Utopia Giudecca

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prospetti veneziani

Utopia

Giudecca

Un ipotetico visitatore si reca alla Giudecca (Venezia) dieci anni dopo l’inizio di un utopico esperimento avviato sull’isola veneziana.

Nel 2030 la Giudecca si era costituita come una zona franca, sottratta alle normative nazionali e governata in modo da essere autosufficiente per gran parte delle esigenze della popolazione. Oltre agli aspetti idrogeologici e materiali, quali costruzioni, produzioni alimentari, infrastrutture e rapporto con gli elementi naturali, il visitatore esamina altresì l’economia, il sistema educativo e il governo dell’isola.

Le diverse componenti dell’esperimento sono trattate in contributi tecnico-scientifici elaborati da studiosi delle discipline specialistiche.

L’opera è ispirata e coordinata da un’introduzione narrativa che crea una visione d’insieme e rimanda ai contributi per gli approfondimenti. L’idea guida consiste in una riformulazione del rapporto tra umanità e natura elaborata adottando il metodo dell’utopia.

La visita e la struttura del volume sono cadenzate sui giorni della settimana, ciascuno dei quali ispira la materia trattata.

Utopia Giudecca è un punto di partenza aperto a nuovi contributi e approfondimenti.

Progetto grafico Gaetano Cassini / Studiofluo

prospetti veneziani

Utopia Giudecca

a cura di Corrado Poli

Prospetti veneziani

Comitato Scientifico della collana

Marco Ballarin, Fulvio Caputo, Luisa Flora, Corrado Poli

07 / Utopia Giudecca a cura di Corrado Poli

ISBN 979-12-5953-062-2 ISSN 2704-8632

Progetto grafico

Gaetano Cassini / Studiofluo

Elaborazioni grafiche

Stafania Mangini

Coordinamento Editoriale

Emilio Antoniol

Editore

Anteferma Edizioni S.r.l. via Asolo 12, Conegliano, TV edizioni@anteferma.it

Copyright Questo lavoro è distribuito sotto Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commercialeCondividi allo stesso modo 4.0 Internazionale

Presentazione

Comitato Scientifico

Introduzione

Corrado Poli

01. Un’eco-utopia a Venezia

Corrado Poli

L’inizio del viaggio 8 settembre 2040

Lunedì Umanità: una parte della natura

Martedì Costruzioni e architettura

Una passeggiata immaginaria – Parte I Andar per orti e giardini alla Giudecca Giorgio Prosdocimi Gianquinto

Approfondimenti tematici

Il lago di Venezia

Lorenzo Fabian e Ludovico Centis

Corridoi ecologici per impollinatori Giovanni Giorgio Bazzocchi

Coltivazioni verticali alla Giudecca: scenari per la coltivazione del futuro

Matteo Landolfo, Michele D’Ostuni

Il costruito come risorsa materiale: future ecologie dell’artificiale

Elisa Zatta

Materiali per l’architettura del futuro

Emilio Antoniol

L’agricoltura sui tetti: come ottimizzare gli spazi per coltivare in città

Elisa Appolloni

Design biofilico alla Giudecca Maria Beatrice Servi, Alessandra Di Virgilio

Mercoledì L’economia e l’industria

Giovedì Le istituzioni e la società

Venerdì L’educazione

Una passeggiata immaginaria – Parte II

Andar per orti e giardini alla Giudecca

Giorgio Prosdocimi Gianquinto

Approfondimenti tematici

Tecno-magoghe ecologiche: uno stormo di droni volanti al servizio della città

Matteo Silverio

IoT, tre lettere per una rivoluzione invisibile

Mario Ciaramitaro

Bioetica, politica e ambiente

Corrado Poli

Gli orti urbani: produzione, educazione e benessere

Pietro Tonini

La scuola della Giudecca: il soggiorno naturale dell’educazione

Beate Weyland

Utopie concrete per la scuola del futuro (ormai) prossimo

Flavia Vaccher

Una vita “senza età”

Rosaria Revellini

Sabato e domenica L’incontro e il riposo –02. Lettera da Mangrovia

Michele Savorgnano Cronaca di Mangrovia con immagini di Paolo Ferluga

–Curricula

Presentazione

Comitato Scientifico

Nel 2020 uscirono i primi due volumi di questa collana: Un futuro a misura di Venezia e Se la Giudecca vive . Entrambi ospitavano contenuti di autori che credevano fortemente nel futuro della città.

Non erano tempi molto felici. Erano passati pochi mesi dalla terribile “acqua alta” che aveva colpito duramente la città e da poche settimane erano stati segnalati i primi casi di COVID-19. Si prospettava un lungo periodo in cui la resilienza dei suoi abitanti sarebbe stata messa a dura prova.

Quei tempi, oggi, sembrano lontanissimi e lo sono perché la situazione è cambiata radicalmente.

Venezia e le sue attività economiche si sono riprese, il MOSE ha alzato le sue barriere, le Grandi Navi non attraversano più il bacino di San Marco, l’autorizzazione all’apertura di nuovi alberghi non è più un “atto tecnico dovuto”, l’Amministrazione si è dotata di nuovi strumenti urbanistici (a partire dal Piano degli Interventi) e di controllo del territorio (Smart

Control Room). Hanno anche avuto inizio le procedure per proteggere la città dal sovraffollamento turistico.

È stata la vittoria di chi ha creduto (e crede) nell’ottimismo della ragione, nel confronto senza preconcetti delle opinioni, nella necessità di rispondere in maniera articolata alla crescente complessità della società. È stata l’affermazione dei cittadini disposti a scommettere sulla trasformazione e lo sviluppo del proprio ambiente.

Prospetti Veneziani celebra questo felice momento pubblicando Utopia Giudecca.

Il volume si aggiunge ad altri due dedicati all’isola che è la parte del tessuto storico veneziano più disponibile a percorrere le strade e i rischi del cambiamento.

