De re vestiaria
Antichità e moda nel Rinascimento a cura di Damiano Acciarino
De Re Vestiaria. Antichità e moda nel Rinascimento a cura di edited by Damiano Acciarino ISBN 979-12-5953-027-1
In collaborazione con In collaboration with Università Ca’ Foscari Venezia, Dipartimento di Studi Umanistici
Fondazione Musei Civici di Venezia Università Iuav di Venezia
ClassicA – Centro studi Architettura Civiltà Tradizione del Classico ATSAH – Association for Textual Scholarship in Art History
Villa I Tatti
The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies
Progetto grafico Book design Margherita Ferrari
Copertina Cover
Rielaborazione de Il libro del Sarto, sec. XVI, Biblioteca Querini Stampalia, ms. Cl. VIII, cod. 1(=944), c. 67r
Editore Publisher
Anteferma Edizioni Srl via Asolo 12, Conegliano, TV edizioni@anteferma.it
Prima edizione First edition Ottobre 2022
Copyright
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons
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Il presente volume raccoglie i contributi della giornata di studi De re vestiaria. Antichità e moda nel Rinascimento (24 e martedì 25 maggio 2021 , Venezia) organizzata da Damiano Acciarino, Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, Centro studi Architettura Civiltà Tradizione del Classico dell’Università Iuav di Venezia, ATSAH – Association for Textual Scholarship in Art History.
Questo volume rientra nell’alveo del progetto De re vestiaria. Antiquity and Fashion during the Renaissance, finanziato da Villa I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies per l’anno accademico 2022-2023, e scaturisce dalla pluralità di voci e di opinioni presentate in un convegno tenuto a Venezia tra il 24 e il 25 maggio 2021, dal titolo De re vestiaria. Antichità e moda nel Rinascimento. L’iniziativa è stata pa trocinata e sostenuta da una molteplicità di enti e individui che ne hanno garantito la felice riuscita, dal punto di vista scientifico e logistico, e che verranno menzionati qui di seguito per gli specifici apporti.
Un importante ringraziamento deve essere tributato a Gabriella Belli, Chiara Squarcina e Pietroluigi Genovesi della Fondazione Musei Civici di Venezia, per aver ener gicamente incoraggiato l’organizzazione dell’evento e averne ospitato la prima giornata presso la prestigiosa sede di Palazzo Mocenigo – Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo, offrendo una cornice unica e congeniale alla materia discussa.
La medesima gratitudine non può che essere espressa a Monica Centanni e a Clas sicA – Centro studi Architettura Civiltà Tradizione del Classico dell’Università Iuav di Venezia, per aver generosamente accolto la seconda giornata dell’incontro presso l’Aula Tafuri di Palazzo Badoer, e per aver ricordato, in un momento storico in cui molte istituzioni avevano smarrito l’ispirazione a favorire la diffusione della cultura, quanto la cultura stessa rappresenti un bene fondamentale che non si deve dare mai per acquisito e per cui non è possibile smettere di lottare. Grazie anche a Christian Toson e a Chiara Velicogna, senza il cui tempo e le forze l’esito dell’impresa sarebbe stato incerto.
Grazie al supporto morale ed economico di ATSAH – Association for Textual Scho larship in Art History, nella persona di Liana De Girolami Cheney: il convegno ha potuto godere di comodità non sempre scontate e di momenti informali, utili almeno quanto le relazioni ufficialmente discusse.
Grazie ai fondi di ricerca derivanti dall’assegno Marie Curie Plus One erogati tramite il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia, di cui al tempo il sottoscritto era beneficiario, è stato possibile portare a termine questa pubblicazione.
Grazie a tutti gli autori per aver offerto studi originali e di grande valore scientifico. I saggi quivi collezionati corrispondono per la maggior parte agli interventi tenuti in sede di convegno, salvo alcuni contributi aggiuntisi successivamente, che offrono declinazioni ancora più articolate alla materia presa in esame.
Purtroppo, non tutti i relatori hanno potuto dar seguito scritto a quanto condiviso oralmente. Anche a costoro – Donna Bilak e Ivo Purš, Monica Centanni, Elizabeth Currie, Mino Gabriele, Emanuele Lugli, Maria Giuseppina Muzzarelli, Eugenia Paulicelli, Myriam Pilutti Namer – va la gratitudine di chi scrive, per aver reso ancora più diversificato e complesso l’approccio metodologico e lo scambio di idee avvincente.
Infine, un ringraziamento speciale a Margherita Ferrari e a Emilio Antoniol, di Anteferma Edizioni, per aver accolto nelle loro collane queste pagine, ma soprattutto per avervi dedicato inestimabili premure, trasformandole di fatto un’opera unica e preziosa.
Damiano Acciarino
In vestiendo prius nudum subsignare oportet quem postea vestibus obambiendo involuamus.
[L.B. Alberti, Pict. II, 36]
Vestis virum facit. εἴματα ἀνὴρ, id est, vestis vir. [D. Erasmus, Adag. III, 60]
Indice
11
Introduzione
Damiano Acciarino
Teoria e prassi
16 Il vestiario antico nelle fonti monetali nell’età dell’antiquaria Federica Missere Fontana 38
L’abito all’antica nel Quattrocento: modelli, contaminazioni, rappresentazioni Elisa Tosi Brandi 50
L’antico nella moda rinascimentale femminile: spunti di riflessione Alessandra Zamperini 62
Pygmalion le tailleur. Sulla sopravvivenza del desiderio di vestire le statue Luca Calenne 74
Vestire all’antica. Storie di abiti e costumi nella corrispondenza dell’Archivio Gonzaga Daniela Sogliani 80
Indossare l’antico. La gemma con le mani in fede di Eleonora di Toledo Valentina Conticelli 92 Il cammeo Gonzaga con Dioniso e Arianna a Nasso. Una cintura e un doppio ritratto Paola Venturelli 98
«Diligentissimo investigatore». La cultura antiquaria nella ricerca di Cesare Vecellio Giorgio Reolon 118
Vicino nello spazio e distante nel tempo: Venezia e Roma negli abiti pubblici di Cesare Vecellio (1590, 1598) Maria Adank
Testo e immagine
130 Vestiario antico in volgare: fonti del lessico antiquario Anna Siekiera
138 Nella “sartoria” degli antichi: presenze (ed assenze) in un lungo Rinascimento letterario Daria Perocco
150 Vestiario antico nella Sala di Costantino in Vaticano tra Raffaello e Giulio Romano Michail Chatzidakis
170 Antiquity and Invenzione in Giorgio Vasari’s Helmets Liana De Girolami Cheney
186 La questione vestiaria nella codificazione del linguaggio allegorico visivo Émilie Passignat
200 Truth in Disguise. Allegorical Reinterpretations of Antiquity in Costumes and Masks of the Sixteenth Century Maria Fabricius Hansen
212 Notazioni sugli abiti e i costumi nel Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl’Iddei de’ Gentili di Baccio Baldini Eliana Carrara
220 Word, Image and Fashion in Early-Modern Illustrated Alba Amicorum
Margaret Rosenthal
236 Ritratti di Turchi. Note comparate sulla relazione tra fisiognomica e costume Ilenia Pittui
250 258
Indice dei nomi
Biografie
Introduzione
Damiano Acciarino
Come molti ambiti dell’antichità classica, anche quello del vestiario dovette passare attraverso un processo, tanto lungo quanto elaborato, di riscoperta, che, nella parabola di quanto oggi può essere definito un lungo Rinascimento, si dipanò, dai prodromi agli esiti estremi, in più di tre secoli (XIV-XVII). Questo processo, in linea con la sensibilità umanistica, che dal Trecento in avanti irradiava la comprensione di passato e presente, producendo nuove visioni dell’uno e dell’altro, filtrate dalle lenti del nascente, quello sì, pensiero filologico moderno, implica uno scarto ermeneutico capace di far coesistere e collegare una pluralità di branche del sapere e volgerle alla comprensione della materia investigata. E nella letteratura, non solo di stampo antiquario e artistico, e nei repertori iconografici di antichità, sia d’imitazione che d’ispirazione, del periodo in questione, il vestiario risulta pressoché onnipresente, pur soggetto a diversi gradi di analisi, che ne influenzavano non solo l’intendimento, ma anche la natura del riuso in ogni possibile am bito. Tuttavia, intendimento e riuso per decenni hanno viaggiato su sentieri paralleli pri ma d’intersecarsi e ricevere mutuo beneficio, o quantomeno servirsi l’uno dell’altro per migliorare le proprie manifestazioni. Se, infatti, nel XV secolo le collettanee lessicogra fiche si limitavano ad accumulare più o meno meccanicamente la terminologia inerente a questo campo semantico estratta dalle fonti classiche, non erano estranee ai disegni di coloro che esercitavano la mente e la mano sull’imitazione diretta dei reperti archeologi ci raffigurazioni di vesti desunte, in modo preminente, dalla statuaria romana. Certo, gli sviluppi di queste parallele investigazioni non erano sempre felici o fruttuosi, denotando i sussulti di un movimento culturale che si muoveva intorno ai talvolta distanti, ma più spesso indistinti, poli di eikos e realien
Potrebbe sorprendere, ad esempio, che Flavio Biondo, a metà Quattrocento si ser visse quasi esclusivamente di Nonio per compilare la sezione de vestis della sua Roma triumphans (1460 ca.), limitandosi alla voce di un grammatico della tarda latinità per spiegare termini che potevano aver avuto corso anche secoli prima, esponendosi così al rischio di appiattire la propria prospettiva su una voce, per quanto attendibile, co munque isolata. Tuttavia, già pochi decenni dopo, Niccolò Perotti, pur ampliando no tevolmente nel suo Cornucopiae (1479 ca.) lo spettro delle fonti da cui traeva le notizie relative al vestiario, offrendo un quadro molto più sfaccettato del vocabolario e delle funzioni che i singoli indumenti, di autore in autore, di secolo in secolo potevano avere, dimostrava l’incapacità di uscire dalla ricerca schematica di una binaria corrispondenza di significante e significato.
