L'acqua nell'arte

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L’ACQUA NELL’ARTE – AREA DI ORIENTAMENTO DELLA CLASSE 2D – ANNO SCOLASTICO 2010-2011

LICEO SCIENTIFICO TECNOLOGICO “GALILEO GALILEI” BOLZANO

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Brochure elaborata dagli alunni della classe 2D Supervisione del progetto dell’insegnante di Italiano prof.ssa Antonella Stoppari


L’IMPORTANZA DELL’ACQUA Il tema dell'acqua nell'arte è molto affascinante, ma anche complesso. L'acqua è l'elemento essenziale alla vita e quindi da sempre, fin da quando l'uomo ha cominciato a rappresentare il mondo attraverso l'arte, l'acqua è stata una protagonista delle sue immagini. Dai graffiti rupestri dove si rappresentavano i luoghi, in cui l'acqua era presente, fino alle sculture contemporanee in cui l'acqua è la materia che si "modella" per creare la scultura stessa. L'acqua, però, oltre ad essere fondamentale per sopravvivere, assume molti significati nelle rappresentazioni artistiche degli uomini. L'acqua diventa simbolo di molti concetti che piano piano l'umanità ha formulato nei secoli. Ad esempio, una delle prime idee che vengono associate all'acqua è proprio "la vita": l'acqua come fonte di vita. Quindi in molti quadri l'acqua è rappresentata come sorgente di vita e fertilità.

GLI STATI DELL’ACQUA

Circa il 70% del nostro Pianeta è ricoperto d'acqua. L'acqua è l'unica sostanza che si trova in natura, a temperatura ambiente, contemporaneamente nei tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso.

L'acqua allo stato solido si trova sotto forma di ghiaccio, neve, grandine, brina. Nello stato solido le particelle sono molto vicine le une alle altre, non sono libere di muoversi e di spostarsi e sono disposte secondo un perfetto ordine geometrico. 2


L'acqua allo stato liquido si trova sotto forma di pioggia e rugiada, ma soprattutto forma fiumi, mari e oceani, che ricoprono appunto la parte prevalente della superficie terrestre. Nello stato liquido le particelle possono spostarsi, ma entro certi limiti: se una particella si sposta il suo posto viene subito preso da un'altra.

L'acqua allo stato gassoso si trova nell'atmosfera sotto forma di nebbia, vapore acqueo, nuvole. Nello stato gassoso le particelle possono muoversi liberamente, perché non formano legami chimici tra loro.

Lo studio scientifico condotto su tale elemento basilare per la nostra stessa esistenza, e che da sempre ha affascinato i più svariati artisti ed esponenti della cultura mondiale, ci ha suggerito il tema della nostro Progetto di orientamento. Il nostro percorso attraverserà le tappe più significative della Storia dell’Arte, non solo italiana, nel tentativo di fissare attraverso le immagini i modi più suggestivi in cui l’acqua – nei suoi diversi stati – abbia ispirato pittori, scultori, fotografi del panorama mondiale della cultura. Un progetto artistico, il nostro, per meditare sull’acqua come patrimonio dell´umanità; l’acqua come un bene, una risorsa, un problema che può generare conflitti. Un´azione artistica che vuole sensibilizzare il pubblico: un muro simbolico per mostrarci l’incubo di chi l’acqua non può godere dell’acqua come bene comune, per soprusi o per colpa dell’uomo che blocca il fluire naturale dei fiumi.

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L'acqua nell'arte “allo stato liquido” Nel mondo antico, non solo in quello indoeuropeo, ogni cosa era abitata da presenze divine e in primo luogo l'acqua, fonte di vita per eccellenza. Per gli Ebrei il mondo ebbe origine nell'attimo in cui Dio separò le acque inferiori da quelle superiori; prima di tale atto creativo "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque". Per Ismaele "la terra stessa posa sulle acque e le acque sulle nubi". Per i cristiani l'acqua assurge a simbolo di purificazione e nuova vita, come si può notare nel battesimo. Eredita, così, simboli presenti non solo nel Vecchio testamento ma anche nei culti pagani. Nel Corano si legge: "Abbiamo separato il cielo dalle terre e per mezzo dell'acqua abbiamo fatto scaturire ogni forma vivente". Per gli Egizi la fonte di ogni vita è il Nilo, venerato come sorgente del mondo. Fu personificato nel dio Hapi, rappresentato come un uomo grasso dai grandi seni e con una corona di piante di papiro, simbolo di fertilità. Per i Sumeri e gli Assiro-Babilonesi vari dei presiedono alle acque: Apsu (dio sumero delle acque dolci), Nun (personificazione dell'acqua), Ea (dio dell'acqua per gli Assiro-Babilonesi. Presso gli egizi, inoltre, l'acqua è sinonimo di due grandi entità: il Nilo, l'acqua delle inondazioni, e il Nun, l'acqua della vita. Il Nun infatti era l'oceano primordiale da cui erano nate tutte le forme di vita. Secondo la mitologia greca, tutte le acque, salate o dolci, discendevano da Oceano, figlio maggiore di Urano e Gea, e appartenevano ad un unico sistema di acque sotterranee. La cosmogonia più antica, testimoniata da Omero, vedeva in Oceano un grande fiume che circondava la Terra e dava origine a tutti i corsi d'acqua. In epoca post-omerica, con i primi viaggi oltre le colonne d'Ercole, Oceano fu visto come grande mare universale. Afrodite che emerge dal mare (dal Trono Ludovisi ). L'opera è datata al V secolo a.C., tra il 460 e il 450 a.C. L'interpretazione più accreditata ritiene che essa rappresenti la nascita di Venere (Afrodite) dalla spuma del mare a Cipro. Ancora “Afrodite” 4


in questo dipinto murale di Pompei, che si crede basato sulla “Venere Anadiomene” di Apelle, trasportata a Roma in età imperiale, dallo Imperatore Augusto. La divinità acquatica fondamentale, tuttavia, è Poseidone, presente già presso i Micenei. Oltre a Poseidone, una corte di numi domina sulle acque, secondo i Greci: Glauco, Nereo, Ioreo, Proteo, Tritone.

Arte romana. Per i Romani Poseidone diviene Nettuno e il fiume divino è per eccellenza il Tevere.

Tevere, Scultura romana, inizi II secolo

Esposizione dei Gemelli sulle rive del Tevere, affresco, Fregio dipinto dell’Esquilino, Roma, Età augustea

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Scene di navigazione con imbarcazione su uno sfondo marino riccamente popolato di pesci e Scene di lotta tra un polpo, un’aragosta e una murena, dal complesso scavato presso il Porto fluviale di San Paolo, Lungotevere, Roma, II secolo d.C.; l’acqua marina resa nella trasparenza con grande freschezza di tocco, accoglie la fauna marina definita con stile naturalistico immediatezza pittorica.

e

Ville romane presso il mare (affresco, Pompei). Questi edifici erano tanti che al geografo greco Strabone, approdante dal mare, diedero l’impressione di tutta una sola ed estesa città. (cfr.: Geografia, V). Ma allo splendore seguì la rovina. Nel 62 o 63 d. C., durante il dominio di Nerone, un violento terremoto faceva crollare in gran parte Ercolano, come Pompei, e arrecava gravi danni a Nocera, Stabia, Napoli, Pozzuoli. Le

ville, come ci documentano affreschi vedutistici rinvenuti negli scavi, s’innalzavano presso il mare o su ameni balsi, disponevano di grandi terrazze, verande, belvedere, alcove verso l'ampia veduta del golfo, avevano portici e Corridoi, giardini e boschetti adorni di statue e fontane. Ebbe anche l’imperiale famiglia Giulio-Claudia una ”villa in herculanensi pulcerrima” posta presso il mare, a vista dei naviganti, come ci informa Seneca, De ira III, 21. 6


L’acqua diviene simbolo di purificazione ed elemento sacrale a partire dal Tardo-Antico e nell’Alto Medioevo, quando assume importanza centrale nei soggetti raffigurati, come nella resa stilizzata ma efficace, del Battesimo del Signore in una visione fantasiosa di un codice miniato di Isfahan (Iran).

Nel mosaico del Battistero degli Ariani di Ravenna, la figura di Cristo – completamente nudo – è rappresentata immersa nelle acque del Giordano, personificato nella figura seduta di sinistra; l'acqua sale fino alla cintura e talvolta fino alle spalle, disegnando attorno al suo corpo una cupola ovoidale simile a una campana liquida: è il corso del fiume rappresentato secondo le regole di una prospettiva infantile, dove le linee si alzano invece di “fuggire”. La sua fluidità è indicata da ondulazioni parallele, che striano la campana d'acqua, come fossero piccole increspature, e dai pesci che nuotano nell'elemento liquido. L'acqua tuttavia non è trasparente, infatti ha la funzione di nascondere la nudità. Il Battista è vestito con una tunica in pelo di cammello, che allude alla sua vita nel deserto; egli è in piedi sulla sponda del fiume e impone la sua mano sulla testa del Salvatore; prima del XII secolo non lo si vede mai versare l'acqua lustrale. L'iconografia del battesimo per immersione comporta, inoltre, delle figure allegoriche come la personificazione del Giordano, il dragone vinto e un monumento commemorativo, la croce acquatica. Intanto nell'arte occidentale tra il IX e X secolo scompare l'iconografia dell'immersione nel Giordano, poiché comincia a diffondersi la pratica del battesimo per infusione o aspersione; mentre primitivamente il battesimo doveva essere amministrato dentro l'acqua corrente e viva di un fiume, ci si è accontentati più tardi di un'acqua morta, imprigionata dentro un recipiente a forma di calice, come un fiore reciso in un vaso.

