Sardegna Gallura Magazine 2018/2019

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STORIA Il territorio fu abitato fin da epoca nuragica, resti di tale epoca sono visibili nella zona della collina sovrastante il paese sulla quale sorgeva un villaggio nuragico composto da diverse capanne. Meglio conservati sono i resti d'epoca giudicale, come il palazzo di Baldu (Ubaldo Visconti Giudice di Gallura) e il piccolo castello di Balaiana. Il paese è stato sede di una delle prime comunità francescane in Sardegna e questo contribuisce a spiegare l’alone spirituale e mistico che Luogosanto ha avuto e tuttora possiede. La forte tradizione religiosa del luogo portò addirittura alla concessione di un raro privilegio da parte del papa: la consacrazione a Porta Santa per una delle porte della basilica minore di Nostra Signora di Luogosanto. Alla metà del XV secolo, il paese si spopolò e solo duecento anni dopo alcuni pastori iniziarono ad edificare i loro stazzi in queste terre. Agli inizi del XX secolo le buone terre del luogo iniziarono a dare i loro frutti per una rinascita che, nel 1948, rese l'autonomia comunale a Luogosanto.

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Il Borgo di Aggius Un paese, un borgo, è innanzitutto la propria storia, le proprie tradizioni, la propria gente. Se arrivando ad Aggius, il paesaggio vi avrà affascinato, fermarsi significherà andare alla scoperta di storie e leggende, di tradizioni ancora vive e originali, di gente cordiale ed ospitale, sempre disponibile a fermarsi per fare quattro chiacchiere. Situato a 514 metri sul livello del mare, Aggius è un tipico paese della Gallura, subregione storica e geografica della Sardegna. Il suo abitato sorge ai piedi della seghettata cresta montuosa detta “Monti di Aggius”, che comprende le punte: “Monti di Mezu” (mt.782), “Monti Sotza” (mt. 778), “Monti Polcu” (mt. 675), “Monti di la Cruzi” (mt. 667), “Monti Pinna” (mt. 680) e “Monti Fraili” (mt. 645). Il panorama che si può ammirare dalle alture del suo territorio, si estende dall’Asinara sino all’arcipelago della Maddalena e alla Costa Smeralda. In giornate limpide si possono ammirare le ventilate Bocche di Bonifacio e la vicina Corsica con le riconoscibili falesie di Capo Pertusato, mentre nel periodo invernale e primaverile si ergono nitide le alte cime innevate. L'agro di Aggius si presenta come un equilibrato alternarsi di rocce granitiche, boschi secolari di lecci, di sughere, macchia mediterranea, pascoli e vigneti, ai quali il mutare delle stagioni conferisce aspetti e colorazioni variegate. Da circa una decina di anni il turismo sta diventando un comparto molto rilevante nell'economia locale. Nel 2005 il paese è stato insignito, dal Touring Club Italiano, della Bandiera Arancione, un marchio di qualità turistico-ambientale conferito ai piccoli comuni dell'entroterra italiano che si distinguono per un'offerta di eccellenza e un'accoglienza di qualità. Dal 2011 fa parte dell'Associazione Nazionale dei Borghi Autentici d'Italia.

La Storia Le origini del borgo risalgono all’epoca preistorica, come dimostrano le tracce ancora presenti in tutta l’area circostante il centro abitato. Antica e importante “villa” della Curatoria di Gemini, il suo territorio vastissimo includeva anche i comuni di Trinita’ d’Agultu, Badesi e Viddalba, fino alla recente acquisizione della loro autonomia comunale. Terminato il periodo Giudicale, Aggius fu conteso dalla famiglia Doria, dagli Arborensi e infine dalla Repubblica Marinara di Pisa che esercitò il controllo sull’intera area, sino all’arrivo della dominazione prima Aragonese e poi Spagnola. Fu proprio la presenza spagnola a influenzare dialetti, tradizioni, usi e costumi locali in modo estremamente marcato. Questo dominio durò circa 400 anni fino a quando nel 1720 Aggius passò sotto il dominio dei Savoia. Aggius viene ricordato nella prima metà del Seicento come centro di falsari. La “zecca” si sarebbe trovata su uno dei suoi monti, che per questo fu chiamato Fraili (fucina del fabbro). Per tutto l’Ottocento la popolazione venne dilaniata da numerose faide familiari, la più famosa fu quella tra i Vasa e i Mamìa, dalla quale Enrico Costa si ispirò per il romanzo ‘Il Muto di Gallura”. Pochi conoscono il curioso fatto avvenuto nel 1848, quando Aggius divenne “Repubblica” per quarantotto ore, investita da quel movimento che in Europa prese il nome di “primavera dei popoli”.

