Costruire comunità e territori resilienti

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Giorgia Businaro, Giovanni Litt, Denis Maragno, Francesco Musco

COSTRUIRE COMUNITÀ E TERRITORI RESILIENTI BENI COMUNI E URBANISTICA CLIMATE-PROOF PER L’INNOVAZIONE URBANA Il metodo LUCI, una nuova alleanza tra chi vive, pianifica e governa la città

Prefazione di Daniela Ciaffi


La gestione del territorio affronta urgenze derivanti da emergenti e sempre più pressanti questioni: disuguaglianze sociali e materiali, conseguenze derivanti dagli impatti determinati dai cambiamenti climatici, necessità di maggiore valorizzazione dei beni comuni, urgenza di rispondere in modo appropriato e concreto al desiderio di partecipazione dei cittadini nella definizione delle decisioni inerenti la cosa pubblica. Nonostante gli sforzi, risultano ancora nebulose le modalità con cui gli Enti Locali possano realizzare azioni legate alla resilienza urbana e all’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, per cercare soluzioni a problematiche sociali, ambientali, economiche, in modo trasversale e condiviso. Creare comunità resilienti significa progettare rinnovati modi di vivere la socialità, ripensare le economie, rapportarsi con la natura, favorire l’inclusività. Tutto ciò necessita di processi collaborativi che, tramite la condivisione di conoscenze, favoriscano processi bottom-up aperti e inclusivi. In tal senso, sperimentazioni ed elaborazioni maturate con il progetto “LUCI Laboratori Urbani per Comunità Inclusive” trovano spazio in questo volume, individuando metodi e azioni per contribuire alla costruzione di comunità e territori capaci di definire alleanze innovative tra chi vive, chi pianifica e chi governa le città.


Giorgia Businaro, Giovanni Litt, Denis Maragno, Francesco Musco

COSTRUIRE COMUNITÀ E TERRITORI RESILIENTI BENI COMUNI E URBANISTICA CLIMATE-PROOF PER L’INNOVAZIONE URBANA Il metodo LUCI: una nuova alleanza tra chi vive, pianifica e governa la città


Costruire comunità e territori resilienti Beni Comuni e urbanistica climate-proof per l'innovazione urbana di Giorgia Businaro, Giovanni Litt, Denis Maragno, Francesco Musco

ISBN 979-12-5953-007-3

Progetto grafico Iperspazio - Stefania Capuzzo

Editore Anteferma Edizioni Srl via Asolo 12, Conegliano, TV edizioni@anteferma.it Prima edizione novembre 2021

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Quest’opera è distribuita sotto Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale


Ringraziamenti Giovanna Pizzo, Progetto LUCI Gianfranco Pozzer, Università Iuav di Venezia Sandro Bagno, Circolo fotografico Focus

LUCI è un progetto ideato da Giorgia Businaro e Giovanna Pizzo, finanziato dalla Regione del Veneto con Risorse Statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

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INDICE


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LISTA DEGLI ACRONIMI

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PREFAZIONE

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INTRODUZIONE

PARTE I LUCI. LABORATORI URBANI PER COMUNITÀ INCLUSIVE 18

INTRODUZIONE

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ORIGINI, METODO E OBIETTIVI DEL PROGETTO

PARTE II IL POLESINE COME LABORATORIO DI INNOVAZIONE PER I BENI COMUNI 42

II.1 DEFINIRE I BENI COMUNI

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II.2 GESTIRE I BENI COMUNI: IL METODO LUCI

70

II.3 LINEE GUIDA PER I COMUNI: UN SUPPORTO PER LE AMMINISTRAZIONI

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II.4 CONCLUSIONI

PARTE III RESILIENZA DELLE COMUNITÀ E ADATTAMENTO AI CAMBIAMENTI CLIMATICI 92

III.1 LA COSTRUZIONE DI TERRITORI RESILIENTI: DALLA TEORIA ALLA PRATICA

102 III.2 UNA METODOLOGIA PER L'ADATTAMENTO TERRITORIALE E LA RESILIENZA DELLE COMUNITÀ 168 III.3 CONCLUSIONI

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PARTE IV LETTERE DALL'ANTROPOCENE

