornare all’idea di progettazione come attività specifica per il luogo e l’uso, e ad una figura di architetto che abbia le conoscenze e competenze per utilizzare i diversi materiali a disposizione in base alle necessità. Gli edifici realizzati dovranno essere adattabili e smantellabili per consentire un’evoluzione dell’edificio se le condizioni iniziali venissero a cambiare, prediligendo, dove possibile, soluzioni costruttive a secco. Queste condizioni porterebbero ad evitare una standardizzazione del costruito, consentendo il superamento di quanto previsto dai CAM, per poter realizzare edifici realmente sostenibili.*

NOTE

1 – Per approfondimenti sui Sustainable Development Goals visitare la pagina: sdgs.un.org/ goals (ultimo accesso gennaio 2023).

2 – Le direttive Europee di applicazione sono la Directive 2014/24/EU e la Directive 2014/25/EU. I criteri sono consultabili alla seguente pagina: ec.europa.eu/environment/ gpp/eu_gpp_criteria_en.htm (ultimo accesso gennaio 2023).

3 – I Criteri Ambientali Minimi (CAM), inizialmente regolamentati con l’art. 18 della L. 221/2015 e con l’art. 34 del D.Lgs. 50/2016 (modificato dal D.Lgs 56/2017), sono stati adottati con il Decreto 11 ottobre 2017 (abrogato dal D.M. 256/2022).

4 – Il tema dei materiali riciclati in edilizia è discusso sia da testate giornalistiche sia da grandi multinazionali. Alcuni esempi di divulgazione sul tema si possono visualizzare ai seguenti link: bbc.com/future/article/20200819-why-plastic-waste-is-an-ideal-building-material (ultimo accesso gennaio 2023) e strategyand.pwc.com/m1/en/strategic-foresight/ sector-strategies/energy-utilities/using-recycled-plastics-to-build-a-more-sustainablefuture/usingrecycledplastics.pdf (ultimo accesso gennaio 2023).

5 – L’Associazione Nazionale per l’Isolamento Termico e acustico (ANIT) ha pubblicato delle guide per approfondire il tema: anit.it/wp-content/uploads/2021/05/Cam-e-Superbonus_approfondimentoANIT_maggio2021.pdf (ultimo accesso gennaio 2023).

6 – Il nuovo DM 256/2022 ha rimodulato i criteri relativi ai prodotti edilizi, rimuovendo le indicazioni relative al criterio “2.4.1.2 Materia recuperata o riciclata” del Decreto 11 ottobre 2017 che stabiliva la percentuale di materia recuperata o riciclata necessaria rispetto peso totale di tutti i materiali utilizzati.

BIBLIOGRAFIA

– Askar, R., Bragança, L., Gervásio, H. (2022). Design for Adaptability (DfA) – Frameworks and Assessment Models for Enhanced Circularity in Buildings. Applied System Innovation, n. 5 (1). Basel: MDPI, pp. 24-48.

– Bertino, G., Kisser, J., Zeilinger, J., Langergraber, G., Fischer, T., Österreicher, D. (2021). Fundamentals of Building Deconstruction as a Circular Economy Strategy for the Reuse of Construction Materials. Applied Sciences, n. 11. Basel: MDPI, pp. 939-968.

– Del Rosario, P., Palumbo, E., Traverso, M. (2021). Environmental Product Declarations as Data Source for the Environmental Assessment of Buildings in the Context of Level(s) and DGNB: How Feasible Is Their Adoption? Sustainability, n. 13. Basel: MDPI, pp. 6143-6165.

– Ministero della Transizione Ecologica (2021). CAM - Criteri Ambientali Minimi (online). In https://gpp.mite.gov.it/Home/Cam (ultima consultazione novembre 2022).

– Røstvik, H.N. (2021). Sustainable Architecture – What’s Next? Encyclopedia, n. 1 (1). Basel: MDPI, pp. 293–313.

– Schmidt, R., Austin, S.A. (2016). Adaptable architecture: Theory and practice. London: Routledge, Taylor & Francis Group.

– Tozan, B., Stapel, E., Sørensen, C., Birgisdóttir, H. (2022). The influence of EPD data on LCA results. IOP Conf. Ser.: Earth Environ. Sci., n. 1078 (1). Bristol: IOP Publishing Ltd.

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07. Realizzazione in cantiere della Wooden Nursery di Djuric Tardio Architectes a Parigi | On-site construction of the Wooden Nursery by Djuric Tardio Architectes in Parigi. Clément Guillaume

The issue of sustainability is now an integral part of the design process for architects, whether it is about the renovation of existing heritage or new constructions. This is not always perceptible, but it is evident in those design examples that tend to consider the entire life cycle of the building. Architectural firms such as Superuse, Lendager and Rotor, who have been working for some time now with the recovery and reuse of materials as the focal point of their projects, have made this principle their own. In their work it is possible to recognise both a cataloguing of on-site building materials that could be reused during the following construction phase, and design choices aimed at construction details that consider the subsequent end of life and possible disassembly for further reuse. Therefore, their design focus makes it clear that the building envelope must be considered as an organism that changes over time, and not as an unchanging object. In fact, as Røstvik (2021) reminds us, “sustainable architecture encompasses more than energy efficiency, zero carbon dioxide emission or renewable energy use in the built environment. It also needs to alleviate overall impacts on the natural environment or ecosystem that surrounds it” to achieve optimal and functional results.

The issue of a sustainable approach has long been addressed and considered in different areas and for different purposes. In fact, the UN’s Agenda 2030 for the achievement of the Sustainable Development Goals (SDGs)1 considers the various social aspects of sustainability and, through targets SDG11 ‘Sustainable Cities and Communities’ and SDG12 ‘Responsible Consumption and Production’, also deals with the issue of construction. Specifically, it is through target 12.7 ‘Promote public procurement practices that are sustainable, in accordance with national policies and priorities’ that the Green Public Procurement (GPP)2 has been defined. The European Union, with the GPP, has begun to introduce standards related to sustainable design understood as attention to the origin of materials, their life cycle and the possibility

Bespoken Project

New strategies to rethink the use of materials and building systems in sustainable architecture projects

of their subsequent reuse or recycling. Consequently, Italian legislation has implemented them through the definition of the Minimum Environmental Criteria (CAM)3. These criteria are currently mandatory for public projects, but it is expected that they may also be introduced in the private sector. The CAM establish parameters within which one must move in the design phase not only with the objective of reducing environmental impacts, but also with the aim of promoting more sustainable, ‘circular’ production and consumption models and in spreading ‘green’ employment (Ministry of Ecological Transition, 2021).

It is precisely following the establishment of these mandatory CAM that the need to evaluate materials and services to be used in public procurement has arisen, this so that they comply with these ‘minimum’ requirements. Companies and service providers, following the establishment of the CAM in 2017, have started procedures to obtain labels and environmental product declarations through certification bodies. These documents describe the environmental impacts required to produce a certain product or service with specific characteristics. Among these certifications, one of the most widely used in the construction sector is the Environmental Product Declaration (EPD). This type of declaration fits within a reference product category and is based on a life cycle analysis of the product, carried out according to a Life Cycle Assessment (LCA) study, aimed at assessing the consumption of resources and the impacts on the environment that the product has not only during the production phase. The results of the study then define a value, based on environmental indicators: this allows a comparison both with other elements of equal technical characteristics and with alternative solutions. In this sense, the synthetic materials used so far are not always the best choice in terms of both performance and sustainability, but, if derived from recycled materials4, they could be a valid alternative to other more natural materials, which were not considered for the verification of CAM compliance until now.

Given these premises, alternative construction solutions that look at the entire life cycle of the building must be considered, as it is necessary to go beyond what is required by CAM. Therefore, both manufacturers and architects must make an effort in this direction. The former have already started to develop more sustain-

able materials with increasingly precise environmental declarations, but they must find solutions that incentivise architects to choose such products, which are often more expensive. The latter need to design more carefully, while informing themselves about construction alternatives. Furthermore, architects must educate clients about the value of sustainable design. This change of perspective on architectural projects is not easy and immediate. In fact, in the private sector, CAM requirements for insulation have only just begun to be introduced through the Superbonus 110%5 instrument, and not all materials on the market come with certifications. Given the non-compulsory application of CAM in the private sector, and considering the greater constraints given by the choice of materials and the resulting higher costs, pursuing sustainability strategies is a disincentive for the actors involved.

In addition, construction systems must also be re-evaluated to consider each phase of the life cycle, as it is already the case when assessing individual materials. In this regard, dry construction systems, already widespread in North America and Oceania, make it possible to pursue design solutions that facilitate building maintenance and management, and allow for the reuse of different building elements that have reached their end-of-life phase. This evolution, from a material production point of view, is already visible in the increase in the number of EPDs registered by the Programme Operators of different countries; in fact, at the beginning of 2021 the 10,000 EPDs for the construction sector worldwide were exceeded and, of these, by 2020 already 7,550 were being produced in Europe alone. The EPDItaly operator also saw an increase from 46 EPDs in 2018 to 110 EPDs in 2020, reaching 341 EPDs published until November 2022 (these data are about items produced in Italy and are retrieved from epditaly.it). This willingness of companies to obtain declarations for different materials is also stimulated thanks to the scoring system on which the LEED and Breeam protocols are based: when entering the building’s data, a product with an EPD declaration will achieve higher scores than its equivalent without an environmental declaration. Nevertheless, EPD declarations are not always a direct indicator of the sustainability of the material within the building envelope: the purpose of the certifications is to allow a comparison with other materials so that

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the architects can make informed choices. In this way, the role of the architect becomes central: he or she must evaluate how to combine architectural design and the study of suitable construction details with a view to sustainability and the whole life cycle of the project. The concrete help EPDs can give is to provide an increasingly precise assessment of the impact of a specific element compared to its equivalent from another manufacturer or compared to what is assumed by the databases used for certification protocols (Del Rosario et al., 2021; Tozan et al., 2022). Another important issue, in a perspective of reuse and recycling of waste materials from the demolition and dismantling of existing buildings, is the increasing accumulation of components that cannot be reused for the same function for which they were originally produced. This is the case with concrete, whose debris (img. 01) can only be reused to a small extent as aggregates for structural uses, and thus it undergoes a downcycling process for reuses such as component for making road surfaces (img. 02). There is therefore a lack, at least partially, of a certified market for the reuse and recycling of these reclaimed materials. At the same time, furniture and finishing elements that could be reused are also at risk of being piled up for no purpose, as they do not always reach the volumes of elements required for a coherent inclusion within new projects. One might therefore think that these materials become usable only for experimental exercises, as was the case in the 1950s (img. 03). It will therefore be necessary for architects to work more and more with an end-of-life perspective, so that dismantled materials can be effectively reused in the future, without the risk of being accumulated. However, through careful design, different reclaimed elements can be used to evoke the history of a place or to declare the function present within it: examples of this are Mecanoo’s Museum Kaap Skil in Texel (img. 04) or the Terra Pavilion at Expo 2020 in Dubai (img. 05). The former features façades made of sawn hardwood piles recovered from the Noord-Hollands Canal, historically important for trade by ship; the latter declares the path visitors will take on the theme of sustainability through the presence of external cladding made of natural resources, such as retaining cages filled with rocks. The design approach to be pursued, based on these premises of both using dry building systems and reuse at the end of life, is close to the principles of Design for Adaptability and Design for Disassembly. Regarding the first principle, it is necessary to embrace the view of having flexibility of function over the long term (Askar et al., 2022) and to respond effectively to the changing needs of the building as it is embedded in the context (Schmidt and Austin, 2016). The second principle calls for attention to be paid not only to the materials chosen but also to how these will be assembled to facilitate their end-of-life (Bertino et al., 2021).

Sustainability in architecture, in fact, cannot be solved with a generic strategy: rather, architects must keep in mind principles that can be

declined in every situation, based on the characteristics of the project, the location and the possible reuse or recycling at the end of life. It is therefore not enough to replicate construction solutions, such as those of the 1960s, which have become “traditional” in their contemporary reinterpretation: in fact, concrete frames with brick infills and an external insulation are re-proposed without consideration for the context (img. 06). Instead, preference should be given to both the use of local materials, in order to return to a more contextualised architecture that seeks to reduce the impact of transporting materials, and innovative end-of-life project management solutions, to allow for decommissioning or re-functionalisation if needs change. An example of these principles is the recovery of the former Fornace di Riccione by Pietro Carlo Pellegrini Architetti, where “km 0” bricks were chosen (img. 07) to complete the necessary volumes, and the Wooden Nursery by Djuric Tardio Architectes, designed with a dry construction system to be able to dismantle and relocate the entire structure as needed (img. 08). The first project dealt with the restoration of the former Riccione brickworks. This kiln, until its decommissioning in 1970, was used for the production of bricks and today houses a school complex. The design intention was to reinterpret the historical aspects of the pre-existing brick kiln, maintaining a certain uniformity in terms of shapes, materials, and colours. Following this principle, the architect chose to recover the existing bricks and work by integrating a new brick skin. By using locally sourced materials it was therefore possible to give continuity with the existing and recall the building’s previous function. The second project, starting from specific temporal needs and the particular location in the Jardin du Luxembourg in Paris, was developed according to the principles of reversibility. The building is based on a primary demountable structure, inspired by the construction system of the 6x6m Demountable House designed by Jean Prouvé, which allows the free handling of self-supporting modules, assembled according to traditional Japanese systems, and made in the workshop: the internal layout is also modular, to allow for different uses and needs in the future.

These examples show how different materials and products, even if traditionally not considered sustainable, can contribute to the overall goal of sustainability if applied with construction methods capable of adapting to different needs. Indeed, a different installation solution could allow for different types of materials to be recycled or reused to further contribute to achieving, and exceeding, CAM requirements.

It is, therefore, the ability to consider the entire life cycle of the building, as well as the ad hoc application of different products, that allows the implementation of a new design strategy.

In conclusion, the idea of sustainable architecture, which has evolved over the last decade, has changed, and is changing both in terms of the way of designing and in the choices of building materials used. Indeed, in order to apply new design strategies, it is necessary to bring together aspects related to energy

issues and non-traditional building systems: this work must be the result of close cooperation between manufacturers, architects, engineers and builders. The common goal must therefore be to achieve a sustainable building envelope seen, in its entirety, as an organism that changes over time. In this regard, the indications given by the CAM, designed to enable the achievement of more sustainable buildings, are not sufficient as they impose minimum limits that manufacturers have already exceeded when certifying their products. The new decree on CAM for the construction sector6 makes this clear as it has established the necessary percentages for each individual construction product, and it introduced the rewarding criterion related to renewable materials (i.e., natural materials). The presence of a criterion relating to the latter indicates an adjustment of CAM to the increasing presence of products made from natural elements on the market: until now, these had not been considered in the checks for compliance with the CAM requirements.

The new strategy must be to return to the idea of architectural design as a site- and use-specific activity, and to a figure of an architect who has the knowledge and skills to use the different materials available according to need. Constructed buildings should be adaptable and demountable to allow for an evolution of the building if initial conditions change, and dry construction systems should be preferred where possible. These conditions would lead to the avoidance of a standardisation of the built environment, allowing to go beyond CAM minimum requirements in order to realise truly sustainable buildings.*

NOTES

1 - For more information on the Sustainable Development Goals visit: sdgs.un.org/goals (last accessed January 2023).

2 - The implementing European directives are Directive 2014/24/EU and Directive 2014/25/EU. The criteria can be found on the following page: ec.europa.eu/environment/gpp/ eu_gpp_criteria_en.htm (last accessed January 2023).

3 - The Minimum Environmental Criteria (CAM), initially regulated by Article 18 of Law 221/2015 and Article 34 of Legislative Decree 50/2016 (amended by Legislative Decree 56/2017), were adopted by Decree 11 October 2017 (repealed by Ministerial Decree 256/2022).

4 - The topic of recycled materials in construction is discussed by both newspapers and large multinationals. Some examples of disclosures on the topic can be viewed at the following links: bbc.com/future/article/20200819-whyplastic-waste-is-an-ideal-building-material (last accessed January 2023) and strategyand.pwc.com/m1/en/strategicforesight/sector-strategies/energy-utilities/using-recycledplastics-to-build-a-more-sustainable-future/usingrecycledplastics.pdf (last accessed January 2023).

5 - The National Association for Thermal and Acoustic Insulation (ANIT) has published guides on the subject: anit.it/wp-content/uploads/2021/05/Cam-e-Superbonus_ approfondimentoANIT_maggio2021.pdf (last accessed January 2023).

