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CINEMA STATUTO – 30 ANNI
Il DRAMMATICO RACCONTO DEI PARENTI, DEI SOPRAVVISSUTI, DEI POMPIERI Per i Vigili del Fuoco di Torino il 13 Febbraio non è una data scaramantica, ma è il giorno del ricordo. Il ricordo di quella fredda e nevosa giornata invernale che segnò Torino nel tragico incendio che devastò il Cinema Statuto e cambiò il destino e la vita di molte persone. La tragedia portò anche a un vero cambiamento sullʼapplicazione delle metodologie della prevenzione incendi e dellʼimpiantistica correlata. Si scrisse anche che i VVF non avevano autorespiratori e che non capirono – da subito – la portata della tragedia: sʼincrinò il rapporto di fiducia tra Cittadinanza e Pompieri; ma Forse qualcun altro si sarebbe salvato…se solo le uscite di sicurezza non fossero state ritrovate chiuse a chiave. curato dall’Ing. Davide LANZONE
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i quella domenica ricordo che, dopo avere festeggiato il mio compleanno in famiglia, corsi in Distaccamento ad “ascoltare la radio” e per “studiare” in quanto ancora studente universitario; erano solo 44 giorni che avevo avuto la nomina di Vigili del Fuoco Volontario, ed ascoltare la ricetrasmittente era il massimo che mi era permesso. Mentre ero in Distaccamento seguivo gli interventi di routine del “Comando” attraverso la radio ministeriale e fantasticando grandi interventi ed azioni eroiche. Ad un tratto iniziarono le prime comunicazioni radio tra una squadra intervenuta per un incendio in un cinema e la Centrale di Torino. A poco a poco le informazioni si fecero sempre più intense e le richieste di rinforzi divennero sempre più insistenti. La Centrale allora smobilitò tutto il Comando e fece presidiare lo stesso dai Distaccamenti Volontari; poco a poco, anche se alle prime armi, capii dal tono delle comunicazioni che l’intervento stava subendo dei risvolti spiacevoli. Tra le comunicazioni radio si iniziarono a sentire le prime notizie sulla presenza di persone decedute all’interno del Cinema. A poco a poco arrivarono in Distaccamento altri Vigili che appresero la notizia dell’incendio dalle radio private cittadine, e da altri che rientrando a casa, dopo avere trascorso un piacevole pomeriggio in Torino, avevano visto trambusto, strade chiuse e automezzi dei Vigili del Fuoco nei pressi di Piazza Statuto. Dalla televisione iniziarono ad arrivare le prime immagini della tragedia, iniziarono a vedersi file di sacchi neri affiancati sul marciapiedi di fronte all’ingresso del cinema. Nello stesso giorno un’altra notizia sconvolse la Valle d’Aosta; una funivia, per un guasto tecnico, aveva stroncato vite umane durante una piacevole giornata di sci. Mano a mano che passavano le ore ci furono notizie sempre più devastanti sino ad apprendere, il giorno dopo, il terribile bollettino di 64 persone decedute.
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La Stampa di Torino (come integralmente riportato), 5 anni fa, ha voluto ricordare l’incendio dello “Statuto” con una pagina dedicata, più che altro, ai sopravvissuti; ai parenti delle vittime che hanno dovuto riscrivere la propria vita dopo avere perso i propri cari o amici fraterni.
