Geometrie del Terrore - Estratto

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Con disegni di Giulia Bersani e Davide Zaupa

A CURA DI AGOSTINO DE ROSA, GIULIA LAZZARETTO E GIULIA PICCININ

Volume parzialmente finanziato con i fondi per la ricerca dell’Università Iuav di Venezia.

Geometrie del terrore. Lo spazio architettonico nella letteratura weird a cura di Agostino De Rosa, Giulia Lazzaretto e Giulia Piccinin

ISBN 979-12-5953-073-8

In copertina

DEDALO

Oil / wood, 150 x 100 cm, 1993

Autore: Dino Valls (www.dinovalls.com) Con il permesso dell’autore

Editore

Anteferma Edizioni Srl via Asolo 12, Conegliano (TV) edizioni@anteferma.it prima edizione febbraio 2025

Copyright

Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Ringraziamenti

Sono molte le persone e le istituzioni che vorremmo ringraziare, ma lo spazio a disposizione non è sufficiente per ricordarle tutte.

Ci limiteremo ad alcuni nomi, scusandoci in anticipo con quelli che non potremo citare. Dunque un grazie infinito a tutti coloro che hanno contribuito a creare l’evento delle lecture accademiche legate al corso di Disegno, nell’a.a. 2022-2023 e alla realizzazione di questo volume, e in particolare a: Laura Fregolent, già responsabile scientifico di Ir.Ide, Infrastruttura di ricerca dell’Università Iuav di Venezia; Francesco Musco, direttore della ricerca dell’Università Iuav di Venezia; Lucio Besana, Fabio Camilletti, Francesco Corigliano, Giusy Del Gaudio, Sara Marini, Giuliana Misserville, Cosimo Monteleone, Andrea Morstabilini, Matteo Polato e Andrea Vaccaro, che hanno animato, con le loro riflessioni critiche, le lezioni del corso. Un ringraziamento speciale al mitico Massimo Scorsone, che ci ha donato una introduzione che vale l’acquisto del volume; al sulfureo Dino Valls, che ci ha concesso amabilmente i diritti di riproduzione della perturbante immagine di copertina (Dedalo, 1993, collezione privata); e infine, ma non ultimi, a Giulia Bersani e Davide Zaupa per i bellissimi frontespizi interni.

Ma il ringraziamento più grande va soprattutto agli studenti del corso che hanno saputo interpretare le nostre intenzioni con creatività e passione, scoprendosi anche lettori.

Agostino De Rosa ringrazia, in stretto ordine alfabetico: Giorgio Cardosi, Rosanna Coscia e Sonia De Rosa, i miei fari anche nelle tenebre.

Giulia Lazzaretto ringrazia: Lucia, Andrea e Nicola, per l’immancabile entusiasmo che dimostrano verso gli infiniti orizzonti che decido di esplorare.

Giulia Piccinin ringrazia Giuditta, piccola fan del volume. Nel suo sguardo è la meraviglia della scoperta, propria di chi impara ogni giorno a osservare con curiosità.

Indice

Agostino De Rosa 7 11

Prefazione. Un teatro di idola

Massimo Scorsone

Premessa. Geometrie del terrore

Parte I

Regime scopico spettrale: spazio architettonico e percezioni fantasmatiche in Henry James e Shirley Jackson

Agostino De Rosa

Presenza e permanenza: i fantasmi e il Genius loci nell’antica Roma

Giusy Del Gaudio

Riverberi infestati. Processi risonanti ed ecologie dell’ascolto in The Stone Tape

Matteo Polato

La localizzazione del soprannaturale tra weird e modernismo

Francesco Corigliano

The Tomb di Howard Phillips Lovecraft e la rappresentazione dei luoghi dell’ignoto

Cosimo Monteleone

Eversioni gotiche. Intrecci intertestuali di scrittrici in cerca di guai

Giuliana Misserville

Case inospitali, terre incerte

Sara Marini

Aree di passaggio: dalle case infestate all’orrore liminale

Lucio Besana

La parola e il vuoto. Spazi spettrali nella letteratura occidentale

Andrea Morstabilini

L’architettura dell’inconscio: infestazioni, luoghi e nonluoghi nelle opere di Robert Aickman

Andrea Vaccaro

Deadly Cold Cases: a caccia di fantasmi in biblioteca

Fabio Camilletti

Percezione e rappresentazione: del tangibile e dell’illusorio nella letteratura weird

Giulia Lazzaretto e Giulia Piccinin

Letture esemplari

La casa dei suoni

Matthew Phipps Shiel

Il giro di vite

Henry James

La casa sull’abisso

William Hope Hodgson

La casa stregata

Howard Phillips Lovecraft

L’incubo di Hill House

Shirley Jackson

La stanza interna e Ravissante

Robert Aickman

The Shining. Una splendida festa di morte

Stephen King

Casa di Foglie

Mark Danielewski

Coraline

Neil Gaiman

L’altra casa

Simona Vinci

Bibliografia

Biografie

Prefazione

Massimo Scorsone Un teatro di idola

“Salomone al nono de’ Prouerbij, dice la sapienza hauersi edificato casa, et hauerla fondata sopra sette colonne. Queste colonne significanti stabilissima eternità, habbiamo da intender che siano le sette Saphiroth del sopraceleste mondo; che sono le sette misure della fabrica del celeste et dell’inferiore, nelle quali sono comprese le Idee di tutte le cose, al celeste, et all’inferiore appartenenti.”1 Giulio Camillo Delminio

“It isn’t the thing that goes bump in your house in the night that is going to do you in in this brave new world; it’s your house itself. In a world where the very furniture of your life, the basic bones of your existence, turn terrible and strange, perhaps the only thing we’re going to have to fall back on is whatever innate decency we can find deep within ourselves.”2

Anne Rivers Siddons

1 Da L’Idea del Theatro, dello eccellente M. Giulio Camillo, Bindoni, Venezia 1550, p. 4 s. (e v. ora anche G.C. Delminio, L’Idea del Teatro e altri scritti di retorica, a cura di D. Chiodo e R. Sodano, Alethes – collezione di retorica, 1, Res, Torino 1990).

2 “In questo nostro brave new world, ad atterrirci non è più la figura che ci compare davanti all’improvviso di notte, in casa nostra, bensì la casa stessa che si abita. In un mondo in cui perfino il mobilio della nostra vita, l’intima ossatura della nostra esistenza, diviene realtà spaventosa e conturbante, forse non ci rimarrà altro che fare ricorso a quanto d’innato decoro sapremo trovare nel profondo di noi stessi” (A.R. Siddons, cit. in Stephen King, Danse macabre, 1981; tr. dell’autore).

Chiediamocelo già in esordio, anziché liquidare troppo corrivamente l’argomento, e ben prima di dare per scontato il significato dello haunting – assillo ossessione infestazione, senza neppur troppe distinzioni tassonomiche – quale denominatore comune di una serie discreta di modalità outré di fruizione di ambienti fittizi: fabbriche di fantasia, architetture atte a simulare una abitabilità illusoria. Posti in cui “ci si sente”. E allora l’interrogativo fondamentale potrà toccare la vera natura di questi spazi, intesi o concepiti ad arte come vuote conchiglie risonanti del ploro profondo di un oceano invisibile, come camerae obscurae capaci di far concentrare lo sguardo allucinato dell’osservatore su dettagli inquietanti, a tutta prima impercettibili eppure via via sempre più invasivi. Non ci si domanderà quindi soltanto che cosa sia dato di vedere, che cosa sia lecito sentire all’interno di questi cerchi magici, ma anche: dove ci troviamo? Quale la nostra collocazione in seno a un mondo irrimediabilmente spettrale? 3

L’infinita suggestione che tali luoghi mitici, esigui ecosistemi nei quali si articola il variegato pluriverso folk horror, esercitano in campo letterario trova una delle sue espressioni più emblematiche nel topos , gotico nel senso più lato possibile, della “casa stregata”: metaforico e spiazzante palcoscenico non già di idee (secondo il più rassicurante neoplatonismo di retaggio rinascimentale) bensì di εἴδωλα , ‘fantasmi’ in grado di turbare ogni nostro convincimento, ogni certezza acquisita – giacché è in tale tropologia di segno esemplarmente negativo che la inhabitatio dell’unico Spirito si corromperà in blasfema vexatio di torme di spiriti impuri, in-mundi

Spazio ormai contaminato, violato, usurpato, la dimora eretta dalla Sapienza, umana e divina a un tempo, sul settenario della simbolica scritturale e postscritturale – le colonne planetarie, i germogli sefirotici della tradizione qabbalistica; ma anche i lumi dell’architettura di ruskiniana memoria – si metamorfizza così per via di paradossale contraffazione – eppure motivata all’apparenza da una intrinseca, urgente e feconda “necessità di travisamento” (Harold Bloom) – in vaso di empietà, veicolo di una “continenza” radicalmente diversa da ciò che la ragione, scimmia del Logos, vorrebbe mostrarci, permettendo così d’intravvedere al centro geometrico di questo microcosmo (o, per dir meglio: microcaos) una circolazion … pinta non già della nostra effige , ma di ben altri sembianti. Estranei, forse perfino sacrileghi.

Al cuore della più autentica fearful symmetry , la relazione tra spazio fisico e spazio immaginario si situa, in questo contesto retorico a più livelli interpretativi, all’altezza di un innesto di fantastico e di reale ove il “sovrannaturale” s’intreccia senza parere con dinamiche psicologiche, culturali e sociali di vasta portata. La casa, luogo altamente simbolico dell’intimità, della stabilità e degli affetti, si trasforma in larvale/larvata minaccia, in un’architettura abitata da presenze che non solo mettono a repentaglio il preteso ordine naturale, ma rendono inoltre udibile l’inquieto dialogo (o, più spesso, diverbio) tra passato e presente, tra

3 Quasi una tautologia – come infatti ampiamente documentato (Festo nell’epitome paolina, Varrone in Macrobio, ecc.), mundus è anche il netherworld, gli Inferi – di cui si fa ammenda all’istante.

individuo e storia collettiva. Facendo infine, se non erriamo, di questo abusatissimo tropo middlebrow ciò che potremmo chiamare anche noi, ancora con Bloom, una “rappresentazione di tardività” 4

Geometrie del terrore si propone di esplorare tali dinamiche attraverso una lente critica che intreccia letteratura e architettura, immaginazione e realtà. I saggi raccolti affrontano il tema della haunted house quale cifra dell’inquietudine e dell’oppressione, ma anche come spazio di rivelazione e di riflessione. I contributi ospitati nelle pagine seguenti favoriscono una mappatura complessa e affascinante, in cui la casa infestata assume l’assoluta preminenza di un locus circoscritto ma nondimeno in grado di riverberare con metafisica evidenza, nello specchio della fantasia letteraria, le ansie e le incertezze di ciò che consideriamo realtà.

Nel panorama della ghost story, classica o postmoderna, da Horace Walpole a Henry James, da Howard Phillips Lovecraft a Robert Aickman, da Shirley Jackson a Stephen King e oltre, gli scenari narrativi si presentano quali sfondi di atti illocutori sostanziati di tempo lungamente sedimentato in concrezioni quasi minerali – laddove il passato irrompe più o meno violentemente nel presente con tutto il suo portato tradizionalmente noir di tenebrosi segreti, colpe inconfessate e paure rimosse. Ogni dimora infestata è così un segmento liminale, uno spazio in cui visibile e invisibile si confrontano. Tale colloquio tra luoghi e memoria, tra architettura e narrazione, costituisce il fulcro di molte delle opere analizzate in questo volume, che invita il lettore a riflettere su come l’ambiente fisico possa modellare l’esperienza – o addirittura trasformarsi in vero e proprio attore dell’umana vicenda.

Fino a quando possa durare – o finché, come estremo esorcismo, non si compia la beata spes di una agnizione risolutrice (e dissolutrice) che metta la parola fine a ogni racconto. Che rada al suolo ogni parvenza. Per costruire-raccontare qualcosa di veramente nuovo.

Per molteplici nascite – ho corso invano, cercando il costruttore della casa.

[…]

Costruttore della casa, sei stato riconosciuto!

Non erigerai più la casa!

Tutte le travi sono state disfatte, la traversa del tetto è stata distrutta.

Dhammapada, 153-45

4 Vale a dire una minima – ma non per questo meno eloquente – vision of belatedness (cfr. H. Bloom, La Kabbalà e la tradizione critica, tr. it. di M. Diacono, Feltrinelli, Milano 1981, p. 19).

5 Traduzione di Francesco Sferra, in La rivelazione del Buddha, a cura di R. Gnoli, i Meridiani –classici dello spirito, Mondadori, Milano 2004, I, p. 533.