6 - The new Ministerial Decree 256/2022 remodelled the criteria for building products, removing the indications regarding the criterion on recovered or recycled matter of the Decree of 11 October 2017, which established the percentage of recovered or recycled matter required in relation to the total weight of all materials used.

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Circular Design Strategies

01. Individuazione dell’ubicazione specifica degli studi di design oggetto dell’indagine. In un numero ridotto di casi (ID con doppio puntino) lo studio ha più di una sede in Italia | Identification of the specific location of the design studios under investigation. In a small number of cases (ID with double dot) the firm has more than one office in Italy.

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Laura Badalucco Professore ordinario in design, Università Iuav di Venezia. laurabada@iuav.it Paola Fortuna Designer e docente di design, Università Iuav di Venezia. paola@piufortuna.it

Circular Design Strategies The demands of the transition towards the aims of the New European Industrial Strategy imply a shift from the logic of minimisation to that of revolutionary models of consumption and production that go beyond the concept of sustainability. Taking the results of the Circular Design Maps research carried out at the Iuav University of Venice as a starting point, this contribution intends to offer a critical reflection on the urgency of a sharp change of perspective in the practice of design. This is a crucial element in such processes as it acts in the initial phase, estimated to affect approximately 80% of the environmental impacts associated with the manufacturing of products.*

Le istanze della transizione verso gli obiettivi della Nuova strategia industriale europea richiedono un passaggio dalla logica della minimizzazione a quella di modelli rivoluzionari di consumo e produzione che vanno oltre al concetto di sostenibilità. Partendo dai risultati della ricerca Circular Design Maps condotta presso l’Università Iuav di Venezia, il presente contributo intende offrire una riflessione critica sull’urgenza di un netto cambio di prospettiva nella pratica del design, elemento centrale in tali processi in quanto agisce nella fase iniziale che si stima possa incidere su circa l’80% degli impatti ambientali connessi alla produzione di prodotti.*

alla fine del 2019 a settembre 2022 sono stati pubblicati in Europa una serie di documenti, atti, strumenti e normative relativi alle strategie per la realizzazione di un’economia di tipo circolare, frutto di un pluriennale percorso di confronto critico e dibattito ancora in corso. Questi documenti – e la transizione alla quale si riferiscono – affidano al design un ruolo centrale. Nel documento sulla Nuova strategia industriale per l’Europa, pubblicato a marzo 2020, la Commissione Europea sostiene, ad esempio, che: “dobbiamo rivoluzionare il modo in cui progettiamo, realizziamo, utilizziamo e ci liberiamo delle cose” (Commissione Europea, 2020a, p. 9).

Le istanze della transizione verso un’economia realmente circolare richiedono, dunque, un passaggio dalla logica della ottimizzazione e riduzione – caratteristiche dei processi di sostenibilità ambientale – a quella di un netto cambio di rotta nelle modalità di consumo e produzione che vanno oltre ai concetti di sostenibilità nel tempo e di responsabilità. Non si tratta di questioni espressamente tecniche, di cambio d’uso di un materiale o dell’ottimizzazione di un processo, ma di un intervento dei progettisti per contribuire a prevenire i problemi connessi all’uso delle risorse e a ideare una radicale variazione di carattere sistemico nelle logiche di gestione dei bisogni che possano generare metabolismi ciclici.

Oltre alla Nuova strategia industriale, si fa riferimento espressamente al ruolo cruciale della progettazione dei prodotti, ad esempio, nel Green New Deal del 2019, nel Nuovo piano d’azione per l’economia circolare del 2021 e nella Sustainable Product Initiative (SPI) del 2022. L’Italia ha mostrato di costituire un’eccellenza a livello internazionale per quanto riguarda le prassi di riciclo dei materiali. Ciò ha portato alla riconoscibilità di un modello di eccellenza e molti vantaggi da un lato, ma, dall’altro, ha limitato l’utilizzo nella progettazione delle altre strategie più connesse al modello dell’economia circolare, dalla manutenibilità alla rimanifatturazione, dalla simbiosi industriale al passaggio da prodotti a servizi, ecc. (Symbola, 2021 e 2022).

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Pervasività delle strategie per un’economia circolare nel design: il caso italiano

Obiettivi

In questo scenario, è necessario comprendere quali siano gli elementi di forza e di criticità della trasformazione radicale delle pratiche del progetto connessa alla rivoluzione delle abitudini di consumo. Il contributo che il design potrà offrire in futuro sarà, infatti, quello di indirizzare i comportamenti verso scelte differenti attraverso invenzioni e inno-

mentre è carente di un censimento sulla reale pervasività dell’applicazione delle molte e diverse strategie tra i progettisti di prodotti e servizi. Per colmare questa carenza, è stata svolta la ricerca Circular Design Maps presso l’Università Iuav di Venezia, un censimento dei designer che si occupano esplicitamente di sostenibilità e di economia circolare in Italia e un’indagine su quali siano le strategie progettuali più utilizzate. La ricerca permette di inquadrare quanto sia sentito e praticato il netto cambio di prospettiva nelle pratiche e nella formazione del design richiesto dalla transizione verso l’economia circolare, elemento centrale in tale processo in quanto agisce nella fase iniziale che si stima possa incidere su circa l’80% degli impatti ambientali connessi alla produzione di prodotti (Commissione Europea, 2020b, p. 3).

vazioni che promuovano valori diversi dagli attuali piuttosto che verso la riduzione del consumo.

I designer stanno già agendo in questo modo? Sono preparati a questo cambio di rotta verso processi circolari e rigenerativi? Quanto è profonda la loro comprensione delle diverse strategie relative a questa trasformazione?

La letteratura sul tema si è concentrata, perlomeno a livello nazionale, sulla mappatura delle filiere del riciclo e dell’uso di materia prima-seconda nonché su best practice aziendali,

Il contesto nel quale queste riflessioni si pongono invita a riprendere anche gli elementi di riflessione sul rapporto tra Rivoluzione e Progettazione dei quali parla Tomás Maldonado ne La speranza progettuale. Partendo dalle riflessioni di Walter Buckley sui processi morfogenetici, fondamentali nei fenomeni innovativi e rivoluzionari delle società, Maldonado spiega come questi siano sì l’esito di una fase “di deviazione e di rottura nei confronti dei valori socioculturali stabiliti, ma il loro successo finale dipende dal grado di perizia con cui vengono condotti” (Maldonado,

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02. Mappa geografica degli studi di design oggetto dell’indagine | Geographical map of the design studios under investigation.
Spunti di sperimentazione e soluzioni utili alla pervasività dell’economia circolare all’interno del tessuto economico-produttivo nazionale

1972, p. 107). Senza la tecnicità della progettazione e gestione dei processi “non esiste possibilità di innovazione e tantomeno di rivoluzione”Maldonado, 1972, p. 10).

La ricerca Circular Design Maps, partendo da questo assunto, offre un contributo alla comprensione degli elementi sia di tecnicità sia di riflessione critica sui processi circolari e rigenerativi che i designer, nello specifico quelli particolarmente attenti alle questioni ambientali, stanno utilizzando nella loro professione.

A questo tema si è affiancato, proprio durante la ricerca, quello dell’efficacia della comunicazione ambientale e dell’approfondimento culturale sul progetto visivo. A tale riguardo, le attuali strategie di comunicazione sulle questioni ambientali ci mettono di fronte al paradosso di due effetti contrastanti: accrescimento dell’indifferenza da un lato ed eco-ansia dall’altro (Hickman e Marks, 2022).

Approccio e metodi

La ricerca ha avuto come punto di avvio l’individuazione e l’analisi critica della letteratura disponibile sull’argomento e la definizione del quadro concettuale e della matrice di criteri per l’individuazione e l’analisi delle attività di circular design

Punto di partenza è stata la metafora dell’economia del cowboy e dell’astronauta di Kenneth Boulding (Boulding, 1966), il concetto di Cradle to Cradle formulato da William McDonough e Michael Braungart nel 2002 (McDonough e Braungart, 2002) e le diverse definizioni di economia circolare,

ad esempio di Stahel (Stahel, 2006), Ellen MacArthur Foundation (Ellen MacArthur Foundation, 2013), Rau e Oberhuber (Rau et al., 2019), Bompan (Bompan e Brambilla, 2021) nonché la definizione ufficiale del 2015 della Commissione Europea nella quale il legame tra economia circolare e design è uno dei punti chiave: “Se ben progettati, i prodotti possono durare più a lungo o essere più facili da riparare, rimettere a nuovo o rigenerare” (Commissione Europea 2015, p. 4).

A partire dal diagramma a farfalla della Ellen MacArthur Foundation (con particolare attenzione ai cicli tecnici), dallo schema Resolve della stessa fondazione (Ellen MacArthur Foundation, 2013), dalle strategie proposte dalla Royal Society for Arts (RSA, 2016) e dal Circular Design for X Framework (Franconi et al., 2020) è stata definita una matrice costituita da 32 strategie progettuali suddivise in 6 temi (img. 03).

Per la raccolta dei dati, è stata effettuata una ricerca on desk attraverso l’uso di parole chiave, portali e siti web di enti dedicati all’economia circolare, pubblicazioni sul tema e sulle eccellenze del design (compresi Adi Index, Compasso d’Oro), cataloghi di mostre sui temi della sostenibilità ambientale, riviste di settore, circoscrivendo il campo d’indagine in base a una serie di parametri di selezione tra i quali l’attenzione solo a studi o singoli designer con sede nel territorio italiano, il carattere industriale dei prodotti progettati (con l’esclusione del settore abbigliamento in quanto segue dinamiche e processi molto specifici), la rispondenza a una o più metodologie presenti nella matrice,

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03. Elenco delle 32 strategie di design circolare utilizzate nell’indagine e loro applicazione 78 studi di design del prodotto | List of 32 circular design strategies used in the survey and their application to 78 product design studies.

l’applicazione delle strategie progettuali dell’economia circolare in prodotti attualmente in commercio.

L’indagine ha permesso di individuare un campione di un centinaio di designer, tra i quali 78 product designer la cui attività risulta di particolare interesse per la ricerca. Dopo una valutazione della loro distribuzione geografica e una conseguente mappatura con specifiche infografiche (imgg. 01-02), è stata realizzata un’analisi dell’uso delle 32 strategie progettuali. La mappatura ha confermato una delle ipotesi della ricerca, ovvero la collocazione geografica di tali designer nel Nord Italia, in particolare nelle regioni della Lombardia e del Veneto, con una netta prevalenza della città di Milano che risulta essere tuttora catalizzatrice delle energie connesse alla progettazione dei prodotti.

Tra i 78 casi individuati, che costituiscono il quadro di riferimento generale, ne sono stati selezionati 10 ritenuti particolarmente significativi per la qualità e profondità dell’approccio ai temi della circolarità e, poi, per distribuzione sul territorio italiano, varietà dei settori in cui opera-

no, originalità e quantità di strategie adottate. I dieci studi di design o designer selezionati e intervistati in audio-video e in forma semi-strutturata (durata media delle interviste superiore a un’ora), sono stati i seguenti: Sovrappensiero, Spalvieri & Del Ciotto, Woodly, Gum, Ateliers Romeo, Irene Ivoi, MM Design, Squim, Why Not, Francesco Faccin.

I risultati ottenuti nelle varie fasi della ricerca sono stati sintetizzati in una serie di infografiche; queste rappresentano il punto di convergenza di tutti i dati, le considerazioni e le riflessioni raccolte nel corso della ricerca e offrono in maniera sintetica l’indicazione della pervasività delle strategie progettuali caratteristiche del circular design.

Modularità, durabilità, minimizzazione della diversità dei materiali, design for disassembling, facilitazione delle operazioni di riciclo, monomaterialità e processi di progettazione di sistema che valorizzano il coinvolgimento di diversi partner sono le azioni più frequenti e consolidate nel pensiero sul progetto dei prodotti (per una indicazione quantitativa dell’uso delle strategie si rimanda all’img. 06).

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04. Trasferimenti dei dieci casi studio verso i luoghi attrattori | Transfers of the ten case studies to the places of attraction.

Tali analisi sono state intersecate con quanto emerge dagli studi di settore sul design. Secondo le più recenti analisi di Symbola e Deloitte, ad esempio, l’offerta di servizi di ecodesign crescerà nel triennio 2022-24 e verranno valorizzati alcuni degli aspetti rigenerativi. In Design Economy 2022 si legge:

“guardando al prossimo triennio 2022-2024, il peso nella progettazione della componente durabilità rimarrà pressoché invariato (+0,3 punti percentuali nel triennio), crescerà di 5 p.p. l’attenzione alla riduzione e il riciclo e addirittura supererà gli 8 p.p. la rigenerazione” (Symbola, 2022, p. 65).

Risultati e discussione

La ricerca ha generato così una prima mappatura dei product designer che in Italia si occupano di pratiche progettuali connesse alle strategie dell’economia circolare. Lungi dall’avere obiettivo di esaustività, l’indagine ha permesso di far emergere un panorama molto vario sia dal punto di vista delle pratiche sia da quello delle poetiche, capace di offrire spunti di sperimentazione e soluzioni utili alla pervasività

dell’economia circolare all’interno del tessuto economicoproduttivo nazionale.

Queste indicazioni sulle poetiche e sulle pratiche sono utili anche a supportare e, in una certa misura, indirizzare la formazione dei futuri designer in un periodo nel quale si rileva l’importanza di intrecciare le due transizioni, ecologica e digitale, considerandone non solo i fattori tecnico-materici, ma tutti gli aspetti connessi alla cultura del progetto, al senso dell’azione progettuale, alla connessione con i modelli di business e alla dimensione sistemica e collaborativa. I risultati hanno, inoltre, permesso da un lato di confermare alcuni elementi di riflessione preliminari alla ricerca (relativi, ad esempio, all’urgenza del tema, alla collocazione geografica dei designer più attivi sui temi oggetto della ricerca oppure alla ormai abituale applicazione nella pratica progettuale di alcune strategie a discapito di altre). Dall’altro lato, l’indagine ha evidenziato alcuni aspetti di forza e di debolezza originali (attinenti, in particolare, alla reale conoscenza delle strategie nodali per la circolarità e agli aspetti della comunicazione)

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05. Applicazione delle strategie nei dieci casi studio, oggetto di un particolare approfondimento della ricerca | Application of the strategies in the ten case studies, object of a particular in-depth research.

che sono trattati solo marginalmente dalle ricerche del settore, abitualmente focalizzate sulle imprese e le produzioni. In generale, nel panorama italiano, esclusi i casi di eccellenza analizzati, tra le criticità emerse si rileva:

– una certa frammentazione del panorama degli studi di design e dei designer liberi professionisti e una carenza di comunicazione da parte dei designer stessi;

– la quasi totale assenza dell’uso di indicatori chiave di prestazione (KPI), di sistemi di misurazione dei risultati e dei vantaggi conseguiti. A parte pochi casi, tra i designer è frequente l’utilizzo della “metrica del buonsenso” al posto di modalità di misurazione più squisitamente scientifiche. Ferma restando la necessità di una

– una mancanza di una comunicazione chiara su che cos’è l’economia circolare. Questo non riguarda solo la collettività, i fruitori, gli utenti, ma anche gli stessi designer; – anche in conseguenza del punto precedente, sussiste tuttora una certa confusione tra elementi del progetto che riguardano la sostenibilità ambientale e quelli specifici della circolarità

Proprio in connessione con questo aspetto, la ricerca ha, inoltre, confermato che le strategie utilizzate più di frequente sono quelle collegate al riciclo e l’uso della materia prima seconda (considerate da alcuni studiosi come Walter Stahel marginali nell’economia circolare) mentre ci sono altre strategie possibili, in particolare quelle connesse all’economia della performance e al cambiamento dei modelli di business, che non sono ancora pienamente comprese e messe in pratica, come nel caso di aggiornabilità, rimanifatturazione, sharing e passaggio da prodotto a servizio. Questi ultimi si rilevano aspetti sui quali porre attenzione e per i quali saranno necessarie in futuro azioni di upskilling nelle aziende e di formazione specifica per i futuri designer.

valutazione sistemica dei risultati ottenuti, l’assenza di sistemi di misurazione o di applicazione di regole e tool già presenti e consolidati, rappresenta una caratteristica specifica del contesto italiano;

Ulteriore particolare riflessione andrebbe dedicata alla comunicazione. Dall’analisi emerge che solo una piccola parte dei progettisti basa la propria comunicazione sull’approccio circolare mentre la maggior parte, pur avendo contenuti adatti e condivisibili, si trova in

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06. Approfondimento della pervasività delle strategie di design circolare nei 78 studi di product design | Insight into the pervasiveness of circular design strategies in 78 product design studios.
La ricerca ha prodotto una prima mappatura dei product designer che in Italia si occupano di pratiche progettuali connesse alle strategie dell’economia circolare

una di queste tre condizioni: non comunica i propri progetti in generale; li comunica ma non specifica l’approccio circolare; li comunica dando solo una generica indicazione della sostenibilità ambientale, senza citare l’approccio circolare.