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BIBLIOGRAFIA


PREFAZIONE


L’Italia è uno straordinario laboratorio del diritto alla cura dei Beni comuni. Circa un abitante su quattro nel nostro Paese gode realmente di questo diritto quando questo libro viene pubblicato, perché in teoria abita in luoghi dove è possibile proporre ai propri amministratori pubblici di contribuire ad azioni di cura di Beni comuni, tanto materiali quanto immateriali. Ma davvero è un diritto che sappiamo di avere, di non avere, di non avere ancora? Questo libro lavora su tale (in)consapevolezza. Vi si racconta lo spaccato territoriale del Polesine. Sempre in Veneto vi sono città in cui su questo diritto alla cura si sta lavorando usando per davvero il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei Beni comuni (ad esempio Verona) oppure no, pur avendolo adottato da anni (ad esempio Venezia). Come nel resto della penisola, si tratta di aree urbane: è infatti lì che molto più frequentemente si concentrano l’attenzione e l’azione. È inedito che al centro della ricerca-azione si metta non una città ma un territorio, come qui coraggiosamente si è scelto di fare. Questo è un libro attorno all’acqua, Bene comune per eccellenza. Dieci anni fa gli italiani votarono un referendum che a uno sguardo estero parve singolare: perché l’acqua come Bene comune e non come servizio pubblico? Tutta una parte del testo, la seconda, ragiona su possibili risposte a una scala vasta: non sono in molti a farlo non solo in Italia, ma nell’intero panorama del mondo occidentale. Chi si occupa di processi pluralistici e inclusivi lo sa: questa è una delle sfide più difficili, perché la tendenza consiste invece quasi sempre nel confinare le politiche partecipative alla scala micro-urbana. Un’esperienza laziale che è in corso da alcuni anni – con cui i Laboratori Urbani per Comunità Inclusive (LUCI) qui descritti entrano in profonda risonanza – è quella del lago di Bracciano come Bene comune. Tutti i comuni che vi si affacciano, nemici storici partitici, come nella più consolidata delle tradizioni municipalistiche italiane, si sono finalmente messi d’accordo per adottare un unico regolamento per amministrare l’ecosistema in modo condiviso. Ed ecco che per diversi soggetti che vogliono prendersi cura del lago diventa possibile stipulare patti di collaborazione (sulla pulizia delle sponde come sulla memoria dei pescatori o sull’animazione del territorio eccetera). La lettera "S" delle "Lettere dall’Antropocene" che chiudono questo volume è dedicata al cosiddetto principio di sussidiarietà orizzontale: "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autono9

ma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività


di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà" (articolo 118 ultimo comma). Occorre sapere che questo passaggio costituzionale ci è molto invidiato all’estero, persino in contesti nazionali democratici che siamo abituati a considerare migliori della nostro. Vi si dice in sostanza che la Repubblica non è da sola nel rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo delle cittadine e dei cittadini, bensì che, favorendoli, questi ultimi possono essere il motore del cambiamento evolutivo. Il capitolo che propone Linee guida per i comuni come supporto per le amministrazioni è da questo punto di vista fondamentale. Le comunità resilienti citate nel titolo semplicemente non possono durare senza la sponda di istituzioni paritarie e non autoritative, sempre aperte rispetto a chi vuole contribuire alla cura di beni a uso non esclusivo. È insomma anche attraverso libri come questo che da un lato stiamo prendendo sempre maggior coscienza di un’urgenza democratica: il punto è aver diritto non solo di voto e di parola, ma anche di potersi attivare autonomamente nella cura dei Beni comuni. Dall’altro lato l’urgenza sempre più chiara è quella di dar voce non solo a donne e uomini, ma anche ad animali, vegetali e risorse naturali tutte: si veda la quarta sezione, e il doveroso richiamo al dibattito sull’Antropocene. Ad oggi il laboratorio dell’amministrazione condivisa dei Beni comuni conta centinaia di comuni, alcune unioni di comuni, le prime regioni, migliaia di italiani attivi come singoli, dentro ad associazioni informali ovvero nella sfera pubblica, privata e del terzo settore. Questo libro non è utopico quando propone uno scenario di co-gestione delle risorse nel Polesine. La chiara proposta di metodo qui contenuta, dagli step alle tabelle che nei processi di coprogettazione saranno utili tracce operative, rimanda a una sana concretezza anglosassone che caratterizza anche la cultura pattizia: chi fa cosa, quando e per quanto tempo, quante e quali risorse servono, come fare e soprattutto perché farlo? L’approccio partecipativo che permea l’intero volume è il valore aggiunto culturale che dà non solo un respiro politico ampio, ma anche strumenti disciplinari sorridenti anche a lettori non esperti. Fanno bene gli autori a ricordare l’Agenda 21 Locale della seconda metà degli anni Duemila così come l'identificazione dell'Area Interna "Contratto di Foce Delta del Po" nel 2017. Sono tappe importanti non solo per la comparsa di soggetti tradi-