Allo stesso modo, se si considerano gli indumenti ascritti alle figure che popolano il ms. Garret 158 della Princeton University Library (1471 ca.), a opera di Giovanni Marcano va, pur calate in un contesto architettonico antichizzante in apparenza fedele, ci si rende conto che poco di aderente alla realtà antica è riscontrabile, a parte rare, forzatamente ostentate evocazioni; così come nei Trionfi di Cesare di Andrea Mantegna (1485-1505), spesso, la rappresentazione degli abiti antichi mescolava non sempre chiare nozioni an tiquarie meno connesse alla realtà di quanto possa sembrare a prima vista.
Tale situazione, sia per l’ambito filologico-letterario che per quello storico-artistico, testimonia l’esistenza di dinamiche conoscitive, relativamente a un oggetto e al conte
sto in cui esso era calato, ancora embrionali: là dove la curiositas innescava l’interesse, l’ancora limitata capacità di approfondimento faceva sì che, laddove la corrispondenza tra l’oggetto e il suo significato mancasse, un succedaneo non necessariamente preciso poteva comunque bastare, per così dire, a rendere l’idea.
La distanza tra intendimento e riuso, in materia di vestiario antico, non trova so luzione almeno fino al 1526, cioè quando Lazare de Baïf diede alle stampe la prima mo nografia sul tema, nota come De re vestiaria. È in questo trattatello che all’ampliamento della casistica delle fonti letterarie corrisponde un confronto con reperti archeologici di varia natura – iscrizioni epigrafiche, statue, monete – in una sorta di primo tentativo, ma ancora non sistematico, di dare un nome a quanto fino ad allora ritratto e una figu razione a quanto fino ad allora descritto. Non bisogna certo credere che il libello del Baïf rivoluzioni seduta stante un’inveterata prassi interpretativa. Il suo lavoro porrà piuttosto le premesse per uno slittamento metodologico, che avrà bisogno di svariati decenni per giungere a piena maturazione – si potrebbe dire che il l’ideale compimento si concretiz zò con il De gli habiti antichi et moderni (1590) di Cesare Vecellio, ove alla comprensione filologica dell’oggetto corrispondeva sempre un’immagine di confronto.
È proprio in questa forbice di circa settant’anni che la rappresentazione del vestiario antico guadagnerà in accuratezza, o meglio, che l’accuratezza della sua rappresentazione venga maggiormente ostentata. Bisogna tuttavia tenere a mente che tale accuratezza risulta sempre sussunta all’accrescimento delle conoscenze in materia nella più com plessa interazione tra autore, committente, eventuale consulente iconografico e pub blico. In questo modo, si esponeva ogni progresso al giudizio, e ogni giudizio all’errore. Ne conseguì, in linea con una tendenza congenita agli studi antiquari del Rinascimento, un indefesso slancio a risolvere le incongruenze accumulate nella tradizione, comunque incoraggiando a espandere la ricerca in maniera sempre più granulare – questi i casi di Ottavio Ferrari (1654) e Albert Rubens (1665) – o in campi fino lì inesplorati – come nel caso di Benoît Bauduyn (1615).
I diciotto saggi che compongono questo volume possono essere tutti inscritti nell’e stensione di questa dinamica culturale, giacché intendono mostrare, in una serie di spe cifici affondi, come l’approccio antiquario nei confronti della questione de re vestiaria durante il Rinascimento si sia variamente manifestato e sostanziato. Trattandosi di un campo d’indagine ancora in prevalenza vergine, chi scrive ha ritenuto opportuno ripar tire la materia in maniera tale da offrire appigli di carattere metodologico anche per future, auspicabili, investigazioni.
La prima macro-sezione, costituita di nove saggi, cerca di mettere in luce come le fonti, letterarie e materiali, venissero usate per la comprensione degli indumenti antichi, generando anche l’accesso dell’antico stesso nella moda del tempo. Questi contributi non solo illustrano l’influenza dell’antiquaria nella riscoperta della moda antica, ma an che come l’antico, grazie a questo tipo di indagini, potesse permeare la modernità – con l’inserto di citazioni letterali da reperti archeologici, con variazioni sul tema, con impli cite rievocazioni legate all’antico più nell’idea che nell’applicazione. All’interno di questa parte, raggruppamenti di minore entità sono comunque individuabili, come quello con
cernente la riscoperta delle fonti antiche nella loro forma materiale e letteraria, oppu re il riconoscimento della persistenza di usi relativi all’abbigliamento attraverso i secoli (Missere Fontana, Calenne); l’individuazione di dinamiche culturali che prevedevano il revival del vestiario antico (Tosi Brandi, Zamperini, Sogliani); come reperti antichi venis sero effettivamente indossati (Conticelli, Venturelli); come l’antico entrasse nell’opera del Vecellio, la più celebre del tempo in materia (Reolon, Adank).
La seconda macro-sezione, costituita dai restanti contributi, cerca di ribaltare la prospettiva della prima e capire se i riusi del vestiario antico nel Rinascimento avessero o meno un fondamento antiquario, e quanto cotale fondamento s’ergesse a garanzia di verosimiglianza, o, nella pretesa di verità che vi soggiaceva, finissero per generare im prevedibili distorsioni. I saggi qui riuniti mostrano bene come letterati e artisti dell’età moderna vestissero gli antichi che si trovavano a rappresentare, non solo nell’arte figu rativa, ma anche nelle opere letterarie, nelle messinscene teatrali e persino in contesti di privata memorialistica. E ciò avveniva anche al di là degli usitati territori dell’antichi tà classica, sconfinando spesso e con disinvoltura in ambiti esotici. All’interno di que sta parte, sono ravvisabili specifici nuclei, che congregano unità di significato: come gli antichi venivano vestiti nelle opere letterarie (Siekiera, Perocco); come l’abbigliamento militare antico fosse raffigurato in alcune opera d’arte (Chatzidakis, Cheney); come il vestiario antico si manifestasse nelle rappresentazioni allegoriche (Passignat, Hansen, Carrara); e come esso fosse utilizzato per descrivere alterità esotiche (Rosenthal, Pittui).
Sussistono comunque una serie di richiami interni tra le due sezioni che rendono il volume fortemente coerente nella sua, pur in apparenza frammentata, composizione. Basti pensare che la questione della nomenclatura antiquaria si rifletta nell’applicazione nei volgarizzamenti moderni e nei riusi tanto letterari quanto figurativi che ne venivano fatti. Così come la ricerca di una forma dell’abito antico, sia dal punto di vista teorico che nella sua realizzazione pratica, riverberasse nelle rappresentazioni che di esso si faceva no, dimostrandone la verifica teorica.
Dunque, questa panoramica, in tutte le sue articolazioni, rappresenta un solido pun to di partenza che possa fornire a studiosi dagli interessi più eterogenei spunti d’indagi ne originali, in modo tale da recuperare e continuare a descrivere la variabile antiquaria del vestiario non soltanto nel contesto della moda, ma anche delle lettere e delle arti, nell’inesauribile corso della storia della tradizione classica del Rinascimento.