Premessa

Agostino De Rosa Geometrie del terrore

Da quando ero piccolo ho letto con costanza racconti di fantasmi. Credo che il primo sia stato ovviamente Il fantasma di Canterville (1887) di Oscar Wilde, come per molti ragazzi della mia generazione. Non so perché le storie di questo tipo mi hanno sempre attratto e, tuttavia, su di me hanno esercitato un effetto opposto e contrario rispetto a molti dei miei coetanei. Per me infatti, i fantasmi (quelli di carta, ovviamente) sono sempre state presenze rassicuranti, nonostante il clima perturbante che pervade gli spazi che occupano: l’aria che si gela al loro apparire, l’atmosfera ambientale che vira drammaticamente verso un senso di pesante oppressione (fisica e spirituale) durante le loro manifestazioni, l’affievolirsi o l’acuirsi (a seconda dei narratori) del sistema percettivo nei testimoni delle loro epifanie terrene, sono tutti elementi che mi hanno sempre trasmesso pace e serenità.

In questi giorni, ho finito di rileggere una raccolta di brevi racconti di fantasmi, edita nel 2018 per i tipi di Hypnos, intitolata L’ora degli spettri. 29 storie di fantasmi, curata magistralmente da Pietro Guarriello e Giuseppe Lo Biondo. Sono molti i racconti che mi sono piaciuti, anche perché il tema delle apparizioni fantasmatiche è inevitabilmente legato a quello delle case infestate e dunque delle architetture inquietanti. Uno dei racconti, La sedia a dondolo (1911), mi ha letteralmente commosso: è stato scritto da un fuoriclasse del genere, Oliver Onions (1859-1931), del quale ho letto anche Il volto dipinto. Racconti di fantasmi (Hypnos, Milano 2017) e La bella incantatrice (Hypnos, Milano 2024). E per uno strano caso del destino, ho rivisto negli stessi giorni Sicilian Ghost Story (2017), scritto e diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Il film si basa su un racconto di uno dei miei scrittori preferiti, Marco Mancassola, intitolato Un cavaliere bianco, contenuto nella raccolta Non saremo confusi per sempre (Einaudi, Torino 2011). Non rivelerò il finale di entrambi, ma accennerò solo al fatto che nel film, come nel romanzo, l’amore di una adolescente (dal simbolico nome di Luna) per un suo coetaneo (Giuseppe, ovvero Giuseppe Di Matteo) le consente

una discesa nell’Ade, ma anche un ritorno alla luce. In fin dei conti, a ben pensarci, le storie di fantasmi non sono altro che questo, storie di amore: amore per una vita perduta, per un bene perduto, per una occasione perduta. E a ben vedere spesso i fantasmi sono i testimoni che qualcosa può durare oltre il tempo, proprio come l’amore.

Molti mi chiedono ragione della mia passione per le storie di fantasmi. I motivi sono tanti e vari, ma proverò a sintetizzarli: il primo credo risalga a un imprinting, ricevuto da bambino, in una casa dove ho abitato. Mentre giocavo in corridoio, una mattina, all’improvviso, dallo spigolo della camera da pranzo che intravvedevo dalla mia postazione, arrivò una voce femminile (forse il sussurro di una banshee, pensai poi da adulto) che mi chiamava per raggiungerla. Io cercai rifugio tra le gonne di mia madre, spaventatissimo. Il fenomeno durò per diversi anni e le voci divennero due, sempre provenienti dallo stesso haunted corner di quella casa. Difficilmente ormai entravo da solo in sala da pranzo, tale era la paura che mi attanagliava. Ma fu un contatto con l’ignoto, forse solo immaginato, o frutto della “esuberanza ormonale” di un ragazzino: chissà. Ma i segnali successivamente furono altri e molto perturbanti. Sono cresciuto in un ambiente positivista – mio padre, in primis, ma anche mia madre –, e ho sempre cercato di analizzare e di riflettere in profondità sulle mie esperienze. Le storie di fantasmi diedero alle mie domande delle risposte, non plausibili fenomelogicamente, ma letterarie, dunque ancora più interessanti. Come dice Paul Auster in uno dei capitoli della sua Trilogia di New York (Einaudi, Torino 2013), “le storie esistono solo in chi è capace di raccontarle”. La seconda ragione è appunto di natura estetica: i racconti di fantasmi – soprattutto quelli scritti da autori come Henry James, Montague Rhode James, Oliver Onions, Shirley Jackson, Rudyard Kipling e Walter de la Mare, solo per citarne alcuni –sono spesso veri capolavori letterari, capaci di sintetizzare, nello spazio retorico del genere cui appartengono, la complessità delle emozioni umane più riposte, tra le quali appunto la paura e l’amore. Un precipitato di vita, raccolto in un’ampolla dal vetro oscuro, capace di esporre in evidenza tutti i drammi umani, grazie al soprannaturale. Il terzo motivo, più personale, è che i fantasmi fanno meno paura dei viventi. Tutti i racconti di fantasmi che coinvolgono bambini o bambine hanno quindi una strana eco in me, come se suonasse in quegli scritti una nota, un trillo che conosco bene, o, almeno, credo di aver conosciuto, come ho già raccontato. C’è un’età in cui si è massimamente ricettivi verso il mondo esterno, ma anche verso quello interno, forse inconsapevolmente – una questione d’istinto, direi – e quella è la fanciullezza e parte dell’adolescenza. Le “cose strane” a quell’età non sembrano poi tanto bizzarre e se qualcosa di diverso, di eccentrico accade, il suo ricordo si diluisce nel gorgo della memoria infantile che tutto sublima e metamorfizza. Nella fondamentale raccolta di racconti di Patricia Squires (1936), intitolata Il fantasma nello specchio (Agenzia Alcatraz, Milano 2022), ce n’è uno che mi “ha parlato” nel linguaggio segreto delle lucertole, come diceva Goethe: quello in cui un bambino incontra una misteriosa donna in bianco che gli mostra un incidente stradale in cui lui stesso si troverà coinvolto dodici anni più tardi. Anche in questo caso, non faccio il guastafeste anticipando il finale, dal momento che da quella visione nasceranno una serie di conseguenze esiziali nella vita di questo piccolo uomo.

L’incontro però è preluso da fenomeni di uscita dal corpo (o di premorte) del bambino, guidati da una dama bianca, poi ritrovata dallo stesso in una strada primeva che in realtà non esiste nel paese da lui abitato, a cui segue la rivelazione finale su cui taccio. Come raccontavo poc’anzi, l’incontro metafisico del bimbo descritto con sincera empatia da Squires è accaduto anche a me, da piccolo, ma per via acustica e non visiva, e… non venni creduto, proprio come il bimbo nel racconto. Il fenomeno psico-acustico durò un paio di anni circa e poi cessò. Come accennavo, da bambini si hanno le antenne della percezione ben orientate verso il mondo visibile, ma anche verso quello invisibile: non so dunque se si sia trattato di un fantasma o di un’illusione sensoriale. So che è accaduto e il fatto di averlo percepito per me lo rende reale. Così, da quel momento, l’esperienza acustica è diventata fondamentale nella mia vita e forse il fatto che ascolti molto (musica, parole di amici e parenti, radio, audiolibri, ecc.) dipende da quella strana iniziazione perturbante. E ancora per via sonora, ma questa volta radiofonica, quegli stessi racconti sono giunti a me tra il 1979 e il 1987, quando RAI Radio Tre mise in onda un ciclo di trasmissioni dal titolo Il racconto di mezzanotte. Io le ascoltavo tutte le sere, prima di addormentarmi, sotto le coperte, usando una radiolina portatile e un auricolare (sic!) monofonico, e ogni volta era una epifania: l’attore o l’attrice, cioè le voci narranti, intonavano la loro dizione all’ora tarda, ma soprattutto al tema dei racconti, quasi sempre riconducibili al realismo magico o al weird più puro, offrendomi sussurri, parole biascicate, toni oscuri e gravi. Per me era una goduria e dopo dormivo d’incanto, accompagnato da quella “paura” tutta letteraria (e radiofonica) e, dunque, innocua. Ricordo ancora con piacere la lettura de L’adorabile fantasma di August Derleth, oppure de Il cacciatore di vecchi di Dino Buzzati; e ancora di Un cittadino di Carcosa di Ambrose Bierce, e de L’ultimo licantropo di Riccardo Bacchelli, solo per citarne alcuni. Molte di queste trasmissioni le conservo, registrate rocambolescamente su cassette C90, accuratamente catalogate e custodite in uno scatolone in cantina. Le ho ritrovate in questi giorni e ho pensato che M.R. James (1862-1936) aveva ragione quando rifletteva sul potere apotropaico e salvifico delle ghost stories. Non credo sia stato un caso che, nei giorni del lockdown, gli unici libri che riuscivo a leggere fossero di fantascienza e horror, o comunque di letteratura fantastica, i soli in grado di competere con quella situazione “ai confini realtà” senza sfigurare. Tutto il resto appariva superato e quasi una mise en scène artificiale rispetto al mondo reale, immagini di un’epoca lontana anni luce dal qui e ora. I fantasmi spiegano molte cose che ci accadono, dunque: non parlo tanto delle presenze inquietanti dei defunti che si ripropongono nella nostra dimensione: no, quella è “materia da romanzo”, come diceva Balzac; parlo invece dei fantasmi della mente che ci tormentano e non ci fanno dormire, oppure che ci impediscono di compiere azioni nel verso del bene. Penso ad esempio a quella “gente che te sputa n’faccia, che nun’ha mai preso na farce in mano, che se distingue pe na cravatta”, cui alludeva Antonello Venditti in una sua canzone in vernacolo romanesco, Sora Rosa (1972), e che pontifica sulla vita di migliaia di persone disperate, mosse dal desiderio feroce di sopravvivere: un desiderio, anzi un istinto direbbe Freud, che noi abbiamo riscoperto solo di recente. Come fosse un fantasma per l’Occidente. Perciò, “annamo via, tenemose pe’mano, c’è solo

questo de vero pe’chi spera, che forse un giorno chi magna troppo adesso possa sputà le ossa che so’ sante”.

Questi e altri pensieri mi venivano alla mente nel tentativo di spiegare al lettore il perché di questo libro che nasce, oltre che dai motivi personali di cui sopra, soprattutto da un corso universitario, intitolato Geometrie del terrore, che tengo da tre anni presso la laurea magistrale in Architettura dell’Università Iuav di Venezia, dove insegno da circa trenta. C’è voluto coraggio, oltre che letture decennali, per poter affrontare un argomento di studio e di ricerca, oltre che di esercitazione accademica, che in principio ho pensato sarebbe stato respinto da molti dei miei studenti. E invece è accaduto proprio il contrario: un numero di iscritti ai corsi in crescita esponenziale, uditori esterni al mondo accademico e colleghi sempre presenti per curiosità o amore mai confessato per il genere letterario di cui sopra. Del primo di questi corsi, il libro che il lettore stringe tra le mani è fedele diario, affrontando lo studio, sub specie architettonica, dello spazio retorico nella letteratura fantastica e, nel caso specifico, in quella il cui fulcro narrativo sono le case infestate. Il titolo del corso era appunto Geometrie del terrore, giunto nell’a.a. 2024-2025, alla terza edizione. Le lezioni teoriche hanno affrontato il complesso rapporto tra spazio letterario e spazio fisico, tra configurazione del plot narrativo, dei suoi connotati ambientali e l’atmosfera delle haunted houses, tra Genius loci e vocazione del paesaggio e dell’architettura “visitate”, il tutto partendo dagli studi di Eleanor Winsor Leach (1937-2018), già docente presso la Indiana University di Bloomington (USA), e in particolare dal suo libro più noto, The Rhetoric of Space: Literary and Artistic Representations of Landscape in Republican and Augustan Rome, pubblicato da Princeton University Press nel 1988. In quel volume, i paesaggi descritti nei testi omerici e virgiliani venivano confrontati dall’autrice con la pittura e, in genere, con le arti coeve, individuando affinità e discrepanze con la rappresentazione cartografica effettiva di quegli stessi luoghi. La geografia delineata da Winsor Leach squadernava un inedito universo “spaziale” in cui l’osservatore svolgeva un inaspettato ruolo “protoprospettico”, ottico ma anche antropologico. Partendo dalle sue riflessioni critiche, è stato chiesto agli studenti del corso di adottare, come gli uomini-libro di Fahrenheit 451 (1953) di Ray Bradbury, una ghost story, tra quelle selezionate e proposte da me, Giulia Lazzaretto (PhD) e Giulia Piccinin (PhD), e di ricostruire in proiezioni ortogonali, prospettiche e assonometriche quelle dimore avite, adottando un linguaggio formale e un layout grafico condivisi, per descrivere spazi, apparizioni, cambiamenti percettivi e ambientali, connessi alle presenze spettrali e/o ultraterrene. Dopo le lezioni ex cathedra – tenute nella prima parte del corso, e nelle quali sono state trattate alcune questioni teoriche legate alla storia della letteratura weird, a quella dell’idea di fantasma e di casa infestata in Occidente, alle nozioni di ombra e cecità, e dove sono stati approfonditi metodologicamente due casi –, è stato organizzato un ciclo di comunicazioni affidate a ospiti esterni, in qualità di guest lecturer, invitati a coppie, e incentrate sulle relative esperienze accademiche e culturali, scientifiche o di semplici appassionati. Le conferenze di Geometrie del terrore, aperte principalmente agli studenti del corso e alla comunità scientifica dell’Università Iuav di Venezia, hanno riscosso un

grande successo di pubblico (con molti ospiti esterni inattesi) e sono state seguite anche al di fuori dell’aula universitaria in cui si svolgevano fisicamente, tramite un servizio di  streaming appositamente predisposto dagli uffici tecnici dell’Ateneo.