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zionalmente esclusi dalla pianificazione delle politiche, ma anche perché si è data attenzione ad azioni di comunicazione, consultazione dei partecipan-


ti, animazione del territorio e sviluppo di capacità delle persone, comprese quelle tradizionalmente escluse dalle geometrie del potere. La speranza è che le mappe di comunità che includono i rischi ambientali elaborate da questa squadra di ricerca facciano scuola. Va contemporaneamente tenuta alta l’attenzione su una delle accezioni di Beni comuni, secondo cui non esistono Beni comuni se non c’è una comunità che se ne può prendere cura. Per concludere, e visto che di qui in avanti si parlerà di LUCI, introduco una metafora energetica cara a Gregorio Arena, padre dell’idea di amministrazione condivisa dei beni comuni. In questi anni molti osservatori hanno fatto notare che siamo di fronte a un’effervescenza di esperienze che è difficile interpretare e che rischia di non essere messa a sistema: il fatto che anche nel Polesine si accendano dei laboratori di sussidiarietà orizzontale non è pura effervescenza, ma è più probabilmente il segnale che un disegno (inter)nazionale più ampio e popolato si sta sempre più chiaramente delineando. Sono luci che hanno iniziato ad accendersi a Bologna nel 2014 e in altre città che via via hanno adottato il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, così come a Napoli e in altri contesti che sono diventati in altro modo laboratori di cura dei beni comuni, poi sul lago di Bracciano come Bene comune, quindi sul Polesine e così via, con un movimento entropico che fa finalmente sempre più i conti con la complessità.

Daniela Ciaffi Professoressa di sociologia urbana, Politecnico di Torino

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e Vicepresidente Labsus


INTRODUZIONE


I temi delle pratiche urbane dal basso sono sempre più rilevanti per dare spunto e sostegno ai processi codificati di governo e pianificazione del territorio e delle risorse. Con questo non si vuole certamente affermare che i processi di natura volontaria possano sostituirsi ai processi e agli strumenti di regolazione spaziale urbanistica e ambientale, ma sicuramente che possono alimentarne contenuti, innovazione e, a certe condizioni, anche i processi per la loro stessa definizione. Pare del tutto evidente che se si parla di temi connessi alla gestione dei Beni comuni, siano essi vere e proprie forme di proprietà collettiva o più in generale beni di uso civico e comunitario, il tema della loro organizzazione, anche in relazione con lo spazio, sia un tema di grande interesse per l’urbanistica e per la pianificazione dell’ambiente. Questo libro nasce per restituire i primi esiti del programma di ricerca pluriennale LUCI Laboratori Urbani per Comunità Inclusive che ha avuto come caso studio il Polesine, un territorio che purtroppo richiama ancora nel sentito collettivo temi di marginalità, sia geografica che economica, ma che al contempo ha preso coscienza, soprattutto negli ultimi anni, dell’importanza delle proprie risorse ambientali, che trovano forma attorno alle grandi infrastrutture verdi e blu che attraversano orizzontalmente la provincia di Rovigo fino al Delta del Po. LUCI è prima di tutto un modello di lavoro che parte dal ruolo delle comunità locali, ancorandosi ad un percorso inedito di sperimentazione e di ricerca applicata, che si richiama direttamente i principi della terza missione universitaria, quella che prevede di "uscire" nel territorio testando metodi e processi per favorire l’innovazione delle comunità, dei processi decisionali e in questo specifico caso nella gestione dei beni collettivi e delle risorse scarse in uno scenario di cambiamento climatico. Sono proprio i cambiamenti globali e le dirette conseguenze alla scala locale ad essere uno dei fili conduttori di questo lavoro. Sapere gestire e programmare i Beni comuni anche nella prospettiva dei cambiamenti climatici, significa lavorare all’incremento della resilienza territoriale in una prospettiva di transizione verso processi produttivi e di vita a basse emissioni di carbonio, ma soprattutto capaci di gestire risorse e beni scarsi, in primo luogo appunto quelli di natura collettiva e "comune". Partire, in questa sperimentazione, da una realtà a bassa urbanizzaimportante. La provincia di Rovigo per la sua conformazione fisica è stata da

