PREFIGURAZIONE DEL MODERNO RIFLESSIONI SUL PADIGLIONE DELL'ESPRIT NOUVEAU DI BOLOGNA
Antonio Buonaurio - Davide Bertugno
Prefigurazione del moderno Riflessioni sul padiglione dell'Esprit Nouveau di Bologna
progetto di ricerca a cura di: Arch. Antonio Buonaurio, Arch. Davide Bertugno
Testi: Arch. Antonio Buonaurio Fotografia: Arch. Davide Bertugno Disegni: Arch. Antonio Buonaurio, Arch. Davide Bertugno
L’intento di questo saggio, per ovvie questioni di economicità di argomentazioni e complessità tematiche, non ha certo la pretesa di riassumere quella che, a distanza di un quarantennio, ha rappresentato una delle opere più emblematiche e altrettanto travagliate della produzione del maestro svizzero Le Corbusier: il padiglione dell’Esprit Nouveau di Bologna. Prima di entrare nel merito della questione è doveroso, per meglio comprenderne il piano di sedime in cui s’inserisce l’opera, riflettere su alcune importanti trasformazioni, urbane e culturali, avviate nel capoluogo emiliano a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Decisivo il 1955 anno in cui l’amministrazione comunale si dota del nuovo piano regolatore quale strumento fondamentale per fronteggiare la sregolata crescita della periferia bolognese 1 avviando, così, una delle stagioni più floride per l’architettura e l’urbanistica locale. Nel settembre dello stesso anno, in concomitanza del primo Convegno Nazionale di Architettura Sacra, personaggi del calibro di Bruno Zevi, Ludovico Quaroni, Adalberto Libera e Luigi Figini sostenuti dai maestri del movimento europeo quali: Walter Gropius, Alvar Aalto e lo stesso Le Corbusier, si trovarono riuniti allo stesso tavolo per incarichi di progettazione di nuovi edifici di culto 2. A prescindere dall’oggetto delle architetture commissionate, tale evento definisce con lucida premeditazione, la direzione che l’amministrazione bolognese stava percorrendo, specie nella scelta sia dei propri membri interni - Leonardo Benevolo e Giuseppe Campos Venuti per citarne alcuni - che dei progettisti incaricati come Kenzo Tange e Marcel Breuer già esperiti conoscitori della lezione modernista. A distanza di poco meno di un decennio dall’avvio dei programmi infrastrutturali, nel 1963,
Le Corbusier, fortemente incoraggiato dal cardinale Lercaro, accetta l’incarico per la progettazione di un nuovo complesso religioso per la città di Bologna che, suo malgrado, non vedrà mai conclusosi per la dipartita avvenuta nell’agosto del 1965, anno in cui viene affidato l’incarico per una nuova diocesi parrocchiale al finlandese Aalto 3. Sulla questione della realizzazione delle opere postume è interessante notare come, a seguito dell’acceso dibattito innescatosi tra gli accademici circa il valore delle architetture post mortem, si era deciso di seguire la linea tracciata dallo storico e critico Sigfried Giedion incline a mantenere inalterate le scelte progettuali del maestro svizzero 4 Avvicinandoci a grandi passi all’oggetto di questo saggio risulta prezioso, sia per contributi proposti che ai fini cronologici, il convegno internazionale organizzato dall’Università di Architettura di Bologna sul tema Problematiche dell’architettura e dell’urbanistica odierna in relazione con i processi di industrializzazione, occasione in cui l’amministrazione comunale conferisce nuovi incarichi per la progettazione di nodi fondamentali per lo sviluppo della città come l’area fieristica 5 in cui sarà ricostruito il padiglione in questione. È bene notare come il tema centrale del convegno facesse leva sul dualismo tra prodotto d’architettura e processi di automazione e produzione in larga scala, due tra gli aspetti peculiari del padiglione dell’Eprit Nouveau a breve analizzati. Infine, non è da sottovalutare il ruolo della rivista Parametro che, per circa un trentennio di ricerche e pubblicazioni, ha rappresentato una
1 Fondamentale, per puntualità di contenuti e impatto sulle successive azioni programmatiche, lo scritto di Giuseppe Rossetti
