RACCONTARE E DESCRIVERE Dall’immagine alla forma scritta
Esperienza di scrittura creativa condotta nella Classe 1° I del LICEO SCIENTIFICO DELLE SCIENZE APPLICATE “GALILEO GALILEI” DI BOLZANO Anno Scolastico 2012-2013
Coniugando l’esperienza di scrittura creativa, impostata sui parametri del testo narrativo, all’approccio con le modalità della descrizione soggettiva – inserita in un contesto narrativo, racconto breve, lettera o diario – ciascun alunno della Classe 1° I del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate, partendo da un’immagine assegnata ha prodotto testi, in cui l’impianto descrittivo si avvale di apporti plurisensoriali, di una ricca aggettivazione e delle figure retoriche studiate ed efficacemente impiegate. I testi corretti sono stati successivamente raccolti, conformati in un documento di Word ed inseriti nella presentazione a seguire. L’insegnante:prof.ssa Antonella Stoppari
MIA E SUOI CUCCIOLI Caro diario, qualche settimana fa la mia gatta Mia ha partorito due bellissimi cuccioli. Mia ha circa nove anni e ha il pelo bianco come la neve con qualche striatura di grigio chiaro. Il suo nasino è rosa ed è sempre umido; ha gli occhi verdi che esprimono tutta la sua dolcezza. Mia è una gatta molto socievole e ama farsi coccolare dopo aver mangiato. Quando penso a Mia mi vengono in mente due cose: la prima è il suo odore, è il classico odore che hanno tutti i gatti, solo che non so mai a cosa associarlo; la seconda cosa è il suo pelo, cioè ogni volta che metto i vestiti sul letto oppure mi siedo sul divano Mia passa e si rotola sopra lasciando tutti i suoi peli sopra. Quando torno a casa, Mia mi aspetta alla finestra e quando mi vede corre alla porta, aspettando che io entri. La mia gatta è molto protettiva con i suoi cuccioli proprio come si vede nell’immagine che incollerò qui sotto, però alle volte li lascia liberi di fare quello che vogliono ma sempre con occhio vigile.
Uno dei due cuccioli ha il pelo di color bianco/panna, mentre l’altro, la gattina, ha un pelo di un colore particolare, perché non si riesce a capire se sia a striature beige e nero oppure tendente al bruno. Il gattino bianco, White, è molto socievole e infatti ogni volta che viene qualche amico a casa mia, non perde l’occasione per farsi coccolare. White è un micetto molto coccolone, che ama farsi accarezzare. Quando, dopo aver mangiato, mi accomodo davanti alla televisione, lui si mette sopra le mie gambe e si fa accarezzare a lungo. La gattina, Fufi, invece è molto timida e non si lascia prendere volentieri dai miei amici, ma solo da me. Ultimamente Fufi sta cercando con il mio aiuto, di fidarsi di più dei miei amici. Speriamo di farcela… La tua Alice ALICE CAON
FUFFI, L’AMICO A QUATTRO ZAMPE Caro diario, due giorni fa, il 2 ottobre, è stata una giornata magnifica, si è realizzato il mio sogno, proprio nel giorno del mio compleanno. Era da tanto tempo che desideravo un gattino, lo volevo perché a casa mi sentivo sola. I miei genitori mi hanno fatto una sorpresa, mentre aprivo tutti i regali ho sentito la presenza di un cucciolo affianco a me. Quando l'ho visto mi sono subito affezionata a lui. Era il più bel regalo che avessi mai ricevuto. Fuffi apparteneva alla mia vicina di casa, un'anziana signora che non riusciva a tenere Fuffi e suo fratello e quindi ha deciso di regalarmelo. Il cucciolo è bruno e ha due mesi. É molto dolce, non miagola tanto. É un buon “amico a quattro zampe”! Ha delle orecchie triangolari piccole e molto delicate, all'interno si vede la pelle rosea. I suoi occhi sono di una tonalità grigio chiaro, come quelli della madre. Ha un muso piccolino ed è davvero carino. É molto esile, pesa solo mezzo chilo. Il suo pelo è morbido. Fuffi è molto “coccoloso”, spesso lo porto da mamma gatta e dal suo fratellino Gioy e lì i due giocano e si divertono un mondo assieme. Il cucciolo ha piccole zampe ma un udito e un fiuto molto sviluppati e gli piace molto mangiare pesce fresco. La notte Fuffi riposa in una soffice cuccia rossa, ma io sospetto che di notte stia sempre sveglio, perché ogni tanto lo sento giocare con la sua pallina preferita. Questo è il mio cucciolotto, caro diario, ora ti saluto, a presto! MELISA BAKIASI
I CUCCIOLI DI DALILA (racconto autobiografico) Tornata a casa mi inginocchiai vicino alla cuccia dei gatti e li accarezzai dolcemente. Tutti e tre fecero le fusa con gli occhi socchiusi. La mamma dei piccoli si alzò di scatto e si avviò verso la cucina, cosa che fece alzare acuti miagolii di protesta. Diedi da mangiare a Dalila che, famelica,
svuotò la ciotolina rossa in pochi minuti. Forse si ricordava ancora di quando era sola, per strada, preda delle intemperie e dei vandali. Mi ricordo improvvisamente come l’avevo trovata la prima volta. Magra, con grandi occhi spaventati, il suo ventre allungato e gonfio portava cinque innocenti cuccioli. Soffiante e diffidente si era avvicinata a me, con cautela. Ero riuscita a conquistare la sua felina fiducia in meno di una settimana.