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zione e bassa densità abitativa come il Polesine è stata una sfida ancora più


sempre un territorio complesso in termini di gestione e programmazione territoriale. L’ultimo PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) del 2010 aveva tentato di offrire strumenti per superare le evidenti contraddizioni e offrire un banco di prova sul quale innestare un processo di sviluppo locale che tenesse assieme, pur nelle differenze, le parti della provincia confinanti con la bassa Lombardia e con l’Emilia Romagna, da quelle che per troppo tempo hanno inseguito insistentemente modelli di sviluppo desueti e ad alto impatto ambientale come quelli perseguiti in pieno Delta del Po per decenni, per lo più tralasciando qualsiasi tentativo di rafforzare la connessione di queste aree marginali anche con l’uso delle vie d’acqua. Possiamo sicuramente affermare che l’indebolimento del ruolo delle province sia stato un fatto particolarmente negativo per il Polesine. In un territorio a bassa urbanizzazione, con comuni molto piccoli e nella maggior parte dei casi lontani da iniziative – e soprattutto dalla volontà – di impostare accorpamenti intercomunali, la mancanza di un ente di coordinamento efficace di area vasta ha dato un forte contraccolpo alla possibilità di un coordinamento fattivo delle policy per lo sviluppo locale e in genere per la programmazione territoriale. Non da ultimo la chiusura del Consorzio di Sviluppo del Polesine (Consvipo), che di fatto avrebbe potuto svolgere un ruolo di agenzia per lo sviluppo locale, ha nella pratica indebolito il ruolo pubblico ed istituzionale nel coordinamento di piani, politiche e programmi, specialmente quelli con una dimensione territoriale e spaziale come campo privilegiato di operatività. In questo volume il tema dell’acqua ricorre in più passaggi. Non va sottaciuto infatti che la gestione delle acque e del rischio alluvionale sia stato sempre un punto di forza del Polesine, soprattutto dopo l’alluvione del 1951. Il sistema odierno di prevenzione è agganciato al ruolo di primo piano del sistema della bonifica, con livelli di strutturazione assai più articolati, sia per le tecnologie impiegate, che per l’efficienza del sistema, rispetto a quello che operava negli anni del secondo dopoguerra, nel periodo della Grande Alluvione. Al contempo va evidenziato che il peggioramento dello scenario globale e le variazioni climatiche attese a livello locale, specialmente gli eventi caratterizzati da precipitazioni estreme alternate a periodi di siccità, esula dal funzionamento ordinario del sistema della bonifica e necessiterebbe di un quadro di pianificazione climatica dinamico in grado di interfacciarci con i sistemi di

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regimentazione delle acque superficiali, sia del reticolo idrografico minore che di quello principale che attraversa il Polesine orizzontalmente.