Teoria e prassi
Con i contributi di Maria Adank, Luca Calenne, Valentina Conticelli, Federica Missere Fontana, Giorgio Reolon, Daniela Sogliani, Elisa Tosi Brandi, Paola Venturelli, Alessandra Zamperini.
Il vestiario antico nelle fonti monetali nell’età dell’antiquaria
Federica Missere FontanaIl testo offre un’illustrazione del contributo delle fonti numismatiche alla conoscenza del vestiario antico con particolare riguardo agli scrittori di testi antiquari tra XVI e XVII secolo. Sono prese in esame le vesti civili, religiose, militari sia maschili, sia femminili e infine alcune calzature e copricapi.
Il percorso tra le fonti mo netali sul vestiario antico si apre con l’incisione di un denario di Caracalla (201-206 d.C.) dal De re vestiaria di Ottavio Ferrari (1607-1682):1 l’imperatore e Plautilla sono icone dell’abbigliamento maschile e femminile degli anti chi [figg. 01a-01b] 2 Le monete non mostrano gli abiti in dossati dalla maggioranza della popolazione; ma da mo delli d’eccezione, imperatori e dei. Il testo comprende le vesti maschili e le vesti femminili, con aggiunta di alcune calzature e copricapi.
La moneta è sintetica: le manca il colore, perduto sulla scultura, superstite in pitture e mosaici, spesso utile a defi nire il ruolo delle figure. Le dimensioni del tondello limitano i dettagli, ma il confronto con altri reperti e incisioni nei libri a stampa aiuta a ricostruire la conoscenza che gli antiquari dell’età moderna avevano delle vesti antiche. Ricordiamo che il vestiario antico era realizzato con tessuti in fibre naturali, lana, lino, cotone egiziano e sete orientali e che nel mondo greco-romano non è attestata la lavorazione a maglia.
Vesti maschili
Tunica / Exomis La tunica maschile o exomis è un abito universale, portato a sé stante da uomini liberi e schiavi, agricoltori, lavoratori manuali e marinai, e – sot to alla toga – dai cittadini romani. Con il pileus, cappello conico (berretto di tutti gli uomini comuni, lavoratori, ma rinai, ecc.), la tunica è l’abito «da lavoro» che copre en
L’abito all’antica nel Quattrocento: modelli, contaminazioni, rappresentazioni
Elisa Tosi BrandiTema di questo contributo è la genesi del cosiddetto “abito all’antica” nelle corti italiane del Quattrocento, quando iniziarono i primi dibattiti su come rappresentarlo nelle opere d’arte e nelle feste sceniche. Obiettivo è quello di rintracciare forme e modelli dei topoi che stabilirono le caratteristiche di questo abito per connotare personaggi dell’antichità così come entità mitologiche e ultraterrene. Prendendo in esame fonti visive, documentarie, epistolari e cronache si intende dimostrare che se nel XV secolo ci fu un primo revival neoclassico questo, seppur contaminato dal gusto del presente, rimase circoscritto alla rappresentazione del “senza tempo”. Il recupero della classicità sembra non aver influito direttamente sulla moda contemporanea, sulla quale al contrario può aver agito per mediazione l’ambito teatrale, da cui provengono alcune novità così come la diffusione di elementi esotici nei guardaroba a partire dal XV secolo.
Il dibattito sull’abito all’antica a Rimini e a Ferrara
Una delle prime testimonianze che informa sull’esito dei dibattiti fra umanisti riguardante la rappresentazione degli abiti antichi è offerta dal ciclo scultoreo realizza to tra il 1454-55 e il 1457 da Agostino di Duccio (1418-1481) per il Tempio Malatestiano di Rimini su commissione di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468).1 Le soluzioni malatestiane costituiscono un caso emblematico della ri visitazione dell’antico. In altra sede ho discusso della rap presentazione degli abiti antichi presenti all’interno della chiesa riminese mettendo in evidenza l’originalità delle ve sti delle sculture di Angeli, Muse, personificazioni di Virtù, Arti liberali, Pianeti e Segni zodiacali, esito dei raffinati pen sieri della corte malatestiana.2 Gli intellettuali che lavora rono a Rimini conoscevano direttamente o indirettamente opere d’arte greco-romane e giunsero a un’interpretazione molto vicina al modello antico rispetto a quella concepita da altri artisti loro contemporanei. Ciò nonostante, le vesti all’antica riminesi non costituiscono fedeli imitazioni dei modelli originali. Gli abiti indosso alle Muse e agli Angeli per esempio, pur ispirati a modelli neoattici chiaramente identificabili,3 sono il frutto di una dotta elaborazione che, mescolando elementi antichi e moderni, fondendo passato e presente, ha generato inconsapevoli novità [fig. 01]
La prima novità da evidenziare è innanzitutto costituita dal fatto che le Muse del Tempio Malatestiano sono le prime
L’antico nella moda rinascimentale femminile: spunti di riflessione
ZamperiniDall’analisi delle immagini dipinte, l’influenza dell’antico nella moda rinascimentale femminile trova spazio negli elementi “al margine”, quali acconciature, corpetti, maniche. Tuttavia, proprio la ripresa di spunti dall’antico nelle immagini dipinte, pur corrispondendo nella sostanza a un dato reale, non sempre è un elemento neutro, ma al contrario può essere prescelto appositamente per veicolare dei messaggi particolari o rafforzare il significato dell’immagine.
Che nel Rinascimento il re cupero dell’antico abbia costituito una componente cul turale prioritaria è oramai un luogo comune, i cui riflessi sono stati largamente presi in conto in numerosi campi, dalle arti visive alla letteratura e alla filosofia. Al contra rio, la moda non è mai stata considerata in un’ottica ana loga, sicché questo innovativo convegno organizzato da Damiano Acciarino ha offerto l’occasione per un’analisi più specifica.
In particolare, il nostro contributo si prefigge di rin tracciare i segni dell’antico non tanto nella moda in sé, bensì nella moda visualizzata in pittura. Per essere più precisi, si tratta di partire dagli abiti e dalle acconcia ture così come vengono rappresentati, tenendo conto che i dipinti sono, sì, dei documenti, ma possono pure prevedere degli inserti e/o delle impaginazioni partico lari, per quanto sempre compatibili con le fogge in voga: cercare gli indizi dell’antico nella moda rinascimentale “raffigurata” significa valutare volta per volta se le com ponenti classicheggianti corrispondano a dettagli reali, oppure se siano frutto di una creazione ad hoc, e se la loro presenza possa conferire un particolare significato all’immagine.
Il rapporto tra moda e ispirazione classica nel Rina scimento non è mai stato approfondito in maniera or ganica, e le analisi si sono focalizzate semmai su singole esperienze. Nel trattare alcuni ritratti virili di Raffaello e Giambattista Moroni, Quondam ha messo in evidenza
Pygmalion le tailleur
Sulla sopravvivenza del desiderio di vestire le statue
Luca CalenneLa decisione dello scultore Pigmalione di abbigliare la sua Galatea di avorio – lungi da essere semplicemente una fase del corteggiamento descritto da Ovidio nella prima versione nota di questo mito (Met., X, 243-297) – riflette con ogni probabilità la pratica cultuale di vestire i simulacri, che è ampiamente documentata nella Grecia arcaica e in generale nel mondo antico. Tale pratica è poi passata nella religione cristiana, raggiungendo il suo massimo sviluppo tra il XVII ed il XIX secolo, ma su di essa al principio del Novecento si sono abbattute le censure delle gerarchie ecclesiastiche, che hanno portato alla rimozione di molte statue vestite di stoffa, assimilate a vili manichini. L’accanimento dei vescovi italiani si spiega non solo con riserve di tipo estetico, ma verosimilmente pure con l’avversione per la modalità con cui i fedeli entravano in confidenza con il sacro attraverso la vestizione e la custodia di queste statue.
Pur essendo nato secoli prima in Grecia, il mito di Pigmalione – lo scultore ci priota follemente innamorato della sua statua – è noto a tutti attraverso la versione che ne ha dato il poeta roma no Ovidio nelle Metamorfosi, X, 243-297, in cui ha presu mibilmente riunito e amalgamato elementi presi da fonti diverse. Nel racconto ovidiano c’è un punto in cui Pigma lione – messi da parte gli attrezzi del suo mestiere – si improvvisa sarto, e addirittura modista: «ornat quoque vestibus artus, / dat digitis gemmas, dat longa monilia collo; / aure leves bacae, redimicula pectore pendent / et parvas volucres et flores mille colorum. / Cuncta de cent; nec nuda minus formosa videtur».