Ora, era lì, stravaccata con i suoi due cuccioli superstiti, tenendoli tra le zampe, come se volesse proteggerli da possibili pericoli. Venere, la piccola di casa, schiacciava suo fratello Raymond contro la loro mamma. Raymond era il più pacifico dei due ed il più tontolone. Venere, invece, esplorava spesso tutta la casa e era assolutamente ritrosa verso gli estranei. A volte, mentre insieme guardavamo la televisione, mi pareva che Dalila fosse orgogliosa dei suoi micetti, che crescevano ogni giorno più belli e più forti, e anch’io condividevo i pensieri e i sentimenti della mia gatta.
GAIA DIAN
TOM E JERRY (racconto autobiografico) Una mattina, dopo essermi alzato, mi stavo dirigendo lentamente verso la cucina per prepararmi un caffè. Ad un tratto vidi la mia gatta Minù in giardino in compagnia di due gattini che non avevo mai visto. Nei giorni seguenti chiesi in tutto il paese se quei due gatti appartenessero a qualcuno, ma nessuno li aveva mai visti: allora decisi di tenerli. Tom e Jerry sono due cuccioli di qualche mese e sono davvero due bei maschietti. Il loro pelo è molto soffice e profumato e i loro occhietti sono di un verde smeraldo come quelli di Minù. Ho deciso di chiamarli Tom e Jerry, proprio come i protagonisti di un cartone che guardavo sempre quando ero bambino. Tom è il più vivace, corre ovunque e si mangia tutti i calzini che trova in giro per la casa. Il suo pelo è beige con striature grigio scuro. I suoi dentini sono piccolini, ma molto appuntiti, come le sue orecchie. Jerry, invece, è più tranquillo e affettuoso. Quando mi siedo sul divano lui salta sulle mie gambe e si strofina sulla mia
pancia finche non gli faccio le coccole e spesso si addormenta sulle mie cosce. Il suo pelo è bianco come la neve e soffice come un batuffolo di cotone. Il suo musetto è schiacciato e sull’estremità della coda ha una piccola macchia nera.
Minù si comporta come una mamma perfetta: di notte scalda i cuccioli con le sue zampe e con la pancia pelosa e li lecca per pulirli. Minù è una gatta molto tenera. Il suo nasetto è rosa scuro e sembra quasi finto. Adesso è piuttosto anziana, ma gioca ancora come una cucciola. JACOPO RAUHE
LEO E TEA (racconto autobiografico) In un caldo e soffocante pomeriggio d’agosto andai a passeggiare lungo la riva di un canale dove c’era un’innumerevole e infinita fila di lampioni che costeggiava la strada. A un certo punto, vidi una foto incollata al palo di un lampione, in cui c’erano un cane e un gatto che dormivano insieme su un tappeto rosso intenso.
Avevo fissato talmente tanto quell’immagine che avevo perso la cognizione del tempo e non sapevo più dove mi trovassi. In quella foto c’erano la serenità, la tranquillità e la sicurezza che si erano stabilite tra due animali completamente diversi, che spesso si rincorrono e si aggrediscono, non riuscendo a convivere pacificamente insieme. Il cane e il gatto sembravano come una mamma e il suo cucciolo: si abbracciavano e si coccolavano. Il cane aveva il pelo color caramello con focature più scure e le orecchie di una tonalità più intensa del manto e il muso leggermente nero. L’orecchio destro in particolare avvolgeva il gatto, come per proteggerlo. Il gatto era circondato dal cane in una stretta amorevole e, quasi per nascondersi, spuntava sotto l’enorme orecchio del cane. Leo, così si chiamava il gatto, sembrava sorridesse, con una smorfia di felicità appena accennata; mentre Tea era in dormiveglia con un occhio chiuso e uno semiaperto, per controllare cosa potesse combinare Leo. Leo era aveva il pelo tigrato, dalle tonalità che svariavano tra il nero, il beige e bianco; aveva un dolce musetto con la punta del naso di un rosato intenso, tipico dei gatti tigrati. All’apparenza sembrava un peluche, morbido come un batuffolo. Anche il pelo del cane sembrava morbido, di una morbidezza diversa, simile a quella del velluto.