In questa prospettiva per una efficace gestione dei Beni comuni è ormai imprescindibile considerare anche la questione del cambiamento climatico come uno dei driver della pianificazione. L’ultima parte della ricerca proposta da LUCI, infatti, propone esempi di coesistenza delle vulnerabilità agli impatti, con la distribuzione dei principali Beni comuni che sono stati individuati in Polesine durante la prima parte del progetto. Non ci si è limitati all’individuazione di beni fisici ed immobili, ma in alcuni casi il ragionamento è stato esteso al cultural heritage, alle tradizioni locali e più in generale ai beni di natura immateriale. Questo perché un processo che mira alla gestione efficace e anche alla tutela – ove necessario – dei Beni comuni, non può tralasciare la dimensione della vulnerabilità accentuata dal rischio climatico alle varie scale. Per adattare un territorio al cambiamento climatico, quindi, oltre a identificare gli hazard e i potenziali impatti per una specifica area, è necessario saper indagare e comprendere quali zone risultino essere meno resilienti all'impatto, al fine di costruire e indirizzare misure appropriate per diminuirne la vulnerabilità. In questa prospettiva va proprio evidenziato il ruolo di primo piano dell’urbanistica in stretta collaborazione con discipline specialistiche che si occupano di sicurezza del territorio, nel dare un contributo e una risposta agli impatti oramai attesi del cambiamento globale. In molti contesti si sono avviati percorsi per la costruzione di vere e proprie strategie per la transizione climatica, ancorate alla trasformazione fisica dei luoghi per incrementarne la capacità di risposta agli scenari di incerti. Forse la scommessa per un Polesine Resiliente dovrebbe muoversi proprio verso una strategia di transizione, che dovrà però richiedere una profonda conoscenza analitica del territorio, l’uso di strumenti avanzati di monitoraggio, una capacità operativa di integrazione delle policy locali e soprattutto una visione di futuro per questo territorio, ancorato alle risorse ambientali e ai Beni comuni. In questa prospettiva partire dal modello LUCI Laboratori Urbani per Comunità Inclusive non potrà che avvantaggiare il compito delle istituzioni e dei centri di ricerca che si cimenteranno in questa sfida. Francesco Musco Professore Ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica Dipartimento di Culture del Progetto

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Università Iuav di Venezia


PARTE I


LUCI. LABORATORI URBANI PER COMUNITÀ INCLUSIVE


INTRODUZIONE


Il territorio del Polesine – che coincide con la Provincia di Rovigo, nel Veneto meridionale – sconta condizioni di relativa marginalità rispetto alle aree centrali della regione e di cronica arretratezza dal punto di vista economico, sociale e culturale. Il Basso Veneto è un territorio da sempre escluso dai maggiori processi di modernizzazione, al punto da essere definito "area tangente lo sviluppo"1 e per lungo tempo "area depressa", vale a dire un'area economica e sociale che, pur facendo parte, almeno da un punto di vista territoriale, della Terza Italia e poi di quella che verrà ribattezzata poco più tardi "Locomotiva Nord-Est", non è mai riuscita, nella sostanza, ad agganciare i livelli di crescita della impetuosa trasformazione socio-economica conosciuta dai centri della Pedemontana e poi anche della pianura veneta2. Molto, evidentemente, deriva dalla particolare conformazione della società locale: un mondo, quello polesano, almeno fino agli anni Cinquanta del XX secolo, segnato dalla presenza del latifondo e di un forte e combattivo bracciantato, un mondo dominato dalle campagne e attraversato da profonde lacerazioni politiche e sociali ancora nel dopoguerra, cui si aggiungerà un evento per molti aspetti decisivo, come la grande alluvione del 1951. E del resto, per secoli, una certa endemica arretratezza del territorio polesano aveva avuto tra le sue cause principali il succedersi delle alluvioni e la difficoltà obiettiva nel governo delle acque, nonostante l'antica sapienza della Serenissima e delle sue magistrature dedicate. Saranno le grandi bonifiche dell'Ottocento a trasformare radicalmente il territorio e a modernizzare l'agricoltura, ma ancora nel passaggio tra i due secoli e all'inizio del Novecento la vita di braccianti e contadini è una vita misera, che deve fare i conti con la malaria, con l'assenza di infrastrutture, con rapporti civili e sociali che paiono immutabili3. Fattori di lungo termine socio-economici e fattori ambientali incrociano altri aspetti degni di nota e comunque utili a spiegare la peculiarità del territorio polesano: l'assenza di un capoluogo realmente attrattivo rispetto al resto

Scalco L., Storia economica del Polesine, Minelliana Ed., Rovigo, 2004.