Che io sappia, solo due artisti hanno illustrato nel dettaglio questi versi, ossia il pittore bellunese Giovanni Demin nel 1821 nel Palazzo Franceschini-Folco di Vicenza [fig. 01], un affresco che risente fortemente del gusto neo classico allora in voga,1 e il miniatore Robunet Testard per un codice manoscritto del Roman de la Rose del 1480 cir ca, oggi presso la Bodleian Library di Oxford [fig. 02]. Lo spunto iniziale di questa ricerca proviene da un’intuizione di Victor Stoichita, il quale – commentando la suddetta miniatura, in cui è raffigurato lo scultore Pigmalione che cuce il vestito alla sua Galatea di avorio – ha acutamente notato come il termine francese per indicare l’intagliatore del marmo, cioè tailleur, coincida con quello per il me stiere del sarto.2 Da questa intuizione deriva ovviamente il titolo del mio contributo, nonché la mia convinzione che
Vestire all’antica. Storie di abiti e costumi nella corrispondenza dell’Archivio Gonzaga
I documenti Gonzaga, conservati nell’Archivio di Stato di Mantova, sono una fonte preziosa per l’analisi del rapporto tra la cultura classica e l’abbigliamento. Lo stretto legame tra la Corte Cesarea e Mantova nel Quattrocento e nel Cinquecento evidenzia l’interesse della famiglia per modelli di riferimento nordici per le maschere, gli spettacoli e soprattutto l’ideazione di abiti all’antica. Su questo asse si muovono artisti come Jacopo Strada e Giuseppe Arcimboldo. Questo connubio tra moda e antichità sembra nascere già con Isabella d’Este che inventa non solo abiti e accessori che seguono il gusto contemporaneo ma guarda sempre con grande interesse all’abbigliamento e alle acconciature classiche delle imperatrici romane, come il celebre marmo di Faustina Maggiore del II sec. d.C., acquistato da Andrea Mantegna e custodito gelosamente nella sua famosa Grotta.
L’Archivio Gonzaga, conser vato a Mantova presso l’Archivio di Stato, fornisce una sor prendente mole d’informazioni che solo i moderni sistemi informatici delle banche dati possono restituirci in sequen ze cronologiche o tematiche. Per questo Fondazione Palaz zo Te, da oltre dieci anni, sostiene un progetto di ricerca dal titolo “I Gonzaga digitali” finalizzato alla trascrizione di documenti che trattano i temi della storia e della cultura di corte come l’arte, la letteratura, la musica, il mercato, le scienze, lo spettacolo, la devozione e anche la moda.1
In particolare, il rapporto tra la cultura classica e l’abbi gliamento è ben evidente nell’evoluzione del gusto e del co stume della famiglia che si vuole presentare in un percorso cronologico partendo da una delle figure più note, Isabel la d’Este (1474-1539), che a soli sedici anni nel 1490 arriva da Ferrara a Mantova come sposa di Francesco II Gonzaga (1466 – 1519). L’ingresso della marchesa in città è curato da Ercole de Roberti, uno dei maestri di Schifanoia, noto per la sua pas sione e per il gusto per l’antico. L’artista concepì per Isabella alcuni cassoni, un carro, un arco trionfale, ideò anche il bal dacchino nuziale dirigendo la cerimonia nel febbraio del 1490 e trattenendosi a Mantova più di un mese.2 La sposa portava con sé molti abiti riccamente decorati, drappi, casse e forzieri per un valore stimato di novemila ducati. Giunta in città Isa bella d’Este è accolta come una regina con decorazioni alle finestre e una parata fino al castello di San Giorgio dove il ma rito le aveva riservato un appartamento al piano nobile della torretta di San Nicolò dove si trovava anche la Camera degli
Indossare l’antico.
La gemma con le mani in fede di Eleonora di Toledo
ConticelliUn’accurata definizione dei gioielli è una costante nei ritratti di Eleonora di Toledo e nei ritratti dei dinasti fiorentini in generale. Gli abiti e gli ornamenti da dipingere in simili occasioni erano scelti con grande accuratezza, perché riflettevano il rango e il censo degli effigiati, e Bronzino era solito attenersi a precise istruzioni su stoffe e vestiti che gli venivano inviati per ritrarre i granduchi, ma questo è il solo caso in cui compare una gemma sicuramente riconoscibile come antica (sia oggi, che allora) in una montatura moderna.
L’anello con i suoi simboli costituisce l’unico elemento del ritratto che si presta ad un’interpretazione dei significati e il fatto che sia stato sepolto con la nobildonna ne dimostra la forte rilevanza biografica e affettiva.
Il reimpiego, anche parzia le, di gemme, medaglie e monili antichi1 è una prassi dif fusa fin dal Medioevo,2 in particolar modo per le gemme.3 Il loro riutilizzo in anelli e gioielli è comune: meno facile è invece individuarne precise occorrenze nell’iconografia e nella ritrattistica rinascimentale.
Una nota eccezione in questo contesto è rappresen tata da un anello con un intaglio risalente al I secolo d.C., indossato dalla duchessa Eleonora di Toledo4 in un celebre ritratto di Bronzino [figg. 01-03] 5 Il dipinto, datato ai primi anni quaranta del Cinquecento6 e conservato a Praga,7 re stituisce le sembianze della nobildonna spagnola qualche anno dopo il matrimonio avvenuto nel 1539.8 La duchessa vestita preziosamente di raso rosso ricamato d’oro,9 tiene la mano sinistra appoggiata al petto, in un gesto che può essere interpretato in relazione alla sua fecondità e pudi cizia,10 porta all’indice un anello con diamante, che corri sponde con ogni probabilità a quello donatole dal marito in occasione del matrimonio per procura celebrato a Na poli,11 e al mignolo l’anello con il niccolo.12 Il paragone tra il dipinto e l’originale antico è lampante e dimostra che la resa della pietra è scrupolosissima: l’anello infatti è giunto fino a noi, perché faceva parte del corredo funebre della duchessa ed è stato rintracciato nella sua tomba.13
Un’accurata definizione dei gioielli è una costante nei ritratti di Eleonora e nei ritratti dei dinasti fiorentini in generale. Gli abiti e gli ornamenti da dipingere in simili occasioni erano scelti con grande accuratezza, perché ri
Il cammeo Gonzaga con Dioniso e Arianna a Nasso. Una cintura e un doppio ritratto
Paola VenturelliIl contributo analizza un cammeo raffigurato in un dipinto tardo cinqucentesco con un doppio ritratto, attribuito al pittore bergamasco Giovanni Paolo Lolmo (1550 ca.-1595). Il modello di riferimento è il famoso “Cammeo Gonzaga” con Dioniso e Arianna a Nasso, presente a metà del XVI secolo nella raccolta veneziana dei Grimani e illustrata da Enea Vico e Battista Franco, pervenuto alla fine del XVIII secolo nelle mani di Sir Richard Worsley. La lettura iconografica e iconologica sia del dipinto che dell’intaglio, porta a ipotizzare che si tratti di un ritratto in “absentia”, con allusione a una sposa amata, precocemente morta.
Come attesta il celebre ri tratto femminile idealizzato eseguito da Sandro Botticel li, Simonetta Vespucci come ninfa (Francoforte sul Meno, Städel Museum), con la fanciulla ornata al collo da un mo nile riproducente l’intaglio antico conosciuto come Sigil lo di Nerone, attribuito da Lorenzo Ghiberti allo scultore Policleto e acquistato nel 1487 da Lorenzo de Medici,1 sul finire del Quattrocento tornano in auge gioielli distinti da inserti glittici figurati anticheggianti, con il modello di riferimento tramandato tale e quale oppure interpretato più o meno liberamente.2 Una moda destinata a durare per molto tempo.