Nel primo volume (Se la Giudecca vive ) si presentava un progetto di rinnovamento urbano (Fondamenta Novissima ) che l’avrebbe trasformata in un ecosestiere e nel secondo (Laboratorio Giudecca ) si accoglievano gli esiti proget-

tuali di un workshop internazionale promosso dallo Iuav (Venezia città sostenibile ).

Accostare il termine utopia alla Giudecca non è quindi così fuorviante per il suo passato e per il fatto che il suo curatore – Corrado Poli – intreccia opportunamente temi già presenti nel libro di Thomas More (la politica, il comunitarismo, l’economica, l’etica) con altri più recenti, primo fra tutti quelli legati ai cambiamenti climatici.

Fra questi, il fenomeno dell’innalzamento marino e la necessità di un continuo “aggiustamento artificiale” dell’equilibrio idrogeologico lagunare – e quindi della protezione di Venezia – è posto in primo piano.

In passato si è operato deviando i fiumi e proteggendo i litorali adriatici, oggi con le barriere mobili del MOSE e domani? Alla domanda risponde anche la scheda redatta dagli autori di The Lake of Venice (Anteferma, 2022) lucida descrizione dell’ambiente dell’Altro Adriatico nel 2050 quando la linea di costa, partendo da Rimi-

ni giungerà a Ferrara, passerà per Rovigo, lambirà Padova e poi Mogliano, Latisana, San Donà terminando a Monfalcone.

È troppo presto per occuparsene? No, di certo, perché i quarant’anni intercorsi fra l’inizio della progettazione e la realizzazione del MOSE dimostrano come “non sia mai troppo presto”.

Utopia Giudecca apre a due futuri possibili inseriti nel “Lago della Città Antica”: quello di un’isola conservata e ben organizzata socialmente e quello di una società galleggiante che si ritrova in pratiche fluide seguendo il ritmo antico delle maree.

Se si interrogano i motori di ricerca sul binomio previsioni-futuro, questa è la prima risposta che si riceve “Fare previsioni è difficile, soprattutto sul futuro”, sosteneva Niels Bohr, Nobel per la Fisica nel 1922. Tuttavia, è un esercizio piuttosto frequente e per molti versi utile.

E su questo utile esercizio Prospetti Veneziani ha intenzione di mettersi alla prova.

Ringraziamenti

Questo libro è pubblicato, ma non è ancora finito… rimane aperto a nuovi possibili contributi da inserire nei sei giorni della “creazione” e nell’idea complessiva che l’ha generato ed è intesa a rigenerarlo continuamente.

È stato preceduto da una serie di incontri in cui i partecipanti a quest’opera collettiva hanno proposto e discusso i loro progetti innovativi poi riportati negli approfondimenti acclusi.

Oltre a tutti i co-autori dell’opera, il curatore ringrazia, anche a nome dell’editore, l’architetto Fulvio Caputo, Gianfranco Franz dell’Università di Ferrara, Nika Grabar dell’Università di Lubiana, Luisa Flora per il contributo dato nelle numerose riunioni a cui ha partecipato, Margherita Ferrari dello Iuav, Dale Jamieson della New York University, Eva Putzova e altri i cui suggerimenti hanno contribuito alla realizzazione di questo libro.

“Gli utopisti non riescono a capire perché qualcuno dovrebbe essere così affascinato dal bagliore opaco di un piccolo pezzo di pietra, quando ha tutte le stelle nel cielo da guardare – o come chiunque possa essere abbastanza sciocco da pensare di essere migliore degli altri, perché i suoi vestiti sono fatti di filo di lana più fine dei loro. Dopotutto, quei bei vestiti una volta erano indossati dalle pecore, e non si sono mai trasformati in qualcosa di meglio di una pecora.”

Thomas More, “Utopia”, 1516

Introduzione

In quest’opera, settimo volume della collana Prospetti veneziani , si riportano idee e singoli progetti ecologici attuabili in qualsiasi luogo con le tecniche esistenti e con altre in corso di elaborazione.

A differenza degli elenchi di “buone pratiche” che circolano numerosi, si presenta una serie di singoli progetti integrati nella descrizione complessiva di un contesto materiale e sociale in gran parte immaginato: l’Eco-utopia Giudecca. Anziché di “buone pratiche”, che sono progetti e metodi già codificati, qui proporremo soprattutto “nuove pratiche”.

La forma narrativa del testo ha lo scopo di creare un’atmosfera intesa a stimolare l’immaginazione del lettore e ispirare il progettista. Perciò l’autore dell’introduzione e curatore dell’opera accompagna in un mondo di fantasia sia il lettore interessato a un pensiero ecologico olistico, sia i collaboratori che propongono idee e progetti specifici.

La narrazione del curatore è integrata dal contributo di Michele Savorgnano che ci conduce in un contesto fantastico e apre a un nuovo percorso.

Alcune imprecisioni e contraddizioni, i progetti verosimilmente inattuabili, quelli criticabili dai più, non sono casuali e perseguono due obiettivi. Anzitutto, suscitare discussione sollecitando a pensare a proposte alternative e, in senso più ampio, a impostare una riflessione fuori dagli usuali schemi.

Non si espone dunque un programma allo scopo di attuarlo concretamente e completamente, tuttavia:

(a) alcuni progetti sono proposti per essere effettivamente realizzati; (b) la descrizione complessiva costituisce essa stessa un’operazione culturale qual è tipicamente l’utopia.

La descrizione dell’utopia della Giudecca sta a metà tra il racconto e la presentazione di contenuti progettuali e tecnici riportati negli approfondimenti tematici che accompagnano la narrazione.

L’obiettivo dell’opera

“L’utopia ha due aspetti: è la critica di ciò che è, e la rappresentazione di ciò che dovrebbe essere. La sua importanza è racchiusa essenzialmente nel primo momento. Dai desideri di un uomo si può risalire alla sua situazione reale” (Horkheimer, 1978, p. 63).

Nella struttura narrativa del libro adotto la forma del racconto anziché del saggio, allo scopo sia di rendere più agevole la lettura sia per sottolinearne letterariamente la dimensione onirica.

