OFFICINA* 42

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ISSN 2532-1218 n. 42, luglio-agosto-settembre 2023 Transizioni 42

The Public Show di Raffaele Capasso

La città è un agglomerato di edifici, in cui gli spazi vuoti si fanno largo a fatica con le loro geometrie. È proprio qui che viene messa in scena, come in uno spettacolo, la vita, di piazza in piazza, metro dopo metro.

Il peso delle transizioni

Il termine transizione indica una qualche forma di passaggio, di trasformazione, sia in senso dinamico, prevedendo cioè un’evoluzione della situazione in atto, sia in senso statico, rappresentando una condizione intermedia tra due distinti momenti.

Il concetto è applicato in molte scienze quali la chimica, dove indica gli stati della materia a più alta energia, la mineralogia, dove indica rocce dalle caratteristiche ibride e cangianti, la fisica, dove indica il passaggio da uno stato a un altro, o la termodinamica, dove indica un passaggio di fase al raggiungimento di un valore critico. Tutte queste accezioni, sebbene diverse e specifiche, sono accomunate da una caratteristica condivisa: lo stato di transizione è uno stato instabile, un punto di massima reattività caratterizzato da fenomeni di mutamento repentini e talvolta violenti, spesso difficili da controllare o da prevedere. Il luogo della transizione è quindi irrequieto, esplosivo, carico di potenziale e, come ogni luogo di tale natura, è centro di reazioni capaci di modificare il corso degli eventi.

Il concetto di transizione è applicato anche nelle scienze umane e in particolare trova spazio nell’ambito dei rapporti sociali tra le persone, in cui assume il significato di trasformazione personale, spesso rivolta alla crescita dell’individuo o al rinnovamento negli stili e modi di vita; una spinta al cambiamento che però, come tutte le ripartenze, porta con sé un fardello latente, insito nella natura stessa del concetto di transizione: un carico di responsabilità per ciò che è stato e che ora non è più.

Che la transizione sia un processo obbligato o una scelta, essa comporta in ogni caso una presa di posizione verso ciò viene lasciato indietro e, come ci dicono i Beatles in Carry that weight, scritta probabilmente in riferimento alla fine della loro carriera come gruppo, non sarà di certo un trasporto leggero, ma un bagaglio da portarsi dietro per lungo tempo perché, se è vero che le cose cambiano, è altresì vero che qualcosa di ciò che è stato resta per sempre. Emilio Antoniol

Stefania Mangini

Direttore editoriale Emilio Antoniol

Direttore artistico Margherita Ferrari

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Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis, Sebastiano Baggio, Matteo Basso, Eduardo Bassolino, MariaAntonia Barucco, Martina Belmonte, Viola Bertini, Giacomo Biagi, Paolo Borin, Alessandra Bosco, Laura Calcagnini, Federico Camerin, Piero Campalani, Fabio Cian, Sara Codarin, Silvio Cristiano, Federico Dallo, Doriana Dal Palù, Francesco Ferrari, Paolo Franzo, Jacopo Galli, Silvia Gasparotto, Gian Andrea Giacobone, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin, Beatrice Lerma, Elena Longhin, Antonio Magarò, Filippo Magni, Michele Manigrasso, Michele Marchi, Patrizio Martinelli, Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Mickeal Milocco Borlini, Magda Minguzzi, Massimo Mucci, Maicol Negrello, Corinna Nicosia, Maurizia Onori, Valerio Palma, Damiana Paternò, Elisa Pegorin, Laura Pujia, Silvia Santato, Roberto Sega, Gerardo Semprebon, Chiara Scanagatta, Chiara Scarpitti, Giulia Setti, Francesca Talevi, Oana Tiganea, Ianira Vassallo, Luca Velo, Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto, Elisa Zatta

Redazione Davide Baggio, Luca Ballarin, Giulia Conti, Martina Belmonte, Silvia Micali, Arianna Mion, Libreria Marco Polo, Sofia Portinari, Marta Possiedi, Tommaso Maria Vezzosi

Web Emilio Antoniol

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Chiuso in redazione il 25 luglio 2023, tra tuoni e fulmini, e chicchi di grandine

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Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218

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OFFICINA*

“Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri” Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953

Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente

N.42 luglio-agosto-settembre 2023

Transizioni

Il dossier di OFFICINA*42 – Transizioni è a cura di Eduardo Bassolino e Viviana Saitto.

Hanno collaborato a OFFICINA* 42: Raul Armando Amoros Hormazabal, Marianna Ascolese, Eduardo Bassolino, Roshan Borsato, Alberto Calderoni, Federico Calorio, Patrizia Cannas, Raffaele Capasso, Alberto Cervesato, Martina Gaia Corradini, Alberto Collet, Davide Crippa, Jacopo De Blasio, Barbara Di Prete, Paolo Di Prima, Anna Dordolin, Azzurra M. Galeota, Andrea Iorio, Massimo Mucci, Miriam Pappalardo, Paolo Pasteris, Alberta Piselli, Riccardo Pollo, Enrico Polloni, Viviana Saitto, Giulia Sodano, Matteo Trane, Marco Ugolini.

OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08.

Transactions

n•42•lug•ago•set•2023

The Public Show

Raffaele Capasso

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INTRODUZIONE Trans-action. Nuovi scenari per lo spazio in transizione Trans-action. New Scenarios for Space in Transition

Eduardo Bassolino, Viviana Saitto

No man’s land

Procrear Buenos Aires

Alberto Cervesato

Gli spazi temporanei dell’ascesi The Temporary Spaces of Ascesis

Azzurra M. Galeota

Il parkour: tra denuncia e ri-significazione dello spazio urbano Parkour: between Denunciation and Re-signification of Urban Space

Marco Ugolini, Alberta Piselli

Marianna Ascolese, Alberto Calderoni Morfologia urbana e microclima

Microcosmi Microcosms

Patrizia Cannas

Verso l’urbanistica della gentilezza Toward the Urbanism of Kindness

Martina Gaia Corradini, Davide Crippa, Barbara Di Prete, Paolo Pasteris

56 30 38 46 10 66 76

ESPLORARE a cura di Massimo Mucci e Davide Baggio

Urban Morphology and Microclimate

Matteo Trane, Federico Calorio, Riccardo Pollo

INFONDO Stati cuscinetto di Stefania Mangini

IN PRODUZIONE

Five Screens with Computer: transizione autodistruttiva

100

PORTFOLIO L’urgenza del progetto The Urgency of the Project

Andrea Iorio

IL LIBRO

Valtur fra progetto e paesaggio Valtur between Projects and Landscape

Davide Baggio

88 84 78 86

I CORTI SENSHome Threshold: dispositivo-soglia per spazi sensibili

SENSHome Threshold: threshold device for sensitive spaces

Anna Dordolin

90

Five Screens with Computer: Autodestructive Transition

Jacopo De Blasio

L’IMMERSIONE Frutteto e Food-forest Orchard and Food-forest

Giulia Sodano

SOUVENIR Salto Leap di Letizia Goretti

TESI

Re/Mind the gap

4 102 106 94 96 107

La sostenibilità come strategia di competitività aziendale Sustainability as a Corporate Competitiveness Strategy

Roshan Borsato, Enrico Polloni

AL MICROFONO

Luca Serasini. Pedagogia, arte e ambiente: Land Art come attività educativa

Luca Serasin. Pedagogy, Art and Environment: Land Art as an Educational Activity

Raul Armando Amoros Hormazabal

CELLULOSA

Verso la foresta

a cura dei Librai della Marco Polo

Paolo Di Prima, Miriam Pappalardo (S)COMPOSIZIONE Spostamenti

Emilio Antoniol

Transizioni

The Laboratory of the Future

20 maggio 2023 - 26 novembre 2023

Venezia (Giardini, Arsenale, Forte Marghera)

labiennale.org

Apre al pubblico La Biennale di Venezia

2023 diretta da Lesley Lokko, dal titolo

The Laboratory of the Future. Ci sono 89 partecipanti di cui una considerevole parte, oltre la metà, proveniente dall’Africa e la diaspora africana, esposta in particolare nel Padiglione Centrale dei Giardini. Il programma è arricchito da altri eventi, quali la nuova attività didattica Biennale College Architettura, il ciclo di incontri, conferenze, tavole rotonde e performance Carnival, il progetto Biennale Sessions rivolto a università, accademie e istituti di formazione superiore, e le attività Educational di laboratorio e guida alla mostra.

Quest’anno la Biennale è focalizzata sui temi di decolonizzazione e decarbonizzazione, entrambi messi in relazione al concetto di “cambiamento”. Da una parte la pressante urgenza dei cambiamenti climatici impone una riflessione sulla sostenibilità, interpretata da Lesley Lokko allo stesso tempo come narrazione sulle pratiche intraprese dagli architetti di tutto il mondo per trovare delle soluzioni e come effettivo esempio di allestimento a neutralità carbonica della mostra stessa. Sul tema della decolonizzazione l’essere “agente del cambiamento”, come lo

definisce Lokko, porta a riflettere su una storia dell’architettura da completare, se non da riscrivere, in modo da dare voce a quella umanità esclusa dalle narrazioni della “voce dominante”. Quindi non solo Africa e la sua diaspora, ma anche attenzione ai modi di riparazione verso quei popoli, privati delle loro terre e della possibilità di autodeterminare il loro spazio abitativo, come ben esposto, ad esempio, nel premiato allestimento Terra [Earth] del padiglione del Brasile, o dal gruppo Architects Against Housing Alienation nel padiglione del Canada. Il cambiamento si estende anche al nuovo possibile ruolo del progettista in questo processo di svolta, dove non avrebbe più senso distinguere tra architetti, urbanisti, designer, architetti del paesaggio, ingegneri o accademici, in quanto operano come practitioner. Una riflessione che era già emersa anche nella precedente edizione della Biennale nel 2021 e che rimane, quindi, ancora attuale sull’estensione del termine di “architetto”. Massimo Mucci

Everybody talks about the weather

20 maggio 2023 - 26 novembre 2023

Fondazione Prada

Venezia

fondazioneprada.org

L’assenza della crisi climatica dagli orizzonti tematici degli artisti contemporanei è il perno attorno al quale orbita la

riflessione proposta dal curatore Dieter Roelstraete. Laddove nel comune dire, “parlare del tempo” significa intraprendere fumosi discorsi volti a riempire un silenzio, la mostra intende delineare una narrazione sulla crisi climatica dal punto di vista dell’arte. È così che la locomotiva a vapore di Turner, che sfreccia immersa in un paesaggio di rapide e confuse pennellate verso una modernità incerta tanto nei presupposti quanto negli esiti, sostiene Goskha Makuga e il suo arazzo

3D a raccontare in chiave distopica quel memento mori che gli attivisti contemporanei recapitano quotidianamente al mondo. Si tratta di un gioco dialogico tra artisti e tra epoche ben riuscito, che merita un pomeriggio del nostro tempo libero. Davide Baggio

Ugo La Pietra. Attrezzature urbane per la collettività

15 giugno – 10 settembre

ADI Design Museum, Milano adidesignmuseum.org

Le divertenti operazioni di Ugo La Pietra, che rompono il guscio domestico invadendo la disciplinata razionalità dello spazio pubblico degli anni Settanta, aiutano a rinverdire provocatoriamente il dibattito sulla città, in un momento storico dove ricalibrare le necessità collettive in rapporto agli spazi pubblici è diventata una questione di sopravvivenza del modello urbano. Davide Baggio

Treviso Comic Book Festival

29 settembre – 01 ottobre 2023

Treviso (TV)

tcbf.it

4 ESPLORARE
La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future. Italian Pavilion. Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia Everybody talks about the weather. Davide Baggio

TRANSIZIONI

A cura di Eduardo Bassolino e Viviana Saitto

Contributi di Marianna Ascolese, Alberto Calderoni, Federico Calorio, Patrizia Cannas, Alberto Cervesato, Martina Gaia Corradini, Davide Crippa, Barbara Di Prete, Azzurra M. Galeota, Paolo Pasteris, Alberta Piselli, Riccardo Pollo, Matteo Trane, Marco Ugolini.

Trans-action. Nuovi scenari per lo spazio in transizione

Lo spazio pubblico è oggi il luogo per la rinegoziazione delle relazioni sociali e per la definizione di una nuova immagine di convivenza. La necessità di adattamento e la conseguente manipolazione di questo sono stati soppiantati da processi di protezione e cura che da un lato mirano alla costruzione di nuove comunità consapevoli e nuovi modelli di cittadinanza, dall’altro evidenziano un cambiamento radicale nei modi di abitare.

Alla disgregazione degli spazi fisici si sovrappone una “ricombinazione” di rapporti sociali che impone una nuova organizzazione delle relazioni, una revisione continua dei luoghi, un dinamismo finalizzato alla lettura dei cambiamenti sociali nello spazio, nel tempo e attraverso il corpo (Giddens, 1990, The Consequences of Modernity). Lo spazio pubblico non è quindi la dimensione in cui si inscrivono le relazioni sociali, è piuttosto il prodotto di queste, e oggi, più che legato al concetto di resilienza – termine molto spesso abusato – è rappresentato dall’ongoingness, dalla responseability, dal trouble (Haraway, 1996, Staying with the TroubleMaking Kin in the Chthulucene).

Come ben evidenziato nell’allestimento/manifesto Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri, Padiglione Italia per la 18° Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia, curato da Fosbury Architecture, “la scarsità di risorse in un contesto di crisi permanente, non solo è un’opportunità, ma è anche l’unica direzione nella quale abbia senso operare” (Fosbury Architecture, 2023, spaziale2023.it). Le generazioni attuali hanno accettato la sfida e tentano, giorno dopo giorno, di intervenire in maniera consapevole nel complesso tessuto di relazioni che caratterizza la realtà attuale, senza soluzioni predefinite o impositive, ma con domande aperte, nate da una lettura attenta degli scenari in transizione che caratterizzano il nostro tempo.

L’invito è stato quello di descrivere ricerche, workshop e progetti in grado di raccontare processi interattivi tra individui e spazi aperti. I contributi presentati descrivono interventi capaci di innescare processi virtuosi per riscoprire

Trans-action. New Scenarios for Space in Transition

Public space is today the place for the renegotiation of social relations and the definition of a new image of coexistence. The need to adapt and the consequent manipulation of this have been superseded by protection and care processes that on one hand, aim at the construction of new conscious communities and new models of citizenship, and on the other, highlight a radical change in the ways of living.

To the disintegration of physical spaces is superimposed on a “recombination” of social relations that imposes a new organisation of relations, a continuous revision of places, a dynamism aimed at reading social changes in space, time and through the body (Giddens, 1990, The Consequences of Modernity ). Public space is therefore not the dimension in which social relations are inscribed, it is rather the product of these, and today, more than related to the concept of resilience – a term that is very often abused –it is represented by “ongoingness”, by response-ability, by trouble (Haraway, 1996, Staying with the Trouble-Making Kin in the Chthulucene ).

As is well pointed out in the exhibition/manifesto Spaziale. Everyone belongs to everyone else, Italian Pavilion for the 18th International Architecture Exhibition, La Biennale di Venezia, curated by Fosbury Architecture, “the scarcity of resources in a context of permanent crisis is not only an opportunity, it is also the only direction in which it makes sense to operate” (Fosbury Architecture, 2023, spaziale2023.it). Today’s generations have accepted the challenge and are trying, day after day, to consciously intervene in the complex fabric of relations that characterises today’s reality, without predefined or imposed solutions, but with open questions, born from an attentive reading of the transition scenarios that characterise our time.

The call was to describe research, workshops and projects capable of narrating interactive processes between individuals and open spaces. The contributions submitted describe interventions capable of triggering virtuous processes to

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Eduardo Bassolino Ricercatore RTDA, DiARC Dipartimento di Architettura, Università Federico II di Napoli. eduardo.bassolino@unina.it Viviana Saitto Ricercatrice RTDA, DiARC Dipartimento di Architettura, Università Federico II di Napoli. viviana.saitto@unina.it
Rammendo. Alberto Collet

il valore delle periferie, delle residenze sociali, degli spazi di reclusione, ai margini o negli interstizi delle città consolidate. È in questi luoghi che progetti temporanei, ibridi e interdisciplinari si concretizzano, parlando di cambiamento e innovazione.

Il workshop, interpretato come strumento adattivo di ricerca progettuale, viene utilizzato, con modalità e approcci differenti, da Marianna Ascolese e Alberto Calderoni, con il progetto Napoli Est(ra)moenia per la trasformazione dell’area di Est di Napoli, da Patrizia Cannas, per la definizione di microcosmi utili alla vita dei “ristretti” della Casa Circondariale di Trieste, da Alberto Cervesato, per la riqualificazione di un’area periferica nella Provincia Autonoma di Buenos Aires.

Nuove pratiche di riqualificazione dal basso, di processi di co-design e co-costruzione nei luoghi dismessi delle città sono approfonditi da Azzurra Galeota, con il racconto del LesGrandsVisions e del Pessoa Luna Park e da Davide Crippa, Martina Gaia Corradini, Barbara Di Prete e Paolo Pasteris con un contributo che descrive come pratiche “gentili”, in città come Milano e Modena, possano contribuire alla costruzione di nuove comunità.

Le nuove geografie che questi processi sono in grado di costruire, partono sempre da un’attenta e innovativa lettura dei luoghi. Marco Ugolini e Alberta Piselli propongono una disamina critica di spazi urbani in crisi a partire dalla pratica del parkour come strumento di risignificazione dello spazio attraverso l’uso del corpo.

Infine, Matteo Trane, Federico Calorio e Riccardo Pollo propongono un framework metodologico per la definizione di strategie per il comfort degli spazi aperti della città di Torino, attraverso la combinazione di processi adattivi e tecnologie abilitanti.

Nuove pratiche, ricerche, modelli e strumenti in grado di offrire una rilettura innovativa dei luoghi che, ha partire “da una nozione espansa della disciplina” (Fosbury Architecture, 2023, spaziale2023.it), guardano al progetto come processo e non come esito.*

rediscover the value of suburbs, social residences, spaces of confinement, on the margins or in the interstices of consolidated cities. It is in these places that temporary, hybrid and interdisciplinary projects take shape, speaking of change and innovation.

The workshop, interpreted as an adaptive design research tool, is used, with different modalities and approaches, by Marianna Ascolese and Alberto Calderoni, with the Napoli Est(ra)moenia project for the transformation of the East Naples area, by Patrizia Cannas, for the definition of microcosms useful to the life of the “inmates” of the Trieste Prison, by Alberto Cervesato, for the redevelopment of a peripheral area in the Autonomous Province of Buenos Aires.

New practices of redevelopment from below, of co-design and co-construction processes in cities disused places, are explored by Azzurra Galeota, with the story of LesGrandsVisions and Pessoa Luna Park, and by Davide Crippa, Martina Gaia Corradini, Barbara Di Prete and Paolo Pasteris, with a contribution describing how “gentle” practices, in cities such as Milan and Modena, can contribute to the construction of new communities.

The new geographies that these processes are able to build always start from a careful and innovative reading of places. Marco Ugolini and Alberta Piselli propose a critical analysis of urban spaces in crisis starting from the practice of parkour as a tool for redefining space through the use of the body.

Finally, Matteo Trane, Federico Calorio and Riccardo Pollo propose a methodological framework for defining strategies for the comfort of open spaces in the city of Turin, through the combination of adaptive processes and enabling technologies.

New practices, research, models and tools able to offer an innovative reinterpretation of places, which starting from “an expanded notion of the discipline” (Fosbury Architecture, 2023, spaziale2023.it), look at the project as a process and not as an outcome.*

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Tessitura della città. Alberto Collet

Assegnista

Alberto

No man’s land

01. Lettura analitica dell’area di Napoli Est e individuazione di una possibile connessione con il centro antico | Analysis of the East Naples area and identification of a possible connection with the ancient centre.

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Marianna Ascolese di ricerca in Composizione architettonica e urbana, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II. marianna.ascolese@unina.it Calderoni Ricercatore in Composizione architettonica e urbana, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II. alberto.calderoni@unina.it

No Man’s Land The state of abandonment and decline defining the eastern suburbs of Naples has prompted the Napoli Est(ra)moenia research project to explore new ways of transforming public space. The methodology investigates the possibility of triggering new actions capable of re-signifying the multitude of marginal and liminal spaces through the tool of the “design workshop”, verifying some procedural innovations. The proposed sequence of discrete and incremental actions becomes a basis that can support proposals for the regeneration of peripheral areas in similar contexts, offering a set of best practices that regulate transformation processes.*

La condizione di abbandono e degrado che caratterizza la periferia orientale di Napoli ha spinto la ricerca Napoli Est(ra)moenia a esplorare nuove modalità di trasformazione dello spazio pubblico. La metodologia sperimentata investiga la possibilità di innescare nuove azioni capaci di risignificare la moltitudine di spazi marginali e liminali, attraverso lo strumento del “workshop progettuale”, verificandone alcune innovazioni procedurali. La successione di azioni discrete e incrementali proposte diviene una base che potrà supportare proposte di rigenerazione di aree periferiche in contesti analoghi, offrendo un insieme di best practice che regolano i processi di trasformazione.*

Strategie di riattivazione di spazi dimenticati della periferia orientale di Napoli

processi di trasformazione delle aree periferiche delle città contemporanee richiedono un approccio inclusivo che affida al progetto di architettura la responsabilità di modificare fisicamente gli spazi ma anche la capacità di attivare un processo socioculturale capace di sostenere le dinamiche trasformative in brevi e lunghi periodi.

Il workshop, inteso come un dispositivo adattivo, rappresenta uno strumento particolarmente adeguato a organizzare e strutturare le diverse fasi di una ricerca progettuale che tende a esplorare modalità e possibilità di rigenerazione di spazi liminali (Sennett e Sendra, 2022) provando a re-immaginare approcci e modi di abitare lo spazio pubblico.

Tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’espansione verso est ha rappresentato per Napoli una risorsa, traducendosi in nuove opportunità, flussi, rinnovati spazi di lavoro e forme dell’abitare. La nascita dei primi complessi manifatturieri ha trasformato un’area agricola e in gran parte paludosa1 in un polo industriale a scala nazionale. La presenza delle industrie ha indotto uno stravolgimento dei tessuti residenziali e urbani; esemplificativa è la sostanziale modificazione dei quartieri di San Giovanni a Teduccio e Barra, che nel tempo sono divenuti collettori di servizi e abitazioni operaie. Dopo la Seconda guerra mondiale molte fabbriche hanno subito una progressiva fase di dismissione, dando avvio a un rapido processo di abbandono, destinando ampie porzioni di suolo a divenire sversatoi di rifiuti di ogni genere2, determinando una sequenza di terreni abbandonati e di ruderi degli ex edifici industriali che, nel tempo, hanno consolidato uno scenario critico e in crisi, esprimendo una inevitabile condizione involuta.

Le caratteristiche geografiche – definite dall’Antiappennino campano che ne circoscrive la zona a nordest e il golfo a sud – insieme alle reti viarie e ferroviarie hanno contribuito a rendere l’area compresa tra la stazione centrale e San Giovanni a Teduccio un punto nevralgico in cui convergono un intricato insieme di sistemi infrastrutturali e naturali che si snodano tra la città consolidata a ovest e quella post-indu-

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striale a est. A questa condizione si contrappone l’assenza di un tessuto sociale e culturale. Spaesamento e abbandono sono i sentimenti che si percepiscono attraversando queste aree: una “no man’s land, o terre di nessuno, cioè quei territori […] vuoti di abitanti umani” (Bauman, 2019). Nel corso degli ultimi vent’anni sono stati prodotti eterogenee speculazioni teoriche così come innumerevoli progetti strategici e architettonici, a ogni scala (Lucci e Russo, 2014; Gasparrini e Terracciano, 2016; Pagano, 2001). I molteplici masterplan che descrivono futuribili scenari per l’ex area Feltrinelli, l’ex sito Q8, l’ex Manifattura Tabacchi (enclave spaziali ad oggi largamente inaccessibili) non sono riusciti di fatto a trainare risorse finanziarie e interessi, pubblici e privati, in grado di determinare significativi processi di riattivazione.

Nell’ambito della ricerca Napoli Est(ra)moenia3, partendo dalla consapevolezza delle complessità endemiche e dai fallimenti di intenti oramai storicizzati, si è scelto di compiere una nuova ma orientata lettura di questo contesto fragile, proponendo una maniera alternativa di analizzare e progettare lo spazio urbano da declinare per un luogo così specifico e stratificato. L’inefficienza dei progetti proposti in queste aree – troppo spesso delineate da soli interessi privati – ha spinto la ricerca a orientare lo sguardo del progetto per cogliere qualità nella sequenza di spazi osservati. La metodologia sperimentata investiga, infatti, la possibilità di innescare nuove azioni capaci di risignificare la moltitudine di spazi marginali e liminali, attraverso lo strumento del “workshop progettuale”, verificandone alcune innovazioni procedurali.

Obiettivi

La ricerca ha scandagliato una modalità di concepire il processo di trasformazione degli spazi residuali nelle aree periferiche di Napoli Est con l’intento di costruire un modello sperimentale di sviluppo del progetto inteso come forma di “mediazione” dove azione e pensiero trovano sintesi in seminari e workshop collettivi, includendo in ciascun momento

Il modello di lavoro proposto è stato strutturato in diversi gradi di approfondimento che, attraverso molteplici occasioni didattiche e speculazioni teoriche, hanno supportato l’evoluzione della ricerca: la lettura critica dell’ambiente fisico (img. 01) di riferimento ha posto l’interesse su un’area – il nodo di connessione tra il centro antico e i quartieri di San Giovanni e Barra – da indagare per le problematiche intrinseche ma anche per le potenzialità latenti; l’attivazione di tirocini intramoenia ha guidato un gruppo di studenti a esaminare con maggiore cura alcuni aree-studio attraverso sopralluoghi, modelli e ridisegni; nei laboratori di tesi di laurea sono state sperimentate possibili strategie progettuali per supportare la proposta di una rigenerazione urbana a più ampia scala; i seminari con docenti esperti hanno guidato il posizionamento teorico; e infine, il workshop progettuale è divenuto un momento di sintesi dell’intera ricerca.

Le diverse fasi hanno aperto molteplici livelli di riflessioni che hanno orientato il progetto di architettura: le forme di collaborazione tra specifici interlocutori portatori di interessi eterogenei tra loro (residenti, terzo settore, università, musei, teatri, imprenditori, artisti, commercianti, artigiani); la modalità e la struttura del progetto urbano, investigando la scala e il tipo di trasformazione (dalla strategia urbana al progetto temporaneo); le azioni da mettere in campo per gestire, mantenere e sostenere gli spazi rigenerati. Quest’ultimo punto diviene sostanziale per mettere in moto processi atti a garantire la costruzione di una possibile visione collettiva condivisa e definire una modalità operativa replicabile in contesti analoghi. Il workshop come laboratorio interdisciplinare diviene il mezzo attraverso cui il modello di sviluppo del progetto proposto si esplica e quel luogo in cui convergono riflessioni e posizioni utili a strutturare un workflow del progetto che metta in discussione una visione non più adeguata alla complessità del contemporaneo, proponendo invece una sinergia di azioni discre-

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02. Approfondimento delle aree di Napoli Est attraverso la costruzione di modelli fisici realizzati durante un tirocinio intramoenia presso il Dipartimento di Architettura | In-depth study of the areas of East Naples through the construction of physical models created during an intramoenia internship at the Department of Architecture. diversi interlocutori funzionali alla costruzione delle domande di ricerca e di passaggi operativi del suo sviluppo.

te e incrementali, ovvero, avanzando quelle “strumentalità minori” per “trasformare, gestire e differenziare spazi in luoghi per la società” (Foucault, 1976).

In particolare, la prima lettura “orientata” dell’area ha posto l’interesse su una sequenza di strade e spazi aperti – in cui sono presenti spazi utilizzati saltuariamente per il mercato, binari ferroviari dismessi, ruderi di particolare rilievo, stazioni ferroviarie – che possono potenzialmente costruire una nuova “infrastruttura urbana” capace di rammagliare non solo il centro antico con la parte orientale della città, ma anche il porto con il centro direzionale, restituendo così un rinnovato rapporto con il mare. In questi contesti, il progetto temporaneo – immaginato come un primo espediente per riattivare e risignificare luoghi chiaramente circoscritti, percepiti come periferici nell’immaginario collettivo di chi abita la città, e prima azione abile a sostenere e innescare future altre trasformazioni – rappresenta il luogo, fisico e sociale, in cui poter coinvolgere la comunità e renderla consapevole delle dinamiche spaziali in grado di trasformare aree periferiche in luoghi per la collettività, sostenendo lo sviluppo culturale e urbano e incrementando la qualità di vita degli abitanti.

Approccio e metodi

Lo strumento del workshop – concepito come un laboratorio operativo che in pochi giorni propone possibili soluzioni di progetto –, ovvero un “incubatore e acceleratore decisionale” (Calderoni, 2022), è stato sviluppato in una modalità più ampia e plurale, un “laboratorio contributivo” (ALICE, 2022) che incorpora competenze e capacità alimentando il coinvolgimento attivo dell’ambiente nei processi di trasformazione transcalare. Un luogo in cui far convergere esigenze, richieste e molteplici punti di vista che interessano i processi di trasformazione provando a delineare un vero e proprio modus operandi a supporto del progetto e capace di

“rendere più forte il pensiero più debole” (De Certeau, 1990). Per la costruzione di questo “laboratorio”, la ricerca progettuale ha attraversato tre fasi utili a definire una conoscenza del contesto fisico e sociale per poi sperimentare un modello di sviluppo operativo.

La prima fase è stata caratterizzata da un’accurata e approfondita lettura dei luoghi attraverso ridisegni, mappe, modelli (img. 02) e fotografie che hanno sostanziato la base per una osservazione critica delle potenzialità e delle condizioni esistenti. La seconda fase ha aperto un dialogo con docenti e

architetti internazionali4 per ordinare e sistematizzare alcune posizioni teoriche e osservare certe modalità di declinarle nella pratica e nella didattica del progetto. Tramite confronti con Caterina Viguera (fondatrice con Alexandra Sonnemans di Rotative Studio), il gruppo di ALICE e Mark Pimlott hanno contribuito a implementare l’apparato teorico esplorando le diverse modalità di leggere, trasformare e trasmettere l’idea di “pubblico” sottesa agli spazi urbani investigata nei progetti e nelle diverse esperienze approfondite. Le on-site esplorations – progetti e workshop didattici realizzati attraverso interventi fisici e sensoriali come le attività condotte presso la Rotterdamse Academie van Bouwkunst o presso la Faculty of Design Sciences (UAntwerp) o la Royal Academy of Fine Arts (AP College) – che Rotative Studio hanno sperimentato, rappresentano un nuovo modo di immaginare lo spazio urbano attraverso “l’interazione, l’improvvisazione e la suggestione” per stabilire un dialogo con il contesto esistente e scoprire luoghi potenziali ma inesplorati. Nella processualità del progetto l’accento viene posto su modi alternativi di appropriazione dello spazio urbano con ricadute riconoscibili nelle

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Il workshop come laboratorio inclusivo diviene il mezzo per strutturare un workflow del progetto

trasformazioni fisiche – spesso manifeste in forme performative e temporanee dello spazio pubblico. Il confronto che Mark Pimlott propone tra i luoghi “emblematici” che incarnano “l’ideologia e la rappresentazione pubblica” di un tipo di spazio urbano riconoscibile e le aree più rarefatte della periferia apre un’impellente riflessione sulle trasformazioni dei luoghi che non dovrebbero “predeterminare il comportamento e le risposte” degli uomini che li abiteranno, ma ac-

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cogliere la “varietà di azione, e di libertà” nelle diverse forme di relazioni che ospiteranno. ALICE sperimenta, attraverso ricerche e progetti didattici operativi, tecniche e dispositivi in cui convergono “pensiero/creazione, disegno, evento/ performance, scrittura sperimentale e pratiche architettoniche” dove il processo diviene un momento fondamentale per definire nuove forme di collaborazione e coabitazione

che invitano a guardare a una forma plurale e condivisa del progetto definendo una vera e tangibile dimensione collettiva (ALICE, 2022).

La terza fase della ricerca è stata definita dal “laboratorio contributivo” – denominato Design Research Meetings –, un tavolo di lavoro operativo in sinergia con architetti, municipalità, terzo settore e altri interlocutori che, attraverso dibattiti aperti e discussioni collettive, hanno delineato un primo armamentario comune per proporre possibili scenari di trasformazione dello spazio pubblico di Napoli Est.

Risultati e discussione

Con uno sguardo ampio rivolto sia alle dinamiche di trasformazione della città che agli strumenti normativi più innovativi proposti dall’amministrazione comunale, i Design Research Meetings hanno provato a dare una risposta concreta al progetto dello spazio pubblico nella periferia orientale della città mettendo in pratica le questioni poste dalla delibera che regola la gestione degli usi temporanei per gli spazi pubblici (n. 279/22), approvata dal Comune di Napoli, che è divenuta elemento strutturante per la definizione del programma5 del workshop, per la scelta degli

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03. Fase 1 “esplorativa” del workshop Design Research Meetings in cui sono stati svolti sopralluoghi e avviati i confronti con la comunità e altri interlocutori | Phase 1 “exploration” of the workshop Design Research Meetings in which site inspections were carried out and discussions with the community and other interlocutors were initiated.
Design Research Meetings rappresentano un’occasione per ridiscutere le modalità di intervento in aree fragili

interlocutori e del gruppo di lavoro operativo.

Il gruppo responsabile della ricerca, supportato da ulteriori docenti e dottorandi6 e i collettivi di architettura Orizzontale ed Ecòl – che da molti anni sperimentano interventi temporanei e tattici per trasformare lo spazio pubblico – attraverso una pluralità di competenze ed esperienze, hanno guidato le diverse attività del workshop, rafforzando quelle basi indispensabili per concepire il progetto di architettura per la città come esercizio corale.

Il workshop è stato strutturato in tre momenti in cui è stata approfondita la conoscenza del territorio al fine di comprendere le condizioni fisiche e socioculturali dell’area; è stato aperto il confronto e il dialogo con diversi interlocutori e, infine, è stata proposta una metodologia operativa di intervento.

La prima fase “esplorativa” (img. 03) ha orientato la conoscenza sia del contesto fisico attraverso sopralluoghi nella più ampia periferia orientale, che del tessuto sociale grazie al confronto con abitanti, imprenditori locali e associazioni7 che operano nel territorio e la fondazione Made in Cloister che da anni ha avviato un’azione di rigenerazione urbana e culturale ai margini della città antica (img. 07). La seconda fase di “confronto” è stata caratterizzata da un dialogo attivo con l’amministrazione comunale utile a comprendere le modalità di attuazione dello strumento normativo che regola gli usi

temporanei confrontandosi sulle potenzialità e le molteplici declinazioni che offre, e al contempo sottolineando i punti critici e implementabili (img. 04). Nella terza fase, dopo aver individuato una possibile area di “riattivazione urbana” (img. 05), è stato sviluppato un modus agendi per intervenire negli spazi pubblici delle aree periferiche che non si declina in un preciso progetto, ma piuttosto in un programma che suggerisce il tipo di trasformazione, usi e attività utili a sostenere i successivi cambiamenti fisici degli spazi.

L’output dei Design Research Meetings è il Piano Est(ra)moenia per Porta Est (P.E.P.P.E.) (img. 06), strutturato in una sequenza cronologica di attività progettuali – comunicazione e ingaggio, attivazione, monitoraggio e gestione, consolidamento e implementazione – che propone per ogni “azione” quali attori coinvolgere, che tipo di intervento architettonico e urbano mettere in opera e quali normative possono supportare il processo trasformativo. Alla prima azione di “comunicazione urbana”, sostenuta da progetti di arte pubblica e grafica urbana situata, utile a intercettare gli interlocutori interessati al processo, seguono una serie di interventi temporanei, resi operativi e sostenibili grazie alla definizione di precisi programmi di usi e gestione delle attività, in cui la popolazione può “scoprire” nuove modalità di osservare e vivere spazi prima abbandonati o trascurati. Queste fasi di

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04. Mappa prodotta durante le fasi di confronto del workshop con i diversi interlocutori che esplicita le aree e le azioni da attivare | Map produced during the discussion phases of the workshop with the various interlocutors which explains the areas and actions to be activated.

05. Fase 3 di “riattivazione urbana”, la planimetria illustra una specifica area pilota da attivare per innescare il processo di rigenerazione più ampio proposto nella strategia generale | Phase 3 of “urban reactivation”, the plan illustrates a specific pilot area to be activated to trigger the wider regeneration process proposed in the general strategy. In collaboration with Giuseppe Grant and Margherita Manfra (Orizzontale) and Emanuele Barili (Ecòl) and the DiARC team

06. Diagramma del Piano Est(ra)moenia per Porta Est (P.E.P.P.E.) – output finale dei Design Research Meetings – che propone un programma di trasformazione, usi e attività da replicare in contesti analoghi | Diagram of the Est(ra)moenia Plan for Porta Est (P.E.P.P.E.) – final output of the Design Research Meetings – which proposes a program of transformation, uses and activities to be replicated in similar contexts. In collaboration with Giuseppe Grant and Margherita Manfra (Orizzontale) and Emanuele Barili (Ecòl) and the DiARC team

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07. Fase 2 di “confronto” con le associazioni, la municipalità, esperti e altri interlocutori in cui si è discusso della possibile strategia da attivare in alcuni spazi di Napoli Est | Phase 2 of “confrontation” with the associations, the municipality, experts and other interlocutors in which the possible strategy to be activated in some areas of East Naples was discussed.

“attivazione” saranno monitorate al fine di verificarne l’impatto sulla comunità e sul territorio e valutare la possibilità e la modalità di volgere a tipi di trasformazioni successive più strutturate e durature previste nell’ultima fase di “consolidamento e implementazione”. La sequenza delle operazioni così descritte diviene una base che potrà supportare azioni di rigenerazione di aree periferiche in contesti analoghi, offrendo un insieme di best practice che regolano i processi di trasformazione.