Libro bianco su Bologna del 1956, unica vera alternativa alle politiche urbane dell’amministrazione Dozza più incline alle pratiche “palazzinare” e “quartieristiche” che a quelle comunitarie ed europeiste proposte dall’intellettuale democristiano. 2 Dalla fervente sinergia tra il Cardinale Giacomo Lercaro e gli architetti sopracitati, nacque il Centro di studi e informazione per l’architettura sacra, simultaneamente venne fondata la rivista di architettura Chiesa e quartiere, costantemente impegnata presso la Biennale di Salisburgo e Colonia. 3 Al riguardo, emblematico l’incontro con l’imprenditore illuminato Mario Tamburini che suggerì al maestro di prefabbricare l’intera opera, per uscire dell’enpas sopraggiunto in fase di cantiere. 4 Per l’occasione venne istituito il Comitato per la costruzione della chiesa di Le Corbusier che, appunto, fece appello allo storico ceco e al collaboratore del progettista svizzero Josè Oubrerie per risolvere l’annosa questione. 5 Al giapponese Tange è affidata la realizzazione della Variante Bologna Nord e al Cardinale Lercarlo un Centro Ecumenico nell’area fieristica. Area fieristica che già accoglieva importanti edifici come il Palazzo dei Congressi di Melchiorre Bega del 1975 e la Galleria d’Arte Moderna di Leone Pancaldi realizzata nello stesso anno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, prospetto est.
alternativa autorevole alle più blasonate riviste patinate milanesi e romane. Senza dubbio, in particolar modo tra gli anni ’70 e ’80, grazie alla capacità dei suoi redattori di leggere e interpretare i segni del cambiamento raccogliendo le pulsioni moderniste del tutto svincolate delle speculazioni del consumismo intellettuale dei grandi centri. Così da occupare, con intransigente ortodossia, quel ramo del modernismo in cui si accettavano le implicazioni etiche come basi fondamentali di una sintassi in evoluzione e dalle radici incontestabili. In definitiva l’intento della rivista era di superare l’inerzia di un immobilismo progettuale, prima infervorato dal rinascimento post bellico, poi scemato in derive storiciste. Emblema della produzione editoriale il numero relativo al padiglione - suffragato da Charlotte Perriand - che sancisce la piena consacrazione della rivista nel pantheon dei periodici di critica architettonica. In questo clima di fermento culturale e accese diatribe teoriche, che inondano le pagine dei periodici di settore 6 l’intuizione di Giuliano e Glauco Gresleri, di proporre a Bologna il progetto di ricostruzione del già distrutto padiglione realizzato da Le Corbusier per l’Expo parigina del 1925. A questo punto della trattazione è bene porre l’attenzione su alcune problematiche relative alla realizzazione dell’oggetto architettonico in esame. In primo luogo relativamente alla tipologia a cui fa riferimento il progetto. Come è ben noto si tratta di un padiglione le cui caratteristiche morfologiche e costruttive palesemente non rientrano in quelle convenzionali a cui si è soliti far riferimento. D’altra parte se, per un momento, si bypassa la mera concezione didascalica di elementi comuni reiterabili che permettono una qualsiasi categorizzazione di genere, è possibile scorgere la vera essenza - o quantomeno supposta - del padiglione progettato da Le Corbusier. In maniera riduttiva, ma esaustiva, potremmo dire che l’intero iter progettuale ruota intorno a tre aspetti fondamentali: il prototipo, l’ideologizzazione del contenitore e il dualismo tra prodotto seriale e manufatto unico. Venendo
al primo concetto più che parlare di: «primo esemplare, modello originale di una serie di realizzazioni successive, costruito per lo più artigianalmente, nella sua grandezza normale e suscettibile di collaudi e perfezionamenti »7 dovremmo parlare di architettura archetipa del moderno. Seppur non in maniera univoca, il padiglione dell’Esprit Nouveau rappresenta una macchina per abitare unica nel suo genere e del tutto replicabile in maniera seriale e modulare. L’ossimoro concettuale individua perfettamente due cardini della poetica lecorbusierana, continuamente altalenante tra perizia progettuale, scrupolosa analisi proporzionale e certosina cura del dettaglio intrisa di lirismo con l’altissima capacità di replicazione del prodotto, del costo di produzione contenuto e dell’intrinseca dote modulare determinata dalla composizione. Per quanto afferisce il secondo punto dei tre citati, il tema dell’ideologizzazione del contenuto si esplica magnificamente nello studio dell’arredo interno e della disposizione degli stessi. La modularità degli elementi, l’essenzialità dei materiali scelti e il posizionamento degli stessi, permettono una connotazione dello spazio suggestiva ma sobria specie quando utilizzati come filtri o per definire spazi di pertinenza privata - in grado di esaltare il plasticismo della composizione senza depauperarla della componente accogliente propria della casa mediterranea. A garantire l’eccellenza del prodotto finale la stretta collaborazione con Cassina coadiuvata dall’eccellente supervisione di Filippo Alison per la realizzazione del mobilio interno. Terzo e ultimo aspetto attiene al concetto, del tutto moderno, relativo alla capacità del progetto architettonico - meglio della prassi architettonica - di configurarsi sia come modello ideale di oggetto per abitare sia come parte di un sistema aggregativo più complesso e articolato. Sono anni in cui gli architetti