Da vedere Nel centro storico del paese, l’elemento predominante è il granito a vista, presente nelle murature degli edifici e nelle pavimentazioni di vie, vicoli e piazzette. I toponomi hanno conservato antiche denominazioni: l‘Aldia (posto di guardia, casello daziario), Paràula, Speslunga, Lu Cunventu e Piazza di li Baddhi (Piazza delle danze). All'interno dell'abitato vi sono quattro chiese: la Parrocchiale dedicata a Santa Vittoria, un’altra dedicata alla Madonna d’Itria e gli oratori di Santa Croce e del Rosario. La Chiesa di Santa Vittoria, stando a documenti rintracciati in Curia Vescovile, fu eretta nel 1536. Alcune parti sono state

ristrutturate in epoche più recenti, come la facciata principale, ricostruita nel 1856 e il campanile, alto 33 metri e costruito nel corso del XX secolo. La Chiesa di Nostra Signora del Rosario e la Chiesa di Santa Croce, sedi delle omonime confraternite, recano delle scritte negli architravi posizionati all’ingresso, la prima reca la scritta O.D.R. A. 1727, mentre la seconda O.D.S.C. 1709, si tratterebbe di datazioni relative a dei restauri. La Chiesa di Nostra Signora d’Itria risale alla metà del ‘700 e fu costruita dalla Famiglia Tirotto come ringraziamento alla Madonna per il ritorno di un familiare caduto nelle mani dei Saraceni. Numerose le chiese del territorio circostante: Santu Petru (San Pietro di Rudas), Santu Jagu (San Giacomo), Santu Filippu (San Filippo), Santu Lusunu (San Lussorio), Madonna della Pace situata nella borgata di Bonaita, dove ancora oggi vengono svolte feste campestri legate al mondo agricolo, alla protezione dei raccolti e dei lavori nei campi. A breve distanza dal centro abitato, il laghetto Santa Degna, è un luogo selvaggio e d’incantevole bellezza, circondato da sentieri impervi, sugherete e alture in granito. Queste ultime dominano la Valle della Luna, o Piana dei Grandi Sassi, un luogo affascinante dal profondo silenzio. Nella valle è possibile visitare una delle strutture nuragiche più imponenti e in miglior stato di conservazione di tutta la Sardegna: il nuraghe Izzana. Da non perdere il Museo Etnografico “Oliva Carta Cannas" e il Museo del Banditismo, il primo è dedicato all’esposizione di oggetti e arredamenti tipici legati all’ambiente domestico, al mondo della tessitura e alla quotidianità, il secondo raccoglie documenti e reperti relativi ai fuorilegge perseguiti durante la dominazione piemontese a causa delle loro attività di contrabbando.

Da gustare La gastronomia gallurese utilizza prodotti locali frutto della terra e dell’allevamento. Il piatto tipico più conosciuto e celebrato di Aggius è la zuppa gallurese “la suppa cuata”, preparata con fette di pane raffermo, alternate a fette di formaggio fresco, formaggio grattugiato, mescolato con prezzemolo e un pizzico di pepe. Il composto viene bagnato con brodo di carne e cotto in una teglia “cuata” (nascosta) sotto la brace o dentro un grande recipiente, chiamato “lu caldari”. A piacimento la si può accompagnare con un sugo di carne di vitello, “lu ghisatu”. Altri primi piatti tipici sono: gli gnocchetti “li ciusoni”, i ravioli di ricotta o formaggio “li bruglioni”; “li fiuritti” e “li taddarini”, sorta di tagliatelle. Tra i secondi invece sono da segnalare: il capretto in umido “in brudittu”, la “faa oglia” preparata con bacelli interi di favette fresche, lardo salato e carne di maiale e la “faa cun laldu”, tipico del giovedì grasso, preparato con fave secche, carne di maiale sotto sale e foglie di cavolo verza. Da non dimenticare i formaggi a pasta filata come “lu zucchittu” e “la panedda” e formaggi a pasta cruda come “lu casgiu ruzu”. Dai latticini nasce “la mazzafrissa” (panna mantecata con semola). Si può mangiare semplicemente da sola, con l’aggiunta di zucchero o miele, o come condimento per gli gnocchetti e le favette fresche. Se a fine cottura si aggiunge del formaggio vaccino fresco tagliato a dadini, si ottiene un altro piatto della tradizione aggese chiamato: “lu casgiu furriatu”. Tra i dolci fritti tipici del carnevale ricordiamo “l’azzuleddi”, treccine di pasta, “li bruglietti” o chiacchiere, e le immancabili frittelle “li frisgioli longhi”. Tipiche del periodo pasquale sono le formaggelle “li casgiatini”, e le pesche di marmellata “li pessighi”.“Li papassini”, “la tulta” e “lu pani di saba” (mosto cotto) e “li cuzzuleddi” vengono preparati per la commemorazione dei defunti. In occasione di “lu pulchinatu”, uccisione e lavorazione del maiale, si sfornano “l’ozatini” con pasta di pane e grasso di maiale (jelda). Chiudiamo infine con “lu melisagru”, una melassa ottenuta dalla bollitura di acqua e miele con scorze d’arancia, da accompagnare con ricotta fresca, formaggi stagionati o con la “casgiulata”, conosciuta nel resto della Sardegna col nome di “seadas”. Meritano una menzione i vini, i rossi ottenuti da vari vitigni autoctoni (Carigaggjola, Nieddu 'addosu, Pascali di Cagliari, Ritaddatu, Culipuntu, Barriatoggja), mentre i bianchi degni di nota sono il Vermentino e il Moscato.