Conclusioni

Il Piano Est(ra)moenia per Porta Est, documento che raccoglie gli esiti del workshop, attraverso diagrammi, testi e programmi, ha esplicitato in una forma operativa e concreta una modalità possibile di leggere per trasformare lo spazio pubblico in aree periferiche chiarendo le fasi necessarie per strutturare il progetto di riattivazione urbana, le figure da coinvolgere – specificamente per ogni contesto di intervento –, e a quali normative guardare. I Design Research Meetings hanno rappresentato un’occasione per ridiscutere le modalità di intervento in aree particolarmente fragili, un processo che riconosce tipi di trasformazioni che si adattano ai luoghi e alle diverse temporalità, ma soprattutto la necessità di definire programmi che ne supportino lo svolgimento, la gestione e l’evoluzione futura. Questa proposta di modello di sviluppo procedurale del progetto – supportato dal workshop inteso nella sua accezione più ampia e inclusiva – è funzione di ulteriori investigazioni per così approfondire molteplici forme che il progetto di architettura può assumere nelle dinamiche di trasformazione nelle città contemporanee.*

NOTE

1 – Nella seconda metà dell’Ottocento le bonifiche vicereali rendono l’area un territorio agricolo. Il successivo processo di industrializzazione modifica l’agricoltura e il tessuto costruito restituendo un repertorio frammentato e discontinuo.

2 – L’area di Napoli Orientale rientra nei siti contaminati di interesse nazionale (SIN) della regione Campania, art. 1, comma 4 della Legge n°426 del 1998.

3 – La ricerca Napoli Est(ra)moenia: Rigenerare i margini è esito di una convenzione scientifica tra il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Est(ra) moenia, associazione che raccoglie imprenditori, professionisti, studiosi (ACEN; Aedifica Srl;

AET Immobiliare

di cooperative sociali; Dedalus cooperativa sociale; Ing. Filippo Cavuoto SpA; GE. SA. C – Società gestione servizi aeroporti campani SpA; Finmed SpA; Fondazione Achille Scudieri ETS; Fondazione Made in Cloister; Leonardo SpA; Magnaghi aeronautica SpA; M.N. Metropolitana di Napoli SpA; MUM Srl; Solacem SpA; Teatro NEST; Temi SpA), coordinata da M. Russo e F. Izzo, con A. Calderoni e M. Ascolese.

4 – Nel ciclo di seminari On Public Space sono stati invitati: Rotative Studio, ALICE (Atelier de la Conception de l’Espace) fondato dal prof. Dieter Dietz, EPFL, Mark Pimlott, architetto e professore TU Delft.

5 – I Design Research Meetings (dal 28/11 al 2/12/2022 presso il DiARC e l’edificio Brin69) rientrano nelle attività più ampie del seminario Public Space: Urban Reading and Design Strategy a cura di M. Ascolese. Il programma: 28 novembre – presentazione della attività della ricerca; sopralluogo da Napoli Est a Made in Cloister; seminario introduttivo (M. Russo, A. Prezioso, E. Barili (Ecòl), G. Grant e M. Manfra (Orizzontale), Bianco-Valente, A. Calderoni, D. De Blasio, F. Di Leva, L. Lieto, A. Morniroli e F. Izzo); 29 novembre: presentazione e confronto sulla delibera del Comune di Napoli n°279/2022 con M. Cerreta e F. Landolfo; lavoro sulle strategie di intervento. 30 novembre: confronto con F. Landolfo e le associazioni locali; attività seminariale. 01 dicembre: attività seminariale. 02 dicembre: discussione conclusiva con M. Cerreta, F. Izzo, L. Lieto, A. Prezioso e le associazioni.

6 – Le attività del workshop sono a cura di M. Ascolese; coordinamento scientifico: A. Calderoni con: V. Saitto, N. Ambrosino, M. Masi, M. Maurea, S. Pesarino, F. Alba e A. M. Annunziata; responsabili scientifici: F. Izzo, M. Russo.

7 – Le associazioni coinvolte – Collettivo Zero, Famiglia di Maria, Figli in Famiglia, Gioco Immagine e Parole, Pessoa Luna Park, Remida, Se.Po.Fà – con Valeria Pirone (preside dell’istituto comprensivo “Valerio da Feltre”) sono state parte attiva degli incontri restituendo esperienze e necessità della comunità locale.

BIBLIOGRAFIA

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Treccani. SpA; ANCE Campania; Arterra Bioscience SpA; Banca di credito cooperativo di Napoli – Società cooperativa; CO.DI.ME; CO.RE Cooperazione e reciprocità – Consorzio

The processes of transformation of the peripheries of contemporary cities require a comprehensive approach that gives the architectural project the responsibility for the physical reconfiguration of spaces, but also the ability to activate a socio-cultural process that can support the dynamics of transformation both in the short and the long term. The workshop, understood as an adaptive device, is an appropriate tool for organising and structuring different phases of the design research that needs to explore new possibilities of regenerating liminal spaces (Sennett and Sendra 2022), trying to re-imagine different ways of inhabiting public space.

Between the second half of the 19th century and the beginning of the 20th century, the eastward expansion of the city of Naples brought opportunities, commodities, workplaces and alternative ways of inhabiting domestic space. The development of the first manufacturing complexes transformed an agricultural and marshy area1 into an industry of national importance. The presence of industry has changed the residential and urban structure of the city, such as the significant transformation of the districts of San Giovanni a Teduccio and Barra, which became centres for services and working-class housing. After the Second World War, many of the factories were gradually closed, triggering a rapid process of abandonment and the allocation of large tracts of land2 resulting in a succession of abandoned sites and the ruins of former industrial buildings that, over time, established a critical scenario in crisis, expressing an inevitable state of involution.

Geographical condition – defined by the Campanian Apennines, which limit the area to the north-east, and the bay to the south – together with the road and rail networks, have contributed to making the area between the Central Station and San Giovanni a Teduccio a crucial point where a complex infrastructural and natural systems converge, running between the consolidated city to the west and the post-industrial city to the east. The absence of a social and cultural fabric contrasts with this situation. The sense of

No Man’s Land Strategies for re-activating neglected spaces in the Eastern Suburbs of Naples

displacement and abandonment perceived when crossing these areas: a “no-man’s-land, that is, those territories [...] empty of human inhabitants” (Bauman, 2019). Over the past two decades, heterogeneous theoretical speculations have been produced as well as countless strategic and architectural design strategies, at all scales (Lucci and Russo, 2014; Gasparrini and Terracciano, 2016; Pagano, 2001). In fact, financial resources and interests, both public and private, capable of determining significant reactivation processes have not been mobilised by the numerous plans describing futuristic scenarios for the former Feltrinelli area, the former Q8 site and the former Manifattura Tabacchi (spatial enclaves that are largely inaccessible).

Based on an awareness of endemic complexity and failure of historicised intents, Napoli Est(ra)moenia research project3 has opted for a new and orientated reading of this fragile context. It suggests an alternative way of analysis and design of urban space for such a specific and stratified place. The inefficiency of the plans already proposed for these areas – too often pushed by private interests alone – prompted our research toward a design approach that would capture inherent qualities of the observed spaces. In fact, our working methodology investigates the possibility of triggering new actions capable of redefining the multitude of marginal and liminal spaces through the instrument of the “design workshop”, testing some procedural innovations.

Targets

The research has investigated how to transform residual spaces in the peripheral areas of East Naples, with the intention of constructing an experimental model of design process as a “mediation”, where action and thought find a synthesis in seminars and collective workshops, involving different stakeholders who are functional to the construction of the research questions and the operational steps of their development. The proposed approach has been structured around different levels of investigation – critical reading, internships, thesis workshop, seminars and design workshops – which have supported the development of the research through multiple practical opportunities and theoretical speculations. The critical reading of the physical environment (img. 01) focused on the area between the historic centre and the districts of San Giovanni and Barra –emblematic for its intrinsic problems, but also for its latent potential; the internships led a group of students to examine further study areas through surveys, models and drawings; the thesis workshops tested possible design strategies to sup-

port the proposal of a large-scale urban regeneration; seminars with expert lecturers guided the theoretical positioning; and finally the design workshop became a synthesis of all the research. The different phases have opened up several levels of reflection that have guided the architectural design project. These include forms of collaboration between specific and heterogeneous stakeholders (residents, charities, universities, museums, theatres, entrepreneurs, artists, tradesmen, craftsmen); the structure of the urban design project, which examines the scale and nature of the transformation (from urban strategies to temporary projects); the actions to be taken to manage, maintain and sustain newly regenerated spaces. This last point is essential to guarantee the construction of a shared collective vision and to replicate a similar methodology in other contexts. The workshop, as an interdisciplinary laboratory, apart from being a tool to explore a new methodological approach, is also a place where to gather useful reflections and positions to define a new workflow for a contemporary vision, which questions the actual methodologies, no more fit to manage present urgencies. Instead, it proposes incremental actions that promote those “small instrumentalities” for “transforming, managing and differentiating spaces into places for society” (Foucault, 1976).

In particular, the first reading of the area focused on some streets and open spaces – including markets, abandoned railway lines, ruins, railway stations – that could potentially build a new “urban infrastructure” to link the ancient city with eastern Naples, but also the port with the business centre, thereby re-establishing a new relationship with the sea. In this context, temporary projects are conceived for a starting point to reactivate and redefine marginalised spaces that are perceived as peripheral in the collective imagination of the city’s inhabitants. In this way, temporary projects represent the first action capable of sustaining and triggering future developments. It is also the physical and social space in which to involve the society and make it aware of the spatial dynamics capable of transforming peripheral areas into places for the community, supporting cultural and urban development and improving the quality of life.

Approach and methods

The workshop – conceived as an operational laboratory that proposes possible design solutions and as an “incubator and decision accelerator” (Calderoni, 2022) – has been developed in a broader and more pluralistic way: a “contribu-

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tive workshop” (ALICE, 2022) that incorporates skills by promoting the active involvement of the environment in the trans-scalar processes. A place where needs, demands and various points of view effectively influence the transformation process. The aim is to outline a concrete modus operandi to support design decisions and “making the worst argument seem the better” (De Certeau, 1990). In order to build this “laboratory”, the research has been carried out in three phases. These has been useful for understanding the physical and social context and for testing a model for the development of the design project. The first phase has been characterised by an accurate reading of the sites through drawings, maps, models (img. 02) and photographs, which provided the basis for a critical observation of the existing conditions.

In the second phase, the dialogue with international architects4 has led to the classification and systematisation of a selection of theoretical positions and to a careful examination of their application in practice and in the didactics of design. Conversations with experts such as Caterina Viguera, ALICE and Mark Pimlott helped to implement the theoretical apparatus by exploring the different ways of reading, transforming and transmitting the idea of the “public” underlying the urban spaces studied in the projects and different experiences. The on-site explorations –educational projects and workshops carried out by Rotative Studio through physical and sensory interventions, such as the activities organized at the Rotterdamse Academie van Bouwkunst, the Faculty of Design Sciences (UAntwerp) or the Royal Academy of Fine Arts (AP College) – demonstrate new ways of imagining urban space through “interaction, improvisation and suggestion” in order to establish a dialogue with the existing context and discover potential but unexplored places. The design project’s processual nature emphasises alternative ways of appropriating urban space with discernible effects in physical transformations, often manifested in performative and temporary forms of public space. Mark Pimlott proposes a comparison between the “emblematic” places that embody the “ideology and public representation” of a recognisable type of urban space, and the more rarefied areas of the periphery. This opens up a compelling reflection on the transformation of places that should not “predetermine the behaviour and responses” of the people who will inhabit them but welcome the “diversity of action and freedom” in the different forms of relationships that they will host. Through theoretical research and didactic projects, ALICE tries out techniques and tools that bring together “thought/creation, drawing, event/performance, experimental writing and architectural practices”. In this approach, the process becomes a fundamental moment to define new forms of collaboration and cohabitation, inviting to consider a plural and shared form of the project, defining a real and tangible collective dimension (ALICE, 2022). The third phase of the research was based on a “contributive workshop” – Design Research Meetings – a series of working meetings with architects, institutions, charities and other stakeholders who, through, have outlined a first common

kit to propose possible scenarios for the transformation of public space in East Naples in open debates and collective discussions.

Results and discussion

The Design Research Meetings sought to provide a concrete response to the design of public space in the eastern periphery of the city, taking into account both the dynamics of urban transformation and the most innovative regulatory tools proposed by the Municipality. In fact, the content of the deliberation on the regulation of temporary uses of public spaces (n. 279/22), adopted by the Municipality of Naples, became a structuring element for the definition of the workshop programme5, the choice of stakeholders and the working team. The research team, supported by other lecturers, PhD students6, and the architectural collectives Orizzontale and Ecòl, which have been experimenting with temporary and tactical interventions to transform public space for many years, led the programme of workshop activities. The plural skills of the working team have provided a more comprehensive scientific and practical grounding for conceiving the architectural project for the city as a choral exercise. The workshop has been structured around three moments: increasing the knowledge of the neighbourhood in order to understand the physical and socio-cultural conditions of the area; opening a dialogue with different stakeholders; and finally proposing a practical methodology of intervention.

The first “exploratory” phase (img. 03) has focused on understanding both the physical context, through surveys to the wider eastern suburbs, and the social tissue, through meetings with residents, local businesses and associations7 operating in the area, as well as the Made in Cloister Foundation, which has been developing urban and cultural regeneration projects on the outskirts of the old city for years (img. 07). The second phase of “discussion” has been characterised by an active dialogue with the city administration, useful for understanding the methods of implementing the legislative procedure governing temporary uses, discussing its potential and the many facets it offers, while at the same time highlighting the critical and implementable points (img. 04). In the third phase, after identifying a possible area of “urban reactivation” (img. 05), a plan has been developed to intervene in the public spaces of the periphery, not in a precise project, but in a programme suggesting the type of transformation, uses and activities useful to support the subsequent physical changes of the spaces.

The result of the Design Research Meetings is the Piano Est(ra)moenia per Porta Est (P.E.P.P.E.) (img. 06), structured in a chronological sequence of design activities – Communication and Engagement; Activation; Monitoring and Management; Consolidation and Implementation. For each “action”, it proposes the actors to be involved, the type of architectural and urban intervention to be carried out, and the regulations that can support the transformative process. The first “urban communication” action, supported by public art projects and situated urban graphics, useful for capturing stakeholders interested in

the process, will be followed by a series of temporary interventions. These will be supported by programmes of use and activity management in which the population will be able to “discover” new ways of observing and experiencing previously abandoned or neglected spaces. The “activation” phases will be monitored in order to verify their impact on the community and the territory, and to assess the possibility and method of moving on to more structured and sustainable types of subsequent transformations envisaged in the final “consolidation and implementation” phase. The sequence of operations described will become a basis that will be able to support regeneration actions of peripheral areas in similar contexts, offering a set of best practices governing transformation processes.

Conclusions

Piano Est(ra)moenia per Porta Est, a document that gathers the results of the workshop through diagrams, texts and programmes, makes explicit in an operational and concrete form a possible way of reading the transformation of public space in peripheral areas, clarifying the phases necessary to structure the urban reactivation project, the figures to be involved – specifically for each intervention context – and the regulations to be taken into account. The Design Research Meetings were an opportunity to re-discuss the modalities of intervention in particularly fragile areas, a process that recognises types of transformation adapted to different places and temporalities, but above all the need to define programmes that support their development, management and future evolution. The design methodology – supported by the workshop in its broadest and most inclusive sense – can become the subject of further research in order to explore the multiple forms that the architectural project can take in the dynamics of transformation in contemporary cities.

NOTES

1 – In the second half of the 19th century, a huge reclamation allowed the area to become an agricultural territory. The subsequent industrialization process modified the agricultural and built fabric, producing a fragmented and discontinuous physical context.

2 – The Eastern Naples area is included in the Contaminated Sites of National Interest (SIN) of the Campania region, art. 1, paragraph 4 of Law No. 426 of 1998.

3 – The research Napoli Est(ra)moenia: Rigenerare i margini is the outcome of a scientific agreement between the Department of Architecture of the University of Naples Federico II and Est(ra)moenia, an association that brings together entrepreneurs, professionals, scholars, coordinated By M. Russo and F. Izzo, with A. Calderoni and M. Ascolese.

4 – In the cycle of seminars On Public Space were invited: Rotative Studio, ALICE (Atelier de la Conception de l’Espace) founded by prof. Dieter Dietz, Epfl – ETH Lausanne, Mark Pimlott, architect and TU Delft professor.

5 – The Design Research Meetings (from 28/11 to 2/12/2022 at DiARC and Brin69) are part of the broader activities of the On Public Space Seminar: Urban Reading and Design Strategy edited by M. Ascolese.

6 – The workshop activities are edited by Marianna Ascolese; scientific coordination: A. Calderoni with: V. Saitto, N. Ambrosino, M. Masi, M. Maurea, S. Pesarino, F. Alba and A. M. Annunziata; scientific coordinators: F. Izzo, M. Russo.

7 – The involved associations – Collettivo Zero, Famiglia di Maria, Figli in Famiglia, Gioco Immagine e Parole, Pessoa Luna Park, Remida, Se.Po.Fà – were an active part of the meetings, sharing the experiences and needs of the local community.

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Microcosmi

20 TRANSIZIONI 01. Carcere San Francisco USA | San Francisco Prison USA.
Xiaoyi, Pexels, CCO
Patrizia Cannas Architetta, dottoranda in Composizione architettonica e urbana, Università degli Studi di Trieste. cannas.patrizia@gmail.com

Microcosms The paper brings the investigation experience with Trieste Prison inmates about issues of detention living. By re-designing detention places, it emerges how the prison cell appears as a transitional – but inhabited – space, a microcosm that contains both individual needs and the complexities of forced cohabitation. In this context, a disused space is seen as a possible “decompression place” and mediating zone between prison and city.*

Il contributo porta l’esperienza di indagine svolta con i detenuti del carcere di Trieste sui temi dell’abitare ristretto. Dal ridisegno dei luoghi della detenzione, emerge come la cella sia uno spazio di transizione – ma abitato –, un microcosmo che contiene sia le necessità individuali, sia le problematiche di una convivenza forzata. In questo contesto si colloca il ripensamento di un’area in disuso: un “giardino potenziale” che, attraverso un processo di cura e di risignificazione, potrebbe diventare un luogo di mediazione e un perno di comunicazione tra carcere e città.*

ntroduzione

Sono diversi i significati che possono essere attribuiti al concetto di “transizione”, una parola che rimanda automaticamente il pensiero al movimento e al passaggio tra differenti modi di essere, da una condizione presente a una nuova e diversa. In architettura, il concetto di transizione applicato allo spazio apre l’immaginario di riferimento a luoghi come la soglia di casa o la bussola di un hotel, che nella percezione collettiva assumono il ruolo di “dispositivo”1: uno strumento che, avendo la capacità “di orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare” (Agamben, 2006, p. 21), definisce uno spazio “di transizione” rendendolo riconoscibile per la sua funzione. Esistono tuttavia altri luoghi del contemporaneo in cui la soglia e anche gli spazi interni assumono significati diversi, non più legati ai concetti di fluidità e accoglienza, bensì al controllo del corpo e del suo movimento2. Il carcere fa parte di quelle che il sociologo Erving Goffman descrive, agli inizi degli anni Sessanta, come “istituzioni totali”: i luoghi “di residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato” (Goffman, 1961, p. 29). Nel saggio Sulle caratteristiche delle istituzioni totali l’autore spiega come il controllo dell’istituzione venga esercitato su quelle che individua come le “tre sfere di vita” (Goffman, 1961, p. 35), ovvero il riposo, il divertimento e il lavoro. Su di esse, l’istituzione agisce annullando le barriere che le tengono separate e le porta a coesistere sotto un’unica collettività. Parlando di spazi di transizione in carcere, il controllo di queste componenti si concretizza nello spazio detentivo, che avendo la funzione di contenere ed escludere agisce “compartimentando” i movimenti: l’attraversamento della prima porta blindata d’ingresso e in seguito di un corridoio, di una postazione di identificazione, di un’altra porta blindata, di un secondo controllo – e via discorrendo – è solo l’esempio di

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Il carcere tra spazi di transizione – abitati – e possibili luoghi di decompressione

una delle possibili sequenze di spazi da attraversare per accedere alla “sezione”, dove vivono i detenuti. Immaginando di proiettare questo percorso nel quotidiano di una persona libera, equivale similmente ad attraversare la soglia di casa. In tal senso, la morfologia dell’architettura detentiva è densa e complessa non solo per l’articolazione degli spazi interni, ma anche per la funzione che il carcere assume come istituzione all’interno della società: con l’approvazione della legge 354/1975 dell’Ordinamento Penitenziario (Bozzuto e Miccoli, 2020, p. 185) il carcere cambia – giuridicamente – veste al fine di non essere più considerato un “oscuro luogo di segregazione dei ‘colpevoli’” bensì “un contesto di riabilitazione mirato al loro pieno reinserimento nella collettività” (Bozzuto e Miccoli, 2020, p. 186). Da quel momento, investito del ruolo riabilitativo, il carcere viene considerato esso stesso un luogo di “transizione” verso una condizione socialmente accettata. Nonostante questo ribaltamento di visione, considerando che secondo i dati di Antigone quasi il 48% degli istituti penitenziari italiani è stato costruito prima del 1975, emerge come per moltissimi anni in Italia “non si è parlato di architettura del carcere bensì solo di edilizia carceraria” (Santangelo, 2017, p. 14). Le parole di Marella Santangelo riassumono una condizione rilevante e allo stesso tempo critica della situazione attuale: se “lo spazio ha e deve avere un ruolo centrale nel processo rieducativo, vero campo

sario che il ruolo dell’architettura nella “questione carceri” non sia più considerato “contingente” bensì indispensabile, come è indispensabile “restituire all’architettura fondamento culturale e teorico su questo tema” nel “pensare ai luoghi della detenzione come luoghi del progetto, edifici pubblici abitati da uomini e donne in difficoltà” (Santangelo, 2020, p. 30). In questo stato dell’arte si colloca l’esperienza di ricerca svolta all’interno della Casa Circondariale “Ernesto Mari” di Trieste, un carcere che si trova in una città di confine all’interno di un territorio transfrontaliero, scenario di continui transiti di persone. Nel corso di un’attività trattamentale3, con il coinvolgimento dei detenuti sono stati indagati due temi principali: la cella come spazio abitato e luogo sia di condivisione che di ricerca della propria individualità, e le potenzialità di uno spazio verde presente nell’istituto attualmente in stato d’abbandono, che agli occhi dei detenuti appare come un possibile “luogo di decompressione” dalla vita ristretta. Ciò che rende peculiare questo spazio è sia la sua collocazione tra l’istituto e il Palazzo di Giustizia, sia il fatto che ospiti un grande albero – anch’esso “rinchiuso” – che emerge come un punto di riferimento visivo per la sua collocazione tra carcere e città.

di applicazione della pena” (Santangelo, 2017, p. 15), risulta difficile ad oggi parlare di riabilitazione se quasi la totalità degli istituti in Italia sono stati concepiti secondo un’idea securitaria di controllo e contenimento. Per questo motivo, è neces-

L’esperienza è stata possibile grazie alla sottoscrizione di una convenzione di collaborazione scientifica tra il carcere e l’Università di Trieste che prevede, in una fase successiva, la rielaborazione dei risultati ottenuti e lo sviluppo di un’ipotesi di riqualificazione. Il coinvolgimento dei detenuti nasce dalla volontà di prendere in considerazione i loro bisogni per poter mettere in atto un dialogo tra progettista e “abitante” in linea con le dinamiche della società libera, e per tale motivo indagare le necessità abitative di coloro ai quali il progetto si riferisce ha assunto un’importanza rilevante. Gli incontri si sono svolti in gruppi separati tra uomini e donne e sono stati suddivisi in due macro temi, corrispondenti a due microcosmi: la cella e il giardino.

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02. Rappresentazione della cella. Disegno di una detenuta | Cell representation. Drawn by a female inmate
Il coinvolgimento dei detenuti nasce dalla volontà di prendere in considerazione i loro bisogni

03. Rappresentazione della cella. Da notare la parola “armadio” (prettamente domestica) usata per chiamare gli armadietti personali. Il vino disegnato sul tavolo è un desiderio della detenuta, non rappresenta in alcun modo una condizione reale poiché gli alcolici non possono essere introdotti. Disegno di una detenuta | Cell representation. Note the word “wardrobe” (domestic word) used to name personal lockers. Wine drawn on the table is a desire of the inmate, it does not represent a real condition because alcohol is not allowed. Drawn by a female inmate.

04. Rappresentazione della cella. Da notare l’agente penitenziario mentre fa la “battitura”. Disegno di una detenuta | Cell representation. Note the prison officer doing the “beating”. Drawn by a female inmate

La cella come microcosmo: uno spazio di transizione –abitato

Il primo luogo indagato è la cella, “lo spazio minimo che diviene mondo” (Santangelo, 2017, p. 35), e i ristretti hanno espresso i propri pensieri sullo spazio focalizzando la restituzione grafica dell’esistente nella descrizione delle problematiche abitative.

La prima riflessione ha orbitato proprio attorno al termine “cella”: con la circolare del DAP4 del 2007 avente per oggetto la “Ridenominazione corretta di talune figure professionali ad altro in ambito penitenziario”, il termine “cella” è stato sostituito in “camera di pernottamento”. Questo cambiamento è stato ritenuto necessario perché, come si legge, “il termine ‘cella’ non è consono a descrivere la vita detentiva, anche perché l’ordinamento penitenziario definisce tali ambienti locali di soggiorno o di pernottamento”. I ristretti riferiscono in maniera unanime come per loro l’uso del termine “camera” non

abbia alcuna corrispondenza con uno spazio che considerano immutato nel corso tempo: “Questa non è una camera, io una camera me la scelgo e me la prenoto, in montagna per esempio”5; “Questa è una cella e cella rimane” (img. 02).

A entrambi i gruppi è stato chiesto di rappresentare la cella secondo i bisogni primari: dormire, cucinare, igiene. I disegni delle donne sono particolarmente minuziosi e mostrano degli elementi ricorrenti: la porta blindata, i letti a castello, il tavolo a centro stanza; gli armadietti, distinti tra quelli personali da quelli comuni; le finestre con le sbarre, il bagno e piccoli elettrodomestici, come la moka e il fornello da campo (img. 03). Nel mostrare l’arredo, ciò che emerge come elemento “estraneo” è la figura dell’agente penitenziario intento a fare la “battitura” (img. 04), il gesto compiuto quotidianamente al fine di verificare l’integrità delle sbarre: “La battitura rimane impressa nel risveglio”. Il tema degli effetti personali è molto delicato e la gran parte dei ristretti

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sceglie di non appendere le proprie foto per tenere separata la vita in carcere da ciò che è rimasto fuori: “Non appendo la foto di mio figlio perché non voglio che sia parte della cella”. Nel femminile, la carenza di privacy è tra le problematiche più sentite ed è una condizione percepita anche dalla quantità di differenti funzioni che un unico spazio è chiamato ad assolvere: il letto a castello, che già di per sé presuppone la condivisione con qualcun altro, è considerato un “rifugio” in cui raccogliersi quando se ne sente il bisogno; alcuni armadietti sono personali ma per questioni di sicurezza non è prevista la possibilità di chiuderli a chiave.

L’armadietto contiene tutte quelle che per Goffman fanno parte dell’insieme delle “proprietà personali”, il “corredo per la propria identità” composto da oggetti come “cosmetici e vestiti” che hanno bisogno di un luogo “accessibile e sicuro” (Goffman, 1961, p. 49) dove essere custoditi. Come in altre carceri, l’autocostruzione dell’arredo

spazio individuale; tuttavia, se da un lato viene usato come “spazio calmo”, dall’altro si cerca di non passarci troppo tempo per non avere la sensazione che la giornata scorra più lentamente: “il letto non lo tocco durante il giorno sennò sembra di farsi due giorni di galera in uno”.

Il giardino come microcosmo: un potenziale “luogo di decompressione”

diventa una pratica di appropriazione dello spazio: oggetti come beauty-case, porta spazzole, mensole e contenitori di varia natura vengono costruiti con cartoni, pacchetti vuoti di sigarette e tutto ciò che si possa reperire. Anche gli uomini riferiscono forme simili di autocostruzione e l’ambiente più “progettato” risulta essere quello del bagno (img. 05), che è sia luogo dell’igiene ma anche quello della preparazione dei pasti: usando manici di scopa, cartoni, spago e pacchetti di sigarette si costruiscono le mensole per appoggiare oggetti personali e comuni. Anche nella sezione maschile il letto viene visto come l’unico

“Il giardino è la più piccola particella del mondo ed è anche la totalità del mondo […] rappresenta fin dalla più remota antichità una sorta di eterotopia felice” (Foucault, 2001, p. 28). Sia il carcere che il giardino vengono descritti da Foucault come “eterotopie” ossia luoghi che hanno il potere “di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili” (Foucault, 2001, p. 27). L’esperienza di progetto ha visto la contrapposizione dell’“eterotopia felice” del giardino con l’“eterotopia di deviazione”6, del carcere, rivelando quelle che possono essere le potenzialità di uno spazio che si propone come un “luogo di decompressione” dalla vita ristretta. Tra le diverse funzioni, lo spazio verde viene visto dai detenuti come il luogo dove svolgere anche i colloqui con i familiari: “all’aperto ci sarebbe la possibilità di poter fumare una sigaretta bevendo un caffè in compagnia della persona che mi viene a trovare. Renderebbe il momento più piacevole e spensierato” (img. 06). Inoltre, viene anche visto come il luogo più adatto in cui poter svolgere gli incontri con i minori, specialmente durante le stagioni più calde. Il tema dell’affettività in carcere è molto indagato dal panorama di ricerca attuale: le cosiddette “case per l’affettività” progettate negli istituti di Bollate7 e Rebibbia8 mostrano come sia possibile introdurre spazi accoglienti in un luogo che non si presenta come tale. In tal senso, creare le condizioni per cui il minore abbia la possibilità di

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05. Abaco della tipologia di oggetti costruiti dai detenuti all’interno del bagno. Disegno di un detenuto | Abacus of the typology of objects constructed by inmates inside the bathroom. Drawn by a male inmate.
La cella è il risultato di una serie di “superfetazioni” di ritualità e abitudini

coltivare il legame con il genitore recluso in un ambiente alleggerito dal carattere “ostile” che appartiene per natura all’ambiente carcerario non può che portare a riscontri positivi dal punto di vista del percorso riabilitativo della persona. Anche i detenuti stessi vorrebbero poter evitare che i figli, “vittime” incolpevoli dei reati dei genitori, subiscano in maniera traumatica l’ambiente detentivo: “Vorrei che questo spazio venisse utilizzato per i colloqui con i minori per non creare in loro alcun tipo di trauma. Sarebbe più facile dire ai figli che mamma è via per lavoro, perché da qui gli mostrerei quello che voglio” (img. 07). I disegni della sezione maschile sono ricchi di arredo (img. 09): panchine, sedute flessibili e giochi per bambini sono alcuni dei desideri dei ristretti. Ciò che tuttavia non si legge dai disegni viene espresso con le parole, ed è proprio dall’ascolto dei desideri che che emergono i bisogni più grandi: avere a disposizione uno spazio “da poter curare” con fiori e piante; “delle sedute comode”, in contrapposizione ai ri-

gidi sgabelli previsti dalla normativa. Tra tutti, il desiderio più sentito è di poter avere un posto “dove potersi sfogare quando si vuole stare per i fatti propri”, un luogo di decompressione dalla vita ristretta in cui potersi ritagliare “un momento di distacco dal carcere” e da tutte le dinamiche appena esposte.

Conclusioni

Il carcere di Trieste ha aperto le sue porte blindate al dialogo con il “fuori” e ha dato la possibilità di raccontare un abitare che rivela il necessario e individuale diritto allo spazio ponendo l’attenzione sulle più comuni problematiche dell’abitare “l’inabitabile” (Santangelo, 2022, p. 104). Nel carcere si condensano le “sfere di vita” del mondo esterno all’interno di un abitare ad alta densità: la cella è il risultato di una serie di “superfetazioni” (img. 08) di ritualità e abitudini di più persone che condividono – senza volerlo – un abitare temporaneo che assume tratti domestici no-

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06, 07. Esempi di giardino disegnati dalle detenute | Examples of gardens drawn by female inmates.

08. Diagramma che mostra la sovrapposizione degli usi che i detenuti fanno dello spazio-cella nel corso della giornata. Si sottolinea che le informazioni usate per il disegno della cella “tipo” non derivano in alcun modo da nessun documento ufficiale. Il disegno è il risultato dell’analisi e delle rielaborazioni dei disegni dei detenuti unite alle informazioni visive tratte nel corso dei sopralluoghi effettuati presso l’istituto di Trieste | Diagram showing the layering of inmates’ uses throughout the day. Note that the information used for the cell “type” drawing does not derive from any official document. This drawing is the result of the analysis and re-elaboration of the inmates’ sketches combined with visual information from visits made inside Trieste prison. Patrizia Cannas

nostante sia diametralmente l’opposto. È anche il territorio di una “negoziazione” continua in cui la pratica dell’autocostruzione nello spazio dell’istituzione può essere letta come una forma di “resistenza”, non limitante o distruttiva bensì inventiva e creativa (Ugelvik, 2014, p. 9) che parla di umanità

pensare un nuovo dialogo – e magari un nuovo confine – tra carcere e città, anche solo per “mostrare come vivono le persone private della libertà personale”9

e autodeterminazione. L’idea di un “giardino potenziale” si è rivelata un “catalizzatore” dei bisogni più intimi e umani e ha mostrato la necessità di un luogo di mediazione. In tal senso, lo spazio verde potrebbe costituire l’occasione di ri-

Se in Italia il binomio architettura-carcere e il risvolto sociale che ne consegue rimangono dei temi ancora da indagare, dal panorama internazionale emergono delle realtà consolidate: in Scandinavia, il primo obiettivo della detenzione è la riabilitazione (Fowler, 2015, p. 377) e il progetto viene considerato come uno strumento “utile” alla creazione di ambienti più efficienti e di comunità più consapevoli. In questo senso, l’architettura è parte attiva nel processo di responsabilizzazione e contribuisce a garantire bassi livelli di recidiva e criminalità (Fowler, 2015, p. 379). In Belgio, l’ONG De Huizen “sta lavorando per riformare il sistema penitenzia-

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Lo spazio verde potrebbe costituire l’occasione di ripensare un nuovo dialogo tra carcere e città

rio del Paese proponendo di sostituire grandi complessi carcerari con una rete di case di detenzione su piccola scala, differenziate e socialmente integrate” (Puddu, 2022, p. 2). Due progetti pilota di “case di transizione” sono state commissionate dal Ministero della Giustizia belga con un approccio totalmente alternativo: “ogni detenuto deve fare il proprio bucato ed è responsabile della preparazione dei propri pasti. Tutti hanno una stanza che offre una completa privacy ma le attività quotidiane si svolgono nelle aree comuni. In questo modo si stimola il senso di comunità dei detenuti, che imparano ad assumersi le proprie responsabilità” (Puddu, 2022, p. 10).

Il carcere rappresenta una sfida, presente e futura, che necessita di essere accolta per superare il retaggio anacronistico del carcere punitivo e per costruire una nuova visione in cui l’architettura guardi “alla trasformabilità degli aspetti dello spazio concreto” come “metafora della necessità di cura dell’intera istituzione” (Bozzuto e Di Franco, 2020, pp. 17-18).*

NOTE

1 – Ci si riferisce al termine “dispositivo” esplorato da Giorgio Agamben all’interno del testo Che cos’è un dispositivo, in cui l’autore cita il saggio Dits et ecrits di Michel Foucault. Testo in bibliografia.

2 – Si fa riferimento al Corpo del condannato di Michel Foucault, uno dei capitoli del testo Sorvegliare e punire in cui descrive il ruolo del corpo del “reo” nel rapporto con il controllo esercitato dall’istituzione totale.

3 – Nello specifico, l‘Art. 17 dell‘ordinamento penitenziario consente l‘ingresso in carcere a tutti coloro che “avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera”. In www.giustizia.it (ultima consultazione marzo 2023).

4 – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

5 – Questa e altre affermazioni presenti nell’articolo sono frasi estrapolate dai colloqui avuti con i detenuti di entrambe le sezioni nel corso dell’attività.

6 – Entrambi i concetti sono espressi da Michel Foucault all’interno del testo a cura di M. Vaccaro, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, rispettivamente a p. 28 e p. 25.

7 – Si fa riferimento al testo a cura di Andrea Di Franco e Paolo Bozzuto presente in bibliografia.

8 – Si fa riferimento al testo a cura di Francesca Giofrè e Pisana Posocco presente in bibliografia.

9 – Risposta di una detenuta alla richiesta di un’opinione riguardante l’eventualità di rendere l’area verde accessibile anche alla cittadinanza in occasione di eventi eccezionali, come mostre o altre attività.

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08. Il giardino disegnato da un detenuto | Garden drawn by a male inmate.

Introduction

The concept of “transition” indicates the movement and passage of an object or a concept between two different levels of existence and reality. In architecture, the application of this concept to space opens up reference imagery to places, such as the house’s threshold or the hotel’s lobby, and takes the role of a “device”1 in the collective perception: a device is thus an instrument with the capacity “to orient, determine, intercept, shape, control” and defines a transition space by making it recognizable according to its function (Agamben, 2006, p. 21). In other contemporary places, thresholds and even interior spaces have different meanings, no longer related to hospitality but rather to body movement control2. For example, in the early 1960s, the sociologist Erving Goffman described prisons as “total institutions”: places of residence and work where groups of people excluded for a considerable time from society share a common situation, spending part of their lives under a closed and formally administered authority (Goffman, 1961, p. 29). In the essay On the characteristics of total institutions, the author explains how the institution exercises its control over “three spheres of life”, i.e. repose, enjoyment and work (Goffman, 1961, p. 35), and blurs their borders, thus intertwining their entities.