6 Oltre alla già citata Parametro, sono da annoverare Il Mulino, Il Regno e Officina; preziosi strumenti per la valutazione critica della cultura di quegli anni. 7 Istituto dell’Enciclopedia italiana, Dizionario enciclopedico Treccani.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, vista laterale.
moderni s’interrogano sul ruolo dell’architettura e certi accorgimenti adottati in questo progetto, come la scala posteriore esterna reminiscenza delle stecche a ballatoio o la presenza di spazi aperti semi coperti e di pertinenza mista, oltre ad amplificarne la permeabilità e l’aggregazione degli stessi ne esaltava il dato sociale. Dal punto di vista teorico, pur trattandosi di una ricostruzione del modello già realizzato in passato, la possibilità d’incorrere in nostalgiche derive anacronistiche era concreta. Certamente il tema dell’identità formale era assai caldo e dibattuto, soprattutto all’interno della redazione di Parametro che, nel n. 50, s’interrogava sulle modalità e sulla prassi realizzativa del padiglione. Dibattito affrontato attingendo a piene mani dal bagaglio conoscitivo e di esperienze acquisito presso i numerosi cantieri disseminati sul tutto il territorio emiliano e firmati da illustri architetti di sicura tendenza moderna; senza escludere il cospicuo corpus grafico e bibliografico acquisito presso la Fondation di Parigi 8. Altra vicenda interessante riguarda il luogo in cui attualmente il padiglione è posizionato anch’essa oggetto di dibattito relativamente al rapporto tra sito e opera 9. Collocato all’interno della vasta area a parco prospiciente gl’ingressi del polo fieristico, gode di piena accessibilità e suggestivi scorci prospettici capaci di esaltare certi espedienti architettonici come gli ombreggianti scorrevoli, posizionati nella zona a patio, che permettono la continua modularità della vista sullo stesso. L’impaginato esterno denuncia, immediatamente, gli stilemi dell’abecedario lecorbusierano già noto alla cultura architettonica del tempo. La perfetta giustapposizione di superfici vetrate a tutt’altezza,
profonde bucature e sperimentazioni interne, offrono il perfetto connubio tra un razionalismo edulcorato dalla scialba retorica scolastica e un purismo pittorico denunciato nella palette colori utilizzata per la tinteggiatura delle superfici interne. Sul prospetto principale, dove domina il bianco dell’intonaco, campeggia la sigla “EN” patronimico della rivista fondata nel 1920 da Le Corbusier in collaborazione con il pittore Amèdèè Ozenfant e il poeta Paul Dermèe. I restanti due prospetti laterali pur aprendosi entrambi sul parco circostante dialogano, con lo stesso, in maniera differente. Infatti, se da un lato la profonda bucatura che lascia intravedere parte dell’andamento interno e il grande occhio in copertura da cui emerge un alto fusto arboreo, permette il continuo scambio dialettico tra interno ed esterno, dall’altro la tripartitura superficiale intervallata da corpi finestrati regolari è interrotta dalla scala che, correndo lungo tutto il prospetto e poggiante su di un unico pilastro, permette l’accesso diretto al duplex. Disposizione che si pone in maniera più riservata rispetto all’ambiente naturale circostante quasi a volerne esaltare il dato puramente funzionale dell’elemento di collegamento verticale. Alla stereometrica regolarità dei tre prospetti, in cls armato prefabbricato, si contrappone il volume semi curvo, quasi absidale, in adiacenza alla parete perimetrale dell’abitazione vera e propria, un sofisticato diorama che permetteva al fruitore di comprendere il rapporto tra singola unità abitativa e sistema aggregativo nel quale
8 «Illustri Signori, veniamo con la presente a formulare una proposta per la quale chiediamo rispettosamente il vostro consenso.