Conclusioni

La ricerca ha rilevato alcune questioni sostanziali e alcuni pericoli da non sottovalutare in riferimento alla tecnicità della progettazione e alla sua influenza nel successo dei processi d’innovazione dell’economia circolare. Tra le questioni, alcune confermano quanto emerso anche nel caso delle aziende. La prima di queste riguarda alcune errate sovrapposizioni per semplificazione: tra sostenibilità ambientale e circolarità e tra circolarità e riciclo/upcycling

Connesso a questo, vi è un ulteriore punto di attenzione: l’approfondimento culturale del progetto di comunicazione visiva riferito a questi temi, in contrasto con le dinamiche sia del greenwashing involontario (per contrastare quello voluto saranno altri gli strumenti), sia del greenhushing, molto più frequente di quanto si pensi.

Inoltre, seppure vi sia una generale rinnovata sensibilità dei designer, non emerge, a parte sporadici casi, la conoscenza e l’applicazione abituale delle strategie più centrali per i processi rigenerativi, ma, soprattutto, dei processi di valutazione dell’efficacia dell’azione progettuale. Per essere efficace, questa transizione ha bisogno che i suoi strumenti siano maggiormente diffusi e profondamente compresi nella loro forza rivoluzionaria.*

BIBLIOGRAFIA

– Bompan, E., Brambilla, I.N. (2021). Che cosa è l’economia circolare. Milano. Edizioni Ambiente.

– Boulding, K. (1966). The economics of the coming spaceship earth. In H. Jarret (ed.) Environmental Quality in a Growing Economy. Baltimore: Johns Hopkins Press.

– Braungart, M., McDonough, W. (2002). Cradle to Cradle: Remaking the Way We Make Things. New York: North Point Press.

– Commissione Europea (2015), COM(2015) 614 final. L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare. Bruxelles, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ TXT/HTML/?uri=CELEX:52015DC0614&from=LT (ultima consultazione ottobre 2022).

– Commissione Europea (2020a), COM (2020)102 final. Una nuova strategia industriale per l’Europa, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020DC0102&from= IT (ultima consultazione ottobre 2022).

– Commissione Europea (2020b). COM(2020) 98 final. Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, Bruxelles eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020D C0098&from=IT (ultima consultazione ottobre 2022).

– Commissione Europea (2022), COM(2022) 140 final. Prodotti sostenibili: dall’eccezione alla regola, Bruxelles, eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52022DC0 140&from=EN (ultima consultazione ottobre 2022).

– Earley, R. (2017). Circular Design Futures, The Design Journal, 20 (4), pp. 421-434. – Ellen MacArthur Foundation (2013). Toward the circular economy. Vol. 1. Ellen MacArthur Foundation. www.ellenmacarthurfoundation.org (ultima consultazione ottobre 2022).

– Franconi, A., Badalucco, L., Peck, D., Nasr, N. (2020). A multi-hierarchical “Design for X” framework for accelerating circular economy. Proceedings of the Conference: Product Lifetimes And The Environment, 3. Berlin, Germany: Technical University of Berlin, pp. 257-266.

– Maldonado, T. (1972). La speranza progettuale. Ambiente e società, Milano: Feltrinelli.

– Hickman, C., Marks, E. et al. (2022). Climate anxiety in children and young people and their beliefs about government responses to climate change: a global survey, Lancet Planet Health, 5, pp. 63-73.

– Rau, T., Oberhuber, S. (2019). Material Matters. L’importanza della materia. Milano: Edizioni Ambiente.

– RSA (2016). Designing for a circular economy: Lessons from The Great Recovery 2012 –2016. London: RSA (online). In greatrecovery.org.uk (ultima consultazione ottobre 2022).

– Stahel, W. (2006). The Performance Economy, New York: Palgrave Macmillan.

– Symbola (2021). Green Italy 2021. Roma: Symbola.

– Symbola (2022). Design Economy 2022. Roma: Symbola.

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07. Tipologia di fonti usate nella ricerca | Type of sources used in the research.

Between late 2019 and September 2022, a group of documents, deeds, instruments and regulations concerning strategies for the realisation of a circular economy, have been published in Europe. These are the outcome of many years of critical discussion and debate that are still ongoing. These documents – and the transition to which they refer –give Design a central role. In the New Industrial Strategy for Europe, published in March 2020, the European Commission argues, for example, that: “We need to revolutionise the way we design, make, use and get rid of things” (European Commission, 2020a, p. 9). Therefore, the transition to a truly circular economy requires a new type of approach, different from that based on optimization and reduction, typical of environmental sustainability processes. A marked change of direction in consumption habits and manufacturing methods is needed, far beyond the concepts of sustainability over time and responsibility. It is not a matter of explicitly technical issues, like the change of a material or the improvement of a process. An effective circular economy requires the designers to both help prevent problems related to the use of resources and devise a systemic change in the management of the needs that can generate cyclical metabolisms.

In addition to the New Industrial Strategy, the crucial role of product design is explicitly referred to, for instance, in the Green New Deal of 2019, the New Action Plan for the Circular Economy of 2021 and 2022 Sustainable Product Initiative (SPI). Italy has proven to be an international excellence in material recycling practices. This widely recognized virtuous model has many advantages but also some limits. In particular, the use in the design practice of strategies more related to the circular economy model – maintainability and remanufacturing, industrial symbiosis and the transition from products to services, etc. – has been neglected (Symbola, 2021 and 2022).

Circular Design Strategies

The dissemination of circular design’s strategies: the Italian case study

Objectives

In this scenario, we need to understand the strengths and weaknesses of the radical transformation of design practices connected to the revolution in consumption habits. In the future, the contribution of design will not be to reduce consumption. Rather, through invention and innovation, design will have to direct behaviour towards choices that promote different values from those of today. Are designers already acting in this way? Are they prepared for this shift towards circular and regenerative processes? How deep is their understanding of the different strategies concerning this transformation?

The literature on the subject has focused, at least on a national level, on the mapping of recycling and use of raw materials chains as well as on company best practices. What is lacking, however, is a census on how pervasive is the application of the many different strategies among designers of products and services. To fill this gap, the Circular Design Maps research was carried out at the Università Iuav di Venezia: a census of designers who explicitly deal with sustainability and the circular economy in Italy and a survey on the most widely used design strategies. The research provides an insight into the extent to which the marked change of perspective in design practices and training called for by the transition to the circular economy is felt and practised. This is a central element in the process as it acts in the initial phase that is estimated to affect about 80% of the environmental impacts associated with the manufacturing of products (European Commission, 2020b, p. 3).

The context in which these reflections take place also invites us to return to the points considered on the relationship between Revolution and Design that Tomás Maldonado discusses in La speranza progettuale. Starting from Walter Buckley’s reflections on morphogenetic processes, which are fundamental in l innovative and revolutionary phenomena of societies, Maldonado explains how these are

indeed the outcome of a phase “of deviation and rupture from established socio-cultural values, but their ultimate success depends on the degree of skill with which they are conducted” (Maldonado, 1972, p. 107). Without the technicality of process design and management “there is no possibility of innovation, let alone revolution” (ibid.).

The Circular Design Maps research, starting from this assumption, contributes to the understanding of the elements of both technicality and critical reflection on circular and regenerative processes that designers, specifically those who are paying particular attention to environmental issues, are using in their profession. This theme was flanked, during the research, by that of the effectiveness of environmental communication and cultural insight into visual design. In this respect, current communication strategies on environmental issues confront us with the paradox of two contrasting effects: increasing indifference on the one hand and eco-anxiety on the other (Hickman and Marks, 2022).

Approach and Methods

The starting point of the research was the identification and critical analysis of the available literature on the topic, together with the definition of the conceptual framework and criteria matrix for the identification and analysis of circular design activities. The starting point was Kenneth Boulding’s metaphor of the cowboy economy and the spaceman economy (Boulding, 1966), the concept of “Cradle to Cradle” formulated by William McDonough and Michael Braungart in 2002 (McDonough, Braungart 2002) and the different definitions of circular economy, e.g. by Stahel (Stahel, 2006), Ellen MacArthur Foundation (Ellen MacArthur Foundation, 2013), Rau and Oberhuber (Rau et al. 2019), Bompan (Bompan, Brambilla, 2021) as well as the 2015 official definition of the European Commission in which the link between circular economy and design is one of the key points: “Better design can make products more

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Laura

durable or easier to repair, upgrade or remanufacture” (European Commission 2015, p. 4).

Starting from the Ellen MacArthur Foundation’s butterfly diagram (with a focus on technical cycles), the foundation’s own Resolve scheme (Ellen MacArthur Foundation, 2013), the strategies proposed by the Royal Society for Arts (RSA, 2016) and the Circular Design for X Framework (Franconi et al., 2020), a matrix consisting of 32 design strategies divided into 6 themes was defined (img. 03).

For data collection, an on-desk search was performed through the use of keywords, portals and websites of organisations dedicated to the circular economy, publications on the topic and design excellence (including Adi Index, Compasso d’Oro), catalogues of exhibitions on topics related to environmental sustainability, and trade magazines. The field of investigation was circumscribed on the base of a series of selection parameters including a focus on offices or individual designers based in Italy, the industrial nature of the products designed (with the exclusion of the clothing sector as it follows very specific dynamics and processes), the compliance with one or more of the criteria in the matrix, and, finally, the application of circular economy design strategies in products currently on the market.

The survey made it possible to identify a sample of about one hundred designers, of which 78 product designers whose activity proved to be of particular interest to the research. After an assessment of their geographical distribution and subsequent mapping with specific infographics (imgg. 01-02), an analysis of the use of the 32 design strategies was carried out. The mapping confirmed one of the research hypotheses, i.e. the geographical location of these designers in Northern Italy, particularly in the regions of Lombardy and Veneto, with a clear prevalence of the city of Milan, which is still the catalyst for the energies connected to product design.

Among the 78 cases identified, which constitute the general frame of reference, 10 were selected as particularly significant for the quality and depth of their approach to the themes of circularity and, then, for their distribution over the Italian territory, the variety of sectors in which they operate, and the originality and quantity of strategies adopted. The ten design offices Sovrappensiero, Spalvieri & Del Ciotto, Woodly, Gum, Ateliers Romeo, Irene Ivoi, MM Design, Squim, Why Not, Francesco Faccin. Information obtained in the various stages of the research have been summarised in a series of infographics. These represent the point of convergence of all the data, considerations and reflections gathered during the research and offer a concise indication of the pervasiveness of the design strategies characteristic of Circular design. Modularity, durability, minimisation of material diversity, design for disassembly, facilitation of recycling operations, single-materiality and system design processes that emphasise the involvement of different partners are the most frequent and consolidated actions in product design thinking (for a quantitative indication of the use of strategies see img. 06).

These analyses were subsequently intersected with the findings of industry analysis on design. According to the most recent analyses by Symbola and Deloitte, for example, the supply of eco-design services will grow in the three-year period 2022-24 and some of the regenerative aspects will be emphasised. In Design Economy 2022 we read: “looking at the next three-year period 2022-2024, the relevance of the durability component in design will remain virtually unchanged (+0.3 percentage points over the three-year period), while the focus on reduction and recycling will grow by 5 percentage points, and regeneration will even exceed 8 percentage points” (Symbola, 2022, p. 65).

Results and Discussion

The research has thus generated a first map of the product designers in Italy who are involved in design practices connected to circular economy strategies. Far from aiming at exhaustiveness, the survey has enabled a very varied panorama to emerge, from both the point of view of practices and poetics, capable of offering hints of experimentation and solutions useful for the pervasiveness of the circular economy within the national economicproductive context.

These indications on poetics and practices are also useful to support and, to a certain extent, direct the training of future designers, at this particular moment. In fact, nowadays the importance of intertwining the two transitions, ecological and digital, is evident if we consider not only the technical-material factors but all the aspects related to the culture of design, the sense of design action, the connection with business models and the systemic and collaborative dimension.

The results also made it possible to confirm some aspects of preliminary reflection (concerning, for example, the urgency of the theme, the geographical location of the designers most active on the themes being researched, or the habitual application in design practice of certain strategies to the detriment of others). Besides, the survey highlighted some original strengths and weaknesses (pertaining, in particular, to the real knowledge of the nodal strategies for circularity and the aspects of communication) which are only marginally dealt with by the research in this field usually focused on companies and productions.

Generally speaking, in the Italian panorama, excluding the cases of excellence examined, the most critical aspects that emerged include:

– a rather fragmented panorama of design offices and freelance designers and a lack of communication by the designers themselves;

– the almost total absence of the employment of Key Performance Indicators (KSIs), of systems for measuring results and benefits achieved. Apart from a few cases, the use of “common sense metrics” instead of more exquisitely scientific methods of measurement is frequent among designers. Notwithstanding the need for a systemic evaluation of the results obtained, the absence of measurement systems or the application of rules and

tools that are already present and consolidated, represents a specific characteristic of the Italian context;

– a lack of clear communication on what the circular economy is. This not only concerns the community, the users, but also the designers themselves;

– also as a consequence of the previous point, there is still some confusion between elements of design that relate to environmental sustainability and those specific to circularity.

Precisely in relation to this aspect, the research also confirmed that the most frequently used strategies are those linked to recycling and the use of secondary raw materials (considered by some scholars such as Walter Stahel to be marginal in the circular economy) while there are other possible strategies, in particular those linked to the performance economy and changing business models, which are not yet fully understood and put into practice, such as in the case of upgradability, remanufacturing, sharing and the transition from product to service. These are aspects on which attention should be focused and for which upskilling actions in companies and specific training for upcoming designers will be necessary for the future. Further special consideration should be given to communication. The analysis shows that only a minority of designers base their communication on the circular approach, while the majority, despite having suitable and shareable contents, are in one of these three conditions: they do not communicate their projects in general; they communicate them but do not specify the circular approach; they communicate them by only giving a generic indication of environmental sustainability, without mentioning the circular approach.

Conclusions

The research work highlighted some substantial issues and some dangers that should not be underestimated with regard to the technicality of design and its influence on the success of Circular Economy innovation processes. Some of these issues confirm what was also found in the case of companies. The first of these concerns some erroneous overlaps by simplification: between environmental sustainability and circularity and between circularity and recycling/upcycling.

Connected to this, there is a further point of attention: the cultural deepening of the visual communication project related to these issues, in contrast to the dynamics of both unintentional greenwashing (to counter this will be other tools) and greenhushing, which is much more frequent than we think.

Furthermore, although there is a general renewed sensitivity of designers, there does not emerge, apart from sporadic cases, the habitual knowledge and application of essential strategies for regenerative processes, and, above all, of the processes for evaluating the effectiveness of design action. To be effective, this transition needs its tools to be more widespread and deeply understood in their revolutionary force.*

73 OFFICINA* N.40

Internet killed the Video Star

La televisione ha costituito una tra le più grandi rivoluzioni della nostra epoca.

Dal 3 gennaio del 1954, con l’inizio delle prime trasmissioni RAI a diffusione nazionale, il piccolo schermo è diventato una presenza fissa nelle case italiane raccontando eventi epocali e diffondendo i più importanti cambiamenti negli stili di vita e nei consumi, con un ruolo fondamentale anche nella diffusione della lingua italiana e nella alfabetizzazione della popolazione.

Con il XXI secolo i vecchi e ingombranti televisori hanno ceduto il passo a modelli ultrapiatti ed extra-large, capaci di ricevere segnali digitali e non più analogici: schermi al plasma, schermi Lcd e schermi Led si sono moltiplicati nelle nostre vite e, insieme agli smartphone e agli altri dispositivi connessi, hanno cambiato profondamente la modalità di fruizione dei contenuti mediatici, sempre più personalizzata e on demand, non più legata a un palinsesto unico e uguale per tutti.