Within a prison, the control of these components is materialized into the “detention space”, which can contain, exclude and enact compartmentalized movements; walking through the first security entrance door and into a corridor, crossing an identification point, then another security door is just an example of the possible space configurations to cross in order to access the “section”, i.e. the prisoners’ living quarters. This passage is equivalent to that of crossing one’s home threshold for a free person. As such, prison architecture’s morphology is dense and complex due to not only the spaces’ articu-

Microcosms

Prison between – inhabited – transition spaces and potential decompression places

lation but also the function that the prison holds as an institution within society: with the approval of Law 354/1975 of the Penitentiary Ordinance the concept of prison changes, at least juridically, from an “obscure place of segregation of the ‘guilty’” to a “context of rehabilitation aimed at their full reintegration into the community” (Bozzuto and Miccoli, 2020, pp. 185-186). Now invested with a rehabilitative role, prison is considered a place of transition towards a socially acceptable condition. However, despite the progresses made from a juridical standpoint, Italy still lags behind as there has not been any talk about prison architecture in years (Santangelo, 2017, p. 14), as 48% of Italian penitentiary institutions were built before 1975. Marella Santangelo’s observations highlight the current predicament critical condition: if space has and must have a central role in the re-educative process, “the true field of punishment application” (Santangelo, 2017, p. 15), it is nevertheless difficult to speak about rehabilitation if the large majority of institutions were designed according to an idea of security focused on control and containment. For this reason, it is necessary to consider architecture no longer contingent but indispensable in the “prison question”, just as it is essential “to give back to architecture the cultural and theoretical responsibility on this issue”; we have to think about prisons as “project places, public buildings inhabited by men and women in difficult situations” (Santangelo, 2020, p. 30). This lays the foundation of the research done in the “Ernesto Mari” penitentiary in Trieste, chosen for being located in a border town within a crossborder area where many people transit. Two main themes were investigated during the treatment activity3, which involved inmates: on the one hand, the concept of prison cell as an inhabited space, and on the other hand, the potential of the green unused area located within the institution’s pe-

rimeter. The green area is relevant for both its location close to the courthouse and the presence of a huge tree, metaphorically imprisoned, that emerges as a reference point between the prison and the city. The field study was made possible thanks to the scientific cooperation agreement between the prison and the University of Trieste; the research involved the elaboration of results and a future re-qualification proposal. The decision to involve inmates arose from the desire to take into account their needs and to spark a dialogue between the designer and the inhabitants, in line with the modern society’s dynamics. The microcosms of the prison cell and the garden were investigated in this research, dividing results according to inmates’ gender.

The prison cell as microcosm: an inhabited place of transition

The prison cell, “the minimal space that becomes a world” (Santangelo, 2017, p. 35), was the first place to be investigated: inmates were asked to express their thoughts about the space by focusing on the graphic rendition of the existing area within the framework of housing problems. The first consideration revolved around the term “cell”: with the 2007 memorandum from the DAP4, the term cell was replaced by “overnight rooms”. This change was absolutely necessary because the term cell was not appropriate anymore to describe prison life, as the very prison regulations already defined them as living or sleeping rooms. The inmates unanimously reported how the use of the term “room” found no correspondence with the concept of a space unchanged over time; “if I had to choose a ‘room’ I would take one in the mountains5; this is a cell and will stay so” (img. 01). Both groups were asked to depict the cell according to the basic needs: sleep, food and hygiene. The women’s drawings were especially meticulous and showed recurring elements: the secu-

28 TRANSIZIONI Patrizia Cannas

rity door, the bunk beds, and the table in the middle of the room; as well as lockers, separating personal and communal; windows with bars, bathrooms, and small appliances, such as a moka and a camp cooker (img. 02). Interestingly, the prison officer emerged as an exogenous element during the “beating”, the daily routine to check bars’ integrity (img. 03): “the beating noise is engraved in the wake”. The topic of personal items was very sensitive, as most inmates chose not to hang up their photos to keep life in prison separated from the one outside: “I don’t hang up my son’s photo because I don’t want it to be part of the cell”. In the women’s section, the lack of privacy was one of the main issues, best represented by the bunk bed which fulfilled different purposes: already embedded with the meaning of being shared with someone else, it was also considered a “shelter”, a safe place to stay. Some lockers were for personal use, but due to security reasons, it was impossible to lock them. The locker contains all those things that are part of one’s personal belongings, the “equipment for one’s identity”: objects, such as cosmetics and clothes, that need an accessible and safe place to be kept (Goffman, 1961, p. 49).

As in other prisons, self-construction becomes a practice of space appropriation: from cardboard, empty cigarette packs, and other materials, women inmates crafted objects such as beauty cases, brush holders, shelves, and diverse types of containers. Men also reported similar forms of self-construction, with the bathroom turning out as the most drawn space (img. 04), because it was considered both the place of hygiene but also the place to prepare meals: using broom handles, cardboards, strings, and cigarette packets, they built the shelves to keep personal and communal objects. In the men’s section, the bed was also seen as the only personal space; however, while the inmates considered it a “calm space”, they did not enjoy spending too much time on it as it slowed down the flowing of time: “I don’t even use my bed during the day otherwise it feels like two prison days in one”.

The garden as microcosm: a potential decompression place

“Garden is the smallest particle of the world and is also the totality of the world [...] since the remotest antiquity, it has represented a kind of joyful heterotopia” (Foucault, 2001, p. 28). Both the prison and the garden are described by Foucault as “heterotopias”, i.e. places that have the power to juxtapose different spaces incompatible with each other in a single real place (Foucault, 2001, p. 27). The project experience saw the juxtaposition of the joyful heterotopia of the garden with the deviant heterotopia6 of the prison, revealing the potential of a space that proposes itself as a “place of decompression” from prison life. Among other functions, inmates also considered the green space as a place for meetings with family members: “outside there would be the possibility of enjoying a cup of coffee

and smoking a cigarette with the person who came to visit me. This opportunity would make it a more enjoyable moment” (img. 05). Furthermore, the inmates considered the garden the most suitable place to hold meetings with minors, especially during warmer seasons. The affectivity topic in prison is widely investigated in the current research panorama: the so-called “affectivity houses” designed in the Bollate7 and Rebibbia8 institutes reveal how it is possible to introduce hospitable spaces in a place that does not appear as such. In this sense, creating the conditions for the minor to maintain the relationship with the imprisoned parent, in an environment typically depicted in a hostile light, can only lead to positive results for the inmate’s rehabilitation process. The inmates also shared the desire to be able to prevent their children, “blameless victims of their parent’s condition”, from being traumatically affected by the prison environment: “I would like this space to be used to meet children in order not to cause them any trauma or harm. It would be easier to tell them that mum is away for work because I would show what I want” (img. 06). Men’s drawings were richer in furniture (img. 07): benches, flexible seatings, and playgrounds are recurrent wishes of the inmates. What was not communicated through the drawings was expressed in words, with the greatest needs being having a space “to take care of” with flowers and plants, and having “comfortable seating” as opposed to the rigid stools required by law. The most heartfelt wish was to be able to have a place where “we can be alone”, a place of decompression from detention life where they could savor “a moment of detachment from prison” and from all the dynamics outlined above.

Conclusions

Trieste prison has opened its security doors to engage with the “outside world” and provide an opportunity to discuss the right to space by focusing on the most common problems of “inhabiting the uninhabitable” (Santangelo, 2022, p. 104). In prison, the “spheres of life” of the external world are condensed into a high-density space: the cell is the outcome of a superfetation (img. 08) of rituals and habits of several individuals who unintentionally share a temporary living that adopts domestic features despite being diametrically the opposite. Cell is also the territory of an ongoing “negotiation”: the self-construction practice in the institution space can be read as a form of resistance, not restrictive or destructive but inventive and creative (Ugelvik, 2014, p. 9). The idea of a “potential garden” proved to be a “catalyst” for human needs and revealed the necessity of a mediating place. In this sense, this green space could be an opportunity to rethink a new dialogue, or even a new border, between prison and city to show “how people without personal freedom live”9

While the architecture-prison duality and its social impact are yet to be investigated in Italy, consolidated realities emerge from the

international scene: in Scandinavia for example, rehabilitation is the first objective of imprisonment (Fowler, 2015, p. 377), and design projects are considered a useful instrument to create more efficient environments and more conscious communities. In this sense, architecture is an active part of the empowerment process and helps promote reduced recidivism and crime levels (Fowler, 2015, p. 379). In Belgium, the NGO De Huizen has worked to reform the country’s penitentiary system by proposing that large prison complexes should be substituted with a network of small-scale, differentiated and socially integrated detention houses (Puddu, 2022, p. 2). In fact, two pilot projects for “transition houses” have been commissioned by the Belgian Ministry of Justice using an alternative concept: each prisoner has to do his own laundry and is responsible for preparing his own meals; they all have a room offering complete privacy, but everyday tasks take place in shared areas; the prisoners’ sense of community is stimulated in this way and they also learn to shoulder responsibility (Puddu, 2022, p. 10)

Prison is indeed a present and future challenge that needs to be rediscussed and remodeled to overcome an anachronistic heritage of punitive imprisonment and to build up a new vision where architecture considers “the transformability’s aspects of existing spaces” as a “metaphor of the necessity of caring about the entire institution” (Bozzuto and Di Franco, 2020, pp. 17-18).*

NOTES

1 – The “device” term comes from Giorgio Agamben’s description within the text What is a Device, where the author quotes Michel Foucault’s essay Dits et ecrits

2 – The reference derives from Michel Foucault’s Body of the Condemned, a chapter from his text Discipline and Punish. There, he describes the prisoner body’s role concerning the control exercised by total institution.

3 – Specifically, Art. 17 of the Prison Ordinance allows prison admission to all those who “having a concrete interest in the work of re-socialization of prisoners demonstrate that they can usefully promote the development of contacts between the prison community and free society”. In www.giustizia.it (Last consultation March 2023).

4 – Department of Penitentiary Administration.

5 – This and other affirmations in the article are extrapolated from interviews with inmates of the male and female sections during the activity.

6 – Both concepts are expressed by Michel Foucault within the text edited by M. Vaccaro, Spaces Other. The Places of Heterotopias, p.28 and p.25 respectively.

7 – Research conducted by Andrea Di Franco and Paolo Bozzuto on Milanese prisons. Text in the bibliography.

8 – Research conducted by Francesca Giofrè and Pisana Posocco on the topic of women in prison. Text in the bibliography.

9 – Inmate’s opinion concerning the possibility of making the green area accessible to the public for exceptional events, such as art exhibitions or other activities.

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Procrear Buenos Aires

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01. Workshop di progettazione Buenos Aires | Buenos Aires Design Workshop. Alberto Cervesato Alberto Cervesato Assegnista di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana, DPIA, Università degli Studi di Udine. alberto.cervesato@uniud.it

Procrear Buenos Aires Social housing is a significant problem in the city of Buenos Aires, where obsolete practices are still in use when compared to the typical concepts of urban and territorial regeneration linked to the European context. The start-up of an international research project between the University of Udine and the University of Morón, in the form of a workshop as a design research tool, has made it possible to experiment new methodologies of doing architecture to try to pursue objectives of development and improvement of public regeneration processes in the Argentinean context, introducing concepts such as recycling, reuse, re-functionalisation and emphasising the importance of participatory processes in social housing practices. This experience made it possible to provide a concrete contribution to accelerate an improvement process involving all processes related to the design of public space, through sustainability practices and strategic visions.*

L’edilizia sociale costituisce un problema rilevante nella città di Buenos Aires, dove rimangono ancora in uso delle pratiche obsolete se confrontate ai concetti tipici della rigenerazione urbana e territoriale legati al contesto europeo. L’avvio di un progetto di ricerca internazionale tra l’Università di Udine e l’Università di Morón, sotto forma di un workshop come strumento di ricerca progettuale, ha permesso di sperimentare nuove metodologie del fare architettura per cercare di perseguire obiettivi di sviluppo e miglioramento dei processi pubblici di rigenerazione in contesto argentino, introducendo concetti come il riciclo, il riuso, la rifunzionalizzazione e sottolineando l’importanza dei processi partecipativi nelle pratiche di social housing. Tale esperienza ha permesso di fornire un contributo concreto per accelerare un processo di miglioramento che coinvolga i diversi aspetti relativi al disegno dello spazio pubblico, attraverso pratiche di sostenibilità e visioni strategiche.*

Un caso studio di vivienda social

sperienze di edilizia sociale in Argentina

L’Argentina è un paese “immerso ormai da oltre venti anni in uno stato permanente di crisi economica che pare assumere una connotazione endemica” e “sembra risentire solo in parte della rinascita architettonica latinoamericana, che in Colombia o in Cile ad esempio appare più dinamica: una scena mai così presente all’interesse del mondo dal tempo della generazione di architetti come Oscar Niemeyer, Clorindo Testa e Luis Barragan” (La Varra, 2019, p. 18). Presenta una popolazione di circa 44,5 milioni di persone, residenti principalmente nelle aree urbane prima fra tutte la città autonoma di Buenos Aires, che nella solo area metropolitana “accoglie oltre un terzo della popolazione dell’intera argentina su una superficie che non arriva all’uno per cento della superficie totale del Paese” (Mesaglio, Tonon, 2019, p. 24). La questione dell’edilizia sociale in America Latina costituisce un problema che ha assunto negli anni una sempre maggior rilevanza, spingendo politici professionisti e ricercatori delle diverse discipline, come ad esempio le scienze sociali, l’architettura e l’urbanistica, a formulare delle ipotesi per cercare di mitigare il fenomeno della villas, insediamenti urbani formati principalmente da baracche costruite con materiali di scarto e rifiuti, che a differenza delle più note favelas brasiliane, non si sviluppano nella periferia delle città, bensì a ridosso del centro urbano. Particolarmente rilevante tra le sperimentazioni latino americane nel campo dell’edilizia sociale, è l’esperienza condotta dal gruppo di architetti Elemental fondato da Alejandro Aravena che pone al centro l’idea della vivienda incremental una struttura base che nel tempo può essere riprogettata e perfezionata ma che offre fin da subito l’unità residenziale minima abitabile. “Se i soldi possono pagare solo per circa quaranta metri quadri, invece di pensare a quella dimensione come a una piccola casa, perché non la consideriamo la metà di una casa buona?”

(Aravena, 2016, p.17). Elemental diventa un caso studio interessante nel momento in cui ne estrapoliamo l’essenza di

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documentario, un testo di sintesi operativa che raccoglie un’esperienza di processo progettuale volto a migliorare la qualità dell’edilizia sociale, partendo dal singolo edificio per giungere alla scala dell’intera città. La lezione che Aravena ci insegna può essere riproposta anche nel contesto argentino, aprendo alla possibilità di un approccio bottom-up in una realtà dominata dalle politiche pubbliche che troppo spesso si dimenticano di coinvolgere nei loro processi la popolazione. Tornado al contesto argentino, un importante passaggio che ha definito l’attuale immagine dei quartieri di edilizia sociale, fa riferimento agli anni Settanta quando la principale tipologia insediativa trovava riscontro nei megaconjuntos habitacionales, degli enormi complessi residenziali esiti di una collaborazione tra la pubblica amministrazione ed alcuni soggetti privati. È importante ricordare come “sulla residenza di massa, si eserciti una delle forze più importanti della crescita della città: la speculazione”

(Rossi, 1973, p. 72). Questo tipo di operazioni a carattere fortemente speculativo hanno generato nel centro della città di Buenos Aires, una serie di mega complessi abitativi che, negando le logiche della griglia, diventano degli elementi slegati dalle dinamiche urbane e sociali, marginalizzando le migliaia di persone che risiedono in queste aree. Oggi per questi complessi si potrebbe forse ipotizzare un principio demolitore come unica ancora di salvezza per i residenti, in quanto il livello della qualità di vita si avvicina sempre di più alle bassissime condizioni che ritroviamo all’interno delle villas.

Un progetto di sviluppo strategico urbano e ambientale Entrando nello specifico delle attuali politiche pubbliche in ambito edilizio, il Ministero di Sviluppo Territoriale argentino ha promosso per il triennio 2021-2023 una serie di iniziative che si sviluppano a partire da quattro linee guida di riferimento: Casa propria per fornire credito ai cittadini per la costruzione in autonomia di nuove case singole, Procrear per favorire la costruzioni di nuovi quartieri residenziali generando crediti ipotecari e rendendo così più accessibile l’acquisto di nuovi appartamenti, il Plan Nacional de Suelo Urbano per creare nuove lottizzazioni complete di tutti i servizi necessari per permettere ai cittadini di edificare la propria casa ed infine il programma Reconstruir, che mira al recupero e al riuso di edifici esistenti che vertono in stato di abbandono. Un ampio programma di sviluppo sociale, il più grande mai realizzato dal governo argentino, un progetto di sviluppo strategico urbano e ambientale che integra pubblico e privato, iniziando a coinvolgere anche le comunità locali nella definizione di nuove metodologie per l’edilizia sociale. Da una prima fase di analisi dei processi pubblici sopracitati, emergono alcune criticità che si vuole tentare di mitigare anche attraverso l’avvio di un progetto di ricerca per cercare di fornire un apporto significativo che innovi le pratiche legate al social housing. La progettazione dello spazio pubblico e degli edifici di edilizia pubblica oggi diviene il luogo dove discutere i nuovi equilibri sociali, innescando la nascita di nuove comunità e di nuovi modelli di cittadinanza, delineando i tratti di un nuovo paradigma dell’abitare contemporaneo.

Il workshop intensivo come strumento di ricerca progettuale

Partendo da queste tracce prende il via un accordo di ricerca che vede coinvolte l’Universidad de Móron, Escuela Superior de Arquitectura y Diseño e l’Università degli Studi di

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La progettazione dello spazio pubblico e degli edifici di edilizia pubblica oggi diviene il luogo dove discutere i nuovi equilibri sociali

Udine, Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura, con lo scopo di sviluppare strumenti utili a livello progettuale e compositivo, per meglio comprendere le dinamiche urbane e architettoniche del territorio argentino e al tempo stesso per stimolare ed orientare “idee di intervento, di riqualificazione e di modificazione che possono, a tutti gli effetti, rappresentare un lavoro di lungo termine per il governo della città e dell’architettura di Buenos Aires” (La Varra, 2019, p. 18).

Per cercare di perseguire questo obiettivo, si è scelto di applicare la metodologia del workshop intensivo di progettazione, che ha visto collaborare nello spazio fisico della sede dell’Universidad de Moron a Buenos Aires (img. 01), alcuni studenti italiani e argentini, coordinati da docenti, ricercatori e tutor delle due università coinvolte1

“Queste pratiche, ricorrenti nella nostra università, costituiscono senza dubbio dei momenti di condivisione e crescita collettiva, sia per lo scambio e l’esperienza immersiva in altre culture, come per i percorsi architettonici e per l’intreccio di reti che da questi viaggi si tessono e finiscono per proporre nuove direzioni” (Borrachia, 2021, p. 7).

Questa esperienza di ricerca applicata ha visto al centro il caso studio denominato Procrear-El Palomar, un cantiere di edilizia popolare attualmente in fase di costruzione localizzato nel contesto urbano della provincia di Autonoma di Buenos Aires, nella municipalità di Morón, a ridosso di un’area verde oggi trasformata in riserva naturale in fase di bonifica (img. 02). Si tratta di uno spazio che presenta un grande potenziale se pensiamo all’alto livello di densità insediativa che contraddistingue le metropoli come Buenos Aires e vede nella presenza di una fascia verde, una grande risorsa che offre la possibilità di creare delle residenze a contatto con l’ambiente naturale.

L’apporto delle esperienze europee per la vivienda social Dopo una fase iniziale di analisi e studio a livello territoriale ed urbano, gli elaborati prodotti durante il workshop si concretizzano nella forma del masterplan progettuale, dove

attraverso una serie di mappe e disegni di progetto, vengono narrati i ragionamenti e le tesi formulate durante le giornate di lavoro, con il fine ultimo di evidenziare le criticità ed i punti di forza del caso studio analizzato (img. 03). Quello che ne risulta è un progetto che cerca di mitigare la rigidità e i limiti delle pratiche top-down proposte dal governo argentino rileggendole attraverso il filtro della sostenibilità e partendo dal presupposto che “la pianificazione territoriale e ambientale può apportare un contributo all’equità sociale favorendo l’eliminazione delle divisioni e delle ineguaglianze sociali” (Musco 2009, p. 65).

Ci si chiede quindi in che modo e con quale contributo, dal punto di vista della ricerca scientifica e del progetto architettonico, possano esserci dei miglioramenti nelle metodologie utilizzate in Argentina, partendo dalle diverse esperienze di progettazione partecipata maturate in Italia, in un’ottica di modificazione delle condizioni di vita degli abitanti all’interno della città, in particolare nel contesto urbano di Buenos Aires.

Andando oltre gli esiti progettuali puntuali che il workshop ha prodotto, può diventare interessante porre l’attenzione sulle criticità che il confronto con l’approccio europeo ha permesso di evidenziare nei confronti dei metodi progettuali argentini. Innanzitutto emerge l’obsolescenza di alcune iniziative e proprio il confronto tra studenti italiani e studenti latino americani, ha permesso di tentare di proporre il passaggio ad un nuovo modo del fare architettura partecipata, una pratica poco diffusa in questo contesto e che andrebbe sicuramente incrementata. Il coinvolgimento della popolazione, ossia dei futuri abitanti degli spazi progettati, è stato uno dei punti sui quali si è concretata una parte importante della riflessione, per cercare di far emergere il contributo positivo che tali pratiche possono offrire alle pubbliche amministrazioni anche nel governo del territorio. La visione argentina non prevede come pratica diffusa il coinvolgimento di attori diversi dagli uffici tecnici dei comuni, anche per quanto riguarda il

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02. Sopralluogo area di progetto El Palomar | El Palomar project area site visit. Alberto Cervesato

progetto architettonico degli edifici stessi che viene realizzato nella maggior parte dei casi dagli uffici della municipalità, senza fare ricorso a gare o bandi esterni. Questo tipo di approccio limita fortemente la possibilità di riceve-

Un altro aspetto innovativo riguarda la scelta di introdurre alcune tematiche come il recupero, il riuso e la rifunzionalizzazione, fenomeni tipici della rigenerazione urbana in ambito europeo che però sono estranei ed innovativi, in un ambito di riferimento come quello della città di Buenos Aires, dove la grande quantità di suolo a disposizione fa apparire meno impellente la necessità di avviare in un simile contesto, le molteplici indicazioni fornite a livello mondiale dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, prima fra tutte la riduzione del consumo di suolo azzerandolo entro il 2050.

re contributi esterni da parte di architetti e urbanisti nel disegnare una nuova immagine per la città ed è totalmente in contrasto con le pratiche europee dove invece la scelta del bando pubblico di progettazione diventa una prescrizione normativa.

I piani di sviluppo proposti dal governo argentino sembrano ignorare quasi completamente tali indicazioni come testimonia il fatto che in Argentina non ci siano state adesioni alla Giornata Mondiale del Suolo2.

I diversi momenti di confronto che si sono susseguiti du-

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03. Masterplan di progetto | Project Masterplan. Alberto Cervesato
Introdurre tematiche come il recupero, il riuso e la rifunzionalizzazione, fenomeni tipici della rigenerazione urbana

rante le sessioni di lavoro, ha permesso ai partecipanti argentini di attingere a dei concetti innovativi espressi in alcuni progetti di ricerca in ambito architettonico e urbano in Italia aprendo lo sguardo anche a pratiche progettuali che prevedano l’immissione di nuovi elementi architettonici all’interno di edifici e strutture urbane preesistenti (Marini, 2008).

Scenari futuri

Nel contesto argentino rimangono ancora in uso delle pratiche obsolete molto distanti dai concetti tipici della rigenerazione urbana e territoriale a cui siamo abituati in contesto europeo. La visione nei confronti del residuo e dello scarto ha una connotazione estremamente negativa in questi territori, in quanto viene associata immediatamente alle baraccopoli che fanno dello scarto la materia prima con cui vengono costruite le case. È difficile riuscire a scardinare lo stigma secondo il quale anche le rimanenze e gli scarti possono essere nobilitati diventano la matrice per nuovi edifici residenziali di qualità. Un primo passo avanti nell’edilizia sovvenzionata in Argentina, potrebbe concretizzarsi nell’invertire l’attuale tendenza che spinge incomprensibilmente a favorire il consumo di suolo e sovvenziona la costruzione di nuove case posizionate in terreni non ancora urbanizzati. Questa visione potrebbe divenire un ottimo punto di partenza per ridiscutere il futuro sviluppo di Buenos Aires, ponendo al centro pratiche rigenerative che vedono nel recupero degli spazi abbandonati e nel riuso degli scarti delle possibili pratiche attuabili, facendo diventare prioritario il progetto Reconstruir che tra le attuali politiche pubbliche per l’edilizia sociale, rappresenta l’unica metodologia progettuale che evita il consumo di suolo a favore di pratiche più sostenibili ma purtroppo svolge solamente un ruolo marginale. In parallelo favorire la nascita e lo sviluppo di agenzie di rigenerazione urbana, che in Italia hanno dimostrato con l’esperienza la loro utilità diventando uno strumento imprescindibile del fare architettura applicata al social housing.

Per perseguire obiettivi di sviluppo e miglioramento dei processi pubblici di rigenerazione territoriale e urbana, la ricerca universitaria si è rivelata uno strumento determinante per lo scambio di conoscenza tra realtà accademiche che, pur essendosi sviluppate in ambienti diversi, hanno avuto modo di influenzarsi vicendevolmente. Il contributo dell’università italiana ha permesso di potere alla luce in contesto argentino normative e casi studi passati e presenti, che con le loro esperienze possono evitare di ripetere errori già commessi in ambito europeo, accelerando un processo di miglioramento che coinvolga i diversi aspetti relativi al disegno dello spazio pubblico, attraverso pratiche di sostenibilità e visioni strategiche.*

NOTE

1 – Durante il workshop, svoltosi nel mese di Dicembre 2022, si sono susseguite una serie di lezioni tenute dall’Arch. Daniel D’Alessandro, referente del progetto Procrear presso la municipalità di Morón (Buenos Aires), dall’Arch. Alejandro Borrachia (decano dell’UniMorón), dal Prof. Giovanni La Varra referente dell’accordo presso Uniud e dall’Arch. Alberto Cervesato, organizzatore e coordinatore del workshop.

2 – La Giornata Mondiale del Suolo (WSD) si tiene ogni anno il 5 dicembre come mezzo per focalizzare l’attenzione sull’importanza di un suolo sano e per sostenere la gestione sostenibile delle risorse del suolo. https://www.un.org/en/observances/world-soil-day (Consulazione URL maggio 2023).

BIBLIOGRAFIA

– Aravena, A., Iacobelli, A. (2016). Elemental. Ostfildern: Hatje Cantz.

– Borrachia, A. (2021). El malestar en lo urbano social. Buenos Aires: Bisman Ediciones.

– La Varra, G. (2019). La città pedagogica. In Mesaglio, D.; Tonon, L. (a cura di), Buenos Aires. Una teoria sulla forma urbana. Milano: Mimesis, pp. 13-18.

– Mesaglio, D., Tonon, L. (2019). Buenos Aires. Una teoria sulla forma urbana. Milano: Mimesis.

– Marini, S. (2008). Architettura parassita. Strategie di riclaggio per la città. Macerata: Quodlibet.

– Musco, F. (2009). Rigenerazione urbana e sostenibilità. Milano: Franco Angeli.

– Rossi, A. (2011). L’architettura della città. Macerata: Quodlibet.

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04. Sopralluogo cantiere El Palomar | El Palomar site visit. Alberto Cervesato

Social housing experiences in Argentina Argentina is a country “immersed for more than twenty years now in a permanent state of economic crisis that seems to take on an endemic connotation” and “seems to be only partially affected by the Latin American architectural renaissance, which in Colombia or Chile, for example, appears more dynamic: a scene that has never been so present to the world’s interest since the time of the generation of architects such as Oscar Niemeyer, Clorindo Testa and Luis Barragan” (La Varra, 2019, p. 18). It has a population of around 44.5 million people, residing mainly in urban areas, first and foremost the autonomous city of Buenos Aires, which in the metropolitan area alone “is home to more than a third of the population of the whole of Argentina on an area that does not reach one per cent of the country’s total surface area” (Mesaglio, Tonon, 2019, p.24). The issue of social housing in Latin America is a problem that has become increasingly important over the years, prompting professional politicians and researchers from different disciplines, such as the social sciences, architecture and urban planning, to formulate hypotheses to try to mitigate the phenomenon of villas, urban settlements formed mainly by shacks built with waste materials and refuse, which unlike the better-known Brazilian favelas, do not develop on the outskirts of cities, but rather close to the urban centre. Particularly relevant among the Latin American experiments in the field of social housing is the experience conducted by the Elemental group of architects founded by Alejandro Aravena, which focuses on the idea of the vivienda incremental: a basic structure that can be redesigned and improved over time, but which offers the minimum habitable residential unit from the outset. “If money can only pay for about forty square metres, instead of thinking of that size as a small house, why don’t we consider it half of a good house?” (Aravena, 2016, p.17). Elemental becomes an interesting case study the moment we extrapolate its essence as a documentary, an operational

Procrear Buenos Aires A study case of social housing

synthesis text that brings together an experience of a design process aimed at improving the quality of social housing, starting from the individual building and reaching the scale of the entire city. The lesson Aravena teaches us can also be reproposed in the Argentinian context, opening up the possibility of a bottomup approach in a reality dominated by public policies that too often forget to involve the population in their processes. Returning to the Argentine context, an important passage that has defined the current image of social housing neighbourhoods, refers to the 1970s when the main settlement typology was the megaconjuntos habitacionales, i.e. huge residential complexes resulting from a collaboration between the public administration and some private actors. It is important to remember how “on mass residence, one of the most important forces of city growth is exerted: speculation” (Rossi, 1973, p.72). These highly speculative operations have generated in the centre of the city of Buenos Aires, a series of megahousing complexes that, denying the logic of the grid, become elements disconnected from the urban and social dynamics, marginalising the thousands of people living in these areas. Today, a demolition principle could perhaps be envisaged for these complexes as the only lifeline for the residents, as the quality of life is increasingly approaching the very low conditions we find inside the villas.

A strategic urban and environmental development project

Going into the specifics of current public policies in the field of construction, the Argentine Ministry of Territorial Development has promoted for the three-year period 2021-2023 a series of initiatives that are developed starting from four reference guidelines: Own house to provide credit to citizens for the autonomous construction of new single houses, Procrear to favour the construction of new residential neighbourhoods generating mortgage credits and thus making the purchase of new apart-

ments more accessible, the National Urban Land Plan to create new complete lots of all the services necessary to allow citizens to build their own home and finally the Reconstruct programme, which aims at the recovery and reuse of existing buildings that are in a state of abandonment. An extensive social development programme, the largest ever carried out by the Argentine government, a strategic urban and environmental development project integrating public and private sectors, also starting to involve local communities in the definition of new methodologies for social housing. From an initial phase of analysis of the above-mentioned public processes, a number of criticalities emerge, which we would like to attempt to mitigate, also through the launch of a research project to try to provide a significant contribution that innovates social housing practices. The design of public space and public buildings today becomes the place to discuss new social balances, triggering the emergence of new communities and new models of citizenship, outlining the features of a new paradigm of contemporary living.

The intensive workshop as a design research tool

Starting from these traces, a research agreement has been initiated involving the Universidad de Móron, Escuela Superior de Arquitectura y Diseño and the University of Udine, Polytechnic Department of Engineering and Architecture, with the aim of developing useful tools at a design and compositional level, to better understand the urban and architectural dynamics of the Argentine territory and at the same time to stimulate and orientate “ideas of intervention, redevelopment and modification that can, to all intents and purposes, represent a long-term work for the governance of the city and architecture of Buenos Aires” (La Varra, 2019, p.18 ).

In an attempt to pursue this objective, it was decided to apply the methodology of the intensive design workshop, which saw a number

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Alberto Cervesato

of Italian and Argentinean students collaborating in the physical space of the Universidad de Moron building in Buenos Aires, coordinated by lecturers, researchers and tutors from the two universities involved1

“These practices, which are recurrent in our university, undoubtedly constitute moments of collective sharing and growth, both for the exchange and immersive experience in other cultures, as well as for the architectural routes and the interweaving of networks that are woven from these journeys and end up proposing new directions” (Borrachia, 2021, p.7). This applied research experience focused on the case study called Procrear-El Palomar, a social housing site currently under construction located in the urban context of the Autonomous Province of Buenos Aires, in the municipality of Morón, close to a green area now transformed into a nature reserve under reclamation. This is a space that has great potential if we consider the high level of settlement density that characterises metropolises such as Buenos Aires and sees in the presence of a green belt, a great resource that offers the possibility of creating residences in contact with the natural environment.

The contribution of European experiences for social housing

After an initial phase of analysis and study at a territorial and urban level, the papers produced during the workshop take shape in the form of a project master plan, where, through a series of maps and project drawings, the reasoning and the theses formulated during the days of work are narrated, with the ultimate aim of highlighting the criticalities and strengths of the case study analysed. What emerges is a project that seeks to mitigate the rigidity and limitations of the top-down practices proposed by the Argentine government by reinterpreting them through the filter of sustainability and starting from the assumption that “territorial and environmental planning can make a contribution to social equity by favouring the elimination of social divisions and inequalities” (Musco 2009, p.65). We therefore wonder in what way and with what contribution, from the point of view of scientific research and architectural design, there can be improvements in the methodologies used in Argentina, starting from the various experiences of participatory design matured in Italy, with a view to modifying the living conditions of the inhabitants within the city, particularly in the urban context of Buenos Aires.

Going beyond the punctual project outcomes that the workshop produced, it may be of interest to draw attention to the critical issues that the comparison with the European approach revealed with respect to Argentine design methods. First of all, the obsolescence of some initiatives emerges, and it is precisely the comparison between Italian and Latin American students that has made it possible to attempt to propose the transition to a new way of doing participatory architecture, a practice that is not widespread in this context

and that should certainly be increased. The involvement of the population, i.e. the future inhabitants of the planned spaces, was one of the points on which an important part of the reflection focused, in an attempt to bring out the positive contribution that such practices can offer to public administrations even in the governance of the territory. The Argentinean vision does not envisage as a widespread practice the involvement of actors other than the technical offices of the municipalities, even with regard to the architectural design of the buildings themselves, which is carried out in most cases by the offices of the municipality, without recourse to external tenders or invitations to tender. This type of approach severely limits the possibility of receiving external input from architects and urban planners in designing a new image for the city and is totally at odds with European practices where instead the choice of a public call for design becomes a regulatory requirement.

Another innovative aspect concerns the choice of introducing certain themes such as recovery, re-use and re-functionalisation, phenomena typical of urban regeneration in the European context, which are, however, extraneous and innovative in a reference context such as that of the city of Buenos Aires, where the large amount of land available makes the need to initiate, in such a context, the multiple indications provided at world level by the 2030 Agenda for Sustainable Development, first and foremost the reduction of soil consumption to zero by 2050, seem less pressing. The development plans proposed by the Argentine government seem to almost completely ignore these indications, as evidenced by the fact that there were no adhesions to World Soil Day in Argentina.2

The different moments of confrontation that followed during the working sessions allowed the Argentine participants to draw on innovative concepts expressed in some research projects in the architectural and urban sphere in Italy, also opening their eyes to design practices involving the introduction of new architectural elements within pre-existing buildings and urban structures (Marini, 2008).

Future scenarios

In the Argentinean context, obsolete practices still remain in use, far removed from the typical concepts of urban and territorial regeneration to which we are accustomed in the European context. The vision towards waste and scrap has an extremely negative connotation in these territories, as it is immediately associated with slums that make waste the raw material with which houses are built. It is difficult to unhinge the stigma that even leftovers and waste can be ennobled and become the matrix for new quality residential buildings. A first step forward in subsidised construction in Argentina could take the form of reversing the current trend that incomprehensibly encourages land consumption and subsidises the construction of new houses on land that is not yet urbanised. This vision could become an excellent starting point for rediscussing the

future development of Buenos Aires, focusing on regenerative practices that see the recovery of abandoned spaces and the reuse of waste as possible feasible practices, making the Reconstruir project a priority, which among current public policies for social housing, represents the only design methodology that avoids land consumption in favour of more sustainable practices but unfortunately only plays a marginal role. At the same time, they encourage the birth and development of urban regeneration agencies, which in Italy have proved their usefulness through experience, becoming an indispensable tool of doing architecture applied to social housing.

In order to pursue objectives of development and improvement of public processes of territorial and urban regeneration, university research has proved to be a decisive tool for the exchange of knowledge between academic realities that, despite having developed in different environments, have been able to influence each other. The contribution of the Italian university has allowed past and present regulations and case studies to be brought to light in the Argentine context, which with their experiences can avoid repeating mistakes already made in the European context, accelerating a process of improvement involving all processes related to the design of public space, through sustainability practices and strategic visions.*

NOTES

1 – During the workshop, which took place in December 2022, a series of lectures were held by Arch. Daniel D’Alessandro, Procrear project referent at the municipality of Morón (Buenos Aires), Arch. Alejandro Borrachia (dean of UniMorón), Prof. Giovanni La Varra, referent of the agreement at Uniud, and Arch. Alberto Cervesato, workshop organiser and coordinator.

2 – World Soil Day (WSD) is held annually on December 5th as a means to focus attention on the importance of healthy soil and to support the sustainable management of soil resources. Online: www.un.org/en/observances/ world-soil-day (Consulation URL May 2023).