I contributi che seguono l’introduzione sono invece approfondimenti tematici con contenuto scientifico rigoroso che danno concretezza e presuppongono un’effettiva attuabilità per un mutamento talora anche radicale delle politiche ambientali e civiche. Presento quindi modi di pensare possibili e soluzioni ai problemi che inducono a uno stile di vita alternativo a quello che si è imposto ormai quasi universalmente.

Il principio originario riposa sulla riformulazione del rappor-

to tra umanità e natura che implica un’impostazione bioetica della questione ambientale

La scelta dei nomi e dei luoghi

Ho immaginato una comunità ecologica insediata alla Giudecca, la settima ripartizione del centro storico di Venezia. Sulla base di una descrizione di massima e di alcuni principi di fondo –una call for papers e contatti personali – ho invitato specialisti, tecnici e scienziati a redigere alcune proposte che ho poi riunito in questo volume.

Utilizzerò il termine “eco-utopia” che richiede qualche precisazione semantica. U-topia, in senso propriamente etimologico, significherebbe “da nessuna parte”, “in nessun posto”. Invece, il testo si riferisce a un luogo specifico. Ho scelto di conservare questa piccola contraddizione poiché il collegamento con un territorio reale consente di visualizzare meglio l’immaginazione. In effetti, i pensieri e le situazioni presentati potrebbero riferir-

si a qualsiasi luogo immaginario, non solo alla Giudecca. Inoltre, U-topia suona molto simile a Eu-topia che si riferisce a un “luogo buono e bello”1.

La scelta di Venezia è stata in parte strumentale: ha permesso di collegarmi a studi avanzati esistenti e di avviare collaborazioni con studiosi e colleghi operanti presso gli atenei e le istituzioni della città. In altra parte, la notorietà internazionale della città la rende evocativa di un progetto che incontra un interesse e una visibilità internazionale.

La Giudecca e Venezia sono tutt’altro che “da nessuna parte” o “non luoghi”, ma diventano utopiche poiché create dall’immaginazione che trasforma un territorio in un modello ecologico.

I fondamenti teorici

Poiché l’ecologia è tuttora in gran parte una scienza “sovversiva”2, l’iniziativa comporta un contenuto intellettualmente radicale e concerne alcuni temi politici essenziali.

L’impostazione adottata consente di ispirare un pensiero creativo e politiche urbane innovative per quanto concerne le costruzioni, le infrastrutture, l’economia, la società, l’istruzione, rappresentate in una prospettiva olistica.

Esonerati dalla necessità di essere realisti, risulta più agevole massimizzare l’inventiva poiché si ritiene che l’innovazione, la creatività e il pensare liberamente siano strumenti operativi per conseguire un obiettivo reale, non importa se nel breve o nel lungo periodo. L’aforisma di ispirazione kantiana: “Non c’è nulla di più pratico che una buona teoria”, potrebbe essere riformulato in “Non c’è nulla di più efficace di un progetto inattuabile”. Richiedere e immaginare l’impossibile è molto più realistico di quanto sembri. Per venire a capo della crisi ambientale è necessario spostare l’attenzione dal contesto tecnico a quello politico e filosofico: questo costituisce il pensiero ispiratore della mia introduzione, più ampiamente elaborato in altri miei studi (in particolare: Poli, 2015; 2017).

Il sogno utopico ha una qualità fondamentale: non è una collezione di pratiche già esistenti imitate e replicate. Piuttosto, l’utopia è un (non)luogo in cui prendere in considerazione le soluzioni ecologiche più inattese e radicali non ancora elaborate.

Non si deve credere nel dettaglio a tutto quanto si prospetta nell’utopia (e in questo volume). Lo scopo dell’utopia consiste nell’aprire a un modo di pensare diverso. Per questo è pericolosamente rivoluzionaria per quanto apparentemente irrealizzabile.

Con l’eco-utopia della Giudecca, si cerca di connettere tutte le singole idee e i progetti in una rappresentazione d’insieme. Si immagina e descrive una ipotetica comunità ecologica e indirettamente si auspica un’idilliaca società di domani criticando quella attuale.

In questo libro, la ragione accende una vera passione per il cambiamento, a lust for change.

Il

luogo dell’eco-utopia

La Giudecca è il più vasto e periferico quartiere del centro storico di Venezia. Vi è presente tuttora un insieme di varie attività urbane, tra cui residenze per circa 4.500 abitanti, fabbriche, laboratori artigianali, negozi al dettaglio, due hotel di lusso, scuole, un’accademia di arti drammatiche, un teatro e un significativo patrimonio storico monumentale.

Il racconto introduttivo

Per enfatizzare l’impostazione visionaria, sia io stesso sia altri autori presenteremo l’eco-utopia Giudecca in stile narrativo. Oltre agli scritti, le immagini che corredano i testi aiutano a visualizzare il nuovo ambiente immaginato in modo da aggiungere ancora più creatività. Ciascuno dei partecipanti all’iniziativa – compresi gli autori di contributi esclusivamente tecnici – colloca proposte e idee in una narrazione che invita a riflettere.

Si immagina come potrebbe essere la Giudecca nel 2040, cioè dieci anni dopo l’avvio dell’utopia.

La descrizione ha avuto lo scopo di aiutare ciascun partecipante a indicare, posizionare e coordinare le proprie proposte. I partecipanti hanno avuto la possibiltà

di descrivere i dettagli tecnici con maggiore precisione in tale collezione di approfondimenti tematici inclusi nel volume.

Questa impostazione editoriale permette sia di percepire la narrativa olistica dell’utopia sia di presentare solide proposte e progetti.

Note

1 / Avevo preso in considerazione anche il termine “eterotopia” per veicolare l’idea, prettamente geografica, dell’“altrove” talora (non sempre) immaginato come un luogo dove tutto è perfetto e comunque diverso dal nostro con il quale confrontarci. Ma Michel Foucault mi ha anticipato ed “eterotopia” avrebbe dato luogo a equivoci. Ecotopia è stato già utilizzato per un libro di successo negli Stati Uniti, ma il termine ha poco significato e anche il libro non è particolarmente profondo. Eco-utopia mi sembra una definizione adatta: per quanto non del tutto originale come termine, non è nemmeno abusato, e alla fine ho scelto questo riallacciandomi al concetto originario di utopia.