Nonostante tutto, la televisione ha dimostrato grande resilienza: è rimasta al centro delle case degli italiani, è stata capace di farsi smart e trasformarsi in un’ulteriore porta di accesso al digitale.

Il suo futuro ci è ignoto, ma viene naturale pensare che il televisore continuerà, per un po’ ancora, ad essere il passatempo preferito per chi vivrà la casa intelligente, digitale e connessa in tutte le sue innumerevoli espressioni.*

14,2 mln

9,2 mln 1 TV

74 INFONDO
E
ALIMENTARI
BEVANDE
CHECK
75 OFFICINA* N.40 52˙581 2021 53˙180 54˙262 2020 2018 RICREAZIONE E CULTURA 10˙632€ ATTREZZATURE AUDIOVISIVE TELEFONI E APPARECCHIATURE TELEFONICHE 7˙865€ VESTIARIO E CALZATURE COMUNICAZIONI TRASPORTI SANITÀ CASA E FORNITURE ENERGETICHE ALCOLICI E TABACCO ALBERGHI E RISTORANTI BENI E SERVIZI VARI ISTRUZIONE € 1.033.124 7 mln 0,2 mln 2,3 mln connessione sia domestica che mobile connessione solo domestica connessione solo mobile nessuna connessione YOUR INTERNET CONNECTION AND TRY AGAIN 2 TV 3 TV 4 O PIÙ TV NO TV 9,5 mln 3,3 mln 1,1 mln 0,6 mln APPARECCHI TELEVISIVI PERSONAL COMPUTER TABLET SMARTPHONE 48,1 mln 42,9 mln 20,7 mln 7,7 mln STREAMING 2021 2017 11,04 mln 24,5 mln PERSONE DI 3 ANNI E PIÙ CHE UTILIZZANO TV E RADIO FONTE: ISTAT, 2023 CONSUMI DELLE FAMIGLIE ITALIANE, PER VOCI DI SPESA FONTE: CENSIS SU DATI ISTAT, 2021 PRESENZA E TIPOLOGIA DEL COLLEGAMENTO A INTERNET DELLE FAMIGLIE ITALIANE FONTE: CENSIS SU DATI ISTAT, 2022 FAMIGLIE PER NUMERO TV PRESENTI IN CASA FONTE: CENSIS SU DATI ISTAT, 2022 FAMIGLIE ITALIANE PER TIPOLOGIA DEI DEVICE POSSEDUTI FONTE: CENSIS SU DATI ISTAT, 2022 ITALIANI CHE GUARDANO PRODOTTI TELEVISIVI UTILIZZANDO SERVIZI/SITI O PIATTAFORME WEB FONTE: ISTAT, 2022

Si giunge a 40 numeri, con numerosi autori e autrici, che hanno condiviso con l’Associazione culturale di OFFICINA* la propria riflessione e punto di vista, attraveso parole e immagini. Il portfolio di questo numero celebra le 40 copertine e il lavoro che racchiude ciascuna di esse, nella produzione dell’immagine da parte dell’autore o autrice, ma anche nella selezione da parte della redazione. OFFICINA* nasce come progetto digitale, come una rivista in formato PDF e sfogliabile online, con cadenza bimestrale. Il 2017 è l’anno del cambiamento: in termini di contenuti, di formato e di organizzazione. Nel 2017 infatti i numeri sono dedicati ai quattro elementi per discutere di un cambiamento ormai irreversibile, quello climatico: il numero *17 è Acqua, il 18* è Fuoco, il 19* è Aria, il 20* è Terra. Nel 2017 viene istituito ufficialmente il comitato scientifico, un organo di ricercatori e ricercatrici il cui compito è verificare i contenuti del dossier scientifico della rivista. Nel 2017, accanto all’edizione digitale di OFFICINA*, prende forma anche quella cartacea. Tali cambiamenti hanno inevitabilmente determinato una riorganizzazione delle attività in redazione, per poter dare spazio alle attività di revisione del comitato scientifico e di verifica della stampa cartacea. Quest’anno, con il numero di OFFICINA*40, ci troviamo ad affrontare un ulteriore cambiamento, e quindi riorganizzazione: l’avvio della piattaforma Open Access e quindi l’indicizzazione degli articoli del dossier scientifico. Non si tratta di un “ritorno alle origini”, bensì di un’implementazione, poiché la piattaforma consentirà una maggiore fruizione e visibilità dei contenuti nel mondo scientifico. OFFICINA* dunque prosegue sulla propria rotta, quella di divulgare e comunicare la ricerca scientifica in architettura e nelle discipline affini.*

Forty OFFICINE* We reach 40 issues, with numerous authors and authors, who have shared their reflection and point of view with the OFFICINA* cultural association, through words and images. The portfolio of this issue celebrates the 40 covers and the work that encompasses each of them, in the production of the image by the author or author, but also in the selection by the editorial staff. OFFICINA* was born as a digital project, like a magazine in PDF format that can be browsed online, every two months.

2017 is the year of change: in terms of content, format and organization. This year with the issue of OFFICINA*40, we are facing a further change, and therefore a reorganisation: the launch of the Open Access platform and therefore the indexing of the articles of the scientific dossier. This is not a “return to origins”, but an implementation, since the platform will allow greater use and visibility of the contents in the scientific world. OFFICINA* therefore continues on its course, that of disseminating and communicating scientific research in architecture and related disciplines.*

Nascita. A cura di OFFICINA* * 01 * Riqualificazione appropriata Pro Tempore Ilaria Fracassi * 02 * Grandi eventi Fatti in casa! Laura Bottaro * 07 * QB. Interazioni con il mondo del cibo Converso Margherita Ferrari * 08 * Il progetto inclusivo Margherita Ferrari PhD in Tecnologia dell’architettura, Università Iuav di Venezia. margheritaf@iuav.it

Le quaranta OFFICINE*

Inside Out Ilaria Fracassi * 03 * 14^ Biennale AUTO produzione costruzione recupero Alessandro Pandolfi * 05 * AUTO produzione costruzione recupero Villegiaturismi 1930-2015 Patrizio M. Martinelli * 11 * Turismi Fabbro indonesiano Francesco Dellai * 09 * Design autoprodotto Talkins Hands Francesco Cerato * 15 * Progetto Partecipato Condominio Sostenibile Alessandra Ciarmela * 13 * Migrazioni Hand Work 2015 Luca Stancari * 06 * Progetto Digitale Eleganza Chiara Dattola * 12 * Trame Running Current Patrizio M. Martinelli * 10 * MuoviMenti Border Lines Valerio Veneruso * 16 * Arti in luogo Surfaces Giacomo Bagnara * 14 * Laboratori Shaped Steel Giacomo Bagnara * 04 * Heavy Metal
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Atlantide Sara Altamore * 17 * Acqua Emotional landscape, paper collage Patrizio M. Martinelli * 19 * Aria Terra Mattia Riami * 20 * Terra Ritiziano Bis A Davide Spillari * 26 * Sacro Altra realtà Alice Le Divenah * 25 * Imitazione Press Escape to Exit Dorota Piechocińska * 34 * Luoghi dell’apprendimento Alta marea Luigi Ruggiero * 33 * Ecolomia Ritiziano Bis B Davide Spillari * 27 * Profano Emotivo Veronica Robinelli * 35 * Paranoia Rifugi come luoghi Multiplo * 28 * Rifugi Ripari Rimedi The Last Option Giulia Neri * 36 * Piano C Al fuoco! Giulia Pecol * 18 * Fuoco
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31, ottobre-novembre-dicembre 2020
Barbabietole Elena Veronese * 21 * Natura Artificio Stefanos Antoniadis * 22 * Artificio La montagna non toccata Peter Schlickenrieder * 30 * Aree interne The towers of the (in)visible city Patrizio M. Martinelli * 29 * Aree dense Lucida distorsione Ilaria Pittana e Ilaria Pitteri * 38 * Interazioni Tavli Giorgios Papaevangeliou * 37 * Mediterraneo Foriero Cristalli Rolando Ghirardi * 23 * Innovazione Primo rifugio Matteo Fontana * 31 * Adattamento Permacittà. Una nuova definizione del costruito. Chiara Iacovetti * 39 * Permacultura Tracce primarie Alice Le Divenah * 24 * Originale Sottovuoto Cinzia Piazza * 32 * Vuoto Urban Regeneration Laura Scala * 40 * Rivoluzione

Rural Futures

Gerardo Semprebon

LetteraVentidue, 2022

Versus_Urbanism How to live, all together, in a world with 8 billion other people? Will the model of the metropolis be able to withstand the increase in city residents? To believe in the globalized and interconnected world, its rules and models, it is also necessary to believe in an alternative, and not antithetical, model of rural development concerning environmental, demographic and socioeconomic issues. Probably, the future will be in a renewed relational peace between the highly urbanized world and the slower world of suburban and rural areas.*

Contro_urbanesimo La Cina come caso-studio per affiancare alle grandi metropoli lo sviluppo delle aree rurali

el 2021 la Cina ha raggiunto e superato la quota di 1,4 miliardi di abitanti1, dei quali una gran parte risiede accorpata a decine di milioni in vaste e dense aree metropolitane. Questa forte crescita demografica che ha accompagnato lo sviluppo del Paese a partire dalla fine degli anni Sessanta, unita a una serie di politiche economico-industriali di matrice capitalistica (che non rinunciano all’aderenza politica del Paese al suo storico terreno comunista), hanno condotto a una consistente migrazione dalle campagne verso le maggiori città. È evidente che un tale incremento demografico mette in crisi il modello urbano e costringe a una riflessione, non ideologica, sul futuro e sul ruolo delle aree rurali.

Il saggio Rural Futures di Gerardo Semprebon interviene nel dibattito con degli estratti provenienti dalla sua tesi di dottorato, condotta per il Politecnico di Milano e per la Shanghai Jiao Tong University fra il 2016 e il 2020. Il testo appare come uno stimolante organizzatore di contenuti, capace di gettare una luce nuova sul futuro possibile delle aree rurali, alternativo ai modelli di sviluppo urbano. È giusto, si domanda l’autore, applicare i medesimi modelli di crescita impiegati per le città anche ai più piccoli insediamenti extraurbani? Oppure è preferibile una strategia in grado di coniugare le specificità locali con le

necessità di crescita, attraverso l’impiego di un metodo capace di sviluppare gli insediamenti rurali dal basso, anziché dall’alto?

Il contesto globale contemporaneo, nel quale più del 50% della popolazione vive in città e nel quale si accelera sempre più verso un miglioramento del benessere e verso un maggiore sforzo nella lotta ai cambiamenti climatici, non esenta dal pagare un conto piuttosto salato. In Cina questa situazione rivela delle modalità spesso contraddittorie di organizzazione del territorio, specie nella difficile relazione tra la campagna e la città. Questa dicotomia tra le due diviene fonte di un sempre più ampio divario economico e sociale, che a tratti assume un carattere persino discriminatorio. È il caso dei cosiddetti Migrant Workers, lavoratori che pur vivendo in aree extraurbane, si spostano in città per motivi di lavoro. Questi, per il sistema Hukou, introdotto durante l’era maoista con l’idea di tracciare le migrazioni interne e di pianificare l’uso dei servizi pubblici, risultano come lavoratori non residenti in città e, pertanto, esentati dall’accesso ad alcuni servizi di welfare urbano. Un tale sistema ha condotto a un inasprimento della segregazione di classe, rendendo ancora più evidenti le disparità sociali tra chi ha la possibilità di accedere completamente alla vita cittadina, e chi invece risiede nelle aree extraurbane.

80 IL LIBRO
Davide Baggio Studente del corso di Laurea Magistrale in Architettura, Università Iuav di Venezia. d.baggio@stud.iuav.it

Pensare in modo alternativo ai modelli di sviluppo delle aree rurali, inoltre, non costituisce un problema limitato a un mero tema di relazioni spaziofunzionali tra le aree urbane e quelle extraurbane, ma contempla qualcosa di ben più significativo: il patrimonio culturale di un Paese e di un popolo dal passato millenario e dalla cultura vasta e profondissima; un’eredità che non viene custodita tanto nelle ampie aree metropolitane, ormai erose dall’azione spesso annichilente e omologante della globalizzazione, quanto nei piccoli villaggi, di dimensioni esigue e indissolubilmente legati con il paesaggio e con il territorio circostante. Si tratta, per usare le parole di Koolhaas, di un “Regno ignorato”: salvare la campagna e i relativi insediamenti significa preservarne la memoria storica e culturale, il cui valore è inversamente proporzionale alla sua fragilità.

Rural Futures indaga questi aspetti affrontandoli agilmente sia sul piano teorico che sul piano progettuale, presentando anche alcuni casi di progettazione in aree extraurbane. Ciò che emerge con chiarezza è il difficile equilibrio su cui si muovono tre macro-interessi: la crescita economica, la stabilità ambientale e la conservazione culturale, e di come questi spesso collidano nel momento della loro applicazione nelle aree rurali.

Il lettore potrebbe domandarsi il senso di affacciarsi sul panorama cine-

se, percepito come distante per motivi di ideologia o di pregiudizio. Ebbene, il pensiero che ha accompagnato la lettura di Rural Futures riguarda, paradossalmente, il confronto con la situazione italiana: gli insegnamenti che questa lettura può suggerire sono sorprendentemente molteplici. Del resto, in Italia, quanto del patrimonio artistico, culturale, paesaggistico, linguistico (si pensi alla dilalia delle forme dialettali), artigianale, ecc., è custodito al di fuori delle maggiori città? Ecco che, in conclusione, salvare i borghi più piccoli, facendo rifiorire le micro-economie locali, salvaguardare il patrimonio edilizio delle città più ridotte e degli insediamenti rurali, diviene un problema di sopravvivenza di un’eredità culturale dal valore inestimabile che corre oggi, nel mondo delle grandi metropoli globalizzate, il rischio concreto di venire dimenticato.*

81 OFFICINA* N.40
NOTE 1 – Fonte: statistiche Banca Mondiale 2021. BIBLIOGRAFIA – Semprebon, G. (2020). Design Challenges in Zhangyang Village, Fujian Province. Rural Revitalisation in the Chinese New Era. Tesi di dottorato, Politecnico di Milano, Shangai Jiao Tong University. – Kolhaas, R. (2020). Countryside, A report. New York: Taschen.

né capi né padroni, né polizia né carcere, e senza un potere centrale oppure in mano a qualche famiglia. Gli abitanti vivevano in comunione collettiva per il bene della comunità e della libertà ottenuta, senza prevaricare gli uni sugli altri e con grande rispetto per il prossimo. Il solo simbolo che poteva far pensare ad uno Stato era la bandiera bianca e nera con taglio diagonale scelta dalla popolazione. La gente viveva con quel che riusciva ad avere dal proprio lavoro, continuando a vivere semplicemente lavorando la terra, allevando il bestiame oppure grazie all’artigianato, come aveva sempre fatto ma con una differenza sostanziale rispetto al passato: adesso gli abitanti erano liberi dalle imposte, dai Signori e da tutto quello che ne conseguiva al tempo (Natali, 1892). La libertà e il dovere si possono accordare, ma “ogni comodità ha il suo prezzo”, come scrisse Ernst Jünger, “la condizione dell’animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello” (Jünger, 1990, p. 40), i cospaiesi lo avevano già capito. Molte cose dovrebbero essere scritte sulla storia di Cospaia, compresa la sua fine, ma qui ci limitiamo ad aprire una grande questione: da un errore è nato un modello di libertà e di rispetto difficile da trovare nella storia dell’uomo ma riproducibile, forse, in futuro? *

NOTE 1 –Titolo originale Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de Optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia (1516).

2 –Il libro di Filippo Natali riporta come anno di fondazione della Repubblica di Cospaia il 1440. Però libri molto più recenti, tra i quali quelli di Enrico Fuselli, riportano il 1441 come data di fondazione. Nel testo ho utilizzato quest’ultima data.

BIBLIOGRAFIA –Jünger, E. (1990). Trattato del ribelle .

Milano: Adelphi. –Mumford, L. (2017). Storia dell’Utopia .

Milano: Feltrinelli –Natali, F. (1892). Lo Stato libero di Cospaia nell’Alta Valle del Tevere (1440-1486) Umbertide: Stabilimento Tipografico Tiberino.