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Gli spazi temporanei dell’ascesi

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01. Pessoa Luna Park. Giuseppe Salerno

The Temporary Spaces of Ascesis On the edge of contemporary cities, in urban interstices, beyond the fences of large metropolitan construction sites, numerous temporary, hybrid and interdisciplinary projects that speak of change and innovation are taking shape. How necessary is it to frame the temporary-permanent relationship in a dichotomous relation? What strategies does temporary experimentation in a disused place pursue? We will attempt to analyse the impact of temporary projects on the lives and bodies of their subjects by analysing two case studies: Les Grands Voisins and Pessoa Luna Park.*

Ai margini delle città contemporanee, negli interstizi urbani, oltre le recinzioni dei grandi cantieri metropolitani, stanno prendendo forma numerosi progetti temporanei, ibridi e interdisciplinari che parlano di cambiamento e innovazione. Quanto è necessario incasellare il rapporto temporaneo-permanente in una relazione dicotomica? Quali strategie insegue una sperimentazione temporanea in un luogo dismesso? Si tenterà di analizzare in che misura i progetti temporanei incidono sulla vita e sui corpi dei soggetti partendo dall’analisi di due casi studio: LesGrandsVoisins e Pessoa Luna Park.*

Piccole utopie situate e giochi a tempo nello spazio pubblico

i margini delle città contemporanee, negli interstizi urbani, oltre le recinzioni dei grandi cantieri metropolitani, stanno prendendo forma numerosi progetti temporanei, ibridi e spiccatamente interdisciplinari che parlano di cambiamento e di innovazione. Si tratta spesso di luoghi altri, di sperimentazioni temporanee che prendono forma negli spazi di ex ospedali militari, in enormi caserme in disuso o ancora più spesso in vecchi opifici dismessi in attesa di grandi trasformazioni. Spazi che un tempo producevano filati o metodologie coercitive per la cura delle anime diventano nuove officine ibride, fabbriche di innovazione che assegnano una nuova funzione manifatturiera agli inventori dei luoghi che abiteremo (Granata, 2021). La dimensione più singolare di alcuni di questi progetti è un rinnovato rapporto con la temporaneità degli spazi creati e un’indole interregionale (Foucault, 2015, p. 428), irriverente e volutamente irrequieta dei progettisti che se ne fanno carico. Questo contributo intende avviare un ragionamento aperto sulla dimensione spazio-temporale che occupa un progetto di riuso temporaneo e sulle strategie etiche che mette in campo la sperimentazione in un luogo dismesso trasformato temporaneamente in una piccola utopia urbana. La parola sperimentazione in questo caso va intesa come ascesi, ovverosia come esercizio atletico (Foucault, 2016, pp. 282-283): quell’attività ethopoietica di origine greco-antica che caratterizza i soggetti e i luoghi acrobatici che si fanno e si disfanno senza posa (Foucault, 1998). Si tenterà di analizzare in che misura i progetti temporanei incidono sulla vita e sui corpi dei soggetti e in che modo un progetto adattivo, comunitario e transitorio è in grado di modificare il rapporto tra il tempo e lo spazio. È in questo incrocio che la filosofia intesa come etica sperimentale incontra l’urbanistica transitoria e le teorie contemporanee sulle città del futuro. È preziosissima in tal senso l’analisi di LesGrandsVoisins (img. 02): un progetto pioneristico di occupazione temporanea di uno spazio urbano che ha trasformato l’Ancien hôpital Saint-Vincentde-Paul di Parigi dal 2015 al 2020 in una fabbrica di beni comuni. L’altro caso studio, più giovane e ancora

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in fieri, è Pessoa Luna Park (img. 01): uno spazio che si muove, un cortocircuito progettuale che, per indole e per irrequietezza, trasforma gli spazi dimenticati della città in piccole utopie temporanee utilizzando i linguaggi dell’innovazione, dell’arte e della creatività. La scelta di questi due casi studio è dettata innanzitutto da una conoscenza diretta degli spazi in questione, in particolare Pessoa Luna Park di cui sono co-fondatrice. L’intenzione attuale è duplice: da un lato, si vogliono scandagliare le straordinarie virtù trasformative della progettazione effimera su due scale di grandezza e di velocità diverse e, dall’altro, si intendono approfondire gli effetti socio-culturali della progettazione urbana quando supera i limiti dello specialismo e ribalta l’idea monolitica di progetto.

Il progettista-atleta non deve domare il disordine, deve progettarlo

Uno spazio di comunità temporaneo e ibrido è un progetto divergente e caotico per sua natura. Ciò che lo caratterizza è il fatto di trovarsi in uno stato di continua trasformazione non per via di un impulso rivoluzionario e sovversivo, ma per un’in-

clinazione congenita e fisiologica al cambiamento. È proprio la necessità materiale e concettuale di cambiare che permette a questo genere di luoghi di esistere e di coniugare in maniera lungimirante le virtù latenti dell’architettura temporanea con una commistione sapiente di disordine, filosofia politica, pratiche comunitarie e progettazione urbana. Oltre ogni forma di cieco specialismo (Granata, 2021), il progettista rinuncia all’autoreferenzialità del suo ruolo e si trasforma in un atleta dell’interdisciplinarietà che non ha il compito di domare il disordine, piuttosto ha il dovere di progettarlo. “Costruire lo spazio pubblico come processo implica progettarlo per l’incertezza” (Sendra e Sennett, 2022, p. 137). Il temporaneo assorbe l’incertezza e impollina i luoghi che progetta, manipola e inventa nuove forme di spazio pubblico apparentemente impossibili per realizzare temporaneamente punti di comunità, ecosistemi felici in cui il concetto di città aperta diventa laboratorio vivo di nuove pratiche. L’urbanista Maurizio Carta ritiene che una sperimentazione temporanea sia innovativa nel momento in cui diviene un dispositivo spaziale/culturale/sociale/ economico per migliorare la vita urbana contemporanea, in-

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02. Mappa illustrata de Les Grands Voisins | Illustrated map of Les Grands Voisins. Pauline Escot

dividuale e collettiva, informale e istituzionale, generatrice di benessere e felicità (Carta, 2016). Questo contributo muove da un’intuizione che somiglia solo apparentemente a un volo pindarico. Resta del tutto legittimo chiedersi cosa c’entri un concetto religioso come quello dell’askēsis con la progettazione di spazi ibridi. I progetti di urbanismo transitorio a vocazione sociale costruiscono delle piccole utopie urbane in cui non si teorizza un’idea innovativa di città, ma si performa, si progetta e si realizza una pratica incarnata e aperta di cittàprogetto. Ugualmente, l’etica sperimentale di cui ha parlato prima Nietzsche (Nietzsche, 1984) e poi Foucault e Sloterdijk non ha niente a che fare con i “tristi spettacoli offerti dall’ascesi cristiana di penitenza” (Sloterdijk, 2010, p. 240). Anche in questo caso non si parla dell’ascesi-concetto ma delle pratiche ascetiche che fanno sudare il soggetto che ha deciso di eliminare la passività da se stesso per passare “dal mero essereformato al versante del darsi forma” (ibidem). Parimenti, gli spazi temporanei infiniti e ibridi di cui parleremo nei paragrafi successivi hanno la medesima funzione acrobatica e generativa, solo che la applicano al progetto-città oltre che all’individuo che si fa soggetto. In tal senso, l’inventore di luoghi altri, che Granata chiama Placemaker, è un acrobata e la città acrobatica è uno spazio di innovazione sociale. Questo accade se si riesce a smantellare un binomio oramai consolidato che lega il concetto di permanenza a quello di benessere e l’idea di transitorietà alla precarietà. A tal proposito Bishop e Williams osservano che, nella metropoli contemporanea, sicurezza e permanenza sono diventate prerogative della ricchezza. Ovunque prevalga la povertà, le condizioni tendono a precipitare verso l’incertezza e la transitorietà, sia dal punto di vista fisico che legislativo. I due autori sottolineano come la proliferazione di situazioni di necessità, che spingono gruppi sociali all’utilizzo informale di spazi e edifici, venga spesso stigmatizzata dalle autorità come abusivismo. Al contrario, i progetti più illuminati di urbanismo transitorio testimoniano come la transitorietà possa diventare

uno strumento strategico per progettare esercizi collettivi di cambiamento. La temporary city di Bishop e Williams diventa a tutti gli effetti un luogo di resistenza sociale e una risposta alla rigida regolamentazione delle autorità. La progettazione effimera non si limita più ad essere uno strumento emergenziale, ma si trasforma in un dispositivo di innovazione sociale che è in grado di intercettare i bisogni latenti di una comunità, di inaugurare nuovi quadri normativi e di avviare in maniera più agile processi di cambiamento (Bishop e Williams, 2012).

LesGrandsVoisins, una fabbrica urbana di generosità LesGrandsVoisins (img. 03) spalanca le sue porte nel cuore della città di Parigi con una missione chiara: aprire con audacia e generosità uno spazio temporaneamente vuoto. L’associazione Aurore, la cooperativa Plateau Urbain e l’associazione Yes We Camp hanno co-fondato LesGrandsVoisins con l’obiettivo di trasformare gli spazi dell’ex Ospedale SaintVincent de Paul di Parigi in una delle esperienze più pionieristiche a livello europeo nel campo dell’urbanismo transitorio e dell’innovazione socio-culturale. Il nome del progetto non è certamente casuale: grande è l’ambizione di promuovere in uno spazio ibrido i valori dell’ospitalità e della generosità e centrale è la necessità di fare in modo che lo spazio si faccia luogo di scambio, un espace-temps per testare nella realtà quotidiana l’incontro di pubblici eterogenei su questioni urgenti di solidarietà. Ognuno degli attori coinvolti ha contribuito alla trasformazione di uno spazio vuoto in un hub multiforme, ibrido, in uno di quei lieuxinfiniis (img. 04) che nascono per esplorare processi collettivi, luoghi aperti che producono degli spazi di libertà in cui si cercano delle alternative. I tre partner di progetto decidono di trasformare il problema dell’assenza di spazi economica-

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03. Architetture leggere de Les Grand Voisins | Les Grand Voisins light architecture. Yes We Camp
La città acrobatica è uno spazio di innovazione sociale

mente accessibili nel cuore della capitale francese in una sperimentazione quinquennale di riuso temporaneo dello spazio pubblico. La straordinarietà del progetto risiede nella capacità di reinterpretare la temporaneità dell’intervento in chiave strategica con delle linee d’azione pronte a generare e a misurare l’impatto positivo prodotto su diversi fronti. Il dossier realizzato alla chiusura del progetto parte dall’analisi di dieci azioni. Più che un report va inteso come un manifesto concreto: non un’enumerazione di ideali astratti, ma un elenco di azioni effettivamente compiute, sperimentate e misurate.

Un report-manifesto

Le strategie attivate durante la sperimentazione quinquennale di LesGrandsVoisins includono una varietà di aspetti, il più significativo è la riattivazione di 3,4 ettari di spazi vuoti nel centro di Parigi per scopi socio-culturali. Oltre 2000 persone hanno vissuto e lavorato negli spazi condivisi, sono stati coinvolti oltre 5000 volontari e sono stati attivati più di 1000 alloggi di emergenza. Il progetto ha fornito inoltre rifugio a 600 persone durante le notti avverse. Gli spazi di lavoro aperti prevedevano un tariffario accessibile di 250€/m²/anno favorendo spazi di lavoro incentrati su diverse pratiche emergenti e innovative, rendendo così accessibile il centro della città di Parigi. Sono stati ospitati oltre 300 eventi e 600.000 visitatori

processi corrosivi della gentrificazione nelle grandi realtà metropolitane. La riattivazione temporanea di spazi in questo caso non viene utilizzata come fine, ma come strumento per trasformare un gigante urbano in attesa di nuove configurazioni in uno spazio per lo sviluppo personale e per la realizzazione delle aspirazioni dei cittadini (Carta, 2017). Un progetto di riuso temporaneo come questo aumenta il potere trasformativo del progetto e genera un impatto sociale e culturale significativo attraverso azioni integrate quali: la co-progettazione dello spazio pubblico, la produzione di servizi innovativi, l’attivazione di nuove economie sostenibili, la partecipazione attiva dei cittadini nei processi decisionali, l’attivazione di nuove frontiere della produzione culturale e l’implementazione di servizi emergenziali di accoglienza.

Pessoa Luna Park, uno spazio di audace sperimentazione

all’anno. La gestione annuale è costata 2 milioni di euro suddivisi tra le tre organizzazioni. L’approfondimento del reportmanifesto de LesGrandsVoisins rende chiaro quanto sia utile delineare un nuovo quadro operativo che proponga il ruolo delle città come piattaforme che amplificano le competenze umane, accelerano le responsabilità collettive e rallentano i

Se per Omero il barbaro era “colui le cui parole suonano bar-bar”, un invasore che proveniva da terre lontane e parlava una lingua incomprensibile, Pessoa Luna Park si propone invece come un barbaro gentile che non irrompe negli spazi per demolirli, ma per fare in modo che l’effetto disruption (Sendra e Sennett, 2022) smuova le acque, acceleri e faciliti i processi di riattivazione e di cambiamento. Del barbaro conserva la condizione di eterno outsider che parla una lingua nuova, ma si pone con gentilezza nelle città in cui fa tappa perché il suo scopo non è distruggere, ma risvegliare, riattivare, rimettere sotto la luce dei riflettori gli spazi dimenticati delle città. Si tratta di un progetto itinerante che si occupa di innovazione culturale attraverso l’uso volontario e provocatorio di diversi linguaggi che si mescolano senza soluzione di continuità. Pessoa Luna Park è un progetto nato nel 2019 con una missione: trasformare temporaneamente gli spazi dimenticati della città in piccole utopie urbane. Lo fa secondo una metodologia inaspettatamente ordinata che ruota principalmente attorno ai concetti di temporaneità, gioco e

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04. Lieux infinis, Padiglione francese della Biennale di Venezia 2018 | French Pavilion, Biennale di Venezia 2018. Yes We Camp
Un luogo interrogativo che assorbe, sente, ascolta e fotografa il passaggio di chi lo attraversa

mescolanza. Parte dalla mappatura degli spazi sottoutilizzati presenti in città, avvia una fase di analisi del contesto dello spazio scelto attraverso campagne di comunicazione non convenzionali, interviste dirette, sondaggi e dispositivi interattivi o installazioni di gioco che usano il linguaggio delle tecnologie emergenti e dell’arte contemporanea. Inaugura quindi una conversazione istituzionale con gli enti proprietari del bene per applicare una formula amministrativa agile che permetta di abitare temporaneamente gli spazi scelti. Il progetto parallelamente lavora su una dimensione orizzontale e democratica: ingaggia una comunità estesa di stakeholder locali attraverso una fase intensa di scambi e di momenti di coprogettazione, avvia un cantiere partecipato di auto-costruzione rivolto a studenti, cittadini attivi e partner locali (img. 05) attraverso open call mirate e, alla luce di quanto emerge dalle fasi preliminari descritte fino a qui, restituisce alla città un nuovo spazio culturale ibrido in cui è possibile giocare, riparare o prototipare oggetti nel fablab, partecipare a laboratori o ad uno degli eventi culturali in programma. Pessoa Luna Park diventa un dispositivo in cui la temporaneità assume un duplice valore. Da un lato, il tempo limitato della permanenza di Pessoa Luna Park nello spazio riattivato permette di osservare e di misurare in maniera relativamente immediata i desideri espressi da parte della comunità coinvolta (stakeholder, partner di progetto, comunità estesa, visitatori). E questo è possibile perché lo spazio che è allestito con architetture leggere, dispositivi di gioco e installazioni d’arte interattive rendono Pessoa Luna Park un luogo interrogativo che assorbe, sente, ascolta e fotografa il passaggio di chi lo attraversa. Dall’altro lato, la riattivazione temporanea di Pessoa assume il valore di apripista, di prima sperimentazione di usi inediti di un luogo dismesso. In tal modo, la sua durata limitata nel tempo lascia spazio e possibilità di azione ai progetti futuri.

Conclusioni

I luoghi infiniti, gli spazi ibridi temporanei a vocazione sociale sono sperimentazioni audaci, luoghi che si fanno e

si disfanno in piena continuità con i desideri dei soggetti che li abitano. Un progetto adattivo, comunitario e transitorio può essere considerato uno spazio di ascesi contemporanea se la progettazione temporanea si fa carico di una straordinaria e incessante capacità trasformativa e se la durata limitata nel tempo non diviene limite progettuale, ma terreno di audace sperimentazione. Per dirla con le parole di Sloterdijk, un’utopia situata (Foucault, 2016) è un teatro aperto di esercizi antropotecnici, di atti performativi che non riducono moralmente il cittadino in performer, ma attivano una modalità di gioco a tempo nello spazio condiviso che disincentiva la pigrizia civica e attiva con più vigore la propensione al cambiamento. Lo disegno, lo immagino e lo realizzo in un tempo che somiglia al desiderio collettivo di trasformazione dello spazio pubblico. Gli spazi temporanei acquisiscono straordinarie virtù generative se si esercitano a morire. La morte in questione va intesa chiaramente come esercizio ascetico, come strumento ethopoietico teso a rafforzare una certa capacità organizzativa degli spazi a decomporsi e a trasformarsi in fertilizzante di nuove possibilità, di altri spazi, di contenitori cangianti dotati di una sensibilità comunitaria fuori dal comune.*

BIBLIOGRAFIA

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05. Il cantiere partecipato di Pessoa Luna Park | Pessoa Luna Park self-construction workshop. Giuseppe Salerno

Introduction

On the fringes of contemporary cities, in urban interstices and beyond the fences of large metropolitan construction sites, numerous temporary, hybrid, and distinctly interdisciplinary projects are taking shape, speaking of change and innovation. These are often spaces of experimentation that emerge in former military hospitals, vast unused barracks, or more commonly, old abandoned factories awaiting significant transformations. Spaces that once produced textiles or enforced methodologies for the care of souls are now becoming new hybrid workshops and innovation factories that assign a new manufacturing function to the inventors of the places we will inhabit (Granata, 2021). The most remarkable dimension of some of these projects is a renewed relationship with the temporality of the created spaces and the interregional1, irreverent, and deliberately restless nature of the designers who undertake them. This contribution aims to initiate an open discussion on the spatiotemporal dimension that characterizes temporary reuse projects and the ethical strategies employed in the experimentation of temporarily transformed disused places into small urban utopias. In this case, the term “experimentation” should be understood as asceticism, an athletic exercise2: the ethopoietic activity of ancient Greek origin that characterizes the subjects and acrobatic places that are constantly created and dismantled (Foucault, 1998). We will attempt to analyze the extent to which temporary projects impact the lives and bodies of people and how an adaptive, community-oriented, and transitory project can redefine the relationship between time and space. It is at this intersection that philosophy, understood as experimental ethics, encounters transitory urbanism and contemporary theories about cities of the future. In this regard, the analysis of Les Grands Voisins (image 02) is extremely valuable: a pioneering project of temporary occupation of an urban space that transformed the former Saint-Vincent-de-Paul Hospital in

The Temporary Spaces of Ascesis

Small heterotopias and time-based games in public space

Paris into a third place from 2015 to 2020. The other case study, younger and still in progress, is Pessoa Luna Park (image 01): a space in motion, a design short circuit that, by nature and restlessness, transforms forgotten spaces of the city into temporary small utopias using the languages of innovation, art and creativity. The choice of these two case studies is primarily driven by direct knowledge of the spaces in question, particularly Pessoa Luna Park, of which I am a co-founder. The current intention is twofold: first, to explore the extraordinary transformative virtues of ephemeral design on two different scales and speeds, and second, to delve into the socio-cultural effects of urban design when it surpasses the limits of specialization and overturns the monolithic idea of the architectural project.

The designer-athlete should not tame disorder, but rather design it

A temporary and hybrid community space is inherently divergent and chaotic. What characterizes it is its state of continuous transformation, not driven by a revolutionary or subversive impulse, but by an inherent and physiological inclination for change. It is precisely the material and conceptual need for change that allows these types of places to exist and skillfully combine the latent virtues of temporary architecture with a thoughtful blend of disorder, political philosophy, community practices and urban design. Beyond any form of blind specialization (Granata, 2021), the designer relinquishes the self-referentiality of their role and becomes an athlete of interdisciplinarity whose duty is not to tame disorder, but to design it. “Building public space as a process implies designing it for uncertainty”

(Sendra and Sennett, 2022, p. 137). The temporary absorbs uncertainty and fertilizes the places it designs, manipulating and inventing new forms of seemingly impossible public spaces to temporarily create points of community, happy ecosystems where the concept of an open city becomes a vibrant laboratory of

new practices.

The Italian urbanist Maurizio Carta believes that temporary experimentation is innovative when it becomes a spatial/cultural/social/ economic device to enhance contemporary urban life both individually and collectively, informal and institutional and generate wellbeing and happiness (Carta, 2016). This contribution arises from an insight that may superficially resemble a flight of fancy. It is entirely legitimate to question the connection between a religious concept like askēsis and the design of hybrid spaces. Transitory urban projects with a social vocation construct small urban utopias where an innovative idea of a city is not theorized, but performed, designed, and realized as an embodied and open practice of a city-project. Similarly, the experimental ethics discussed by Nietzsche (Nietzsche, 1984), Foucault, and Sloterdijk have nothing to do with the “sad spectacles offered by the Christian asceticism of penance” (Sloterdijk, 2010, p. 240). In this case as well, we are not referring to the concept of asceticism, but rather to the ascetic practices that make the subject sweat, as they decide to eliminate passivity and transition “from mere being-formed to the aspect of giving oneself form” (ibid). Likewise, the infinite and hybrid temporary spaces we will discuss in the following paragraphs serve the same acrobatic and generative function, applied not only to the individual becoming a subject but also to the city as a project. In this sense, the inventor of “other places” whom Granata refers to as the Placemaker, is an acrobat, and the acrobatic city is a space of social innovation. This occurs when it becomes possible to dismantle an established pairing that links permanence to well-being and transience to precariousness. In this regard, Bishop and Williams observe that in contemporary metropolises, security and permanence have become privileges of prosperity. Wherever poverty prevails, conditions tend to gravitate towards uncertainty and transience, both physically and legislatively. The two authors emphasize how the prolif-

44 TRANSIZIONI Azzurra M. Galeota

eration of necessity-driven situations, leading social groups to informally utilize spaces and buildings, is often stigmatized by authorities as illegal occupation. Conversely, enlightened projects in temporary urbanism testify to how transience can become a strategic tool for designing collective exercises of change. Bishop and Williams’ temporary city effectively becomes a site of social resistance and a response to the rigid regulations imposed by authorities. Ephemeral design is no longer limited to being an emergency measure; it transforms into a device for social innovation capable of addressing latent community needs, inaugurating new normative frameworks, and facilitating agile processes of change (Bishop and Williams, 2012).

LesGrandsVoisins, an urban factory of generosity

Les Grands Voisins (Image 03) throws open its doors in the heart of Paris with a clear mission: to boldly and generously open up a temporarily vacant space. The association Aurore, the cooperative Plateau Urbain, and the association

Yes We Camp co-founded Les Grands Voisins with the goal of transforming the spaces of the former Saint-Vincent de Paul Hospital in Paris into one of the most pioneering experiences in Europe in the field of temporary urbanism and socio-cultural innovation. The project’s name is certainly not coincidental: the ambition is to promote the values of hospitality and generosity in a hybrid space and the central focus is to ensure that the space becomes a place of exchange, an espace-temps where heterogeneous audiences come together to address urgent issues of solidarity. Each of the actors involved has contributed to the transformation of an empty space into a multifaceted, hybrid hub, one of those lieux infiniis (image 04) that emerge to explore collective processes, open spaces that generate areas of freedom where alternatives are sought. The three project partners decided to tackle the problem of the lack of economically accessible spaces in the heart of the French capital by embarking on a fiveyear experiment of temporary reuse of public space. The extraordinary aspect of the project lies in its ability to strategically reinterpret the temporality of the intervention with concrete actions designed to generate and measure the positive impact produced on various fronts. The dossier compiled at the conclusion of the project begins with an analysis of ten actions. It is more than a mere report; it should be seen as a tangible manifesto—a not just a list of abstract ideals, but rather a compilation of actions that were actually carried out, experimented with, and measured.

A Report-Manifesto

The strategies implemented during the fiveyear experimentation of Les Grands Voisins encompass a variety of aspects, with the most significant being the reactivation of 3.4 hectares of vacant spaces in the center of Paris for socio-cultural purposes. Over 2,000 people lived and worked in these shared spaces, involving more than 5,000 volunteers and

activating over 1,000 emergency accommodations. The project also provided shelter for 600 people during adverse nights. The open workspaces offered an accessible tariff of €250/ m²/year, promoting workspaces focused on diverse emerging and innovative practices, thereby making the center of Paris accessible. Over 300 events and 600,000 visitors were hosted annually. The annual management cost amounted to €2 million, divided among the three organizations.

The in-depth analysis of Les Grands Voisins’ report-manifesto makes it clear how useful it is to outline a new operational framework that proposes the role of cities as platforms that amplify human capabilities, accelerate collective responsibilities, and slow down the processes of gentrification in large metropolitan areas. The temporary reactivation of spaces, in this case, is not used as an end in itself but as a tool to transform an urban giant awaiting new configurations into a space for personal development and the fulfillment of citizens’ aspirations (Carta, 2017). A temporary reuse project like this enhances the transformative power of the project and generates significant social and cultural impact through integrated actions such as co-designing public spaces, producing innovative services, activating new sustainable economies, involving citizens actively in decision-making processes, exploring new frontiers of cultural production, and implementing emergency hospitality services.

Pessoa Luna Park, a Space of Audacious Experimentation

If for Homer the barbarian was “the one whose words sound bar-bar,” an invader who came from distant lands and spoke an incomprehensible language, Pessoa Luna Park presents itself as a gentle barbarian who does not burst into spaces to demolish them, but to ensure that the disruption effect (Sendra and Sennett, 2022) stirs the waters, accelerates, and facilitates processes of reactivation and change. It retains the condition of the eternal outsider who speaks a new language but approaches cities with kindness because its purpose is not to destroy but to awaken, reactivate, and bring forgotten spaces of the city back into the spotlight. It is a traveling project that deals with cultural innovation through the voluntary and provocative use of various seamlessly blended languages. Pessoa Luna Park was born in 2019 with a mission: to temporarily transform forgotten spaces of the city into small urban utopias. It does so according to an unexpectedly orderly methodology that revolves primarily around the concepts of temporality, play, and blending. The project starts with the mapping of underutilized spaces in the city, initiating an analysis phase of the chosen space through unconventional communication campaigns, direct interviews, surveys, and interactive devices or game installations that employ the language of emerging technologies and contemporary art. It then initiates an institutional conversation with the property owners to apply an agile administrative formula that allows for temporary inhabitation of the cho-

sen spaces. The project simultaneously works on a horizontal and democratic dimension, engaging an extended community of local stakeholders through intense exchanges and co-design moments. It launches a participatory self-construction site targeting students, active citizens, and local partners (image 06) through targeted open calls. Based on the findings from the preliminary phases described so far, it returns to the city a new hybrid cultural space where one can play, repair, or prototype objects in the fab lab, participate in workshops, or attend one of the scheduled cultural events. Pessoa Luna Park becomes a device where temporality assumes a dual value. On one hand, the limited time of Pessoa Luna Park’s presence in the reactivated space allows for relatively immediate observation and measurement of the desires expressed by the involved community (stakeholders, project partners, extended community, visitors). This is made possible because the space, set up with lightweight structures, gaming devices, and interactive art installations, turns Pessoa Luna Park into a questioning place that absorbs, senses, listens, and captures the passage of those who traverse it. On the other hand, the temporary reactivation of Pessoa assumes the value of a trailblazer, a first experiment in the unprecedented uses of a abandoned place. In this way, its limited duration allows for space and possibilities for future projects to unfold.

Conclusions

Infinite places, temporary hybrid spaces with a social vocation are audacious experiments, spaces that come into being and dissolve in full continuity with the desires of the individuals who inhabit them. An adaptive, communityoriented, and transitory project can be considered a space of contemporary asceticism if temporary design takes on an extraordinary and constant transformative capacity, and if the limited duration does not become a design limitation but rather a ground for bold experimentation. To put it in Sloterdijk’s words, a situated utopia (Foucault, 2016) is an open theater of anthropotechnical exercises, performative acts that do not morally reduce the citizen to a performer but activate a mode of time-based play in shared space, discouraging civic laziness and energizing the propensity for change. I design it, imagine it, and bring it to life in a time that resembles the collective desire for the transformation of public space. Temporary spaces acquire extraordinary generative virtues when they practice dying. The death in question should be clearly understood as an ascetic exercise, as an ethopoietic tool aimed at strengthening the organizational capacity of spaces to decompose and transform into fertilizer for new possibilities, other spaces, everchanging containers endowed with an uncommon community sensitivity.*

NOTES

1 – Foucault, 2015, p. 428.

2 – Foucault, 2016, pp. 282-283.

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Verso l’urbanistica della gentilezza

46 TRANSIZIONI 01. Incontri di progetto al Parco XXII Aprile | Project meetings at Parco XXII Aprile.
Giancarlo Pradelli Martina Gaia Corradini Architetto, membro del gruppo G124_Renzo Piano 2020. marti.corradini@gmail.com Davide Crippa Ricercatore RTDb, Disegno industriale, Università Iuav di Venezia. dcrippa@iuav.it Barbara Di Prete Professore Associato, Disegno industriale, Politecnico di Milano. barbara.diprete@polimi.it Paolo Pasteris Dottorando in Scienze del design, Università Iuav di Venezia. ppasteris@iuav.it

Toward the Urbanism of Kindness Analyzing the methods of different “grassroots approach” movements, such as Repubblica del Design, G124_Renzo Piano Group, UnPark (PoliSocial award) or urban experiments such as the “DaCosaNasceCosa” program (which transforms collected plastic waste to urban furniture), it can be outlined how the social and spatial change of the city mainly comes from practices that generate engaging places of beauty. Re-discovering the value both of the suburbs and of those who live there, can lead to the triggering of virtuous processes, with essential impact on the policy of inhabit.*

Analizzando i metodi dei diversi movimenti “nati dal basso” come quello di Repubblica del Design, del Gruppo G124_Renzo Piano, di UnPark (premio PoliSocial) o degli esperimenti urbani come il programma DaCosaNasceCosa (che trasforma rifiuti plastici raccolti in arredi urbani), si può delineare come il cambiamento sociale e spaziale della città passi soprattutto da pratiche che generano coinvolgenti luoghi di bellezza. Riscoprire il valore della periferia e di chi vi risiede può portare all’innesco di processi virtuosi con ripercussioni importanti sulla politica dell’abitare.*

Nuove pratiche per la rigenerazioni delle periferie

ntroduzione

Il graduale allontanamento tra le amministrazioni e la vita cittadina, il rinnovato bisogno di luoghi aperti dopo l’avvento della pandemia e la necessità di coinvolgimento in spazi di prossimità per soggetti complici di un nomadismo globale, stanno portando a una rinnovata consapevolezza nell’uso del territorio e a una rinegoziazione nel tessuto cittadino. In questo contesto le periferie, che per anni sono state il fulcro dello sviluppo economico, sociale ed urbanistico del paese, strette tra cinture di strade e ferrovie che ne hanno amplificato le distanze dalla città, ridefiniscono oggi i loro valori, fatti di una quotidianità a misura d’uomo. Nelle periferie risiede infatti la maggior parte della popolazione italiana e mondiale, con una storia che, a differenza dei centri storico-artistici, richiede di essere raccontata, confutando la più generica visione delle periferie come luoghi degradati e abbandonati. I casi studio che seguono rappresentano una serie di movimenti nati “dal basso” in cui i promotori del cambiamento sono stati i residenti stessi dei quartieri, supportati da professionisti (architetti, designer, progettisti e artisti) in grado di “interrogare” idealmente la complessità delle periferie, calandosi nei processi di trasformazione dello spazio antropico (Leoni, 2021).

Il percorso portato avanti nei due capoluoghi di Modena e Milano, ha voluto cogliere l’essenza di luoghi abbandonati, angoli dimenticati e rifiuti urbani, trasformandoli in una vera e propria valorizzazione dello “scarto”, con percorsi di progettazione partecipata dove i professionisti hanno osservato e ascoltato le comunità residenti, lavorando insieme per modificare la percezione degli spazi quotidiani. In questi contesti vengono a delinearsi due nuove figure di riferimento nella rigenerazione urbana, vicine negli obiettivi ma con metodi di lavoro differenti:

“l’architetto condotto” (G124 Renzo Piano) e il “designer facilitatore”.

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Obiettivi

Partendo dalle attività svolte in due città molto diverse come Modena e Milano, si dimostrerà come l’innesco di processi virtuosi nelle periferie, possa avere ripercussioni reali sull’amministrazione dei quartieri di progetto, e di come l’affezione al luogo e l’urbanistica della gentilezza, possano generare nuove possibilità di partecipazione sia tra professionisti uniti nel definire nuove forme di combinazione delle discipline, che tra cittadini con un chiaro obiettivo di riconquista degli spazi urbani.

Approccio e metodi: il caso Modena e il G124 di Renzo Piano

Il progetto G124 nasce nel 2014 quando il Senatore

Renzo Piano presentò per la prima volta il concetto di “rammendo delle periferie” (Piano, 2014), ovvero una serie di interventi atti a riconnettere lembi di città degradati attraverso metodologie di progettazione partecipata.

L’approccio si basa sul lavoro in team di giovani “architetti condotti” che attraverso la presenza nei quartieri e la collaborazione attiva con i residenti e le associazioni, mirano a sviluppare piccoli progetti, generando avamposti di bellezza e rispondendo ai bisogni della cittadinanza. Come spiega l’arch. Piano infatti, “l’architetto condotto” opera come un “[…] medico che si preoccupa di curare non le persone

progetto e le persone che vi risiedono. Dal 2014 ad oggi sono stati sviluppati tre nuovi progetti in tre diverse città italiane ogni anno, che hanno portato alla nascita di circoli virtuosi tra i cittadini e alla riscoperta di aree periferiche abbandonate.

Nel 2020 il gruppo G124 dell’Università di Bologna ha lavorato sul cambiamento nella narrazione di Parco XXII Aprile nel quartiere Crocetta di Modena, un luogo conosciuto dalla cronaca locale come degradato e pericoloso. Sin dai primi sopralluoghi con le numerose associazioni del quartiere impegnate nelle attività del parco, emerse subito come malgrado fosse sconosciuto dai cittadini modenesi, il parco fosse in realtà vivamente frequentato dalla comunità del quartiere che ne denunciava però lo stato di degrado e la mancanza dei servizi basilari come aree ristoro e spazi coperti per gli eventi estivi. Seppur rallentati dall’inizio dell’emergenza pandemica, il primo approccio del gruppo G124 fu quello di interrogare la comunità con una serie di interviste e questionari da svolgere da casa, procedendo poi con una prima stesura del progetto presentato durante un evento all’aria aperta, occasione inoltre per raccogliere osservazioni e commenti sul progetto.

Piccoli gesti che mirino a riscoprire la bellezza nelle periferie

malate ma gli edifici malandati e a rischio di crollo in caso di sisma. Essere architetto condotto insegna una cosa importantissima: l’arte di ascoltare e di trovare la soluzione. Per questo occorrono diagnostica e microchirurgia e non la ruspa o il piccone. L’idea è quella di ricucire senza demolire, la leggerezza come dimensione tecnica e nel contempo umana[…]”(Piano, 2016). Interventi leggeri quindi 1, in grado di cambiare la percezione dei luoghi rispettando il contesto di

Anche il nome dell’intervento nacque da un colloquio con i “portatori di interesse” (frequentatori del parco) intervistati, che osservando l’uso collaborativo degli spazi (attraverso feste spontanee e riunioni domenicali) e le attività di cura degli elementi del parco (volontari impegnati nella cura del verde, anziani che piantavano piccole primule nei vasi del parco e associazioni che manutenevano gli arredi del parco) definirono il parco come il Cortile della Crocetta.Il progetto realizzato dal gruppo G124 si compone di quattro elementi, nati dai bisogni intercettati durante il progetto partecipato (img. 01). Tutti gli elementi di progetto mirano a rigenerare l’affezione al luogo tramite la collaborazione con i residenti anche e soprattutto nella realizzazione delle strutture. Durante la piantumazione degli alberi si è resa evidente la prima “goccia”, una “scintilla” nei

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bambini chiamati a collaborare alla realizzazione del bosco, che, attraverso l’adozione di un albero, hanno iniziato a sentire una responsabilità e un legame verso quel luogo, chiedendo a parenti e amici di visitarlo anche durante i fine settimana. Gli altri elementi che compongono l’intervento sono Il Riparo e Il Convivio, rispettivamente un padiglione (img. 02) e un lungo tavolo in legno, aperti e fruibili a tutte le ore per attività ed eventi al coperto in cui già dalla prima estate le associazioni del quartiere hanno organizzato serate di ballo, cinema all’aperto e attività pomeridiane con i ragazzi, richiamando l’attenzione dei giornali e della comunità residente. In ultimo, in collaborazione con TRAC-Tresoldi Academy, è stata realizzata HORA, un’opera d’arte per monumentalizzare la socialità del parco con la sua struttura effimera in rete metallica che dona allo spazio un punto di bellezza, ritrovo e sosta. Anche se a causa dell’avvento della pandemia la fase di analisi e progettazione hanno risentito della mancanza di incontri in situ con i “portatori di interesse”, grazie al coinvolgimento nei

numerosi eventi delle associazioni, il parco è oggi simbolo di aggregazione e inclusione, in cui un nuovo progetto ha cercato di generare “bellezza che si coniuga con l’idea di qualità” (Piano, 2019), richiamando l’attenzione dell’amministrazione locale che ha dedicato al parco nuove risorse e una serie di interventi di riqualificazione dell’arredo urbano.

Approccio e metodi: il caso di Milano e la Repubblica del Design

Se a Modena il team di Renzo Piano immagina la figura “dell’architetto condotto”, a Milano l’associazione Repubblica del Design porta avanti la figura del “designer facilitatore”: una figura trasversale in grado di identificare i bisogni e potenzialità del distretto Bovisa di Milano trasformandoli in vere e proprie occasioni di sviluppo per il quartiere. Repubblica del Design è l’associazione territoriale nata nel marzo 2019 per operare, con il Comune di Milano tramite un accordo di collaborazione, sul territorio dell’area di

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02. Il Bosco e il Riparo | The Woods and the Shelter. Alessandro Lana

Dergano-Lancetti-Bovisa con azioni di rigenerazione urbana (Crippa, 2020) usando il driver del design come acceleratore del cambiamento dell’uso e della percezione degli spazi.