Poiché nell’ottobre 1977 si realizza a Bologna, nell’ambito del Salone Internazionale dell’Industrializzazione Edilizia, la presenza ufficiale della Francia al Convegno sui modi d’intervento nella città e nell’architettura, e poiché celebriamo, sia pure con lieve scarto temporale, il cinquantesimo anniversario de L’Esprit Nouveau, diversi enti locali sa noi stimolati propongono di ricostruire a Bologna il padiglione progettato da Le Corbusier (e oggi distrutto) per l’Esposizione di Parigi del 1925. Si tratta di un richiamo, che tocca profondamente il nostro animo, all’universalità di quel messaggio e di un modo concreto per fissare in mezzo a noi il ricordo del Maestro che ci ha personalmente conosciuto e dal quale ci è giunta una indimenticabile lezione per la nostra vita di architetti La fedeltà all’idea originale nell’esecuzione dell’opera può essere assicurata dal controllo diretto di architetti di comune fiducia […]» Estratto della lettera inviata dalla rivista Parametro alla Fondazione Le Corbusier in data 27 gennaio 1977. Ora in G.Gresleri, L’esprit nouveau. ParigiBologna. Costruzione e ricostruzione di un prototipo dell’architettura moderna, Electa, 1979. 9 L’intento inziale era quella di proporre un parco dei padiglioni all’interno del quale dovevano trovare spazio il padiglione di Barcellona di Mies del 1929, quello di Melnikov del 1925 e, probabilmente, la Villa-Studio per un artista di Figini e Pollini per la V Triennale di Milano del 1933. Iniziativa poi accantonata per evidenti difficoltà di reperimento di materiale, autorizzazioni e costi.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, prospetto nord.
doveva inserirsi lo stesso. Quest’ultima zona destinata all’allestimento di mostre ed eventi collaterali alla mera funzione abitativa, ne sottolinea la flessibilità della forma, non più schiava della funzione. Proseguendo verso il ventre del manufatto e superando il lungo corridoio che permette l’accesso diretto all’area espositiva, si è accolti nel grande spazio a soggiorno dotato di doppia altezza e caratterizzato dalla grande vetrata continua che mette in risalto l’arredo a sospensione ancora in produzione presso l’azienda Cassina. Tramite il corpo scala interno è possibile accedere ai locali di stretta pertinenza dell’alloggio. La distribuzione interna, connotata dall’uso di colori differenti ne identifica i luoghi senza l’utilizzo di tramezzi divisori o porte. Ogni elemento presente, talvolta francescano nel dimensionamento minimo degli ingombri, riflette l’attenzione per le proporzioni e l’impiego razionale delle superfici, come ad esempio l’inserimento della seduta in calcestruzzo direttamente collocata lungo la parete dell’ambiente relax o la nicchia in cui doveva alloggiarsi la doccia. Più in generale, ciò che traspare dall’oggetto architettonico realizzato, è la volontà del maestro svizzero di restituire uno spazio flessibile, fortemente connotato dalla penetrazione di luce ed aria - due elementi fondamentali - e una gradevole disposizione dell’arredo, fondamentale a esplicare il senso dell’abitare secondo il progettista. Non ultima, la grande loggia centrale, da concepirsi come una delle numerose asole presenti all’interno della stecca in cui si doveva collocare il manufatto singolo. L’idea natia di dotarsi di uno spazio interno semi coperto adatto alla conversazione ma anche alla naturale ventilazione degli ambienti si esplica in alcuni elementi di grande impatto visivo. La lunga finestra a nastro intervallata da pannelli scorrevoli in metallo permette di modulare e filtrare la luce all’interno del patio, la seduta ricavata dal pieno della parete perimetrale esterna, il foro circolare dal quale si erge l’alto fusto e il portellone-setto murario che separa o mette in comunicazione i due ambienti, sono solo alcuni segni del complesso lessico che ha caratterizzato tutta la produzione di Le Corbusier. In definitiva tale manufatto oltre a essere espressione di se stesso, ossia prefigura simultanea
tra teoria e pratica del progetto, rappresenta la concretizzazione fisica di decenni di speculazioni architettoniche e di linguaggio via via sempre più raffinato e dal significato sotteso. Potremmo dire, senza incorrere in errore, che il padiglione dell’Esprit Nouveau, pur essendo un manufatto pensato e realizzato per ottemperare a esigenze specifiche e limitate nel tempo, s’impone come pietra angolare unica e irripetibile all’interno della produzione in serie di moduli abitativi a tal punto da renderlo archetipo dell’architettura moderna.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, prospetto sud.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, dettaglio scala interna.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, dettaglio scala interna.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, dettaglio ballatoio interno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, dettaglio zona relax.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, arredo interno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, arredo interno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, arredo interno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, arredo interno.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, vista sulla corte interna.
Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau (2018), Bologna, Piazza Costituzione, dettaglio interno.
Prospetto Est
Pc
Prospetto Ovest
Prospetto Sud P1
Prospetto Nord
Pt
Planimetrie e prospetti scala 1:100
Antonio Buonaurio, nasce a Maddaloni (CE) nel 1990. Consegue la laurea triennale in Architettura, presso la “SUN - Seconda Università degli Studi di Napoli Luigi Vanvitelli”, con tesi in storia dell’architettura dal titolo “I percorsi d’acqua: la catalogazione delle architetture dell’acquedotto carolino” con la prof. Danila Jacazzi e l’arch. Flavia Belardelli (MiBACT) nell’ambito dell’accordo di tutela UNESCO. Completa gli studi magistrali presso il “Diarc - Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II”, con tesi in storia dell’architettura dal titolo “Tra innovazione e tradizione: la nuova tipologia della casa del fascio - Il caso studio di Caserta” con il prof. Arch. Alessandro Castagnaro e il PhD. Arch. Florian Castiglione. Cofondatore, con Francesco Cuomo e Riccardo Aveta, dello Studio F.R.A. Ha collaborato presso l’OfCA dell’arch. Raffele Cutillo. Attivo nel campo della ricerca dell’immagine in architettura, nel 2016 ha esposto nella galleria Tulpenmanie di Milano nell’ambito della rassegna 30<30. Ha dato vita, insieme a Davide Bertugno, Enrico Casini, Valerio Recchioni ed Elia Zoppi ad un collettivo che ragiona, scrive e ricerca sul tema della composizione e del linguaggio architettonico.
Davide Bertugno, nasce a Bari nel 1990. Consegue la laurea magistrale in Architettura presso il Politecnico di Bari con 110/110 cum laude nel 2014, lavorando alla tesi sperimentale “Bari Porte Urbane II: progetto di riqualificazione urbana, architettonica e paesaggistica” con il prof. Michele Beccu e la prof. Francesca Calace. Nel campo della ricerca teorica, nel 2015, ha fondato APLAB- “Laboratorio di ricerca sul paesaggio pugliese” con l’ingegnere Andrea Scaringello. Ha lavorato per (dp)ªSTUDIO e Vito D’attoma Architetto a Bari, per stARTT ed A.B.D.R. Architetti Associati a Roma. Il suo progetto di interni “Trani Rent Rooms” è stato selezionato tra i “Best Projects 2017” dalla piattaforma Archilovers. Attualmente lavora come direttore tecnico di cantiere nell’ambito dei lavori di efficientamento energetico dell’ “Università degli Studi di Bari Aldo Moro “. Dal 2016, insieme ad Antonio Buonaurio, Enrico Casini, Valerio Recchioni ed Elia Zoppi ha iniziato una ricerca fotografica e grafica sul tema del collage architettonico quale stumento di comprensione e di provocazione rispetto al reale.
RIFLESSIONI SUL PADIGLIONE DELL'ESPRIT NOUVEAU DI BOLOGNA
Antonio Buonaurio - Davide Bertugno