“Un caso pratico di anarchia in mezzo ad una società basata sul principio autoritario il più assoluto” (Natali, 1892, p. 5). La parola “utopia” significa letteralmente “luogo che non esiste” ed è stato coniato da Tommaso Moro per designare un paese ideale nel suo celebre libro Utopia 1 . Con il passare dei secoli il concetto di questo termine si è ampliato fino a comprendere ideali, modelli politici e modi di vita, il più delle volte impossibili da mettere in pratica ma che cercano perlomeno di orientare un rinnovamento sociale. Secondo Lewis Mumford, però, più gli esseri umani si ribellano alla loro condizione trasformandola “secondo modelli umani”, maggiormente “vivono nell’utopia” (Mumford, 2017), e quando un “luogo che non esiste” s’incontra con un modello politico e di vita fondato sulla libertà, allora l’utopia prende forma e il suo nome è Cospaia. Cospaia è un piccolo villaggio che si trova nella punta dell’Umbria, vicino a Città di Castello in provincia di Perugia, tuttavia la sua storia è grandiosa quanto piuttosto sconosciuta. Torniamo indietro nel tempo e andiamo precisamente nel 1441 2 , anno in cui lo Stato libero di Cospaia, oppure Repubblica di Cospaia, prese forma: un microscopico staterello (2,5 km di lunghezza e 500 m di larghezza) fondato nell’Alta Valle del Tevere e restato tale per quasi quattro secoli, fin quando fu annesso allo Stato Pontificio nel 1826. Nel 1441 Papa Eugenio IV offrì in pegno il territorio di Sansepolcro a Firenze in cambio di 25 mila fiorini d’oro. Lo Stato Pontificio e la Repubblica di Firenze mandarono i loro funzionari lungo i confini di Sansepolcro per tracciare i nuovi. Questo “Stato libero” è nato per caso, più precisamente da un errore nella spartizione di queste terre tra la Repubblica di Firenze e lo Stato Pontificio. Come punto di spartizione era stato preso un ruscello della zona: da una parte le terre sarebbero andate a Firenze e dall’altra parte a Roma. Però su quelle terre passavano –e passano tuttora –due ruscelli, ovvero il Riascolo e il Rio della Gorgaccia, ma che all’epoca si chiamavano entrambi Rio. Questa è la causa dell’errore dei confini: quel lembo di terra non esisteva più né per Firenze né per Roma perché si trovava in mezzo ai due ruscelli. Quella terra era ormai libera e gli abitanti –detti anche cospaiesi –rendendosi subito conto dell’errore, approfittarono della situazione creando il loro “particolare Stato”, dove non vi erano

Lo Stato libero di Cospaia: quando l’utopia prese forma

The Free State of Cospaia: when utopia took shape

83 I CORTI
Letizia Goretti PhD Cultura visuale, ricercatrice associata BnF–site Arsenal. letizia.goretti@yahoo.it Cospaia. Ingresso del borgo (2022). Cospaia. The entrance of the borough (2022). Letizia Goretti

Questo tipo di manifestazione può costituire un modo alternativo, in parte rivoluzionario, di riappropriazione di luoghi e spazi per sviluppare un’idea alternativa alla città del consumo (Cellamare, 2019). Perché si possa parlare di rigenerazione urbana però è necessario che si produca apprendimento sia nei diversi attori sociali che vi hanno preso parte sia nelle istituzioni (Ostanel, 2017). Gli esiti positivi di questa e altre forme di rigenerazione urbana e sociale, hanno innescato un processo di revisione nella gestione dei fondi pubblici a livello sovralocale: partendo dall’azione del singolo cittadino, si può cercare non solo di proporre nuove pratiche bottom-up ma anche tentare di orientare le esperienze top-down di rigenerazione 2 . In questi processi, l’architetto può assume un ruolo incentivante e al tempo stesso legittimante delle scelte operate dalle associazioni, offrendo il suo sguardo critico e il suo contributo nella progettazione degli spazi che diventano il palcoscenico di queste manifestazioni. Architettura, politica, agenzie di rigenerazione e associazioni culturali mettono in moto un intreccio di saperi e di tecniche, senza mai rinunciare a mantenere alto il livello di attenzione critica (La Varra, 2016). Emerge l’esigenza di osservare le contraddizioni tipiche di questi processi partecipativi multidisciplinari come a delle opportunità che permettano di guardare nel fondo delle cose, alla ricerca di nuovi paradigmi per disegnare il futuro della città. *

Nel panorama contemporaneo, la rigenerazione urbana dal basso sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nei processi di trasformazione del territorio e della città. Se in passato era consuetudine osservare la centralità delle istituzioni pubbliche nella gestione dei beni comuni, oggi stiamo assistendo a un cambiamento di rotta radicale: la sempre minor disponibilità di risorse economiche pubbliche, unitamente a una sempre maggiore insoddisfazione nei confronti della politica 1 , apre a nuove forme di gestione dello spazio. I singoli cittadini, ritrovandosi in molteplici forme associative, assumono un ruolo di responsabilità per il welfare collettivo. Può un festival culturale innescare dei processi rigenerativi all’interno della città?

Per cercare di rispondere a questa domanda, prende il via un’analisi critica sul ruolo dell’associazionismo

NOTE

1 –Nel 2022 l’ISTAT ha pubblicato il report La fiducia nelle istituzioni del Paese dal quale emerge un basso livello di fiducia soprattutto nei confronti dei partiti politici e del governo nazionale. I dati sono reperibili al link: https://www.istat.it/it/files/2022/05/Fiducia-cittadini-istituzioni2021.pdf (ultima consultazione settembre 2022).

2 –Per ulteriori informazioni si rimanda al link: www.regione.fvg.it/ rafvg/cms/RAFVG/cultura-sport/attivita-culturali/ (ultima consultazione gennaio 2023).

BIBLIOGRAFIA –Cellamare, C. (2019). Città fai-da-te. Tra antagonismo e cittadinanza. Storie di autorganizzazione urbana . Roma: Donzelli. –La Varra, G. (2016). Architettura della rigenerazione urbana. Progetti, tentativi, strategie . Udine: Forum. –Ostanel, E. (2017). Spazi fuori dal Comune. Rigenerare, includere, innovare. Milano: Franco Angeli.

all’interno del dibattito contemporaneo: le azioni di produzione e fruizione culturale presentano il potenziale per divenire dei veri e propri esperimenti di innovazione della città, strumenti di trasformazione dello spazio urbano, che possono rileggere il bene pubblico offrendo occasioni di accrescimento per la comunità. I processi partecipativi vengono realizzati con il coinvolgimento di figure professionali in ambito artistico, architettonico, urbanistico e sociale che, attraverso molteplici forme espressive, favoriscono l’espansione delle risorse comunitarie per un miglior soddisfacimento dei requisiti di benessere, inclusività e comfort. Scendendo nel particolare, il caso dell’associazione Vicino/lontano costituisce un esempio concreto del fare rigenerazione in chiave culturale attraverso l’omonimo festival che si svolge annualmente nella città di Udine e propone incontri, dibattiti, mostre, che occupano il centro storico e alcuni dei suoi edifici più suggestivi: studiosi, giornalisti, scrittori e artisti di prestigio internazionale si confrontano per analizzare i processi di trasformazione in corso nel mondo globalizzato. Si assiste a una vera e propria rilettura degli spazi pubblici, con la riscoperta di alcuni pezzi di città lasciati vuoti e talvolta dimenticati, come la sede dell’ex mercato del pesce, luogo simbolo per i cittadini udinesi, che ha riaperto i battenti durante una delle edizioni del Festival, divenendo un chiaro esempio di un bene pubblico “curato” dalla collettività che, nello svolgere questa azione, assume il duplice ruolo di artefice e fruitrice degli esiti della “cura”.

Processi di produzione culturale Cultural Production Process

Alberto Cervesato

Assegnista di ricerca, Composizione architettonica e urbana, DPIA, Università degli Studi di Udine. alberto.cervesato@uniud.it

Loggia del Lionello, Udine. Lionello lodge, Udine. Alberto Cervesato

85 I CORTI

The Computer as a New Design Tool

Between the 1980s and 1990s the Italian graphic design scene was overwhelmed by the advent of the personal computer, specifically Apple Computer’s Macintosh model, which, by means of a new and simplified graphic interface and dedicated software, allowed graphic designers direct access to the design phases that had previously been the exclusive prerogative of technicians. The essay investigates this digital revolution by reporting on some emblematic and unknown Italian case studies that enter new project areas and develop hybrid visual languages, peculiar to the national panorama.*

partire dalla metà degli anni Ottanta l’ambito del graphic design ha subito profonde mutazioni legate alla trasformazione delle strumentazioni tecnologiche che, con l’avvento del personal computer, in particolare con il modello Macintosh dell’azienda Apple Computer – immesso in commercio nel 1984 –, e la diffusione del desktop publishing, travolgono e modificano profondamente tutto l’ambito del progetto grafico. Difatti, come scrive la ricercatrice Emily McVarish nell’introduzione del saggio Inflection point (2017), dedicato alle pionieristiche esperienze statunitensi, il graphic design è stato uno dei primi settori a essere completamente tra-

Il computer come nuovo strumento di progetto

86 L’IMMERSIONE
Lo scenario del progetto grafico italiano tra gli anni Ottanta e Novanta
01. Fontology specimen 1994-96, Fontology type specimen | Fontology specimen 1994-96, Fontology type specimen. Monica Pastore courtesy Fabrizio Schiavi

sformato dal personal computer, che da una parte ha offerto molte opportunità ai progettisti grafici, ma dall’altra ha posto loro problemi e sfide ancora oggi al centro del dibattito professionale.

Sull’impatto di questa trasformazione in Italia le ricostruzioni sono ancora molto limitate. A tal proposito, questo contributo fornisce un primo e breve resoconto dello scenario italiano negli ultimi due decenni del Novecento.

Come altrove, anche nel nostro Paese la diffusione del computer nell’ambito del progetto iniziata nei primi anni Ottanta mette in atto, infatti, una vera e propria “rivoluzione” – in questo caso digitale – modificando gli assetti teorici, critici e pratici del graphic design come professione. Si assiste in quegli anni a una modificazione della produzione grafica dal punto di vista sia estetico ed espressivo, sia dell’iter progettuale e della catena produttiva a esso collegata. Non da ultimo, il rapporto tra i designer e le nuove tecnologie, che da un lato hanno permesso una maggiore libertà di sperimentazione rispetto al passato, e dall’altro hanno accorciato i tempi di ideazione e di produzione del progetto, dando vita a nuovi ambiti di applicazione del design grafico, introducendo inediti criteri e prassi di progetto.

Il computer Macintosh ha soprattutto il merito di aver introdotto contemporaneamente sia l’avvento dei sistemi operativi di facile uso, simulando tra l’altro l’intero ambiente di lavoro del graphic

designer, completamente basato su un linguaggio iconico, sia l’innesco del cambiamento dei processi di progettazione e di produzione della grafica avvenuta prima negli Stati Uniti e successivamente nel resto del mondo. Ciò che determina la diffusione e la fama del Macintosh è la concomitanza di diversi fattori. Innanzitutto, l’introduzione di una Graphical User Interface (GUI)1, del mouse e della capacità di riproduzione dei suoni, tutte caratteristiche che configurano questo modello come uno dei primi personal computer “multimediali”. Secondariamente, la dotazione di due software fondamentali: MacWrite, programma di videoscrittura con capacità WYSWYG2; MacPaint, programma di

disegno. In particolar modo quest’ultimo getta le basi per una possibile trasformazione del lavoro del graphic designer, velocizzando alcune operazioni di rappresentazione fino ad allora manuali e lente. Anche se il successo della macchina esplode soprattutto dopo l’arrivo di programmi compatibili prodotti da terze parti, tra i tanti QuarkXpress (1987) e Adobe Photoshop (1990), che ne hanno fatto uno dei sistemi operati preferiti per il desktop publishing.

Difatti la modalità di visione WYSWYG permette ai grafici di avere accesso alle fasi di progettazione precedentemente esclusivo appannaggio dei tecnici, ad esempio tracciare un segno vettoriale digitale con MacPaint e poi stamparlo

87 OFFICINA* N.40
02
e 03. Fontology specimen 1994-96, Fontology type specimen | Fontology specimen 1994-96, Fontology type specimen. Monica Pastore courtesy Fabrizio Schiavi
Un merito dell’avvento del computer è la creazione di nuovi ambiti progettuali del graphic design

significa avere un’interazione diretta con quanto prodotto senza intercedere con altri strumenti o professionalità. Inoltre, tale visualizzazione del progetto contribuisce alla proliferazione dell’ideazione di molte font digitali, dando vita a un nuovo ambito di progetto, ovvero la tipografia digitale, con il quale si cimenta la “generazione tecno-entusiasta” (Pastore, 2021) dei grafici italiani. Basti pensare all’esperienza della prima fonderia digitale italiana Fontology, fondata nel 1994 da due giovanissimi type designer, Alessio Leonardi3 e Fabrizio Schiavi4, che si rifanno al lavoro del progettista britannico Neville Brody. Il duo italiano mediante il computer esplora i confini della tipografia, lavorando sui caratteri fino ad adattarli alle proprie esigenze e sovvertendo spesso le regole della leggibilità5 (imgg. 01-03).

Oltre alla facilità di creazione e manipolazione delle font, il computer introduce nel processo progettuale persino l’accorpamento dell’elaborazione di testo e immagine in un unico e semplificato strumento mediante l’utilizzo di appositi software, ad esempio Adobe Photoshop – messo in commercio nel 1990 –, che permettono negli anni di riprodurre una resa visiva di qualità superiore a quella dei sistemi elettronici e soprattutto fotografici di elaborazione e riproduzione delle immagini.

L’introduzione di programmi, capaci di elaborare contemporaneamente sia l’apparato testuale sia quello delle immagini, velocizza ulteriormente i tempi di realizzazione del progetto e abbassa

di conseguenza i costi di produzione, impattando molto sullo sviluppo delle professioni nell’ambito del design e dell’arte (Cooper, 1989).

Un ultimo merito dell’avvento del computer e delle strumentazioni digitali correlate a esso è la creazione di nuovi ambiti progettuali del graphic design meritevoli sia di esplorare modalità tecniche fino ad allora sconosciute sia di contaminare e mescolare i linguaggi dei diversi mass media originando qualcosa di completamente inedito, ossia quei progetti multimediali nati per essere visualizzati sulla “pagina schermo” – la videografica per la televisione – che per diverse ragioni saranno pioneristici nel panorama italiano, andando a costituire alcuni casi studio portavoce delle nuove istanze visive introdotte dal computer. Nello specifico si fa riferimento al lavoro di Mario Convertino6 per la sigla del programma Mister Fantasy (1981); trasmissione all’avanguardia in onda su Rai Uno interamente dedicata al mondo della musica e della cultura giovanile.

Dal punto di vista grafico il progetto di Convertino si divide in due principali momenti, il primo nella sigla dove introduce elementi grafici digitali animati in sequenza – l’iconica mosca – sovrapposti alle scene riprese di Carlo Massarini – il conduttore del programma –, che durante il girato interagisce con l’insetto fino a polverizzarlo in tanti pixel fluorescenti. Il secondo nel corso del programma, in cui vari oggetti di grafica digitale attraversano lo schermo, disturbando il conduttore, il quale,

04 e 05.
88 L’IMMERSIONE
Doppia pagina di Climax n. 1 (destra) e n. 3 (sinistra) | Double-page spread of Climax n. 1 (right) and n. 3 (left). Monica Pastore courtesy Alessandro Jumbo Manfredini
Gli approcci sperimentati evidenziano una peculiarità italiana di quegli anni, la capacità di avvicinare “le sub-culture della strada alle ricerche del neo-design”

in certi casi, si ritrova ad abitare interi scenari sintetici o a essere incorniciato in finte polaroid. Questi nuovi elementi progettuali costruiti in diretta e l’estetica bitmap sia della mosca sia degli effetti ad essa legati sono tipici degli aggiornamenti tecnologici del Tesak (Vida, 1985, p. 60) – la workstation digitale fornita dalla Rai – che permettono a Convertino da una parte maggiore fluidità nel progetto videografico e dall’altra l’introduzione di nuovi espressioni grafiche, finora inedite.

I nuovi approcci sperimentati da Convertino con il digitale evidenziano una peculiarità italiana di quegli anni, ovvero da un lato la capacità di avvicinare “le sub-culture della strada alle ricerche del neo-design” (Piazza, 2019, p. 106) mediante il computer, dall’altra l’adozione di “linguaggi grafici ibridi” (Greiman, 1990; Pastore, 2021).