Un ragionamento, quello portato avanti dai designer dell’associazione, che si basa sullo storytelling del quartiere, sul processo di riscoperta e sul potere immaginifico del progetto. Gli strumenti principali sono quelli del programma milanese di Piazze Aperte e dell’urbanistica tattica. Parliamo quindi di strumenti leggeri a volte addirittura immateriali, come ad esempio la vernice, arredi urbani, interventi di landscape, l’uso della luce o della realtà aumentata. Seguono questa direzione gli interventi del 2019 nel quartiere di Bovisa come il Monumento del design (img. 03) o l’Ultrapiazza, e l’intervento di via Toce dove il design pittorico è lo strumento per progettare l’unione dei due giardini divisi da una strada. Un design pittorico che si fa racconto della storia del luogo nel primo caso, si fa strumento di ridefinizione dello spazio nel secondo caso e si trasforma in una nuova favola urbana nell’ultima. Una strada che si anima delle riflessioni di pedagogia di Bruno Munari e dona alla vicina

modo sempre diverso in base al luogo, raccontando ogni volta una storia differente. Un modo per ridare luce alle periferie costruendo racconti partecipativi (img. 05): durante il lockdown si è coinvolta la cittadinanza nella scelta di una sequenza di messaggi dedicati al tema #futuro e della #speranza, trasmessi in sequenza continua insieme a opere d’arte digitali (img. 06) In questo modo dalle principali vie di traffico veicolare e ferroviario è stato possibile ritrovare il valore della connessione visuale tra i luoghi, e identificarli con il carattere in continuo mutamento dei suoi abitanti. Con modalità simili si svolge anche il progetto Un-Park finanziato dal premio Polisocial del Politecnico di Milano che immagina tramite vernici e arredi urbani una riappropriazione del sotto viadotto di Monteceneri (area periferica a lato del quartiere Bovisa a Milano). Tutti i progetti citati hanno in comune il metodo, basato sull’uso dei workshop per la progettazione ai quali partecipano designer e artisti insieme a una selezione di abitanti del quartiere. Queste sessioni sono anticipate da incontri di codesign con i comitati di cittadini per definire i brief di progetto, e sono seguiti da appuntamenti di lavoro sul campo dedicati alla co-realizzazione di progetti con target specifici (bambini, anziani, comunità di immigrati) o genericamente con gli abitanti del quartiere.

scuola materna un nuovo gioco a scala cittadina (img. 04). Il gioco diventa quindi elemento attrattivo, dalla forte valenza educativa e un efficace strumento di socializzazione. Oltre all’uso della vernice l’associazione sperimenta l’uso di un altro elemento effimero come la luce, il progetto illumina-MI, attraverso installazioni urbane site-specific mette in scena dispositivi luminosi dinamici capaci di configurarsi in

Il fitto sistema di azioni sul territorio milanese di Repubblica del Design infine ha dato vita a un programma definito Urbanistica della gentilezza dove tramite l’iniziativa DaCosaNasceCosa (imgg. 07-08) promuove nei quartieri milanesi di Lancetti, Isola, Dergano e Bovisa, un progetto pilota di economia circolare a base locale intervenendo sul problema dei rifiuti plastici. In un mondo sempre più impegnato nella salvaguardia dell’ambiente, il progetto mira a responsabilizzare verso l’utilizzo di plastica con lo scopo di modificare gradualmente le abitudini quotidiane dei cittadini. Ogni utente potrà lasciare

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03. Monumento del Design | Monument of Design. Ghigos
Consapevolizzare l’utilizzo di plastica con lo scopo di modificare gradualmente le abitudini quotidiane dei cittadini
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04. Intervento in via Toce a Milano Il gioco è una cosa seria
|
Tactical urbanismin via Toce a Milano Il gioco è una cosa seria Ghigos

nei vari punti di raccolta alcuni tipi di rifiuti in plastica, che saranno utilizzati per produrre veri e propri oggetti di design e manufatti a uso pubblico. Un progetto arrivato alla terza edizione e che vede la partecipazione anche di note aziende (come Carlsberg e Fercam) che sposando la filosofia usano i loro rifiuti plastici come materiale da costruzione per ripensare gli spazi urbani.

Risultati e discussione

Nei progetti menzionati, la collaborazione attiva dei cittadini, dimostra come la volontà di sanare situazioni di di-

sagio insieme a un chiaro bisogno di partecipare al cambiamento ecosostenibile della società possa coniugarsi con metodi di co-progettazione e co-realizzazione, in contrasto con la più classica pianificazione urbana, che mira a ridefinire gli schemi urbanistici e instaurare un controllo più severo sugli spazi. Per la buona riuscita dei progetti, la mediazione fondamentale tra sfera pubblica e privata viene attuata dai tanti professionisti coinvolti, con interventi che non siano una mera risposta ai bisogni, ma integrino nuove soluzioni di riscoperta e narrazione delle periferie, nonché introducano nuove funzioni catalizzatrici. A questo scopo le figura dell’”architetto condotto” e del “designer facilitatore” hanno decriptato la complessità dello spazio antropico tramite l’ascolto, supportando le potenzialità del luogo con progetti di architettura nel primo caso, e creando network di comunità in un’ottica di rigenerazione

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05. Progetto IlluminaMi | IlluminaMi Project. Davide Ostoni 06. Progetto IlluminaMi al Birrificio “La Ribalta” | IlluminaMi Project at the “La Ribalta” Brewery. Davide Stanga
Driver del design come acceleratore del cambiamento dell’uso e della percezione degli spazi

sostenibile nel secondo. Il risultato è stato un crescente interessamento da parte delle amministrazioni e partner decisi a supportare il cambiamento sostenibile.

Conclusioni

In conclusione, seppur lontane culturalmente e geograficamente, gli interventi su Modena e Milano dimostrano all’unisono come la buona riuscita dei progetti sia dovuta al cambiamento di visione, al marketing territoriale e all’affezione agli elementi che compongono lo spazio urbano. L’introduzione di interventi leggeri e conservativi del contesto, hanno portato all’auto-rigenerazione degli spazi, producendo attrattività e coinvolgimento tra i cittadini. A questo scopo per sostenere la trasformazione delle periferie, i progettisti dovranno essere sempre più delle figure multidisciplinari in grado coinvolgere le comunità protagoniste del cambiamento e ampliando le ripercussioni dei processi su scala sempre maggiore.*

NOTE

1 – L’arch. Piano durante i tanti incontri con i giovani architetti ha sempre suggerito di ideare piccoli progetti, che potessero essere realizzati insieme alle comunità nell’arco di un anno solare, definendoli “[…]una prima piccola goccia di rammendo delle periferie[…]” confidando che “[…]se le gocce sono giuste e tante si può fare un mare.”(Piano, 2019).

BIBLIOGRAFIA

– Crippa, D. (2020). La Fantasia è un dovere. In Crippa, D. (a cura di), #Regeneration. Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore, p. 265.

– Leoni, G. (2021). Un campo esteso per il progetto di architettura. In Leoni, G. (a cura di), Architettura e impegno sociale. Siracusa: LetteraVentidue, pp. 15-21.

– Lydon, M., Garcia, A. (2015). Tactical Urbanism: Short-term Action for Long-term Change

Washington: Island press.

– Piano, R. (2014). Il rammendo delle periferie (online). Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2014. st.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-06-18/il-rammendo-periferie (utima consultazione maggio 2023).

– Piano, R. (2016). La terra trema, ecco il mio progetto. Il Sole 24 Ore, n. 271, 2 ottobre 2016, p. 21.

– Piano, R. (2019). Il lavoro del G124 presentato al Senato (online). Professione Architetto, 2 dicembre 2019. professionearchitetto.it/news/notizie/27124/Renzo-Piano-Il-nostrorammendo-delle-periferie-e-fatto-di-piccole-gocce-Il-lavoro-del-G124-presentato-al-Senato (utima consultazione maggio 2023).

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08. Intervento di progetto Da Cosa nasca Cosa | Project intervention Da Cosa nasca Cosa Ghigos 07. Workshop DaCosaNasceCosa Ghigos

Introduction

A gradual estrangement of administrations from citizen life, the renewed need of outdoor spaces after the pandemic, and the desire of involvement in proximity spaces projects for subjects that are complicit in global nomadism, are leading to an improved awareness in the use of territory and a renegotiation of public realm. In this environment, a key role is taken from the suburbs, which for years have been the heart of the economic, social and urban country’s development. Although squeezed between belts of roads and railways which have amplified their distances from the city, today the suburbs redefine their values, made of everyday life on human scale. In fact, the vast majority of Italian and world population lives in the suburbs, with an history that, unlike the historical-artistic centres, needs to be told. The humanity and traditions of these people refute a more generic vision of the suburbs as degraded and abandoned places. The following case studies represent a series of movements “generated from grassroots” in which the promoter of change was the neighbourhood community itself, supported by professionals (architects, designers, planners and artists) able to ideally “interrogate” the complexity of the suburbs, entering the processes of transformation of the anthropic space (Leoni, 2021).

Through the projects carried out in the cities of Modena and Milan, we wanted to capture the essence of abandoned places, forgotten areas and urban waste, transforming them into a real enhancement of the “waste”. With co-design methods professionals observed and listened to the communities, working together to change the perception of everyday public spaces. In this environment two new reference figures in urban regeneration processes have been born. They are close in targets but with different working methods: the “conducted architect” (G124 Renzo Piano) and the “facilitator designer”.

Toward the Urbanism of Kindness

New practices for suburban regeneration

Targets

Starting from the activities carried out in two very different cities such as Modena and Milan, it will be demonstrated how the triggering of virtuous processes in the suburbs can have real impact on the administration choices. It will be also demonstrated how the affection for places, and an “urban planning of kindness”, can generate new opportunities for participation, both between professionals and citizens. The former united in defining new forms of combination of disciplines, and the latter with a clear objective of reconquering urban spaces.

Approach and methods: the Modena case and Renzo Piano’s G124

The G124 project was born in 2014 when the new elected Senator Renzo Piano presented for the first time his concept of “mending the suburbs” (Piano, 2014), that is a series of projects aimed at reconnecting decayed strips of cities throughout co-design methods. The approach is based on teamwork of young “conducted architects” who aim to develop small projects, generating outposts of beauty in the suburbs answering the needs of citizens. The key action is the team presence in the neighbourhoods, keeping an active collaboration with the citizens and associations. As Arch Piano explains, in fact, the “conducted architect” works like a “[...] doctor who is concerned with treating not sick people but buildings that are run down and at risk of collapsing in the event of an earthquake. Being a guided architect teaches a very important thing: the art of listening and finding the solution. For this we need diagnostics and microsurgery and not the bulldozer or the pickaxe. The idea is to mend without demolishing, lightness as a technical and at the same time human dimension […]”. So, the suggestion was to intervene with light constructions, able to change the perception of places while respecting the context of the project and the people who live there 1. From 2014 to today, three new projects

have been developed in three different Italian cities every year, which have led to the birth of equally virtuous circles among citizens and the rediscovery of abandoned suburbs areas.

In 2020 the G124 group from Bologna University worked for change the narrative about Parco XXII Aprile in the Crocetta district of Modena, a place known for local news as degraded and dangerous. Since the first site inspections together with the many neighbourhoods’ public associations involved in the park’s activities, it emerged that, despite being unknown to the Modena’s citizens, the park was highly frequented by the neighbourhoods’ community. However, the residents denounced the high state of deterioration and lack of services in the park, such as refreshment and covered areas for summer events. Although slowed down since the beginning of the pandemic emergency, the first approach of the G124 group was interviewing the community with a series of web-conference and questionnaires made from home. The next step has been proceeding with a first draft of the project presented during an open-air event, as an opportunity also to collect observations and comments on the project.

Even the name of the project was born from an interview with the “stakeholders” (people living the park). The respondent, observing how important was the collaboration in the use of the park spaces (through spontaneous parties and Sunday meetings) and the care activities of the elements of the park (volunteers involved in the care of the greenery, the elderly who planted small primroses in the vases of the park, or associations maintaining the furnishings of the park) defined it precisely: Il Cortile della Crocetta (The Crocetta Yard). The project carried out by the G124 group consists of four elements, emerged from the needs intercepted during the co-design fase (img. 01). All the elements of the project aim to regenerate the affection for the place through collaboration with the residents also and above all in the construction of the structures. During the planting of the trees,

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Martina

the first “drop” became evident, a “spark” in the children called to collaborate in the creation of the forest, who, through the adoption of a tree, began to feel a responsibility and a bond towards that place, asking relatives and friends to visit it even on weekends. The other elements that make up the intervention are Il Riparo and Il Convivio, respectively a pavilion (img. 02) and a long wooden table, open and usable at all hours for indoor activities and events. Already during the first summer, the neighbourhood associations organized dance evenings, open-air cinema and afternoon activities with the kids, attracting the attention of newspapers and community. The last project has been designed, in collaboration with TRAC-Tresoldi Academy, an important art-studio in Milan. The name of the artwork is HORA, a project made to monumentalize the sociality of the park with its ephemeral metal mesh structure. This structure gives to space a point of beauty, a meeting place to contemplate and rest. Due to the advent of the pandemic, the analysis and planning phase were affected by the lack of in situ meetings with the “stakeholders”. Thanks to the involvement in the numerous events of the associations, the park is today a symbol of aggregation and inclusion, in which a new project has sought to generate “beauty that combines with the idea of quality” (Piano, 2019), drawing the attention of the local administration which has dedicated new resources to the park and a series of redevelopment interventions of the urban furnishings.

Approach and methods: the case of Milan and the Republic of Design

If in Modena Renzo Piano’s team imagines the figure of “conducted architect”, in Milan the Repubblica del Design association carries on the figure of the “facilitator designer” a transversal figure, able to identify the needs and potentials of Milan Bovisa district, transforming them into real development opportunities for the neighbourhood.

Repubblica del Design “is a local association born in March 2019 to operate - together with the Municipality of Milan through a collaboration agreement - in the territory of the Dergano-Lancetti-Bovisa areas with urban regeneration actions” (Crippa, 2020) using the design driver as an accelerator of change in the use and perception of spaces.

The designers of the association carried out an argument based on the storytelling of the neighbourhood, on the process of rediscovery and on the imaginative power of the project. The main tools are those of the Milanese program of Piazze Aperte (Open Squares) and tactical urban planning. We are talking about lightness tools that are sometimes even immaterial, such as paint, urban furnishings, landscape interventions, the use of light or augmented reality. In this direction are the interventions of 2019 in the Bovisa district such as the Design Monument (img. 03) or the Ultrapiazza and the works in via Toce. Here the pictorial design is the tool for planning the union between two gardens divided by a road. A pictorial design that tells the story of the place in the first

case, becomes a tool for redefining space in the second one and transforms an urban fairy tale into a new function in the last. A road that comes alive with Bruno Munari’s reflections on pedagogy and gives the nearby nursery school a new game zone on a city scale (img. 04). The game therefore becomes an attractive element, with a strong educational value and an effective socialization tool.

In addition to the use of paint, the association experiments with the use of another ephemeral element such as light. The Illumina-MI project, through site-specific urban installations, stages dynamic luminous devices capable of configuring themselves in an ever-changing way based on the place, each time telling a different story. A way to give light to the suburbs by building participatory stories (img. 05). During the lockdown the citizens were involved in the choice of a sequence of messages dedicated to the theme #future and #hope and transmitted in continuous sequence together with digital artworks (img. 06). In this way, from the main traffic and railway routes it was possible to rediscover the value of the visual connection between the places, and to identify them with the constantly changing character of its inhabitants.

Similarly, the Un-Park project - financed by the Polisocial prize of the Milan Polytechnic - imagines a re-appropriation of the underviaduct of Monteceneri (suburban area on the side of the Bovisa district in Milan) through urban paints and furnishings. All the projects mentioned have a common method, based on the use of design workshops in which designers and artists participate together with a selection of local citizens. These sessions are preceded by co-design meetings with citizens’ committees to define the project briefs. The initial briefs are followed by field-work, with meeting dedicated to the co-implementation of projects. The meetings are with specific targets (children, the elderly, immigrant communities) or generically with the citizen of the neighbourhood.

After many years, the dense system of actions on the Milanese area of Repubblica del Design finally gave life to a program called Urbanism of Kindness. The leading association is DaCosaNasceCosa project (imgg. 0708) which promotes in the Milanese districts of Lancetti, Isola, Dergano and Bovisa, a pilot project of locally based circular economy working on the reuse of plastic waste. In a world increasingly committed to environmental protection, the project aims to raise awareness of the use of plastic with the aim of changing gradually the daily habits of citizens. Each involved user will be able to leave certain types of plastic waste at the various collection points. The material obtained by the regeneration process will be used to produce real design objects and artefacts for public use. A project that has reached its third edition and which also sees the participation of well-known companies (such as Carlsberg and Fercam) which, embracing this philosophy, use their plastic waste as a building material in rethinking urban spaces.

Results and discussion

In the mentioned projects, the active collaboration of citizens demonstrates how the desire to heal discomfort situations, together with a clear need to participate in the eco-sustainable change of society can be combined with methods of co-design and co-realization. This vision surpasses the more classic urban planning method, which aims to redefine urban schemes and establish stricter control over spaces. For the success of the projects, the fundamental mediation between public and private spheres is implemented by the professionals involved, with interventions that are not a mere response to needs, but they integrate new solutions for the rediscovery and narration of the suburbs, as well introducing new catalysing functions. With this common aim, the figures of the “conducted architect” and of the “facilitator designer” have studied the complexity of the anthropic space through listening. They support the place potential through architectural projects in the first case, and create community networks in a perspective of sustainable regeneration in the second one. The result has been a growing interest from administrations and partners determined to support sustainable change.

Conclusions

In conclusion, although culturally and geographically distant, the interventions in Modena and Milan demonstrate how the success of the projects depends on a change of vision, territorial marketing and affection for the elements that compose the urban space. The introduction of light and context-conserving interventions have led to the self-regeneration of spaces, generating attractiveness and involvement among citizens. In order to support the transformation of the suburbs, designers will have to be increasingly multidisciplinary figures capable of involving the communities that are protagonists of the change and expanding the repercussions of the processes on an ever-increasing scale.*

NOTES

1 – Arch. Piano during his many meetings with young architects, has always suggested to project small structures that could have been realized together with the communities over the course of a calendar year, defining them “[...] a first small drop of mending for the suburbs [...]” trusting that “[...] if there are many right drops, you can make a sea” (Piano, 2019).

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Il parkour: tra denuncia e ri-significazione dello spazio urbano

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01. Roma, via Antonio De Curtis. Il salto. Giorgio scavalca un muro. | Roma, via Antonio De Curtis. The jump. Giorgio climbs over a wall. Luca Bartolucci

Parkour: between Denunciation and Resignification of Urban Space The heterogeneous composite of urban practices that defines contemporary reality welcomes, among others, traceurs. Bodies in motion trace intangible geographies that conceal an unconscious complaint toward certain categories of urban spaces in crisis, the outcome of degenerative social transformations. Through a critical examination of such places played on the twofold theoretical-sociological and spatial-urban levels, the contribution intends to verify the relevance of the interpretation of parkour as a practice of denunciation and re-signification of the urban in crisis, questioning the perspectives opened up by the role of the body, that through the activation of unprecedented perceptions, interacts, inhabits, re-imagines and thus reconfigures, some parts of the city.*

L’eterogenea compagine di pratiche urbane che definisce la realtà contemporanea, accoglie, tra gli altri, i traceurs. I corpi in movimento tracciano geografie immateriali che nascondono un’inconsapevole denuncia di alcune categorie di spazi urbani in crisi, esito di trasformazioni sociali degenerative. Attraverso una disamina critica di tali luoghi giocata sul duplice livello teorico-sociologico e spaziale-urbano, il contributo intende verificare l’attualità dell’interpretazione del parkour come pratica di denuncia e ri-significazione dell’urbano in crisi, interrogandosi sulle prospettive dischiuse dal ruolo del corpo che, attraverso l’attivazione di percezioni inedite, interagisce, abita, re-immagina e quindi riconfigura, alcuni segmenti di città.*

Luoghi del consumo guidato, spazi “emici”, paesaggi indeterminati

ulle pratiche spontanee. Rinegoziare lo spazio pubblico

In Riti urbani. Spazi di rappresentazione sociale, Francesco Lenzini, a partire dal fenomeno della de-strutturazione della società tradizionale, nel tentativo di metterne a fuoco gli esiti, esplicita la natura plurale e conflittuale dello spazio pubblico contemporaneo.

Qui, a causa dell’indeterminatezza di programmi politici e della progressiva disgregazione di modelli tradizionali di collettività, si affermano silenziosamente pratiche performative: forme di appropriazione dello spazio alternative a quelle “istituzionalizzate”1. A tal proposito, descrive i “micro-gruppi” come comunità in grado di riconoscersi in canoni comportamentali di “bande a parte”2. Queste, occupando lo spazio in modo non convenzionale, mettono in scena prese di possesso inedite di comparti urbani (Lenzini, 2017). Da tali considerazioni emergono due osservazioni rilevanti. In primo luogo, se per lungo tempo queste pratiche sono state oggetto di diffidenza, espressione di una “sottocultura” sovversiva; oggi, invece, tornano ad affermarsi in specifici contesti “in sofferenza”, materializzando al tempo stesso una critica nei confronti del vuoto sociale. La seconda osservazione è legata alle ricadute spaziali di tali pratiche. Elementi di arredo urbano legati a specifiche attività ordinarie – che nel caso del parkour vengono convertiti in rampe, scivoli, piani di appoggio3 – evidenziano chiaramente una corrispondenza tra le trasformazioni della società e lo spazio della città (img. 01).

Inizierebbe cioè a farsi strada, a partire dalle reciproche interferenze tra modelli sociali e modelli urbani, l’idea che alcune attività o performance “spontanee”, possano contribuire a re-immaginare, e quindi riconfigurare, in termini anche spaziali, alcune porzioni di città.

Tra le pratiche, il parkour o art du déplacement, distinguendosi dalle altre per l’assenza di strumenti di mediazione tra performer e spazio urbano, restituisce centralità al ruolo del corpo4 nella città (img. 02).

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Parkour: tra atto sovversivo ed esibizione autocelebrativa

Per comprendere uno dei molteplici livelli di lettura del rapporto simbiotico tra pratica del parkour e spazio urbano, occorre tratteggiare brevemente il contesto storico socio-culturale della genesi della disciplina.

Intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, il fenomeno si sviluppa in Francia, precisamente nella labirintica, densissima e caotica compagine di edifici, pianerottoli, rampe e spazi comuni delle nouvelles villes .

zioni spontanee delle città ‘naturali’” (Leone, 2010, p. 2), dall’altro.

Lo scenario di diffusione della pratica, tuttavia, non riguarda solo volumi e corpi di fabbrica affastellati gli uni sugli altri e spazi urbani percepiti come luoghi che ostacolano il movimento corporeo. Ad abitare questi spazi è anche il senso di isolamento, legato alla formazione di una nuova frontiera cittadina, combinato a fenomeni di criminalità diffusa.

Qui, l’articolazione morfologica e insediativa, rappresenta la sintesi di scelte di natura funzionale, legate a programmi di abitazione intensivi da un lato, e di tentativi di mediazione di queste, attraverso “l’utopia delle intera-

Ecco che il parkour esordisce come “arte della fuga” ancor prima di venire a coincidere con una “decostruzione estetica dello spazio urbano” (Leone, 2010, p. 3). Nella sua genesi, questo si identifica come atto sovversivo in grado di esplicitare una critica insieme architettonica-urbanistica e socio-culturale.

Oggi, la disciplina, grazie a strumenti mediatici di diffusione di massa, e alla sua spettacolarizzazione e commercializzazione, sembra aver perso il suo significato origi-

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02. Roma, via Antonio De Curtis. L’attesa. Alessio studia lo spazio prima dell’azione. | Roma, via Antonio De Curtis. The expectation. Alessio studies space before action. Andrea Cimini
Oggi, la disciplina, sembra aver perso il suo significato originario

nario, per diventare sport di tendenza o mera esibizione autocelebrativa (img. 03). Alla luce delle premesse, e cioè dei processi di riattivazione dei riti urbani oggi, si intende qui dimostrare in che modo, nella società contemporanea, è ancora possibile interpretare il parkour come performance di denuncia – seppur inconsapevole – e di ri-significazione5 dell’urbano in crisi.

Denuncia contemporanea. Definire l’urbano in crisi

Ad esclusione naturalmente del parkour park, che segue la prassi della compartimentazione e contraddice la logica della ri-significazione, i luoghi privilegiati per la diffusione della disciplina sono di due tipologie.

Da un lato gli spazi residuali che, proprio in quanto privi di una chiara destinazione d’uso, sembrano “più liberi” di altri e dunque più disponibili ad accogliere nuove forme di appropriazione dello spazio; dall’altro luoghi centrali, visibili, simbolici, in cui obiettivo

performance è il

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della 04. Roma, Ponte Sant’Angelo. Il gruppo scultoreo inquadra il flusso che definisce il luogo del consumo. | Roma, Ponte Sant’Angelo. The sculptural group frames the flow that defines the place of consumption. Adriana Martini 03. Roma, via delle Galline Bianche. La ripresa. Federico in azione mentre viene fotografato. | Roma, via delle Galline Bianche. Shooting. Federico in action while being photographed. Luca Bartolucci

riconoscimento da parte del pubblico e la sua diffusione sempre maggiore (Ferrero Camoletto, Genova, 2017). Definiremo così “luoghi del consumo guidato” gli esiti spaziali della società del consumo6: questi spazi, non lontani dai “non-luoghi” teorizzati da Augé, descrivono un modello di fruizione dello spazio pubblico in cui i corpi sono condotti, orientati, e quindi obbligati a determinati usi standardiz-

di polizia e organismi di controllo della sicurezza (img. 04). Non dissimili dai primi sono gli “spazi emici” (Lenzini, 2017), esito del funzionalismo, ideologia orientata a criteri di pragmatismo e igiene che, teorizzando l’efficienza delle città, ha dato origine a luoghi asettici, destinati al mero attraversamento, “rimuovendo” così la componente “umana” dal paesaggio urbano.

zati e comportamenti omologati (Edensor, 2008). A questa prima categoria corrisponderebbero i luoghi turistici o istituzionali: performati da pellegrinaggi di masse di turisti e consumatori e animati da rituali di vita ordinaria o corpi

In un certo senso infatti, la grande dimensione dei modelli di edilizia intensiva ha inibito irreparabilmente i contatti tra gli individui (Gehl, 2011) (img. 05). Infine, il prodotto di meccanismi corrotti legati, ad esempio, al fenomeno dell’incompiuto è rappresentato da spazi in attesa, abitati dal terzo paesaggio: “paesaggi indeterminati” costituiti da spazi marginali, talvolta degradati perché privati del vivere della comunità e del senso di appartenenza da parte di questa (img. 06). In ognuno di questi luoghi e per ciascuno di

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05. Roma, Corviale. Il deserto urbano. Particolare di un cortile interno. | Roma, Corviale. Urban desert. Detail of an internal courtyard. Alberta Piselli
In ciascuno di questi luoghi la pratica del parkour trova la sua ragion d’essere

questi modelli sociali corrotti, la pratica del parkour trova la sua ragion d’essere. A riprova di ciò, alcune testimonianze dirette di traceurs che orbitano intorno alla città di Roma7, sembrano confermare la mappatura sviluppata nei tre ambiti: i giardini intorno Castel S. Angelo, il ponte carrabile davanti al Colosseo, lo stadio dei marmi ecc. corrispondono ai “luoghi del consumo guidato”; le aree periferiche di Corviale, Tor bella monaca, Spinaceto ecc. ci restituiscono una narrazione degli “spazi emici”; infine il complesso dei Mercati Generali – cantiere a cielo aperto da diversi anni – o le case in stato di abbandono a Pietralata, identificano i paesaggi urbani “indeterminati”.

Ri-significare lo spazio pubblico attraverso il corpo

Una volta stabilito, dunque, il significato dell’urbano in crisi attraverso l’analisi degli spazi ove si innestano oggi le pratiche performative dei traceurs, è stato messo a fuoco in che modo sia ancora implicitamente valido oggi, il para-

digma che descrive il parkour come strumento di denuncia contemporanea dello spazio pubblico. Ma se questo è vero, nel sostanziare critiche spaziali a determinate situazioni urbane, la stessa pratica sta in realtà già suggerendo o innescando una operazione di ri-significazione di tali luoghi. Attraverso la centralità restituita al corpo che abita lo spazio, il movimento creativo e libero del traceur nella città si oppone agli usi convenzionali e ai modelli di comportamento standardizzati e generalmente condivisi, esito delle logiche del consumo di cui sopra. In un certo senso, il parkour è in grado di “liberare” il corpo, riaffermando un rapporto di tipo istintuale, primitivo, sensoriale con l’ambiente circostante (Edensor, 2008) (img.07). Ancora, in opposizione agli spazi deserti e asettici, il corpo è riattivato nella molteplicità delle sue esperienze sensibili e percettive, oltre ad occupare fisicamente, attraverso un’attività performativa, lo spazio – così dunque non più deserto – tra gli edifici. Infine, proprio in ragione dell’esercizio di appren-

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06. Roma, Mercati Generali. L’incompiuto. Terzo paesaggio definisce il vuoto | Roma, Mercati Generali. Unfinished. Third Landscape defines the void. Eleonora Ragonici

dimento e di conoscenza dello spazio attraverso i movimenti corporei e del conseguente sviluppo di competenze incarnate, si sviluppa un rapporto quasi intimo tra il traceur e il comparto

Conclusioni

di città “performato”. Così, contro l’abbandono di alcuni spazi indeterminati, subentra il senso di appartenenza, costruito a partire da una relazione anzitutto corporea, percettiva, istintuale, non cognitiva, “affettiva” (De Matteis, 2019) con i luoghi. Una ri-significazione dello spazio è quindi possibile sotto la cifra del corpo “liberato” mediante la performance urbana.

Ri-significare vuol dire riconoscersi in determinati codici comportamentali relativi a ciò che si può e non si può fare in un determinato luogo, attribuire nuove possibilità di uso a uno spazio, quindi in un certo senso ri-progettarlo in modo “spontaneo” e partecipato. Oggi, dinanzi alla disgregazione dei modelli istituzionali e dei luoghi fisici, dinanzi alla ricombinazione delle dinamiche sociali, si impone una revisione continua e sperimentale dei luoghi, e particolarmente degli spazi della collettività, intesi come spazi di transizione, in perenne evoluzione. Non soltanto alcuni fenomeni degenerativi della città contemporanea possono essere esplicitati, e forse contrastati, attraverso il parkour, non soltanto alcune geografie, marginali o corrotte da processi sociali degenerativi, possono essere riattivate grazie al parkour. Strumenti e modelli

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07. Roma, Castel Sant’Angelo. La performance. Luca oltrepassa la ringhiera che incornicia il monumento. | Roma, Castel Sant’Angelo. Performance: Luca crosses the fence framing the monument. Andrea Cimini
Così subentra il senso di appartenenza a partire da una relazione anzitutto corporea con i luoghi

di uso corporeo dello spazio, utili a indagare le interazioni tra corpo, movimento ed elementi architettonici della scenografia urbana potrebbero aprire nuove prospettive sulla valenza performativa, co-progettante dei corpi nello spazio o ancora, mettere in crisi l’abituale significato generalmente attribuito al corpo, in quanto riferibile esclusivamente o prevalentemente all’essere umano. Interrogarsi sullo sviluppo di competenze incarnate e di una sapienza spaziale “primitiva”, pre-cognitiva, anzitutto corporea, infatti, potrebbe mettere in crisi la tradizionale scissione tra mente e corpo (res cogitans e res extensia) e suggerire così la tesi di un corpo pensante8 (Brunner, 2011) in grado di andare oltre un approccio ancora pericolosamente antropocentrico. E il parkour, lungi dal descrivere “sottoculture” sovversive, potrebbe rivelarsi oggetto di interesse per la ricerca interdisciplinare, in materia di studi urbani, soprattutto alla luce della urgente necessità di una rinnovata sensibilità anzitutto ecologica e ambientale.*

NOTE

1 – Il riferimento è alle tattiche di Michel de Certeau: pratiche spaziali che sovvertono significati imposti sui paesaggi da processi istituzionali ufficiali (de Certeau, 2001).

2 – Michel Maffesoli, similmente, rispetto alle metamorfosi della società moderna, parla di tribù: bikers, skaters, punk, clochard ecc. (Maffesoli, 2004).

3 – I traceurs, abbandonando il comune significato attribuito agli elementi architettonici – muri, scale, ringhiere ecc. – (e alla azione a essi associata), li interpretano creativamente attraverso il movimento, convertendoli da “ostacoli” a “risorse” (Bavinton, 2011).

4 – “Attraverso la pratica del parkour si rende dinamica la relazione tra corpo e spazio […] lo spazio urbano è reincarnato” (Geyh, 2006, p. 9).

5 – Se il nesso tra luogo e significato dipende da un atto di attribuzione, a uno stesso spazio possono essere assegnati significati diversi, da attori diversi. Si considerino a titolo di esempio i monumenti: generalmente questi hanno un determinato significato, per i traceurs, invece, diventano terreno di attività sportiva (Genova, 2011).

6 – Il riferimento è al “consumo visivo” teorizzato da John Urry (Urry, 2002).

7 – Il riferimento, nello specifico, è a Giorgio Bartolucci, 23 anni, Roma – traceur da 10 anni, partecipa a competizioni ed eventi nazionali e internazionali – insieme al gruppo Pasta Moves.

8 – A tal proposito si veda il saggio di Christoph Brunner (Brunner, 2011), in cui l’autore, approfondisce la teoria dell’Architectural Body di Arakawa e Gins.

BIBLIOGRAFIA

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– De Matteis, F. (2019). Vita nello spazio. Sull’esperienza affettiva dell’architettura. Milano: Mimesis.

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– Urry, J. (2002). The Tourist Gaze. London: Sage.

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08. Roma, Ponte degli Annibaldi. In volo. Jason traccia una geografia invisibile | Roma, Ponte degli Annibaldi. Flying. Jason traces an invisible geography. Andrea Cimini

On spontaneous practices. Renegotiate public space

In Riti urbani. Spazi di rappresentazione sociale (tr. Urban Rites. Spaces of social representation), Francesco Lenzini, starting from the phenomenon of de-structuring of traditional society, in an attempt to focus on the results, makes explicit the plural and conflictual nature of contemporary public space. Due to the vagueness of political programs and the progressive disintegration of traditional models of community, performative practices silently assert themselves: alternative forms of appropriation of space to the “institutionalized” ones1. In this regard, he describes “micro-groups” as communities capable of recognizing themselves in the behavioural canons of “apart gangs”2. These, occupying the space in an unconventional way, stage unprecedented takeovers of urban sectors (Lenzini, 2017). Two important observations emerge from these considerations. Firstly, if for a long time these practices have been the object of distrust, an expression of a subversive “subculture”; today, however, they are once again asserting themselves in specific “suffering” contexts, at the same time materializing a critique of the social void. The second observation is related to the spatial effects of these practices. Elements of street furniture linked to specific ordinary activities – which in the case of parkour are converted into ramps, slides, support surfaces3 – clearly highlight a correspondence between the transformations of society and the space of the city (img. 01). In other words, starting from the mutual interference between social models and urban models, the idea would begin to emerge that some “spontaneous” activities or performances could contribute to re-imagining, and therefore reconfiguring, also in spatial terms, some portions of the city. Among the practices, parkour or art du déplacement, distinguishing itself from the others by the absence of mediation tools between

Parkour: between Denunciation and Re-signification of Urban Space

Places of oriented consumption, “emic” spaces, indeterminate landscapes

performer and urban space, restores centrality to the role of the body4 in the city (img. 02).

Parkour: between subversive act and selfcelebratory exhibition

To understand one of the many levels of interpretation of the symbiotic relationship between parkour practice and urban space, it is necessary to briefly outline the sociocultural historical context of the discipline’s genesis. Around the 1880s, the phenomenon developed in France, specifically in the labyrinthine, dense and chaotic network of buildings, landings, ramps and common spaces of the nouvelles villes. Here, the morphological and settlement articulation represents, on the one hands, the synthesis of choices of a functional nature, linked to intensive housing programs and on the other attempts to mediate these, through “the utopia of spontaneous interactions of “natural’ cities” (Leone, 2010, p. 2). However the diffusion scenario of the practice does not only concern volumes and buildings piled on top of each other and urban spaces perceived as places that hinder bodily movement. Also inhabiting these spaces generates a sense of isolation, linked to the formation of a new city frontier, combined with widespread crime phenomena. Hence parkour debuts as an “art of escape” even before coming to coincide with an “aesthetic deconstruction of urban space” (Leone, 2010, p. 3). In its genesis, this is identified as a subversive act capable of explicating a critique that is both architectural-urbanistic and socio-cultural. Today, the discipline, thanks to media tools of mass diffusion, and to its spectacularization and commercialization, seems to have lost its original meaning, becoming a trendy sport or a mere self-celebratory exhibition (img. 03). By virtue of the premises, namely the processes of reactivation of urban rituals today, we intend here to demonstrate how, in contemporary society, it is still possible to interpret parkour as a performance

of denunciation – albeit unconscious – and re-signification5 of the urban in crisis.

Contemporary denunciation. Defining the urban in crisis

Excluding, of course, the parkour park, which follows the practice of compartmentalization and contradicts the logic of re-signification, the privileged places for the spread of the discipline are of two types. The first concerns residual spaces, which, mostly because they lack a clear intended use, are elected as “freer” than others and are therefore more available to accommodate new forms of appropriation of space. The second, on the other hand, is the central, visible, symbolic place, whose performative aim is being recognized by the public and becoming increasingly popular (Ferrero Camoletto, Genova, 2017). We thus define the spatial outcomes of the consumer society as “places of guided consumption”6. These spaces, not far from the “non-places” theorized by Augé, describe a model of fruition of public space in which bodies are led, oriented, and thus obliged to certain standardized uses and homologated behaviours (Edensor, 2008). In this first category would be included tourist or institutional places: performed by pilgrimages of masses of tourists and consumers and animated by rituals of ordinary life or police and security control bodies (img. 04). Not dissimilar to the former are the “emic spaces” (Lenzini, 2017), the outcome of functionalism, an ideology oriented towards criteria of pragmatism and hygiene. This, theorizing the efficiency of cities, has given rise to aseptic places, destined for mere crossing, thus “removing” the “human” component from the urban landscape. In a way, the large scale of intensive building models has irreparably inhibited contact between individuals (Gehl, 2011) (img. 05). Finally, the product of corrupted mechanisms, linked, for example, to the phenomenon of the unfinished, are spaces in waiting, inhabited by the third landscape: “indeterminate landscapes”.