2 / Uso il termine introdotto da Shepard, P., McKinley, D. (eds.) (1969)ed elaborato da Shrader-Frechette, K. S., McCoy, E. D. (1993). L’ecologia studia le relazioni tra fenomeni e dal punto di vista epistemologico contesta il metodo scientifico ispirato dal riduzionismo cartesiano impostosi nella scienza contemporanea nonostante l’ampia letteratura ambientalista e sistemica elaborata seguendo le originarie teorie, tra gli altri, di Edgar Morin, Fritjof Capra, Edwin Laszlo e una letteratura ricca che si è continuamente aggiornata.

Bibliografia

Horkheimer, M. (1978), Gli inizi della filosofia borghese della storia. Da Machiavelli a Hegel, Einaudi, Torino.

Poli, C. (2015-2017), Environmental Politics, Springer, New YorkLondon (edizione italiana con il titolo di Politica e Natura edita da Project, Padova).

Shepard, P., McKinley, D. (eds) (1969), The Subversive Science, Houghton Mifflin Co, Boston.

Shrader-Frechette, K. S., McCoy, E. D. (1993), Method in Ecology, Cambridge University Press, Cambridge UK.

Corrado Poli Un’eco-utopia a Venezia

L’inizio del viaggio

8 settembre 2040

Lunedì

Umanità: una parte della natura

Martedì Costruzioni e architettura

Andar per orti e giardini alla Giudecca – Parte I

Approfondimenti tematici da #1 a #8

Mercoledì L’economia e l’industria

Giovedì Le istituzioni e la società

Venerdì L’educazione

Andar per orti e giardini alla Giudecca – Parte II

Approfondimenti tematici da #9 a #14

Sabato e domenica L’incontro e il riposo

L’inizio del viaggio

8 settembre 2040

Nei decenni precedenti il 2030 il livello delle acque, a causa del riscaldamento globale, era aumentato a tal punto che si decise di proteggere con enormi dighe la laguna di Venezia, trasformandola in un lago. La città era stata salvata, almeno temporaneamente, in attesa di un raffreddamento globale.

Il nuovo assetto idrogeologico aveva consentito di bonificare alcune parti della laguna e di metterle a coltura1.

Il timore degli effetti dei cambiamenti climatici aveva inciso profondamente anche sulla società e sulla politica. C’era un crescente consenso nel promuovere, almeno localmente, dei modelli di città e villaggi in grado di vivere in armonia con la natura.

Grazie all’iniziativa di alcuni imprenditori e attivisti politici che lavorarono assiduamente al progetto, nel 2030 si avviò finalmente un esperimento in tal senso, sia pure limitato alla sola isola della Giudecca e ad altre isole o parti della laguna contermini2.

Fu stanziato – non si sa da chi e nemmeno interessa ai fini della nostra storia – un miliardo di euro per acquistare l’intera isola della Giudecca e alcune isole e aree contigue, con la condizione che lo Stato italiano, l’Unione Europea, la Regione e il Comune di Venezia accettassero che quei territori diventassero una zona franca autogesti-

1 / Al proposito si veda l’approfondimento tematico #1 (p. 52) in cui Lorenzo Fabian e Ludovico Centis presentano Il lago di Venezia: scenari futuri per la laguna. Si tratta di un estratto tratto da un più ampio studio da loro stessi curato (Fabian, Centis, 2022, The Lake of Venice, Anteferma).

2 / Cfr. l’approfondimento tematico #2 (p. 54) di Giovanni Giorgio Bazzocchi sui Corridoi ecologici per impollinatori e #3 (p. 58) di Matteo Landolfo e Michele D’Ostuni su Coltivazioni verticali alla Giudecca: scenari per la coltivazione del futuro

ta, che potesse dotarsi di norme diverse dal resto del territorio nazionale. In altre parole, in queste aree lo Stato e l’Unione Europea non avrebbero esercitato la loro sovranità fino al 2100.

Le leggi vigenti furono sostitute da uno Statuto specifico, sul quale si lavorò a lungo per avviare questo esperimento con norme stabili ed eque.

Il progetto prese effettivo avvio nel 2030.

Dunque, che cosa vedrebbe un ipotetico visitatore se attraccasse alla Giudecca nel 2040, dieci anni dopo l’inizio dell’operazione?

Come prima cosa, si reca presso la propria abitazione, sita a non più di qualche centinaio di metri dall’attracco del vaporetto. Cammina lungo un percorso non completamente pavimentato e affiancato da piante. Il manto erboso è inframmezzato da alcuni masegni (pietre) che agevolano il cammino quando piove e l’erba potrebbe trasformarsi in fastidioso fango.

La sua casa si trova al terzo e ultimo piano di un piccolo edificio che ospita altri quattro appartamenti. Naturalmente è dotata di ascensore. Per risparmiare l’energia necessaria a muovere gli ascensori (e per numerose altre ragioni) le case dell’eco-utopia non hanno mai più di tre piani, con qualche rara eccezione, dovuta alla conservazione del patrimonio storico monumentale e a non sprecare l’esistente.

La limitazione dell’altezza degli edifici non risponde solo all’esigenza del risparmio energetico – che si potrebbe anche mettere in discussione a seconda delle tecniche applicate – piuttosto persegue l’obiettivo di conservare una “misura umana” e mantenere le proporzioni entro limiti auto imposti per non “fare violenza” all’ambiente, anche solo visivamente. La regola (implicita) recita che le case non possono essere più elevate degli alberi di alto fusto presenti sull’isola.

Alcuni preesistenti edifici “fuori scala” sono stati ridotti di dimensione demolendone una parte per creare del-

le terrazze. Tra gli edifici trasformati figura anche la grande costruzione che ospitava le vecchie scuole primarie e secondarie per le quali era prevista un’impostazione diversa.