Abbassai lo sguardo e vidi un mazzo di fiori colorati, appena colti e misti: c’erano dei papaveri rossi, delle rose e dei ciclamini. Infine guardai sotto la foto e lessi la scritta: “Per i nostri amati Leo e Tea”. Mi avvolse una tristezza immensa e decisi, a malincuore di proseguire la mia passeggiata.
FABRIZIO SALICI
CANE E GATTO (lettera colloquiale) Caro Livio,
Come stai? Oggi voglio raccontarti di un fatto che mi è accaduto ieri. In questi giorni il tempo è pessimo a Bolzano e ieri
pomeriggio una pioggia
scrosciante e fredda cadeva dal cielo livido sulla mia città. Stavo passeggiando per il centro e le gocce copiose s’infrangevano sul mio ombrello rosso, producendo un ticchettio assordante. Ad un tratto, ho deciso di svoltare in un vicolo secondario, stretto e buio, e mi sono imbattuta in un cane di razza, un mastino che, in quella umida e fredda giornata, si era rifugiato sotto il tendone di un bar. Riposava beato, respirando lentamente. Probabilmente era un esemplare piuttosto anziano, dato che il suo mantello, di un bruno che mi ricordava il colore del caramello, era sbiancato in alcuni punti. Il suo muso scuro si mimetizzava col colore dell’asfalto bagnato. L’odore del suo pelo umido si confondeva con quello dei dolci esposti in bella vista nella vetrina del bar e a quello della pioggia. Ad un certo punto, un gattino è sbucato da dietro una scatola di cartone posta vicino ad alcuni cassonetti. Il micio aveva tutto il pelo tigrato tutto inzuppato ed emetteva un flebile e sottile miagolio. Il cane lo osservava mentre il cucciolo si avvicinava a lui. Il pelo del gatto era grigio proprio come le nuvole nel cielo di quella giornata uggiosa, variegato di striature nere. Il suo pancino malnutrito era bianco, in contrasto con il resto della pelliccia. Quel felino in miniatura aveva il musetto roseo, e ciò lo rendeva ancora più tenero. Improvvisamente, il cucciolo si è avvicinato al cane, cautamente, e si è infilato sotto il suo l’orecchio destro, per proteggersi dalla pioggia. Il cane è tornato a riposare e così ha fatto anche il gatto, strusciandosi contro il grande molosso per dimostrargli gratitudine. Questa scena di grande dolcezza mi ha molto sorpresa, facendomi capire che, in certe situazioni, gli animali sono migliori di noi, perché sanno mettere da parte tutte le differenze di sorta e accudirsi l’un l’altro, come se appartenessero alla stessa famiglia. Spesso l’uomo è talmente convinto di essere perfetto e non si accorge che c’è sempre da imparare dagli altri, persino dagli animali. Spero che questo racconto ti sia piaciuto.
Tua Sara SARA GAIA
SCOOBY E IL SALVATAGGIO DI MICIO (racconto autobiografico) Una sera, mentre passeggiavo con il mio cane Scooby, notai che era molto agitato, infatti continuava ad annusare a terra e sembrava che avesse avvertito qualche traccia. Scooby era un cane possente, con un fiuto molto sensibile che gli consentiva di carpire qualsiasi odore; aveva anche una vista acuta in grado di osservare un corpo in movimento da una distanza siderale e soprattutto, possedeva un udito con cui riusciva a percepire qualsiasi rumore – o meglio miagolio… – a diversi chilometri di distanza. Quella sera, infatti, i suoi sensi sviluppati riuscirono a salvare un povero gattino che era stato abbandonato in un cassonetto dell'immondizia da qualche delinquente. Infatti, dopo aver seguito Scooby, sentii un acuto miagolio di dolore straziante che proveniva da un cassonetto e, dopo aver scavato tra i rifiuti, lo trovai. Era un cucciolo di gatto di colore grigio dorato con sfumature nere tigrate. Aveva un musetto dolce e i suoi occhietti piangevano dal dolore. Era bello come il sole, ma purtroppo aveva diverse ferite; così lo portai a casa e, dopo averlo nutrito e lavato, lo coccolai per calmarlo: era una delle creature più belle che avessi mai visto. Micio aveva un equilibrio incredibile e a dir poco stupefacente. Riusciva ad arrampicarsi su qualunque oggetto, grazie alla sua agilità e al suo fiuto, infatti, riusciva a sentire dove fosse il cibo e a sgraffignarmelo di soppiatto. Io e Scooby ci eravamo affezionati in poco tempo a quel musetto dolce e morbido. Arrivato a casa un giorno, notai che il gatto si era messo a dormire sotto l’orecchio di Scooby come se avesse capito, che a salvarlo era stato lui.