Geometrie del terrore raccoglie dunque i saggi scientifici dei curatori del corso e degli invitati al I ciclo di conferenze, ma soprattutto (nella sua seconda parte) le tavole grafiche (con relative schede testuali) inerenti a dieci casi studio svolti da un nutrito gruppo di studenti, che hanno attinto alle loro emozioni più primordiali, spingendosi ad affrontare la domanda senza tempo “cosa avviene dopo la morte?”, e soprattutto, in quali spazi architettonici e/o urbani? Le risposte sono contenute in ricostruzioni grafiche e retoriche talvolta spaventose, talaltra divertenti, qualche volta filosofiche, oppure commoventi. Con onestà e passione gli studenti del corso hanno sempre esplorato lo spazio liminale tra il fantastico e il quotidiano con profondità e intensità, scoprendo nuovi modi di guardare chi siamo e cosa conti per noi, esplorando quanto sia misterioso, triste, strano e comico essere vivi o, ancora peggio, quando non lo siamo più.

PARTE I

I disegni che aprono i singoli saggi appartengono al ciclo: Giulia Bersani, Davide Zaupa, Geometrie del terrore. Lebbeus Woods, Venezia 2024.

Parte I

0 Solohouse, Agostino De Rosa

1. Terrain, Giusy Del Gaudio

2. System Wien, Matteo Polato

3 Underground Berlin, Francesco Corigliano

4. Berlin Free Zone, Cosimo Monteleone

5. Terra Nova. Project DMZ, Giuliana Misserville

6. The Einstein Tomb, Sara Marini

7. On the Malecón, Lucio Besana

8 Lower Manhattan, Andrea Morstabilini

9. Aerial Paris, Andrea Vaccaro

10. Neomechanical Tower. (Upper) Chamber, Fabio Camilletti

Parte II

11. New City, Giulia Lazzaretto e Giulia Piccinin

Agostino De Rosa

Regime scopico spettrale: spazio architettonico e percezioni fantasmatiche in Henry James e Shirley Jackson

“Credo che l’uomo sogni unicamente per non cessare di vedere.”

Johann Wolfgang von Goethe

Ospiti inattesi

Il tema della casa infestata costituisce una sorta di basso continuo nella cultura popolare e nelle letterature di tutte le epoche, anche se declinato con modalità differenti, a seconda dei contesti antropologici in cui si è manifestato e si manifesta ancora oggi. Già l’uso di quest’ultima forma verbale induce nel lettore un senso di estraneità e alterità del fenomeno in sé, lasciando intendere che l’apparizione fantasmatica costituisca una sorte di interruzione nella continuità spazio-temporale dell’esperienza secolare di percezione e di appercezione del mondo: è suggestivo che lo storico dell’arte Michael Baxandall abbia usato un’espressione analoga (“hole in a flux”1) per definire cosa siano le ombre, lemma spesso associato alla natura effimera e sfuggente dei fantasmi2. E in effetti l’incertezza sulla natura delle apparizioni spettrali le colloca de iure in quell’area percettiva tra il visibile e l’invisibile, appunto tra luce e ombra (termini duali alle latitudini occidentali, assunti nel loro campo non solo semantico, ma anche fenomenico3)

1 M. Baxandall, Shadows and Enlightenment, Yale University Press, New Haven & London 1995, p. 2 (tr. it. Ombre e Lumi, Biblioteca Einaudi, Torino 2003).

2 Per la definizione di fantasma e delle sue varianti, si rimanda ai seguenti testi: D. Kindersley, A History of Ghosts, Spirits and the Supernatural, DK, Londra 2024; S. Cigliana, Due secoli di fantasmi. Case infestate, tavoli giranti, apparizioni, spiritisti, magnetizzatori e medium, Edizioni Mediterranee, Roma 2018; S. Owens, The Ghost: A Cultural History, Tate Gallery, Londra 2017; R. Clarke, A Natural History of Ghosts: 500 Years of Hunting for Proof, Penguin 2013; M. Scotti, Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura, Feltrinelli, Milano 2013; G. Pilo e S. Fusco, Il Fantasma, in Idd., “Storie di fantasmi”, Newton Compton, Roma 2013; P.H. Aykroyd, A History of Ghosts. The True Story of Séances, Mediums, Ghosts, and Ghostbusters, Harmony/Rodale, Londra 2009; P. Maxwell-Stuart, Ghosts: A History of Phantoms, Ghouls, & Other Spirits of the Dead, Tempus Pub Ltd, Londra 2006; M. Roach, Spettri. Apparizioni, ectoplasmi e care presenze. La vita dopo la morte secondo la scienza, Einaudi, Torino 2006; S. Fusco, Fantasmi, streghe e case infestate. Nella realtà, nella letteratura e nel cinema, Mondo Ignoto, Roma 2001; S. Conti, Uomini e spettri, Mondadori, Milano 1997.

3 Si veda in merito: A. De Rosa, Geometrie dell’ombra. Storia e simbolismo della teoria delle ombre, CittàStudi Edizioni, Milano 1997; Id. (a cura di) Tra luce e ombra, Il Poligrafo, Padova 2004; Id., L’infinito svelato allo sguardo. Forme della rappresentazione estremo-orientale, CittàStudi Edizioni, Milano 1998.

che lasciano lo spettatore dell’evento incapace di agire, con i propri sensi cartesiani neutralizzati e con l’emersione dal profondo di nuove forme di conoscenza (e anche di coscienza)4. Questo stato liminale spesso sollecita il percetto che si sia a un passo dall’isteria, se non della follia: estranea al mondo razionalmente medicalizzato, così ben analizzato da Michel Foucault5 (1926-1984), l’apparizione di un revenant sconvolge l’ordine costituito della realtà, assurgendo ad atto di ribellione, se non addirittura di terrorismo. Cosa accadrebbe se tutti i morti della storia umana ritornassero, improvvisamente risorti con i loro corpi e le loro età originarie, in accordo con le aspettative giudaico-cristiane, bussando alle porte delle loro case, abbandonate forzosamente quando hanno dovuto congedarsi dalla vita terrena? Se lo è domandato lo scrittore italiano Giacomo Papi (1958) in un romanzo6 di qualche anno fa, in cui l’autore immagina questo evento sconvolgente, con il conseguente caos prodotto dalla ricomparsa di milioni di generazioni passate a miglior vita (dall’epoca di apparizione dei primi ominidi, fino a oggi) nelle città e nei paesaggi – urbani o rurali – del nostro evo, con conseguente sovversione delle regole di convivenza civile tra i viventi, naturali e soprannaturali. “Coloro che non sono più” tornano dunque – molti emergendo dal mare, come recita l’adagio biblico, evocato sin dal titolo del romanzo –, e lo fanno volendo rioccupare non solo il loro ruolo sociale e familiare, ma soprattutto le loro case abbandonate forzosamente in epoche passate. La casa e, più in generale, l’architettura fungono da faro attrattivo per corpi e anime che, spaesate, dopo secoli o decenni di sonno che doveva essere eterno, cercano le loro radici, più precisamente il loro passato, senza il quale il loro futuro non avrebbe senso. Ed è in architetture, non solo avite o abbandonate, ma anche funzionali e futuribili, che tornano i fantasmi protagonisti di molta letteratura spettrale, moderna e contemporanea7, in alcuni casi con un forte desiderio di vendetta, ma più spesso per sciogliere un nodo emotivo che travalica la morte: il più delle volte, statisticamente parlando, si tratta di storie d’amore incompiute o inespresse, talvolta troncate da un evento infausto, causato dal villain di turno, oppure scatenato dal caso, indifferente ai sentimenti umani e rispondente a un ordine naturale che non distingue il bene dal male.

4 In merito, si veda anche T. Todorov, The Fantastic: A Structural Approach to a Literary Genre, Press of Case Western Reserve University, Londra 1973, p. 25.

5 Cfr. M. Foucault, Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo medico, Einaudi, Torino 1969.

6 Cfr. G. Papi, I primi tornarono a nuoto, Einaudi, Torino 2012. In contemporanea alla pubblicazione del libro, si ricorda che lo stesso plot narrativo è stato alla base di una serie televisiva francese, Les Revenants, creata da Fabrice Gobert e trasmessa, a partire dal novembre 2012, in due serie da otto episodi ciascuna. Anche in questo caso gli episodi dilatavano il tema di un film del 2004, dal titolo Quelli che ritornano, regia di Robin Campillo. La serie francese ha avuto anche un adattamento negli USA con il titolo The Returned (Netflix 2015).

7 In merito all’analisi critica della diffusione del genere spettrale in relazione al tema della casa infestata, si rimanda a: F. Corigliano, Nessuna casa vuota: l’abitazione infestata nella letteratura del soprannaturale, in “Providence Tales. La rivista dei racconti fantastici, horror, weird, pulp”, n. 5/Primavera, Providence Press, Bologna 2020; N. Matheson, Surrealism and the Gothic Castles of the Interior, Routledge, Londra 2018; U. Lugli, L’orrore sotto casa. La dimora pestilens da Plauto a H.P. Lovecarft, in “Futuro Antico: collana di studi linguistico-letterari sull’antichità classica del Dipartimento Francesco Della Corte”, n. 11, Erredi Grafiche Ed., Genova 2016; G. Scalessa, La casa infestata tra letteratura scientifica e narrativa, in Id. (a cura di), “Gli inquilini del piano di sopra. Case infestate nelle ghost stories”, Nuova Delphi, Roma 2016; R. Schmitz, Haunted by a House: The Terrors of Postmodernity in American Haunting House Tales, MA Dissertation, Leiden University, Leida 2015.

Ma perché dovrebbe poi farlo? Lo schema retorico 8 sembra ripetersi dunque, con la casa che diventa un agente infestato e infestante – maniero o villa, spelonca o edificio per appartamenti che sia –, ma che appare essere vincolata, sin dalle fasi iniziali della sua ideazione e progettazione, a un destino maledetto inevitabile: esiste dunque in esse un Genius loci 9 , nell’accezione latina e vitruviana del termine, che le condanna al male ab origine . Il testo di Edward Bulwer-Lytton La casa e il cervello 10 ( The haunted and the haunters , 1859) lo esemplifica in modo paradigmatico, soprattutto per l’approccio scientista del suo autore, incline a spiegare il fenomeno spettrale all’interno di un orizzonte razionale, in cui le manifestazioni dell’occulto ci appaiono tali solo perché la scienza non è stata ancora in grado di spiegarle. La letteratura sul tema della casa infestata è vastissima e, appunto, infestante ogni tentativo di discorso critico sul tema, ma di seguito si è deciso di analizzare due casi studio celeberrimi, entrati rapidamente, dopo la loro pubblicazione, tra le opere paradigmatiche del genere, anzi capaci di fissare un canone: si tratta de Il giro di vite (1898) di Henry James e de L’incubo di Hill House (1959) di Shirley Jackson, opere caratterizzate da due differenti tipologie nel processo di insediamento spettrale. Nel primo caso, la casa descritta da James diventa infestata dopo alcuni fatti esecrandi e luttuosi, perpetrati da esseri viventi, ormai ridotti a fantasmi, che tornano per completare la loro opera di corruzione su due minori. Nel secondo caso, quello narrato da Shirley Jackson, la casa è maledetta dalla sua fondazione: l’architetto che ne delineò spigoli e solai, mura e torrioni, tetti e verande operò fin dall’inizio della sua costruzione seguendo una pianificazione strutturale maligna, di cui è impossibile liberarsi. Il primo caso, come vedremo, ammette un atto esorcistico di liberazione del sito, mentre il secondo è condannato alla perdizione eterna, le sue fondamenta essendo state allocate nell’essenza più profonda del male 11: entrambe però impongono il sacrifico di un vivente.