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Businaro G., Beni comuni urbani per una nuova alleanza tra istituzioni e cittadini, Università Iuav di Venezia, Tesi di Laurea. Relatore prof. Francesco Musco, a.a. 2018/2019.

2

Cfr. Monti A., I braccianti. L'epica dell'Italia contadina, Il Mulino, Bologna, 1998.

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19 | PARTE I

della provincia, la debolezza delle classi dirigenti locali, la particolarità delle


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01. Scorcio del territorio polesano. Foto di Sandro Bagno, Circolo fotografico Focus.


21 | PARTE I


gravitazioni socio-economiche che determinano spinte centrifughe, di volta in volta, verso il Veneziano, verso Ferrara o ancora verso il Mantovano, in base alle diverse zone della provincia4. Tramontato lentamente ma inesorabilmente, nel Secondo dopoguerra, il mondo dei braccianti, anche per via della massiccia emigrazione che, soprattutto dopo l'alluvione del 1951, ha portato più di centomila polesani verso il triangolo industriale e, in particolare, verso Torino e il Piemonte, il Polesine assorbirà nei decenni successivi importanti investimenti statali destinati soprattutto alla sicurezza idraulica, conoscerà l'importante fase della riforma agraria, attraverserà tutto il periodo del boom economico nazionale, ma rimarrà un territorio tutto sommato marginale e non riuscirà mai a recuperare il crollo demografico legato alla grande alluvione. Politicamente, il Polesine è stato caratterizzato – molto più in provincia rispetto al capoluogo – dalla forza delle sinistre e, in particolare, del PCI: una forza che lo ha differenziato, fatta salva l'area industriale di Venezia, dal resto della regione, tradizionale serbatoio del consenso democristiano, lungo tutta la parabola della cosiddetta Prima Repubblica. Da sempre, larga parte del dibattito politico e istituzionale si è concentrato, ed è ancora legato, alle opportunità date dall'intervento pubblico e dall'industria di stato. Un caso emblematico, a riguardo, è costituito dall'insediamento della grande centrale termoelettrica Enel di Porto Tolle, un insediamento che sarà duramente contestato da associazioni ambientaliste e comitati di cittadine e cittadini, ma sarà accolto – negli anni Settanta – con il favore trasversale delle diverse forze politiche, economiche e sociali come unica possibilità di frenare lo spopolamento dell'estremo delta5. Anche oggi le forze politiche ed economiche polesane guardano con speranza e favore ai possibili interventi statali sul territorio: è del 2017 l'identificazione dell'Area Interna "Contratto di Foce Delta del Po"6 che ha portato nuovi modelli di concertazione politico-programmatica tra i diversi attori istituzionali, economici e sociali del Basso Polesine, promuovendo un lavoro di rete che non era mai stato abbozzato prima di allora. Di grande attualità  Ibid.

4

Ibid.