Cosa fare Aggius conserva un vasto patrimonio di tradizioni e cultura popolare. La festa patronale in onore di Nostra Signora del Rosario e di Santa Vittoria, la prima domenica di ottobre, ha ancora un’appendice tutta profana nella così detta “festa di li Agghjani”, ovvero degli scapoli.









Aglientu











DA CASTRO A SANT’ANTONIO DI GALLURA

Sant’Antonio di Gallura E'

necessario costruire una storia che non sia semplicemente storia dei fatti, ma che sia un recupero di avvenimenti della cultura, delle consuetudini, delle tradizioni popolari, delle credenze e dell'immaginario. Il recupero della memoria è il presupposto culturale perché si ritorni ad essere comunità e la comunità accoglienza. C'era una volta è un piccolo capolavoro, un prezioso e raffinato scrigno di tesori che sono la nostra storia, qualcosa che deve essere insegnato a chi la memoria l'ha persa o non vuole averla. La memoria è il seme che ha fatto crescere le radici di ogni voce, mai disperderne i contenuti e provare sempre a ricordare ogni cosa. C'erano una volta tanti bambini con pochi giochi e diversivi, ma circondati da un bagaglio incalcolabile di emozioni. Ad intrattenere le lunghe serate invernali davanti a lu fuchili o nelle calde serate estive in lu ghjannili o pastrucciali c'erano i nonni e gli anziani del vicinato a raccontare le antiche storie dell'isola, leggende popolate da anime vaganti tra il mondo terreno e quello ultraterreno: sacro e profano fusi in un'unica emozione. In un isola magica e misteriosa come la Sardegna, l'eco di tradizioni sussurrate da secoli vive e si fa udire ancora oggi, soprattutto in quei centri lontani dalla costa, in cui l'isolamento rallenta la scomparsa di antiche abitudini e credenze. Ecco uno dei racconti scritti durante un laboratorio di storytelling che riporta alla memoria la nascita del piccolo paese di Sant'Antonio di Gallura narrata e tramandata da Paolo Pani, abitante ed amante del centro gallurese.