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Ugolini, Alberta Piselli
Marco

These consist of marginal spaces, sometimes degraded because they are deprived of community living and a sense of belonging by the community (img. 06). In each of these places and for each of these corrupted social models, the practice of parkour finds its raison d’être. As proof of this, some direct testimonies of traceurs orbiting the city of Rome7, seem to confirm the mapping developed in the three areas: the gardens around Castel S. Angelo, the car bridge in front of the Colosseo, the Stadio dei Marmi etc. correspond to the “places of guided consumption”; the peripheral areas of Corviale, Tor Bella Monaca, Spinaceto etc. give us a narration of “emic spaces”; finally, the Mercati Generali complex – an open-air construction site for several years – or the abandoned houses in Pietralata, identify ‘indeterminate’ urban landscapes.

Re-signifying public space through the body

Having established, therefore, the meaning of the urban in crisis through the analysis of the spaces where the performative practices of the traceurs are grafted today, it has been brought into focus in what way the paradigm that describes parkour as a contemporary instrument of denunciation of public space is still implicitly valid today. But if this is true, in substantiating spatial critiques of certain urban situations, the practice itself is actually already suggesting or triggering an operation of re-signification of such places. Through the centrality restored to the body inhabiting the space, the creative and free movement of the traceur in the city opposes the conventional uses and standardized and generally shared models of behaviour, the outcome of the aforementioned logics of consumption. In a certain sense, parkour is able to “release” the body, reaffirming an instinctual, primitive, sensorial relationship with the surrounding environment (Edensor, 2008) (img. 07). Again, in opposition to the deserted and aseptic spaces, the body is re-activated in the multiplicity

of its sensory and perceptive experiences. This is in addition to the fact that it will once again physically occupy, through performative activity, the space – thus no longer deserted – between the buildings. Finally, mostly because of the exercise of learning and knowing the space through bodily movements and the consequent development of embodied skills, an almost intimate relationship develops between the traceur and the “performed” section of the city. Thus, against the abandonment of certain indeterminate spaces, a sense of belonging takes over, built from a primarily corporeal, perceptive, instinctual, non-cognitive, “affective” (De Matteis, 2019) relationship with places. A re-signification of space is thus possible under the figure of the body “liberated” through urban performance (img. 08).

Conclusions

Re-signifying means recognizing oneself in certain behavioural codes concerning what one can and cannot do in a given place, attributing new possibilities of use to a space, thus in a certain sense re-designing it in a “spontaneous” and participatory way. Today, in the face of the disintegration of institutional models and physical places, in the face of the recombination of social dynamics, a continuous and experimental revision of places, and particularly of community spaces, is required, understood as spaces of transition in perpetual evolution. Certain degenerative phenomena of the contemporary city can be made explicit, and perhaps countered, through parkour. Certain geographies, marginalized or corrupted by degenerative social processes, can be reactivated through parkour. Tools and models of bodily use of space, useful for investigating the interactions between body, movement and architectural elements of urban scenography could open up new perspectives on the performative, co-designing value of bodies in space. They could also challenge the usual meaning generally attributed to the body, as

referring exclusively or predominantly to the human being. Indeed, questioning the development of embodied skills and a “primitive”, pre-cognitive, primarily corporeal spatial knowledge could challenge the traditional split between mind and body (res cogitans and res extensia). This would outline the thesis of a thinking body8 (Brunner, 2011) capable of going beyond an approach still dangerously steeped in anthropocentrism. And parkour, far from describing subversive “subcultures”, could prove us being an object of interest for interdisciplinary research in the field of urban studies, especially in light of the urgent need for a renewed, primarily ecological and environmental sensitivity.*

NOTES

1 – The reference is to Michel de Certeau’s tactics: spatial practices that subvert meanings imposed on landscapes by official institutional processes (de Certeau, 2001).

2 – Michel Maffesoli, similarly, with respect to the metamorphoses of modern society, speaks of tribes: bikers, skaters, punks, clochards, etc. (Maffesoli, 2004).

3 – The traceurs, abandoning the common meaning attributed to architectural elements – walls, stairs, railings, etc. – (and to the action associated with them), they interpret them creatively through movement, converting them from “obstacles” to “resources” (Bavinton, 2011).

4 – “Through the practice of parkour the relationship between body and space becomes dynamic [...] urban space is reincarnated” (Geyh, 2006, p. 9).

5 – If the link between place and meaning depends on an act of attribution, different meanings can be assigned to the same space by different actors. Take monuments as an example: generally, these have a certain meaning, for traceurs, on the other hand, they become the field of sporting activity (Genoa, 2011).

6 – The reference is to the “visual consumption” theorized by John Urry (Urry, 2002).

7 – The reference, specifically, is to Giorgio Bartolucci, 23 years old, Rome – traceur for 10 years, participates in national and international competitions and events –together with the group Pasta Moves.

8 – In this regard, see Christoph Brunner’s essay (Brunner, 2011), in which the author elaborates on Arakawa and Gins’ theory of the “Architectural Body”.

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Morfologia urbana e microclima

01. Strategie prioritarie (in grigio) ed elementi abilitanti digitali (in blu) rispetto alla promozione del comfort negli spazi aperti urbani | Priority strategies (grey) and digital enablers (blue) for promoting comfort in open urban spaces. Matteo Trane

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Matteo Trane Dottorando in Urban and Regional Development, Politecnico di Torino. matteo.trane@polito.it Federico Calorio Dottore magistrale in Architettura. federico.calorio97@gmail.com Riccardo Pollo Professore associato in Tecnologia dell’architettura, Politecnico di Torino. riccardo.pollo@polito.it

Urban Morphology and Microclimate This paper seeks to compare four morphological fabrics, differing in layout, density, and percentage of greenery, within the Regio Parco district of Turin, with a focus on the user comfort in the residential open spaces. This comparison is based on advanced microclimate simulations and reports on selected environmental variables (air and surface temperatures, wind speed) and the PET index. In the Conclusions, we introduce a framework combining priority strategies and digital enablers to design urban open spaces that might further promote comfort.*

Il contributo propone un’analisi comparativa di quattro tessuti morfologici, differenti per impianto, densità e percentuale di verde, all’interno del distretto Regio Parco a Torino, con un focus rispetto al comfort per l’utente negli spazi aperti di pertinenza. Il confronto si basa su simulazioni microclimatiche avanzate rispetto ad alcune variabili ambientali (temperature dell’aria, delle superfici, velocità del vento) e l’indice PET. Viene infine introdotto un framework che combina strategie prioritarie ed elementi digitali abilitanti per progettare spazi urbani che favoriscano il comfort.*

a Torino

ntroduzione

L’effetto Isola di Calore Urbana (UHI, dall’inglese Urban Heat Island) è definito come la differenza, in termini di equilibrio termico, tra le aree urbanizzate e le aree rurali, legato alle caratteristiche morfologiche e costruttive dell’ambiente urbano (Oke, 1987), responsabile dell’aumento dei carichi di raffrescamento degli edifici e della diminuzione del comfort per l’utente negli spazi aperti (Lai et al., 2019). Molte strategie possono essere attuate per mitigare le conseguenze dell’UHI, in particolare in relazione alla sostituzione delle superfici orizzontali e verticali in favore di materiali con maggiore albedo – sebbene la radiazione solare immediatamente riflessa e l’aumento della temperatura media radiante, per la presenza di superfici eccessivamente chiare, può aumentare la sensazione di discomfort (Bassolino, 2016) –, al dimensionamento di edifici e spazi aperti e al loro orientamento, all’implementazione dell’infrastruttura verde urbana e di soluzioni nature-based (Trane et al., 2021). In particolare, aumentare l’ombreggiamento (attraverso morfologie urbane dense e l’incremento delle alberature) costituisce una delle strategie più efficaci per raffrescare gli ambienti urbani e garantire maggiore comfort, sebbene la disposizione del verde e degli edifici non debba ostacolare il passaggio del vento (Zhao et al., 2018). Ad ogni modo, le condizioni ambientali alla scala micro-urbana sono anche funzione delle zone climatiche e della localizzazione geografica degli ambiti indagati (Ahmadi et al., 2022). Le relazioni che intercorrono tra le variabili che determinano le qualità ambientali e il comfort all’interno di uno spazio pubblico urbano sono dunque complesse, multiscalari e non sempre controllabili attraverso il progetto.

Diventa pertanto fondamentale quantificare l’impatto che soluzioni alternative di mitigazione del microclima urbano possano determinare in termini di comfort per l’utente, in relazione alla densità del costruito, alla qualità delle superfici e alla disposizione della vegetazione e tenute in considerazione le caratteristiche meteorologiche specifiche del contesto in

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Il progetto performance-based per la promozione del comfort: un confronto nel quartiere Regio Parco

esame. L’utilizzo di modelli Computazionali Fluido-Dinamici (CFD) per simulazioni microclimatiche avanzate alla scala del distretto e dei building block costituisce un campo di interesse per architetti, ingegneri e pianificatori, che consente di comunicare in maniera efficace agli stakeholder interessati l’impatto di soluzioni progettuali alternative rispetto al miglioramento della qualità ambientale (Lobaccaro et al., 2022).

Sebbene le ricerche nell’ambito della relazione tra morfologia urbana e microclima costituiscano un filone di studi consolidato, queste riguardano solitamente archetipi morfologici (ad esempio: confronti tra edifici a corte e in linea, con un determinato rapporto H/W altezza/larghezza dei canyon urbani, con diverso orientamento, ecc.). Il contributo propone un’analisi comparativa di quattro differenti tessuti morfologici urbani1 in un caso studio specifico all’interno del distretto Regio Parco a Torino, con un focus rispetto al comfort negli spazi aperti residenziali di pertinenza. Il secondo paragrafo introduce la metodologia adottata e i lotti in esame, mentre i risultati vengono presentati e discussi nel terzo paragrafo, con particolare riferimento alla relazione tra indice di comfort e orientamento, morfologia, superfici urbane. Nel paragrafo Conclusioni, sulla base delle riflessioni emerse, viene introdotto un framework di strategie prioritarie per la mitigazione del microclima rispetto alla promozione del comfort, in cui la dimensione del digitale (legata alle simulazioni avanzate, al monitoraggio ambientale e all’utilizzo di sistemi informativi geografici GIS) emerge come elemento abilitante la progettazione di spazi urbani human-centred (img. 01).

Approccio e metodi

Il caso studio in esame, una porzione del distretto Regio Parco a Torino, si trova nella VI Circoscrizione urbana a nord-est della città (img. 02). Nato nel XVI secolo, quando il suo territorio era adibito a parco e tenuta agricola dei Savoia, il quartiere ha subito, ancora nel XX secolo, notevoli trasformazioni urbanistiche, fino alla Variante n. 200 del 2009 che prevede la riqualificazione di aree industriali dismesse e la realizzazione della futura seconda linea metropolitana. Negli anni Sessanta, in particolare, molti isolati di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) venivano realizzati in una fase di rapida espansione urbana, gestiti in seguito dall’Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte (ATC). L’influenza dell’epoca modernista sui modelli di costruzione delle periferie, le tipologie costruttive (principalmente prefabbricazione) e gli standard urbanistici adottati hanno comportato un rapporto tra abitanti e metri quadri di verde pubblico maggiore rispetto alla media urbana (17,83 m2/ab). All’interno del distretto, sono stati identificati quattro quartieri, caratterizzati da tipi morfologici, densità edilizia, rapporto verde/ abitante, indice di permeabilità eterogenei (img. 03). Un lotto presenta un impianto a corte chiusa, mentre gli altri tre sono costituiti prevalentemente da edifici in linea.

Le simulazioni microclimatiche sono state condotte attraverso l’utilizzo del software ENVI-Met 4.4, un modello CFD in grado di simulare differenti processi atmosferici e caratteristiche dell’ambiente termico micro-urbano

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02. Localizzazione del distretto Regio Parco a Torino e individuazione dei lotti per la simulazione microclimatica | The Regio Parco district in Turin and the plots within for the microclimate simulation. Federico Calorio e Matteo Trane

mediante la valutazione delle interazioni tra superfici costruite e vegetali all’interno dello Urban Canopy Layer, lo strato inferiore dell’atmosfera compreso tra il suolo e l’altezza degli edifici. Il processo di simulazione presuppone la modellazione degli ambiti considerati e la gestione delle condizioni microclimatiche al contorno. La modellazione è stata effettuata su una griglia con risoluzione molto elevata, pari a 2x2x1 m (assi xyz) per ottenere delle mappe con il migliore grado di dettaglio possibile in relazione alle capacità hardware disponibili. I dati per la modellazione delle superfici orizzontali verdi e asfaltate (con diverso grado di usura e, quindi, albedo), la selezione delle specie arboree e l’altezza degli edifici sono state estrapolate dal database GIS del Geoportale di Torino

Per quanto riguarda la gestione delle condizioni microclimatiche al contorno, sono stati utilizzati i dati del giorno più caldo del 2019 rilevati dalla stazione meteorologica ARPA più vicina all’area. I risultati di seguito riportati riguardano la temperatura dell’aria (TA) [°C], le temperature superficiali (TS) [°C], la velocità del vento (WS) [m/s], e l’indice di comfort PET (Physiological Equivalent

Temperature) [°C] relativi alle ore 15:00, in cui i valori più elevati di discomfort sono stati riscontrati. In particolare, l’utilizzo della PET consente di considerare la temperatura radiante, la velocità dell’aria e la pressione vapore in relazione al soggetto considerato (attività fisica, tipo di abbi-

gliamento, età) e per vari livelli di intensità di stress termico (Matzarakis and Mayer, 1996). Sebbene le simulazioni abbiano restituito specifici range di valori per le variabili ambientali considerate, le legende sono state armonizzate in fase di estrazione delle mappe, in modo da rendere la comparazione più diretta.

Risultati e discussioni

I risultati delle simulazioni per TA, TS, PET e WS delle ore 15:00 sono riportati rispettivamente nelle imgg. 04, 05, 06, 07. Per quanto riguarda la TA, i valori minimi e massimi assoluti sono stati riscontrati entrambi nel lotto di corso Taranto (33,2°C e 36,2°C). Per quanto riguarda la PET, il valore minimo (moderato stress termico) è stato individuato nel lotto di corso Taranto (34,4°C), il valore massimo (stress termico estremo) è stato riscontrato nel lotto di via Ghedini (60,4°C).

Il valore di WS più elevato è stato individuato nei lotti di via Ghedini e Villaggio Rurale (3,7 m/s), mentre il valore più basso viene individuato nel lotto di corso Taranto, sebbene le condizioni di comfort qui siano generalmente migliori. Per quanto riguarda le TS, il valore massimo (45,8°C) è sta-

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03. Viste assonometriche e dati statistici dei lotti | Axonometric views and statistic of the plots. Federico Calorio e Matteo Trane
La presenza di alberature ad ampia chioma è l’elemento maggiormente in grado di mitigare il microclima

to riscontrato nel lotto “Villaggio Rurale”, ma sono mediamente più alte nel lotto di via Ghedini, dove si registrano anche le peggiori condizioni di comfort. Di seguito, le condizioni di comfort vengono discusse nello specifico rispetto ad alcune variabili morfologiche e tecnico-costruttive dei lotti in esame.

Comfort e orientamento

Per quanto riguarda l’influenza dell’orientamento rispetto alle variabili ambientali considerate, questo rappresenta in generale un elemento decisivo per schermare gli apporti solari nella stagione sovrariscaldata. L’orientamento prevalente nei lotti considerati è riconducibile all’asse Nord/Sud (con l’eccezione di via Ghedini, Nord-Ovest/ Sud-Est), pertanto questo non costituisce una variabile discriminante in questo studio. Ad ogni modo, precedenti ricerche riportano che, alle latitudini considerate, l’orientamento delle strade Nord/Sud sia da preferire rispetto all’orientamento Est/Ovest, in quanto in grado di fornire

un ombreggiamento più prolungato negli spazi aperti (Pollo et al., 2020). Inoltre, le strade orientate parallelamente rispetto alla direzione prevalente dei venti consentono un più efficace raffrescamento convettivo per via di una maggiore velocità dell’aria, dunque una maggiore sensazione di comfort. Considerata la direzione del vento utilizzata come condizione meteorologica al contorno (237°C)2, la simulazione dimostra come, all’interno degli spazi pertinenziali in tutti i lotti, la ventilazione sia quasi nulla e la disposizione degli edifici non consenta di incanalare l’aria, la cui velocità aumenta invece nei grandi assi viari, dove, anche per via di alberature di dimensioni maggiori e di una loro disposizione parallela rispetto alla direzione del vento, i valori di PET sono decisamente più favorevoli (cfr. corso Taranto).

Comfort e morfologia urbana

Considerando che l’impianto della città segue prevalentemente la matrice Nord/Sud e Nord-Ovest/Sud-Est (nei tessuti urbani consolidati), e che la direzione del vento utilizzata come condizione microclimatica al contorno costituisce una delle direzioni prevalenti dei venti a Torino nella stagione estiva, soluzioni alternative per incanalare il vento potrebbero riguardare la realizzazione di spazi permeabili al passaggio dell’aria nei piani terra degli edifici e l’incremento dei corridoi verdi. Valori di PET con basso o

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04. Temperatura dell’aria, ore 15:00 | Air Temperature at 15:00. Federico Calorio e Matteo Trane 05. Temperature superficiali, ore 15:00 | Surface temperatures at 15:00. Federico Calorio e Matteo
Un approccio performancebased al progetto deve tenere in considerazione il clima locale come elemento stesso del progetto

moderato stress termico negli spazi pertinenziali dei lotti vengono riscontrati, in aggiunta, nelle zone maggiormente ombreggiate, dovute all’altezza degli edifici (cfr. corso Taranto, con edifici fino a undici piani). Negli altri lotti analizzati, le condizioni di comfort all’interno degli spazi aperti pertinenziali non beneficiano dell’ombreggiamento degli edifici, di altezza minore. Dato l’impianto in linea dei lotti di via Cravero, corso Taranto e “Villaggio Rurale” e l’altezza contenuta degli edifici di via Ghedini a corte chiusa, la disposizione dell’edificato non origina dei veri e propri canyon urbani profondi, che, nei climi caldo-secchi, comportano generalmente condizioni di comfort migliori (Pollo et al., 2020).

Comfort e qualità delle superfici

Per quanto riguarda la qualità delle superfici, l’indice di permeabilità è più basso all’interno del lotto di via Ghedini in relazione alle poche aree verdi presenti. Sebbene oggetto di recente riqualificazione, che ha comportato il rifacimento delle corti interne, il lotto di via Ghedini presenta i valori di discomfort e di TA più elevati all’interno degli spazi residenziali di pertinenza rispetto agli altri lotti. Al contrario, l’ambito di corso Taranto e del “Villaggio Rurale” presentano indici di permeabilità di circa il 33%, con maggiori superfici verdi orizzontali. Tuttavia, le alberature presenti nel lotto di corso Taranto, con fusti e chiome di maggiore dimensione, contribuiscono maggiormente all’incremento del comfort per l’utente. In corrispondenza

delle TS più elevate, in particolare nei lotti di via Ghedini e via Cravero (con maggiore presenza di superfici impermeabili e materiali con bassa albedo), le condizioni di comfort registrate sono generalmente peggiori. Ad ogni modo, sebbene gli spazi pertinenziali tra gli edifici del lotto del “Villaggio Rurale” siano principalmente permeabili, l’assenza di alberature con ampia chioma e uno scarso ombreggiamento (dovuto ad una bassa densità edilizia) determinano una situazione di discomfort diffusa. Anche le TA, in questo lotto, sono più elevate rispetto a quelle riscontrate negli altri lotti con impianto in linea, sebbene inferiori rispetto a quelle simulate nel lotto di via Ghedini (img. 08).

Limiti

Tra i limiti dell’approccio adottato, menzioniamo la necessità di condurre la simulazione in modalità Simple Forcing in ENVI-met sulla base dei dati meteorologici disponibili, ovvero utilizzando valori di input orari per TA e umidità relativa, ma forzando la velocità e la direzione del vento, utilizzando solo i valori della prima ora disponibile del giorno di riferimento. In aggiunta, una porzione di contesto rispetto ai singoli lotti è stata inclusa nella modellazione, ma, con maggiore disponibilità hardware, sarebbe stato opportuno effettuare le simulazioni per un periodo superiore alle 24 ore, per poter minimizzare i possibili errori ai “bordi” dei modelli dovuti alla loro inerzia iniziale.

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06. Indice di comfort PET, ore 15:00 | PET comfort index at 15:00. Federico Calorio e Matteo Trane 07. Velocità del vento, ore 15:00 | Wind speed at 15:00. Federico Calorio e Matteo Trane

Conclusioni

Sebbene, sulla scorta dei risultati presentati, non sia possibile determinare quale delle morfologie urbane in esame sia in grado di garantire condizioni di comfort considerevolmente migliori, le simulazioni microclimatiche hanno evidenziato alcune differenze sostanziali tra gli ambiti analizzati. Le condizioni di comfort più favorevoli sono riscontrabili nei lotti in cui sono presenti edifici in linea con altezze maggiori. Tuttavia, non è possibile affermare che un impianto in linea garantisca migliori condizioni di comfort, poiché questo non rende solitamente possibile la creazione di canyon urbani profondi e non garantisce adeguato ombreggiamento (cfr. lotto “Villaggio Rurale”) a meno di edifici molto alti e di una distanza ridotta tra questi (cfr. lotto di via Cravero), ovvero di una maggiore densità dell’edificato. La ricerca condotta, pertanto, conferma

– morfologie urbane dense compatte che consentano un maggiore grado di ombreggiamento;

– la disposizione di alberi caducifoglie ad ampia chioma in modo da incanalare il vento a seconda della sua direzione prevalente durante la stagione estiva, in quanto principale elemento in grado di mitigare il microclima all’interno di aree urbane periferiche (come quella considerata), solitamente meno dense rispetto al tessuto storico;

– spazi aperti collocati in corrispondenza di canyon urbani profondi orientati preferibilmente secondo l’asse Nord/Sud;

– una maggiore permeabilità degli edifici ai piani terra per il deflusso dell’aria, una strategia implementabile anche in tipi morfologici consolidati, laddove l’incremento delle alberature e delle superfici permeabili è raramente attuabile;

– la sostituzione delle superfici con bassa albedo, poiché nelle aree con temperature superficiali più elevate si registrano solitamente anche i valori di PET meno favorevoli.

che per migliorare le condizioni di comfort all’interno degli spazi aperti pertinenziali e alle latitudini considerate siano da preferire:

Queste strategie costituiscono un approccio integrato, i cui benefici per una progettazione human-centred degli spazi aperti potrebbero essere massimizzati se adottate in combinazione, sebbene la verifica di soluzioni progettuali alternative mediante ulteriori simulazioni resti necessaria.

72 TRANSIZIONI
L’utilizzo di modelli Computazionali
Fluido Dinamici per la valutazione degli scenari supporta l’individuazione di strategie specifiche di adattamento

Infatti, data l’eterogeneità (di forme, rapporti, superfici, elementi naturali e condizioni meteorologiche) dell’ambiente urbano persino alla scala del singolo distretto, l’approccio adottato dimostra come rimanga importante approfondire le relazioni che intercorrono tra la disposizione degli edifici nello spazio, gli ambienti esterni e le condizioni microclimatiche specifiche rispetto alla promozione del comfort. L’utilizzo delle tecnologie abilitanti, in particolare dei modelli CFD nel campo della simulazione degli indici di comfort, si configura come principale elemento abilitante nei processi di progettazione e riqualificazione performance-based alla scala micro-urbana, in grado di supportare esperti e stakeholder nella valutazione degli scenari e delle strategie alternative. In aggiunta, simulazioni più accurate necessitano di dati di input (legati alle condizioni meteorologiche locali) a una maggiore risoluzione spazio-temporale. In tal senso, la raccolta di dati attraverso un’infrastruttura digitale diffusa per il monitoraggio dei parametri ambientali (Giovanardi et al., 2020) e la loro geolocalizzazione in modelli GIS e “digital twin” costituirebbero un’ulteriore e definitiva spinta rispetto alla promozione di un approccio performance-based al progetto per il comfort (img. 01), stante la necessità di considerare il clima alla scala locale come elemento stesso del progetto della città nel contesto di una transizione giusta.*

NOTE

1 – La ricerca è svolta nell’ambito del Progetto PRIN 2017 “TECH-START” (key enabling TECHnologies and Smart environmenT in the Age of gReen economy. Convergent innovations in the open space/building system for climaTe mitigation). Principal Investigator: Prof. Arch. M. Losasso. Associated Investigator (Politecnico di Torino): Prof. Arch. R. Pollo. 2 – I dati sono stati reperiti dall’Arpa Piemonte. In arpa.piemonte.it/dati-ambientali/richiesta-dati-orari-meteorologici (ultima consultazione luglio 2021).

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08. Proposta esplorativa per la riqualificazione dell’interno delle corti nel lotto di Via Ghedini - Via Gallina | Exploratory design proposal for the upgrade of the inner courtyard in Via Ghedini - Via Gallina. Federico Calorio e Matteo Trane

Introduction

The Urban Heat Island effect (UHI) is defined as the difference, in terms of thermal balance, between urbanized and rural areas, in relation to the morphological and constructive characteristics of the built environment (Oke, 1987) which are responsible for increased cooling loads in buildings and decreased user comfort in open spaces (Lai et al., 2019). Many strategies can be implemented to mitigate the consequences of UHI, particularly in relation to the replacement of horizontal and vertical surfaces in favor of materials with higher albedo. However, reflected solar radiation and increased mean radiant temperature due to excessively light surfaces can eventually exacerbate the comfort conditions for the user (Bassolino, 2016). Besides, the sizing of buildings and open spaces, their orientation, and the implementation of urban green infrastructure and nature-based solutions are effective strategies for mitigating the climate at local scale as well (Trane et al., 2021). In particular, increasing shading (by medium-dense urban morphologies and new tree planting) is one of the most effective strategies for cooling urban environments and ensuring greater comfort, although the layout of greenery and buildings should not hinder the passage of wind (Zhao et al., 2018). In any case, environmental conditions at the micro-urban scale are also a function of the climatic zones and geographical location of the areas investigated (Ahmadi et al., 2022). Thus, the relationships between the variables that determine environmental qualities and comfort within an urban public space are complex, multiscalar, and not always manageable through design only. Therefore, it is essential to quantify the impact that alternative urban microclimate mitigation solutions can determine in terms of user comfort, in relation to buildings density, surface quality and vegetation layout. Besides, the specific meteorological characteristics of the context under assessment should be taken into high consideration as well. The use of Computational Fluid-Dynamic (CFD) models for advanced microclimate simulations at the

Urban Morphology and Microclimate

Performance-based design for promoting comfort: a comparison in the Regio Parco district, Turin

district and building block scales is a field of interest for architects, engineers, and planners. Indeed, models support professionals to effectively communicate to interested stakeholders the impact of alternative design solutions with respect to improving environmental quality (Lobaccaro et al., 2022).

Although research in the area of the relationship between urban morphology and microclimate constitutes an established strand of studies, these usually concern morphological archetypes (e.g., comparisons between courtyard and in-line buildings, with a given H/W height/width ratio of urban canyons, with different orientation etc.). This paper proposes a comparative analysis between four different urban morphological fabrics in a real-world case study within the Regio Parco district, Turin (Italy)1 with a focus on the comfort within pertaining residential open spaces. The second section introduces the methodology adopted and the plots modelled, while the results are presented and discussed in the third paragraph, with particular reference to the relationship between comfort index and orientation, morphology, and urban surfaces. In the paragraph Conclusions, based on the highlights that emerged, we introduce a framework of prioritized strategies for microclimate mitigation and comfort promotion, in which the digital domain (linked to advanced simulations, environmental monitoring, and the use of informative geographic systems GIS) enables the design of human-centred urban spaces (img. 01).

Materials and methods

The case study in exam, in the Regio Parco district in Turin, is located in the 6th urban “Circoscrizione”, northeast of the city (img. 02). Built in the 16th century, when its territory was used as a park and agricultural estate of the Savoy family, the district has undergone, still in the 20th century, considerable urban transformations, until Variant No. 200 of 2009, which provides for the redevelopment of former industrial sites and the construction of the second subway line (to date unrealized). In the 1960s, in particu-

lar, many Public Residential Housing blocks were being built during a phase of rapid urban expansion, later managed by the Piedmont Territorial Housing Agency (ATC). The influence of the modernist era on suburban construction patterns, building types (mainly prefabrication) and urban standards adopted resulted in a higher ratio of inhabitants to square meters of public green space than the urban average (17.83 m2/inhab.). Within the district, four plots were identified, characterized by heterogeneous morphological types, density, green/inhabitant ratio, and permeability index (img. 03). One plot has a closed court layout, while the other three consist mainly of in-line buildings. Microclimate simulations were conducted through the use of ENVI-Met 4.4 software, a CFD model capable of simulating different atmospheric processes and characteristics of the micro-urban thermal environment by evaluating the interactions between built surfaces and vegetation within the Urban Canopy Layer, the lower layer of the atmosphere between the ground and the height of buildings. The simulation process presupposes the modeling of the areas considered and the management of microclimatic conditions on the boundary. The modeling was carried out on a very high-resolution grid of 2x2x1 m (x-y-z axes) to obtain maps with the best possible degree of detail in relation to the available hardware capabilities. Data for modeling horizontal green and asphalt surfaces (with different degree of wear and, therefore, albedo), tree species selection, and building height were extracted from the GIS database of the Turin Geoportal (link 03). Regarding the management of microclimatic conditions at the boundary, data from the hottest day of 2019 taken from the ARPA weather station closest to the area were used. The maps in the next section report on Air Temperature (TA) [°C], Surface Temperatures (TS) [°C], Wind Speed (WS) [m/s], and Physiological Equivalent Temperature (PET) [°C] comfort index related to 3:00 pm hours, where the highest discomfort values were found. Specifically, the use of PET allows to consider radiant temperature,

74 TRANSIZIONI
Matteo Trane, Federico Calorio, Riccardo Pollo

air velocity, and vapor pressure in relation to the subject considered (physical activity, type of clothing, age) and for various levels of heat stress intensity (Matzarakis and Mayer, 1996). Although the simulations returned specific ranges of values for the specific environmental variables considered, the legends were harmonized when extracting the maps to make the comparison direct.

Results and discussions

Simulation results for TA, TS, PET, and WS of 3:00 pm hours are shown in image 03, 04, 05, 06, respectively. As for TA, the absolute minimum and maximum values were both found in the Corso Taranto plot (33.2°C and 36.2°C). As for the PET, the minimum value (moderate thermal stress) was found in the Corso Taranto plot (34.4°C), the maximum value (extreme thermal stress) was found in the Via Ghedini plot (60.4°C). The highest WS value was identified in the Via Ghedini and “Rural Village” plots (3.7 m/s), while the lowest value is identified in the Corso Taranto plot, although comfort conditions here are generally better. As for TS, the highest value (45.8°C) was found in the “Rural Village” plot, but they are on average higher in Via Ghedini, where the worst comfort conditions are also recorded. Below, comfort conditions are discussed specifically with respect to some morphological and technical-constructive variables of the plots analyzed.

Comfort and orientation

As for the influence of orientation with respect to the environmental variables considered, this is generally a decisive element in shielding solar inputs in the overheated season. The prevailing orientation in the plot considered can be associated to the NS (North-South) axis (with the exception of Via Ghedini, NW/ SE). As such, it is not a discriminating variable for this study. In any case, previous research reports that, at the latitudes considered, the NS orientation of streets is preferred over the EW orientation, as it can provide more shading and for longer in open spaces (Pollo et al., 2020). In addition, roads oriented parallel to the prevailing wind direction provide more effective convective cooling due to higher air velocity, thus better comfort. Given the wind direction used as a meteorological boundary condition2 (237°C), the simulation shows that, within the residential open spaces in all plots, ventilation is almost nil and the arrangement of buildings does not allow air to be channeled. The WS actually increases in the major roads, where, also due to larger foliage and their arrangement parallel to the considered wind direction, PET values are significantly lower (see Corso Taranto).

Comfort and urban morphology

Considering that the layout of the city predominantly follows the NS and NW/SE matrix (in consolidated urban fabrics), and that the wind direction used as boundary microclimatic condition constitutes one of the prevailing wind directions in Turin in summer, alternative solutions to channel the wind could involve the creation of spaces permeable to the passage of air in the ground floors of buildings and the

increase of “green corridors”. PET values with low or moderate thermal stress in residential spaces within the plots are related to the most shaded areas due to the height of the buildings (see in Corso Taranto, with buildings up to eleven stories). In the other lots analyzed, comfort conditions within the residential open spaces do not benefit from the shading of the buildings as they are lower. Given the in-line layout of the Via Cravero, Corso Taranto and “Rural Village” plots and the low height of the Via Ghedini buildings with closed courtyards, the building layout does not originate true deep urban canyons, which, in hot-dry climates, generally result in better comfort conditions (Pollo et al., 2020).

Comfort and surfaces

Regarding surface quality, the permeability index is lowest in the Via Ghedini plot as the few green areas are present. Although this plot has been recently gone under redevelopment, which involved the redesign of the interior courtyards, it has the highest discomfort values and TA. In contrast, the Corso Taranto and “Rural Village” area have permeability indices of about 33 percent, with greater horizontal green areas. However, the trees in the Corso Taranto plot, with larger foliage and canopies, contribute more to increase the user comfort. At higher TS, particularly in the Via Ghedini and Via Cravero plots (with greater presence of impermeable surfaces and low albedo materials), the comfort conditions appear as generally worse. In any case, although the open spaces between buildings in the “Rural Village” plot are mainly permeable, the absence of trees with large foliage and poor shading (due to low building density) result in widespread discomfort. TA, in this lot, is also generally higher than those found in the other lots with in-line planting, although less high than those simulated in the Via Ghedini plot (img. 08).

Limits

The approach adopted faces several limits. First, we had to run the simulation in Simple Forcing mode in ENVI-met based on the available meteorological data, i.e., using hour input values for TA and Relative Humidity but “forcing” the initial WS and direction of the reference day. In addition, some context around the analyzed plots was included in the modeling, but, with more hardware availability, it would have been better to run the simulations for a period longer than 24 hours in order to minimize possible “border errors” of the models due to their initial inertia.

Conclusions

Although, on the basis of the results, it is not possible to determine which of the urban morphologies under consideration provides considerably better comfort conditions, the microclimatic simulations revealed some differences among the plots analyzed. The most favorable comfort conditions are in plots where there are in-line buildings with greater heights. However, it is not possible to say that an in-line system provides better comfort conditions, as this does not usually make it possible to create deep urban canyons and does not ensure adequate shading (see “Rural Vil-

lage” plot), unless there are very tall buildings and a small distance between them (see Via Cravero plot), i.e., higher building density. This research, therefore, confirms that to improve comfort conditions within the residential open spaces and at the latitudes considered, the following strategies are most effective:

- dense compact urban morphologies allow a greater degree of shading;

- deciduous tree with wide foliage and placed to channel the wind according to its prevailing direction during the summer season are the main factor to can mitigate the microclimate in urban peripheries (like the case study analyzed), where the urban fabric is usually less dens than historic centres;

- open spaces are to be ideally placed within deep urban canyons oriented according to the NS axis;

- increased permeability of buildings at ground floors for wind passing through can be implemented even in consolidated morphological types where tree planting and permeable surface increasing are hard;

- surfaces should be replaced by mediumhigh albedo materials, since areas with higher surface temperatures usually also have the worst PET values.

These strategies might constitute an integrated approach, whose benefits for human-centered design of open spaces could be maximized if adopted in combination. However, alternative design solutions by further simulations should ideally be performed. Indeed, given the heterogeneity (of forms, ratios, surfaces, natural elements, and weather conditions) of the urban environment, even within a district, this approach demonstrates that it still remains important to investigate the relationships between the layout of buildings in space, outdoor environments, and specific microclimatic conditions with respect to the promotion of comfort. The use of enabling technologies, particularly CFD models in the field of comfort index simulation, emerges as a main enabler in performance-based design and redevelopment processes at the micro-urban scale, as it might support experts and stakeholders in evaluating alternative scenarios and strategies. In addition, more accurate simulations require input data (related to local weather conditions) at a higher space-temporal resolution. In this sense, the collection of data through a widespread digital infrastructure for monitoring environmental parameters (Giovanardi et al., 2020) and their geolocation in GIS and “digital twin” models would be a further and final push with respect to promoting a performance-based approach to design for comfort (img. 01), given the need to consider climate at the local scale as an element of design cities in the context of a just transition.*

NOTES

1 – This paper is part of the PRIN 2017 “TECH-START” Project (key enabling TECHnologies and Smart environmenT in the Age of gReen economy. Convergent innovations in the open space/building system for climaTe mitigation).

Principal Investigator: Prof. Arch. M. Losasso. Associated Investigator (Politecnico di Torino): Prof. Arch. R. Pollo. 2 – The data was obtained from Arpa Piemonte. In arpa.piemonte.it/dati-ambientali/richiesta-dati-orarimeteorologici (last consulted July 2021).

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Stati cuscinetto

Come l’olio che impedisce pericolosi attriti tra due parti di metallo, uno Stato cuscinetto è pensato per descrivere una zona di transizione che tiene separate due o più parti ostili: un territorio indipendente, interposto tra Stati rivali che ne attutisce i contatti e, dunque, i conflitti.

L’espressione è stata usata per la prima volta con buona probabilità nel 1883, per riferirsi all’Afghanistan, che al tempo separava le zone asiatiche di interesse dei britannici da quelle russe, ma nella realtà dei fatti, è un concetto antico, che nasce insieme alle prime comunità politiche create dagli esseri umani quando si sceglievano zone di transizione o di confine scarsamente popolate o totalmente deserte, per separarsi sul piano spaziale da comunità ostili.