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5

www.contrattodifocedeltadelpo.it

6


e notevole rilevanza è anche l'istituzione della Zona Logistica Speciale (ZLS) per il Medio e Alto Polesine che, nelle speranze di sindaci e associazioni di categoria, dovrebbe favorire l'insediamento di numerose nuove imprese. Se marginalità e arretratezza sono evidenti sul piano dello sviluppo economico, ancor più problematici risultano i loro effetti sul piano dell'innovazione sociale, in cui si assiste a un appiattimento su modelli e pratiche tradizionali e limitate al rispetto delle indicazioni di legge dal punto di vista, ad esempio, della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. I dati dimostrano come, in generale, l'Italia sia un paese tutt'altro che all'avanguardia sul tema della gestione condivisa dei Beni comuni: su quasi 8.000 comuni, solo 247 hanno stipulato un Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione. In Veneto solo 10 comuni7 su 571. Nel Polesine, qualche timido tentativo di includere le comunità locali nelle decisioni e nella tutela del territorio è stato intrapreso da parte di associazioni di volontariato o altri Enti del Terzo settore. I risultati sono stati però molto limitati a causa della frammentarietà delle azioni, della scarsità delle risorse a disposizione, della scala temporale determinata dalla durata dei finanziamenti concessi da enti erogatori locali, che prediligono il finanziamento di progetti pilota di corto respiro e non consentono il consolidamento di esperienze e reti progettuali. Nessuna proposta per lo sviluppo della cultura civica urbana e della gestione collettiva dei Beni comuni è stata assunta dalle Amministrazioni locali. Questo, nonostante il Polesine sia stato, nella seconda metà degli anni Duemila, oggetto di iniziative di formazione e sensibilizzazione quali, ad esempio, il processo di Agenda21 Locale, presto interrotto per evidente mancanza di volontà politica da parte dell'Amministrazione provinciale8. Da queste considerazioni è nata l'intenzione di sperimentare un metodo di lavoro che potesse avvicinare le Amministrazioni

Adria (RO), Bussolengo (VR), Cadoneghe (PD), Fumane (VR), Pescantina (VR), Quarto d'Altino (VE), San Donà di Piave (VE), Treviso (TV), Venezia (VE), Verona (VR). Fonte: www.labsus. org/i-regolamenti-per-lamministrazione-condivisa-dei-beni-comuni/

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Businaro G., op. cit.

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23 | PARTE I

locali, le cittadine e i cittadini e le loro organizzazioni a rapporti di tipo colla-


02. SDGs 11. Grafica LUCI.

11

RENDERE LE CITTÀ E GLI INSEDIAMENTI UMANI INCLUSIVI, SICURI E SOSTENIBILI MIGLIORARE l'urbanizzazione e la capacità inclusiva e sostenibile per una pianificazione e gestione partecipative, integrate e sostenibili dell’insediamento umano in tutti i paesi.

FORNIRE l'accesso universale a spazi sicuri, inclusivi e accessibili, verdi e pubblici, in particolare per donne, bambini, anziani e persone con disabilità. Supportare i legami economici, sociali e ambientali tra le zone urbane, periurbane e rurali rafforzando la pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale.

AUMENTARE

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il numero di città e insediamenti umani con l’adozione e attuazione di politiche e programmi volti all'inclusione, all'efficienza delle risorse, alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici, alla resilienza ai disastri integrati.


borativo e partecipativo nella gestione della cosa pubblica, con particolare attenzione a quegli spazi urbani identificati dai cittadini stessi come Beni comuni. Con il progetto "LUCI – Laboratori Urbani per Comunità Inclusive", promosso a partire dal 2019 da ARCI Rovigo Associazione di Promozione Sociale, in collaborazione con una ricca rete di Enti del Terzo settore, e sviluppato in partnership con diverse Amministrazioni comunali delle province di Rovigo e Venezia, si è voluto contribuire a generare, tramite patti collaborativi orizzontali, azioni di politica locale che potessero essere di sostegno alle Amministrazioni, facendo fronte, grazie al coinvolgimento diretto di cittadine e cittadini e al principio della sussidiarietà orizzontale, anche alle sempre più stringenti limitazioni dei bilanci pubblici. Lo stesso processo collaborativo è stato utile poi a validare i dati scientifici relativi agli impatti dei cambiamenti climatici tramite un confronto con le percezioni degli abitanti. Ciò ha consentito di favorire una presa di coscienza collettiva del mondo politico, amministrativo, economico e della cittadinanza sull'urgenza di agire per l'adattamento delle comunità e dei territori agli effetti dei cambiamenti climatici: proprio questi richiedono un differente approccio e un rafforzato coinvolgimento delle comunità quali soggetti direttamente interessati, in particolare nei contesti urbani. Il progetto ha sviluppato azioni concrete e proposte di politiche pubbliche, come lo sviluppo di un'apposita "Strategia di Area Vasta per l'adattamento ai cambiamenti climatici nel Polesine" per la pianificazione di territori più resilienti e climate-proof; un "Regolamento per la partecipazione nel governo e nella cura dei Beni comuni"; un'"Agenda del territorio" per supportare le Amministrazioni locali nel percorso di attivazione delle comunità, di coprogettazione e nella stipula di patti di collaborazione per la gestione dei Beni comuni; delle "Linee Guida comuni a livello provinciale finalizzate alla realiz-