«No. Io al cinema non sono mai più andata. Mai più. A me piaceva tanto, prima. Anna Clara pure, aveva 18
anni, e oggi 38, sono ferite che sono si rimarginano, queste. Ci restano poche cose, la certezza di avere contribuito, attraverso il Comitato delle vittime, a rendere più sicure le sale pubbliche e lʼamarezza per gli esiti giudiziari.». Elsa Goitre Spinelli è la mamma di Clara. Studiava musica al Conservatorio, era al quinto anno. Quel pomeriggio di domenica, nella grande casa di corso Re Umberto, Clara aveva ancora suonato. Figlia di Roberto Goitre, insigne musicista, voleva seguirne le orme. Lʼamico Sergio Ganovelli le telefonò. Le proposte di passare la serata al cinema e lei disse di sì. Nelle file di corpi allineati, fu riconosciuta dalla mamma per i lunghi capelli biondi. Venticinque anni dopo : «il dolore è lo stesso. Però il percorso della giustizia ci ha profondamente deluso. Le condanne del grado furono abbastanza eque. Poi sconti di pena e prescrizioni. Noi non volevamo la vendetta. Ma giustizia sì». Sotto accusa anche le commissioni di vigilanza. «Tutto finito nel nulla – commenta il presidente del Comitato, Sergio Cabodi – in modo anche sconcertante, per noi». Dallʼimpegno del Comitato, ai ricordi del pm, Raffaele Guariniello, allʼepoca giudice istruttore presso la Pretura: «La tragedia dello Statuto mise in luce il problema della sicurezza nei locali pubblici e del rispetto delle norme antincendio. Da allora è cambiato molto: dai controlli sistematici in tutti i luoghi di ritrovo di Torino, e qualcuno ci accusò di soffocare la cultura visto che molti vennero chiusi, alla modifica della legislazione. Ma 25 anni dopo, la domanda è: possiamo dirci tranquilli? Secondo me non ancora. I livelli di sicurezza devono migliorare. Molti parenti e famigliari delle vittime mi scrivono ancora oggi, segnalando luoghi e
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ambienti a rischio. È il loro modo di ricordare. Un modo attivo».
Scorrono i nomi dei morti. Tutti eguali, oggi. Ma Livio Burato, allora giornalista de La Stampa, fu protagonista di una storia incredibile: andò al cinema con la moglie e unʼamica di lei. Scrisse, allora: «…non riesco a togliermi dagli occhi due profili in controluce, che ho visto davanti a me di sfuggita nel buio del cinema Statuto; una testa piccola bassa, i capelli con la riga da una parte; lʼaltra, un piccolo ciuffo di capelli arruffati sulla cima del capo. Ho pensato: “Comʼè gentile questo signore che prima di sedersi, si toglie il capello…”». Burato, per un segno del destino, decise di andarsene pochi minuti prima della fine. Seppi poi, lʼindomani, che i vicini errano Giancarlo Morando, 40 anni, e il figlio Andrea, di 11. «Eʼ come essere rinati una seconda volta», ricorda oggi. Commosso. Madre. Fratello. Cognata. Angelo Stringani li perse nel rogo. «Ho ancora i brividi adesso. Non ci sono altre o nuove parole. Il dolore non ha tempo, non si esaurisce mai». Milvia Palazzini in quel rogo ha perso suo fratello, Marco. Aveva 27 anni, e un futuro nellʼazienda di famiglia. Dice. «Rabbia per ciò che accaduto? No quella non cʼè. Ma certe cose non si possono dimenticare. Lo Statuto ha distrutto la mia famiglia. Mio fratello è morto, mio padre è mancato un anno dopo, per il dolore immenso. Ed è morta anche mia madre. Guardi: rivedere sotto la volte del Duomo le bare degli operai della Thyssen mi è tornata in mente la cerimonia funebre dei 64 dello Statuto. Stessa scena, stesso dolore». Aveva 17 anni Antonio Lanatà. Quel giorno era andato a vedere «La capra» con amici, salvi per miracolo:
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«Eravamo lʼabitudine di vedere due spettacoli ogni volta, per far qualcosa di diverso, che ci faceva sorridere. Quel giorno entrammo che il primo tempo era già iniziato da un bel poʼ. Vedemmo tutto il film, la pubblicità che precede il secondo spettacolo e quindi la pellicola. Poi ci stufammo ed uscimmo. Eravamo ancora in zona quando dal locale iniziò ad uscire il fumo. Così vicini, tra i primi a correre in aiuto dei soccorritori». Una spranga di ferro e un pezzo di legno diventarono palanchini. «Ma che cosa poteva fare contro il fuoco e le porte sbarrate? Niente. Eravamo ragazzi che, improvvisamente, si sono trovati a tu per tu con la morte», racconta Massimiliano Giuliano, scampato. «Eravamo bambini, la polizia voleva sapere se avevamo notato qualcosa di strano. Che potevamo dire? Niente. Tranne che avevamo visto uscire del fumo». Niente. Come tanti. «A 25 anni di distanza vorrei solo sapere perché. Perché le uscite erano chiuse?», ripete Fabio Jelo. Perse la sorella, Germana, 20 anni, studentessa a Magistero. Seppe della tragedia il giorno dopo. Dalla tivù.”