Fu così che nacque un’amicizia sorprendente tra un cane color caramello e un gattino tigrato. I due non si staccavano mai e continuarono a volersi bene per tutta la loro vita trascorsa assieme. MATTIA FATO
AMICI DA SEMPRE (racconto autobiografico) Un giorno mi recai nel vicino negozio di animali della mia città. Quel luogo “magico” ne ospitava di diversi tipi: canarini, criceti, pappagalli, uccelli…; ma quelli che mi colpirono di più furono due animali, un cane e un gatto. I due animali stavano molto vicini l’uno all’altro. Questo mi sorprese molto, visto che avevo sempre ritenuto cani e gatti nemici giurati. Il negoziante allora mi rivelò che erano cresciuti insieme fin da piccoli e quindi si volevano un gran bene. Il gatto, molto minuto, era un classico gatto tigrato europeo con striature nere e brune e la pancia bianco-crema. Il cane, di grossa taglia, invece, aveva il pelo color cognac, le orecchie lunghe e brune; il suo muso era scuro. Le orecchie del gatto non si vedevano, perché erano nascoste da quella destra del cane, che proteggeva il gattino come una specie di coperta. I due erano molto teneri, ma anche un po’ buffi. Il gatto si stava svegliando e godeva della stretta vicinanza del suo amico, mentre il cane non aveva ancora terminato il suo pisolino pomeridiano. Alla fine – sopraffatto dalla tenerezza e dalla loro simpatia – decisi di comprare sia il cane, sia il gatto, per non separare i due “amici” di sempre.
Attualmente sono un ragazzo di quattordici anni e vivo felice con la mia famiglia e i miei due amati animali, anche se hanno qualche anno in più, continuano ad essere un vero e proprio amore.
MIRKO BOVO
UN AGGHIACCIANTE INCONTRO (racconto d’avventura) Stavo facendo una tranquilla passeggiata in un bosco d'inverno, quando sentii un rumore provenire da un cespuglio dall'altra sponda del torrente vicino a me. Mi pietrificai sul posto, dal terrore, quando vidi che cosa ne uscì: era un lupo bianco.
La sua pelliccia era folta quanto lo era il fitto intrico di rami stecchiti alle mie spalle, gli occhi erano di un verde intenso quasi come l'erba di un prato in montagna in piena estate.
Il colore della pelliccia era uguale al colore della neve di quel luogo suggestivo: il bosco era totalmente ghiacciato; lo era tutto tranne il corso d'acqua. Era lì, infatti, che il lupo si stava dirigendo. L'acqua del torrente continuava a scorrere
imperterrita, come se non le importasse nulla di quello che stava accadendo. Il freddo dava l'impressione di penetrare nelle ossa. Il lupo, una volta vicino al torrente, mi ringhiò contro come per avvisarmi di stare alla larga e poi si mise bere. Passò poco tempo da quando si era messo a bere – sempre tenendomi d'occhio – a quando finì, ma sembrò un'eternità. La sua lingua di rosso velluto, guizzava avanti e indietro tirando su l'acqua e infilandola in bocca a una velocità sorprendente. Poi ci guardammo negli occhi. Dopodiché lui iniziò ad avvicinarsi. Una persona esterna alla vicenda, avrebbe potuto vedere i miei polmoni che si alzavano e si abbassavano in cerca d'aria; aria che non trovavano. Mi annuso un po' e si strofinò contro di me. Malgrado i pantaloni sentii la pelliccia folta e morbidissima. Poi se ne andò tranquillo. ANDREA D’AMICIS