Sebbene questi territori, che solitamente scelgono di non ospitare sul proprio territorio le truppe di nessuno dei Paesi che li circondano, abbiano una propria forza armata e sovente siano anche neutrali, essi sono certamente molto influenzati dal punto di vista etnico, linguistico e religioso dai territori circostanti, che ne compromettono in un certo senso l’integrità, rompendo l’equilibrio spesso già precario, di questi territori di transizione.*

Delaware, Kentucky, Maryland, Missouri e Virginia Occidentale

durante la guerra di secessione americana UNIONE | CONFEDERAZIONE

Georgia

come colonia fondata dalla Gran Bretagna nel 1732 COLONIE BRITANNICHE DEL NORD AMERICA | FLORIDA SPAGNOLA

Ecuador

negli anni Venti dell’Ottocento COLOMBIA| PERÙ

Bolivia

Paraguay

dopo la fine della guerra del Paraguay nel 1870 ARGENTINA | BRASILE

Uruguay

POTENZE CONFINANTI IN CONFLITTO

STATI CUSCINETTO CONFINI “CALDI”

durante la questione dell'Alto Perù ARGENTINA | PERÙ durante l'inizio del periodo dell'indipendenza nel Sudamerica ARGENTINA | IMPERO DEL BRASILE

76 INFONDO

Belgio

precedentemente alla Prima guerra mondiale REGNO UNITO | FRANCIA | GERMANIA

Regno Unito dei Paesi Bassi

creato dal Congresso di Vienna nel 1815

FRANCIA | PRUSSIA | REGNO UNITO

Renania

nel dopoguerra della Prima guerra mondiale FRANCIA | GERMANIA

Regno di Sardegna

dopo il Congresso di Vienna fu utile per arginare un eventuale tentativo d'espansione della FRANCIA IN ITALIA

Marocco

nel XVI secolo

IMPERO OTTOMANO | SPAGNA | PORTOGALLO

Austria, Svezia, Svizzera e Finlandia

erano Stati neutrali DURANTE LA GUERRA FREDDA

Lituania Centrale

nel 1920

SECONDA REPUBBLICA DI POLONIA | REPUBBLICA LITUANA | URSS

Seconda Repubblica di Polonia

dopo la Prima guerra mondiale GERMANIA | UNIONE SOVIETICA

Territorio Libero di Trieste

dal 1947 al 1954 ITALIA | EX IUGOSLAVIA

Mongolia

RUSSIA | REPUBBLICA POPOLARE CINESE

Afghanistan

durante i "conflitti" anglo-russi del XIX secolo IMPERO BRITANNICO | IMPERO RUSSO

Iraq, Bahrein

Libano

ISRAELE | SIRIA

Beilicato dei Dulqadiridi

tra il XIV e il XV secolo

IRAN | ARABIA SAUDITA

Nepal, Bhutan, Sikkim

nella guerra sino-indiana del 1962 CINA | INDIA

Repubblica dell'Estremo Oriente

creata dai

BOLSCEVICHI PER NON CONFINARE CON I TERRITORI GIAPPONESI

Manciuria

durante la Seconda guerra mondiale IMPERO GIAPPONESE | UNIONE SOVIETICA | REPUBBLICA DI CINA

Thailandia

Corea

nel XIX secolo GIAPPONE IMPERIALE | IMPERO RUSSO

Corea del Nord

durante e dopo la Guerra fredda CINA | COREA DEL SUD (FILOSTATUNITENSE)

IMPERO OTTOMANO | SULTANATO MAMELUCCO

Protettorato del Bechuanaland

creato dall'Impero britannico IMPERO BRITANNICO | ORANGE FREE STATE E REPUBBLICA DEL TRANSVAAL

durante il periodo coloniale INDIA (BIRMANIA) | INDOCINA FRANCESE

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nd admit that the waters around you have grown

In questi giorni, mentre si sta chiudendo il numero della rivista, si è appena conclusa la ventiduesima edizione di Wave Si è trattato di un’edizione in certa misura diversa dalle precedenti. A partire dal nuovo assetto che il grande “workshop fatto di workshop” organizzato dall’Università Iuav di Venezia ha assunto: per la prima volta Wave è diventato un evento plurale, in grado di coinvolgere le diverse discipline che conformano l’offerta formativa di ateneo. Ai workshop di architettura, ormai divenuti un appuntamento riconosciuto a livello mondiale, si sono affiancati nuovi atelier, dedicati al design e alla comunicazione, alla moda e alle arti visive e performative. La già complessa macchina di Wave si è ulteriormente arricchita di ulteriori punti di vista, volti a rendere conto delle molteplici declinazioni che la parola “progetto” possiede nell’ateneo veneziano.

Ed è stata un’edizione diversa, almeno dalle ultime, perché finalmente le attività sono potute tornare completamente in presenza, senza limitazioni. In un workshop come Wave, il cui carattere formativo molto deve alla dimensione collettiva e al grande numero di partecipanti, due anni di restrizioni legate alla pandemia hanno pesato non poco sulle attività. Quest’anno, di nuovo, circa 1.200 studenti e un centinaio tra docenti e collaboratori sono tornati a lavorare fianco a fianco per tre settimane, condividendo tavoli, modelli,

disegni, ma soprattutto condividendo un’esperienza di lavoro in gruppo che porteranno con sé negli anni a venire. Il ricordo di distanziamenti e mascherine è sembrato a tutti ormai molto lontano. Eppure, nonostante il felice ritorno all’ordine, in questi ultimi tempi il sentire collettivo è inevitabilmente cambiato. Lo stesso tema d’anno, intitolato Waves con un gioco di parole che alludeva alla nuova dimensione plurale, ma anche alle onde di marea che sempre più incombono su territori e insediamenti, dichiarava la necessità di guardare, con occhio progettuale, a ciò che sta succedendo al mondo in cui viviamo. L’innalzamento dei livelli dei mari non è una misurazione astratta e lontana, ma una condizione prossima a esondare nel quotidiano di molti territori. E si potrebbe aggiungere che tutti e quattro gli elementi fondamentali delle cosmogonie tradizionali – terra, acqua, aria, fuoco – stanno progressivamente sovvertendo il loro equilibrio sotto forma di frane, esondazioni, tempeste e incendi che, in questi giorni di piena estate, stanno colpendo innumerevoli luoghi.

In tempi in cui le parole d’ordine dell’agenda politica parlano di efficientamento, riduzione, contenimento, è lecito domandarsi quale sia il senso di operazioni “dissipative” come workshop e seminari. Senza grandi imbarazzi credo si possa riconoscere che i workshop non producono progetti pronti all’uso. Esplorano ipotesi, percorrono strade tortuose, spesso si imbattono in vicoli ciechi. Non sono efficienti nell’immediato. Ma forse non è solo di immediata efficienza ciò di cui

il futuro prossimo ha bisogno. La transizione ecologica non potrà mai essere un percorso lineare e conseguente. E non basteranno le soluzioni oggi a nostra disposizione per contenere ciò che sta succedendo e, soprattutto, invertire ciò che è già successo. Ciò di cui c’è urgenza, piuttosto, è capacità di visione e condivisione collettiva. Senza l’una non c’è strada da percorrere, senza l’altra non è pensabile percorrerla. In questo i workshop come Wave possono avere un ruolo strategico: nel mettere insieme persone e punti di vista, nel far ribollire idee e proposte. Non nel formare professionisti. Piuttosto nel formare progettisti.

and keep your eyes wide the chance won’t come again

The Urgency of the Project. Wave, the Workshops and the Times that are a-changin’ The twenty-second edition of Wave, entitled Waves and dedicated to the sea level rise, has just concluded. The new edition was characterized by a new plural structure, open to the different declinations of the term “project” that conform the educational offer of the Università Iuav di Venezia: the architecture workshops were joined by design, communication, fashion, visual and performing arts ateliers. The year’s theme declared the need to look at the changes taking place in the world with an attitude aimed at the project. In this sense, the meaning of workshops like Wave fostering capacity for vision and collective sharing.*

78 TRANSIZIONI
Andrea Iorio Ricercatore TDB in Composizione architettonica e urbana, Università Iuav di Venezia, coordinatore Wave 2023. aiorio@iuav.it
Wave, i workshop e i tempi che stanno cambiando

L’urgenza del progetto

79 OFFICINA* N.42
01. Il rettore Benno Albrecht e il coordinatore dell’edizione Andrea Iorio insieme agli ospiti, lo scrittore Tiziano Scarpa e il fotografo Matteo de Mayda, inaugurano Wave 2023 Waves, Tolentini, aula magna, 26 giugno 2023 | The rector Benno Albrecht and the coordinator of the edition Andrea Iorio together with the guests, the writer Tiziano Scarpa and the photographer Matteo de Mayda, inaugurate Wave 2023 Waves, Tolentini, aula magna, June 26th 2023. Servizio fotografico e immagini Iuav
80 TRANSIZIONI
02. Armando Dal Fabbro + Soohyoun Nam [IT/KR], Ai bordi del mare / At the Edge of the Sea. Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Paesaggi e contesti” | Winner of the prize of the popular jury, category “Landscapes and contexts”. Servizio fotografico e immagini Iuav 03. Antonella Gallo + Susanna Campeotto + Claudia Cavallo [IT], Cosa porti sull’Arca? / What Do You Bring on the Ark? Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Incertezze” | Winner of the prize of the popular jury, category “Uncertainties”. Servizio fotografico e immagini Iuav
81 OFFICINA* N.42
04. Diego Orduño Guerra + Sandra Valdés Valdés + Sarah Obregón Davis [MX], Sogni lacustri di una cittá arida: personaggi di Città del Messico, Luis Barragán e l’acqua / Lacustrine Dreams of a Dry City: Characters on Mexico City, Luis Barragán and Water. Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Immaginari” | Winner of the prize of the popular jury, category “Imaginaries”. Servizio fotografico e immagini Iuav
Il carattere formativo di Wave deve molto alla dimensione collettiva e al grande numero di partecipanti
82 TRANSIZIONI
05. Iván Ivelic Yanes + Ursula Exss Cid + Anna Braghini [CL], Ri[costruire e abitare] il Pacifico / Re[build and inhabit] the Pacific. Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Approcci integrati” | Winner of the prize of the popular jury, category “Integrated approaches”. Servizio fotografico e immagini Iuav 06. Aldo Aymonino + Giuseppe Caldarola [IT], Figure della catastrofe / Figures of Catstrophe. Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Espressività” | Winner of the prize of the popular jury, category “Expressiveness”. Servizio fotografico e immagini Iuav
83 OFFICINA* N.42
07. Fernanda De Maio + Flavia Vaccher [IT], Mangrotopia (contemporaneo ancestrale in Benin) / Mangrotopia (Ancestral Contemporary in Benin). Allestimento vincitore del premio della giuria popolare, categoria “Vivere insieme” | Winner of the prize of the popular jury, category “Living Together”. Servizio fotografico e immagini Iuav
I workshop come Wave possono avere un ruolo strategico non nel formare professionisti. Piuttosto nel formare progettisti.

Valtur between projects and landscape

There are few architectural events in the years of the economic boom that escape the chimera of building speculation, and Valtur is undoubtedly part of this rarefied category. The resulting valuable architectural experience bears witness to a way of tackling problems and stimulating reflections that are largely useful for contemporary design action. Together with the essay and argumentative contribution of various researchers, the book presents five key architectures of the great Valtur project, among whose qualities the search for a plausible dialogue between settlement and landscape stands out.*

Valtur fra progetto e paesaggio

Il racconto dei villaggi vacanze: occasione per rinverdire il dibattito su e per il territorio

a minuta celestialità evocata dall’immagine dei “Piccoli Paradisi”, coniata da Gio Ponti per definire l’esperienza architettonica di Valtur, si offre come titolo del libro curato da Filippo De Dominicis e da Benedetta Di Donato. I due ricercatori dirigono un lavoro corale al quale ha contribuito un nutrito gruppo di ricercatori, per lo più appartenenti all’alveo del Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università La Sapienza di Roma. Raccontare e argomentare Valtur dal punto di vista dell’architettura significa inserirsi nel dibattito che vede come protagonisti la difesa del patrimonio ambientale da un lato, e la necessità di progetto dall’altro.

La villeggiatura è una pratica inizialmente propria della borghesia di fine Ottocento e che solo negli anni del boom economico si trasforma in un fenomeno alla portata del portafoglio di tutti, con la complicità dello sviluppo infrastrutturale, dell’accrescimento del benessere economico collettivo e, non da ultimo, della diffusione dell’automobile.

Valtur, acronimo di “Valorizzazione Turistica”, è una società fondata nel 1964 da Raimondo Craveri con l’obiettivo di promuovere il turismo italiano sostenendo la realizzazione di villaggi turistici, prevalentemente nel Sud della penisola. Si tratta di un imprenditore illuminato, che fin dagli inizi desi-

dera virtuosamente l’apporto culturale di alcuni giovani architetti, in grado di proporre soluzioni progettuali vocate soprattutto all’integrazione con il paesaggio e con l’ambiente. Questa non scontata cura nei confronti del rapporto fra insediamento e territorio si pone in una condizione antitetica alla sfrenata pulsione costruttiva tipica di una larga maggioranza delle proposte edilizie di quel tempo, troppo spesso indifferenti ai bisogni del contesto, del paesaggio e dell’ambiente. Gli sforzi progettuali degli architetti di Valtur indagano approfonditamente anche la dialettica tra la forma degli insediamenti e la dimensione collettiva che questi necessariamente contemplano. Un villaggio turistico infatti si articola come un sistema complesso di relazioni tra persone in sosta per un periodo mediamente breve; si tratta di una natura ben lontana dalle logiche degli alberghi o dei residence. Un villaggio è così chiamato a produrre un’atmosfera ben precisa, un singolare sistema dialogante di relazioni fra persone, spazi e usi.

La trattazione apre correttamente il campo alla contestualizzazione storica del momento entro cui avvengono le vicende di Valtur, dando anche spazio ad altri progetti che nulla hanno in comune con i temi del paesaggio o della riflessione sulla vita comunitaria. Si tratta per lo più di operazioni d’iniziativa privata, meramente finalizzate

84 IL LIBRO
Piccoli paradisi a cura di Filippo De Dominicis e Benedetta Di Donato Anteferma, 2023 Davide Baggio Studente del corso di Laurea Magistrale in Architettura, Università Iuav di Venezia. d.baggio@stud.iuav.it

alla massimizzazione dei profitti e poveri di intenti critici e culturali. Questo regesto si offre come cartina tornasole con la quale giudicare i progetti di Valtur, animando in tal modo il dibattito contemporaneo in un momento storico di profonda crisi, e per il quale ci si interroga con crescente intensità sulla sostenibilità a lungo termine di certi tipi di modelli di crescita.

L’architettura per il turismo è, inoltre, un argomento curiosamente assente dai radar della storia dell’architettura, denunciano i curatori, probabilmente a causa di una forma di pensiero ideologico che avvicina gli spazi per il tempo libero a un tipo di architettura “disimpegnata”, poco degna degli sforzi intellettuali della storiografia. Questa povertà bibliografica, critica e di dibattito non ha consentito una libera e profonda comprensione del fenomeno del tempo libero e dello svago, delle sue trasformazioni e delle sue implicazioni sociali.

I cinque progetti per i villaggi Valtur di Ostuni, Isola di Capo Rizzuto, Brucoli, Pollina e Kemer vengono esposti con accurato rigore scientifico e accompagnati dalle riproduzioni dei disegni originali e da fotografie a colori. Dalla loro osservazione emerge come gli sforzi degli architetti si concentrino, ancora una volta, sul dialogo con il paesaggio, sul lavoro con la geomorfologia, sulla preminenza compositiva dei tracciati, sul rifiuto dell’alta densità

abitativa e della costruzione in verticale, sulla conseguente predilezione per dei tipi edilizi a sviluppo orizzontale, in serie o per arcipelaghi di piccoli agglomerati, sul disegno degli spazi pubblici e dei giardini e sull’efficienza dei sistemi della viabilità automobilistica. In questi progetti notevole è anche l’espressione architettonica, per lo più debitrice nei confronti della tradizione d’inizio Novecento, che si manifesta specie nel rapporto forma-tipo e forma-costruzione, e nella sincera espressione dei materiali impiegati nella costruzione, attentamente scelti in funzione delle ragioni del singolo progetto, dal calcestruzzo armato alla pietra locale.

Il racconto di Valtur si cala, in definitiva, all’interno di quella categoria di letture che nonostante la vocazione storica, sono capaci di muovere importanti riflessioni critiche sull’operare contemporaneo di architetti, urbanisti, imprenditori privati ed enti pubblici, anche sulle tracce della non poco rilevante questione legata al rapporto sempre più interdipendente che tali porzioni della società intrattengono vicendevolmente fra di loro; una questione che mai dovrebbe smettere di interessare il dibattito pubblico, professionale e accademico.*

85 OFFICINA* N.42
La cura verso il rapporto fra insediamento e territorio è antitetica alla sfrenata pulsione costruttiva del boom economico

re fino a diventare un’area che offre tempo e spazio per l’adattamento fisico e mentale nel passaggio tra ambienti diversi. È un arredo divisorio bifacciale in cui sono integrati un pannello trasparente, che collega visivamente i due ambienti che separa, e una panca, dove sedersi e osservare l’ambiente prima di entrarvi. Questo principio può essere applicato in diversi contesti integrando di volta in volta SENSHome Threshold con moduli contenitori a giorno, armadi o anche una zona cottura. Può essere quindi inserito all’ingresso di una casa o nella sede di associazioni e centri residenziali o anche in servizi pubblici tra gli spazi di circolazione e quelli per le diverse attività. Un prototipo dell’elemento “soglia” abbinato a un mobile guardaroba e cucina è collocato nello spazio dimostrativo SENSHome a Bolzano. L’osservazione di persone autistiche e caregiver in visita al laboratorio ha confermato l’efficacia, a seconda delle esigenze individuali manifestate, di un dispositivo di questo tipo e ha suggerito l’importanza di condurre ulteriori ricerche teoriche e applicative sugli spazi di transizione negli interni che tengano conto di stili percettivi ed esperienze sensoriali meno tipici. L’autismo amplia le possibilità progettuali dello spazio “soglia”, luogo per sua natura di attraversamento, connotandolo anche come sosta per la mediazione tra il corpo e l’ambiente e come intervallo di tempo in cui, a partire dall’esperienza passata, aprirsi all’avvenire (Kirchmayr, 2019). *

Attraversare una soglia è sempre destabilizzante, costringe il corpo e la mente a ritrovare il proprio comfort nel passaggio al nuovo ambiente: accomodare gli occhi a una condizione di luminosità maggiore o minore, adattare la mente a una diversa rumorosità, preparare il corpo al cambiamento di temperatura, ma anche rimodulare l’atteggiamento sociale. Stili percettivi e cognitivi differenti rispetto a quelli prevalenti tanto che per certe persone questo adattamento può richiedere una consistente fatica fisica e mentale e generare agitazione, come nel caso di persone nello spettro autistico. Dispositivi spaziali specifici possono controbilanciare questi effetti negativi e incentivare invece i fattori ambientali che aiutano la persona ad affrontare le proprie difficoltà e sviluppare i propri punti di forza (Bogdashina, 2011). Una delle strategie adottate dalla progettazione architettonica nell’ambito dell’autismo consiste nel definire spazi di “transizione” che segnalino in anticipo il cambiamento e rendano il passaggio graduale, e quindi l’ambiente comprensibile (Mostafa, 2020). La “soglia” come dispositivo di attraversamento modulato tra spazi diversi è uno dei temi approfonditi dal gruppo dell’Università di Trieste nel più ampio progetto di ricerca europeo

NOTE

1 –Finanziato dal programma Interreg VA Italia-Austria 2014-2020.

Partner: Libera Università di Bolzano, Università degli Studi di Trieste, Carinthia University of Applied Sciences, Eureka System. Progetto architettonico e d’interni sviluppato dal gruppo di ricerca di Trieste, coordinato dalla prof.ssa Giuseppina Scavuzzo, con arch. Paola Limoncin, arch. Anna Dordolin, ing. Federica Bettarello.

BIBLIOGRAFIA –Bogdashina, O. (2011). Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella sindrome di Asperger Crema: Uovonero. –Kirchmayr, R. (2019). Pensare la soglia. Trentun aforismi per l’architettura. In Scavuzzo, G., Pratali Maffei, S., Guaragna, G. (a cura di), Riparare l’umano. Lezioni da un manicomio di frontiera . Siracusa: LetteraVentidue, pp. 138-141. –Mostafa, M. (2020). Architecture for autism: Built environment performance in accordance to the autism ASPECTSS design index. In Das, U., Papaneophytou, N., El-Kour, T. (a cura di), Autism 360° London: Academic Press, pp. 479-500. –Scavuzzo, G., Limoncin, P., Dordolin, A., Bettarello, F. (2023). SENSHome. Architettura e sensibilità atipiche . Siracusa: LetteraVentidue.

SENSHome 1 , il cui obiettivo era sviluppare un sistema di arredi e tecnologia per migliorare sicurezza e comfort nell’ambiente domestico di adulti autistici a medio-alto funzionamento, preservandone la privacy. La ricerca è stata condotta attraverso analisi comparative di linee guida e progetti per l’abitare autonomo di persone neurodivergenti e attraverso il coinvolgimento degli utenti in tutte le fasi di analisi, progettazione e valutazione del sistema, secondo l’approccio Human Centered Design. Per gli obiettivi del progetto, sono state elaborate soluzioni flessibili e componibili legate all’architettura d’interni e alla tecnologia. L’apparato tecnologico si compone di sensori che monitorano le condizioni ambientali e rilevano situazioni di potenziale pericolo, inviando un segnale di allarme ai caregiver in casi predefiniti. Gli arredi agiscono invece come “dispositivi spazio-funzionali” che, oltre a contenere la componente tecnologica nel modo meno visibile possibile, articolano lo spazio per innescare processi di autonomia della persona (Scavuzzo et al., 2023). Tra i dispositivi sviluppati, SENSHome Threshold è stato ideato come “soglia” che acquisisce spesso -

SENSHome Threshold: dispositivo-soglia per spazi sensibili

SENSHome Threshold: Threshold Device for Sensitive Spaces

Anna Dordolin

Dottoranda di ricerca in Architettura, DIA, Università degli Studi di Trieste. anna.dordolin@phd.units.it

SENSHome Threshold nell’ambiente dimostrativo realizzato a Bolzano, Italia. SENSHome Threshold in the test environment in Bolzano, Italy. Progettazione unità di ricerca Units SENSHome, Elaborazione grafica Anna Dordolin, Foto Schirra/Giraldi

87 I CORTI

ziamento pubblico dell’industria bellica non sembra suscitare affatto lo stesso clamore mediatico (Copeland et al., 2019).

L’antimonumentalità performativa dell’opera rappresenta la maestosità dell’effimero, l’antitesi della produttività capitalistica. L’opera, annullandosi, diventerebbe un luogo di aggregazione, la pubblica piazza, un’occasione di confronto per immaginare differenti modelli di cittadinanza, di relazioni sociali. Le partite di pallone, i concerti, le proteste, le discussioni, le risate rappresenterebbero allora il coefficiente d’arte, lo scarto tra il progetto dell’artista e la propria effettiva concretizzazione. Come se fosse proprio l’interazione a costruire, a progettare lo spazio circostante. Metzger, a tal proposito, accosta il proprio operato a quello di un architetto (Metzger e Obrist, 2009). La progettazione dell’ambiente urbano, infatti, potrebbe rappresentare un mezzo per accettare le contraddizioni. Solo in questo modo, l’arte così come l’architettura potrebbe recuperare quello slancio prometeico necessario a costituire il futuro, riaffermando l’imprescindibile funzione sociale dell’indugio, dell’inoperosità, dell’inefficienza. *

Le metropoli sono un processo in atto: articolano la complessa produzione della superficie urbana attraverso il riempimento dei passaggi interstiziali e la densificazione edilizia. La presunta valorizzazione del tempo quanto dello spazio condiziona la stratificata articolazione delle relazioni sociali, assumendo l’efficienza, la produttività e il concetto spesso contraddittorio di accessibilità quali parametri da osservare pedissequamente. Accorciare le distanze, accelerare, occupare, sfruttare, saturare lo spazio circostante. Questo il modus operandi necessario all’effettivo consolidamento dell’astrazione capitalistica, assoggettando la singolarità al frustrante obbligo morale della produzione. Ma allora, come arrestare, deviare questo percorso di transizione?

BIBLIOGRAFIA –Copeland, M., Dirié, C., Metzger, G. (2019). Writings (1953–2016) Geneva: JRP. –Metzger, G. (2015). Auto-Destructive Art. London: Architectural Association. –Metzger, G., Obrist, H.U. (2009). The Conversation Series. Vol. 16. Köln: Walther König.

Gustav Metzger tenta di rispondere alla domanda con Five Screens with Computer (1965-1969), proponendosi di rimettere in discussione l’egemonia dell’efficienza. L’irrealizzato monumento autodistruttivo consisterebbe, infatti, di cinque schermi, alti circa nove metri, larghi dodici e profondi poco meno di un metro, disposti diagonalmente, al centro di un’area densamente popolata circondata da palazzi. Ogni parte dell’opera conterrebbe diecimila elementi in plastica, vetro o metallo, espulsi a intervalli casuali. L’illuminazione naturale e gli agenti atmosferici diventerebbero parte integrante del progetto, condizionando l’irregolare espulsione degli elementi (Metzger, 2015). Il progetto, stilato in collaborazione con la programmatrice Beverly Rowe, prevede inoltre l’allestimento di una Viewing Area , dove osservare la manutenzione del monumento, consultando il materiale informativo messo gratuitamente a disposizione dei passanti. Il computer di sala, infatti, regolerebbe la velocità e la direzione del rilascio, documentando quotidianamente il corretto funzionamento del processo autodistruttivo. Le dimensioni, il posizionamento ma, soprattutto, l’intima paradossalità impediscono la realizzazione del progetto. Questo imponente monumento automatizzato, infatti, si autodistruggerebbe nell’arco di un circa un decennio, registrando costi elevati. Ma si tratterebbe di una spesa inutile. Lo stanziamento di fondi per la realizzazione di un simile progetto, pertanto, comporterebbe sicuramente numerose polemiche, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica. Eppure, come sottolinea lo stesso Metzger, il finan -

Five Screens with Computer: transizione autodistruttiva

Five Screens with Computer: Auto-destructive Transition

Jacopo De Blasio

Dottorando di ricerca in Cultura visuale, Università degli Studi di Palermo. jacopodeb@gmail.com

Gustav Metzger nel suo studio al 30 Queen Street, King’s Lynn (1960). Gustav Metzger in his studio at 30 Queen Street, King’s Lynn (1960). John Cox

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Phd, Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli studi di Napoli Federico II. giulia.sodano@unina.it

Orchard and Food-forest Abandoned spaces generate urban voids that can be filled with new configurations of use. Naples is increasingly concrete, less greenery and fewer shared spaces. Since April 2021, the N’ Sea Yet association has been entrusted with an area of about 700 m2, abandoned and closed for 10 years. The urban regeneration project of the area aims to develop an ecological community that takes care of this place by planting new fruit trees and involving the people who live nearby. “Think global, act local” to apply Ecocentrism with small daily gestures.*

ntroduzione

Napoli è la città delle contraddizioni anche quando il tema è la rigenerazione urbana e il verde. Il poco verde diffuso esistente spesso è privato o degradato. Tanti piccoli hortus conclusus sono rintracciabili in antichi complessi monastici in giro per il centro della città. Strade strette, trafficate e senza un albero ma se apri un portone puoi trovare un giardino. Il verde è ignoto, non fruibile o solo per pochi.

L’ultimo bilancio del verde del comune di Napoli del 2015 riporta una situazione drammatica se si considera che il patrimonio arboreo stimato è di 60mila alberi e di questi un’elevata percentuale è di età

superiore ai 50 anni. Una città con una superficie di 117,3 km² e pochissimo verde. Inoltre, a mancare è una manutenzione del verde ordinaria qualificata. Spesso anche le potature più complesse vengono eseguite in maniera scorretta da persone non competenti, capitozzando gli alberi. Questo oltre ad essere dannoso per l’albero è anche rischioso poiché può portare alla sua caduta. Il comune di Napoli non ha un Censimento del Verde aggiornato né un Regolamento del Verde approvato. L’ultimo Bilancio Arboreo consultabile risale al 2015 ma l’assessorato attualmente sta effettuando una Mappatura del Verde tramite sistema GIS consultabile tra-

mite il sito. Oggi il verde urbano riveste un ruolo fondamentale nel contesto cittadino. La crisi pandemica ha spinto molte persone a riscoprire il piacere del contatto con la natura. Questa nuova consapevolezza ha sviluppato più attaccamento ai luoghi verdi della città, spesso mai frequentati prima. Gli spazi pubblici che abbiano la giusta potenza magnetica per attrarre il cittadino al suo utilizzo e alla sua cura sono sempre meno. Il degrado, come nella teoria della finestra rotta, porta altro degrado. James Q. Wilson e George L. Kelling introducono nel 1982 la teoria della finestra rotta, ipotesi già antecedentemente sperimentata da altri, che dimostra come qualsiasi luo-

Frutteto e Food-forest Luogo di rigenerazione umana e urbana

90 L’IMMERSIONE
01. Lavori di terrazzamento, aprile 2022 | Terracing work, April 2022 Giulia Sodano

go, a prescindere dal contesto in cui si trova, può essere oggetto di degrado e incuria dilagante (Austrup, 2011; Maskaly e Boggess, 2014; O’Brien et al., 2019). Questo spiega perché in una città come Napoli anche nei quartieri considerati meglio frequentati ci siano spesso angoli deturpati, progressivamente abbandonati poiché sembrano segnalare che a nessuno interessa. “In secondo luogo, a livello di comunità, il disordine e il crimine sono di solito indissolubilmente legati, in una sorta di sequenza evolutiva. Gli psicologi sociali e gli agenti di polizia tendono a concordare sul fatto che se una finestra di un edificio viene rotta e non viene riparata, tutte le altre finestre saranno presto rotte” (Wilson e Kelling, 1982). È la concezione di ordine a cambiare la percezione degli ambienti vissuti da una comunità, ed è la stessa comunità a sentirsi tale se gli individui che ne fanno parte sono legati dagli stessi obiettivi e dalle stesse regole di buona convivenza. Come è riportato nello studio di Wilson e Kelling si dovrebbero proteggere le comunità oltre che gli individui: “proprio come i medici ora riconoscono l’importanza di promuovere la salute piuttosto che semplicemente curare la malattia, così la polizia - e il resto di noi - dovrebbe riconoscere l’importanza di mantenere intatte le comunità senza finestre rotte”. È sulla base di queste teorie comunicative e

sociali e sulla consapevolezza della necessità della giusta cura e conservazione degli spazi verdi che l’associazione N’ Sea Yet a partire dall’aprile 2021 ha in affido un’area di circa 700 m2, rimasta abbandonata e incolta per più di 10 anni. Il progetto di rigenerazione urbana dell’area ha l’obiettivo di sviluppare una comunità ecologica che si prenda cura di questo luogo piantando nuovi alberi da frutto e coinvolgendo le persone che abitano nei dintorni.

Obiettivi

Il progetto è iniziato in maniera spontanea come una green guerrilla o guerrilla gardening (GralińskaToborek, 2021) con azioni mirate alla cura e alla riappropriazione dello spazio pubblico per poi diventare un progetto accolto e supportato dall’amministrazione locale. Piantare alberi o fiori in spazi pubblici abbandonati, lanciare bombe di semi il gesto forse più significativo di una green guerrilla. Tra i principali obiettivi del progetto c’è quello di consolidare una comunità locale che creda nelle buone pratiche di sostenibilità ambientale. “Think globally, act locally” per applicare l’ECOcentrismo con piccoli gesti quotidiani. L’ecocentrismo è la filosofia che guida questo progetto di rigenerazione urbana. Rigenerare uno spazio urbano, tenendo conto dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutti gli esseri

91 OFFICINA* N.42
02. Un giorno di workshop, giugno 2022 | A workshop day, June 2022. Giulia Sodano
Gli spazi abbandonati generano vuoti urbani che possono essere colmati con nuove configurazioni

viventi e partendo dalle esperienze e competenze collettive della comunità, è l’obiettivo che si prefigge l’associazione N’Sea Yet. Spesso si parla anche di glocalizzazione per descrivere una strategia di gestione che possa combinare il coordinamento globale alla reattività locale (Kefalas, 1998). “Il trucco è raggiungere un equilibrio: combinare la conoscenza locale con la portata globale” (Jackson, 1997). Avere quindi una mentalità globale e adattarla in maniera tale da attuare le giuste strategie al sistema e all’ambiente locale. In quest’ottica l’idea è di sviluppare la prima food forest pubblica al centro di una città così cementificata. Una food forest è un tipo di progettazione paesaggistica sostenibile legata ai concetti della permacultura e mira allo sviluppo di un ecosistema autosufficiente di piante, animali e funghi. L’obiettivo di un frutteto, un luogo dove coltivare, al centro di Napoli è quello di promuovere un cambiamento comunitario basato sulla sostenibilità e sull’educazione ambientale.

Approccio e metodi

L’inizio è sempre un approccio casuale alle problematiche, è il percorso a generare la giusta strategia. Quella

vincente è stata la comunicazione. Raccontare la storia del luogo, accogliere le persone che vivono nei dintorni e comunicare le proprie azioni attraverso tutti i mezzi di comunicazione per arrivare il più lontano possibile. La diffusione di attività spontanee locali ha portato a far conoscere il progetto ad uno sponsor di calibro globale. L’autofinanziamento iniziale si è evoluto in una collaborazione con più entità e ha dato vita ad una rigenerazione permanente. La startup Brand for the City ha contattato l’associazione N’ Sea Yet per sviluppare un progetto focalizzato sull’educazione ambientale da presentare ad un possibile sponsor, che si è poi rivelato essere Cartoon Network Italia.

La progettualità si è focalizzata sul coinvolgimento di più stakeholder per riuscire a realizzare l’opera di ripristino in due mesi, tempistica richiesta dallo sponsor. Le opere di consolidamento e mantenimento dei terrazzamenti nonché la messa a dimora di diverse piante che potessero ricreare una biodiversità accogliente per gli impollinatori sono state affidate a Giovanni Masucci di Batù Garden Srl. L’arredo urbano è stato eseguito nell’ambito di un workshop di autocostruzione di sei giorni

92 L’IMMERSIONE
03. Giornata di inaugurazione al frutteto, giugno 2022 | Inauguration day at the orchard, June 2022. Giulia Sodano
Consolidare una comunità locale che creda nelle buone pratiche di sostenibilità ambientale

sviluppato grazie alla collaborazione degli architetti Eduardo Bassolino e Viviana Saitto del Diarc Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli. Il workshop ha visto la partecipazione di 10 tutor (N. Ambrosino, G. Finale, F. Iarusso, D. Lancia, M. Masi, A. Pazzanese, C. Priore, M. Russo, S. Tedesco) e 26 studenti (R. Acunzo, D. Amalfitano, D. Aprea, A. Aprea, B. Aveta, M. F. Cesarano, S. Cimmino, P. Corbo, C. De Curtis, A. Do Amaral, C. Falato, L. Fiscina, I. Fusco, L. Grillo, S. Improta, A. Longobardi, A. Mazza, F. Pastore, I. S. Peiris, G. Pellegrino, V. Romano, N. Solimene, I. Sposito, V. Vanacore, B. Vermiglio, M. Vortice) divisi in 5 gruppi che hanno quindi affrontato 5 diversi temi progettuali: 1) Arco di ingresso; 2) Infopoint; 3) Agorà: zona educativa; 4) Area attrezzi; 5) Area lettura: book crossing.

La tattica progettuale è quindi legata soprattutto al coinvolgimento di quelle che sono le competenze locali con il supporto delle istituzioni.

Risultati, discussione e conclusioni

Il progetto, le attività svolte e gli obiettivi sono in linea con la Dichiarazione di Zagabria per Città Sane (2008) che sottolinea l’importanza di promuovere la salute del cittadino attraverso politiche e programmi urbani che mirano a migliorare l’ambiente fisico, sociale ed economico delle città. Inoltre, la dichiarazione

sottolinea l’importanza di creare comunità sane, inclusive e collaborative con l’obiettivo di sviluppare partecipazione attiva nel cittadino (Angrilli e Coppola, 2021). In quest’ottica sono state coinvolte più di 200 persone in circa 30 attività tra eventi, progetti e workshop incluse scuole e università del territorio. Le associazioni, le università e i cittadini possono svolgere un ruolo chiave nella pianificazione e nell’attuazione di processi di rigenerazione. La collaborazione con le parti interessate locali è spesso cruciale per il successo di progetti di questo tipo. Sviluppare una rete di partenariati tra le parti interessate per identificare e affrontare le esigenze specifiche di una determinata area, è ciò che rende un progetto collettivo e partecipato. Ritornare a vivere gli spazi urbani e i luoghi verdi della città in maniera consapevole e attiva, vivere in armonia con l’ambiente naturale e adottare un approccio olistico. Sì, un frutteto può essere un buon esempio di progetto di rigenerazione urbana che tenta di riportare la natura in città e di creare un senso di comunità e connessione sociale. Tutto dipende dalla visione e dal modo in cui i cittadini vivono i luoghi della propria città. Educare al rispetto e alla cura dello spazio pubblico può significare rigenerare l’uomo insieme agli ambienti che lo circondano.*

BIBLIOGRAFIA

– Angrilli, M., Coppola, E. (2021). Raccomandazioni e criticità per la pianificazione e la progettazione di infrastrutture verdi per la salute della città. Roma: INU Edizioni.

– Austrup, S. (2011). The person behind the ‘broken window’: the influence of the environment and personality on undesired behavior. University of Twente.

– Gralińska-Toborek, A. (2021). The aesthetics of green guerrilla. From activism to fine art. University of Łodz: Waterfr., vol. 63, no. 1, pp. 3-29.

– Jackson, J.H. (1997). The world trading system: law and policy of international economic relations. Cambridge: MIT press.

– Kefalas, A.G. (1998). Think globally, act locally. Thunderbird Int. Bus. Rev., vol. 40, n. 6, pp. 547-562.

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Theory. Hoboken: Encycl. Theor. Criminol, pp. 1-4.

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– Wilson, J.Q., Kelling, G.L. (1982). Broken windows: The police and neighborhood safety. Boston: The Atlantic Monthly.