Se presenti nella ritrattistica, questi ornamenti costi tuiscono dettagli “parlanti” di grande rilevanza, in grado talvolta di svelare l’identità dei personaggi rappresentati, oppure di fornire dati significativi ai fini dell’interpretazio ne del dipinto stesso. Il soggetto dell’intaglio può, infatti, rimandare al nome dell’effigiato o fare scoprire l’occasione per la quale l’opera viene commissionata, come attesta per esempio il quadro di Lorenzo Lotto del 1523 (Madrid, Mu seo del Prado) con Marsilio Cassotti e sua moglie Faustina. Il cammeo esibito dalla donna ha un’iconografia ben defini ta: reca, infatti, il profilo di Faustina maggiore, considerata exemplum di fedeltà coniugale, una scelta senz’altro dovuta all’omonimia con la signora immortalata e perfettamente adatta a un dipinto nuziale qual è l’opera in questione.3
Più complesso è il caso sul quale avevo cominciato a indagare tempo fa, che qui propongo e sviluppo.4
«Diligentissimo investigatore». La cultura antiquaria nella ricerca di Cesare Vecellio
Giorgio ReolonL’intervento analizza l’enciclopedico trattato illustrato sui costumi del mondo di Cesare Vecellio (1590) in relazione alla cultura antiquaria.1 Infatti le pagine che l’autore dedica agli abiti degli antichi romani, punto di partenza per la sua indagine, documentano il suo interesse per l’antico nello studio della moda secondo un approccio storico, filologico e archeologico e rivelano il ricco corpus di fonti utilizzate. Nella prima parte si riflette sui significati e sulle funzioni che l’antichità classica ha rivestito in questo studio. Si passa poi a una ricognizione delle molteplici fonti scritte e visive utilizzate per illustrare e commentare gli abiti degli antichi romani. Il Vecellio si definisce «diligentissimo investigatore e fedelissimo testimonio», affermazione che attesta la sua volontà di svolgere un lavoro di ricerca e di analisi attento e scrupoloso, supportato da una solida cultura figurativa e umanistica, dalla familiarità con numerosi testi e dalle frequentazioni in ambienti aristocratici di raffinata cultura. Nell’ultima parte si evidenziano i riferimenti a un bagaglio iconografico all’antica in una selezione di suoi dipinti.
L’antichità come condizione: usi dell’antico in Cesare Vecellio
In apertura del suo trattato Degli Habiti antichi et mo derni di diverse parti del mondo, edito a Venezia nel 1590, nella dedica al conte e cavaliere Pietro Montalban, nobi le di Conegliano, Cesare Vecellio – pittore, disegnatore, stampatore e studioso del costume – spiega che una delle condizioni «per rendere lodevole e desiderabile quest’o pera» è l’“antichità” degli abiti. Antichità che – come ve dremo – è soprattutto quella classica. La ricerca antiqua ria ha, infatti, rappresentato un significativo apporto alla conoscenza della moda.
A differenza dei precedenti repertori di moda, quello di Cesare Vecellio è un progetto ambizioso che spicca per la ricchezza dei contenuti e per l’approccio storico ed enciclo pedico. Ne risulta una ricerca sistematica, una «cartografia visiva e discorsiva del mondo allora conosciuto»2 struttura ta sul doppio binario dell’immagine e del testo posti in una relazione reciproca e dinamica. Il disegno di ciascun abito, infatti, è associato a un lungo commento – le «dichiarazio ni e i discorsi» – in cui l’autore offre sia puntuali descrizioni tecniche degli indumenti, sia digressioni di interesse stori co-geografico, socio-culturale ed etnografico sulle categorie di persone e sulle popolazioni prese in esame, svolgendo così un’indagine ampia e articolata sulla realtà dell’abbigliamento.3 Gli Habiti sono accostabili al genere dell’emblematica perché rivelano l’importanza della cultura visiva nella trasmissione di
Vicino nello spazio e distante nel tempo: Venezia e Roma negli abiti pubblici di Cesare Vecellio (1590, 1598)
Maria AdankCollocato in una fase matura della diffusione dei Costume Books, il trattato di Cesare Vecellio (1590, 1598) è usato spesso dagli studiosi per la sua versatilità, offrendo al tempo stesso una finestra “micro e macro” sul passato. Nel presente contributo si intende privilegiare Venezia piuttosto che il mondo, il tempo piuttosto che lo spazio, ciò che è vicino piuttosto che lontano. Calando i costumi veneziani nello scorrere del tempo, sono gli abiti pubblici ad emergere come i più stabili, quelli meno soggetti alla “mutevolezza”, i più densi di significato.
Viene qui analizzata la prima sezione della raccolta, alla ricerca di memorie dell’antico negli abiti femminili e maschili e di una definizione del principio di imitazione. La rappresentazione di Venezia offerta da Vecellio, in particolare nel nesso Roma-Venezia, è infine inserita nel processo di evoluzione del mito veneziano di fine secolo: ne emerge quanto sia cruciale la contestualizzazione storica di una fonte di questo tipo.
Offrendo al tempo stesso singole e specifiche immagini e una visione globale del mondo intero, il trattato di Cesare Vecellio sugli abiti an tichi e moderni, collocato in una fase ormai matura della diffusione dei Costume Books, è usato frequentemente dagli studiosi moderni.1
Le recenti questioni metodologiche poste da Gior gio Riello sfidano a ripensare il modo in cui le categorie “micro e macro” e “global e local” si intersecano in que sto tipo di fonti, suggerendo di tener conto della diversa interpretazione che di questi termini danno l’autore e il lettore di oggi. A ciò si aggiunge una seconda questione metodologica: l’uso e il significato dei libri di costume al momento della loro creazione. Come catturano que ste raccolte gli orizzonti degli europei del Rinascimen to? Quale immaginario globale ne restituiscono? In quale modo le dimensioni microscopiche di corpo e abito si inseriscono nella più ampia visione del mondo globale?2 Tenendo conto di questi spunti, il presente contributo si propone di ragionare sulla dimensione locale del trat tato di Cesare Vecellio, privilegiando ciò che è “vicino” piuttosto che ciò che è “lontano”, Venezia piuttosto che il mondo. Il tempo piuttosto che lo spazio.
Calando cioè la riflessione di Vecellio nel contesto sto rico del suo tempo, si intende delineare l’immagine della società che ne emerge, ponendola in relazione con il con testo veneziano di fine Cinquecento. Vista da questa ango lazione, l’identità veneziana risulta strettamente legata al
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Testo e immagine
Con i contributi di Eliana Carrara, Michail Chatzidakis, Liana De Girolami Cheney, Maria Hansen, Émilie Passignat, Daria Perocco, Ilenia Pittui, Margaret Rosenthal, Anna Siekiera.
Vestiario antico in volgare: fonti del lessico antiquario
Anna SiekieraSi prende in esame la traduzione della Roma triumphans di Biondo Flavio, eseguita da Lucio Fauno. In questo volgarizzamento si rilevano molti adattamenti dei nomi latini delle vesti. Oltre a segnare l’inizio della diffusione di testi delle antichità in volgare, i volgarizzamenti delle opere erudite come Roma Triumphans arricchiscono di latinismi il lessico della lingua volgare.
Nel XV e nel XVI secolo i concetti della musica antica furono conosciuti dal pub blico attraverso un’opera non specificamente musicale come il vitruviano De architectura. La parte contenente un sunto di qualche teoria musicale del mondo greco era inclusa nei capitoli dal 3 al 9 del V libro dedicato all’edificio teatrale, in cui Vitruvio trattava la questione dell’acusti ca durante la messa in scena degli spettacoli. Per farlo, l’architetto augusteo aveva riassunto i concetti del teo rico greco Aristosseno di Taranto, adattando in latino la terminologia greca della musica (per esempio, diapason, diapente, disdiapason).1 Alla fortuna del De architettura in epoca moderna (grazie anche al tramite dell’albertiano De re edificatoria teso in latino umanistico) si deve l’ingresso in volgare dei grecismi d’ambito musicale e la loro diffu sione oltre la ristretta cerchia dei “musici teorici”. Grazie alle traduzioni del trattato vitruviano numerosi tecnicismi della teoria musicale del mondo antico entrarono nell’uso di artisti, architetti e scenografi per accasarsi con il tempo nella lingua di registro colto.
In epoca umanistica, un’accurata lettura delle fonti contribuì alla conoscenza di vari aspetti del mondo antico, anche di quello della vita quotidiana. Così le notizie tratte delle fonti autoriali intorno al vestiario dei romani giungevano a un vasto pubblico dalla Roma Triumphans di Biondo Flavio, scritta nel 1459, che in maniera siste matica ricostruiva vita pubblica e privata romana. L’editio princeps dell’opera fu stampata a Mantova, presso Pietro
Nella “sartoria” degli antichi: presenze (ed assenze) in un lungo Rinascimento letterario
Daria PeroccoIl testo vuole indagare sulla presenza e la ricerca di descrizioni degli abiti degli antichi nei testi letterari del Rinascimento; l’interesse a questo particolare argomento compare in maniera più palese nel periodo del Cinquecento avanzato, quando sotto l’influsso della Poetica aristotelica (e della sua traduzione in latino), l’imitazione per l’antico si fa più evidente e cogente. Data la necessaria distinzione tra testi che trattano dell’argomento da un punto di vista teorico e quelli in cui la descrizione dell’abito antico viene a far parte integrante di testi sia in prosa che in poesia, è portata particolare attenzione da una parte alla produzione teorica (in particolare Tassoni) dall’altra a quella novellistica (Bandello), teatrale tragica (Della Valle) ecc.