BLOOD, L’ULTIMO LUPO (racconto d’avventura) Era un giorno freddo, e il gelo ghiacciava tutto, anche il pensiero. Era stata una pazzia accettare quella missione, cercare quel lupo, Blood; cosi lo chiamavano, da quando aveva ucciso una ventina di persone. Mi trovavo in Canada, con in miei amici, anche quell'inverno. La slitta faceva fatica a superare quei cumuli di neve alti come montagne. Gli alberi intorno sembravano dovessero caderti in testa da quanta neve si era accumulata sui loro rami. Quel posto era inospitale, selvaggio e bruto. Il pensiero ricorrente e martellante era : “Riuscirò a vivere ancora per i prossimi dieci minuti ?”. Fui svegliato dai miei pensieri da John, un mio caro amico. Mi stava sbraitando di dirgli che ora fosse. Gli risposi senza mezzi termini di farsi gli affari suoi. Avevo freddo, il cielo era nero, cupo e stavano scendendo i primi fiocchi di neve. Meck l'altro mio amico, di corporatura robusta, al contrario di John, stava ascoltando il dolce verso di un uccello, quando udii lo scrosciare intenso dell'acqua; e più ci avvicinavamo a quel torrente, più si faceva forte il tonfo sordo dell'acqua. Arrivammo e, impauriti, ci fermammo allo stesso tempo. Al di là del torrente c'era Blood. Ci guardava con i suoi occhi scuri che penetravano il nostro animo. Ci stava scrutando, anzi...studiando. Sembrava non conoscere la paura, ma solo l'odio. Aveva la zampa sinistra alzata, come un ammonimento. Non aveva fretta, sembrava volesse farsi vedere; voleva far notare la sua maestosità. Poi, ad un tratto, si girò, ma verso di noi e... iniziò a correre. Meck prese la mira con il fucile e sparò. Il proiettile colpì il lupo alla testa facendolo stramazzare a terra. Lo prendemmo e lo mettemmo sulla slitta, poi partimmo per ritornare da dove era iniziata la nostra missione. All'arrivo fummo festeggiati come liberatori e ci fu donata una casa dove vivere per sempre.
VICTOR ZUPPINI
IL GIOVANE LUPO (racconto autobiografico) Ero in un fitto bosco ricoperto dalla neve alta che mi impediva di avanzare. Ero solo con i miei pensieri e tutto, intorno a me, era passivo e immobile come se il tempo si fosse fermato, e il silenzio regnava ovunque. Circondato da possenti e altissimi alberi innevati, che sembrava mi stessero osservando, non riuscivo più a trovare la strada di casa. Mi ero perso, ma la cosa non mi preoccupava, anzi, mi piaceva essere immerso in quel selvaggio paesaggio abbandonato, oramai, da tutti. Per la stanchezza mi avvicinai a un piccolo ruscello blu dai riflessi del ghiaccio, in cui guizzavano numerosi pesci argentei. Ad un tratto vidi un magnifico esemplare di giovane lupo che lentamente si stava avvicinando al fiumiciattolo. Rimasi pietrificato, era un animale bellissimo, avanzava con prudenza, con la testa chinata verso il basso e mi fissava con il suo sguardo penetrante, scrutandomi con i sui lucenti occhi ambrati. Sul dorso il suo folto pelo invernale era color grigio scuro che, in prossimità delle zampe, diventava di un bianco candido. All'estremità della coda aveva una macchia nera che lo contraddistingueva da tutti gli altri lupi. Sembrava in ottima salute, forte e possente, temuto da tutti gli animali del bosco. L'esemplare si accorse subito della mia presenza, grazie al suo udito molto sviluppato, alla sua vista acuta e al suo olfatto sensibile. Le sue zampe erano snelle, ma abbastanza forti per correre lunghe distanze e la sua coda sempre abbassata gli infondeva un fascino fiero. Non avevo mai visto un animale così bello, affascinante e misterioso. Il lupo si dissetò al fiume e, poi, velocemente, come era comparso, fuggì via. Sono sicuro che quel ricordo rimarrà impresso per sempre nella mia mente.