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Giotto, Cappella degli Scrovegni, 1303-1305, Padova La rappresentazione del Battesimo si trova di conseguenza radicalmente trasformata, tuttavia nella Cappella degli Scrovegni essa è ancora del tipo per immersione, con una simmetrica divisione dei gruppi dei partecipanti e la figura di Dio Padre al centro. Già Taddeo Gaddi opta per una commistione tra le due tipologie, con il Cristo inginocchiato nel Giordano e il Battista che versa sul capo dell'acqua da una coppa. L'infusione avviene generalmente con una conchiglia o una coppa nell'arte italiana, con una brocca in quella tedesca, mentre nella scuola dei Paesi Bassi, con Memling, è fra le dita che il Battista lascia colare dal cavo della sua mano qualche goccia d'acqua sulla testa di Cristo. L’acqua è ancora protagonista nel Miracolo della sorgente, la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Dipinta verosimilmente tra il 1290 e il 1300, raffigura l’episodio appartenente alla serie della Legenda maior (VII,12) di San Francesco: "Salendo il beato Francesco sopra un monte in groppa all'asino di un povero uomo a causa di un'infermità, e invocando il detto uomo, che si sentiva morir di sete, un poco d'acqua, ne cavò da una pietra: la quale né prima v'era stata, né poi fu vista." L’acqua sgorga dal paesaggio roccioso ancora bizantineggiante delle rocce sporgenti. Di grandiosa

eloquenza è l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede che è realisticamente piegato nella spinta del corpo.

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Primo Rinascimento. Trasparenze celestiali in Masolino da Panicale a Castiglione Olona del 1435. Nella pittura italiana del Rinascimento l'immagine del battesimo di Cristo non ha niente in comune con l'arte religiosa; infatti, come le “Nozze di Cana” sono per Veronese il pretesto per raffigurare il fasto di un banchetto, il battesimo non diventa altro che una “scena di bagno”, con attorno a Cristo dei bei corpi nudi di catecumeni che si divertono, si svestono e rivestono all'aria aperta: il sacramento lascia il posto a un bagno nel Tevere o nell' Arno. Questa nuova concezione appare dal XV secolo negli affreschi attribuiti a Masolino, a Masaccio, a Ghirlandaio e a Signorelli, fino a Raffaello, che la introduce nei suoi affreschi delle Logge Vaticane. Nel Battesimo di Cristo (tempera su tavola 1440-1460, National Gallery, Londra) di Piero della Francesca, commissionato dall'abbazia camaldolese di Sansepolcro, città natale e residenza del pittore, come tavola centrale per un polittico che probabilmente decorava l'altare maggiore, la composizione trova il centro dell’interesse nel Cristo centrale; la struttura si basa sull’asse centrale e da esso si sviluppa equamente da destra a sinistra. La profondità è resa piuttosto realisticamente e le colline, molto dettagliate sullo sfondo, accentuano questa sensazione. La linea è perlopiù curva, come testimoniano il corso del fiume e le colline sullo sfondo. L’illuminazione è frontale e diffusa, così da essere realistica senza creare ombre che nascondano parti dl corpo del Cristo. I colori usati sono tersi, tanto da creare piacevoli contrasti tra le vesti, la trasparenza del cielo e dell’acqua benedetta e dello sfondo. Il colore è steso con una pennellata precisa, che definisce i particolari più lontani con grande realismo. Ovviamente, l'acqua, che è così trasparente, semplice e ricca di vita, diventa anche il simbolo della "purezza". Non è un caso che nella religione cristiana il battesimo si compia con l'acqua. Ciò avviene a proposito di quest’opera sublime di Piero della Francesca. Il pittore rappresenta con l'acqua la purezza di Gesù. L'acqua nel rituale del battesimo, infatti, purifica la persona dal peccato originale.

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Nella Rinascenza, l’acqua diviene inoltre protagonista di soggetti profani, come in quest’opera icona del Rinascimento italiano, spesso assunta come simbolo della stessa Firenze e della sua arte. La Nascita di Venere è un dipinto a tempera su tela di lino di Sandro Botticelli, databile al 1482-1485 circa, conservato nella Galleria

degli Uffizi a Firenze. Faceva forse anticamente pendant con l'altrettanto celebre “Primavera” sempre di Botticelli, con cui condivide la provenienza storica, il formato e alcuni riferimenti filosofici. La tela rappresenta una delle creazioni più elevate dell'estetica del pittore fiorentino, oltre che un ideale universale di bellezza femminile, incarnato da Venere che avanza leggera, fluttuando, su di una conchiglia lungo la superficie del mare increspato dalle onde. Venere nuda e distante – come una splendida statua antica – viene spinta dal vento fecondatore del soffio di Zefiro, che simboleggia l’amore come energia vivificante, come forza motrice della natura. E la nudità della dea sicuramente rappresenta la bellezza spirituale che indica la purezza, la semplicità e la nobiltà d’animo. La prospettiva è data proprio dal colore dell’acqua, che si schiarisce in lontananza, l’acqua che in questo dipinto rappresenta in modo emblematico l’origine della vita.

Ed è ancora l’acqua – quale sorgente di vita – solo apparentemente in ombra nell’imponete tela cinquecentesca di Tiziano, Vecellio “Amor sacro e Amor profano”, ad assumere rilevante importanza: l’identificazione dei due

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personaggi femminili, infatti, in Venere e Proserpina è avvalorata dalla presenza della sarcofago-fontana, in cui l'amorino miscela l'acqua, trasformando la morte in vita, entrambe connotate dai simboli delle scene scolpite. Tiziano ritorna, più tardi, al tema della Venere Anadiomene (1520, olio su tela, National Gallery), rappresentazione della nascita della dea dalle acque del mare di Cipro. A differenza della Venere di Botticelli, quella di Tiziano è direttamente immersa nelle acque marine, secondo il soggetto, già presente nella descrizione in Plinio di un dipinto di Apelle, con cui spesso i pittori del Rinascimento si erano cimentati. La conchiglia, di dimensioni ridotte, è tuttavia ancora presente a lato del corpo nudo di Venere. Ella si scioglie i capelli, probabilmente intenzionata a lavarli nelle acque mosse di quel mare nel quale è immersa fino a metà coscia. Lo sguardo tende lontano, la testa leggermente piegata è contornata da un cielo grigio melanconico di nuvole. Non piove, ma si percepisce l’alito di quello stesso vento fecondatore della “Nascita di Venere”. Ancora Venere, ancora l’acqua del mare nell'opera è di Alexandre Cabanel, “La nascita di Venere” (in basso), pittore nemico del Naturalismo e dell’Impressionismo, che porterà alle estreme conseguenze, nel 1863, il processo iniziato dai classici di “Maniera”, attraverso la resa della sensualità della dea che si riflette nell’incresparsi voluttuoso delle onde del mare.

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Il tema profano dell’acqua, nonostante i rigori della Controriforma, registra ancora largo impiego anche nella pittura del Seicento. Esemplare questa interpretazione del mito di Narciso di Michelangelo Merisi da Caravaggio, che – con mirabile resa naturalistica degli effetti di trasparenza dell’acqua – riproduce il fanciullo chino sullo specchio liquido che indugia nel contemplare lungamente la propria immagine, mentre Nemesi gli sussurra all’orecchio con voce fredda: “Rimarrai qui per sempre, Narciso; rimarrai qui per l’eternità a contemplare il tuo volto più bello di quello di tutte le ninfe e di tutte le dee. Nessun cuore di donna soffrirà più per la tua bellezza che ora hai conosciuto. Questo era il significato del vaticinio di Tiresia.” E Narciso rimase lì per sempre, piegato sull’acqua, incapace di staccarsi dalla visione della propria immagine, alla stessa stregua del fiore che ne incarna la bellezza. Trasformazioni del tema dell’acqua nel mito. Le creature del mare e delle acque custodiscono il confine tra acqua del tempo e acqua senza tempo, figure che conoscono il destino perché sono il presente e il futuro. Esseri che ammaliano e distruggono, custodi benevoli dei riti di passaggio (matrimonio, adolescenza, parto, morte), ma anche orribili mostri e femmine infeconde (Scilla, Sirene, Idra, Gorgoni) posti a tutelare il trascendente dalla temerarietà della mente umana. Il valore femminile delle acque cupe ritorna a far udire agli dei il suono del suo fluire uterino e rigeneratore. Tra i riti collegati all’acqua delle religioni abramitiche, l’immersione del battesimo resta il più simbolico ed evocativo per la rigenerazione dell’uomo nuovo e rappresenta lo spazio al di là in cui reincontrarsi e riscrivere il proprio destino.

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L’apporto della Scultura

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Londra, Fontana di Trafalgar Square, Delfini e umani

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Anche la scultura ha regalato alla celebrazione di questo fondamentale elemento – l’acqua – opere di grande magnificenza. Esempi, significativi ne sono la celeberrima Fontana dei Quattro fiumi di Piazza Navona a Roma, opera seicentesca (1651) di Gianlorenzo Bernini, e la Fontana della Barcaccia, del medesimo autore, già completata nel 1629.

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La Fontana dei Quattro fiumi sorge al centro della piazza, nel punto in cui fino ad allora si trovava un “beveratore”, una semplice vasca quadrata per l’abbeveraggio dei cavalli. Si compone di una base formata da una grande vasca ellittica a livello della pavimentazione stradale, sormontata da un grande gruppo marmoreo, sulla cui sommità si eleva un obelisco egizio, imitazione di epoca romana. Le statue in marmo bianco che compongono la fontana hanno una dimensione maggiore di quella reale. I nudi rappresentano le allegorie dei quattro principali fiumi della Terra, uno per ciascuno dei continenti allora conosciuti, sono rappresentati come dei giganti in marmo che siedono appoggiati sullo scoglio centrale in travertino: il Nilo, il Gange, il Danubio e il Rio della Plata, opera di artisti diversi. La Fontana della Barcaccia è invece situata in Piazza di Spagna, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti. La sua realizzazione comportò il superamento di alcune difficoltà tecniche, dovute alla perdurante bassa pressione dell'acquedotto dell' “Acqua Vergine” in quel particolare luogo, che non permetteva la creazione di zampilli o cascatelle. Il Bernini tuttavia risolse l'inconveniente, ideando la fontana a forma di barca semisommersa in una vasca ovale posta leggermente al di sotto del piano stradale, con prua e poppa, di forma identica, molto rialzate rispetto ai bordi laterali più bassi, appena sopra il livello del bacino. Al centro della barca un corto balaustro sorregge una piccola vasca oblunga, più bassa delle estremità di poppa e prua, dalla quale fuoriesce uno zampillo d’acqua che, riempita la vasca, cade all’interno della barca per tracimare poi, dai bordi laterali bassi e svasati, nel bacino sottostante. L’acqua sgorga da altri sei punti (tre a poppa e tre a prua): due sculture a forma di sole con volto umano, che gettano acqua verso altrettante conche all’interno dell’imbarcazione, e quattro fori circolari (due per parte) rivolti verso l’esterno, simili a bocche di cannone. Oltre ai due soli, completano le decorazioni due stemmi pontifici, con la tiara e le api, simbolo araldico della famiglia del pontefice (i Barberini), alle estremità esterne della barca, tra le due bocche di cannone. Era la prima volta che una fontana veniva concepita interamente come un’opera scultorea, allontanandosi dai canoni della classica vasca dalle forme geometriche. Secondo una versione popolare molto accreditata, la sua particolare forma potrebbe essere stata ispirata dalla presenza sulla piazza di una barca in secca, portata fin lì dalla piena del Tevere del 1598 (nel cui ricordo il papa potrebbe aver commissionato l’opera), ma si è anche avanzata 14