Il triste racconto di Enzo ARIU, Funzionario del Comando Provinciale di Torino, allora Vigile che intervenne sullʼincendio. «Il 13 Febbraio 2013 saranno trascorsi esattamente trentʼanni da quando, in una giornata invernale accompagnata da una fitta nevicata, in un cinema di Torino, occorse un tragico incendio destinato a cambiare il destino e la vita di molte persone. A quelle povere vittime desidero dedicare la mia riflessione su quellʼavvenimento, che nonostante sia trascorso così tanto tempo, puntualmente riaffiora incontrando coloro che mi furono compagni in quella tragica giornata. Quei luoghi non esistono più, le esigenze del progresso hanno prevalso, stendendovi sopra un discutibile ed anonimo velo. Per quelli come me, transitare in Via Cibrario evoca ancora oggi sensazioni mai sopite: odore di bruciato, cappa di fumo ristagnante per la bassa pressione, i nostri rossi automezzi piazzati a ridosso dellʼentrata del Cinema Statuto, i loro motori a regime per spingere con forza lʼacqua nelle condotte. Ordini precisi e perentori urlati dai Capi Squadra ai propri uomini, sciabolare intermittente di luci blu tuttʼintorno e Vigili del Fuoco, in silenzio, operanti con grinta, men-
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tre tuttʼattorno la neve cade e, bagnandoti il volto, rende più complesso lʼoperare. Voci concitate di chi si è messo in salvo, di soccorritori; io che arrivo alla guida della nuova, fiammante autobotte, deviato sullʼintervento, via radio, dalla sala operativa provinciale. Il Capo Squadra Andrea mi ordina di portarmi dal lato di Via Le Chiuse, è con me solo un ausiliario di leva. Mi viene inviato in aiuto il mio amico Silvano, in sua compagnia so che potrei affrontare il mondo intero, vedo impegnati Michele, Angelo, Livio, ci scambiamo uno sguardo reciproco dʼintesa che vale anche per augurio di buon lavoro. Posiziono lʼautobotte nella via e con Silvano, percorrendo il passo carraio, ci portiamo nel cortile dove, da una porta e da una finestra che vi si affacciano, lunghe lingue di fuoco stanno terminando di distruggere ciò che rimane degli infissi di legno. Stendiamo le manichette e io, via radio, chiedo lʼinvio sul posto di unʼaltra squadra di rinforzo. Attacchiamo lʼincendio e, attraverso la porta oramai distrutta, scorgiamo il corridoio laterale della platea completamente infuocato. Due persone ci raggiungono e si qualificano per responsabili del cinema, sono il proprietario e lʼoperatore, si preoccupano della centrale termica sottostante il punto da cui stiamo operando nellʼestinzione, la disattiviamo. Arriva la squadra “23”, quella dei Capi Squadra Beppe ed Eraldo, che vengono a darci manforte; realizziamo che proprio sopra le nostre teste si affacciano le porte di sicurezza della galleria, sfocianti su ampi terrazzi. Corriamo, inerpicandoci per una scala tortuosa, fino a raggiungere le prime due porte della galleria; Beppe col “picozzino” spalanca una prima porta, Silvano rompe con i pugni il riquadro in masonite di una seconda porta, spalancandola a sua volta, veniamo investiti dal densissimo fumo e dallʼintenso calore che saturano il locale. Il calore ed il fumo sono insopportabili; quando iniziano a defluire, viene ricuperata una ragazza molto giovane
che giace a ridosso della seconda porta di sicurezza; per lei non cʼè più niente da fare. Alcuni di noi, dotati dʼautorespiratori, si addentrano, in mezzo al denso fumo, allʼinterno della galleria inciampando tra i corpi delle persone che giacciono tra le file delle poltroncine e disseminati lungo i percorsi dʼesodo; alcuni di loro sono ancora seduti ai propri posti. Apprendiamo che anche dal lato di Via Cibrario, sono stati ricuperati altri corpi; le comunicazioni si accavallano ed il numero delle vittime aumenta vertiginosamente, realizziamo che in quel locale si è consumata una stra-