VALENTINA CORIERI
IL SACRIFICIO (racconto d’avventura) Io e il mio branco ci aggiravamo per il bosco innevato; una tempesta si era abbattuta la notte precedente sul bosco e sui paesi vicini, avvolgendoli con uno spesso strato di neve. Dopo la caccia mattutina, ci fermammo a riposare tra i fitti alberi. Quando ci svegliammo, un membro del branco era scomparso. Impiegammo una notte intera prima di ritrovarlo; era Jack, il giovane del branco, imprudente ma coraggioso. Si era perso in un piccolo spiazzo ad un centinaio di metri dalla nostra postazione della precedente notte, nell'intento di catturare un'aquila. Jack era fermo e guardava l'aquila intrappolata tra dei rami con un ramoscello che le spuntava dall'ala, trapassandola; Jack si stava apprestando ad assalire la creatura indifesa, quanto aveva i nostri richiami, così aveva lasciato la preda e si era diretto verso il branco. La mattina seguente andammo al ruscello per dissetarci, ma, come al solito, Jack ci corse a bere senza attendere; quando lo raggiungemmo, notammo che fissava con attenzione, ringhiando, verso qualcosa, oltre l'altra riva del ruscello. Fissammo quella cosa oltre il rivo per diverso tempo, invece di fuggire, come sarebbe stato saggio fare. Jack era stanco di aspettare, perciò con un balzo si staccò dal suolo e raggiunse l'altra sponda, ma si pentì ben presto della sua azione : di fronte a lui si ergeva un orso bruno alto e minaccioso, con artigli più scuri della notte e denti affilati e potenti. Appena vedemmo Jack trovarsi davanti a quel colosso, fuggimmo. Ma Jack era ancora lì paralizzato dalla paura, senza possibilità di muoversi. Così tornai indietro e, poco prima che Jack fosse aggredito dalla belva feroce, lo spintonai, salvandolo. Purtroppo però ne pagai il prezzo. L'ultima cosa che ricordo è Jack che mi guardava triste dall'altra parte del ruscello prima che il buio nei miei occhi avesse il sopravvento.
GIOEL GHIRARDINI
IL LUPO ASSETATO (racconto d’avventura) Rex era un lupo da caccia allevato e educato dagli uomini. Un giorno, dopo la morte del suo padrone, era scappato via dal villaggio. Era inverno e la neve ricopriva tutta la vegetazione. Rex si sentiva disorientato, impaurito e triste. Non sapeva dove andare e cosa fare per sopravvivere. Il lupo aveva la pelliccia di color bianco panna e sul dorso il pelo era più scuro. Camminando scorse un cervo morto e si nutrì con esso. Il povero cervo era stupendo, aveva due corna enormi e un manto bruno. Appena fu sazio, Rex ripartì per il suo viaggio. Ora l'unico bisogno era quello di bere. Provò a mangiare la neve fredda, ma la voglia d'acqua non cessava. Nell'aria gelida e pungente si sentiva solo il rumore sordo dei suoi passi. Camminava oramai da ore, quando arrivò sul bordo di un precipizio. Il paesaggio era stupendo però il lupo non vide nessun fiume. Aveva tante sete e la gola ormai gli bruciava. Sullo sfondo di quello scenario si intravedevano montagne innevate. Il sole all'orizzonte rischiarava il paesaggio, filtrando tra i rami stecchiti degli alberi, come morti, e oltre, sulle pendici della montagna, il lupo vide una croce. Questa era bianca, l'unico segno della presenza umana. Il lupo si sentì lontano da casa sua e dalla sua terra. Si girò e ripartì alla ricerca dell'acqua. Ormai era allo stremo delle forze, quando sentì un rumore di ruscello. Corse ansante verso quell'invitante suono quando vide finalmente la sua salvezza. L'acqua era cristallina e più fresca che mai e il lupo ci si avvicinò. Il ruscello scorreva velocemente e l'acqua era gorgogliante e limpida. Una piccola lastra di ghiaccio galleggiava sul rivo serpeggiante. Tutto era calmo e immobile e si poteva sentire solo il suono di un ruscello e distinguere un lupo che finalmente beveva, beatamente, avidamente...
VALERIO VIANINI
JACKY E LITTLE Caro diario, Ieri è stata una bella giornata; era il compleanno di Lisa, la mia migliore amica; mi ha invitata a casa sua ed abbiamo festeggiato assieme alla sua famiglia con giochi divertenti e tante risate. La cena prelibata e la torta della mamma di Lisa, come al solito, sono ineguagliabili. In seguito a tanti festeggiamenti, la sera, prima di andare a
dormire, io e la mia amica ci siamo divertite a giocare e coccolare gli splendidi gattini di Lisa.
Avevo appena infilato il pigiama, quando ho notato che Jacky, la gatta di quattro anni, stava sul mio letto tenendo stretto a sé il suo piccolo: Little. Jacky è molto tranquilla, dolce e spesso dorme sul divano. Ha il pelo grigio, tigrato, morbido e liscio, come quello di un peluche. La pancia è bianco latte e molto grossa: è al primo mese di gravidanza. Ha baffi lunghi e duri come le setole di una spazzola, il tartufo rosa, vellutato ed umido.