l’ipotesi che quel luogo fosse anticamente utilizzato come piccola naumachia. In entrambi i casi il nome “Barcaccia” richiama una vecchia imbarcazione prossima all’affondamento. Più verosimilmente, era chiamata “barcaccia” quel tipo di imbarcazione che, nell’antica Roma, veniva usata per il trasporto fluviale di botti di vino, e che, molto simile all'opera berniniana, aveva appunto le fiancate particolarmente basse per facilitare l’imbarco e lo sbarco delle botti stesse. La settecentesca Fontana di Trevi (1732-1762), progettata da Nicola Salvi e adagiata su un lato di Palazzo Poli, oltre ad essere la più grande ed una fra le più note fontane di Roma, rappresenta un riuscito connubio di Classicismo e Barocco. La storia della fontana è strettamente collegata a quella della costruzione dell'Aqua Virgo, acquedotto Vergine, che risale ai tempi dell'imperatore Augusto, quando Marco Vipsanio Agrippa fece arrivare l'acqua corrente fino al Pantheon ed alle sue terme.

L'opera è impostata secondo un progetto che raccorda influenze barocche, e ancor più berniniane, al nuovo monumentalismo classicista. Il Salvi riprende l'idea di fondo di Bernini, e del papa committente, cioè quella di narrare, tramite architettura e scultura insieme, la storia dell'Acqua Vergine. Il tema dell’intera composizione è il mare. Questa è inserita in un’ampia piscina rettangolare dagli angoli arrotondati, circondata da un camminamento che la percorre da un lato all’altro, racchiuso a sua volta entro una breve scalinata poco al di sotto del livello stradale della piazza. Il Salvi ricorse al sistema della scalinata per compensare il dislivello tra i due lati della piazza. La scenografia è dominata da una scogliera rocciosa, che occupa tutta la parte inferiore del palazzo, al cui centro – sotto una grande nicchia, delimitata da colonne, che la fa risaltare come fosse sotto un arco di trionfo – si erge una grande statua di Oceano che guida un cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli alati, a loro volta guidati da altrettanti tritoni. L’acqua sgorga dalle rocce in diversi punti sotto il carro di Oceano va e a riempire tre vasche, prima di riversarsi nella piscina maggiore. Le tre vasche non facevano parte del progetto originario del Salvi, ma furono aggiunte a seguito delle modifiche apportate dopo la morte dello scultore. Altra modifica sostanziale riguardò i soggetti delle due statue laterali, che rappresentavano inizialmente Agrippa e la “Vergine Trivia”.

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L’acqua nella Pittura del Romanticismo. John Constable, “La baia di Weymouth, National Gallery 1816

“Mi è stato spesso consigliato di considerare il cielo come un lenzuolo bianco appeso dietro agli oggetti. Certo, non è bene che il cielo sia troppo invadente, ma se fosse inesistente sarebbe ancor peggio”. (J.Constable) John Constable, classe 1776, rampollo di buona famiglia borghese dotato, secondo le fonti, di bellezza, eloquenza e stile, si istruì pittore prima per passione e poi per mestiere, trovando nel cielo e nei paesaggi pianeggianti del Kent la sua fonte di ispirazione primaria. Ai ritratti di amorini, di ninfe danzanti e di eroi greci dalle movenze tragiche e dalla fisionomia dei nobili dell’epoca, egli preferiva la terra bruna dei campi appena

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solcati dall’aratro e il fluire silenzioso delle acque, intente ad approfondire il proprio corso e a riposare in stagni adombrati e circondati da canneti. John Constable, Il carro da fieno, 1821, conservato alla National Gallery. Il dipinto rappresenta uno scorcio della valle dello Stour (Suffolk), vicino al mulino di Flatford, con un carro immerso nel fiume. Esso rispecchia in pieno i canoni del Romanticismo, con una natura partecipe ai sentimenti dell'uomo, essa stessa capace di rasserenare o terrorizzare l'uomo. L'opera mostra la maturità dell'artista nel bilanciare le masse e i valori tonali, bloccando quasi l'ora, il giorno, la stagione e, forse, i pensieri dell'uomo. L'opera emana una maestosità e una tranquillità nella mirabile resa del clima e dell'umidore dell’atmosfera. I colori ben dosati nelle varie tonalità di verde, l'acqua al centro della tela dà un senso di appagamento interiore per la calma che riflette, gli uccelli sparsi, il cagnolino sulla riva abbaia al padrone e il cielo è sorgente di luce che governa su ogni cosa.

John Constable “Wivenhoe Park”, 1816

Constable ama, altresì, parlare di sé come di “pittore scienziato”, e pennellata dopo pennellata imprime sulla tela scampoli di realtà intrisi delle sue conoscenze di geologia, botanica e meteorologia. L’avvicinamento all’essenza profonda della realtà e la ricerca di una possibile dimensione trascendente si traducono nella scientificità della pittura e nel considerare i quadri veri e propri esperimenti volti all’indagine empirica della Natura e con essa specialmente dell’acqua e della vasta fenomenologia che le accompagnano. Terra, aria, acqua e fuoco, in solitudine o in unione gli uni con gli altri, offrono forma e consistenza alla Verità della Natura.

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Nella produzione pittorica di Constable sono gli elementi freddi a predominare incontrastati attraverso i numerosi ritratti di nuvole e cieli talvolta sovrastanti il mare. Si tratta di cieli per lo più senza stormi, acque rese vive dall’incresparsi delle onde più che dalla spuma delle scie di barche e dagli ormeggi sulla riva. Le nubi si mostrano come gli occhi gentili dell’aria e manifestano il silenzio e la quiete nelle giornate limpide, quando i venti interessano gli strati più alti dell’atmosfera o, al contrario, impersonano lo sguardo torvo e corrucciato delle tempeste e delle piogge che si abbattono violente, proprio come in questa “Rainstorm over the sea” (Tempesta di pioggia sopra il mare, a sx).

Assolutamente innovativo, pur nel panorama dell’arte romantica, lo stile di William Turner: le sue opere del periodo della maturità sono caratterizzate da un'ampia varietà cromatica e da una suggestiva tecnica di stesura del colore. Soggetti molto adatti a stimolare l'immaginazione del pittore si rivelano i naufragi, gli incendi (come l'“Incendio del parlamento inglese, verso l’Abbazia di Westminster”, del 1834, un avvenimento a cui Turner corse ad assistere di persona e che immortalò in una serie di schizzi ad acquerello), le catastrofi naturali e i fenomeni

atmosferici come la luce del sole, le tempeste, la pioggia e la nebbia. Era affascinato dalla violenta forza delle acque marine, come si può vedere in “Scialuppa di salvataggio e uomini ”(1840), a dx.

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Turner, al contrario di Constable, va oltre il dato oggettivo e propone un’interpretazione più libera della natura. I suoi paesaggi sembrano infatti dissolversi nella luce e nei colori e le terrificanti potenze delle forze naturali, che il pittore riproduce nelle sue opere, sembrano evocare catastrofi imminenti, mettendo in risalto la fragilità della condizione umana. Per esempio, nel dipinto intitolato “Onde che si infrangono contro il vento”del 1835 circa, in cui vediamo il mare, sconvolto dalla

tempesta

giornata

di

in

forte

una vento

impetuoso, con le onde che si riversano su un piccolo lembo di spiaggia in un inarrestabile moto, possiamo notare come il pittore, sempre affascinato da

queste

grandi

forze

naturali, voglia comunicarci, che

il

paesaggio

possa

diventare anche espressione di uno stato d’animo, un riflesso non soltanto di ciò che l’ artista percepisce con gli occhi, ma soprattutto uno specchio dei sentimenti che prova, delle emozioni che lo agitano intimamente. In questo dipinto, sentiamo la potenza e la forza distruttiva degli elementi scatenati, che coinvolgono il cielo, il mare ed il piccolo lembo di spiaggia con sterpi ed alghe. L’assenza di ogni traccia di vita umana, ancora presente – seppure a margine – nella marina sconvolta di “Bamborough Castle” (sopra), esprime anche la solitudine nella quale l’artista si immerge, come

pure

nelle

pacate

e

impalpabili

rappresentazioni del Bacino di San Marco, verso la Salute, a Venezia, in cui l’acqua è ancora il leit motiv.

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La pittura del Secondo Ottocento d’Oltre Oceano. Grande formato e afflato romantico si ritrovano pure nei dipinti delle “Cascate del Niagara”, (1867), del pittore americano Frederic Edwin Church, in cui l’acqua – nella sua forza prorompente – precipita in uno scroscio fragoroso, sollevando vapori nell’impatto con le rocce sottostanti. James Abbot McNeill Whistler, altro artista americano, interpretando con grande originalità il tema dell’acqua, dà invece vita ad una serie di dipinti in cui tenta una sintesi e insieme un confronto tra la cultura orientale e quella occidentale: le composizioni che ne scaturirono sono ancora fedeli alle regole della prospettiva, ma i colori sono utilizzati in maniera nuova, più vicina al cromatismo bidimensionale delle stampe giapponesi.