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ge. Le operazioni di ricupero dei corpi si protrarranno per ore, durante tutta la notte; alla fine si conteranno sessantaquattro persone, molte sono giovani coppie, tra queste, lo apprenderò solo lʼindomani mattina, figureranno anche un mio amico, Sergio Ganovelli (un giovane promettente ed appassionato fotografo con cui avevo realizzato una mostra fotografica) e la sua ragazza, alcuni nuclei familiari e diversi bambini. La città intera è scossa dallʼenorme tragedia; i giornalisti attraverso i mezzi di comunicazione diffondono la notizia in modo impreciso ed approssimato, forse perché a loro volta coinvolti dallʼonda emotiva. Alcuni di loro scrivono che non avevamo autoprotettori, che non potevamo aver capito la dimensione della tragedia perché eravamo troppo calmi; nascono tensioni ed incomprensioni tra la cittadinanza e noi, tanto da determinare due fazioni: quella di chi colpevolizza e quella di chi condivide il nostro lavoro. Lʼamarezza ci accomuna tutti, coloro che hanno direttamente partecipato e non. Giorni dopo, ai funerali delle vittime, celebrati in forma solenne nel Duomo di Torino, saremo presenti in tanti, con una delegazione allʼinterno della cattedrale ed una folta rappresentanza schierata sullo scalone, allʼesterno, per rendere omaggio a quelle tante, troppe vittime innocenti. Al termine della cerimonia funebre, ci accoderemo in coda al lungo corteo diretto al cimitero generale di Torino, percorrendo la Via XX Settembre fino alla vecchia Caserma Centrale tra due ali di folla. Lungo il pur breve percorso coglieremo commenti solidali, altri di condanna, altri ancora dʼinvettive, per tutti noi certamente fuori luogo. Lʼamarezza è tanta, accusiamo un senso di forte frustrazione per lʼincrinatura apertasi nel rapporto di fiducia tra noi e la comunità torinese, che fino allora ci aveva sempre tributato sentimenti di simpatia, se non dʼaperta ed incondizionata solidarietà e comprensione, quando, in diverse occasioni, il nostro lavoro aveva riscosso il loro plauso. Il senso dʼamarezza e frustrazione ci accompagneranno per parecchio tempo, molti di noi sʼimpegnarono individualmente per approfondire le dinamiche determinanti quellʼenorme tragedia. La Magistratura dette seguito alle indagini, molti di noi furono sentiti dai giudici istruttori dott. Francesco Marzachì e dott. Giancarlo Caselli, in diverse convocazioni o nel corso dei sopralluoghi allʼinterno del locale. Con alcuni colleghi entrai in contatto con un gruppo di medici, i quali ci approfondirono la conoscenza delle dinamiche fisico-chimiche che concorsero a determinare quel funesto esito. Esso era principalmente imputabile alle esalazioni pro-
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dotte dalla combustione dei materiali dʼimbottitura delle poltroncine, costituite da schiume poliuretaniche espanse, e dalla “moquette” dʼarredo, diffusamente presente su pareti, pavimenti e solai. Queste, bruciando, avevano prodotto anidridi di vario genere, che a contatto con le mucose delle vie respiratorie si erano tramutate in acidi, portando in brevissimo tempo ed inesorabilmente, tutte le persone coinvolte nellʼincendio, ad una rapida morte per enfisema polmonare fulminante. Seguirono massicci interventi di controllo in tutti i locali di pubblico spettacolo ordinati dalla Magistratura, molti furono costretti a chiudere temporaneamente, altri non riaprirono mai più. La città, sgomenta, continuò a lungo ad interrogarsi sui perché della tragedia; a Torino il modo di vivere la cultura ed il tempo libero, cambiarono radicalmente. Quella tragedia determinò un diverso approccio alle tematiche della sicurezza sia negli ad detti ai lavori sia nei comuni cittadini; diffuse ricadute vi furono anche in altre parti dʼItalia. Noi, Vigili del Fuoco, a Torino ci attivammo per dare il nostro contributo. Di nostra iniziativa, coinvolgendo i Comandanti che si susseguirono e le nostre Organizzazioni Sindacali;