L’edificio in cui si trova la casa del visitatore è costruito al posto di vecchie case che, se la Giudecca non fosse diventata una zona franca, la Sovraintendenza avrebbe imposto di conservare al di là di ogni ragionevolezza e con gli occhi rivolti al passato. Al più avrebbe concesso di restaurarle a prezzi esorbitanti per dotarle dei moderni comfort ma lasciare il loro aspetto tale e quale a prima.

Il nuovo statuto dell’isola, invece, aveva consentito di abbattere numerosi edifici fatiscenti: nel complesso si era ridotto il volume e la superficie del costruito pur conservandone tutte le funzioni, grazie a una profonda riorganizzazione degli spazi. A questa operazione aveva partecipato, oltre agli architetti, un congruo numero di sociologi e informatici.

Come c’è da aspettarsi, c’era stato chi si era opposto; il progetto però, che pure prevede la conservazione di alcune costruzioni, mira a creare le condizioni per la realizzazione degli edifici storici di domani.

I materiali recuperati dall’abbattimento dei vecchi edifici erano stati riciclati, usandoli per lo più come laterizi per le nuove costruzioni o per le ristrutturazioni. Si erano recuperate anche vecchie curiosità, come ai mercatini dell’usato: vasche da bagno della nonna, piastrelle di vecchie cucine o pavimenti riassemblati che, una volta riutilizzati, creano ambienti di buon gusto talora, in stile shabby chic. In definitiva questa operazione non era stata molto diversa da come furono ricostruiti dopo la caduta dell’Impero Romano alcuni borghi medievali che oggi tanto ammiriamo. Insomma, il nuovo stile e la moda più apprezzata nell’eco-utopia valorizzano tutto quanto si è recuperato e il senso estetico si conforma ai valori promossi e condivisi3.

3 / Sulle “miniere urbane” si veda il contributo di Elisa Zatta, Il costruito come risorsa materiale: future ecologie dell’artificiale nell’approfondimento tematico #4 (p. 62)

Questa operazione richiede molto lavoro e ingegno, non meno né di più di quello richiesto per applicare le più avanzate tecnologie adottate in terraferma, che sono elaborate secondo un diverso paradigma e procedono in un’altra direzione.

Tutti i materiali della casa del visitatore sono naturali o di risulta. Il legno – che in parte viene prodotto nelle culture industriali avviate sulle terre bonificate della laguna – la fa da padrone. Non si rinuncia tuttavia a qualche residuo delle comodità fornite dalle vecchie tecniche (quelle che fino al 2030 erano state chiamate moderne), all’occorrenza rielaborate.

Gli spazi della vita individuale e famigliare, ma anche di quella collettiva, sono contenuti, in modo da consentire di ricavare giardini, aree verdi e spazi di uso comune all’interno del complesso edilizio in cui si trova l’abitazione. Non per questo l’appartamento è scomodo: le ampie finestre, il terrazzo e la vista sulla laguna offrono una sensazione di spazio. Le vetrate consentono, d’inverno, di isolare dal freddo e contribuiscono a riscaldare gli ambienti grazie all’irraggiamento del sole.

Per proteggersi dal caldo d’estate sono stati applicati sistemi di areazione e soprattutto sono state introdotte schermature contro la radiazione del sole con piante e paratie ombrose mentre, contemporaneamente, si recupera l’energia radiante in modo da attivare solo se davvero necessario l’aria condizionata e altri strumenti che richiedono energia.

Nonostante le ampie vetrate, la privacy è garantita da un disegno e un’esposizione accuratamente studiati. Anche i vetri delle finestre sono progettati e costruiti per mantenere la privacy4.

Seguendo passo a passo il nostro visitatore vediamo che, arrivato all’approdo, ha la sensazione di trovarsi in un

4 / Sui nuovi materiali utilizzati e utilizzabili nelle costruzioni si veda il l’approfondimento tematico #5 (p. 66) di Emilio Antoniol, Materiali per l’architettura del futuro

luogo pubblico e così si sente mentre procede verso la propria abitazione. Percorsa una riva alquanto ampia, svolta in una calle un po’ più stretta, sulla quale si affacciano corti e giardini condominiali o privati ma non protetti da alcuna barriera, meno che meno dai muri di mattoni presenti ancora a Venezia e nella stessa Giudecca fino all’avvio dell’eco-utopia. Il visitatore, nel muovere i successivi passi verso la sua abitazione, comincia gradualmente a sentirsi in un luogo più familiare, in una specie di transizione dolce dal luogo pubblico a quello privato.

Entrato nella corte condominiale, che contiene un giardino e un orto, nonché un ampio porticato d’uso comune, non sa più se si trova ancora in città (nel luogo pubblico) o a casa (il luogo privato per eccellenza). Gli sembra già casa sua, sebbene condivisa con altre persone, condòmini e passanti, i quali lo salutano e gli rivolgono una parola di benvenuto. Solo quando varca finalmente la soglia della porta della propria abitazione termina definitivamente la transizione tra lo spazio pubblico e quello privato. Anzi, non ancora! La porta resta a lungo aperta, perché così si usa nella comunità, e solo quando la chiude, dopo aver salutato chi l’aveva accompagnato, può considerare di essere finalmente in un luogo riservato: per l’appunto“privato” che, come dice l’etimologia, significa qualcosa che viene sottratta, in questo caso, al rapporto con gli altri. E, continuando con l’analisi dei termini, si trova in un appartamento, cioè in un luogo “appartato” – una condizione molto diversa dall’abitazione e dalla casa, termini che includono la presenza di altre persone.

Alle sette di sera l’amministratrice dell’eco-utopia va a prendere il visitatore e lo porta a cena nel più raffinato tra i ristoranti dell’isola.