Nei suoi “Notturno, lo stretto di Solent”, del 1866, conservato al Gilcrease Museum di Tulsa, e in “Harmony in Blue and Silver: Trouville”, del 1865 (Gardner Museum, Boston, MA, USA, sotto), Whistler restituisce un’immagine della superficie dell’acqua delle sue marine, in cui va ad anticipare per esiti certe

esperienze estetiche dell'Astrattismo. Ciò avviene per effetto delle linee che definiscono in fasce piatte e placide, sovrapposte, l’orizzonte in cui quasi si fondono il mare, il cielo e i corsi appiattiti delle basse distese sabbiose.

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Intorno alla metà dell’Ottocento, in Francia si afferma il Realismo, attraverso la pittura di Gustave Courbet. E’ ancora l’acqua a fare da protagonista, ma stavolta le vedute marine di Courbet perdono ogni enfasi emozionale di impronta romantica; il pittore è soprattutto attento a restituire il dato realistico, senza implicazioni sentimentali, senza alcuna idealizzazione che riconduca allo stato d’animo con cui l’artista si pone innanzi al paesaggio e agli elementi atmosferici, che in “Paysage de Mer” riproduce, tuttavia, con una freschezza quasi epidermica, quella delle acque appena increspate dalla brezza marina, che ne nebulizza gli umori.

In “Veduta del Mediterraneo presso Maguelonne”, del 1858, Courbet raffigura uno scorcio di spiaggia con gli scogli in primo piano e un mare calmo, dalle acque di un intenso cobalto, privo di presenze umane e di qualsiasi drammaticità. Spettacolare risulta altresì il modo in cui la tela è dipinta: il colore steso in larghe strisce con una spatola, lascia in alcuni punti tratti di tela non dipinta. La pittura realistica di Courbet preparerà la strada agli impressionisti francesi del secondo Ottocento e del loro precursore e maestro ideale: Edouard Manet.

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Nel dipinto di Manet “Il molo di Boulogne-sur-Mer”, del 1868, motivo centrale sono i due pontili, alla foce della Liane, sostenuti da una fitta rete di pali che si specchiano nell’acqua del mare, resa in primo pano in un bluverdastro straordinario, ancor più acceso per contrasto con le figure al centro, dipinte – proprio come le imbarcazioni – con poche e morbide pennellate dai toni grigio perlacei. Sebbene l’opera di Manet sia spesso associata alla spontaneità dell’Impressionismo, la genuinità di questo dipinto è ingannevole e la freschezza delle marine, in genere, cela un lungo processo di ritocchi e di ricercatezza. Il dipinto fu infatti realizzato in atelier, sulla base degli schizzi a matita fissati dall’artista nel suo taccuino. “La Grenouillère”, di Claude Monet è lo stagno delle rane, uno stabilimento balneare di Bougival, vicino a Parigi, le rapide e decise pennellate che accostano le differenze tonali e cromatiche realizzano una superficie liquida dinamica ed evidenziano i contrasti di luce e di ombra, ma l'eccesso di nero – utilizzato da Monet – impedisce ancora di ottenere trasparenza delle ombre; lo sfondo, malgrado l'intensa colorazione verde-oro del fogliame, manca di vibrazioni luminose e non riesce ad raccordarsi in una visione unitaria con la centralità del dipinto. “Impression soleil levant” (1872), è invece da considerarsi il manifesto dell’Impressionismo. Monet realizza il dipinto totalmente en-plein-air, ossia di getto, all'aria aperta, senza disegno preparatorio. Il quadro rappresenta il porto di Le Havre all'alba, come suggerito dal titolo stesso. Sullo sfondo appaiono le industrie, mentre in primo piano si staglia 22


una barca di pescatori, che stanno tornando dalla pesca notturna. Nell'acqua – elemento dominante unitamente al cielo – di guizzano pesci scuri; il riflesso del sole presenta un grado di luminosità quasi anomala, a differenza di quanto si verifica in natura. Si tratta però di una caratteristica che sembra conferire un carattere fantastico e soprannaturale a tutta la rappresentazione, che travalica la pura resa realistica. In “Vela sulla Senna ad Argenteuil” (1873), è certamente Turner ad aver suggerito a Monet come dissolvere la forma mediante il colore, fondendo acqua e cielo così da annullare l'orizzonte, rendendo ombre e navi partendo dallo stesso grigio dello sfondo. Il paesaggio, divenuto nell'immediata impressione visiva dell’artista un insieme di forme vaghe, trasmette all'osservatore un'emozione suggestiva e indefinita. Il cammino che porta Claude Monet da una visione di impianto descrittivo e naturalistico fino alla dissoluzione del dato di natura nella materia pittorica, costituita dal binomio luce/colore, è dunque rappresentato dalla Senna. Fiume che, fin da certe prove degli anni Sessanta del XIX secolo, resta come un vero filo rosso entro la sua opera, segnandone molto spesso le svolte più importanti e decisive. Sarà quindi lungo questo corso d’acqua che egli darà vita a tanti dei suoi quadri più celebri, procedendo verso un’interiorizzazione dell’immagine, quasi che la natura e il paesaggio sorgessero in lui dalla visione interiore. Dopo la lezione di Boudin, in Normandia, davanti al mare di Le Havre, Monet inizia quel lungo canto disteso ai lati, e fin dentro, le acque della Senna. Dalle prime descrizioni del fiume, nei pressi della foce, tra Le Havre Claude Monet, Il ponte di Argenteuil, 1874

e Honfleur, fino alla contaminazione con l’acqua del mare: e proprio questo spazio indistinto, che è fiume e mare insieme, è oggetto di alcuni tra i primi quadri. Poi il fiume che attraversa Parigi, nella musicalità affollata del rigoglio fiorito della gente che invade le strade, fino alla identificazione di quel fiume con la natura, con il suo splendore. Fino alla serie celebre, tra 1896 e 1897, dedicata ai Mattini sulla Senna, a dx, quando la visione partecipata del reale sta già 23


virando entro il territorio della dissoluzione delle forme fattesi realtà della non realtà. Monet giunge addirittura a deviare il corso del fiume per creare, nella sua mente prima ancora che nella realtà, l’artificio della natura. Le ninfee, dunque, lo stagno, il Ponte giapponese del “Giardino di Giverny” saranno la trascrizione nuova di ciò che nei decenni precedenti la Senna aveva rappresentato per lui, con tutti i mutamenti importanti che già nell’ultimo decennio del XIX secolo intervengono. L’idea di Monet, di deviare il corso del fiume per costituire l’artificio della natura, si concretizza quindi nella resa quasi evanescente dei soggetti più celebri: i ponti giapponesi, le ninfee. E la visione sfuma, trascolorando negli effetti luministici, evocati attraverso un’iridescenza madreperlacea dell’elemento “acqua”, che annulla la percezione soggettiva del dato naturale. “E anche l’ultima traccia di paesaggio acquatico affonda, quasi scompare, inabissandosi. Né acqua, né cielo, né orizzonte intervengono per puntellare la composizione, densa. Lo spazio liquido ci viene incontro. Non esiste più profondità di sguardo, non si vede più niente, ogni cosa si perde, nulla più si distingue. Solo un vibrare di luci e colori, in un’illuminazione diffusa che blandisce qualsiasi ombra. E’ questo il tempo del mondo. Questa storia, proprio questa, finisce qui, finisce così.” (Marco Goldin) La Senna si spegne in queste finali acque stagnanti, trasformata nella luce di un divenire che è tempo e spazio insieme. Ecco perché occorre indicare anche l’ “acqua di Giverny”, il giardino privato dell’artista, come ulteriore spazio di una grandezza pittorica che aveva già toccato vertici sublimi. Sono proprio questi gli anni in cui Monet dà il meglio di sé, quelli che si concludono con le grandi serie; scompaiono i contrasti di tono, che si mutano in passaggi tonali ottenuti non fondendo ma accostando le tinte, fra le quali è ora bandito il nero, ma le ombre vengono ricavate accentuando l'intensità del tono oppure con i complementari. Nelle 24


“Ninfee”, l'acqua – in quanto elemento della natura – diviene soggetto del quadro. Monet si proclama così emblematico maestro della rappresentazione dell'acqua. Questi fiori delicati galleggiano nell'acqua che riflette i loro colori e le nuvole nel cielo. Il risultato è un incredibile immagine di luci e colori che lascia senza fiato. L'acqua è, quindi, la protagonista del quadro per le sue speciali caratteristiche fisiche (trasparenza, riflesso, mutevolezza della forma). Esiti totalmente diversi, in cui nella rappresentazione di stagni e ninfee prevale l’intonazione mitologica, sono quelli tardo-ottocenteschi di John William Waterhouse, pittore britannico

John William Waterhouse, “Hylas and the Nymphs”, 1896, Manchester City Gallery ispirazione shakespeariana. Il tema della donna che si

di età vittoriana, appartenente alle ultime manifestazioni dello stile dei Preraffaelliti. La produzione di Waterhouse può essere raggruppata per temi entro due filoni principali: le opere di ispirazione classica e le opere di ispirazione medievale, tra cui spiccano “Ofelia” e “La Signora di Shalott”, oltre ad altri dipinti di

strugge per amore, ricorre nei dipinti di Waterhouse: non

a caso un altro dei suoi soggetti ricorrenti è Ofelia nell'atto di raccogliere fiori, poco prima che le acque placide del lago l’accolgano nell’abbraccio 25


della morte. Il dipinto unisce il tema femminile a quello dell'acqua, un'associazione che – insieme a quella con l’elemento floreale – è tipica della pittura simbolista, in generale, e dei preraffaelliti, in particolare. Tornando a Monet, egli dipinge anche il mare: la sua vastità, l’idea che dell’infinito e, tuttavia, anche della prossimità vi s’inscrive. Sono le tele di

