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Il laboratorio Riflessioni sul margine: la lama Belice e la sopraelevata
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Antonio Buonaurio nasce a Maddaloni (CE) il 20 giugno 1990. Consegue la laurea triennale presso l’Università degli Studi di Napoli “Luigi Vanvitelli” con tesi in storia dell’architettura sul tema delle macchine d’acqua lungo il percorso dell’acquedotto carolino dal titolo “ I percorsi d’acqua: la catalogazione delle architetture lungo l’acquedotto carolino” nell’ambito dell’accordo di tutela UNESCO. Completa gli studi magistrali presso il Diarc: dipartimento di architettura di Napoli - Federico II, con tesi in storia dell’architettura sul tema degli edifici di controllo durante gli anni del Ventennio, dal titolo: “Tra innovazione e tradizione: la nuova tipologia della casa del fascio - Il caso studio di Caserta.” All’attività professionale dal 2016, anno della prima esposizione presso la galleria milanese Tulpenmanie, coltiva quella di ricerca dell’immagine attraverso collage e saggi critici sul dualismo tra figurazione e parole.
il saggio Connotazioni identitarie
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A.Buonaurio I ragionamenti intorno al tema del limite muovono da elementi ben distinti e univoci: talora possono assumere sembianze tutte interne al corpo urbano dove la tendenza ordinatrice dello strumento matematico-geometrico ne detta tempi e modalità; altre volte con il carattere sospeso di luoghi cristallizzati tra compattezza del tessuto edilizio consolidato (centri storici) e sregolate estensioni eterogenee (periferie) ove abbondano situazioni frammentarie di spazi privi di identità formale. Lo spazio, sia esso tangibile o immateriale, è contenuto, circoscritto - anche solo tra i lemmi che lo connotano - all’interno di un complesso sistema di convenzioni in cui l’architettura svolge il ruolo di mediatore tra situazioni spaziali evidenti ed esigenze sociali sottese. Se la presenza di elementi tangibili e ben riconoscibili (torri, cinte murarie, porte di accesso) hanno da sempre sancito il limite esatto tra le parti e preparato il fruitore a visioni dense e compatte; l’avvento della modernità ha scardinato tale lessico compositivo in nome della libertà di vedute e movimenti favorendo la rarefazione spaziale e funzionale propria delle espansioni urbane. Il confine, dunque, è un sistema in continuo travaglio in cui i luoghi di frontiera rappresentano i luoghi del dubbio, dell’incertezza, della sospensione delle convenzionali regole e per questa ragione perfette per l’architettura - sia essa teorizzata che concretamente rappresentata -. Attualmente la sempre più costante necessità di spazi contrapposta alla sempre più scarsa disponibilità di suoli liberi, impone un ripensamento radicale delle zone che galleggiano tra le periferie e i bordi della città attraverso operazioni di addizione consapevole in grado di rendere domestico un luogo depauperato della sua matrice identitaria. La riconoscibilità rappresenta l’unico aspetto capace di connotare, caratterizzare, definire chiaramente e univocamente, la cultura e la dignità dei luoghi e di coloro che vi abitano. Ragion per cui indagare i processi, la prassi compositiva e le scelte progettuali che ne hanno determinato la formazione, risultano fondamentali per comprenderne gli intenti (realizzati o traditi) della stessa architettura. In definitiva il quartiere San Paolo di Bari si configura come exemplum perfetto per indagare i concetti di ri-connessione, ri-avvicinamento e di connotazione identitaria attraverso le speculazione digitali e grafiche del collage, in un continuo dialogo tra immagine e figurazione.
l’immagine biarch