Il visitatore nota subito che il locale, per quanto sostanzialmente non diverso dai ristoranti di alto livello presenti in tutto il mondo, ha un arredamento e una struttura il cui stile evoca la naturalezza del cibo e della sua preparazione. Una parte della cucina è al centro dei

locali e attorno a essa sono collocati i tavoli dei clienti. Questa forma risponde a uno dei concetti che ispirano il progetto eco-utopico: si cerca di fare cadere le barriere tra spazi pubblici e privati, senza eliminarle del tutto ma creando una graduale transizione dagli uni agli altri.

L’amministratrice informa il visitatore che il programma prevede cinque giorni di incontri e, in ciascuno di essi, avrebbero visitato l’isola e prestato attenzione ai cinque elementi che caratterizzano l’utopia della città. Piuttosto che città, sarebbe meglio chiamare la Giudecca del 2040 una “comunità ecologica”. Il termine “città” è infatti diventato problematico, privo di significato e senso, a meno di non aggiungere speciose precisazioni. Come si potrebbe definire una città alla metà del primo secolo del terzo millennio, cioè all’epoca del nostro racconto? Si usa la stessa parola per una cittadina di ventimila abitanti sugli Urali o per la vicina Piove di Sacco, e per la capitale dell’Indonesia o per Los Angeles che sono estese per centinaia di chilometri e percorse da venti milioni di anime. In comune hanno solo il distacco dalla natura; allora la definizione di “comunità ecologica” rende meglio l’idea di un contesto umano che ha ristabilito il contatto con la natura.

Avrebbero cominciato la visita dal lunedì poiché, con molta supponenza e poca fantasia, gli ideatori dell’ecoutopia ne avevano organizzato la fondazione ispirandosi agli Dei pagani a cui erano dedicati i giorni della settimana, attribuendo simbolicamente a ciascuno di essi un tema.

Nei primi cinque giorni, l’amministratrice avrebbe dunque fatto vedere al visitatore la comunità e l’avrebbe presentato a coloro che avevano progettato e avviato le nuove strutture e organizzazioni o contribuivano al funzionamento di esse.

Il sabato ci sarebbe stato un incontro pubblico con i cittadini.

Non pensi il lettore che l’eco-utopia sia organizzata secondo una visione riduzionistica e settorializzata della realtà: al contrario, è impostata in modo olistico e quindi ogni azione, ogni oggetto, ogni pensiero si compenetra nell’altro e lo influenza.

La scelta dell’amministratrice di soffermarsi ogni giorno su un tema diverso è funzionale a illustrare adeguatamente al visitatore la nuova realtà della Giudecca.

Un po’ di riduzionismo può ancora servire se usato con moderazione.

Curricula

Emilio Antoniol

Architetto, Ph.D. in Tecnologia dell’Architettura. Svolge attività didattica nel settore della Tecnologia dell’architettura presso l’Università degli Studi di Udine e l’Università Iuav di Venezia. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sulle soluzioni costrittuve sotenibili, con una particolare attenzione all’innovazione e al recupero di pratiche costruttive tradizionali. È direttore della rivista scientifica di Architettura, Tecnologia e Ambiente OFFICINA* e fondatore della casa editrice Anteferma Edizioni, specializzata in architettura e spin off approvato dell’Università Iuav di Venezia.

Elisa Appolloni

Agronoma e Ph.D. nei settori dell’orticoltura e agricoltura urbana, svolgo attività di ricerca presso l’Università di Bologna. I suoi interessi spaziano dall’agricoltura sui tetti, al vertical farming, agli effetti della luce LED sulla capacità produttiva e le caratteristiche nutritive di pomodoro e specie medicinali, fino ad arrivare aisistemi fuori suolo semplificati e per la coltivazione in serra. Crede nell’agricoltura urbana, in tutte le sue forme, come mezzo per raggiungere la creazione di sistemi alimentari e città più resilienti e sostenibili.

Giovanni Giorgio Bazzocchi

Agroecologo, membro del Centro Studi Agricoltura e Biodiversità in Ambiente Urbano (Rescue-AB Lab) del Dipartimento di Scienze e TecnologieAgro-Alimentari dell’Università di Bologna, dove è anche professore aggiunto di Zoologia Applicata alla Difesa delle Piante e di Bioecologia nell’orto/giardino terapeutico.

Ludovico Centis

Architetto, fondatore dello studio The Empire, Ph.D. in Urbanistica, è ricercatore in Urbanistica presso l’Università di Trieste. Centis è stato 2013-2014 Peter Reyner Banham Fellow presso la SUNY-University at Buffalo e ha ricevuto il 2018 Getty Library Research Grant. La sua ricerca si concentra sui modi in cui gli individui e le istituzioni, così come i desideri e il potere, danno forma a città e paesaggi. Le pubblicazioni recenti includono The Lake of Venice. A scenario for Venice and its lagoon (2022, con Lorenzo Fabian), They must have enjoyed building here: Reyner Banham and Buffalo (2021) e A parallel of ruins and landscapes (2019).

Mario Ciaramitaro

Ph.D. in Scienze del design presso l’Università Iuav di Venezia, dove dal 2010 collabora come tutor nei corsi di design e arti visive. Dal 2020 al 2023 è stato curatore e ricercatore presso Hangar.org, Barcellona, dove si è occupato di critica politica alle interfacce digitali. Si è dedicato alla costruzione di scenari e nell’utilizzo di conversation starters attraverso progetti di design fiction e speculative design. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università Iuav di Venezia nel progetto Central Europe Capacity2Transform, e si dedica al trasferimento di processi per la transizione digitale e verde al mondo dell’imprenditoria.

Co-dirige insieme ad Alberto Restucci l’artist space AARDUORK, Venezia.

Alessandra Di Virgilio

Architetto e designer d’interni, laureata al Politecnico di Milano. Ha lavorato nell’ambito dell’architettura e del design, collaborando stabilmente con studi di architettura e di allestimenti in Italia e all’estero. Negli anni ha sviluppato collaborazioni e contatti con aziende di visual and communication design, per l’organizzazione di eventi e la progettazione di arredi ed allestimenti in cartone. La sua esperienza lavorativa si è rafforzata con l’insegnamento presso il Politecnico di Milano, come docente di interior design. Attualmente lavora come libero professionista.