Quanti erano gli abitanti di Sant’Antonio quando il 5 novembre 1907, il Vescovo di Tempio mons. Antonio Maria Contini, firmava la bolla che istituiva la parrocchia di Sant’Antonio Abate? Pochissimi. Esistevano, quasi certamente, solo poche abitazioni. Alcune di queste erano state costruite nei primi anni del 1900, quando già si incominciava a parlare con cognizione della futura parrocchia e soprattutto dopo il 18 gennaio 1905, quando la signora Liciosa Russino donò alla chiesa il terreno. Notizie certe iniziamo ad averle solo dal 1911 in poi, grazie al lavoro intelligente del secondo parroco Don Antonio Fureddu, benemerito sacerdote affetto da tubercolosi contratta durante lo spegnimento di un incendio scoppiato nelle vicinanze del paese e andato via da Sant’Antonio nel 1919 costretto dal vescovo che sperava di poterlo strappare alla morte, avvenuta qualche mese dopo a soli 39 anni nella sua casa di Nulvi. Fu l’autore di due importanti manoscritti conservati nell’archivio parrocchiale intitolati l’Anagrafe e lo Stato Civile. Da detti documenti apprendiamo che i fedeli della nuova parrocchia nel 1911 erano in tutto 1322, 250 dei quali abitavano nei comuni di Tempio (oggi Arzachena), di Luras e di Olbia (oggi Pirazzolu e Lettu di Fica): un terzo dell’intera popolazione del Comune di Calangianus che contava allora 4438 abitanti. E dei 1322, 1250 risiedevano negli stazzi, divisi in 220 famiglie. A Sant’Antonio c’erano appena 72 abitanti, divisi in 17 famiglie così composte: Giovan Matteo Mannu 7 persone, Salvatore Scanu 8 persone, Luca Ghilardi 5 persone, Martino Calzoni 5 persone, Giovanni Gerolamo Orecchioni 8 persone, Gavino Cucciari 5 persone, Martino Ruzittu 4 persone, Pietro Luciano 3 persone, Pietro Pirina, Giovanni Mariano, Pasquale Cucciari e Paolo Natale Nicoli 2 persone, Lorenzo Mariano viveva da solo.

Per un piccolo borgo la richiesta di una parrocchia era da ritenersi quasi impossibile da esaudire. Eppure, grazie all’impegno costante, alla volontà ed alla forza, talvolta inspiegabile della Fede, i pastori della zona, guidati da Matteo Mannu, da Giacomo e Antonio Ruzittu, da Giovan Matteo Mannu, da Francesco Abeltino Azzena e altri, riuscirono nella difficile impresa. Contravvenendo anche alla regola generale e consolidata che fossero le autorità religiose e statali, all’insaputa dei pastori, ad istituire le parrocchie rurali come successo in precedenza. Quando nacque questo sito, intorno al quale si sarebbe sviluppato poi il paese, nessuno sapeva, a parte la strategica posizione, che a qualche centinaio di metri, ai piedi di Lu Naracu, era esistito un antico villaggio medievale chiamato Villa de Castro. La sua esistenza è documentata da due


importanti documenti: il Liber Fondachi del 1317 ed il Compartiment de Sardenya del 1358. Dalla cartella fiscale di castro che parla di 11 lire e mezzo, imposta fondiaria dovuta ogni anno, si può calcolare una popolazione tra i 50 ed i 100 abitanti, pari a 13-15 famiglie. Da un altro documento del 1421 si apprende che Castro è andata incontro all’estinzione tra il 1360 e il 1380. Riguardo la sua ubicazione in molti non seppero spiegarla, Soltanto Dionigi Panedda, attento studioso di Olbia nel 1988 dopo uno scrupoloso esame del luogo e degli elementi disponibili,avanzava l’ipotesi che l’edificio sacro di Sant’Andrea potesse essere quanto resta dell’antico villaggio medievale di Castro, sorto in precedenza ai piedi di Lu Naracu. Per confermare l’ipotesi però, mancava ancora una prova ufficiale, una scoperta, un reperto che confermasse l’intuizione. Quanto basta per confermare l’ipotesi del professor Panedda : Sant’Antonio deve essere considerata l’erede e la continuazione della medievale Castro. E chissà che un giorno i santantonesi non desiderino riesumare per il loro paese, l’antico nome !

Proprio nel maggio 1995, qualche anno dopo la sua morte, durante il restauro della chiesa di Sant’Andrea, la Soprintendenza Archeologica per le province di Sassari e Nuoro dovette intervenire con urgenza perché qualcosa di molto interessante stava affiorando all’interno della chiesa. Lo scavo, con grande emozione di Paolo Pani che ne dirigeva attentamente i lavori, ha riportato alla luce cinque individui adulti. Uno di questi aveva un anello, forse di rame, al dito anulare della mano destra e, in bocca, una moneta illeggibile. Vennero rinvenute altre monete, due minuscoli cerchi in metallo, probabilmente asole, due bottoncini sferici con appiccagnolo d’argento risalenti, senza ombra di dubbio al medioevo, un anello d’oro con pasta vitrea azzurra in castone esagonale ed un denaro minuto di zecca genovese a nome di Corrado Re risalente al XII-XIII secolo.

A voi Zio Paolo, che avete dedicato anima e cuore al vostro paese, che spero un domani ve ne dia merito. Continuate a raccontare e tramandare sempre i vostri ricordi e le vostre memorie, solo così avremo una nostra storia! ROBERTA CUCCU

www.santantoniodigallura.it



























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