Le note che seguono sono state redatte volutamente a mano e poi trascritte digitalmente, come facevo molti anni fa, e la scelta della “casa” di carta che doveva ospitare quelle parole non è stata casuale: un prezioso quaderno con la copertina (scelta appositamente) disegnata da William

8 Sulle strutture narrative del testo, si rimanda alla bella tesi dottorale di R. Avagliano, Le strategie testuali della suspense nelle ghost stories di Henry James. Relatore: Prof.ssa Roberta Ferrari, Università di Pisa, Scuola di Dottorato in Discipline Umanistiche, Dottorato di Ricerca in Letterature Straniere Moderne (Curriculum: Inglese), Ciclo XXII, 2011. Lo studio si articola sull’esame retorico di tre racconti fantastici di James, ovvero: The Turn of the Screw (1898), The Jolly Corner (1908) e The Friends of the Friends (1896)

9 Per un’analisi subspecie architettonico-paesaggistica del termine si rimanda al classico C. NorbergSchulz, Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Electa, Milano 1979. Si veda anche: J. Dixon Hunt, Genius Loci: An Essay on the Meanings of Place, Reaktion Books, Londra 2022.

10 Cfr. E. Bulwer-Lytton, La casa e il cervello. The haunted and the haunters, a cura di P. Guarriello, Aspis, Milano 2023. Un’interessante riflessione critica sulle radici classiche del tema trattato nel racconto, si trova in: A. González-Rivas Fernández, The Haunted and the Haunters; or the House and the Brain, by Edward Bulwer-Lytton: a Victorian Literary Updating of Pliny the Younger’s Ghost Story (Plin. Ep. 7, 27, 5–11), in “English Studies”, 97:8, Taylor & Francis, October 2016.

11 Circa le pratiche rituali di protezione di un cantiere architettonico, a partire dalle sue fondazioni, ma soprattutto in relazione all’ombra, si rimanda al celebre testo di J. Frazer, Il ramo d’oro. Studio della magia e la religione, Bollati Boringhieri, Torino 2012.

PARTE II

LETTURE ESEMPLARI

Giulia Lazzaretto, Giulia Piccinin

Percezione e rappresentazione: del tangibile e dell’illusorio nella

letteratura weird

Ciò che è | ciò che non è. Il weird e lo spazio narrativo

Architetture infestate e haunting houses costituiscono i principali temi affrontati dagli studenti del corso Geometrie del terrore1, e questa sezione del volume si propone di descrivere il loro percorso di ricerca, in particolar modo come essi abbiano saputo mettersi in gioco, con estrema precisione e sensibilità nei confronti dei complessi argomenti affrontati, così lontani dai loro interessi personali e formativi. Essendo il corso frequentato da studenti iscritti a un corso accademico superiore, si è ritenuto, in fase di programmazione, che fossero ormai in grado di padroneggiare i principali metodi di rappresentazione, condizione indispensabile per restituire graficamente la dimensione spaziale delle architetture descritte in pagine letterarie, attraverso proiezioni ortogonali, assonometriche e prospettiche. Di conseguenza, la maggiore difficoltà del corso risiedeva proprio nella trasposizione di un contenuto testuale in un sistema segnico totalmente differente, quello grafico appunto. Le informazioni pregresse – afferenti a tutti gli ambiti disciplinari delle facoltà di architettura – di ciascuno studente diventavano così tutte indispensabili nel processo creativo di trasposizione figurativa di contenuti letterari, così inestricabilmente legati alla firma del loro autore. Molteplici e variegati i soggetti architettonici interpretati dagli studenti, al punto da coprire un vasto repertorio tipologico: ruderi, castelli, palazzi, torri, dimore avite e case contemporanee, magioni

1 Si tratta del titolo tematico sotto il quale sono state raggruppate tre annualità (2022-23, 202324, 2024-25) del corso di Disegno (partizione A), presso la laurea magistrale in Architettura, Università Iuav di Venezia.

moderne e attuali; disperse su isole remote, oppure inserite all’interno di fittizi contesti cittadini e rurali, o ancora collocati in riconoscibili tessuti urbani. Di conseguenza, il processo di traduzione “dal racconto all’architettura”, parafrasando un classico testo di Robin Evans2, non ha potuto prescindere dall’inserimento urbano e/o paesaggistico, al fine di qualificare al meglio gli spazi narrativi e, in successione, dall’individuazione dei relativi dispositivi spaziali fino all’identificazione dei principi e delle logiche compositive sottese a essi (fig. 01). Infine, la componente atmosferica, strettamente connessa alla percezione dei fenomeni spettrali, si è rivelata fondamentale nel processo di trasposizione grafica e visiva del racconto prescelto. Tutti questi elementi si sono tradotti in una sola domanda, che gli studenti hanno rivolto principalmente a loro stessi, ovvero quali fossero le componenti del disegno in grado di tradurre, in significativi segni grafici, i principali elementi di una narrazione (fig. 02). Ognuno degli studenti ha risposto a questa domanda in modo originale e personale, tuttavia garantendo a ogni osservatore la possibilità di immergersi in quello spazio finzionale. Dunque, protagonisti di queste interpretazioni grafiche non sono state solo le case infestate nella loro astanza, sia pure narrativa, ma soprattutto gli avvenimenti che in essa si sono slatentizzati: eventi spettrali, strane apparizioni, la comparsa di creature non umane, esperienze di dimensioni spaziali mutevoli e intrecciantesi e, soprattutto, un’umanità intenta a sopravvivere, cui potremmo aggiungere un aldilà che preme per farsi riconoscere nel suo statuto oltremondano.

La letteratura weird, nei suoi più alti casi espressivi, diventa quindi metafora della condizione umana, in lotta per non soccombere ai profondi cambiamenti che nei secoli XX e XXI hanno cambiato e stanno ancora cambiando completamente la scena storica dei viventi, il loro rapporto con la natura e la realtà, che dovrebbero apparire come ospitali. Sappiamo come la massiccia industrializzazione modificò interi assetti territoriali tra Ottocento e Novecento, e come la società si stratificò in nuove classi sociali, mentre la filosofia annunciava la morte di Dio. Grazie allo sviluppo della psicoanalisi emersero teorie strettamente connesse all’esperienza estetica del weird, come quelle del subconscio, del super io e del super uomo. All’universale crisi umana che ne conseguì, l’arte rispose disgregandosi e rifiutando l’unità linguistica e formale con le arti e l’architettura. Se quest’ultima rinunciò a edifici massivi e opachi, in favore di un carapace algido, trasparente e scheletrico (con l’introduzione di materiali costruttivi quali il vetro e il ferro), l’arte dal canto suo rispose destrutturando e sublimando la rappresentazione oggettiva della realtà, preferendo forme figurative che ne esaltassero l’aspetto soggettivo3. Emblematiche furono quelle correnti o opere di singoli artisti che si dedicarono alla minuziosa e profonda descrizione delle angosce umane: è il caso del surrealismo di Salvador Dalí, o dei crudi tormenti di Oskar Kokoschka, e ancora delle rappresentazioni intense e introspettive di Egon Schiele e, infine, degli incubi perturbanti di

2 Cfr. R. Evans, Translation from Drawing to Building and other essays, Architectural Association, Londra 2021.

3 Cfr. H. Sedlmayr, Perdita del centro, Rusconi Editore, Milano 1974.

01. Schizzi di studio finalizzati all’individuazione degli spazi interni delle dimore.

02. Spazio reale e illusorio: individuazione delle deformazioni spaziali attraverso l’applicazione dei principi di prospettiva solida.

Da Casa di foglie, elaborazione grafica di Marco Pantarotto, Camilla Botturi, Francesco Finotto.

Alfred Kubin4. In questo contesto storico e culturale, prolificò il genere letterario definito con il termine weird, la cui precisa collocazione narrativa è stata ampiamente trattata, tra gli altri, anche da Francesco Corigliano5 L’autore definisce il weird come “un sottotipo della letteratura del soprannaturale […]; fortemente derivato da alcuni atteggiamenti narrativi di quell’epoca, tratta il soprannaturale stesso in maniera innovativa, associandolo in maniera netta al concetto di incomprensibile, ovvero l’inspiegabile che trascende le capacità di inquadramento da parte della ragione umana”6 . Sebbene si possa inquadrare anche in un’accezione orrorifica e inerente alla ghost story, nella letteratura weird, elementi quali l’orrore, lo spavento e lo splatter risultano latenti in quanto insiti nell’animo umano, confluendo spesso nell’inquietudine. Non è un caso che tra le prime figure a sondare le molteplici sfumature dell’angoscia umana, si collochi Sigmund Freud in un saggio pubblicato nel 19197, il cui titolo originale, Das Unheimliche, è stato tradotto come Il perturbante8. Freud esplorava in questo suo scritto, divenuto seminale, i molteplici significati dell’unheimlich, pervenendo a individuare tutte quelle cause e condizioni in grado di trasformare un comune stato di angoscia in quello di perturbanza. Tra questi, emersero una serie di elementi connessi all’infanzia umana, segnatamente l’animismo, la magia, l’onnipotenza di pensiero, il rapporto irrisolto con la morte, la ripetizione involontaria (o coazione a ripetere), il tema del sosia e il complesso di evirazione. Diversi aspetti scatenanti l’angoscia infantile, quali la solitudine, il silenzio e l’oscurità, secondo Freud restavano latenti nella mente umana, dimenticati ma mai rimossi, riaffiorando come fenomeni perturbanti se richiamati da eventi vissuti o raccontati. Secondo questo approccio critico, Freud riconduceva l’angoscia umana a eventi esclusivamente accaduti durante l’infanzia, mentre il perturbante era insito in una memoria arcaica mai estinta, ed essendo familiare alla vita psichica dell’uomo, comprendeva quei timori primitivi latenti, ma sempre pronti a manifestarsi. Sebbene l’interpretazione e l’uso – non esaustivo – del termine, svolti nel secolo scorso, riconducesse il concetto di unheimlich unicamente alla paura dell’evirazione, le teorie espresse dal saggio di Freud influenzarono profondamente i generi narrativi dell’horror e della fantascienza nel corso del XX secolo. Si devono attendere tempi più recenti, con il lavoro critico ed esegetico di Mark Fisher, perché venga superata questa accezione dell’unheimlich, in favore delle nuove categorie, storicizzate e interpretate in contesti filosofici, di weird e di eerie. L’autore stesso, nell’introduzione al volume omonimo9 , ammetteva di aver elaborato le due categorie in una chiave interpretativa

4 Cfr. M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli Editore, Milano 1988.

5 F. Corigliano, La letteratura weird. Narrare l’impensabile, Mimesis, Udine-Milano 2022.

6 F. Corigliano, La letteratura weird, cit., p. 15.

7 Si presuppone che il primo manoscritto incompleto (del quale non resta alcuna traccia), fu tenuto da Freud in un cassetto. Nel 1919 l’autore riprese il testo ampliandolo con nuove teorie e alcuni concetti teorici elaborati negli anni precedenti.

8 Nella lingua Italia non esiste una precisa traduzione dell’aggettivo tedesco unheimlich, per questo possono essere individuate espressioni quali inquietante, sinistro, pauroso, ecc. Tuttavia, l’autore che nel 1984 tradusse l’opera di Freud preferì utilizzare il termine perturbante. Cfr. S. Freud, Opere, a cura di C.L. Musatti, Boringhieri, Torino 1967-1980.

9 M. Fisher, The weird and the eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, Minimum Fax, Roma 2018.

e personale, solo dopo molti anni di studio del testo freudiano. Tuttavia, Fisher riteneva deludente la lettura psicanalitica del lemma, in cui poca importanza assumevano le esperienze del sosia e della coazione a ripetere. Sebbene la genesi dei concetti di weird e eerie risieda nell’opera freudiana, Fisher ne prese le distanze, affrontando il perturbante in modo innovativo: tutti e tre i concetti tenderebbero così a indicare sensazioni diverse e modalità di tipo narrativo, cinematografico, ecc., anziché costituirsi come veri e propri generi. A ben vedere, ciò che differenzia l’unheimlich dal weird e dall’eerie, risiede nel modo di trattare ciò che è anomalo, che sfugge dalle convenzioni umane, pubbliche o private che siano: se il primo si rivolge al famigliare, ovvero a ciò che è strano se osservato dal suo interno, gli altri due termini agiscono dalla direzione opposta, ovvero trattando l’interno da una prospettiva esterna. Introducendo all’interno del “famigliare” qualcosa che dovrebbe trovarsi al di fuori di esso, il weird si delinea come un particolare genere di perturbazione, generando un senso di non-correttezza, inerente a ciò che non torna e che risulta fuori posto. Coloro che sperimentano sensazioni weird, infatti, sono di conseguenza indotti a dubitare del sistema di riferimento adottato per catalogare la realtà e il mondo che li circonda. Qualificabile come esperienza estetica, l’eerie si fonda sull’agentività e sulla contrapposizione tra presenza e assenza10. Esso si può sperimentare in determinati paesaggi e spazi fisici nei quali “c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci niente”, oppure il suo contrario, ovvero “quando non c’è niente dove dovrebbe esserci qualcosa”, inducendo l’osservatore a uno stato di suspense.