L’altra sera, con gli occhi chiusi, stringeva dolcemente a sé il suo piccolo; il quale a sua volta, stringendo dolcemente le piccole palpebre, godeva delle tenerezze che gli riservava la madre, ronfando con un’espressione beata. Little ha circa sei mesi ma come dimensioni è ancora piccolo. Anche lui ha il pancino bianco latte ed il tartufo nero, tipico dei gatti tigrati. Mi ha detto Lisa che – quando dorme – Little è dolce come un angioletto, ma da sveglio è molto vivace e simpatico e ama giocare e fare i dispetti a tutti, a partire dalla sua mamma. Credo che avere dei fratellini con cui giocare lo renderebbe felice. Dopo essere riuscita, senza svegliarli, ad infilarmi sotto le coperte vicino a loro, li ho coccolati e stretti a me; erano molto morbidi e profumavano di bagnoschiuma… “Che bello, sarebbe, avere un micio!” ho pensato… Questo purtroppo per ora rimarrà solo un sogno… Alla prossima esperienza, caro diario!
VALENTINA REBECCHI
LA FANCIULLA DEL LAGO FATATO (racconto autobiografico) Molti dicono della magia del crepuscolo, il momento fra il giorno e la notte. Io ve lo posso raccontare per esperienza personale, un piccolo momento magico che neanche una vita di emozioni potrà eguagliare. Ciò accadde durante l'estate in cui andai in Germania, ospitato da un mio parente proprietario di un piccolo castello in campagna. Come tutte le sere, era mia abitudine fare una passeggiata in solitaria attorno al laghetto vicino al nostro
alloggio, quando – a metà del mio giro – mi sedetti su una panchina per godermi il tramonto, il silenzio e la temperatura tiepida dei pomeriggi estivi. Ad un certo punto, dalle sponde del lago si diffuse una nebbia magica, quasi fluorescente. La luce del tramonto era rosso fuoco e si rifletteva sul lago calmo, creando così un effetto spettacolare, quasi surreale.
Improvvisamente, davanti a me comparve una donna vestita di nero, con i capelli sciolti bruni, mossi appena dal vento. Ella teneva in mano un rametto di
foglie rosse bordate di bianco, che sembravano cristallizzate dal ghiaccio. Una corona, delle stesse foglie che aveva in mano, le cingeva i lunghi capelli. La donna era rivolta, inizialmente verso il castello, guardava il lago nel crepuscolo,
quasi
con
aria
di
speranza
mista
a
tristezza,
quando,
inaspettatamente, si voltò verso di me… E in quel momento il tempo si fermò. Aveva dei lineamenti dolci, morbidi, e mi guardava con i suoi occhi profondi, di un blu mare aperto; le labbra rosse come le nuvole al tramonto, erano increspate da un lieve sorriso. Ma quel momento magico svanì non appena chiusi gli occhi dopo un battito di ciglia. Tutto tornò come prima ed il sole era tramontato. Per tutta la mia vita non dimenticherò mai quel momento. Forse quella donna era la regina del lago o forse un'anima sofferente a causa di una storia passata, ciò rimarrà sempre un mistero per me, ma quel momento sospeso tra la luce del giorno e l'oscurità della notte, tra il possibile e l'impossibile, tra il credibile e l'incredibile non lo dimenticherò mai.
EMIL FAZZI
L’INCANTO Caro diario, Oggi sono andata con la mia classe a visitare la Pinacoteca del Museo degli Uffizi, a Firenze. C'erano tantissimi bei quadri, ma quello che mi ha colpito di più è stato “L'incanto”, di un artista sconosciuto. In primo piano posava una bellissima fanciulla alta e magra, con dei lunghi capelli castani ed ondulati e una pelle chiara e diafana.
Indossava un lungo vestito, senza maniche, viola scuro, quasi nero, che la rendeva ancora più elegante. Le cingeva la testa una corona intrecciata di foglie candide. In mano teneva un ramo rigoglioso delle stesse foglie. I suoi capelli erano leggermente scompigliati; e da questo si capiva, che spirasse una dolce brezza. La ragazza sembrava desiderasse raggiungere l'austero e imponente
castello, che sorgeva aldilà di un lago in mezzo alla nebbia, e infondeva all'immagine un tocco di ancor più inquietante di mistero. Il paesaggio pareva incantato. Tuttavia, erano i colori scuri e violacei ad esprimere la tristezza nascosta in quel quadro. Gli unici toni chiari della raffigurazione, provenivano dal magnifico lago e dal cielo lievemente coperto. Inoltre la tristezza dell'immagine era svelata molto chiaramente dai cespugli e dai rami secchi, che circondavano le sponde del lago. Il cielo era solcato da un volo di uccelli, simbolo di libertà, forse quella libertà che la giovane non aveva più. Magari quella fanciulla era una principessa, fuggita dal castello, per vivere in maggior libertà, per poi tuttavia pentirsene, in quanto pervasa dalla nostalgia verso parenti ed amici, ma allo stesso tempo trattenuta dal far ritorno alla sua precedente esistenza. Oppure era una fanciulla del villaggio vicino, che era innamorata di un principe che viveva in quel castello, ed era lì proprio per cercare di incontrarlo. Questo dipinto mi fa pensare a Romeo e Giulietta... Sono rimasta davanti al quadro, incantata, per più di venti minuti e, mentre tornavamo a casa, non sono riuscita a pensare ad altro che a quella straordinaria raffigurazione. Adesso è ora di andare a letto, caro diario, ma stasera il mio cuore è colmo di bellezza...