Entrerò, come detto nel ti tolo, nelle “sartorie” che gli autori del Rinascimento hanno costruito, cercando i vestiti degli antichi, solo da un pun to di vista strettamente letterario: in altre parole prendo in considerazione unicamente la letteratura, il testo che come tale gode di una precisa codifica. In realtà il pro blema primo che si pone di fronte alla vastità di aspetti proposta dalla questione de re vestiaria durante il Rina scimento, è che esso evoca direttamente immagini visive, rappresentazioni di come gli artisti del tempo volevano vedere le vesti degli antichi e certo non brani o passi let terari che godano di una certa celebrità.
Dobbiamo subito notare che, nonostante l’enorme interesse sviluppato dall’Umanesimo e dal Rinascimento verso il fenomeno che, in maniera onnicomprensiva, viene detto “antiquario”, non troviamo nei testi letterari del pe riodo quella passione per “vestirsi come gli antichi, come i greci o i romani” che sarà invece presente nel XVIII e XIX secolo: nessuna lady Hamilton (1790) che danza e recita in abiti greci e meno ancora nessuna Gradiva che incede col suo passo particolare, illusionisticamente fuggita da un marmo di Pompei [fig. 01]1 nei periodi in cui pure al culto della scoperta, della valorizzazione e dell’uso dei testi an tichi prestavano una grande attenzione.
Gli scritti che paiono darci al proposito maggiori informazioni vanno cronologicamente collocati quan do il Rinascimento avrà già espresso le sue produzioni migliori; su di essi sono incentrate delle precise relazio
Vestiario antico nella Sala di Costantino in Vaticano tra Raffaello e Giulio Romano
Michail ChatzidakisL’intenso studio delle antichità condotto durante il Rinascimento è sempre stato considerato il punto di partenza per una rappresentazione storicamente corretta dell’antico. Tuttavia, la cosiddetta “bella maniera moderna” non consisteva tanto nella meccanica riproduzione di motivi antichizzanti, quanto piuttosto nella trasformazione cosciente e non unidimensionale di un repertorio antiquario, con scopi poetici. La Battaglia di Ponte Milvio e Il Sogno di Costantino in Vaticano, disegnate da Raffaello ed eseguite da Giulio Romano, sono l’ipostasi di questo processo. Muovendo dalla formula “anticamente moderno e modernamente antico” usata da Pietro Aretino proprio per descrivere l’ideale sintesi tra i due universi compiuta dallo stesso Giulio Romano, il presente contributo intende mettere in luce le relazioni tra investigazione archeologica e invenzione originale in questi due celebri affreschi.
La percezione delle storie dipinte della Sala di Costantino nella storiografia artistica moderna è in gran parte determinata dalla questione delle relazioni intercorrenti con gli antichi modelli. Vari autori hanno avanzato diverse proposte terminologiche per de scrivere l’aspetto “classicistico” degli episodi della vita di Costantino Magno, con il loro aspetto antichizzante come comune denominatore.
Fu dapprima Aby Warburg che, nella sua conferenza «Der Eintritt des antikisierenden Idealstils in der Malerei der Frührenaissance» tenutasi nel 1914 presso il Kunsthi storisches Institut di Firenze, definì la Battaglia di Ponte Milvio nella Sala di Costantino [fig. 01] il compimento di uno stile ideale caratterizzato da una maggior Bewegli chkeit (“agilità”)1 sotto il segno dell’antichità riscoperta.2 La selezione della combinazione di parole “stile ideale an tichizzante” nel titolo della conferenza di Warburg implica che durante il Cinquecento il processo creativo ricadesse sempre all’interno dell’insegnamento imitativo (imitatio). Questo processo è stato collegato – senza trascurare allo stesso tempo la incontrastata importanza dell’antichità nella sua funzione esemplare – all’immaginazione sogget tiva, cioè all’idea artistica, tanto sotto auspici aristotelici, quanto – verso la fine del XVI secolo sempre più enfa ticamente – sotto gli auspici platonici.3 Per Warburg, la Battaglia di Ponte Milvio si è distinta come l’opera d’arte per eccellenza, in cui si manifesta nell’arte rinascimenta le la marcia trionfale dell’ideale di un linguaggio di gesti
Antiquity and Invenzione in Giorgio Vasari’s Helmets
Liana De Girolami Cheney
Tra il 1563 3 il 1572, Giorgio Vasari (1511-1574) e la sua bottega affrescarono una serie di scene di battaglia sulle pareti del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Questi affreschi rappresentavano le scene di guerra tra Firenze e Pisa e tra Firenze e Siena, ove l'esercito fiorentino, guidato dai Medici, prevaleva sulle città confinanti. Nell'allestire gli abiti militari quivi raffigurati, Vasari si servì di fonti letterarie e storiche, tessendo con sapienza riferimenti antiquari e rimandi contemporanei. Il presente contributo indaga la capacità dello stesso Vasari di combinare l'osservazione naturale (ritratto dal vero) dei militari fiorentini in combattimento, con l'invenzione artistica (invenzione) e la licenza artistica (capriccio).
In his I Ragionamenti, Vasa ri acknowledged the difficulty an artist faced in creating accurate historical paintings and actual portraits. Vasa ri advised that the artist must study the past in order to interpret the present. He noted that an artist should read and study both “the ancient and modern histories” (Vasari, 1588/1906, 8:220) in order to create a faithful representa tion of an historical episode.
These words are related to the decorations of the Sa lone dei Cinquecento of Palazzo Vecchio in Florence. Here Vasari created unique artistic inventions (invenzioni) espe cially concerning military attires in battle scenes, in order to depict historical events which could express the political supremacy of the Medici. In the walls of the salone, the bat tle scenes of the Florentines against the Pisan represent The Defeat of the Pisans at the Tower of San Vincenzo, Maximil ian Abandons the Siege of Livorno, and The Storming of the Fortress of Stampace in Pisa; and those battles against the Sienese include The Victory at Marciano in Val di Chiana, The Capture of Porto Ercole, and The Storming of the Fortress near Porta Camollia in Siena (night scene)[figg. 01, 02a-02c, 03a-03c]. Vasari’s mastery is revealed in his historical and topographical rendition of warfare between Florence, Pisa, and Siena, which also provides a manual of information for military historians.1 In these representations, Vasari con sidered the following: 1) the visualization of military tactics, such the representation of fortifications and barricades to secure the city walls and to besiege the enemy city; 2) the
La questione vestiaria nella codificazione del linguaggio allegorico visivo
Émilie Passignat
Fin dalle prime righe del Proemio dell’Iconologia, Cesare Ripa sancisce il rapporto che lega l’allegoria alla cultura antiquaria, una costante manifesta ancor prima di tale summa, nel progressivo processo di codificazione visiva delle personificazioni. Eppure, l’aspetto del vestimento di quelle figure dell’astrazione risulta a tutt’ora piuttosto trascurato, essendo prevalso lo studio interpretativo degli elementi caratterizzanti quali attributi, gestualità e morfologie particolari, nonché l’interconnessione tra le figure nella costruzione del discorso allegorico. Questo contributo propone di valutare quanto incida la questione vestiaria nel corso della normalizzazione iconografica dell’allegoria durante il Cinquecento, commentando una serie di esempi attraverso i quali si considera, tenendo conto delle tensioni tra nudità e vestito, tra descrizione testuale e rappresentazione visiva, tra norma sacra e gusto antiquario, il modo in cui fu osservato dagli artisti il vestire “all’antica”.