“Bordighera”, (1884), “Mediterraneo” (1888) e il coevo “Cap d’Antibes – Mistral”, fresche vedute in cui la pennellata vibrante anima le onde increspate dalle sferzate del maestrale. I Neo-impressionisti Signac e Seurat sviluppano sulla fine del secolo la tecnica del pointillisme, che della pittura di getto impressionista oramai poco conserva se non la ricerca luministica. Signac è affascinato dalla luminosità delle opere impressioniste ma cerca, al di là dell’effetto atmosferico vibrante ed effimero, di costruire lo spazio con esattezza, come si può evincere da un altro dipinto a tema marino: “Saint Tropez. Il temporale”,(in basso a dx) del 1895. Seurat, in cui il tema dell’acqua è spesso presente, invece pare discendere la luce da Piero della Francesca. Per lui in pittura non c’è nessuno spazio per la casualità. Essa è tensione verso un’esattezza senza concessioni. Egli è certamente impregnato sino al midollo di luce impressionista, ma è come se l’avesse sottratta da una parte al tempo, dall’altra alla meteorologia. Così trasforma, o meglio trasfigura, l’impressionismo in un fatto zenitale. La luce, colta d’après nature viene riportata alla sua radice. Diventa veicolo di un qualcosa che ha a che fare con l’assoluto, tutto avvolge nella miriade di micro particelle pulviscolari, tutto ingloba: cielo, acqua, vapori evanescenti. Il metodo scientifico nella stesura dei colori, su cui si indaga sino alla nausea, è 26


la via con cui Seurat si sottrae al felice soggettivismo dei suoi fratelli maggiori impressionisti. Egli cerca un’oggettività che gli faccia fare il balzo aldilà di tutto ciò che è transitorio, che lasci travalicare nel surreale, nel metafisico, come ne “Il Canale di Gravelines: di sera”, del 1890, o ne “La Baignade à Asniére” (1883), tra i grandi quadri dell’Ottocento, c’è la vocazione all’assoluto di Seurat, nella fissità vibrante delle liquide trasparenze. Pennellate brillanti e rigorose linee ortogonali, caratterizzano invece la resa degli specchi d’acqua di Signac. La ricerca dei pittori Post-Impressionisti va poi a conseguire esiti molto differenti e originali. Senza entrare nelle diverse ipotesi mediche emesse sulla malattia di Vincent Van Gogh, si può vedere nella sua opera l'intensa

lotta condotta dall’individuo contro l’alienazione dal mondo, da quella società che produce, con l'industrializzazione e le sue conseguenze sociali conflittuali, l'asservimento e la distruzione dell'uomo. Vincent Van Gogh dipinge “Notte stellata sul Rodano”, uno dei suoi capolavori, in una serata di fine settembre del 1888, nei pressi della cittadina francese di Arles, sulla riva del Rodano; ha da poco finito di dipingere il paesaggio che si trova a sud-ovest, una veduta del fiume con le luci del paese sullo sfondo che, all'improvviso, decide di ruotare il cavalletto. Alle sue spalle, verso nord, si staglia l'Orsa Maggiore, nella volta del cielo, che si riflette nell’acqua – prevalente nella stesura pittorica – di un livido cobalto, acceso allo stesso tempo, e solcato dai fendenti del 27


riverbero nella luminosità delle pennellate che depone sulla tela in due fasi distinte, intervallate tra loro da una pausa di qualche decina di minuti. Con la tecnica divisionista, di quegli anni Vincent cerca il suo personale approccio al colore, e allo stesso tempo, nei sobborghi parigini e presso gli argini della Senna, ripercorre gli stessi motivi di Signac. In seguito egli abbandona, a poco a poco, la frammentazione impressionista e tende a semplificare la forma e il colore per

concentrarsi meglio sull'unità strutturale della superficie e per mantenere la caratterizzazione espressiva degli oggetti. In questa direzione, nella ricerca di uno stile veramente personale, l'influenza della stampa giapponese, tanto ammirata e copiata da Vincent Van Gogh, segna una tappa importante. Se ne ritrova la presenza nel “Ponte sotto la pioggia ad Hiroshige”, (in alto a dx), il cui sfondo è ancora naturalistico, in cui una fitta tessitura di pennellate che si intersecano in un sottile linearismo, che evoca il dato atmosferico: la pioggia, ma lo sviluppo della scena è già verticalizzato, in una cornice trompe d’oeil che anticipa già i motivi decorativi delle stampe giapponesi. Anche Paul Gauguin in “Ragazza bretone che fila”, risente dell’influenza del verticalismo costruttivo, anche nel modo piatto di definire la distesa blu petrolio del mare sullo sfondo. Egli cercherà di realizzare con Van Gogh un sodalizio nella pittura a Arles, nel meridione della Francia. Prima del fallimento dell’infausta esperienza, dovuta all’incompatibilità di carattere e all’aggravarsi della malattia di Vincent, Gauguin trascorrerà quasi un anno a Pont-Aven, dove il suo stile prenderà consistenza, giungendo al rifiuto della prospettiva che genera una rappresentazione a carattere irrazionale, particolarmente adatta all'espressione delle realtà spirituali. Su questa strada Paul Gauguin non tarderà molto ad apparire come il pittore simbolista per eccellenza, portavoce dei Nabis (= Profeti), il profeta della costruzione della tela attraverso il colore steso uniformemente, cioè idealizzato. 28


Gli specchi d’acqua traslucidi, che riflettono la luce annullando l’effetto appiattente della pennellata compatta, sono tra i soggetti prediletti di Felix Vallotton, come “Paesaggio a Semur”, (a sx) e “Fiume in Berville” (sotto a dx). Dopo il 1890, Vallotton, rifiutando la resa atmosferica della realtà propria dell'Impressionismo, riscontrabile in dipinti come “Punts del carico sulla Senna” (in basso a sx), lega al gruppo dei Nabis; “Nell’acqua”, (a dx), ne costituisce un chiaro esempio. Dagli allievi e continuatori di Gauguin, Vallotton apprende i canoni fondamentali della composizione bidimensionale e dell'arabesco, ma ne rifiuta le ricerche tipiche del Simbolismo per volgersi ai temi della vita quotidiana. Nelle opere degli anni dal ’91 al ’98, lo spazio del dipinto è quasi completamente privo di profondità, acqua e cielo

ripartiscono uno sfondo piatto, dominato dall’armonia dei colori, vivi e densi, come in “Nudo di donna nell’acqua”, in cui vengono meno gli effetti di trasparenza, tipici dell’elemento acquatico, e tutto ciò che resta dello lo stile impressionistico.

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Il dipinto “Pape Moe, l’Acqua misteriosa”, con i riferimenti alle simbologie indigene sulla sacralità del tema dell’acqua, collocabile nel periodo Tahitiano di Gauguin (1893), rappresenta la trasposizione delle spiritualità nabis alla cultura dei primitivi. L’esperienza artistica del pittore francese, influenzerà anche la ricerca dei Fauves e degli Espressionisti tedeschi. Al contrario, per Paul Cézanne il colore, che prevale sulla linea, riveste una funzione essenzialmente materialista, come si

può desumere dal quadro “Lago di Annecy” (sopra, a sx), caratterizzato da una pennellata, che si annuncia già come costruttiva e precorritrice dell’avanguardia artistica del Cubismo. I toni dominanti sono quelli dei blu e dei verdi, a cui fanno eco tocchi di giallo e di violetto. Il senso di profondità è dato dalla successione dei piani prospettici, che definiscono il paesaggio lacustre. Ne “Le Grandi Bagnanti” (di lato, a dx) del 1906, di

Cezanne, preannuncia nel soggetto e negli esiti assolutamente innovativi “Les demoiselles d’Avignon”, di Picasso, del 1908, manifesto della pittura cubista, in cui sfondo e figure si compenetrano in cunei geometrici tridimensionali, tra i quali l’elemento naturalistico acquatico è riconoscibile, e riconducibile solo ai toni sapienti di azzurro che stagliano i corpi volumetrici dei soggetti femminili, alcuni deformati a maschere grottesche. Anche i Fauves francesi e gli esponenti

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tedeschi di Die Brücke cercano nella tecnica graffiante e nel colorismo stridente, pur nella rappresentazione di soggetti ancora figurativi, la risposta al male di vivere che incombe pesantemente sull’uomo del ’900: l’acqua, elemento catartico, sembra dare sollievo consolatorio alle figure umane, quasi larve fluttuanti nel dipinto del pittore Franz Marc “Wasserfall” (in basso a sx); più compassata la vista de “La Senna a Nanterre” (sotto a dx), di Maurice de Vlaminck. Una visione assolutamente surrealista è invece quella

dell’elemento marino – e acquatico – offerta da René Magritte con la sua “Sirena invertita”, creatura ibrida, inerte, nella placida posa, e ambigua nel suo volgere lo sguardo all’osservatore, interrogativo e inquietante. Pochi passi dietro al corpo semiumano è la risacca dell’onda, nello estendersi lento e metafisico dell’azzurro cupo, che sfuma all’orizzonte nel chiarore algido del cielo. Nel 1912, la madre di Magritte, Adeline, si suicidò gettandosi nel fiume Sambre a Châtelet; venne ritrovata annegata, con la testa avvolta dalla camicia da notte. René Magritte non aveva ancora quattordici anni e questo particolare rimase impresso nella sua giovane mente. Esso riappare, nel corso della sua carriera di artista, in alcuni suoi dipinti, come il tema dell’acqua che dà vita a sfondi spesso surreali, metafisici. (Vedi pag. seguente)

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Nel mondo artistico di Magritte la razionalità sfuma, la logica si ritira, la mente si offusca e cede il passo ad accostamenti dissociativi, ossimori pittorici, composizioni assurde, situazioni in bilico tra l’onirico e la più fervida fantasia. Ne “La condizione umana” (a dx), un mare appena increspato e chiaro e rigenerante si spalanca di fronte ad un’apertura architettonica dalle nitide geometrie.

Immersioni Simmetrie speculari cosa è il bello il bianco il nero la luna le stelle il sole, la casetta, l'albero l'uomo disegnato da un bambino sintesi d'essenza un segno unico una faccia tonda gambe braccia mani di linee felici del poi. E' punta di spillo su una palpebra: gridati silenzi, nettare di fiele, urla sussurrate con la coda a batuffolo sull'autostrada corre un coniglio

bianco. Nuoto Inseguo certi pesci coloratissimi sono io un pesce con mani e piedi inefficaci profondità baratro e abissi risucchiano mi allontano Comincio a capire troppo il mare preme massa addosso, subito rientro indimenticato sapore volteggiavo nei flutti.

Lorenzo Mattotti, Nell’acqua, Serigrafie, 2005 32


Possiamo concludere questa prima sezione dedicata allo stato “liquido” dell’acqua con questa immagine molto emblematica e una citazione tratta da un’opera di Gianni

Rodari: «Una parola1, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni.»