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corso per conseguire un livello accettabile di sicurezza è ancora lungo, perché quotidianamente si scontra con inerzie, interessi economici e/o mentalità sedimentate. Care vittime del “Cinema Statuto”, quel giorno sulla scalinata del Duomo di Torino, rendendoVi tristemente omaggio, mentre le Vostre bare sfilavano sotto i nostri occhi, in tanti, commossi, muti ed amareggiati, ci proponemmo dʼimpegnarci affinché le Vostre morti non fossero vane. Ci proponemmo anche di non dover mai più tornare sul sagrato del Duomo per occasioni simili, purtroppo così non è stato! Tornammo, infatti, a inquadrarci davanti al Duomo per rendere omaggio agli operai della Thyssen Krupp; ciò ci conferma la convinzione che il percorso sulla via della sicurezza è ancora molto lungo e pieno dʼostacoli e, per noi, motivo di rinnovato ed ulteriore impegno. Benché siano trascorsi tanti anni e molti di quelli che operarono quel giorno, non siano più in servizio attivo, il Vostro ricordo continua ad accompagnarci tutti i giorni nel nostro complesso mestiere. Noi, per non dimenticarVi, tramandiamo quotidianamente ai nostri giovani colleghi che man mano ci subentrano, lʼimpegno preso allora».
durante il tempo libero, iniziammo a proporci ai Presidi delle scuole medie e ai Direttori didattici delle elementari. Intensificammo la nostra opera di sensibilizzazione delle scolaresche alla cultura della sicurezza, già iniziata anni prima, convinti che il prevenire fosse meglio dellʼintervenire. Fummo seguiti da analoghe iniziative sia nella Provincia di Torino sia in altre parti dʼItalia, giungendo infine a realizzare un progetto che ebbe diffusione a livello nazionale e prese il titolo di “Scuola Sicura”. Istituzionalmente fu rivista la normativa riguardante i materiali dʼarredo dei locali di pubblico spettacolo, adeguandone per tipologie e per quantità lʼuso negli allestimenti, rivedendone le caratteristiche tecniche di reazione al fuoco, le modalità della loro posa in opera e le procedure di certificazione della qualità degli stessi. Furono inoltre meglio determinate le procedure gestionali dei locali, comprensive dei piani dʼemergenza, di quelli dʼevacuazione, della formazione degli addetti alla sicurezza, predisponendo nel contesto un più certo e sicuro utilizzo delle vie dʼesodo, anche in attuazione e in applicazione dellʼex D.Lgs. 626/94. In sintesi, queste sono state le principali iniziative fin qui portate avanti, altre sono in progetto, consci che il per-
Per la Città di Torino la tragedia del Cinema Statuto, ed in particolare per gli addetti ai lavori di progettazione e prevenzione incendi di locali pubblici, fu un vero cambiamento sull’applicazione delle metodologie della prevenzione incendi e dell’impiantistica correlata. Si applicarono, con rigore, tutte le buone regole di progettazione di prevenzione incendi al fine di migliore la sicurezza delle persone; si applicarono a volte, anche un po’ ottusamente, alcune regole imponendo, per esempio, tovaglie e tovaglioli ignifughi per grandi ristoranti. Tutto servì, dalle piccole regole alle richieste a volte assurde e costose, ad aumentare il livello di sicurezza dei locali pubblici; poche sale cinematografiche riuscirono a fronteggiare il contraccolpo economico per ottenere l’abilitazione della Commissione di Vigilanza della Prefettura. La provincia di Torino fu la più colpita, chiusero una dopo l’altra tutte le sale cinematografiche. L’applicazione della sicurezza, al di la dei costi, è anche però un fenomeno culturale; non tutte le persone sono in grado sia di applicarla sia di acquisirla. Esiste, a volte anche per sentirsi forti rispetto ad altri, la sfida alla sicurezza; si violano volutamente le basi della sicurezza per farsi “vedere” dagli altri. La sicurezza, come giusto che sia, deve essere applicata a tutti i costi; la vita di una persona non ha prezzo.
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