L'incremento delle conoscenze su questi temi è stato supportato da specifici percorsi formativi dedicati ad amministratori pubblici, tecnici e liberi professionisti relativamente al tema della progettazione collettiva, del design for all, del climate-proof planning.

25 | PARTE I

zazione di Piani di Adattamento" per i Comuni del Polesine.


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03. Incontro formativo Agricoltura urbana, metabolismo urbano ed economia circolare e workshop Primi passi per un Parco lineare tra Adige e Canal Bianco; Rovigo, 12.02.2020.


Traendo ispirazione da due Sustainable Development Goals9 "Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili" (SDG #11) e "Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere gli effetti del cambiamento climatico" (SDG #13), LUCI ha voluto, da un lato, promuovere presso cittadine e cittadini e Amministrazioni, la cultura e la pratica della partecipazione civica alle decisioni in materia di governo del territorio e di cura condivisa dei Beni comuni urbani e, dall'altro, sviluppare in modo partecipativo una strategia di area vasta per l'adattamento delle comunità ai cambiamenti climatici. Con casi applicativi e produzioni teoriche, il progetto ha dimostrato la necessità di un coinvolgimento attivo e ampio nelle decisioni pubbliche al fine di far emergere, una volta di più, l'importanza della collaborazione in una società contemporanea che si trova di fronte alla sfida di cercare soluzioni a varie problematiche sociali, ambientali ed economiche in modo articolato, trasversale e aperto, creando alleanze di volta in volta differenti con i diversi attori delle comunità. I Beni comuni, in questo contesto, sono visti come driver per la rigenerazione urbana e sociale delle città e per il perseguimento di adeguati livelli di benessere. Partendo dal presupposto che i Patti di Collaborazione, e dunque i progetti di cura e gestione collaborativa di Beni comuni e spazi pubblici, debbano necessariamente essere basati su un rapporto paritario tra Amministrazione, cittadine e cittadini, garantendo una reale condivisione nell'amministrazione della cosa pubblica e nella gestione del territorio, il progetto ha voluto approfondire l'importanza di indagare opinioni, percezioni e conoscenze di cittadini e city users al fine di integrare i classici quadri conoscitivi a disposi-

www.sdgs.un.org/goals

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27 | PARTE I

zione di pianificatori e decisori politici.


novembre 2021 Digital Team, Fano


Francesco Musco

Professore ordinario di Tecnica e Pianificazione Urbanistica all’Università Iuav di Venezia. Esperto di pianificazione in relazione alla sostenibilità, rigenerazione, resilienza urbana, cambiamenti climatici e strategie di mitigazione ed adattamento. Denis Maragno

Pianificatore del territorio, geografo. Assegnista di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia. Esperto di integrazione delle tecnologie ICT con le attività di Governo del Territorio a supporto nelle diverse fasi di planning. Giovanni Litt

Architetto e Pianificatore. Ricercatore e Dottorando presso l’Università Iuav di Venezia. Esperto in resilienza urbana, strategie di adattamento ai Cambiamenti Climatici, mainstreaming del Governo del Territorio e politiche partecipative. Giorgia Businaro Progettista sociale e ambientale, pianificatrice del territorio e geografa. Specializzata nell’ideazione e nel coordinamento di progetti che prevedano il coinvolgimento attivo di Enti del Terzo Settore e la partecipazione delle comunità locali.

20,00 EURO ISBN 979-12-5953-007-3

9 791259 530073



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