Analizzando in profondità le storie che gli studenti hanno indagato e restituito graficamente, emergono chiaramente una serie di costanti weird e perturbanti che le caratterizzano. Innanzitutto il concetto della dimora, mai ridotta solo alla sua funzione abitativa: infatti, le molte case infestate oggetto di studio non si riducono a meri contenitori di eventi, proponendosi come vere e proprie protagoniste delle storie, capaci di innescare un rapporto con i suoi sfortunati e predestinati abitanti o frequentatori, plasmandone la mente e seguendo un percorso che spesso conduce alla pazzia. Esse colpiscono gli individui fragili e le loro debolezze, pazzie e perversioni latenti. Emerge la questione della rovina che, costituendo testimonianza inesorabile di un’armonia perduta, si ripercuote su chi la attraversa, tramutandosi spesso nell’accesso agli inferi, ma anche in una prigione metafisica della mente umana, inducendo una fatale catabasi. Trappole per coloro che le abitano, esse si palesano come entità malvagie perché coacervo di maledizioni plurisecolari, oppure perché edificate su siti infestanti o, ancora, perché luoghi dai quali le presenze spettrali non vogliono andare via. A causare sensazioni di spaesamento, inquietudine e malessere nei viventi che frequentano questi luoghi catalizzatori del male, sono spesso le loro stesse sembianze architettoniche, caratterizzate fisicamente da dettagli o da un design da incubo, in cui lo sdoppiamento, la ripetizione e la decostruzione degli spazi giocano un ruolo ossessivo e lisergico (fig. 03). Attaccano gli esseri umani, producono vere e proprie visioni, slatentizzano istinti primordiali, fanno emergere ossessioni, angosce e paure infantili,

10 Definibile anche come fallimento di assenza, o fallimento di presenza

03 Perturbante. Percezione degli spazi della narrazione.

04 Hountedhouses. Le spettatrici privilegiate delle azioni dei personaggi.

Da Casa di foglie, elaborazione grafica di Marco Pantarotto, Camilla Botturi, Francesco Finotto.

controllando la mente umana fino a portarla verso un lento declino psicologico (e spesso anche fisico). Talvolta influenzano e disorientano i protagonisti dei racconti, i quali non possono far a meno che chiedersi se quanto vivono o quello di cui vengono a conoscenza siano eventi realmente accaduti, oppure frutto di un declino isterico. È suggestivo sottolineare come in alcuni testi weird non sussista mai il dubbio sulla veridicità dei fatti narrati, per quanto essi risultino eccentrici e indefiniti; mentre in altri le storie narrate sembrano svolgersi solo nella mente disturbata dell’io narrante. In questo caos esistenziale, si differenziano alcune figure letterarie che osservano e affrontano gli eventi con piglio scettico e distaccato, dubitando della natura infestata, maligna o fantasmatica degli edifici: spesso uomini di scienza, essi si servono di strumenti tecnologici per sondare a fondo e comprendere i mutamenti e gli strani accadimenti ai quali assistono. Ma qui si entrerebbe in un territorio critico – quello dei detective dell’occulto – che richiederebbe un maggior approfondimento e che esorbita dai limiti di questo scritto. Questi sono solo alcuni dei dispositivi narrativi weird e perturbanti che sono emersi dalle analisi condotte dagli studenti del corso. Si tratta solo di una serie di tracce, ovviamente, approfondite nelle singole schede testuali e grafiche dedicate ai diversi racconti selezionati ex ante, o implementati dai casi studio suggeriti dagli stessi studenti. Come tutti i lettori, anche gli studenti hanno intrapreso un percorso che li ha condotti a rivalutare il modo in cui osservano e percepiscono la realtà che li circonda, e soprattutto, a sondare nel proprio inconscio, riemergendo alla vita secolare: proprio come Danny Torrance e Coraline, gli unici protagonisti infantili delle ghost stories selezionate, i quali, seppur ammaliati e sopraffatti dalle hounted houses, alla fine scelgono con coraggio di affrontarle e sconfiggerle (fig. 04).

Racconto e immagine: il processo di interpretazione figurativa

Giulia Piccinin

Il progetto Geometrie del terrore fonda le sue basi sulla capacità interpretativa dell’ideale lettore dei racconti, nel caso specifico studenti, futuri architetti, capaci di tradurre in immagini grafiche le descrizioni contenute all’interno delle letture esemplari a loro proposte dalla docenza. Si tratta di spazi che non fanno esclusivamente da sfondo alla narrazione ma sono luoghi vitali, pulsanti, vivi, protagonisti insieme ai caratteri della storia: influenzano le azioni (volute o inconsce) dei personaggi e contemporaneamente svolgono loro stessi azioni essenziali per il racconto. Sono case inospitali, luoghi infestati, talvolta abbandonati, che portano con loro anche il bagaglio di esperienze pregresse: i ricordi e i drammi, la pazzia, le morti di chi, quelle case, le ha già vissute. Sono dimore “traumatizzate”, potremmo azzardare. Nonostante la consapevolezza dei protagonisti, questi luoghi innescano un senso di attrazione e di sfida. Diventano missioni personali in cui i personaggi, convinti della loro capacità di controllo, vengono invece messi davanti ai propri traumi e paure che fanno traballare ogni loro certezza. Talvolta, oltre

a essere luoghi fisicamente descritti (alcuni realmente esistenti nel racconto, altri frutto della mente dei personaggi), allo stesso tempo sono contenitori di ulteriori spazi, quelli illusori, disturbanti o frutto di allucinazioni.

La capacità critica e la ricerca svolta dagli studenti hanno permesso di restituire un’idea di tali dimore e di tracciarla nero su bianco, come si suol dire ma, in questo caso, più frequentemente bianco su nero, dato il tema “spettrale”. Infatti, insieme alle componenti più meramente “tecniche”, che rispondono all’applicazione rigorosa dei dettami delle metodologie della rappresentazione, si inserisce qui anche l’aspetto creativo, lasciato al libero arbitrio degli studenti, che ha dato loro la possibilità di condividere anche questioni emotive, sensazioni, impressioni e paure.

Tale restituzione è agevolmente leggibile dalla traduzione grafica fornita che, attraverso un percorso di interpretazione pressoché comune, trova espressione in una sequenza fatta di schizzi di studio (figg. 05-06), piante, elevati e sezioni, assonometrie, prospettive e rendering : dal contesto paesaggistico al dettaglio architettonico. Una valutazione globale di quanto presentato in questa sede permette una lettura trasversale delle opere letterarie analizzate, grazie al confronto dei risultati ottenuti dal processo di restituzione.

Degna di nota, in primis , è la concezione dello spazio, che non è esclusivamente limitata ai confini fisici della struttura, ma si dilata e si mostra ai protagonisti in ulteriori scenari – a volte presenti solo nella mente e nell’animo dei personaggi finzionali – (fig. 07) grazie alla presenza di elementi architettonici fondamentali, quali: muri che contengono nuovi spazi ( L’altra casa ) 11, porte che si aprono su scenari diversi e paralleli (figg. 08-09) ( Coraline , La stanza interna , Casa di foglie ) 12; la trasparenza delle finestre che mette in comunicazione interno ed esterno e, per riflessione, interno e interno – non solo spaziale ma anche personale ed emotivo – ( Il giro di vite ); la presenza degli specchi ( Coraline ) 13; il camino, luogo vitale, quello intorno al quale, tendenzialmente, si sviluppa la casa ( La casa stregata , Shining , L’incubo di Hill House ).

Attraverso tracciati e schemi, differenziati dall’uso del colore su una base più asciutta e astratta, gli studenti ricostruiscono i movimenti dei personaggi – ma anche degli animali, individuati dalla vista diretta dei personaggi o dai suoni che questi generano –, che permettono di delineare il distributivo, interno ed esterno, dei luoghi della narrazione.

11 “Quando la vista tornò a farsi un po’ meno appannata, notò che dall’altra parte del buco non c’era la stanza che avrebbe dovuto esserci, almeno se la memoria non la ingannava. In quel punto, oltre il muro, si sarebbe aspettata il salottino adiacente alla stanza da letto che occupava lei. […] Davanti a lei si apriva invece un salone vastissimo, nel quale ondeggiavano decine di candele accese, piccole luci arancioni che si inseguivano. Nella penombra, sagome scure muovevano passi di danza, congiungendosi e allontanandosi proprio come puntini luminosi”. S. Vinci, L’altra casa, Einaudi, Torino 2021, pp. 59-60. “Ricondusse Coraline nel corridoio, avanzando verso lo specchio che era in fondo. Lo specchio si aprì come una porta, rivelando uno spazio buio”. N. Gaiman, Coraline, Mondadori, Milano 2022, p. 101.

12 “Incastrato fra le assi del pavimento c’era un grosso anello di metallo. Si inginocchiò e afferrò il gelido anello con le mani, quindi lo tirò verso l’alto, con tutta la forza che aveva. Con incredibile lentezza, rigidità e pesantezza, una porzione quadrata di pavimento, dotata di cardini, si sollevò: era una botola. […] Vide dei gradini che scendevano, ma nient’altro”. N. Gaiman, Coraline, cit., p. 133.

13 “Coraline ebbe la certezza che la scena nello specchio era solo un’illusione”. N. Gaiman, Coraline, cit., p. 81. “Come afferma l’Altra Madre: ‘Gli specchi - disse - non vanno mai creduti’”. N. Gaiman, Coraline, cit., p. 96.

05. Schizzi di studio: fasi preliminari di analisi e raccolta dei dati per l’individuazione del distributivo della dimora.

06. Schizzi di studio: prospetti in bilico tra reale e immaginario.

07 Tightropewalker. Figura umana in bilico tra reale e illusorio: la fune come mezzo di salvezza.

Da Casa di foglie, elaborazione grafica di Marco Pantarotto, Camilla Botturi, Francesco Finotto.

Ciò avviene principalmente su basi renderizzate in pianta o in vista assonometrica, ma viene descritto anche attraverso grafici su più livelli: questi sono organizzati per capitoli, per tipologia e frequenza di apparizione.

Parallelamente ai cinematismi, gli studenti mettono in evidenza, attraverso schizzi e rendering , le mutazioni ambientali, traducendo la sfera multisensoriale di cui le descrizioni narrative sono ricche: la presenza di muffe e odori, i suoni spettrali, la vegetazione infestante. Sono questi elementi e “alimenti” che nutrono le dimore e le mantengono in vita. Ciò avviene con l’ausilio di appositi pattern e colori, tendenzialmente cupi (il verde scuro, il blu intenso, il bordeaux, il viola), ma anche di grafismi che rievocano la sensazione multilaterale e sensoriale a 360°. L’utilizzo di tecniche miste, agevolato dall’impiego di sovrapposizioni e trasparenze, così come anche l’utilizzo di colori accesi su base scura o monocromatica, permette di mettere in evidenza anche i fenomeni fisici che si susseguono nelle vicende, quali incendi o esplosioni, oltre ai cambiamenti ambientali: le muffe e gli odori ( La casa stregata ) 14 , il vapore della caldaia in pressione ( Shining ), le superfici della casa che cambiano consistenza o mutano definendo spazi di dimensioni incontrollabili ( L’altra casa , Casa di foglie ) 15 .

La ricerca condotta dagli studenti rimanda anche a stili architettonici tipici dell’epoca vissuta dagli autori e dei luoghi da loro frequentati. Spiccano il gotico 16, il vittoriano, il georgiano 17, esplicitamente citati nel testo, in alcuni casi, in altri fatti emergere collocando le dimore nell’epoca degli autori, estrapolando dalla ricerca bibliografica e documentale le fonti di ispirazione e gli elementi che possono aver influenzato la visione scenografica degli autori dei romanzi. Questi aspetti si manifestano grazie all’inserimento di elementi architettonici in stile (torri, abbaini, giardini, cancelli e porticati) ( Il giro di vite ) e dei rivestimenti (decori in facciata o sulle linee di colmo dei tetti), alla distribuzione interna dei vani (grandi saloni da ricevimento, numero di stanze, tra le quali, quelle per gli inservienti) e all’articolazione delle piante. L’influenza delle origini degli autori agevola quindi l’individuazione del possibile contesto in cui sono inserite le rappresentazioni degli studenti.