93 OFFICINA* N.42
04. L’associazione N’ Sea Yet il giorno dell’inaugurazione, giugno 2022 | The N’ Sea Yet association on its inauguration day, June 2022. Barbara Vittoria Vitale
Sì, un frutteto può essere un buon esempio di progetto di rigenerazione urbana
94 SOUVENIR

Salto

W.A.Ve. 2017 – Gaeta-Springall architects, Università Iuav di Venezia, Venezia Mente locale, per un’antropologia dell’abitare è un libro di Franco La Cecla. Il titolo trae origine dall’espressione italiana “fare mente locale”, la quale porta in sé due elementi chiave: lo spazio e il tempo. In effetti, “fare mente locale” è come un salto: è una sospensione temporale in cui la nostra mente passa da un punto ad un altro, crea mappe mentali, trova ricordi e così via. “Fare mente locale” è un buon metodo per iniziare a sperimentare.*

Leap

W.A.Ve. 2017 – Gaeta-Springall architects, Università Iuav di Venezia, Venezia Mente locale, per un’antropologia dell’abitare is a book by Franco La Cecla. The title originates from the Italian expression “fare mente locale” [‘gather your thoughts’ – approximately], which carries within itself two key elements: space and time. In fact, “fare mente locale” is like a leap: it is a temporal suspension in which our mind goes from one point to another, creates mental maps, finds memories and so on. “Fare mente locale” is a good way to start experimenting.*

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Letizia Goretti PhD Cultura visuale, ricercatrice associata BnF–site Arsenal. ltz.goretti@gmail.com

Re/Mind the gap Re/Mind the Gap is to remember the void, the lack of services and activities for refugees, rethinking the concept of limit, both as a physical border between territories and as a difference between cultural identities. The hypothesis is the project of three poles: theatre/culture, market/commerce and sacred space/religion, therefore three moments of unconscious integration, where rich communities are created and open to changing human evolution. The thesis focuses on the sacred space, a place of recognition of the identity signs of the civilizations, that human beings bring with them when migrating.*

immigrazione è un argomento che crea dibattiti e obiezioni all’interno di società e città consolidate, ma la crisi dei rifugiati “non è un fenomeno nuovo” (Fairs, 2017). Le civiltà contemporanee sono il risultato di migrazioni continue, come testimoniato dalle manifestazioni artistiche1

Il tema non riguarda solo il “vecchio continente”, ma tutto il mondo: il 2016 ha visto 65,6 milioni di profughi (Fairs, 2017)2. Flussi in aumento anche a causa dei cambiamenti climatici.

Re/Mind the Gap è l’espressione cardine che sintetizza gli obiettivi della tesi3. È Ri/pensare il limite, sia nel senso di confine fisico, sia come differenza tra identità culturali. È Ri/cordarsi del vuoto, dell’assenza di servizi e attività all’interno dei campi e del senso di privazione percepito dall’uomo migrante. L’ipotesi è non progettare l’alloggio migliore, ma individuare quali possano essere le funzioni che permettano un’interazione tra città e ospiti dei campi, quindi progettare architetture urbane utili sia alle une che agli altri. La complessità del tema richiama molti spunti di riflessione, che coinvolgono aspetti dell’architettura, sociologici, demografici e teologico-filosofici.

Le fonti di ricerca sono la letteratura scientifica, i report delle organizzazioni internazionali e giornalistici, che descrivono gli argomenti trattati dal punto di vista della contemporaneità4

L’analisi è partita dal concetto di sacro e profano, per indagare la spiritualità dell’uomo nel rapporto quotidiano tra spazi privati e pubblici. Le religioni si sono formate da ierofanie, che sono il ritenere qualsiasi oggetto “profano” come la manifestazione materiale di qualcosa che non è reale, quindi “sacro” (Eliade, 2013). La scoperta di un luogo sacro per l’uomo significa creare i propri spazi privilegiati. L’atto di attraversare la soglia della casa indica il passaggio tra un luogo comune

Re/Mind the gap Progetto di luoghi sacri e servizi per l’integrazione nei territori di confine

96 TESI
chitettura, 01. Hotspot di Samo | Samos refugee camp. Esme Allen, 2016

(la strada) e un luogo privato (la casa), quindi tra profano e sacro. La soglia diventa il limite, la frontiera dove i due mondi si incontrano. Il “vero mondo” è sempre al centro, nel punto di contatto tra le “zone cosmiche”, rappresentazioni di imago mundi. “L’architettura sacra quindi non ha fatto altro che riprendere e sviluppare il simbolismo cosmologico già esistente nella struttura delle costruzioni primitive [...]

In altre parole, tutti i simboli e i riti riguardanti i templi, le città, le case, derivano [...] dalla primaria esperienza dello spazio sacro” (Eliade, 2013, p. 42).

Partendo dall’assunto che l’uomo è un essere migrante, si sono studiati i flussi migratori di cui egli è stato protago-

nista nel corso della Storia, dall’Africa dove “nasce” verso il resto del mondo, con migrazioni forzate, volontarie e di ritorno. Rappresentando i flussi su una mappa, possiamo suddividere il mondo secondo “civiltà”, che prendono il nome dal principale credo religioso che le contraddistingue (Huntington, 2000). Dunque, la religione diventa elemento distintivo dell’identità dell’uomo: pur muovendosi dal proprio territorio, egli non perde questa identità e, anzi, la porta con sé.

“Il confine indica un limite comune [...] La frontiera rappresenta invece la fine della terra [...] Questo passaggio, oltrepassare la frontiera, muta anche il carattere di un individuo: al di là si

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03. Flussi mondiali che hanno generato le civiltà e il mondo di oggi | Worldwide flows that have generated the civilizations and the world of today. Paolo Di Prima
Le civiltà, divise da un limite immaginario, tendono a sovrapporsi nei territori di confine

diventa stranieri, emigranti, diversi non solo per gli altri ma talvolta anche per se stessi” (Zanini, 1997, pp. 10-11). Le civiltà, divise da un limite immaginario, tendono a sovrapporsi nei territori di confine, creando un mix di culture come è il Mediterraneo. Focalizzandosi su questo, si nota che le principali rotte sono verso Spagna, Italia e Grecia. In quella verso le isole greche a confine con la Turchia, le distanze si riducono tanto che diventa difficile riconoscere l’appartenenza di un territorio a uno Stato o a un altro.

I campi profughi nascono come insediamenti temporanei e dovrebbero garantire le life sustaining activities Tuttavia, spesso perdono “progressivamente la natura di eccezionalità e temporaneità” (Pranzetti, 2015), divenendo “non-luoghi”. Ad esempio, campi sorti nel 1948 hanno “dato luce a tre generazioni di profughi palestinesi, nati, vissuti e morti nei confini del campo” (Rufini, 2015)5. Visitando il campo PIKPA6 e collaborando con le ONG locali si è compreso che fin quando i campi restano temporanei, possono rimanere di piccole dimensioni, ma quando il periodo di permanenza si prolunga, i campi dovrebbero offrire servizi e attività, interagendo con la società locale, perché le regole di emergenza non sono più valide. Analizzando i campi presenti nelle isole greche di Lesbos, Chios e Samos7, anche in relazione al CARA di Mineo e all’hotspot di Lampedusa, si nota la prevalenza di tende e

rifugi adibiti a dormitori e si evidenzia la assenza quasi totale di servizi e di spazi vitali, nonché di attività che migliorino la condizione di vita quotidiana: questo, unito al senso di precarietà, porta gli “ospiti” a condizioni psicologiche critiche.

Il caso studio scelto è Samo, principalmente perché l’hotspot è prossimo alla città, appena trecento metri dal centro, e perché l’integrazione con gli abitanti locali è già in essere. Il tessuto urbano presenta i “segni” generatori del progetto. Uno è l’asse viario di nuova espansione, rettilineo e forte, lungo il quale si trovano i principali servizi. L’unico centro di aggregazione è una piazza sul mare, vicina alle due arterie pedonali dedicate al commercio e alla ristorazione. Altro segno sono le scale, che connettono i vari livelli della città, poiché è insediata su un fronte collinare, e i terrazzamenti realizzati per le coltivazioni di vino e olio, tipiche dell’isola. Una cava dismessa è riconoscibile tra la macchia mediterranea che circonda la città.

Da qui l’idea di connettere questi segni all’interno di un parco, dimensionato per gli ospiti presenti nel campo, circa tremila, più di tre volte maggiore della capienza effettiva. Si proietta l’asse principale fino all’ultima strada sommitale esistente, delimitando l’area di progetto all’interno di due vie, una ai margini del tessuto urbano, l’altra posta 70 m sopra la precedente. I terrazzamenti del parco sono scan-

diti da gradonate, parallele all’asse principale e sono intervallati ogni tre livelli da una strada di collegamento trasversale che segue l’andamento del terreno. La piazza di Samo e la cava sono in relazione visiva e dimensionale tra loro: ciò genera un altro asse, ruotato rispetto al primo. Si ipotizzano i nuovi servizi lungo i due assi, distinguendo funzioni legate alle necessità dei migranti nell’asse centrale e quelle relative ad attività socioculturali e ricreative lungo l’asse diagonale. Gli edifici dell’asse centrale sono direzionati secondo una connessione tra l’asse e le spiagge di arrivo e partenza dei migranti tra Samos e la Turchia8 Le strutture lungo l’asse diagonale, in corrispondenza dei vuoti tra i precedenti, creano nuove piazze. Se da un lato gli edifici centrali ricordano l’inquietudine dei migranti, ma sono al contempo edifici a ponte, volti a connettere i due territori di confine, dall’altro quelli diagonali, ricavati per sottrazione, evocano la solidità della città e il concetto di erosione legato alla cava. Tre poli funzionali diventano i punti di forza del progetto, corrispondenti a tre momenti di integrazione inconscia: teatro/cultura, mercato/commercio e spazio sacro/religione. Il teatro all’aperto è ricavato riutilizzando la cava dismessa. Il mercato, votato per sua natura a forme di integrazione forte, seppure involontaria, è pensato nel polo di intersezione tra i due assi.

Momenti di integrazione

inconscia:

98 TESI
04. Hotspot di Samo | Samos refugee camp. Paolo Di Prima
“Teatro/Cultura”, “Mercato/ Commercio” e “Spazio Sacro/ Religione”

La piazza del mercato ricorda per geometria e dimensioni quella della città, a cui si lega con un rapporto visivo. Perno tra i volumi è una torre di “avvistamento”, le cui bucature sono rivolte verso i quattro punti cardinali. Al culmine dell’asse centrale vi è lo spazio sacro, multireligioso, progettato per i culti professati dagli attuali ospiti del campo (islamici, cristiano-cattolici e naturalistici), per gli abitanti locali (cristiano-ortodossi) e uno “universale” centrale: luoghi in cui si manifesta il segno distintivo dell’identità dell’uomo, la religione.

L’edificio poggia su un basamento, identificando la soglia, limite tra il caos del mondo profano e lo spazio sacro. Una bucatura circolare illumina un pavimento, convergente verso il centro, che raccoglie uno “specchio” d’acqua: elementi che rappresentano la connessione tra cielo e terra, identità dell’intero cosmico. Anche gli altri spazi hanno una relazione visiva con la “volta celeste”, diretta o indiretta. Per astrazione, si ricavano le forme pure ed elementari, seguendo un percorso storico dell’architettura sacra e rispettando le regole di geometria e orientamento caratteristiche di ogni culto. Le colonne dello spazio dedicato ai culti “naturalistici” simboleggiano la foresta e la radura al suo interno: uno spazio semi aperto per essere a contatto con i fenomeni naturali, manifestazione degli spiriti ancestrali adorati nei culti

non abramitici. Lo spazio dedicato ai cristiani cattolici è ipogeo, a impianto basilicale, con l’altare rivolto a est; in alzato ha una sezione triangolare “a capanna”, memoria del tempio primitivo e massima astrazione morfologica. L’ipogeo adiacente a pianta quadrata con l’iconostasi posta a est, come le chiese bizantine, è proprio del culto cristiano ortodosso: non uno spazio assiale per la processione liturgica verso l’altare, ma uno centrale, che permette di circolarvi attorno. Lo spazio dedicato al culto islamico a pianta rettangolare è orientato verso la Kaaba9 ripropone in forma simbolica gli elementi caratteristici delle moschee, come il mirahab, la sala delle abluzioni e nicchie per riporre i testi sacri. La connessione tra i vari spazi sacri è creata dai portali d’ingresso, che si affacciano sullo spazio centrale: uno simboleggia il passaggio tra gli alberi; accanto vi è un portale strombato romanico; un esonartece introduce allo spazio ortodosso come l’Iwan a quello islamico.

Le migrazioni sono costituenti dell’essere umano e creano transizioni tra culture (e culti). Nei luoghi di confine le differenze tendono o ad estremizzarsi o a sovrapporsi, in questo caso creando comunità più mature.

Ciò stimola il progetto di architetture urbane come punti di connessione, sfruttando funzioni che palesano tali interazioni. Re/Mind the Gap ne suggerisce un modello applicativo, indivi-

duando, nell’architettura dello spazio sacro, l’insieme dei segni che l’essere umano porta con sé in questo processo di transizione.

“Ma decidendo la forma del recinto, della capanna, della posizione dell’altare e dei suoi accessori, ha fatto istintivamente angoli retti, assi, quadrati o cerchi. Poiché egli non poteva creare altrimenti qualche cosa che gli desse l’impressione di creare. Poiché gli assi, i cerchi, gli angoli retti, sono i principi della geometria e sono effetti che il nostro occhio misura e riconosce; altrimenti sarebbe il caso, l’anomalia, l’arbitrio. La geometria è il linguaggio dell’uomo” (Le Corbusier, 1973, pp. 54-55).*

NOTE

1 – Ad esempio, la Tabula Peutingeriana rivela la presenza romana nel sud dell’India, confermata dai mosaici di Piazza Armerina, che illustrano gli animali e la giungla indiana con precisione didattica (Gawronski, 2016).

2 – I dati riportati sono aggiornati fino al 2018.

3 – Re/Mind the Gap. Progetto di luoghi sacri e servizi per l’integrazione nei territori di confine. Tesi di Paolo Di Prima, Relatori: prof. arch. Fabio Ghersi e prof. arch. Theoklis Kanarelis; correlatore: arch. Miriam Pappalardo; SDS di Architettura Siracusa (Unict), a.a. 2018/2019.

4 – Ricerca teorica svoltasi durante un periodo di Erasmus+ a Volos (GR).

5 – Le dimensioni di un campo variano, fino a diventare vere e proprie città, come il campo di Dadaab in Kenya, che ospita oltre 400.000 rifugiati. In alcuni casi, i campi si sono trasformati in quartieri come: al-Hilweh, in Libano, e Deir al-Balah, a Gaza (Rufini, 2015).

6 – Campo gestito da una ONG allestito in un ex campeggio, vicino alla città di Mytilini (Lesbos).

7 – Visitate durante il periodo di Erasmus studio.

8 – Pythagoreio, Mykali, Dilek, Mourtià, Özdere, Kuşadasi, Aghia Paraskevi.

9 – (Ka’ba) costruzione all’interno della Sacra Moschea, al centro della Mecca (Arabia Saudita).

BIBLIOGRAFIA

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– Rufini, G. (2015). La difficile ricerca di una normalità: La vita in un campo profughi. Rifugiati, una crisi non solo europea, ISPI, (online). In www.ispionline.it/it/ pubblicazione/la-difficilericerca-di-una-normalita-la-vita-un-campo-profughi-13528 (ultima consultazione marzo 2023).

– Zanini, P. (1997). Significati del confine: i limiti naturali, storici, mentali. Milano: Bruno Mondadori.

99 OFFICINA* N.42
04. Planivolumetrico progetto “Re/Mind the Gap” per Samo | “Re/Mind the Gap” project plan for Samo. Paolo Di Prima, 2019

Sustainability as a corporate competitiveness strategy The implementation of the sustainability principle is increasingly a required element for companies when defining their strategies and business models. This paper, however, questions whether it really leads to an advantage for companies, and if so, wants to identify the factors that contribute to the creation of this competitive advantage. The methodology used in the realisation of this paper is based on an analysis of the main international and national scientific journals related to the topic.*

on riferimento al tema della sostenibilità la Commissione europea ha dichiarato che un approccio strategico in tal senso porta benefici in termini di gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale. Secondo diverse fonti europee una vera sostenibilità può portare dei vantaggi anche con riferimento alle relazioni con i clienti, alla gestione delle risorse umane e alla capacità di innovazione. La sostenibilità integrata nelle strategie aziendali permette infatti alle aziende di aumentare la capacità di inserirsi in diversi mercati. Inoltre, non si deve mai dimenticare come oggi essere sostenibili sia diventata una richiesta da parte degli stessi consumatori. Non esserlo significa inevitabilmente essere esclusi dal mercato stesso.

Il rapporto tra sostenibilità e imprese

Le imprese stanno ripensando profondamente il loro ruolo nella società in quanto lo sviluppo sostenibile e le generazioni future dipendono anche dalle loro decisioni aziendali. Nello specifico, nel corso degli ultimi due decenni, le imprese, anche se ritenute responsabili di molti impatti negativi sull’ambiente e sulla società, sono diventate un punto di riferimento nel dibattito globale sulla sostenibilità. Ad esempio, se nel 2019 il 92% delle aziende italiane con almeno 80 dipendenti si è affidato a iniziative di Corporate social responsibility (CSR) e sostenibilità, questo dato è diventato del 96% nel 2021. Le crisi, dalla pandemia alla guerra, non sembrano rallentare questo cammino, ciò anche a causa di una maggiore consapevolezza ambientale dei consumatori e a una concorrenza più agguerrita sul mercato per quanto riguarda l’impatto ambientale dei prodotti (Lozano, 2012).

All’interno del contesto delle imprese, questo rapporto tra la realtà aziendale e l’implementazione della sostenibilità al suo interno può essere definito come l’adozione di strategie e azioni che soddisfano le esigenze dell’impresa e dei suoi stakeholder, proteggendo e valorizzando le risorse umane e naturali che saranno necessarie in futuro. Tuttavia, questo principio sostenibile ancora non costituisce per molte imprese un valore di base associato alla definizione di successo. Ciò emerge, ad esempio, dalle percentuali di imprese italiane che han-

no elaborato una strategia di trasformazione di lungo periodo per diventare sostenibili: vale a dire il 58% delle grandi e medie e il 40% delle piccole imprese. La svolta sostenibile riscontrata in molte realtà produttive non di meno rappresenta per esse un mutamento olistico e radicale, sebbene richieda che gli stakeholder, compresi i manager, si orientino verso una visione del mondo condivisa e sostenibile (Upward e Jones, 2015). Inoltre, il rapporto tra sostenibilità e imprese varia anche in base alle dimensioni delle aziende. Infatti, le piccole medie imprese sono particolarmente sensibili alle componenti sociali ed economiche della sostenibilità, vale a dire alle relazioni con i dipendenti, i clienti e i fornitori, che hanno un impatto soprattutto sull’impegno organizzativo. Al contrario, le grandi imprese pongono una peculiare attenzione anche alla dimensione ambientale, in particolare nei confronti della reputazione (Cantele e Zardini, 2018). Tuttavia, queste differenze non diminuiscono la considerazione positiva che le grandi aziende e le PMI dovrebbero porre in relazione all’implementazione della sostenibilità. Essa, infatti, non deve venire considerata solamente come una vocazione etica di imprenditori illuminati, ma anche una decisione strategica che porta al successo aziendale (Cantele e Zardini, 2018). Rimane da chiedersi esattamente quali motivazioni abbiano spinto determinate aziende a migliorare la loro performance di sostenibilità aziendale. Tra di esse, in letteratura,

La sostenibilità come strategia di competitività aziendale

100 IN PRODUZIONE
Roshan Borsato Università Ca’ Foscari. Enrico Polloni Università Ca’ Foscari.

spicca la volontà delle imprese di creare un vantaggio competitivo; tuttavia, bisogna anche interpellarsi sull’esistenza effettiva di questo vantaggio.

L’esistenza del vantaggio competitivo Nonostante in letteratura l’implementazione del principio di sostenibilità venga spesso citato come un’innovativa strategia di competitività aziendale, esistono visioni opposte tra i ricercatori sul rapporto tra sostenibilità e competitività. Secondo la visione tradizionalista, la sostenibilità è vista solamente come un onere, a causa dei costi elevati e delle soluzioni complicate per la sua implementazione. Perciò, secondo questa visione, la sostenibilità è considerata un compromesso a somma zero. Per contro, la visione revisionista sostiene che le innovazioni in materia di sostenibilità possono creare valore per l’ambiente e la società, aumentando contemporaneamente la competitività delle imprese. Ciò avverrebbe in quanto le normative ambientali spingono le imprese a innovare per trovare nuove soluzioni che aumentino la creazione di valore e l’efficienza operativa (Le e Ikram, 2022).

Negli ultimi anni quest’ultima visione sembra aver preso il sopravvento in letteratura, in quanto ci sono diversi argomenti che chiariscono attraverso quali vantaggi la sostenibilità porti relativamente all’aumento della competitività delle imprese. In primo luogo, le innovazioni in materia di sostenibilità possono portare a processi più efficienti, riducendo l’uso di materie prime e il consumo di energia e risorse. In secondo luogo, possono migliorare i processi gestionali attraverso l’uso di metodi di valutazione come i sistemi di gestione ambientale, che rendono più facile identificare e realizzare risparmi sui costi e miglioramenti della produttività. Inoltre, garantire prodotti sostenibili è un modo efficace per sfruttare le opportunità associate al crescente numero di consumatori consapevoli, portando a un migliore posizionamento di mercato e del marchio (Hermundsdottir e Aspelund, 2021).

Infine, è emerso in letteratura il termine vantaggio “coopetitivo”, invece di vantaggio competitivo, per descrivere il beneficio dell’implementazione della

sostenibilità a livello aziendale. Ciò in quanto i principali vantaggi derivano anche da una combinazione di competizione e cooperazione con i competitore lungo la catena del valore. Inoltre, questo termine è più in linea con il complesso concetto epistemologico di sviluppo sostenibile, che di per sé è legato alla necessità di collaborazione, poiché un sistema è sostenibile solo se tutti le sue essenze sono in armonia tra loro (Morioka et al., 2017).

I fattori determinanti

Per le aziende che vogliono utilizzare la sostenibilità come vantaggio competitivo risulta inoltre fondamentale comprendere meglio quali sono i fattori che portano a questo vantaggio attraverso lo sviluppo di modelli di business sostenibili. Questi rilevanti fattori sono stati identificati da diversi studi, e tra di essi rientrano ad esempio le norme giuridiche, la cultura organizzativa e la coerenza tra la strategia aziendale e il modello di business per la sostenibilità. Il miglioramento della competitività e della soddisfazione dei clienti sono importanti per le aziende, e a tale proposito anche la volontà e la visione aziendale sono una forza trainante primaria in questo senso. Ciò indica anche che la massimizzazione del profitto non è l’unico fattore. Infatti, è interessante anche il ruolo svolto dalla leadership nel far evolvere i modelli aziendali verso una maggiore sostenibilità, dato che la leadership e i valori sono noti per essere aspetti importanti in qualsiasi processo di cambiamento organizzativo (Rauter et al., 2017).

Ricerche precedenti hanno ulteriormente diviso questi fattori che spingono all’adozione di innovazioni in materia di sostenibilità in due categorie principali: la pressione esterna da parte di governi e stakeholder, come ad esempio sotto forma di normative e leggi; e la motivazione interna, come ad esempio, attraverso la riduzione dei costi operativi ma anche la volontà individuale dei decision-maker (Hermundsdottir e Aspelund, 2021).

Allo stesso tempo, la disponibilità di questi fattori, pur essendo fondamentale, non basta a creare un vantaggio competitivo: bisogna interrogarsi sui metodi principali per adattare i modelli

aziendali alla sostenibilità. In ogni caso, al fine di decidere di implementare la sostenibilità nella strategia aziendale, è importante che la sostenibilità venga vista non solo come un add-on all’interno del sistema economico in quanto i principali vantaggi della sostenibilità derivano da una combinazione di competizione e cooperazione con i competitor, vale a dire tramite il menzionato vantaggio coopetitivo. Risulta necessaria quindi una trasformazione radicale del sistema esistente, affinché l’integrazione della sostenibilità nei modelli di business sia diffusa e porti un decisivo vantaggio alle aziende che la intraprendono (Rauter et al., 2017).

Conclusioni

Come abbiamo visto, dunque, si può pertanto dire come la sostenibilità sia un requisito fondamentale per le decisioni strategiche aziendali. Vale la pena notare come la sostenibilità non sia mai un elemento definito una volta per tutte, ma essa richiede per sua natura un continuo mutamento, una continua evoluzione in base alle necessità del tempo in cui si vive, in base alle esigenze e alle richieste sempre in continua evoluzione degli stessi consumatori. Non dobbiamo dimenticarci di come la sostenibilità, per essere autenticamente tale, deve porsi in continua evoluzione e in costante sintonia con le stesse richieste della nostra terra e delle sue risorse.*

BIBLIOGRAFIA

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Luca Serasini. Pedagogy, art and environment: Land Art as an educational activity The work of the artist from Pisa Luca Serasini illustrates an unconventional artistic research, based on the experiences of the pioneers of Land Art, adapted to the present day and sometimes updated with the use of new media. Serasini highlights the environmental emergency and the man-nature binomial by proposing new spaces for artistic enjoyment. Although his poetics, is interested in everything is new: technologies, cultural inclinations and ways of exhibiting.*

Luca Serasini

Pedagogia, arte e ambiente:

Land Art come attività educativa

Il lavoro dell’artista pisano Luca Serasini esemplifica una ricerca artistica non convenzionale, basata sulle esperienze dei pionieri del Land Art, adattata ai nostri giorni e talvolta aggiornata con l’uso dei new media. Serasini evidenzia l’emergenza ambientale e il binomio uomo-natura proponendo nuovi spazi per la fruizione artistica. Sebbene la sua poetica si interessi a tutto ciò che è nuovo, le sue radici concettuali risalgono alle riflessioni che mettono in evidenza la possibilità di mobilitarsi ed esporre in siti diversi, proponendo una nuova organizzazione delle relazioni e schierandosi allo stesso tempo contro il radicamento in un luogo particolare. La costante di questi “pellegrinaggi artistici” è lo spazio pubblico (naturale e urbano) come luogo dove costruire l’opera.

In tutti i tuoi lavori la fruizione partecipativa è di vitale importanza. È possibile educare con l’arte attraverso opere site-specific interattive?

Penso proprio di sì. Credo che la partecipazione, l’immersione “totale” di un visitatore all’interno di un’installazione e l’utilizzo di strumenti tecnologici interattivi permettano, insieme, di creare un’esperienza emotivamente significativa per il visitatore attraverso la quale è possibile veicolare contenuti di diverso genere. A me interessa ritrasmettere, far riconoscere i riti e i miti connessi alle stelle, alle tradizioni ormai dimenticate, al senso del sacro che oramai non fa più parte della nostra storia personale. Credo che questa mancanza sia responsabile di tante fughe (dalla realtà verso il virtuale, dallo spirito verso il materiale) che stanno “scollando” parte dell’umanità dalle proprie radici. Grazie alla Land Art, che mi permette di realizzare opere d’arte dalle dimensioni (in teoria) “sconfinate,” riporto il rapporto tra l’uomo e la Natura alle sue giuste proporzioni. Costringo il visitatore a ricordarsi di essere una parte infinitesima dell’universo che per un attimo deve lasciare da parte l’antropocentrismo che caratterizza sempre di più questa nostra epoca. In questo senso sì, cerco di educare un po’, attraverso le sensazioni personali che vengono percepite, al rispetto di questo nostro pianeta, l’unico in cui è possibile vivere, l’unico pianeta non arido all’interno di questo nostro sistema solare.

Quali sono oggi, secondo la tua esperienza, gli spazi outdoor dove poter costruire o sviluppare un’opera d’arte? Perché scegliere questi spazi? Nella ricerca di spazi silenziosi, vasti, quasi monocromatici (siano esse colline, spiagge o deserti) cerco un’esperienza personale con il sublime, un rapporto tra me e lo spirito, in cui sento di appartenere, per un attimo solo, alla Zoe, alla vita indistruttibile. In questo nulla, oltre la terra, non rimane chevolgere lo

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01. Luca Serasini. Stefano Casati Raul Armando Amoros Hormazabal Professore di Pedagogia e didattica dell’arte, Accademia di Belle Arti di Palermo. raul.amoros@abapa.education

sguardo in alto. E questo è quello che cerco di trasmettere ai visitatori, a coloro che, per curiosità o interesse vengono a visitare i miei lavori. Fare esperienza con il sublime, o per dirla meglio, col “numinoso”. Ritornare “primitivi”, ritornare ad avere un rapporto sacro con la natura perché è da essa che passa il nostro rapporto con lo spirito. Per me il paesaggio desertico, aperto, sconfinato, è il luogo più isolato possibile, (in totale contrapposizione alla città ad esempio), in cui l’unico suono è quello del vento. Sono luoghi caratterizzati dall’assenza, soprattutto di quella dell’uomo, dei suoi interventi, dei suoi guasti. Cerco luoghi vergini come tele sulle quali operare, progettare, costruire un’idea che forse sarà vista solo da poche persone perché credo che questo sia il senso della Land Art: stare da soli dentro una grande opera d’arte, entrarci in relazione, meditare, perdersi in essa.

A cavallo tra gli anni ’60 e ’70, tracciati sul terreno, tagli, buchi, asportazioni e interventi effimeri diventarono le principali azioni artistiche dei primi land artists, i quali avevano come obiettivo non solo svegliare la percezione del pubblico verso la convulsa realtà del tempo o uscire dai vecchi schemi e dalle vecchie categorie culturali di riferimento, ma anche richiamare l’attenzione ai problemi dell’ambiente attraverso la realizzazione di opere site-specific. Come si è sviluppato il rapporto arte-natura?

L’attenzione da parte degli artisti è molto alta anche oggi. Sono moltissime le installazioni che denunciano la situazione climatica (ricordo, solo per citarne una, Ice Watch di Olafur Eliasson) ma personalmente non sono molto ottimista che in questo modo si possano risolvere i problemi dell’ambiente. Spesso mi sono chiesto quanto politiche possano essere le opere d’arte che denunciano i problemi ambientali, come pure quelli relativi alle migrazioni, alla guerra, ai di-

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02. Les étoile binaire, Luca Serasini, 100 x 50 metri, 2019, Residenza d’artista Ifitry, Marocco | Les étoile binaire, Luca Serasini, 100 x 50 metres, 2019, artist in residency, Ifitry, Morocco. Luca Serasini
Stare da soli dentro una grande opera d’arte, entrarci in relazione, meditare, perdersi in essa

ritti. Sono importantissimi atti di denuncia, su questo non ci sono dubbi! Ma per cambiare il corso degli eventi dovrebbero colpire, scuotere l’animo di tutta quella catena di persone, che irresponsabilmente alimentano i tanti, troppi problemi che affliggono il nostro pianeta. O che muovono verso le guerre. Questo non mi pare che stia accadendo.

Possiamo affermare che la definizione operativa di questo rapporto è legata al periodo storico che attraversa, in quanto questa dipende da svariati fattori e ha subito modifiche sostanziali con lo sviluppo dei nuovi media. Come utilizzi la tecnologia nelle tue installazioni artistiche?

L’interazione e il coinvolgimento è un aspetto molto importante del mio lavoro. Il senso di utilizzare, aggiungere sistemi elettronici alla mia arte deriva essenzialmente dal bisogno di far interagire i visitatori fisicamente, materialmente. Con i loro gesti, consapevoli o no, i visitatori creano un rapporto unico con il mio lavoro. Cerco sistemi interattivi che possano sorprendere, anche spiazzare il visitatore (trovarsi davanti a un vecchio telefono in un campo incolto che squilla quando una persona si avvicina è un’esperienza da provare). Come pure, in uno dei miei rari lavori sui naufraghi dal titolo Gli invisibili (2015), far emergere l’immagine di un barcone da una fotografia di un mare calmo solo se il visitatore si avvicina al light box per leggere la didascalia. Nell’installazione interattiva indoor Saptarishi/Dispose (2018) invitavo i visitatori a salire sulle stelle del Grande Carro, realizzato in legno, per illuminarle e ascoltare le loro storie.

Le tue ultime installazioni dialogano apertamente con il mondo della fisica, astronomia e onde gravitazionali. Come pensi che queste esperienze immersive potranno diventare azioni didattiche per riflettere sulla vita attuale dell’uomo ed il suo rapporto con gli altri, la natura e il tempo? Con il progetto Costellazioni cerco di riportare l’attenzione delle persone all’importanza delle stelle, che per la maggior parte sono solamente un ornamento del cielo. Con l’installazione Les étoiles binaires (2019), realizzata in una spiaggia del Marocco durante una residenza d’artista, ho iniziato invece a interessarmi ad altri fenomeni fisici, in generale invisibili all’occhio umano. Avevo scoperto che le stelle della dimensione del Sole raramente nascono da sole ma in coppia o in sistemi multipli che ruotano intorno a un asse comune. Mi è sembrato un fatto molto romantico: pensare di non nascere mai da soli nell’immensità del cielo buio. Per le onde gravitazionali ho lavorato con il concetto di energia: l’arrivo di un’onda di questa natura è un fenomeno invisibile ai sensi umani ma di estrema importanza per i fisici. A una distanza (di tempo e spazio) infiniti lo scontro di due buchi neri deve sprigionare una tale quantità di energia che riesce ad alterare lo spazio-tempo

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03. Orione, il grande cacciatore, Luca Serasini Tessuto, chiodi, alluminio, LED, timer, batterie. Residenza d’artista Materia Prima, Ceppaiano, Pisa, 2015 | Orione il grande cacciatore, Luca Serasini. Tissue, nails, aluminum, LED, timer, batteries. Artist Residency Materia Prima, Ceppaiano, Pisa, 2015. Luca Serasini

propagandosi fino al nostro pianeta, fortunatamente senza danneggiarci. Una delle quattro antenne per la rilevazione di questo fenomeno si trova a Cascina, nel Comune di Pisa (EGO-VIRGO). Per l’installazione di Land Art interattiva realizzata per VIRGO, dal titolo Frange d’Interferenza, ideata insieme al musicista elettronico Massimo Magrini (aka Bad Sector) mi sono immaginato che un’onda gravitazionale, in arrivo sulla Terra, forgiasse un’immensa impronta sul terreno. Ho quindi cercato di rendere visibile un fenomeno invisibile agli occhi (oltre che difficilmente comprensibile) e grazie a una app georeferenziata creata da Magrini i visitatori potevano ascoltare il flusso sonoro, ispirato ai suoni delle onde gravitazionali, cambiare in relazione alla loro posizione all’interno dell’installazione.

Fra breve, insieme a Marco Ricci del Mastro e Francesca Cavallini inaugureremo un nuovo ciclo di lavori intitolati The Marconisti/Il Sogno e cerchiamo di mettere in relazione le scoperte di Guglielmo Marconi, il codice morse e la mitologia e mistica ebraica in un set di installazioni meditative e interattive.*

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04. Pegaso, 10 storie per 10 stelle, Luca Serasini. Tessuto, chiodi, alluminio, plastica, legno, batterie, timers, telefoni, sensori, dispositivi elettronici, 100 x 50 metri. Biennale M’Arte, 2016, Montegemoli, Pisa | Pegaso, 10 storie per 10 stelle, Luca Serasini. Tissue, nails, aluminum, plastic, wood, batteries, timers, telephones, sensors, electronic devices, 100 x 50 meters. Biennale M’Arte, 2016, Montegemoli, Pisa. Vittorio Cucini
A me interessa ritrasmettere, far riconoscere i riti e i miti connessi alle stelle

Verso la foresta

La foresta trabocca di Ayase Maru tradotto da Ozumi Asuka Add editore 2023

uando alzò gli occhi vide che la moglie dello scrittore era seduta al tavolo della cucina e mangiava frutta secca da una ciotola di legno, senza dire una parola. Quelle pepite di varie dimensioni e colori – marroni, écru, nere o bianche – venivano come risucchiate senza sosta dalla sua bocca, aperta e tonda. Solo a guardarla, Sekiguchi Masashi avvertì un disagio appiccicoso diffondersi nel petto. Non era forte di stomaco e di certo non sarebbe riuscito a digerire un’intera scodella di quei semi così ricchi di grasso, si sarebbe contorto per il dolore.

Intravedeva la donna oltre la spalla dello scrittore Nowatari Tetsuya,

che aveva di fronte. Lei, che si reggeva una guancia tenendo il gomito appoggiato al tavolo, guardava verso di loro. Osservava la schiena del marito, per essere precisi, e continuava a far viaggiare la mano dalla ciotola alle labbra. [...] Ci mise una ventina di minuti per finire il contenuto della ciotola, poi prese dal frigorifero una bottiglia di acqua minerale da due litri, riempì un bicchiere e lo bevve tutto d’un sorso, inclinando la testa all’indietro.

A quel punto si accasciò a terra ondeggiando come un albero abbattuto alle radici.

“Ah!”

Sekiguchi si lasciò sfuggire un grido. Nowatari si voltò e, un attimo

dopo, scattò verso la cucina. [...] Il giorno dopo, verso mezzogiorno, in redazione arrivò una telefonata di Nowatari.

“Mia moglie ha sviluppato delle gemme terminali.”

“Come?”

“Perdonami, ma non è che potresti fare un salto qui subito? Vorrei che andassi in un negozio di bricolage vicino a casa a comprare le cose che ora ti elenco. Ho già verificato che abbiano tutto a magazzino.”

Nowatari chiese un enorme acquario largo un metro, del terriccio e del concime organico.

Terminali?

L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi di Tatiana Țîbuleac Keller editore, 2023

106 CELLULOSA a cura di
sullo scaffale La trama alternativa di Giusi Palomba minimum fax, 2023 Coda di Ali Smith Sur edizioni, 2023

Spostamenti

“Boy, you’re gonna carry that weight carry that weight a long time”

The Beatles, Carry that weight, Abbey Road, 1969.

Immagine di Emilio Antoniol

(S)COMPOSIZIONE

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