Questo approccio progettuale si riscontra in un altro esempio singolare degli anni Novanta, la rivista Climax7 , considerata “come l’unico regesto dei progettisti più giovani appartenenti alla generazione tecno-entusiasta” (Pastore, 2021, p. 279). Difatti, oltre a essere la sola pubblicazione interamente dedicata allo scenario contemporaneo della grafica di quegli anni, si configura come uno dei pochi spazi di confronto e di sperimentazione dei linguaggi digitali. Segno in parte di un cambiamento che piano piano sta avvenendo, e che ha messo in moto delle energie a partire dalla scena

del graphic design modenese, dove si cerca di creare un network tra le realtà progettuali italiane più sperimentali.

La veste grafica della rivista è un caleidoscopio di vari linguaggi digitali, composti dalla sovrapposizione di livelli compositivi, da fotografie pixellate o sfuocate elaborate al computer, da segni vettoriali, dall’assenza di una gabbia progettuale, dall’uso della bicromia e dalla predilezione di colori acidi, dalla manipolazione della tipografia tramutata in immagine a discapito della sua leggibilità (imgg. 04-06).

Sebbene questa esperienza editoriale sia stata una chimera nello scenario italiano per la sua breve durata, a Climax va riconosciuto a posteriori il merito di aver “rappresentato un modo di vedere la grafica molto innovativa per l’Italia: fino allora nessuno aveva preso in considerazione che questo tipo di lavori potesse essere considerato grafica”8

L’affermazione del progettista Gianni Sinni evidenzia quanto sia necessario indagare le vicende della grafica italiana di quegli anni per poter da un lato ricostruire la loro storia, dando voce a figure ed esperienze progettuali finora poco conosciute e dall’altro comprendere meglio l’attuale scenario italiano.

Inoltre, da questo breve contributo resta evidente e inalterato che la professione del graphic designer è in continuo mutamento, sempre di pari passo con gli strumenti del progetto o i nuovi supporti tecnologici.*

NOTE

1 – Graphical User Interface (GUI), nota in italiano come interfaccia grafica, è un termine nato nell’ambiente dell’informatica per identificare la tipologia di interfaccia utente che consente l’interazione uomo-macchina in modo visuale, ossia mediante l’utilizzo di rappresentazioni grafiche come le icone, che nel caso dei computer simulano l’ambiente della scrivania.

2 – WYSIWYG è l’acronimo inglese che sta per la frase “What you see is what you get”, ossia la descrizione usata per il sistema informatico che presumibilmente mostra sempre sullo schermo una replica accurata di ciò che alla fine sarà trasferito su supporto cartaceo.

3 – Alessio Leonardi (Firenze, 1965) graphic e type designer italiano immigrato a Berlino nel 1990. Inizia la sua carriera di progettista presso lo studio MetaDesign di Erik Spiekermann. Negli anni Novanta è attivo nella scena europea nella diffusione della cultura tipografica digitale.

4 – Fabrizio Schiavi (Ponte dell’Olio, 1971) è uno dei più importanti type designer italiani che ha contribuito alla diffusione della tipografia digitale in Italia negli anni Novanta e primi del Duemila.

5 – Comunicazione personale con Alessio Leonardi (11 marzo 2020) e Fabrizio Schiavi (Milano, 31 luglio 2019).

6 – Mario Convertino ((Milano, 1948-1996) è stato un progettista grafico italiano. Il suo esordio avvenuto negli anni Settanta nell’ambito dell’industria musicale, lo porta a lavorare successivamente con un nuovo ambito progettuale, la videografica, curando il programma televisivo Mister Fantasy (1981).

7 – La rivista Climax (1994-1998) nasce a Modena dall’intuizione del progettista grafico Alessandro Jumbo Manfredini con il sostegno dalla casa editrice modenese Happy Books e il coinvolgimento del type designer Fabrizio Schiavi. Per problemi economici vengono pubblicati soltanto quattro numeri.

8 – Comunicazione personale con Gianni Sinni (Firenze, 2 ottobre 2019).

BIBLIOGRAFIA

– Cooper, M. (1989). Computer and design. Design Quarterly, n. 142, p. 10.

– Greiman, A. (1990). Hybrid Imagery. The Fusion of Technology and Graphic Design. London: Architecture design and technology press.

– McVarish, E. (2017). Inflection Point (online). In www. emigre.com/assets/file/pdf/InflectionPoint.pdf, p. 6 (ultima consultazione: settembre 2022).

– Pastore, M. (2021). Linguaggi ibridi. I progettisti grafici italiani e il computer come nuovo strumento di progetto tra gli anni Ottanta e Novanta. Tesi di dottorato, Università Iuav di Venezia.

– Piazza, M. (2019). Convertino. In AA. VV., Reality 80. Il decennio degli effetti speciali. catalogo della mostra Milano: Creval, p. 106.

– Vida, F. (1985). Ricercherò. Ricerche Rai. Video Magazine, n. 48, 1985, p. 60.

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06. Copertine dei quattro numeri di Climax | Covers of the four issues of Climax. Monica Pastore courtesy Alessandro Jumbo Manfredini

Dottoranda di ricerca in Architettura, DAD, Università degli Studi di Genova. giulia.sola.gs@gmail.com

Educational Revolution as Design Evolution

When Walter Gropius founded the Bauhaus in 1919, his goal was to synthesize the intentions of the Arts and Crafts movements, the Werkbund and the applied arts, because he believes that the artist is able to add a contribution of aesthetic innovation to the technique. The Bauhaus is an avant-garde school, which manages to make a social change and shake the western architectural landscape. The productions of his laboratories, in which the interaction between students and teachers inspires a continuous flow of ideas, are the materialization of the revolution underway within it.*

o Staatliches Weimar Bauhaus

è una scuola rivoluzionaria già dall’idea su cui si fonda. Nel manifesto della scuola Walter Gropius concepisce un’interconnessione profonda tra le discipline artistiche e quelle artigianali, che solo insieme possono convergere in una nuova arte del costruire, basata sui principi teorizzati da Bruno Taut e volta a promuovere l’unità culturale. Nel pensiero di Gropius, l’artista deve collaborare con la produzione industriale al fine di generare bellezza. La ricerca della qualità estetica

Rivoluzione educativa come evoluzione progettuale

Cosa rimane del metodo di insegnamento del Bauhaus

90 L’IMMERSIONE
01. Gropius e il teatro al Bauhaus | Gropius and the theatre at the Bauhaus. Eugenio De Ruggiero, Giulia Sola, 2022

negli oggetti di uso quotidiano è un atto rivoluzionario in sé, perché si basa sull’idea che tutti debbano fruire della bellezza. Per raggiungere questo obiettivo, l’impianto scolastico è completamente differente da quello che è possibile trovare nelle Accademie di Belle Arti e Scuole di arti e mestieri. La differenza con le scuole tradizionali non è solo nelle materie insegnate, che comprendono la teoria del colore, lo studio dei materiali da costruzione, il teatro, la pubblicità e la fotografia, ma anche nel metodo con cui le discipline vengono insegnate. Tutti i corsi sono strutturati come laboratori pratici, in cui lo scambio di conoscenze tra insegnanti e alunni è un flusso costante di

idee. Ogni studente è libero di crearsi un percorso di studio, e sebbene sia previsto che alcune lezioni siano obbligatorie per ottenere il diploma, ci sono moltissime materie che devono essere scelte in autonomia. Il ciclo di studi è strutturato in tre anni e prevede che al primo semestre del primo anno tutti gli studenti seguano un cosiddetto “corso preliminare”, che serva anche ad abituarli alla realtà che troveranno all’interno della scuola. All’apertura nel 1919 questo corso è tenuto da Johannes Itten, che richiede agli alunni di lasciare tutte le loro pregresse conoscenze e li incoraggia a tirare fuori la loro creatività. Il corso ribalta completamente le consuetudini scolastiche.

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02. Illustrazione del prospetto della scuola Bauhaus di Weimar | Illustration of the Bauhaus facade in Weimar. Eugenio De Ruggiero, Giulia Sola, 2022
Il Bauhaus porta gli studenti a concentrarsi sul loro lavoro e a esprimere da subito se stessi

Solitamente nelle scuole d’arte viene insegnato a copiare dai maestri, il corso introduttivo del Bauhaus invece porta gli studenti a concentrarsi sul loro lavoro e a esprimere da subito se stessi. Gli argomenti trattati sono principalmente tre: studi sulla natura e sui materiali – che include la sua conosciutissima teoria del colore e della forma – studio e critica dei “vecchi maestri” e disegno della vita. L’intento della scuola è ambizioso, infatti oltre all’insegnamento pratico, l’obiettivo a lungo termine è quello di rimodellare la società attraverso l’architettura, sfruttando la spinta delle nuove generazioni e della loro mancanza di preconcetti.

Dopo il primo semestre ciascuno studente sceglie un werkstätten oppure officina di arte applicata al design in cui specializzarsi, e a cui avrebbe affiancato lezioni da scegliere in base alle proprie aspirazioni e interessi artistici. Le officine forniscono una specializzazione in uno dei vari ambiti del design come lo conosciamo oggi, in tutte le sue sfaccettature: scultura in legno, scultura in pietra, gioielleria, metalli, ceramica, vetrate, stampa per la grafica, performance e scenografia, pubblicità, fotografia, murales e tessitura. All’interno di ogni officina gli studenti sviluppano progetti personali e collettivi insieme, anche se appartenenti ad anni diversi, in una struttura di collaborazione che loro stessi chiamano “ponti verticali”. Il laboratorio di tessitura, in cui insegnano anche Itten e successivamente Lily Reich è uno dei più rinomati della scuola. Grazie alle composizioni e ai pattern prodotti dalle ragazze, sono realizzate stampe per carte da parati, che riscuotono molto successo all’infuori della scuola e vengono vendute, permettendo anche costanti entrate per finan-

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03. Foto degli archivi della scuola Bauhaus a Berlino | The archives of the Bauhaus school in Berlin. Eugenio De Ruggiero, Giulia Sola, 2015

ziare l’istituto. L’officina di discipline teatrali nasce dalla correlazione che Gropius stesso vede tra costruzione e palcoscenico. Sotto la sua direzione il workshop è tenuto da Lothar Schreyer, che porta gli studenti a esplorare il linguaggio delle forme attraverso la composizione e il travestimento di ogni parte del corpo, alla ricerca dell’influenza che le forme e i materiali producono su di esso. Il workshop perderà molto budget quando Gropius abbandonerà la scuola anni dopo, ma paradossalmente diventerà ancora più avanguardistico, trasformandosi in un’embrione dello studio dell’arte performativa.

Uno dei corsi principali per tutti gli studenti è ovviamente quello di progettazione architettonica o di teoria della costruzione. Interessante notare come formalmente il corso venga instituito solamente nel 1929, in concomitanza con lo spostamento della scuola nella città di Dessau. Prima di quella data gli studenti apprendevano la progettazione architettonica lavorando direttamente ai lavori su commissione ottenuti dallo stesso Gropius. Poco dopo l’arrivo a Dessau Hannes Meyer diventa direttore della scuola, prendendo il posto di Gropius, e sostituendolo anche come professore del corso di architettura. Meyer vede l’architettura, non come composizione, ma come un pattern generato dalle abitudini della vita delle persone, fortemente legata al contesto, non solo geografico, ma anche socio-culturale, ed è su questo che si concentrano i progetti realizzati dagli studenti. Negli anni a Dessau l’impegno politico della scuola passa anche dallo studio della grafica. Se il font fraktur, ispirato alla scrittura gotica, diventa un simbolo del partito nazista e del conservatorismo, i nuovi font progettati dalla scuola del Bauhaus

incarnano il significato politico opposto. Il razionalismo dei font punta alla modernità, all’evoluzione, alla novità. I nuovi studi tipografici materializzano l’ideale sociale universale. L’intero curriculum del Bauhaus è indirizzato alla produzione di un nuovo stile di vita per l’uomo moderno, che deve affrontare la rinascita di un nuovo mondo dalle ceneri del primo dopoguerra. È un periodo di grande fermento culturale e la scuola di avanguardia spinge i suoi studenti a sperimentare e a credere nelle proprie idee, portandole avanti con coraggio, ma interrogandosi sempre sul percorso da seguire. Come è facile immaginare, lo spirito della scuola viene visto come estremamente spregiudicato. Le ragazze vestono da ragazzi e tagliano i capelli corti, i ragazzi si truccano, non solo nelle performance artistiche, ma anche in occasione delle feste tenute ogni settimana, provando in qualche modo almeno a mettere in discussione le imposizioni di genere.

Quando nel 1930, Meyer viene allontanato per le sue convinzioni politiche in forte contrasto con il nuovo regime Nazista, gli succede Ludwig Mies van der Rohe, che sarà l’ultimo direttore del Bauhaus e del corso di architettura. In questo periodo gli studenti vengono principalmente da altre scuole di formazione per architetti. Il Bauhaus per molti è diventato un “master” dove specializzarsi ed entrare in contatto con una delle scene culturali più ferventi in Europa. Gli insegnamenti di Mies si focalizzano sulla composizione della pianta per villette e case unifamiliari. Van der Rohe punta a stimolare una profonda comprensione dello spazio, e a far comprendere come la composizione sia governata dalla perfezione estetica. La sua rivoluzione sta nella

Tutti devono poter fruire della bellezza

ricerca della bellezza architettonica e nella qualità geometrica. Il nuovo direttore del Bauhaus ha poi il difficile compito di chiudere in modo definitivo l’istituto appena tre anni dopo il suo insediamento. Nel 1933, infatti, con la definitiva ascesa del nazismo, è diventato praticamente impossibile proseguire, se non addirittura pericoloso.

L’insegnamento del Bauhaus è che la scuola non fornisce solo strumenti pratici per imparare un mestiere, ma anche, e fondamentalmente, gli strumenti intellettuali necessari per condurre una rivoluzione sociale attraverso l’architettura e il design. Come dirà lo storico Carlo Giulio Argan molti anni dopo il Bauhaus oltre che scuola democratica, era scuola di democrazia: il concetto alla base era che una società democratica – funzionale e non gerarchica – è una società che si autodetermina, cioè si forma e sviluppa da sé, che organizza ed orienta il proprio progresso. Il progresso è educazione, lo strumento dell’educazione è la scuola, di conseguenza la scuola è il seme della società democratica.

L’eredità del Bauhaus è arrivata fino a oggi con ancora un’enorme forza propositiva. Il Bauhaus non è solo materialmente una scuola, ma una filosofia, un pensiero, un modo di comportarsi e rapportarsi al mondo, un messaggio che il buon design può essere fonte di rinnovamento, speranza e resistenza.*

BIBLIOGRAFIA

– Forgàcs, E. (1995). The Bauhaus Idea and Bauhaus Politics. Budapest; London; New York: Central European University Press Book.

– Hofmeister, S. (2019). Our Bauhaus heritage. Munich: Detail.

– Otto, E., Rössler, P. (2019). Bauhaus Women: A Global Perspective. London: Herbert Press.

– Pevsner, N. (1957). An Outline of European Architecture. Hardmondsworth Middlesex: Penguin Books Ltd.

– Weber Fox, N. (2009). The Bauhaus Group: Six Masters of Modernism. New York: Alfred A. Knopf.