Angus Fletcher non pote va formulare una costatazione più centrata scrivendo in apertura del suo famoso saggio: «Allegory is a protean de vice, omnipresent in Western Literature from the earliest times to the modern era»,1 a giustificare la necessità della sistematica ricostruzione teorica di uno strumento espres sivo che ha permeato non solo la letteratura, ma anche le arti visive, ininterrottamente dall’esordio antico. Da tempo indagato dagli storici dell’arte, già al cuore della méthode allégorique posta da Jean Seznec alla base di una delle tra dizioni che hanno tramandato la memoria degli dei antichi attraverso i secoli, configurando complesse dinamiche di coabitazione delle personificazioni con i personaggi della mitologia classica, tra sovrapposizione e sostituzione,2 il linguaggio allegorico ha rappresentato un terreno privile giato di riflessioni anche per Ernst Hans Gombrich, mentre imbastiva il suo metodo di analisi combinando semiotica e psicologia.3 Ma nel folto filone di ricerca successivo, sta di fatto che l’aspetto del vestimento di quel popolo di figure dell’astrazione risulti trascurato, essendo prevalso lo studio interpretativo degli elementi primordiali di riconoscimen to, quali attributi, gestualità e morfologie particolari, non ché l’interconnessione tra le figure nella costruzione del discorso allegorico. Questo contributo intende pertanto valutare l’incidenza della questione vestiaria nel corso della normalizzazione iconografica dell’allegoria, commentando una serie di esempi che appartengono, eccetto il primo e l’ultimo, al Cinquecento, quel secolo in cui l’invenzione al
Truth in Disguise. Allegorical Reinterpretations of Antiquity in Costumes and Masks of the Sixteenth Century
Maria Fabricius HansenDurante il XVI secolo, gli artisti adottavano uno stile “all’antica” per disegnare e allestire costumi per feste e parate pubbliche. Ma spesso i risultati di questi esperimenti tradivano gli intenti, approdando a risultati lontani dagli archetipi antichi. Lo scopo di questo studio è mettere in evidenza la tensione tra l’ideale imitazione dell’antico e l’effettiva reinterpretazione non antica che delle vesti, in tali contesti scenici, veniva applicata.
Recent studies and confer ences have clearly demonstrated how intensely Renais sance scholars and artists were absorbed in the matter of ancient dress, as is manifest in fifteenth and sixteenth century descriptions and visualizations of clothing. Dami ano Acciarino, for example, presented a detailed survey of the vast corpus of publications dealing with this subject in his article on the long discussed issue De re vestiaria 1 The present paper, however, approaches the subject from a somewhat different angle. I will take my point of depar ture in the following observation: If the people of the day were so interested in ancient dress, why do the visual rep resentations of ancient clothing appear so different from the archeological evidence accessible at the time?
The examples I adduce are from sixteenth-century masquerades, triumphal entries and theatrical plays and other festivities at court. We know from the written sources that the subject was ancient mythology and the characters were the ancient deities. The sources tell us explicitly that costumes and scenography were designed all’antica. 2 Thus, the whole enterprise was a reenactment of ancient culture. How can we describe the result of this archeological and philological interest? What kind of material culture came out of this emulation of ancient Roman models?
Certainly, the remains of sixteenth-century festivities and masquerades are scarce. Never intended to last longer than the time span of the festival, the costumes and sce nographies of pageantry were ephemeral, produced from
Notazioni sugli abiti e i costumi nel Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl’Iddei de’ Gentili di Baccio Baldini
Eliana Carrara
Il 21 febbraio 1566, in occasione delle festività del Carnevale e come omaggio a Francesco I e alla sua giovane sposa Giovanna d’Austria, percorse le vie di Firenze la Mascherata della Genealogia degli Dei: articolata in 21 carri, la sfilata delle numerosissime figure allegoriche (più di cinquecento) venne descritta nel Discorso sopra la Mascherata della Geneologia degl’Iddei de’ Gentili, pubblicato da Giunti nello stesso anno e scritto da Baccio Baldini, il protomedico di Cosimo I, senza che il suo nome figurasse nel testo a stampa. Grazie all’esame del ricco corredo illustrativo, oggi in parte conservato, che accompagnava il denso progetto iconografico, è possibile individuare tutta una serie di annotazione che corrono lungo i margini delle carte. Tali note spettano, in molti casi, alla mano stessa dell’autore del testo, Baccio Baldini appunto, il quale non mancò di fornire precise indicazioni anche per la realizzazione delle vesti e dei vari attributi che le comparse, presenti sui carri della sfilata, dovettero poi indossare.
Il 18 dicembre 1565, «in martedì» come ricordano le cronache del tempo,1 in S. Maria del Fiore vennero celebrate le nozze fra Giovan na d’Austria e Francesco de’ Medici. Il matrimonio fra la più giovane delle figlie dell’appena scomparso imperatore Ferdinando d’Asburgo, nonché sorella di Massimiliano II, che gli era succeduto sul trono, e il proprio figlio, ed ere de, fu il capolavoro politico-diplomatico del Duca Cosimo I, che vide aumentare il prestigio personale e quello della sua famiglia, ormai imparentata con la casata più impor tante sulla scena europea, gli Asburgo. Per tale ragione le nozze furono organizzate a Firenze con una serie di eventi festosi che si protrassero dall’ingresso della giova ne principessa in città, il 16 dicembre 1565, fino al marzo successivo, quando venne celebrato solennemente il gior no dell’Annunciazione della Vergine, inizio del nuovo anno secondo il computo fiorentino. Tali avvenimenti vennero contrassegnati sia da campagne decorative, come il son tuoso soffitto del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vec chio, dipinto da Giorgio Vasari e aiuti a partire dal 1563, e al cui centro campeggia l’Apoteosi di Cosimo I, abbigliato come un antico condottiero, sia da una serie di apparati effimeri, di cui ci restano solo poche testimonianze.2
Fra questi ultimi, cioè fra gli allestimenti destinati ad essere smantellati una volta conclusi i festeggiamenti, va annoverata anche la Mascherata della Genealogia degli Id dei de’ Gentili, che si tenne il 21 febbraio 1566, al culmine del Carnevale, nel giorno del giovedì grasso, in fiorentino
Word, Image and Fashion in EarlyModern Illustrated Alba Amicorum
Margaret RosenthalIn questo saggio si discutono le relazioni che intercorrono tra testo, immagini in tre manoscritti appartenenti al genere degli alba amicorum allestiti a Padova e oggi conservati presso la British Library. A differenza dei libri di moda illustrati, che circolavano durante il XVI secolo, questi album rappresentano vere e proprie collettanee di curiosità riguardo usi e costumi del tempo, anche concernenti il vestiario, con riferimenti tanto all’antichità quanto al contemporaneo. Sono testimonianza di un mondo in espansione, che trovava un privilegiato punto di osservazione nei contesti universitari.
During the age of printing, richly-illustrated manuscripts were still produced in six teenth-century Italy. Art objects were no longer purchased solely through patrons but were acquired and compiled in the public domain - at auctions, print dealer and station ers’ shops, urban fairs, and in local markets. An illustrated album amicorum, both personalized manuscript and art object, was assembled and owned most often by German university students who started this practice in the mid sixteenth-century, which quickly turned into a popular collecting craze throughout western Europe.1 Typically, they contain brightly-colored miniatures and drawings, painted in watercolor, tempera or gouache, often embel lished with silver and gold pen detailing. They place read ers/viewers in urban and cosmopolitan centers through out Europe, and in a world of vernacular complexity. Albums also provide a wealth of visual information about an expanding world economy, commodity exchange, and consumption practices. In particular, the miniatures de pict swiftly-changing fashions, everyday clothing mim icking the textiles, dyes, and cuts of the highest social registers, and textiles of various textures and finishes that were reaching new technological heights.2 Hand-written mottoes accompanying the images cite ancient authors’ moral and ethical sententiae regarding wealth, reputation, appearances, and personal virtue.3
Gutenberg’s technology did not put an end to man uscript culture. In Italy, local cartolai [stationers] sold
Ritratti di Turchi. Note comparate sulla relazione tra fisiognomica e costume
Ilenia PittuiIl contributo si propone di indagare la relazione fisiognomica-costume entro una prospettiva comparata, considerando fonti testuali e visive occidentali e ottomane. In particolare, sarà presa in esame l’opera dello storico comasco Paolo Giovio – dall’Epistolario, al Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus, al Dialogo delle imprese militari et amorose, agli Elogia (Firenze 1551) – e quella dello storico ottomano Seyyid Loḳmān – Kıyâfetüʼl-İnsaniye fî Şemâ’il’ül‘Osmaniye, più semplicemente nota come Şemâʼilnâme (1579). L’evidenza della veste quale attributo precipuo di un ritratto sociale, porterà, poi, a considerare anche le raccolte di costumi, focalizzando l’attenzione su alcune illustrazioni del ms. Ashburnham 1420, bell’esempio, poco noto, di ritrattistica turcoottomana conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Nel Giovio, fin nei diver timenti burleschi, si sente un fondamento natura listico, e anche un embrionale interesse etnologi co e demopsicologico, da osservatore dei costumi e dei linguaggi diversi (Folena 1991, p. 234).