14 “Mentre scavavo sotto il camino, la punta della vanga causò la fuoriuscita dai funghi recisi di un liquido giallastro. […] l’allargai di ulteriori settanta centimetri, e il fetore divenne sempre più forte”. H.P. Lovecraft, La casa stregata, Newton Compton Editori, Roma 2015, p. 50.

15 “Maura allungò un indice a sfiorare la parete con il polpastrello, con sua sorpresa, percepì una superficie viscida, calda e pulsante. Nonostante il ribrezzo, non si ritrasse, anzi allargò il palmo e lo fece aderire. Quello che le palpitava sotto le dita non era intonaco o pietra, ma qualcosa che somigliava a materia biologica viva. Rimase immobile, gli occhi chiusi, e contò i colpi simili a battiti cardiaci che si spingevano contro la sua mano. Al dodicesimo, attese, e un’altra pulsazione arrivò, più lenta e lunga”. S. Vinci, L’altra casa, Einaudi, Torino 2021, p. 198. “È già difficile sentire che la Grande Sala ha un soffitto alto almeno centocinquanta metri e una larghezza di oltre un chilometro e mezzo, ma quando Holloway comunica alla radio che hanno trovato una scala nel centro che misura più di sessanta metri di diametro e che s’immerge a spirale nel nulla, Navidson deve passare la radio a Reston, incapace di trovare una sola altra parola d’incoraggiamento”. M.Z. Danielewski, Casa di foglie, 66thand2nd, Roma 2019, p. 90.

16 “Adesso viviamo in una vecchia casa gotica in mezzo all’America, con una torretta e una veranda panoramica con tanto di scale”. N. Gaiman, Coraline, cit., p. 12.

17 “[…] nel classico stile architettonico coloniale della seconda metà dell’Ottocento che si vede nel New England, con il suo tipico tetto aguzzo, l’entrata georgiana […]”. H.P. Lovecraft, La casa stregata, cit., p. 22.

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Vortex. La supremazia degli spazi incontrollabili.
Secret chambers. Porte che nascondono scenari proibiti.
Da Casa di foglie, elaborazione grafica di Marco Pantarotto, Camilla Botturi, Francesco Finotto.

Anche i personaggi sono rappresentati secondo uno stile specifico che fa riferimento allo studio delle esperienze degli autori e del contesto storico e geografico narrato nel racconto, traendo spunto anche dalle riproduzioni cinematografiche di alcuni dei casi studio selezionati. Un forte significato è assunto poi dall’intorno paesaggistico in cui sorgono tali dimore (La casa sull’abisso)18, molto spesso isolato e distante da centri abitati (Shining, La casa dei suoni), lontano da forme di vita e restituito graficamente con tecniche miste: immagini realizzate a mano e digitalizzate o rendering sovrapposti al disegno al tratto. Tali scene fanno spesso da sfondo alle tavole presentate dagli studenti, ma si mescolano coerentemente alla rappresentazione canonica dei luoghi infestati. In molti dei lavori presentati, a sottolineare il concetto di emarginazione, si ritrovano folte vegetazioni e condense nebbiose, accostate a contesti collinari o montani, ma anche lunghe strade senza alternative che collegano le case infestate a centri abitati e servizi di prima necessità – tutti elementi che rendono difficili anche eventuali tentativi di fuga dei personaggi da quei luoghi, imprigionandoli. Tali elementi caratterizzanti il racconto vengono evidenziati dagli studenti con immagini ad hoc: dettagli in scala maggiorata estrapolati dalle rappresentazioni bidimensionali o planimetrie in scala paesaggistica e urbana. Molti sono risultati anche i riferimenti di carattere naturalistico, meteorologico e geo-astronomico che hanno fornito un’immagine del contesto, quale base di lavoro per l’inserimento degli elementi architettonici, fino alla definizione a scala di dettaglio (La casa dei suoni)19 .

La restituzione fornita dagli studenti ingloba e riconosce anche l’influenza che alcuni testi hanno avuto su quelli più recenti, in cui gli autori dei nostri giorni colgono l’eredità degli scrittori del passato riproponendo dinamiche similari o caratteristiche comuni; da qui viene fatta emergere la ricerca di dimore storiche svolta dagli autori per ambientare le scene dei racconti anche più recenti. Ciò che risalta è il tema dell’antico, della rovina: le dimore del passato rappresentano idealmente il senso dell’abbandono, del vissuto e quindi luoghi in cui la memoria permane e ritorna, riproponendosi in forma mutata a chi la rivive attraverso l’architettura.

Inoltre, uno sguardo più diretto sui singoli casi studio, alcuni scelti e trattati separatamente da più di un gruppo di studenti, restituisce una moltitudine di immagini dello stesso racconto rappresentato con tecniche e stili unici; ciò consente un confronto tra i diversi punti di vista, riportati in questa sede sotto forma di un intreccio di scenari. La lettura qui proposta al lettore non vuole infatti essere una ricostruzione fedele

18 “Quella casa, come ho detto, è circondata da un vasto appezzamento di terreno lasciato incolto. Dietro di essa, a circa 300 m di distanza, si apre una voragine buia - che i contadini chiamano ‘abisso’ - all’interno della quale scorre pigro un torrente nascosto dalla vegetazione al punto, da risultare quasi invisibile. Va detto che questo canale prende vita da una sorgente sotterranea, poiché emerge improvvisamente all’estremità occidentale del crepaccio e svanisce, altrettanto improvvisamente, sotto il dirupo che indica la spaccatura nel terreno a Oriente”. W.H. Hodgson, La casa sull’abisso, Fanucci, Roma 2024, p. 35.

19 “All’interno di quella cascata normanna, rivestita da un’enorme quantità di nebbia e di spruzzi provenienti dai frangenti, si ergeva un edificio di bronzo. Ormai era quasi tramontato anche l’ultimo raggio di giorno, ma riuscii ancora a vedere attraverso la tetra foschia che l’avvolgeva come un velo di lacrime, che l’edificio era di basse proporzioni rispetto all’immensità della sua circonferenza”. M.P. Shiel, Xelucha e altri racconti, Fanucci, Roma 1989.

e univoca quanto più il risultato di interpretazioni personali e intime che derivano dalle esperienze e dal background formativo di chi le ha ricostruite proponendo le proprie ipotesi: è proprio su questo concetto che si sviluppa Geometrie del terrore ma anche l’intero corso accademico associato al progetto, ovvero sulla ricerca, sulla valutazione e sulla capacità di tradurre le sensazioni nate dalla lettura dei testi, raccogliendo da questi non solo le descrizioni puntuali ma anche gli elementi alla base del processo di causa e effetto, indagati tra i comportamenti dei personaggi e i cambiamenti ambientali: questi trattati come quinte sceniche di una rappresentazione teatrale dove entrano in gioco misteri inspiegabili, luci e ombre, suoni, colori, profumi.

BiBliografia

Corigliano, F., La letteratura weird. Narrare l’impensabile, Mimesis, Roma 2022.

Danielewski, M.Z., Casa di foglie, 66thand2nd, Roma 2019.

De Micheli, M., Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1988.

Evans, R., Translation from Drawing to Building and other essays, Architectural Association, Londra 2021.

Fisher, M., The weird and the eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, Minimum Fax, Roma 2018 [ed. or. Fisher, M., The weird and the eerie, Repeater Books, London 2016].

Freud, S., Il perturbante, Theoria, Roma 1984.

Freud, S., Opere, a cura di C.L. Musatti, BollatiBoringhieri, Torino 1967-1980.

Gaiman, N., Coraline, Mondadori, Milano 2022.

Lovecraft, H.P., La casa stregata, Newton Compton Editori, Roma 2015.

Sedlmayr, H., Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974.

Shiel, M.P., Xelucha e altri racconti, Fanucci, Roma 1989.

Vinci, S., L’altra casa, Einaudi, Torino 2021.

LETTURE ESEMPLARI

01. M.P. Shiel, La casa dei suoni

02. H. James, Il giro di vite

03. W.H. Hodgson, La casa sull’abisso

04. H.P. Lovecraft, La casa stregata

05. S. Jackson, L’incubo di Hill House

06. R. Aickman, Ravissante e La stanza interna

07. S. King, The Shining. Una splendida festa di morte

08. M. Danielewski, Casa di foglie

09. N. Gaiman, Coraline

10. S. Vinci, L’altra casa

La casa dei suoni

“Un buon numero di anni fa, quando ero giovane ed ero studente a Parigi, conobbi il grande Carot e, standogli accanto, assistetti a molti di quei casi di malattie mentali, nelle cui analisi egli era uno specialista eccellente” (p. 88)

La casa dei suoni è un antico e solitario edificio collocato a sud-est dell’isola di Rayba, nelle Shetland del mare del Nord, al centro di forti correnti e furiosi vortici. Le sue origini risalgono a un’antica leggenda che narra di due fratelli legati dall’amore per la stessa donna, alla maledizione che affligge l’edificio e che conduce alla pazzia e al tormento eterno chiunque vi dimori. Gli eventi, raccontati in prima persona da un narratore di cui si conosce solo il forte interesse verso storie di tormenti, pazzia e problemi di udito, hanno inizio in un appartamento parigino condiviso con Haco Halfager, ultimo erede della magione. Di quest’ultimo il narratore sottolinea i tormenti, i problemi di udito, la tentazione e la maledizione che lo sollecita, suo malgrado, a tornare in quella dimora, spinto dalle preghiere della madre e della zia. Trascorrono dodici anni in cui il narratore non ha notizie dall’amico, fino al giorno in cui riceve una sua lettera piuttosto confusa, con la richiesta di essere raggiunto nella sua casa avita per celebrare il funerale della madre. Il protagonista inizia così un lungo e difficoltoso viaggio per raggiungere l’isola di Rayba, in mezzo a tempeste e nebbie, tra isole decadenti e consunte dal mare che si infrange sui faraglioni, nella totale assenza di tracce umane, animali e vegetali. Arrivato sull’isola, il protagonista sperimenta sensazioni di tristezza e desolazione, dovute agli incessanti vortici d’aria, ai tremori e ai rumori assordanti che caratterizzano il sito.

L’edificio, descritto come un enorme labirinto concluso da una cupola e rivestito di ottone, è in parte ipogeo ed è sorretto da grandi catene esterne, risultando accessibile solamente attraverso un lungo ponte. Al suo interno, l’uomo incontra Halfager, divenuto ormai un vecchio ricurvo dai capelli bianchi e le orecchie piccole e mozze, assillato dai problemi di udito e da un’infiammazione alle orecchie che potenzia i rumori di sottofondo e che gli fa percepire ogni singolo suono proveniente dall’interno dell’edificio. Il narratore conosce inoltre Aith, una sorta di maggiordomo scheletrico, e Lady Swertha, zia di Halfager, una figura alta, pallida e dalla corporatura imponente. Conclusosi il funerale della madre di Haco, il protagonista si trattiene nella casa per un periodo indefinito, durante il quale descrive i lunghi corridoi in cui si aprono stanze, le sensazioni di vertigine, la nausea, i capogiri e la progressiva perdita totale della percezione dello spazio e del tempo. Infatti, la dimora è continuamente soggetta a oscillazioni, folate d’aria e rumori, che mettono a dura prova la salute mentale dei suoi abitanti. Il suono, in particolare, viene descritto come la sommatoria acustica di una moltitudine di elementi: dal boato di migliaia di cannoni, ai cigolii e scricchiolii, dalle urla ai fracassi mostruosi, minacciosi e infiniti che si connettono intimamente agli umori e alle sensazioni dell’essere