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La poetica del dissenso Sciopero interprofessionale

18 ottobre 2022, Parigi

Cartelli, manifesti, scritte sui muri… le parole e i suoi supporti sono sempre stati dei degni compagni del dissenso. Slogan scanditi a gran voce si trasformano in segni leggibili; la scrittura fissa il pensiero e lo sguardo, ma soprattutto adduce a un altro gesto: quello dell’azione collettiva. “La bellezza è nella strada”, citava un manifesto del Maggio ’68, mentre le parole si trasformavano in poesia pura, “l’antimateria della società dei consumi” (Internazionale situazionista), in un gioco di creazione e un grido di libertà e di giustizia, oggi ancora validi.*

The Poetics of Dissent Interprofessional Strike

October 18th 2022, Paris

Placards, posters, writing on the walls… words and their supports have always been worthy companions of dissent. Slogans chanted loudly turn into legible signs; the writing fixes the thought and the gaze, but above all leads to another gesture: that of collective action. “Beauty is in the street”, quoted a manifesto of May 68, while the words are transformed into pure poetry, “the antimatter of the consumer society” (Situationist International), in a game of creation and a cry for freedom and equity, still valid today.*

94 SOUVENIR
PhD Cultura visuale, ricercatrice associata BnF–site Arsenal. letizia.goretti@yahoo.it
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A Dance of Purplish Mantles The curtain, used as a compositional tool, introduces an undeniable rupture of the established and sometimes-reassuring limits of the inhabited space. Petra Blaisse, in a whole reflection on three specific architectural-exhibiting projects, questions some of the paradigms of the architectural and theoretical tradition from the Modern to the contemporary, declaring the revolutionary character of her own design experimentation. Space becomes uncertain: unstable, it moves inexorably from one state of equilibrium to another, perhaps never reaching it.*

à dove “vi sono alti telai di pietra, dove le Ninfe tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi” (Omero, 2010, p. 705), vi è l’antro di Itaca. Un’oscura grotta secondo la descrizione omerica, all’interno della quale Odisseo avrebbe deposto i doni dei Feaci al suo ritorno. Un luogo “altro”, nel commento allegorico di Porfirio, che avrebbe simboleggiato il cosmo (Porfirio, 1986, p. 43), in una più ampia rilettura neoplatonica. Ciò che di fatto entrambe le immagini portano alla luce è la descrizione di uno spazio “meraviglioso”, in cui figure mitologiche si muovono tra drappi a incantare gli occhi di chi osa addentrarvisi. Ammettendo l’aura della narrazione mitologica, l’antro di Itaca potrebbe aver innescato nel tempo interessanti

Una danza di manti purpurei

L’architettura si fa instabile tra i tendaggi di Petra Blaisse

96 TESI
Architetto e dottoranda di ricerca in Composizione architettonica, Università Iuav di Venezia. gconti@iuav.it 01. Veduta dal piano terra della Maison à Bordeaux (1998) verso il giardino esterno | View from the ground floor of Maison à Bordeaux (1998) toward the outdoor garden. Image courtesy OMA

echi architettonici, inedite suggestioni spaziali nella costruzione di un luogo che, seppur disabitato, ospita sinuosi e brillanti tendaggi a danzare in una ciclica ridefinizione planimetrica e spaziale. La “cavità” contemporanea a cui si allude è, in questo caso, un manufatto architettonico compiuto: il padiglione olandese progettato da Gerrit Rietveld e realizzato nel 1954 ai Giardini della Biennale di Venezia, che in occasione della 13. Mostra Internazionale di Architettura (2012) diviene “contenitore” all’intervento architettonico-allestitivo Re-set. New Wings for Architecture di Petra Blaisse. Non vi sono Ninfe o telai a popolarne l’interno, ma due colossali tendaggi che conferiscono un rivoluzionario dinamismo – e una rinnovata spazialità – a una volumetria altresì plastica. Re-set assume il carattere di una sintesi teorica e progettuale, nell’immagine di un’ampia coreografia architettonica in cui tempo e spazio, contingenti o assoluti, si trovano a dialogare suddivisi in dodici atti (img. 03). La scena si compone di due evidenti dispositivi principali: unici strumenti compositivi di definizione spaziale, due tendaggi di 21,00 x 5,40 m si fanno attori nello spazio libero del padiglione olandese. A orchestrarne il movimento, una complessa struttura fissata al soffitto e alla travatura del padiglione, composta da un binario a catena meccanizzato. La configurazione di quest’ultimo definisce l’esito dell’intervento: una pianta dagli invisibili segni a terra, da

osservare dal basso verso l’alto, la cui proiezione disegna il reale spazio sottostante coincidendo con l’elemento, nel risultato e soprattutto nella sua lunga genesi progettuale, ordinatore dell’intera pièce teatrale. L’intera coreografia delle dodici disposizioni tessili “in potenza” prevedeva una durata complessiva di 28 minuti: i tendaggi sarebbero stati in movimento e successivamente si sarebbero arrestati per circa novantasei secondi. I visitatori avrebbero quindi potuto esperire la temporanea spazialità per circa un minuto e mezzo per poi essere sorpresi da una rinnovata configurazione che minava la tranquilla stasi raggiunta poco prima. A contorno della performance, dispositivi sonori e luminosi scelti con attenzione, supportavano i due tendaggi nel delineare i “passi” della suggestiva danza: dominio del tessile, il padiglione olandese si faceva scenario, consapevole ma impotente, della labile –ma risoluta – composizione e ricomposizione di spazi. Luoghi effimeri velati e svelati, emancipati dal costruito che li ha accolti1, si susseguono all’interno di una grande scatola scenica, di cui il visitatore si fa inerme spettatore.

Il risultato è un complesso sistema di scelte compositive e puntuali espedienti tecnici, che definiscono all’interno del padiglione una reale scenografia architettonica tra le più suggestive nella lunga durata della riflessione tessile della sua progettista e del suo studio Inside Outside2. La stessa Blaisse, riferendosi al

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02. Veduta dal soggiorno di Villa dall’Ava (1991) a Saint Cloud, Parigi, e dei tendaggi dorati su progetto di Petra Blaisse | View from the living room of Villa dall’Ava (1991) in Saint Cloud, Paris, with the gold curtains designed by Petra Blaisse. Image courtesy OMA
L’abitazione si fa esterno, il paesaggio si trasfigura in interno

progetto per la Biennale, ne sancisce il carattere di sintesi della propria ricerca progettuale, riconoscendolo come un nodale esito della complessiva sperimentazione tessile fino a quel momento nel rappresentare l’idea di “un’architettura composta – quasi – esclusivamente di tendaggi”3. Nella lunga durata della collaborazione con OMA/Rem Koolhaas, iniziata con la progettazione del sipario per il Netherlands Dance Theatre a L’Aia nel 1987, sono da segnalare tuttavia altri due momenti emblematici per l’innovazione spaziale introdotta dal tessile e per la rottura che lo stesso ha introdotto rispetto ai limiti consolidati del progetto d’architettura: la Villa dall’Ava a Saint Cloud (OMA, Koolhaas, Mau, 1995, pp. 132-193), Parigi, del 1991 e la successiva Maison à Bordeaux del 1998 (Blaisse, Ota, 2007, pp. 230-239). Se da un lato i progetti recuperano una chiara tradizione legata all’impiego di elementi tessili in architettura, è altresì vero che proprio rispetto a questa emerge un interessante e rivoluzionario superamento.

L’attività progettuale di Lilly Reich, la

più nota collaboratrice di Mies van der Rohe (McQuaid,1996, p. 7) tra il 1927 e il 1938-39, ritorna indubbiamente come forte e ricorrente suggestione nel dialogo con la contemporanea sperimentazione tessile olandese. Agli inizi della loro lunga collaborazione, Mies e Reich realizzano infatti a Berlino il Cafè Samt und Seide (imgg. 04 e 05), ospitato come allestimento per l’esposizione Die Mode der Dame all’interno della Funkhalle di Berlino4. Brillanti dispositivi tessili, unici strumenti compositivi nella definizione spaziale dell’intervento, sono modellati a suggerire luoghi nascosti, intimi e compiuti, all’interno di un più ampio – e incombente – “contenitore”, la cui spazialità originaria è deliberatamente corrotta dalla delicatezza di sete e velluti leggeri. L’architettura, sorprendentemente allora come oggi, viene con forza dichiarata tessuto. Insuperato esempio Modernista dell’impiego di strumenti dichiaratamente tessili come elementi progettuali, il Cafè ammetteva tuttavia un intrinseco limite nella definizione spaziale: la staticità.

“Ciò che ho realmente compreso durante il progetto di Villa dall’Ava molti anni fa, è stata la differenza tra il mio lavoro e quello di Lilly Reich a cui spesso i nostri progetti vengono associati. In seguito alla riscoperta di Der Stil di Gottfried Semper, per lei e Mies il tessuto ha acquisito un’essenza e un’immagine statuaria ma, nel mio caso, il movimento diventa centrale, sia esso manuale o automatizzato”5. La rivolu-

04. Veduta del Café Samt und Seide di Mies van der Rohe e Reich all’esposizione Die Mode der Dame a Berlino del 1927 |
98 TESI
View of Mies van der Rohe and Reich Café Samt und Seide at the 1927 Die Mode der Dame exhibition in Berlin. Fondazione Bauhaus Dessau 03. Dodici configurazioni tessili di “Re-set. New Wings for Architecture” (2012) all’interno del padiglione olandese. Le trame di 16x16m dimensionano il padiglione e la loro rotazione genera anche la geometria del binario a soffitto | Twelve textile configurations of “Re-set. New Wings for Architecture” (2012) within the Dutch Pavilion. The 16x16m grids size the pavilion, and their rotation also generates the geometry of the ceiling track. Giulia Conti, 2022
Il tendaggio è temporaneo nella sua durevolezza e permanente nella sua fragilità

zione architettonica dei tendaggi di Blaisse è qui racchiusa: il loro movimento rompe i limiti talvolta rigidi dello spazio costruito, si interroga sulla fissità di una soglia tra interno ed esterno – da qui lo stesso nome dello studio Inside Outside – e svela all’osservatore le potenzialità della propria architettura. Lo spazio non è quindi solo tessile, ma porta con sé un’innata essenza temporanea: infiniti luoghi potenziali si configurano laddove i tendaggi vengono di volta in volta abilmente composti. Nell’incessante ricerca di un equilibrio forse mai pienamente raggiunto, i tendaggi di Villa dall’Ava (img. 03) e soprattutto della Maison à Bordeaux6 (img. 01) annullano i limiti del costruito, espandendo le superfici fino a traguardare l’orizzonte più prossimo. Un’architettura che, allo stesso tempo, è anche la negazione di sé stessa: il tendaggio definisce spazi per distruggerli, disvela scene all’osservatore per poi, nell’istante successivo, celargliele. È temporaneo nella sua durevolezza e permanente nella sua fragilità: ricco di contrasti, accetta l’incertezza contemporanea.

Come addizione al tendaggio, un ulteriore elemento diventa strumento invisibile di questa composizione

in movimento: il vento. Nel progetto a Bordeaux, le ben note necessità della committenza permisero una sperimentazione senza eguali nel campo della partizione spaziale non solo all’interno, ma anche verso il paesaggio circostante. Tendaggi, questi ultimi, che vinti dalla brezza e dalla gravità ondeggiano senza peso lasciando intravedere la lontana città sullo sfondo, per racchiudere poi il piano terra in un’introversa stanza nel momento di quiete del vento. L’abitazione si fa esterno, il paesaggio si trasfigura in interno. “[…] Le stanze ombre permanenti / si aprono in porte di luce / separate da veli mossi dal respiro / dell’aria / prolungando le palpebre che mai riposano. / Orizzonti resi interni […]” (Abraham, 1980, p.43). Già Raimund Abraham nel 1972, enumerando gli elementi fondativi della pratica architettonica, leggeva la casa come “[…] the junction of […] the wind / […] movement / […] the horizon / infinity” (Abraham, 1972, p. 62), individuando nell’abitazione un’inevitabile compresenza di opposti, preludio alla sperimentazione teorica delle 10 Houses (19701973). Evocative anticipazioni di un’architettura costruita ben venticinque anni più tardi, i disegni e gli

schizzi che accompagnano i progetti teorici della House with Curtains (1971-75) e della serie House of Hope, Houses of Birth, Houses of No Return7 (1978), costituiscono per la sperimentazione tessile di Blaisse forse più di una suggestione. È forse, l’architettura del tendaggio, una delle possibili declinazioni di un paradigma Immatériaux nel suo “[…] essere costruita con il nuovo materiale, l’aria, che soffia nei muri, nelle pareti divisorie, nel tetto, nell’arredamento [...]” (Klein, 1983, pp. 101-104) che tuttavia accetta e conferma il debito che l’arte tessile ha nei confronti dell’architettura più antica? Questo è quello che tengono insieme le trame di Petra Blaisse: una sperimentazione che stravolge e interroga – quasi fino all’esasperazione – il consueto e rassicurante concetto di “spazio”, per dimostrare come al solo tendaggio possa di fatto competere “l’organizzazione formale dell’idea di spazio” (Semper, 1860, p. 227), permanente o temporaneo che possa essere.*

NOTE

1 – La forma del binario a soffitto individuava tuttavia le sue origini in un attento studio della griglia modulare alla base della volumetria del padiglione (img. 03).

2 – Lo studio Inside Outside | Petra Blaisse viene fondato nel 1991 ad Amsterdam.

3 – Petra Blaisse intervistata dall’autrice nella sede dello studio ad Amsterdam nel marzo 2022. La citazione è frutto della trascrizione dell’autore, così come la traduzione italiana dall’inglese.

4 – L’esposizione Die Mode der Dame ebbe luogo a Berlino, all’interno delle sale della Funkhalle o Haus der Deutschen Funkindustrie (Casa dell’industria radiofonica tedesca), tra il 21 settembre e il 16 ottobre 1927 e venne organizzata dalla Associazione tedesca per la tessitura della seta.

5 – Vedi nota 3.

6 – Petra Blaisse realizza il progetto dei tendaggi per la Maison à Bordeaux nel 1998. Nel 2012 allo studio viene chiesto di delineare una nuova versione dei dispositivi tessili. L’intervento, poi realizzato, prende il nome di Bordeaux Revisited

7 – Il progetto venne elaborato nel contesto del seminario veneziano 10 immagini per Venezia del 1978.

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05. Planimetria della porzione settentrionale della Haus der Deutschen Funkindustrie con inserimento dei tendaggi del Café Samt und Seide (1927) di Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich | Plan of the northern portion of the Haus der Deutschen Funkindustrie with curtains disposition of Café Samt und Seide (1927) by Ludwig Mies van der Rohe and Lilly Reich. Giulia Conti, 2022

The New Public Programming in Optics of Sustainability Public planning today is receiving particularly significant attention: the economic difficulties we are going through, combined with the need for sustainabilitywhich cannot be eliminated given the serious climate changes underway - push policy makers to use public funds very carefully. Therefore, there is a need to develop methodologies capable of capturing the impacts of public policies: they must help administrations understand the effects of a policy on a given territory such as, for example, the increase in wealth or the number of busy employees, just to name a few. The paper aims to focus its attention on the input and output methodology (table of sectoral interdependencies, introduced by the Economist, Nobel Prize winner, W. Leontief) which has the merit of capturing the different types of impacts of a public policy and therefore of helping decision makers to develop effective and efficient planning.*

La programmazione è un’attività che richiede la capacità di valutare preventivamente la “bontà” di una decisione che si vuole assumere. Tale “bontà” ha da sempre assunto diverse declinazioni: efficienza, efficacia, coerenza con le esigenze territoriali, solo per fare qualche esempio. In un mondo, come quello econo-

mico, sempre più complesso, dopo anni di alterne fortune, sta riemergendo l’esigenza di valutare gli impatti delle politiche pubbliche; si può certamente discutere quali fra questi possano e debbano essere considerati e quali, al contrario, possano essere tralasciati, ma il tema di capire come una politica condizioni un territorio nelle sue specificità e nei suoi elementi differenziali riveste sempre più un elemento richiesto a livello europeo e, di conseguenza, anche a livello nazionale.