Michele D’Ostuni

Ricercatore e docente presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari, si occupa di pianificazione strategica e studio di sistemi di coltivazione fuori suolo per nuovi modelli di Agricoltura Urbana. Laureato in architettura, si specializza nei temi dell’ Agricultura Urbana integrata, unendo le tematiche legate alla progettazione sostenibile insieme allo studio a livello urbano dei più recenti e tecnologici sistemi di produzione alimentare. Le tematiche della sua ricerca sono inerenti sia alla rigenerazione urbana e delle aree industriali e/o dismesse della città, sia al progetto di nuovi edificati utilizzando i sistemi di Agricoltura Urbana come elemento chiave della sostenibilità costruttiva secondo principi di economia circolare.

Lorenzo Fabian

Architetto e urbanista, è professore ordinario di urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia e delegato dal rettore alle relazioni con il territorio e le imprese. Si occupa di ricerca e progettazione alla scala urbana e del territorio con una particolare attenzione ai temi dell’ecologia, del paesaggio e dello sviluppo sostenibile della città. Fra le sue pubblicazioni più rilevanti il volume Water and asphalt : the project of isotropy (con Bernardo Secchi e Paola Viganò, 2016), il volume Re-cycle Italy : atlante (con Stefano Munarin, 2017), il volume The Lake of Venice. A scenario for Venice and its lagoon (con Ludovico Centis, 2022).

Matteo Landolfo Dottorando presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, specializzatoin Intelligenza Artificiale applicata alla gestione smart degli input produttivi in coltivazioni protette, come serre e vertical farms. Le sue principali aree di ricerca includono l’implementazione di soluzioni di Intelligenza Artificiale per migliorare l’efficienza e la sostenibilità delle coltivazioni protette, l’ottimizzazione dell’uso delle risorse e il miglioramento della qualità dei prodotti agricoli. Il suo obiettivo è contribuire allo sviluppo di sistemi agricoli più sostenibili e produttivi, sfruttando le tecnologie emergenti per affrontare le sfide globali legate alla sicurezza alimentare e ai cambiamenti climatici.

Corrado Poli

Studioso di geografia urbana, abilitato all’insegnamento universitario di Geografia, ha insegnato in università italiane e straniere fra cui la Johns Hopkins University (Baltimora), la Queensland University of Technology di Brisbane e l’Università di Bergamo. Editorialista e giornalista, ha diretto enti pubblici e privati in Italia e all’estero. Fra le sue pubblicazioni scientifiche Le Città Flessibili (2009), Mobility and Environment (2011), Environmental Politics (2015) e Il nome della Città (2017). Le sue teorie innovative sul futuro urbano sono esposte in Politica e Natura. L’inganno della sostenibilità (2017).

Giorgio Prosdocimi Gianquinto Professore ordinario di Orticoltura e floricoltura presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari (DISTAL) dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Ha dato vita e diretto il Master di Orticoltura terapeutica, presso la stessa università. Da quarant’anni si occupa di ricerca con studi su fisiologia, qualità e tecniche agronomiche sostenibili per la coltivazione delle specie orticole. Attualmente l’attività di ricerca è prevalentemente rivolta allo studio degli aspetti di fisiologia della nutrizione vegetale e della fertilizzazione con particolare riferimento agli approcci metodologici all’uso di strumenti diagnostici ottici per la stima dello stato nutrizionale delle colture.

Rosaria Revellini

Architetta (2015, Unina) e Ph.D. in Tecnologia dell’architettura (2022, Iuav), è attualmente assegnista di ricerca (Iuav). Si occupa di temi inerenti alla sostenibilità sia ambientale (metodologie e tecnologie innovative per il costruito) che sociale (progettazione inclusiva). In particolare, la sua attività di ricerca principale si focalizza sul fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e sull’impatto che esso ha sugli spazi pubblici e sulle città.

Oltre all’attività accademica, svolge anche attività di libera professione e dal 2024 è vicedirettrice della rivista scientifica OFFICINA*.

Michele Savorgnano Nato e cresciuto nella Bassa friulana, impara ad amare la terra dai nonni, che erano agricoltori. Trasferitosi a Venezia si rende conto di un’assenza importante nella sua vita: la campagna. Decide di cercare uno spazio verde dove poter iniziare un progetto di orto collettivo e, nel 2009, avvia SpiazziVerdi, il primo orto collettivo alla Giudecca. Qui sperimenta con varie tecniche di orticoltura e affronta temi legati a nuovi stili di vita e alla decrescita: non solo terra quindi.

Nello stesso anno inizia un percorso all’Accademia Italiana di Permacultura, trasformando l’orto della Giudecca in un centro conviviale all’aperto dove le persone si incontrano per lavorare la terra, mangiare i suoi frutti e sognare il futuro della città. Da diversi anni progetta orti e giardini “edibili” e svolge attività didattica e di consulenza sulla permacultura e l’agricoltura sociale. Nel 2013 fonda F.U.D. che diventa associazione nel 2017.

Maria Beatrice Servi

Architetto milanese, diplomata all’Accademia di Brera, indirizzo scenografia, consegue la laurea presso Politecnico di Milano. Si è occupata di allestimenti museali (restauro e allestimento del Mu. Vi.S., a Campodolcino, con F. Premoli), di riqualificazione di spazi pubblici e design degli interni. Ha collaborato con Regione Lombardia e PoliMi su progetti di catalogazione del patrimonio materiale e immateriale. Ha insegnato come professore a contratto al PoliMi, Facoltà di Design, seguendo diverse tesi di laurea inerenti la valorizzazione di edifici scolasti e spazi urbani, e all’Istituto Europeo di Design.