Buona notte.
MONIKA CANDELA
IL SOGNO (racconto autobiografico) Mi trovavo in un prato vastissimo, che si estendeva a perdita d’occhio ed era delimitato da una folta foresta dalla colorazione scura. Ci entrai, e vidi un qualcosa di stupendo: una ragazza, così sembrava; stava in piedi, sul bordo di un lago. Aveva la pelle del colore della cipria, che risplendeva in quella tenue luce crepuscolare. Indossava un abito di seta nera, che le arrivava fino ai piedi e le lasciava scoperte le candide e magre braccia.
Aveva una folta chioma mossa e ondulata, quasi un mare alla fine di una notte di luna piena, che le scendeva in una cascata scura fimo ai gomiti. Una coroncina di fiori dalle colorazioni svariate, tutte tendenti allo scuro, le cingeva il capo.
Alla destra della ragazza, la fitta boscaglia si estendeva fino all’altra riva del lago e si interrompeva, nascosta da un’imponente struttura, massiccia ed elegante, tinta di un giallo sabbia, che la faceva risaltare. Era un castello, posto anch’esso sulla riva del lago, di fronte alla fanciulla. Tentai di avvicinarmi, ma più mi avvicinavo, più tutto diventava vago e indistinto. Fino a che… non aprii gli occhi e mi ritrovai nel mio letto. Allora realizzai: il giorno prima ero uscito con alcuni miei amici, ed ero rimasto fuori casa tutto il dì. Quando ero rientrato, ero stanchissimo, non per niente ero andato a letto molto presto. Era stato tutto un sogno… Quello che avevo ammirato con tanta intensità era solo un impalpabile e splendido sogno, che non rifeci mai più.
ILARIO MATTINA
CARLO ERA FIGLIO DI RE (racconto fiabesco) Carlo era figlio di un re. Appena Carlo nacque, lo zio uccise suo padre e imprigionò sua madre. Carlo crebbe a palazzo credendo di essere un trovatello. Ma un giorno una giovane serva, Marialuisa, innamorata di lui, gli raccontò che lo zio aveva ucciso suo padre, per usurparne il trono. Carlo, spaventato, fuggì a cavallo e andò a rifugiarsi in una torre abbandonata dai tempi della guerra. In quel luogo abbandonato e inospitale trovò armi e armature. Una di queste riluceva di bagliori argentei nonostante le sue fattezze la rivelassero come estremamente antica.
Una spessa borchiatura disegnava sul pettorale un decoro di fiori e figure intrecciate. Carlo se ne impossessò e la nascose nelle segrete di quel luogo, che divenne il suo ricovero solitario e la sua palestra d’addestramento.
Quando lo zio si accorse che Carlo era fuggito, lo mandò a cercare dalle sue guardie più fidate. Gli arcieri lo cercarono per mesi, ma senza risultati. Ma dopo due mesi, Carlo era ormai pronto per la guerra e decise di far giustizia e vendicare il padre.
Così Carlo si diresse al castello in groppa al suo destriero tutto bardato; sull’usbergo spiccava un angelo dorato, pronto a difenderlo. Carlo era conscio di andare incontro alla morte, sfidando il perfido zio, ma dentro sentiva che doveva farlo, doveva far giustizia e liberare sua madre, chiusa da diciassette anni nei sotterranei del palazzo, senza aver mai potuto vedere né abbracciare il suo unico figlio. Allora Carlo avanzò, deciso, stringendo con rabbia nella mano destra l’ascia mortale.
VITTORIA CALO’
GLI AUTORI:
BAKIASI Melisa BOVO Mirko CALO’ Vittoria CANDELA Monika CAON Alice CORIERI Valentina D’AMICIS Andrea DIAN Gaia FATO Mattia FAZZI Emil GHIRARDINI Gioel KISS Thomas MATTINA Ilario RAUHE Jacopo REBECCHI Valentina SALICI Fabrizio VIANINI Valerio ZUPPINI Victor