Verso una nuova fase programmatoria

A partire dagli anni Ottanta, lo sviluppo delle politiche europee di coesione e la maggiore attenzione posta alle tematiche economiche, sociali e innovative rendono necessario valorizzare pienamente le autonomie territoriali. A partire da questo periodo alle regioni vengono attribuite maggiori competenze relative “alla programmazione strategica, alla gestione, al monitoraggio e alla valutazione”, che permettono di organizzare in maniera sistematica l’attività politica e amministrativa nella gestione delle risorse pubbliche (Simionato, 2017). Da un lato, l’Europa percepisce sempre di più la necessità di ascoltare i livelli decentrati come le regioni e gli enti locali - poiché soggetti direttamente coinvolti nell’attuazione delle politiche locali e nell’erogazione dei servizi ai cittadini- dall’altro, le regioni sono chiamate ad un co-

ordinamento con le azioni politiche ed amministrative dell’Europa stessa adattando conseguentemente gli strumenti di programmazione. In questo modo, la progettazione, l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione dei risultati assumono importanza, diventando fasi fondamentali del processo decisionale, ognuna delle quali richiede una rigorosa attenzione nell’esecuzione e, soprattutto, una coerenza con le fasi precedenti, per la realizzazione di un ciclo efficace di programmazione (Bruzzo et al., 2008). Inizia ad essere utilizzato l’approccio place-based, ovvero basato sul luogo, rafforzando così la visione secondo cui l’identità e la specificità di un territorio lo rendono unico e, per questo, è necessario che ogni ente partecipi attivamente al processo decisionale delle politiche di sviluppo (Simionato, 2017). Già alla fine degli anni Novanta viene a configurarsi una nuova visione delle pubbliche amministrazioni legata all’introduzione di innovative logiche di governo, tecniche di gestione aziendali ed elementi manageriali, volti al perseguimento dei principi di efficienza, efficacia ed economicità - si pensi, senza scendere nel dettaglio, a tutta l’evoluzione dottrinale legata al New Public management –(Borgonovi, 2018). Secondo tale visione, la programmazione di bilancio e la valutazione ex post dei risultati vengono considerati requisiti fondamentali di un sistema gestionale di qualità e, lungo

La nuova programmazione pubblica in ottica di sostenibilità

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questa direzione, una sempre maggiore flessibilità organizzativa e gestionale viene riconosciuta alla dirigenza. In questo senso ai controlli di regolarità contabile e amministrativa si sono affiancati il controllo di gestione ed il controllo strategico, finalizzato “all’attività di programmazione strategica e di indirizzo politico - amministrativo” (Chiappinelli et al., 2010). È’ all’interno della fase della programmazione strategica che si può collocare l’esigenza di una valutazione degli impatti di una politica pubblica in ottica di valutazione ex ante con il fine di attuare, tra diverse alternative, la migliore possibile, alla luce della valutazione proprio di quegli impatti su un determinato ambito territoriale. Riuscire a cogliere i diversi effetti di una policy su un determinato contesto permette al decisore di avviare una fase programmatoria efficace ed efficiente. Uno degli strumenti più conosciuti in questo ambito è il modello input output, ideato nella seconda metà del secolo scorso da W. Leontief, che permette di stimare tre tipologie di effetti: 1) gli effetti diretti (l’impatto economico di accrescimento della ricchezza riguardante il settore economico direttamente coinvolto dal progetto e riguardante i settori che producono in beni intermedi che necessitano al primo); 2) gli effetti indiretti (in reazione allo stimolo suscitato per via diretta, la produzione di beni intermedi necessari al settore inizialmente coinvolto ha anch’esso bisogno di altri beni intermedi, coinvolgendo così, in sequenza, fasi della produzione sempre più “distanti” da quella originaria); 3) gli effetti indotti (l’incremento di produzione connesso all’incremento di reddito di cui sono beneficiari coloro che hanno partecipato alle produzioni di prima o seconda linea. Una parte di questo reddito è speso per l’acquisto di altri beni e servizi, ed i nuovi consumi si traducono in nuova produzione). Si tratta di un modello che riesce a stimare i consumi futuri, le quantità da produrre in ciascun settore e i possibili mutamenti nei diversi settori produttivi.

In questo quadro, alla luce del fattore “cambiamenti climatici” in atto, l’Agenda 2030 dell’ONU (Risoluzione

Assemblea Generale, 2015) ha, a suo modo, rivoluzionato, ampliandola, la valutazione strategica pubblica dal momento che ha reso evidente l’esigenza di tenere in considerazione l’elemento della sostenibilità - non incentrata solo sugli aspetti ambientali ma comprendente anche quelli economici e sociali - all’interno delle politiche e quindi, giocoforza, all’interno delle valutazioni che devono essere fatte nell’ adottare qualsivoglia politica, nazionale o regionale che sia. Questa logica, del resto, appare molto evidente in diversi documenti: ne sono un esempio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e la nuova programmazione europea 2021-2027. Lungo questa direzione si pongono anche altri documenti strategici come la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e i relativi documenti regionali – le Strategie Regionali per lo Sviluppo Sostenibile.

La Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile e la programmazione regionale

I 17 Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 ed i relativi 169 target in cui sono declinati, integrando le tre dimensioni tipiche dello sviluppo sostenibile - economico, sociale ed ambientale – con quella istituzionale, presentano le caratteristiche di essere universali ed interconnessi, ossia applicabili, pur tenendo conto delle specifiche realtà, alle diverse scale territoriali - globali, nazionali e locali (regionali e/o urbani) - e di essere tra di essi fortemente collegati e sinergici.

Molti Paesi, fra cui l’Italia, hanno adottato proprie Strategie Nazionali per lo Sviluppo Sostenibile declinate, a loro volta in Strategie regionali e locali. Tale approccio integrato implica due livelli di applicazione: quello istituzionale della governance multilivello, che spinge verso una coerenza, integrazione e complementarietà delle policy, e quello della individuazione di indicatori statistici e target ai diversi livelli di governo ai fini della valutazione dell’efficacia.

La Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile (SRSvS) della Regione

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Inizia ad essere utilizzato l’approccio placebased, ovvero basato sul luogo, rafforzando così la visione secondo cui l’identità e la specificità di un territorio lo rendono unico

del Veneto1 è un documento di scenario strutturato in 6 macroaree (Per un sistema resiliente; Per l’innovazione a 360 gradi; Per il ben-essere di comunità e persone; Per un territorio attrattivo; Per una riproduzione del capitale naturale; Per una governance responsabile) e 39 linee di intervento.

Essa può essere interpretata secondo un percorso che parte dalla sostenibilità di carattere economico, in grado di produrre ricchezza duratura e permettere di perseguire la sostenibilità di carattere sociale (non basata, quindi, sul debito, che significa, in ultima analisi, gravare sulle future generazioni, quindi in maniera contraddittoria rispetto al concetto stesso di sostenibilità), assumendo la sostenibilità ambientale quale vincolo da rispettare e quale potente driver per l’innovazione del sistema produttivo, secondo un approccio circolare.

L’implementazione dei contenuti della SRSvS in interventi concreti di policy, connessi ad indicatori e target, avviene con la assunzione delle suddette linee di intervento quali obiettivi strategici del Documento di Economia e Finanza Regionale2, il documento di programmazione generale alla base della manovra di bilancio, l’attività di budgeting, il monitoraggio e la valutazione strategici.

Gli obiettivi strategici hanno un elevato grado di rilevanza, sono perseguiti primariamente dall’Amministrazione regionale pur non escludendo la partecipazione attiva da parte di altri attori, sono soggetti alle dinamiche (positive o negative) di fattori esogeni e fanno riferimento ad un orizzonte di medio-lungo periodo.

Ogni obiettivo strategico viene declinato in più obiettivi operativi, a loro volta suddivisi in obiettivi prioritari e complementari, descritti in maniera dettagliata e completi di target e timing (img. 01).

La valutazione degli impatti sulla sostenibilità: uno strumento per il controllo strategico

Come detto, l’attenzione alla valutazione degli impatti degli interventi pubblici è cresciuta negli ultimi anni, evolvendo da un interesse sostanzialmente di carattere accademico ad un ambito più allargato anche a seguito di sollecitazioni a livello europeo e nazionale; si pensi, a titolo esemplificativo, alle politiche di coesione ed al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

In particolare, il PNRR pone (Regolamento, 2021/241) una particolare enfasi sugli impatti delle riforme e degli investimenti che, unitamente agli stringenti milestones e target, spo-

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OBIETTIVI STRATEGICI Linee d’intervento Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile OBIETTIVI OPERATIVI PRIORITARI
PROGRAMMA DI GOVERNO 2020-2025
Documento di Economia e Finanza Regionale
Approvati con Approvati con OBIETTIVI
Decreto Segretario Generale della Programmazione OPERATIVI COMPLEMENTARI 01. Dalla Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile alla programmazione regionale | From the Regional Strategy for Sustainable Development to regional planning.
La sostenibilità e un approccio basato sul calcolo degli impatti delle politiche pubbliche

stano il baricentro dalle procedure al raggiungimento degli obiettivi ed agli effetti di essi3; si può affermare che il PNRR ha introdotto in maniera diffusa, anche oltre la cerchia dei soggetti direttamente interessati, un linguaggio di carattere economico che si auspica possa ulteriormente svilupparsi nel futuro quale metodologia sistematica alle scelte di policy.

Termini quali obiettivo, indicatore, target, milestone, effetto, output, risultato e impatto, stanno pertanto avendo - pur non registrando ancora una convergenza consolidata in termini definitori - un utilizzo diffuso e rappresentano un background non solo terminologico, ma anche di ordine metodologico.

Questa visione riguarda non solamente le politiche pubbliche ma anche gli interventi privati che agiscono sulla collettività, quali quelli tipici dell’impresa sociale. Il focus sui cambiamenti ed i risultati è utilizzato per definire target di progetti locali, nazionali ed internazionali, per stabilire al meglio l’allocazione delle risorse e per guidare le decisioni.

Mentre in passato le valutazioni si sono prevalentemente concentrate su aspetti di processo - quindi di efficienza -, più di recente è emersa la necessità, per migliorare l’efficacia di nuovi interventi, di valutare quali effetti, positivi e negativi, previsti o inattesi, gli sforzi di policy abbiano prodotto in termini economico e sociali.

In questo contesto la Regione del Veneto ha introdotto il modello economico delle interdipendenze settoriali (modello di W. Leontief o modello input output, a cui è stato fatto prima riferimento) a 61 settori.4

L’analisi input output applicata al si-

stema regionale consente, pertanto, di descrivere le principali caratteristiche della struttura economica regionale e di coglierne le specificità rispetto a quella nazionale, valutando, come detto, effetti diretti, indiretti e indotti.

L’analisi viene completata, oltre che dalla quantificazione degli effetti, anche con i collegamenti degli investimenti con i 17 Goals dell’Agenda 2030, le 5 P della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile5 e le Macroaree della Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile.

La Regione del Veneto utilizza sistematicamente questo modello di analisi di impatto, a partire dalle risorse assegnate con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

A titolo esemplificativo, si stima che i 4,4 miliardi di Euro assegnati al territorio veneto al 30 giugno 2022 avranno un impatto economico sul territorio nazionale di 12,2 miliardi di Euro. Di questi, 4,6 miliardi di Euro impatteranno direttamente sul sistema economico veneto e 7,6 miliardi di Euro sul resto del Paese. In termini di occupazione, gli interventi coinvolgeranno oltre 65.000 addetti, di cui 26.000 in Veneto e 39.000 nel resto d’Italia6.

Conclusioni e prospettive

L’enfasi che sta assumendo l’approccio quantitativo alle decisioni pubbliche ed alla valutazione dei relativi effetti, in particolare in termini di sostenibilità, sta aprendo nuovi scenari che:

– partono dalle esigenze manifestate dalle pubbliche amministrazioni e dal settore pubblico più in generale;

di conseguenza, non si limitano ad un’analisi di carattere teorico ed accademico;

– hanno come finalità quella di individuare strumenti di analisi robusti sotto l’aspetto scientifico che possano essere utilizzati concretamente da amministrazioni ed enti (anche privati);

– espandono il campo di analisi agli effetti sulla sostenibilità economica, sociale ed ambientale, facendo evolvere i modelli di analisi verso una maggiore compiutezza e visione olistica.

Il modello input output a cui si è fatto riferimento dovrà essere, pertanto, arricchito di un ulteriore elemento, quello ambientale, andando a delineare una matrice inedita su cui la ricerca scientifica sarà certamente chiamata a fare attente riflessioni nei prossimi anni per apportare tutte quelle migliorie di cui ogni modello, nessuno escluso, abbisogna.*

NOTE

1 – Approvata dal Consiglio regionale veneto con deliberazione n. 80 del 20 luglio 2020.

2 – Decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, art. 36, e ss.mm.ii..

3 – I Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza sono categorizzabili come “contratti di performance”.

4 – Che attivano 14.884 coefficienti tecnici di interrelazione.

5 – Persone, pianeta, prosperità, pace e partnership.

6 – L’ipotesi è che le imprese interessate agli investimenti siano per il 50% in Veneto e per il 50% nel resto dell’Italia, come da un’analisi effettuata sugli appalti nel Veneto.

BIBLIOGRAFIA

– Borgonovi, E. (2018). Management pubblico: evoluzione della disciplina e delle riforme, Rivista italiana di Public Management

– Bruzzo, A., Petretto, A., Baldi, P. (2008), Programmazione regionale e sviluppo locale: recenti esperienze in Italia, Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana e Associazione Italiana di Scienze Regionali – Chiappinelli, C., Condemi, L., Cipolloni, M. C. (2010), Programmazione controlli responsabilità nelle pubbliche amministrazioni, Giuffrè Editore.

– Simionato, A. (2017), Integrazione europea e autonomia regionale: profili giuridici della governance multilivello e politiche di coesione 2021/2027, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo

02. Modello input-output: Impatti complessivi risorse PNRR assegnate al territorio veneto al 30 giugno 2022 (4.383,52 milioni di Euro). (Valore della produzione in milioni di Euro, addetti in unità. Fonte: Regione del Veneto - Sintesi Centro Studi - CGIA Mestre | Input-output model: Total impact of resources RRNP assigned to the Veneto area as at 30 June 2022 (4,383.52 million euros). (Value of production in millions of Euros, employees in units. Source: Veneto RegionSintesi Centro Studi - CGIA Mestre).

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REGIONE VENETO RESTO DEL PAESE TOTALE ITALIA VALORE DELLA PRODUZIONE 4.562 7.655 12.217 ADDETTI COINVOLTI 25.995 39.215 65.210

La rivoluzione è di tutti

che usiamo e sull’esigenza di decolonizzarle, di dare loro senso nuovo. [...]

ome il funambolo dobbiamo alzare la testa e imparare a guardare lontano, aprire gli occhi, osservare stupiti, in silenzio, e cominciare a pensare a ciò che abbiamo davanti e a come potremmo abitarlo in futuro. Per questo abbiamo bisogno di una teoria non normativa che ci aiuti a ripensare i luoghi, le comunità dei viventi, il senso politico e simbolico del progetto, la relazione tra corpo desiderante e spazio, ovvero tutto ciò che mi sento di definire con la parola architettura. Abbiamo bisogno di tornare a interrogare il mondo, e dobbiamo farlo recuperando quel senso di meraviglia che è alla base del nostro pensiero e che sembriamo avere smarrito. Quel filo che lega sempre lo stupore incuriosito per la

realtè all’emergere di nuovi interrogativi, figli di un pensiero critico che ci consentano di muoverci nel mondo in maniera diversa e non aggressiva. Per fare questo è necessario riconsiderare il modo in cui guardiamo e ascoltiamo il mondo. Non immagino il ritorno allo sguardo del bambino, o a forme di purezza che esprimono solo reazioni impaurite e conservatrici verso ciò che non si vuole comprendere e accogliere. Tornare oggi a riflettere sul senso e il ruolo della meraviglia nella nostra vita, individuale e collettiva, vuole dire aprire un dialogo differente con il cambiamento profondo in atto e tornare a dare centralità al progetto. Interrogarsi sul mondo che ci circonda vuole anche dire tornare a riflettere sulle parole

Cercherò in queste pagine di portare la vostra attenzione sul ruolo che l’architettura e il progetto avranno nel reimmaginare i luoghi e le comunità dei prossimi decenni. Tutto è progetto nella nostra esistenza [...] In questi ultimi secoli la cultura occidentale ha prodotto milioni di manufatti che hanno cambiato il destino della nostra civiltà; miliardi di persone oggi vivono in un ambiente urbanizzato diffuso che in epoche non troppo passate sarebbe stato inimmaginabile. L’architettura ha dato una casa dignitosa a moltissimi, ma questa sfida ha prodotto devastazione e impoverimento ambientale. [...]

Non si tratta di una chiamata al senso del formidabile, con cui siamo stati tramortiti da decenni di architetturavolgare, violenta e inutile in ogni regione ricca o emergente del pianeta. Si tratta, esattamente, del contrario. Perché la realtà che ci circonda possiede una ricchezza diffusa che attende solo di essere riconosciuta e interrogata. Il senso della meraviglia non è una questione di scala o di ricchezza, ma è un’emozione democratica a cui abbiamo tutti diritto.*

104 CELLULOSA a cura di
sullo scaffale Insegnare a trasgredire Bell Hooks Meltemi, 2020 La forza della nonviolenza Judith Butler nottetempo, 2020 Interregno Iconografie del XXI secolo Mattia Salvia Produzioni Nero, 2022 La meraviglia è di tutti Luca Molinari Einaudi 2023

“You say you want a revolution

Well, you know, we all want to change the world”

The Beatles, Revolution, The Beatles, 1968.

Immagine di Emilio Antoniol

(S)COMPOSIZIONE
Don’t you know it’s gonna be (all right)

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