Matteo Silverio

Architetto e ricercatore veneziano esperto di design computazionale e fabbricazione digitale. Dal 2017 dirige un team multidisciplinare con sede a Murano (matteosilverio. com) con il quale sviluppa progetti su diverse scale, servendosi di conoscenze orizzontali e contaminando ambiti “distanti” tra loro: il coding per ottimizzare forme o minimizzare gli sprechi, la biologia per dipingere quadri e produrre energia, la chimica per trasformare i rifiuti in opere d’arte in un’ottica di circular economy. Molti dei suoi progetti sono stati pubblicati in riviste e libri ed esposti in prestigiosi musei a Londra, Berlino, Dubai e New York.

Pietro Tonini

Laureato in Agraria con specializzazione in orticoltura presso l’università di Bologna e ha conseguito il dottorato in Scienze Ambientali presso l’Università Autonoma di Barcellona. La sua ricerca è focalizzata sulla riduzione dello spreco alimentare attraverso lo sviluppo di catene corte tra produzione e distribuzione, come quelle permesse dall’agricoltura urbana o di prossimità. È consulente della FAO su temi di agricoltura urbana e ha lavorato su progetti di cooperazione in Birmania in collaborazione con Terre des Hommes e con il Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Ha fondato la start-up Tectum Garden, che offre servizi e prodotti per la realizzazione di progetti di agricoltura urbana seguendo un approccio integrato e circolare.

Flavia Vaccher

Architetto, laureata all’Università Iuav di Venezia, coniuga da sempre l’attività accademica a quella professionale. Nell’ambito del PRIN “PRO.S.A. Prototipi di scuole da abitare” ha svolto il lavoro di ricerca biennale “Le piccole scuole dei piccoli comuni italiani. Il caso del Veneto”. Ha partecipato a convegni nazionali e internazionali, ottenuto incarichi pubblici e privati e riconoscimenti in diversi concorsi, tra i quali il primo premio al concorso internazionale #Scuoleinnovative (2016) con il progetto per la scuola dell’infanzia e primaria di Mel (BL) e al concorso FUTURA: la scuola per l’Italia di domani (2022) con la scuola primaria di Azzano X (PN), progetto finalista nella seconda fase.

Beate Weyland

Beate Weyland, laureata in Pedagogia, è professore associato di Didattica generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano. La sua ricerca approfondisce il rapporto tra pedagogia, architettura e design nella trasformazione e sviluppo della scuola. Dirige il laboratorio interdisciplinare EDEN-Educational Environments with Nature con l’obiettivo di promuovere benessere e comfort negli ambienti educativi con il beneficio della natura e delle piante. Attraverso la ricerca, l’insegnamento e il lavoro sul campo, promuove studi, mostre e convegni per sensibilizzare sul rapporto importante tra spazi e didattiche e per imparare a dare informazioni pedagogiche al corpo materiale della scuola.

Elisa Zatta

Architetto (2012) e Ph.D. (2021) presso l’Università Iuav di Venezia. Ricercatrice nel medesimo ateneo, si occupa in particolare dei temi legati alla sostenibilità in architettura, con attenzione alle relazioni tra il costruito e gli specifici caratteri geografici, storici e culturali del contesto. Interessi principali sono: la sostenibilità dei sistemi urbani sotto il profilo delle risorse, il ruolo dei processi circolari nella gestione innovativa del costruito, laprogettazione tecnologica e ambientale per la qualità della vita. Le relative ricerche sono oggetto di contributi in volumi o pubblicati suriviste scientifiche internazionali e nazionali o incluse in atti di convegni.

luglio 2024 Digital Team, Fano

prospetti veneziani

Convinti che le città e i territori non siano fabbricati della materia di cui sono fatti i sogni e le ideologie ma siano costituiti da chi li vive, la collana “Prospetti veneziani” indaga sulle trasformazioni della Città metropolitana di Venezia e dell’area circostante. Questi temi non possono rimanere confinati fra gli addetti ai lavori, poiché coinvolgono tutti i cittadini che si interrogano su come sarà la loro città e quella dei loro figli. Esaurite le “grandi narrazioni”, di fronte a una realtà urbana che muta così rapidamente da vanificare i tentativi di categorizzarla, in presenza di una società civile che richiede ambienti plasmati sul proprio modello di vita, riteniamo che sia più importante identificare la direzione dello sviluppo di un territorio piuttosto che restituirne a posteriori l’immagine. I volumi di “Prospetti veneziani” fotografano punti, luoghi e momenti circoscritti di evoluzione e discontinuità, attingendo risposte e indicazioni da molte voci e da saperi diversi. Il tempo dell’architettura e dell’urbanistica che pianificano ogni aspetto fisico della vita quotidiana, “dal cucchiaio alla città”, è terminato.

I progetti presi in esame hanno la potenzialità di imprimere una direzione precisa al tessuto urbano circostante e sono “cantierabili”, ovvero hanno definito gli strumenti per essere realizzati. La maglia interpretativa attraverso cui li analizziamo considera il coinvolgimento di tutte le parti interessate (comunità, amministrazione, investitori) e alcuni paradigmi: il rapporto fra spazi pubblici e residenza, la connessione dei trasporti e la mobilità per tutti, le infrastrutture digitali, la produzione e l’efficientamento energetico, le risposte ai cambiamenti climatici.

Senza farci travolgere dalle narrazioni letterarie, antiche e moderne, sulla (supposta) morte di Venezia, intendiamo con “Prospetti veneziani” contribuire a ridefinire un “progetto civile” che ponga al primo posto il benessere dei cittadini e dell’ambiente e che dimostri che il nostro territorio è diventato un laboratorio dove i veneziani costruiscono il proprio futuro.

Volumi pubblicati

1 / Un futuro a misura di Venezia

2 / Se la Giudecca vive

3 / Un piano per Venezia: i cittadini e il territorio

4/ Laboratorio Giudecca

5/ La città immateriale

6/ La fine dello spreco. L’infrastruttura invisibile

7/ Utopia Giudecca

“L’utopia ha due aspetti: è la critica di ciò che è, e la rappresentazione di ciò che dovrebbe essere. La sua importanza è racchiusa essenzialmente nel primo momento. Dai desideri di un uomo si può risalire alla sua situazione reale” (Max Horkheimer)

ISBN 979-12-5953-062-2

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