Gianni Rodari, La grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, 1974, Ed. Piccola biblioteca Einaudi

Carsten Peter, Fotografie ____________________________________________________________________________________________ 1

[o un’immagine, potremmo aggiungere …] 33


L'acqua nell'arte “allo stato solido” […] A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. […]Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Canti, XXIII, 1830

Gustave Courbet, La povertà nel villaggio

L’Ottocento è un secolo nel quale si assiste allo sterminato canto sulla natura, nelle sue più splendide e spietate manifestazioni...

Caspar David Friedrich, Il mare di ghiaccio, Amburgo Kunsthalle, 1824 Ne “Il mare di ghiaccio”, uno dei suoi quadri più noti, Friedrich dipinge la banchisa di ghiaccio su ispirazione offerta dalle spedizioni al Polo Nord avvenute per nave nel 1819 e nello stesso anno 1824. Nel Polo, dove si annulla il succedersi dei giorni e delle stagioni, tutto appare dato una volta per tutte, tutto è eterno e quest'eternità di ghiaccio, dove la nave, simbolo della stagione della vita umana, è imprigionata, non può sfuggire a quell'eternità che è la stessa di Dio. Ma dell'opera si può dare anche un'interpretazione politica: la nave La Speranza, naufragata nella spedizione polare, simboleggia il naufragio delle speranze della Germania, durante la Restaurazione, esattamente come, nel 1815, la Zattera della Medusa di Géricault stava ad indicare il naufragio della Francia napoleonica. 34


Una fotografia contemporanea, che restituisce un’immagine di grande suggestione del “Ghiacciaio Perito Moreno”, in Patagonia (Argentina), che in controtendenza con la condizione della maggior parte dei ghiacciai del mondo, sta sorprendentemente avanzando. L’immagine evoca la forza superba e la potenza della natura sempre presenti e vive nelle opere del pittore romantico. Una grazia diversa, nel frastagliamento artistico delle forme bizzarre, è invece in questa immagine di Paul Nicklen, “Un piccolo iceberg trasportato dalla marea su una spiaggia dell'Isola Ellesmere”, in Canada, la fotografia è stata pubblicata sulla rivista National Geographic.

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Excursus nella storia della pittura dell’acqua come “neve”, “ghiaccio”,”brina”. Dopo questa premessa con cui, partendo da un’opera molto significativa di Friedrich, abbiamo voluto sottolineare la potenza che l’acqua sprigiona, quando ad una temperatura di 0° cc. raggiunge lo stato solido, trasformandosi in ghiaccio, vogliamo ora proporre un breve excursus nella storia dell’arte, in cui il tema dell’acqua allo stato solido – e nelle sue molteplici forme – viene analizzato dai principali pittori. La neve, ad esempio, è uno dei soggetti ricorrenti nei quadri di paesaggio e di genere, del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio, i quali hanno per soggetto scene ed eventi tratti dalla vita quotidiana; ne sono esempi significativi i dipinti: “Paesaggio d’inverno con corridore di ghiaccio”, del 1565, “Il ritorno a casa dei cacciatori”, (1565), e “Censimento a Betlemme”, del 1566. I paesaggi fantastici del primo periodo mutano dopo il viaggio effettuato da Bruegel in Italia, probabilmente nel 1551, che gli consentì di affinare il tratto e l'impronta paesaggistica, da indirizzare su temi di caratterizzazione popolare. Quel che interessa a Bruegel è osservare e descrivere le manifestazioni della vita: la malinconia della natura morente, la dolce intimità dell’inverno e i fenomeni atmosferici: l’aria rarefatta e pallida dell’inverno, con le sue algide nevi e i suoi ghiacci, la conformazione del suolo, i monti e le vallate, i campi e le strade, il mutare della vegetazione col volgere delle stagioni, il villaggio tranquillo e i suoi abitanti, le loro fatiche quotidiane, le gioie e le pene, tutto questo è una sola cosa con la natura e il processo vitale. Si intende perciò come l’osservazione della natura, così profonda in Bruegel, scaturisse in definitiva da quella medesima concezione della vita su cui si fondava la sua nuova pittura dei costumi popolari, che considerava l’uomo come un prodotto della natura, del suolo sul quale egli vive e di determinate condizioni ambientali e sociali. Avercamp Hendrick è uno dei primi pittori paesaggisti della Scuola olandese 36


del XVII secolo, si specializza nei paesaggi invernali del suo paese. Le pitture di Avercamp sono piene di colori e vivaci, con una attenta dislocazione dei personaggi sulla scena.

Avercamp Hendrick, Paesaggio invernale con pattinatori

Il paesaggio è composto da un lago ghiacciato. Si può notare come l’uomo si adegui facilmente ai cambiamenti climatici naturali: le navi sono ferme e il ghiaccio costituisce una buona áncora naturale, fino all’arrivo della primavera. Le persone (uomini, donne e bambini) ne approfittino, scivolando sul lago ghiaccio, divertendosi o attendendo alle loro faccende e commissioni, con una gioiosa frenesia.

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Avercamp Hendrick, IJsvermaak, 1608

Il paesaggio raffigurato nel dipinto è invernale. Vi viene rappresentata una partita di hockey tra due giocatori con alcuni passanti attorno ed in mezzo alla disputa. Nel quadro, tuttavia, la scena di genere – dai personaggi in primo piano, alle macchiette sullo sfondo – prende il sopravvento sul paesaggio. Il lago ghiacciato offre anche qui l’opportunità per praticare un passatempo divertente. Nel nostro excursus, bisogna tener conto del fatto che l'iconografia paesaggistica si sviluppa tardi rispetto agli altri generi di pittura; oltre all’esperienza già descritta dei fiamminghi o della pittura olandese, si deve aspettare il XVIII secolo per vedere comparire i primi soggetti raffiguranti la natura priva della presenza di dei mitologici, esseri umani o animali. La stagione più florida degli “artisti dell'inverno”, capaci di creare emozioni ricche e difformi nell'animo, è sicuramente quella del primo Ottocento. Gli artisti tedeschi Anton Doll (1826-1887), a sx, Frederik Marinus Kruseman

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(1816-1882) e Barend Cornelius Koekkoek (1803-1862), vedono l'inverno come un momento di gioia e di divertimento. Fiumi e laghetti ghiacciati che diventavano piste di pattinaggio, piacciono molto al pubblico e per questo se ne danno interpretazioni favolistiche, che richiamano ancora gli esiti dei pittori fiamminghi. Frederik Marinus Kruseman, Paesaggio invernale con pattinatori

Barend Cornelius Koekkoek, Paesaggio invernale

Tali interpretazioni liriche del paesaggio nivale si addicono perfettamente alla temperie del Romanticismo inglese che avrĂ i suoi esiti piĂš innovativi nella pittura di William Turner.

Eversen Adrianus, Paesaggio invernale

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Turner riesce ad immortalare il vortice di una tormenta di neve che circonda una piccola nave sul mare, la quale rimane in balia della forza dei venti. L'artista François Régis Gignoux (1816- 1882), dipinge le cascate del Niagara in tutta la loro sfolgorante bellezza quando d'inverno sono ricoperte dal ghiaccio, senza però trascurare di dare allo stesso tempo l'impressione del terrore che la loro grandezza può infondere nella stagione più fredda dell'anno.

William Turner, Tempesta di neve

François Régis Gignoux, Le cascate del Niagara d’inverno

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Il tema delle Cascate del Niagara in veste invernale, sarà ripreso anche dalla grande pittura Americana dell’800. Friederic Edwin Church, ne dà un suggestive ritratto nel dipinto “Niagara falls and Terrapin Tower", in cui fedeltà al dato reale e un acceso cromatismo, rendono le note liriche del soggetto, facendone un brano intenso di pittura “emozionata”.

La Francia della metà del secolo, in cui domina ancora la stagione del Realismo, ci propone invece l’interpretazione non idealizzata di Gustave Courbet, nel suo “Villaggio in inverno”, (a sx): gli esiti di una nevicata che, con la densità del gesso, ha coperto di patina bianca ogni cosa. L'orfano (La neve) Lenta la neve, fiocca, fiocca, fiocca, senti: una zana dondola pian piano. Un bimbo piange, il piccol dito in bocca, canta una vecchia, il mento sulla mano, La vecchia canta: Intorno al tuo lettino c'è rose e gigli, tutto un bel giardino. Nel bel giardino il bimbo s'addormenta. La neve fiocca lenta, lenta, lenta. (Giovani Pascoli) Alfred Sisley, "Neige à Marly"

Neve Neve che turbini in alto e avvolgi le cose di un tacito manto. Neve che cadi dall'alto e noi copri coprici ancora, all'infinito: imbianca la città con le case, con le chiese, il porto con le navi, le distese dei prati... (Umberto Saba) 41


I pittori impressionisti Sisley, Pissarro e Monet, puntando unicamente alla ricerca degli effetti di luce sulla neve, riescono tuttavia a donare ai loro paesaggi innevati una malinconia struggente. Essi fanno vivere altresĂŹ nelle loro tele il senso di impotenza che la neve, compromettendo la percorribilitĂ delle strade, incute suo malgrado.

Alfred Sisley, Neve a Louvencienne, 1878 Alfred Sisley, The Place du Chenil at Marly-Le-Roi

Camille Pisarro, Vacche a Montfoucault, 1874

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Claude Monet, La charette

E viene il tempo E viene il tempo del corvo nero sulla neve bianca. Un'isola di ghiaccio sopra il fiume porta il corvo lontano. E il corvo canta -craio solo sono nero in questo mondo bianco D'estate vorrei essere bianco come un gabbiano sull'azzurro del mare, ma su questo mondo candido -cra-cra- io solo sono nero. (Elisabeth Borchers) Nevicata Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo: gridi, suoni di vita più non salgon da la città, non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d'amor la canzon ilare e di gioventù. Da la torre di piazza roche per l'aere le ore gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dì. Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli, amici spiriti reduci son, guardano e chiamano a me. In breve, o cari, in breve – tu calmati, indomito cuore – giù al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò. Claude Monet, La gazza, 1868 – ’69 (Giosuè Carducci)

Claude Monet, Neve Walter Elmer Schofield, Morning Light, (a sx)

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J. Felix Bouchor, Soleil et neige

Vincent Van Gogh, Paysage enneigĂŠ

Neve Neve che turbini in alto e avvolgi le cose di un tacito manto. Neve che cadi dall'alto e noi copri coprici ancora, all'infinito: imbianca la cittĂ con le case, con le chiese, il porto con le navi, le distese dei prati...