Paolo Giovio (1483 o 1486-1552), «cosmografo cu rioso di costumi e istituzioni», non è semplice storico e collezionista di ritratti ma, a sua volta, attento ritrattista “espressivista”,1 che accoglie prospettive policentriche al fine di restituire alla Storia universale narrata la sua natu rale e istintiva policromia. Sospesa tra parola e immagine, quell’arguta “penna d’oro” gioviana rapidamente traccia e colora ritratti che vanno definendosi per il tramite di un sembiante fisiognomicamente caratterizzato e del costu me, ciò che, insieme al corpo, va rivestendo l’essenza più profonda di ciascuno, ovvero l’anima. Già Federico Cha bod notava in Giovio l’attenzione per un dettaglio fisico che trova massima espressione proprio nell’accostamento al particolare del costume, del vestire e del colore.2 Lo si riscontra nel suo Epistolario, lì ove l’espressività unisce dimensione pubblica e privata,3 quando, rivolgendosi nel dicembre 1515 all’amico Marin Sanudo, indugia, ad esem pio, sulla descrizione della figura di Francesco I di Francia in occasione dell’incontro di Bologna con Leone X.
[…] Aveva indosso una zamarra de argento e setta e una bereta di veluto negro con uno penachieto
Biografie
Acciarino, Damiano insegna Letteratura Italiana presso l’Università Ca’ Foscari, Venezia. Si occupa di antiquaria rinascimentale e tradizione classica, su cui ha pubblicato numerosi articoli e tre monografie. Per l’anno accademico in corso è borsista presso Villa I Tatti – The Harvard Center for Italian Renaissance Studies.
Adank, Maria ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia presso l’Università di Pisa nel 2021 con una ricerca sulla cultura materiale dell’élite veneziana tra Cinque e Seicento. I suoi interessi di ricerca vertono sul patriziato veneziano, dogi e dogaresse, storia dell’abito, cultura materiale.
Calenne, Luca è ricercatore affiliato all’Archivio storico diocesano “Innocenzo III” di Segni (RM), di cui è anche uno dei fondatori e curatori; si occupa prevalentemente di Storia dell’Arte e dell’Architettura del XVII secolo, in particolare di Mattia e Gregorio Preti.
Carrara, Eliana insegna all’Università degli Studi di Genova, dove è professoressa associata di Storia della Critica d’Arte. Tra i suoi scritti figurano saggi su Vincenzio Borghini, Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, Giorgio Vasari e sulla fortuna nel Rinascimento italiano della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.
Chatzidakis, Michail è Postdoctoral Fellow presso l’Istituto d’arte e studi visivi dell’Università Humboldt di Berlino e assistente ricercatore nel progetto Ikonophilie, Bildkritik, ornamenta ecclesiae: Päpstliche Konzepte pragmatischer Bild- , Objekt- und Ornamentkultur, 600-900. Si occupa di tradizione antiquaria del primo Rinascimento.
Conticelli, Valentina è curatrice del Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti, ha indirizzato le sue ricerche e le sue pubblicazioni più recenti sulla committenza
artistica di Francesco I de’ Medici, in particolare sullo Studiolo di Palazzo Vecchio, sulla Tribuna degli Uffizi e sul ciclo di grottesche degli Uffizi.
De Girolami Cheney, Liana emerita di Storia dell’Arte presso University of Massachusetts Lowell, è autrice di numerosi volumi concernenti il Manierismo, la tradizione neoplatonica nelle arti, Giorgio Vasari come artista e scrittore, Giuseppe Arcimboldo, Angnolo Bronzino, Laviania Fontana.
Hansen, Maria Fabricius è professoressa di Storia dell’Arte presso la University of Copenhagen. Si interessa soprattutto di arte e architettura italiana dalla tarda antichità al XVII secolo. Un filone particolare rilevanza della sua ricerca riguarda le grottesche, su cui ha pubblicato volumi monografici, collettanee e articoli scientifici.
Missere Fontana, Federica modenese (1965), porta avanti un’indagine sulla storia della scienza numismatica e della cultura antiquaria dalle sue origini, del fenomeno del collezionismo di monete antiche e del suo significato storiografico tra il Rinascimento e gli stati preunitari.
Passignat, Émilie è ricercatrice di Storia dell’Arte moderna all’Università Ca’ Foscari, Venezia. Le sue pubblicazioni concernono la storiografia e le teorie artistiche, la scultura, i cicli decorativi, la ritrattistica e la questione della norma visiva, nell’ambito degli scambi culturali in Europa.
Perocco, Daria è stata professoressa di Letteratura italiana e Letteratura del Rinascimento all’Università Ca’ Foscari di Venezia e visiting professor presso numerose università europee e nordamericane. Studiosa del Rinascimento ha scritto su grandi autori del periodo, i prosatori italiani che hanno trasmesso relazioni di viaggio, la scrittura femminile e la letteratura veneziana.
Pittui, Ilenia è Dottore di Ricerca in Storia delle Arti e Former Fellow del Center for the Humanities and Social Change dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. È stata Visiting Scholar presso la SOAS University of London (2019). Vincitrice del premio annuale G. D. Nicolosi Dal Pozzolo, Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore (2021).
Reolon, Giorgio è storico dell’arte che si interessa di pittura veneta del Rinascimento. Tra le sue numerose pubblicazioni scientifiche si annovera anche una monografia su Cesare Vecellio, di cui è specialista. Fa parte del comitato scientifico del Museo Diocesano di Feltre e della redazione della rivista Archivio storico di Belluno Feltre e Cadore
Rosenthal, Margaret è professore di Italian Studies presso University of Southern California. Tra le sue molteplici pubblicazioni figurano la monografia The Honest Courtesan (1992) e, assieme ad Ann R. Jones, le traduzioni Veronica Franco: Poems and Selected Letters (1998), e raccolta di costumi del Vecellio (1590), Clothing of the Renaissance World (2008).
Siekiera, Anna insegna all’Università del Molise. Nelle sue ricerche si è dedicata alla storia della lingua italiana del Quattro e del Cinquecento. Fra i suoi volumi figurano Tradurre per musica. Lessico musicale e teatrale nel Cinquecento, e l’edizione Bernardino Baldi: Descrittione del Palazzo ducale d’Urbino
Sogliani, Daniela è Dottore di Ricerca in Storia dell’Arte, coordina le mostre della Fondazione Palazzo Te di Mantova. Con Andrea Canova dirige il progetto I Gonzaga digitali dedicati alla cultura gonzaghesca che mette in rete le trascrizioni dei documenti della famiglia mantovana conservati nell’Archivio di Stato della città.
Tosi Brandi, Elisa Elisa Tosi Brandi è ricercatrice in Storia medievale all’Università di Bologna, dove
insegna Storia medievale, Storia e patrimonio culturale della moda. I suoi temi di studio riguardano la storia della cultura, della società e dell’economia nei secoli XIII-XVI, con particolare interesse alla cultura materiale.
Venturelli, Paola è storica dell’arte, si occupa di storia dell’oreficeria e della moda d’ambito milanese e mantovano. Autrice di numerosi volumi monografici, saggi e articoli. Ha organizzato e curato mostre, allestito e studiato raccolte museali. È responsabile scientifico della Fondazione Gianmaria Buccellati. Insegna Storia dell’Oreficeria all’Università di Verona.
Zamperini, Alessandra insegna Storia dell’Arte Veneta, Geografia e Storia dell’Arte, Istituzioni di Storia della Moda presso l’Università di Verona. I suoi interessi principali riguardano il recupero dell’antico nell’arte moderna, lo studio dell’iconografia femminile (delle regine in particolare) e di storia della moda.
Novembre 2022 Digital Team, Fano
Tra Quattrocento e Seicento la ricerca antiquaria interessò anche questioni relative alla moda e al costume, mediante indagini di carattere archeologico, numismatico, epigrafico o filologico. Al fine di riconoscere e identificare rappresentazioni di o occorrenze relative a indumenti nell’eterogeneo corpus di fonti classiche allora disponibile, questi ambiti, distinti ma connessi grazie all’influsso simultaneo di discipline cognate, non solo erano studiati in apposite trattazioni erudite, ma finivano anche per esprimersi in opere d’arte, emblemi e imprese, o in messinscene teatrali, in un tempo in cui l’accuratezza della rappresentazione dell’antico era legata tanto alla sensibilità umanistica di artisti, iconografi e committenti, quanto a quella dei fruitori. Inoltre, tali investigazioni di carattere antiquario potevano trasformarsi in potenziali modelli per la moda del tempo, partecipando attivamente alla creazione di abiti, calzature, acconciature o gioielli, e contribuendo alla costituzione di un immaginario comune più o meno idealizzato.
Tutti gli spunti sopra elencati saranno materia del presente volume, con l’intento di mettere in luce le relazioni tra la riscoperta dell’antichità e la moda, intesa nel suo senso più ampio, riscontrabili tra XV e XVII secolo.