M.P. Shiel
Xélucha e altri orrori
Providence Press, Bologna 2018

umano, fino a condurlo alla pazzia. Il narratore scopre inoltre che la casa è un’enorme clessidra di ottone ancorata alla cupola sovrastante, dalla quale cadono sfere che scandiscono il passaggio del tempo indicando, in modo inesorabile, la fine della dinastia degli Halfager. In un momento di pazzia, il vecchio amico annuncia la profezia di una tempesta suprema che si sarebbe manifestata con la caduta di tutte le sfere, l’aumento del suono di fondo e lo spezzarsi delle catene esterne. Gli eventi iniziano a precipitare con la morte di Lady Swertha, strozzata dal maggiordomo Aith, mentre la caduta dell’ultima sfera dalla clessidra e il suono di una campanella preannunciano la fine imminente. Sulla casa si scaglia un furioso vortice che la allaga e che, mentre il sole si oscura, spezza le catene esterne in un alternarsi di momentanei silenzi e fragori sempre più repentini e intensi: così la casa sprofonda e, con lei, le rovine e la maledizione della casata Halfager. L’idea di rovina fisica e psicologica costituisce la base di questo racconto: infatti, se l’edificio viene consumato dal mare, a sua volta logora chi vi abita. La rovina non è solo materiale e tangibile, ma agisce subdolamente sulla mente umana, tramutandosi in tentazioni e vizi, metafora delle cause che invecchiano l’essere umano. La maledizione che sorregge la casa si esplicita in diversi modi: in primis, inducendo l’uomo nella tentazione, nella pazzia perversa e nel tormento osceno; in secondo luogo, attraendo e chiamando colui che vi è intimamente connesso, costringendolo a tornarvi. Halfager non ha scelta, seppur inizialmente non voglia tornare sull’isola, ma la sua intima connessione (al limite della simbiosi) con la casa lo condanna al finale infausto. Lo stesso narratore viene inconsciamente attratto dalla casa e successivamente intrappolato in essa: la sua salvezza può avvenire solamente per mezzo della distruzione dell’edificio, che lo libera dalla maledizione e dalle tentazioni. Oltre alla sua forma materica di architettura in disfacimento, l’edificio trascende l’hic et nunc e assurge ad altare simbolico della fragilità dell’esistenza umana, sorta di mausoleo mortifero che scandisce la fine di un’era. La forza implacabile del mare potrebbe alludere all’incedere inevitabile della fine della vita e alla necessità di accettare questo destino, lasciando dietro di sé solo il silenzio della morte. Il suono è l’espediente narrativo fondamentale, descritto in modo angosciante, talmente forte e intenso da obbligare i protagonisti a urlare per comunicare tra loro. Ne deriva pertanto un rapporto malato tra il suono e l’essere umano, al punto da slatentizzare le nevrosi e deteriorarne l’udito.

M.P. Shiel utilizza a fini retorici numerosi dettagli costruttivi propri dell’architettura classica e in generale antica, come l’impluvium romano, la cripta, il labirinto e le finestre normanne. Sussistono inoltre diversi riferimenti dell’opera dantesca come, per esempio, la citazione del verso conclusivo del III canto

“E all’interno della curva di quella cataratta normanna, vestito dal mondo dei suoi fumi e dei suoi frangenti venuti da lontano, si ergeva un edificio di ottone. […] ma riuscivo ancora a vedere, attraverso la foschia che l’avvolgeva tetramente come tra le lacrime, che l’edificio era basso in proporzione all’immensità della sua circonferenza; che aveva un tetto a cupola; che intorno ad esso correvano due file di finestre normanne, e le superiori erano più piccole delle inferiori” (p. 101)

dell’Inferno che funge da introduzione alla storia. Inoltre, l’edificio parzialmente sprofondato nel terreno, la scala elicoidale che dalla sala centrale conduce alla cripta, la porta dell’inferno e l’impluvium, sono tutti elementi che alludono chiaramente alla catabasi, ovvero la discesa negli inferi. Allo stesso modo, anche la leggenda che descrive le origini della casa è tratta da cronache norrene, a intensificare l’intenso legame di Shiel con il mito. Oltre all’architettura dell’edificio, Shiel delinea una serie di oggetti funzionali allo svolgimento della storia, come la sfera di ottone che funge da clessidra, la colonna sviluppata per tutta l’altezza dell’edificio, le numerose tombe all’interno delle stanze e la porta dell’inferno: di essi, ogni dettaglio descritto è studiato alla perfezione, quasi a far parte di una fabbrica della morte, un meccanismo a ingranaggi nel quale anche i topi svolgono un ruolo fondamentale di pulizia finale. La casa dei suoni (The House of Sounds) è un racconto lungo a cavallo dei generi fantasy e horror, ritenuto di grande valore dalla critica letteraria e da colleghi scrittori. Venne pubblicato per la prima volta nel 1897 e, successivamente, all’interno della raccolta Xélucha and Others nel 1975 dalla casa editrice Arkham. Il racconto, sebbene abbia uno stile più ricercato, richiama diversi elementi de La caduta della casa degli Usher di E.A. Poe, e fu considerato da H.P. Lovecraft tra le storie più notevoli del suo genere.

Testo di: Thomas Jr Chudoba, Andrea Ferranti, Beatriz Pacheco Gaviao.

Matthew Phipps Shiel nacque nel 1865 a Plymouth, sull’isola di Montserrat, parte delle Indie Occidentali Britanniche. Educato presso l’Harrison College di Barbados, nel 1881 emigrò in Inghilterra per proseguire gli studi, conclusi con la laurea in medicina. Durante il soggiorno inglese modificò il cognome Shiell, abbreviandolo in Shiel, forma che successivamente utilizzò per firmare le sue opere. In seguito a un periodo in cui lavorò occasionalmente come insegnate e traduttore, riuscì a farsi conoscere come autore di racconti fantastici che gli valsero l’ammirazione di molti colleghi e la pubblicazione di alcune sue storie in diversi periodici, come The Strand Magazine. Subì l’influenza dell’ambiente intellettuale e decadente di fine secolo, stringendo amicizie con alcune delle più importanti figure culturali dell’epoca quali R.L. Stevenson, O. Wilde e P. Louӱs. Le sue prime opere trattavano argomenti principalmente legati alla cultura romantica, mentre l’ossessivo interesse per la prosa ricercata e per l’uso di artifici stilistici rimandava soprattutto al lavoro di E.A. Poe che ispirò, inoltre, la famosa serie di racconti incentrata su un detective decadente, Il Principe Zaleski (1895). Nel 1991 Shiel pubblicò la sua opera più nota e acclamata dalla critica, La nube purpurea, romanzo distopico e postapocalittico considerato tra i primi esempi di fantascienza britannica. Sebbene sia ricordato soprattutto per la scrittura di romanzi soprannaturali e di fantascienza, scrisse una serie di storie che rappresentavano la Cina come una forza militare intenzionata a sottomettere l’Europa, riunite sotto il titolo di The Yellow Danger (1899), seguita da The Dragon (1913). La sua vena fantastica e avveniristica è invece più esplicita in The Lord of the Sea (1901) e The Isle of Lies (1909).

Shiel morì nel 1947 a Chichester, nel Sussex, lasciando in eredità più di trenta opere, tra romanzi e raccolte di saggi, poesie e racconti. Sebbene la sua prosa sia sempre stata caratterizzata da un piglio originale e bizzarro, Shiel spaziò in diversi generi quali fantasy, narrativa poliziesca, racconti di avventura, del mistero e dell’orrore. Postume, furono pubblicate due raccolte di racconti: Xélucha and Others (1975) contenente i dodici racconti che Shiel riteneva i suoi migliori, e Prince Zaleski and Cummings King Monk (1977). Sebbene alcuni dei suoi racconti vengano tuttora ristampati, la maggior parte di essi sono stati dimenticati, anche se, dal gennaio 2018 l’intera opera letteraria di Shiel è diventata di dominio pubblico.

“[…] aprì la porta di ferro ed entrammo in una stanza dalla volta a cupola molto alta in proporzione alla sua ampiezza, e vuota, tranne che per una scala appoggiata contro la parete, e una pozza al centro del pavimento in marmo, simile all’impluvium romano, ma rotonda come la stanza: la pozza era chiaramente profonda, piena di un liquido denso e simile all’inchiostro” (p. 110)

01. Montaggio grafico delle principali ambientazioni della narrazione. (Elaborazione grafica di Andrea Ferranti).

02. Planivolumetrico dell’edificio. (Elaborazione grafica di Thomas Jr. Chudoba).

03. Sezione assonometrica dell’edificio e grafici di analisi acustica dei diversi ambienti.

04. Esploso assonometrico dell’edificio all’interno del suo contesto paesaggistico.

(Elaborazione grafica di Thomas Jr Chudoba).

Coraline

“La casa era molto vecchia, con una soffitta, una cantina, e un giardino pieno di erbacee e di grossi e vecchi alberi. Date le sue notevoli dimensioni, però, la casa non era occupata esclusivamente dalla famiglia di Coraline. I suoi ne possedevano solo una parte. Nel resto dell’edificio abitavano diverse persone […] Coraline scoprì quella porta poco dopo aver traslocato con la famiglia” (p. 17)

Coraline Jones è una bambina di undici anni, saggia, curiosa e intraprendente, appena trasferitasi con i genitori in una nuova casa. La dimora di Coraline è collocata in un grandissimo e antico edificio rosa in stile vittoriano, suddiviso in più appartamenti affittati a personaggi piuttosto stravaganti: Mr Bobinsky, un ex acrobata russo che addestra topi ballerini; Miss Spink e Miss Forcible, due strane attrici in pensione ossessionate dai loro cani. Spesso sola, Coraline si dedica all’esplorazione del giardino della dimora, facendo amicizia con Whybe, nipote della padrona di casa, e con un gatto nero spelacchiato, dall’aspetto inquietante. In un noioso giorno di pioggia a Coraline non resta che perlustrare gli interni del suo appartamento, scoprendo così una strana porta, murata in una parete del salotto, che sembra separare la sua casa da qualcosa di ignoto. Durante la notte, Coraline decide di attraversare il lungo corridoio che si rivela essere al di là di quella misteriosa porta. Giunge così in un altro appartamento che, seppur caratterizzato da colori brillanti, è perfettamente identico al suo. Lì viene accolta da un’altra-madre e un altro-padre, due insolite figure con bottoni al posto degli occhi e dalle sembianze identiche a quelle dei suoi genitori. Si chiarisce così alla giovane protagonista l’evidenza come tutto ciò che ora sta vedendo sia l’esatta copia della realtà dalla quale proviene. In questa singolare dimensione alternativa, in cui le persone hanno i bottoni al posto degli occhi e il gatto nero si trasforma in un fedele compagno parlante, Coraline sperimenta una versione migliore della sua vita quotidiana, nella quale i genitori sono presenti, affettuosi, pronti ad accudirla e a trattarla amorevolmente. Il fascino nei confronti di questa nuova realtà si esaurisce però quando l’altra-madre rivela la sua natura maligna, offrendo a Coraline di restare nell’universo alternativo, a patto di farsi cucire dei bottoni al posto degli occhi: terrorizzata, Coraline sceglie di rinunciare al sogno e tornare alla vera casa. Scoperto il rapimento dei genitori per opera dell’altra-madre, Coraline si fa coraggio e torna indietro per salvarli, restando però intrappolata in uno sgabuzzino posto dietro uno specchio magico. In punizione in quel nonluogo e in compagnia degli spettri di tre bambini, precedenti vittime di altra-madre, Coraline ha la conferma della sua vera natura malvagia. L’altra-madre, infatti, si rivela essere una megera dalle fattezze sconosciute, a volte strega, altre volte donna-scheletro o donna-ragno, creatrice di realtà distorte per attrarre, intrappolare e infine sfamarsi delle anime dei bambini. Per salvarsi, Coraline lancia una sfida alla megera: se troverà i genitori e le anime dei tre bambini, verrà liberata con tutti loro, altrimenti, si farà cucire i bottoni al posto degli occhi e resterà per sempre nell’altro-mondo. Inoltre Coraline, ormai diffidente nei confronti

N. Gaiman
Coraline
Mondadori, Milano 2022

dell’altra-madre, chiede un giuramento sul patto, che la megera sigla con la mano destra. Aiutata dal gatto e da un amuleto regalatole da Miss Spink e Miss Forcible, grazie a uno stratagemma Coraline trova le anime imprigionate, vince la sfida e scappa attraverso il corridoio. Quest’ultimo si rivela essere una specie di entità cosciente, viva e probabilmente ancora più antica di altra-madre. Durante la fuga, la mano destra dell’altra-madre si strappa e insegue Coraline nel mondo reale. Sebbene i genitori non ricordino niente di quanto accaduto, Coraline non è al sicuro dall’altra-madre finché non riesce a intrappolare la mano della megera e a gettarla in un vecchio pozzo profondo, dal quale non riemergerà più. Coraline torna a vivere nel suo vero mondo, che però non è più come lo ricordava, grigio e inospitale, ma le appare addirittura migliore di come l’aveva lasciato all’inizio della storia. Coraggio, determinazione e accettazione della propria vita, sono i temi che emergono da questo romanzo, inizialmente rivolto a un pubblico di young-adults. La perfezione che caratterizza la nuova dimensione rappresenta infatti una tentazione pericolosa, ma essa ci insegna a non soffermarsi sulla superficialità e sull’apparenza delle cose, comprendendo che ciò che rende unica la vita sono proprio le sue imperfezioni. La questione principale che il racconto affronta è il rapporto tra illusione e realtà, che emerge chiaramente nelle tappe evolutive della protagonista. Inizialmente, Coraline si avvicina all’illusione perché coincide con le sue aspirazioni, rappresentando una versione che contrasta fortemente con il suo mondo reale e apparentemente capace di assicurare, enfatizzandola con colori vivaci, una realtà migliore. Quando l’altra-madre si rivela nei suoi tratti minacciosi e inquietanti, l’incanto svanisce e l’illusione inizia a dissolversi: è in questa seconda fase che Coraline mette in discussione la natura di ciò che vede e, oscillando tra il pericolo e l’oscurità, si risveglia dallo stato di torpore onirico. L’esplorazione dell’altro-mondo conduce Coraline a vedere tutti i terrificanti limiti della sua illusione, che assume le fattezze di un incubo. Infine, nel momento in cui l’altro-mondo collassa, l’illusione si sgretola rivelando quanto la realtà sia diversa da come si presentava in principio. Se Coraline accede per caso all’altro-mondo, nell’ultimo viaggio è consapevole dell’orrore che la aspetta al di là del corridoio, ma lei, ormai matura e consapevole, trova il coraggio in sé stessa per affrontarlo.