(Umberto Saba)

Paul Gauguin, Neve in Rue Carcel

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Paul Gauguin, Villaggio bretone sotto la neve, 1894

“Ho camminato tra quelle case. Ho incontrato donne e uomini fuori dall’uscio, mentre guardavo lontano. E i loro occhi altro non erano che una profonda nostalgia. Forse per questo sono tornato a quelle strade di terra, dove arriva forte l’odore del mare. Dove la neve d’inverno copre tutti i segni, non lascia tracce né sentieri. Né suono la sera. La notte si confonde nella neve, ne resta rischiarata un po’. Non è notte del tutto ma neppure giorno nella notte.

Paul Gauguin, Parigi in neve

E’ una luce che non si conosce altrimenti, e di cui ho adesso nostalgia.

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Ho dipinto la neve. La notte di Natale e un presepio sollevato dal mondo. Solo due donne a guardare. Non so dire se sia Bretagna o Tahiti. Se io abbia dipinto a memoria o il presente. (…) Ma

adesso

strenuamente,

sono

attaccato

pieno

di

malinconia, a questo filo che dall’altra parte del mondo, in una notte di neve, qualcuno sta tirando per me. La neve viene nella notte, copre ciò che deve coprire, nulla che non sia bianco. (…)

Ho dipinto il bianco della

neve, e fuori della mia porta corre un cavallo bianco.

Ma

Paul Gauguin, La notte di Natale, 1894

non è lo stesso colore del bianco. Il mio sangue è Impastato di quella terra coperta di neve, dove arriva forte l’odore del mare. (…) Ho dipinto la neve come se il mio corpo, che riposerà tra poco sotto questa terra, sotto una luce morbida di colori accesi, sotto poche pietre, potesse invece essere preso da quella terra. Terra e neve, neve e luce, luce e vento. Vento e silenzio. Cenere che a ogni ritorno della primavera si levi dai campi, da cui la neve se ne parte, e vada sospesa verso il mare a incontrare un volo disteso di gabbiani.” Lontano

(Marco Goldin,

il

mondo)

Alfred Sisley, Neve a Louvenciennes, 1874 - 1878

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Paul Fischer, A street scene in winter, Copenhagen 1901

Claude Monet, Bouleverd de Capucines, 1873

Giaculatoria alla neve Che miracolosa è la Natura! Dunque, non dà luce la neve? Immacolata e misteriosa, tremula e silenziosa, mi sembra che silenziosamente preghi mentre scende.... Oh nevicata!: la tua imponderabile e glaciale eucaristia oggi del peccato di vivere mi assolva e faccia che, come tu, la mia anima giri fulgida, bianca, silenziosa e fredda. Claude Monet, Villaggio di Sandviken, 1895

(Amado Nervo)

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La danza della neve Sui campi e sulle strade silenziosa e lieve volteggiando, la neve cade. Danza la falda bianca nell'ampio ciel scherzosa, poi sul terren si posa, stanca. In mille immote forme sui tetti e sui camini sui cippi e sui giardini, dorme. Tutto d'intorno è pace, chiuso in oblio profondo, indifferente il mondo tace. (Ada Negri)

Giovanni Segantini, Ritorno dal bosco

48 Edvard Munch, Notte bianca, 1901


Il nostro percorso tra puri e incontaminati paesaggi

Marc Chagal, Sopra Vitebsk, 1914

nivali termina con un fugace sguardo all’arte contemporanea

e

d’Avanguardia,

con

l’omaggio ad uno dei suoi più poetici e originali interpreti: Marc Chagal. In “Sopra Vitebsk”, quel cielo normalmente così variopinto si fa sobrio su Vitebsk. Non ci sono galli, né sposi volanti, né esseri con corpi umani e volti animaleschi. Chagall incomincia da qui il suo peregrinare, da Vitebsk, dove è nato. Il peregrinare suo, come quello di ciascuno, inizia dalla situazione contingente che è data da vivere, dal proprio popolo, dalla propria cultura, che nessuno può scegliersi, ma che è “data” misteriosamente. Sembra che il suo “ebreo errante” esca volando da quella che forse è una chiesetta, luogo fisico che ricorda il senso “religioso”, quello cioè che “relega” l’uomo alla sua origine e al suo destino. Quell’uomo, proiezione, forse, di quello oramai adulto Chagall di ventisette anni, porta con sé la sua storia, la storia tragica del suo popolo e la storia dell’umanità intera. Egli inizia il suo viaggio apparentemente solo, ma portando invece con sé tutti e il tutto, con quella compassione che è il fondamento della pace, poiché nasce dal misterioso e comune destino umano. Egli può allora volare sui tetti, guardare la realtà secondo una prospettiva nuova, realista e ideale allo stesso tempo, in quel silenzioso bianco della neve che lascia che l’uomo contempli la sua grandezza e la sua miseria, senza timore e con semplicità.

“Dentro una palla di neve”, racconta in chiave simbolica la dimensione più intima, celata attraverso la creazione di un’opera. In questo caso il soggetto è un uomo che tiene in mano una palla di neve, la fa muovere tra le mani e tutto improvvisamente prende vita, come se egli stesso si trovasse improvvisamente all’interno della sfera, galleggiando in un’altra dimensione, tra creature marine e pescatori di altri mondi. La sfera nelle mani dell’uomo, identifica la chiave di lettura della dimensione umana, che prende vita nell’atto creativo, quando tutte le immagini che illustrano la poetica dell’autrice, diventano realtà, rivelando intimamente la coscienza dell’artista. Alessandra Carloni, Dentro una palla di neve, 2010

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La brina

Claude Monet, La brina

La malattia della moglie Camille, ed in seguito la sua morte, mettono fine ad una fase pittorica di Claude Monet. Infatti, in numerose opere realizzate dall'artista tra il 1880 ed il 1881 si rileva un nuovo tocco innovativo a vaste pennellate con leggere e distanziate picchiettature. Monet non impiega più la ragione nel descrivere il soggetto, la brina, e per portare sulla tela le percezioni momentanee provocate dalla vista di un paesaggio, ma ogni apporto di colore viene dettato esclusivamente dalla sensazione che accompagna la sua mano. Ed ora un documento che testimonia la ritrosia dell’opinione del pubblico tradizionale verso lo stile “approssimativo” dei pittori impressionisti. Uno scrittore, Louis Leroy, per il giornale "Le Charivari", accompagnò un ipotetico pittore delle Beaux-Arts ad una loro mostra e scrisse ciò che dal titolo appariva una satira: "Esposizione degli Impressionisti". “Pazientemente, con aria assolutamente ingenua, l'ho guidato davanti a "Il campo arato (brina)" di Pissarro. Alla vista di quel paesaggio stupefacente il brav'uomo credette che le lenti dei suoi occhiali fossero sporche.

Camille Pissarro, Il campo arato (o Brina)

- "Che cosa diavolo è?" - "Della brina su solchi arati a fondo" - "Questi, solchi? Questa, brina? Ma sono raschiature di tavolozza buttate uniformemente su una tela sporca. Non ha né capo né coda, né cima né fondo, né davanti né dietro." - "Forse. Ma l'impressione c'è".” 50


Plinio Nomellini, Sole e brina, 1906 - 1910

Nella tela è rappresentato il faticoso lavoro dei contadini della Versilia, già indaffarati al sorgere del sole. Essa riprende una tema già affrontato da Plinio Nomellini, nel corso del primo decennio del Novecento, con dipinti nei quali emerge vivo l’interesse dell’autore a sviluppare il tema del lavoro dei campi in un vasto e quasi sovrastante contesto naturale.

Nomellini fu inoltre coinvolto in prima persona dalla passione per le tematiche sociali che caratterizzò i maggiori protagonisti del Divisionismo italiano tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta dell'Ottocento, nel quale grande rilievo aveva la raffigurazione del lavoro e dei lavoratori. Nelle opere degli anni Dieci, alle quali appartiene anche “Sole e brina”, tuttavia non emerge quel carattere di Nanni Menetti, Brina leggera, 2009

Laszlo' Mednya’nsky, Alberi coperti di brina

denuncia,

si

direbbe

quasi

protestatario,

nota

dominante delle opere precedenti, ma nella quiete di Torre e del Lago e della Versilia, l’autore porta avanti con convinzione una ricerca che punta all'inserimento naturale della figura all'interno di un paesaggio che è investito di valenze emozionali e simboliche. È un difficile equilibrio tra una raffigurazione naturalistica,

coloristicamente

intensa,

ed

una

interpretazione onirica, simbolica della stessa, al quale, in qualche modo, anche Sole e Brina non sfugge. Il pittore utilizza punti, tratti, virgole, macchie di colore con una libertà espressiva che è misura delle sue grandi doti esecutive.

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Fotografia d’Autore Brina e ghiaccio

Davidaola, Brina sulle pozzanghere di ghiaccio, Fotografia d’autore

i

Davidaola, C’è brina sull’orlo del ghiaccio, Fotografia d’autore

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Festival internazionale Sculture di ghiaccio in Belgio Ogni anno in Belgio si tiene lo Snow & Ice Sculpture Festival: un magico mondo "sotto zero" creato da quaranta artisti che trasformano il gelo in meravigliose sculture. Una fiaba di ghiaccio e neve. Un mondo magico fatto di castelli, animali, personaggi dei romanzi, tutti venuti dal gelo: è il meraviglioso spettacolo che ogni anno si tiene nella piazza della stazione di Bruges. In questa deliziosa cittadina del Belgio prende vita il festival delle sculture di ghiaccio e neve, che dal 21 novembre fino all'11 gennaio diventa un'attrazione per grandi e piccini. I visitatori possono ammirare le magnifiche opere degli artisti che, armati di scalpello e seghe elettriche, grazie a fantasia e abilitĂ , danno un’anima al gelo. Per realizzare le loro opere, questi artisti utilizzano non meno di trecentomila chilogrammi di ghiaccio e quattrocento tonnellate di neve. I capolavori sono conservati all'interno di una tenda termica

di

1200

metri

quadrati, a una temperatura costante di meno cinque gradi. I primi giorni di novembre arrivano i primi camion refrigerati, che depositano i blocchi di ghiaccio sulla Station Square. A questo punto entrano in azione bulldozer e gru, che depositano il

materiale sotto la tenda, pronti per essere trasformati. Al ghiaccio viene aggiunta

la

professionisti

neve.