Inoltre, seppur i mostri le facciano paura, Coraline capisce che essi non possono realmente farle del male, ed è grazie a questa consapevolezza che l’illusione dell’altro-mondo si sgretola. Intimamente connessa allo svelamento della realtà è la questione degli occhi, veri rivelatori della natura umana. I bottoni neri nel volto dei personaggi dell’altro-mondo dunque,

“Esplorò il giardino. Era davvero grande: in fondo, nel punto più lontano, c’era un vecchio campo da tennis […] c’era anche un roseto, pieno di arbusti striminziti e sotto uno strato di polvere; c’era un giardino giapponese tutto di rocce; c’era un cerchio delle fate, fatto di funghi velenosi marroni e umidicci, che puzzavano tremendamente se ci finivi sopra per sbaglio. C’era anche un pozzo. […] L’aveva trovato il terzo giorno in un prato pieno di erbacce vicino al campo da tennis, dietro a un boschetto: un muretto di mattoni basso e circolare, quasi nascosto dall’erba alta. Il pozzo era stato coperto con alcune tavole” (p. 19)

“La famiglia non usava mai quella stanza. I mobili li avevano ereditati dalla nonna di Coraline, tra questi un tavolinetto basso, una consolle, un pesante portacenere di vetro e un dipinto ad olio raffigurante una fruttiera.

Quanto al resto, la stanza era spoglia: niente soprammobili sulla mensola del caminetto, niente statuine, né orologi; niente che rendesse quel luogo confortevole e vissuto” (p. 42)

rappresentano figurativamente l’assenza dell’anima e, di conseguenza, della vita, in quelle figure malvagie. Coraline impara che i suoi desideri possiedono un lato oscuro, e che le persone attorno a lei hanno aspetti negativi che vanno accettati. La volontà e la maturità di vedere anche ciò che non le piace, determina la scelta di non farsi cucire bottoni sugli occhi.

Coraline è un romanzo horror-fantasy per ragazzi, la cui narrazione sviluppata attraverso una serie di eventi oscuri e fantastici, è senza dubbio una storia di paura, che si rivela in modo sottile e perturbante. Sebbene vengano raccontati i pensieri di una bambina, la voce narrante è adulta, portando il lettore a credere nel racconto e, al contempo, a enfatizzare le riflessioni critiche sull’esistenza della giovane protagonista. Diverse sono le affinità con le classiche fiabe per bambini come ad esempio Hänsel und Gretel (1812) dei fratelli Jacob Ludwig Karl Grimm e Wilhelm Karl Grimm, con la celeberrima casa di marzapane, che in Coraline assume le sembianze di un grande edificio rosa.

Coraline può essere considerata una versione aggiornata della protagonista di due romanzi di Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland (1865) e soprattutto Through the Looking-Glass and What Alice Found There (1871), più cupa e paurosa della Alice vittoriana, nella quale vi si ritrovano le figure del gatto e dello specchio.

Coraline è stato pubblicato da Harper Collins in un’edizione illustrata da Dave McKean nel 2002; ha vinto numerosi premi letterari, tra cui i premi Hugo e Nebula per il miglior romanzo breve, il premio Bram Stoker alla narrativa per ragazzi. Nel 2009 dal romanzo è stato tratto un adattamento cinematografico, diretto da Henry Selick, e realizzato in stop-motion

Testo di: Eleonora Ambrosini, Alessia Sangiorgio, Jacopo Lippi Angeli, Elisa Menin, Victoria Pasinato Pereira, Steven Sartore, Imogen Signoretti, Erica Stangherlin.

Neil Gaiman è nato nel 1960 a Portchester in Inghilterra, da una famiglia ebrea di origini polacche. A Grinstead, incantevole località del Sussex, dove si trasferì in tenera età con la famiglia, sviluppò un profondo amore per la lettura e un enorme interesse per i fumetti. Le opere di grandi autori quali J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis e L. Carroll catturarono la sua immaginazione, immergendolo in mondi fantastici, ispirandolo profondamente come scrittore.

Ha studiato giornalismo presso l’Università del Sussex e ha svolto per qualche anno la carriera giornalistica, pubblicando su prestigiose testate come Sunday Times, The Observer, Knave e Time Out. Nel 1984 ha scritto la sua prima opera letteraria, una biografia sulla pop band Duran Duran, riscuotendo un buon successo. Nel 1987 ha abbandonato gli studi, per intraprendere la carriera da freelance, lavorando come scrittore, giornalista, critico e autore di fumetti. La svolta nella carriera di Gaiman è avvenuta nel 1989 con la pubblicazione di Violent Cases, una graphic novel illustrata da Dave McKean che ha dato l’avvio a una fruttuosa e duratura collaborazione tra i due artisti. Il suo successo è principalmente legato alla creazione di The Sandman, una serie innovativa a fumetti pubblicata dalla DC Comics nel 1990, mentre opere quali Black Orchid (1988), The Books of Magic (1991), Miracleman (originariamente Marvelman, 1992) e Lady Justice (1995), lo hanno consacrato come uno dei più grandi scrittori contemporanei di fumetti.

Ha partecipato all’adattamento di molte sue opere per lo schermo, contribuendo al successo di serie televisive come Good Omens (2019) e del film Stardust (2007). La sua influenza nel mondo dell’adattamento cinematografico e televisivo è un ulteriore aspetto della sua versatilità artistica, lasciando oltre al mondo dei fumetti, un’impronta indelebile in vari campi della scrittura. La sua creatività si è espressa attraverso la prosa, la poesia, il cinema, il giornalismo, i testi musicali e persino il teatro, dimostrando un’estrema versatilità nello spaziare tra generi e forme artistiche diverse. Uno dei tratti distintivi del suo lavoro è la capacità di rivolgersi a un pubblico variegato, affrontando l’arte della narrazione con l’obiettivo di coinvolgere ogni fascia di età. Oltre a opere come Coraline, pensate per i giovani lettori, ha scritto una serie di romanzi indirizzati ai più piccoli, come The Day I Swapped My Dad for Two Goldfish (2004), M is for Magic (2007), Interworld (con Michael Reaves, 2007), e Crazy Hair (2009). NOTA BIOGRAFICA

07. Proiezioni ortogonali.

08

(Elaborazione

. Piante delle due case a confronto. Proiezioni ortogonali.
grafica di Imogen Signoretti e Erica Stangherlin).

Bibliografia

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Biografie

agoStino De RoSa

(Bari, Italia 1963) è architetto e professore ordinario presso l’Università Iuav di Venezia, dove insegna Teoria e metodi della rappresentazione architettonica (corso di laurea triennale) e Disegno (corso di laurea magistrale). Ha scritto libri e saggi sui temi della rappresentazione, della storia delle immagini e della land art. Tra i suoi libri, ricordiamo: Geometrie dell’ombra. Storia e simbolismo della teoria delle ombre, Utet/Città Studi, Milano 1996; L’infinito svelato allo sguardo. Forme della rappresentazione estremo-orientale, Utet/Città Studi, Milano 1998; James Turrel. Geometrie di luce. Il Roden Crater Project (Electa, Milano 2007); Cecità del vedere. Sull’origine delle immagini (Aracne, Roma 2021). È coordinatore scientifico del gruppo di ricerca Imago rerum, con il quale ha curato volumi e mostre internazionali.

giulia lazzaretto

(Padova, Italia 1991) è laureata in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia con una tesi sulla ricostruzione grafica dell’antico rotolo cinese Prosperous Suzhou È dottore di ricerca in Architettura, Città e Design (curriculum Rappresentazione), conseguito con una tesi sull’opera pittorica dell’architetto Zaha Hadid. Assegnista di ricerca presso il Laboratorio di Rappresentazione VIDE – Infrastruttura di ricerca IR.IDE (Università Iuav di Venezia), collaboratrice alla didattica e docente a contratto nell’ambito del disegno, rappresentazione, modellazione digitale e rilievo, presso i corsi di laurea triennale e magistrale in Architettura dell’Università Iuav di Venezia, e per il corso di laurea triennale in Design (Iuav, sede di Vicenza). Ha svolto attività di tutorato presso la Scuola di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Milano. Membro dell’unità di ricerca Imago rerum (Iuav) e del comitato editoriale della collana Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione (Aracne, Roma).

giulia Piccinin

(Pordenone, Italia 1990) è laureata in Architettura presso l’Università Iuav di Venezia ed è dottore di ricerca in Architettura, Città e Design. È collaboratrice alla didattica e docente a contratto presso l’Università Iuav e l’Università degli Studi di Trieste per le materie relative al campo della rappresentazione dell’architettura. È membro dell’unità di ricerca Imago rerum (Iuav) e del comitato editoriale della collana Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione (Aracne, Roma). Ha svolto attività di tutorato presso la Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Padova. Tra i suoi testi, ricordiamo: La vertigine dello sguardo: la scala elicoidale di Palazzo Mannajuolo (con A. De Rosa e G. D’Acunto, in “Anfione e Zeto”, il Poligrafo, 2019); Geometria e costruzione. Stereotomia e configurazione in architettura (con J. Calvo-López e A. Bortot, Aracne, 2020).

febbraio 2025
stampato da Digital Team, Fano

Il volume vuole offrire un panorama critico sullo spazio retorico nella letteratura fantastica e, nel caso specifico, in quella che ha come soggetto principale del plot narrativo il tema delle case infestate nelle ghost stories classiche e contemporanee. I saggi contenuti nel volume affrontano il complesso rapporto tra spazio letterario e spazio fisico, fra configurazione reale e fiction, analizzando i connotati ambientali e atmosferici delle haunted houses, attraverso alcuni casi studio (tratti dai romanzi e i racconti di Howard Phillips Lovecraft, Shirley Jackson, Robert Aickman solo per citarne alcuni), analizzando la ricorsività di topoi come quello del Genius loci, legato alla vocazione ancestrale del paesaggio e delle architetture “visitate”. Gli autori invitati, da differenti prospettive esegetiche, offrono un quadro teorico ed epistemologico di riferimento sul tema, mostrando come lo spazio retorico di questo genere letterario si sia innervato storicamente (e ancora si innervi nella letteratura contemporanea) di metafore spaziali e prossemiche in cui scrittori e studiosi hanno utilizzato il modello della casa, luogo degli affetti e dell’intimità familiare, come focus in cui possano esporsi in evidenza processi antropologici già in atto nelle società, ma con modalità ancora carsiche: la letteratura esibisce qui il suo potere di slatentizzare paure ancestrali e di farci riflettere sul nostro incerto futuro, anche da prospettive ultramondane. Completano il volume le tavole grafiche (con relative schede testuali) di dieci casi studio svolti da un nutrito gruppo di studenti dell’Università Iuav di Venezia, che hanno attinto alle proprie emozioni più primordiali, spingendosi ad affrontare la domanda senza tempo: “cosa avviene dopo la morte?”, e soprattutto, in quali spazi architettonici e/o urbani? Le risposte sono contenute in ricostruzioni grafiche e retoriche talvolta spaventose, talaltra divertenti, qualche volta filosofiche, oppure commoventi. Con onestà e passione gli studenti hanno sempre esplorato lo spazio liminale tra il fantastico e il quotidiano con profondità e intensità, scoprendo nuovi modi di guardare chi siamo e cosa conti per noi, esplorando quanto sia misterioso, triste, strano e comico essere vivi o, ancora peggio, quando non lo siamo più.

Anteferma Edizioni 28,00 €

ISBN 979-12-5953-073-8

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