Ben

provenienti

quaranta da

Cina,

Canada, Stati Uniti, Svezia, Olanda e Belgio realizzano in quaranta settimane ogni meraviglia possibile.

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L'acqua nell'arte “allo stato gassoso” Siamo infine giunti a quello che è il terzo stato dell’acqua, quello aeriforme. Quello, a nostro avviso, più seducente e accattivante, ovvero nella condizione in cui essa diviene vapore, nebbia e conferisce alle cose che avvolge una suadente indefinitezza.

Théodore Chassériau, Tepidarium, 1853

Quanto ai vapori, oggi essi vanno per la maggiore: calice

di

vino

rosso, acqua calda e bolle profumate, jazz nell'aria, lume di candela. antichi

Gli

Romani,

tuttavia, avevano già il culto del proprio corpo e sapevano prendersi cura di se stessi, in bellezza ma soprattutto in benessere psichico. E di queste modalità siamo loro debitori. In

antichità,

dopo

aver

faticato

e

sudato

abbondantemente, tappa obbligatoria – prima di cena – era quella al calidarium. Ci si immergeva in una vasca di acqua calda, dove il corpo assorbiva tutta l’umidità dei vapori prodotti. Il tepidarium era il passaggio intermedio per giungere infine al frigidarium, nel quale,

lo dice la parola, la

temperatura più fresca tonificava le membra, donando al corpo un rinvigorimento generale, spesso rafforzato da piacevolissimi massaggi con oli e unguenti odorosi. Il bagno turco, tema ricorrente nella pittura del Neoclassicismo, sta a testimoniare quanto la piacevole consuetudine fosse ritornata in voga, unitamente alla passione per l’Oriente, indotta dai viaggi.

J. A. Dominique Ingres, Bagno turco, 1862, (part.)

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La nebbia, invece, è uno temi ricorrenti del Vedutismo pittorico di Francesco Guardi, Ippolito Caffi, Giuseppe Mentessi e Giovanni Boldini, che trovano in Venezia un soggetto molto fecondo.

Francesco Guardi, La gondola, 1782

Ippolito Caffi, Neve e nebbia a Venezia, 1841

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Giovanni Boldini, Vista di Venezia, 1895

Giuseppe Mentessi, Venezia; sagrato della Basilica di San Marco

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Breve excursus nella pittura dell’acqua come “vapore”, “nebbia”, “geyser”.

Dal Romanticismo al Divisionismo La nebbia contraddistingue questa tela del pittore romantico Caspar Friedrich, avvolgendo in un'aurea di mistero e di vaghezza il paesaggio, senza lasciare però nulla alla rievocazione o alla supposizione. Da essa emergono sagome di barche. Si percepisce nell'atmosfera un rischio nascosto, che accresce il senso di perdita dell'orientamento e di sicurezza. Sembra che l’artista voglia rappresentare la perdita di una struttura esistenziale una volta sicura, ma ormai scomparsa. Non è dato, inoltre, se la barca a vela si stia avvicinando o allontanando dalla riva. Il pittore non dà alcuna possibilità di interpretazione certa, aumentando ancora una volta il senso di indeterminatezza e allo stesso tempo lasciando libero l'osservatore di interpretare autonomamente il quadro.

Caspar David Friedrich, Nebbia, 1807, Vienna, Kunsthistorisches Museum

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Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818

Secondo una testimonianza, la figura del viandante rappresenterebbe uno scomparso amico del pittore, i monti Rosenberg e Zirkelstein, in Sassonia. Il viandante, nell'iconologia cristiana, simboleggia la transitorietà della vita e insieme il suo destino ultraterreno; egli è raffigurato di spalle, simboleggiando e mostrando la parte nascosta e inconscia di noi stessi. Il viandante osserva un paesaggio costituito fisicamente da rialti e spuntoni rocciosi, scuri e inospitali, immersi in un mare di nebbia, che cela e copre tutto ciò che si trova al di sotto di essa. La nebbia fa riferimento agli errori della vita umana che vengono superati dalla fede cristiana – come le rocce emergenti superano l’oblio – fede che porta a Dio, la montagna. Ma il dipinto, aldilà di ogni svelamento simbolico-religioso, può essere inteso come il manifesto di tutto il primo Romanticismo: sembra rappresentare l'uomo solo, con i suoi errori, i suoi dubbi e le sue certezze, posto di fronte alla natura, al mondo, all'infinito.

Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto, 1810

Thomas Kerr Fairless, The Great Geysir – South Iceland, 1849

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William Turner (1775-1851) è l’autore di questo quadro “Pioggia, vapore e velocità”, che dipinse nel 1844. La tecnica particolare utilizzata dall’artista rende il soggetto nello specifico poco riconoscibile. A sinistra si può individuare un ponte ad arcate, che va a terminare oltre la linea dell’orizzonte. A destra, un altro ponte, sul quale sta correndo un treno, che sprigiona una grande quantità di vapore avvolgente tutte le cose. Il resto è aria e luce. L’aria è pregna di pioggia e vapore, come spiega il titolo. Nell’estate del 1899, Monet è a Londra; più di ogni altra cosa, di Londra gli piace la nebbia. Le 41 tele complessive del ciclo testimoniano ancora una volta l'uscita di Monet dall'impressionismo verso approdi di visionarietà simbolistica: se “Il Ponte di Waterloo” (1902), a sx, è un grumo di pennellate monocrome con uno sfondo inquietante di fabbriche fumose avvolte nella nebbia, l'analogo tema ripreso nella tela dell'Ermitage di San Pietroburgo è pressoché illeggibile nella rappresentazione di una nebbia assoluta – un manto

misterioso – che avvolge tutta la città conferendole, una meravigliosa grandiosità. Joachim Ringelnatz, Geballter Nebel, 1928

Soluzioni molto affini a quella proposta ne “Il

Parlamento di Londra”, del 1904, in cui Monet scioglie le forme, rendendole impalpabili nella nebbia e diafane nella luce, per approdare all'espressione di una deliberata visionarietà. Decisamente materica, invece, la nebbia rappresentata in “Geballter Nebel” dall’artista tedesco Joachim Ringelnatz, resa dalle dense pennellate e dalla contrapposizione dei toni decisi degli arancio dorati, dei neri e dei bianchi.

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Sembra, invece, di sfogliare Le mille e una notte o i romanzi cavallereschi di Re Artù, quando si guardano i dipinti di Mario Scalese, poiché ci si immerge subito in un mondo surreale, in cui tutto è avvolto da un sottile e impalpabile biancore, che ora sembra polvere atmosferica, “Le nebbie di Avalon” (in basso a sx), ora sottile nebbia, che si mescola e si confonde col bianco della neve, facendo raggiungere all’artista esiti da pittura astratta o quasi informale. Le alchimie dei suoi pensieri, i suoi paesaggi dell’anima, spesso nati dalle letture preferite, si avviluppano in una dimensione onirica, che dà vita a momenti di sospensione tra sogno e coscienza, suscitando sottili emozioni interiori. Frammenti di edifici, case sbilenche, fiori, ombrelli sospesi – sotto cui si intuisce appena la presenza umana – intrecciano irreali girotondi nell’aria, fluttuano nello spazio, si incrociano tra le nebbie, si interpongono in volo tra vibrazioni e bagliori improvvisi di luce, creando particolari collages pittorici, ritagli di paesaggi e monumenti, che la memoria ha estrapolato dalla loro originaria unità e ricostruito in nuovi assemblaggi, come avviene ne “L’alba di Avalon” (in basso a dx). Le città non si distinguono: cupole, guglie, campanili si mescolano e volteggiano creando nuove realtà urbane, realtà della memoria, realtà dell’anima. Solo un profumo di favola emana da molti dipinti, un c’era una volta continuo, che ora rimanda al mondo arabo ora a certi ricordi nordici, in cui sembra apparire il fantasma di Chagall e in cui il biancore artico si intreccia con la solarità mediterranea, segnando le tappe di un incantevole viaggio tutto del suo vissuto, reale e sublimato. Il bianco è simbolo di luce e di catarsi e serve ad illuminare la notte e il buio con improvvisi flash di luna, che si impongono sulla tela con una diversificata varietà di sfumature, le quali procedono dalla corporeità, alla levità, alla rarefazione. Per ottenere tale lieve trasparenza, per giungere a tale destrutturazione degli elementi del reale, il colore si sfalda, si “diafanizza”, cerca tonalità smorzate, rasenta il monocromo, nel contempo impreziosendosi. Ma talvolta, questi elementi fluttuanti, improvvisamente, s’infiammano come per un’inattesa esplosione di colore, cromie intense si scaricano sulle tele e gli arancioni, i blu, i rossi oscurano il resto con la loro forza luminosa. 60


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www.settemuse.it

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I protagonisti

Classe 2D

BADOLATO Giulia BERBERI Renis BORTOLOTTI Federico CAVOSI Dietmar D’ACCORDO Chiara DE MARCHI Matteo DI CELLO Jacopo DI VITO Alessandro FORTI David GALLO Manuel GUARDA Luca LAZZARA Gaetano LORENZON Antonio MATTEI Marco MODOLO Andrea ORSANITI Gabriele ROMA Giulio SABIUCCIU Luca SANTI Miriam SIGILLO’ Erika SPAGNOLO Francesco TRAPIN Luca

L’insegnante Antonella STOPPARI

Le immagini contenute in questa pubblicazione, ad esclusivo scopo didattico, sono di proprietà dei singoli autori, citati nella sitografia. Ciascun autore, qualora contrario alla pubblicazione dell'immagine, può richiederne l'immediata rimozione.

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