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LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA GLI INTERVENTI (conclusione)
ANNO XI N.RO 4 del 01/04 /2015
Pag. 1. Pag. psicologica 2. Aspettando l’invasione 3. Minaccia turca 5. Il teatro romano 6. Racconto 7. Dialogo intereligioso 8. Antonio Tammaro 9. Tommaso Guardati 10.Una donna nella storia 11.Il ministro e il consul. 12.L’angolo del cuore 13.Letizia Battaglia 15.Il Bomba ha colpito 16.Carlo Culcasi 17.Pagina medica 18.I grandi pensatori 19.La rappres. della viol. 20.Io la vedo così 21.Landini 22.Le carni di manzo 23.Isotta la bionda. 24.Storia della musica 25.Politica e Nazione 27.Lauree in famiglia 29.Le lavannare 30.Museo dioces.Salerno 31.L’amore è una cosa... 32.Regimen sanitatis sal. 33.Lettera d’un professore 34. Bando Conc.Mater Dei 35.Tenerezze di Giuffrida 36.Redazioni e riferimenti
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Le rappresentazioni che gli operatori, in quanto adulti, hanno dell‟adolescenza, costituiscono necessariamente il retroterra su cui si basa l‟operatività dei servizi, e determina la qualità delle relazioni che essi riescono, o non riescono, a stabilire con gli adolescenti. I servizi per gli adolescenti rappresentano un osservatorio privilegiato per comprendere gli atteggiamenti e le strategie comunicative tive degli adulti nei confronti degli adolescenti; essi rappresentano un territorio dal quale è possibile ricavare informazioni che non riguardano solo le modalità operative, ma che hanno un valore esplicativo più generale in quanto rimandano agli atteggiamenti culturali nei confronti dell‟adolescenza. Avanza una proposta classificatoria dei servizi rivolti agli adolescenti, che parte dalla individuazione di alcune parole-chiave, che sono rinvenibili nelle pratiche di lavoro con gli adolescenti e che determinano le modalità di rapporto instaurate con l‟utenza e strutturano le pratiche operative dei servizi: Disagio – L‟enfasi posta sul disagio e sul rischio quali aspetti intrinsecamente connessi all‟adolescenza, deriva da una lettura dei rapporti intergenerazionali fondata sulla sostanziale inade-guatezza dei soggetti in via di sviluppo. L‟adolescente, quale potenziale portatore di difficoltà, viene assunto quale destinatario di interventi atti a contrastare l‟espressione di tale disagio. Rischio - la categoria del „rischio‟ viene elaborata a partire dalla medesima logica sottostante a quella del “disagio”: il soggetto e non la situazione è ritenuta „a rischio‟. Questa lettura dello adolescente comporta il pericolo di una patologizzazione della condizione adolescenziale in quanto tale. Ascolto – Il paradigma dell‟ascolto trova, oggi, una notevole diffusione nelle pratiche dei servizi socio-educativi con gli adolescenti. L‟affermarsi di questo paradigma è connesso con il riconoscimento sociale dell‟adolescente quale soggetto portatore di bisogni ed identità specifiche, un riconoscimento che sollecita gli operatori ad una attenzione verso la soggettività dei giovani e le loro modalità di vita. 1 In conclusione, l‟adolescenza rappresenta la pre-immagine di un futuro che ci riguarda molto da vicino. Essa è la specchio delle anticipazioni dei fenomeni di disagio sociale, una sorta di allarme per quel “mal du siècle”, che determina quelle esagera-zioni distruttive, che potrebbero essere imputate alla nostra insensibilità ed alla nostra incapacità di educare. Purtroppo, già da tempo non si trasmettono ai giovani valori costruttivi e tutto avanza sulle ceneri del focolare e della famiglia. La televisione ha preso il posto della scuola, che si è andata sempre più impoverendo di contenuti e di finalità formative. Leggi maldestre hanno ucciso la figura del maestro ed è venuta meno quella sorta di alfabetizzazione alla vita, fondata sulla parola, che ricalcava le voci familiari, in un continuo di-scorso di azione concorde e benefica. Nel contempo, sono saltati i ruoli genitoriali e, la donna ha buttato via la femminilità sacra di madre, mentre l‟uomo è letteralmente scomparso nella nebbia del disagio del dopoguerra. Cosa fare? A prima vista, il degrado appare irreversibile, co-me l‟inquinamento dei fiumi, l‟avvelenamento costante e bestiale del pianeta su cui viviamo. L‟uomo sembra spinto da una bestialità inusitata, che lo rende cieco e sordo ad ogni avvisaglia di pericolo. Ma se reimpareremo a seguire le vie del cuore, comprendendo i limiti delle fantasie tecnologiche, nonché delle politiche a forte idiosincrasia sociale, forse avremo ancora un futuro per i nostri figli. (Dal prossimo numero: La psicologia della vecchiaia) 1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA, pag. 125- 126 A.I.T.W. ed. SA. 2013 – Cod. SBN: IT\ICCU\MOD\1622636 – Scaricabile in e-book su Google play, cod. GGKEY:1T4J30FQB8Z E
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ASPETTANDO L’INVASIONE DI PRIMAVERA Per un momento – lo confesso – ho pensato di essermi sbagliato sullo spessore di Matteo Renzi. Non aveva trovato il coraggio di chiedere l‟intervento della NATO per difendere l‟Italia dalle minacce esplicite che le giungono dalla Libia, ma almeno – riflettevo – aveva avuto le palle per andare a Mosca a chiedere sostegno al Grande Dittatore inviso al Grande Alleato americano. E il Grande Dittatore – Politico con la P maiuscola – era stato ben lieto di impegnarsi seduta stante ad appoggiare in sede ONU ogni iniziativa a tutela delle ragioni italiane. Anche perché – aggiungo – l‟ISIS è nemico dei suoi amici mediorientali (iraniani e siriani). Naturalmente, si sarebbe dovuto iniziare da quella che è la minaccia più grave e imminente: il milione di migranti che gli uomini del Califfato custodiscono in Libia, e che a primavera scaglieranno contro le coste siciliane. Non è un mistero. Lo sanno tutti: CIA e nunzi apostolici, pii petrolieri dell‟Arabia Saudita ed altrettanto pii concorrenti del Qatar, ONG americane e lobby israeliane e, naturalmente, le molte “antenne” che i nostri servizi segreti – nonostante tutto – conservano ancora a Tripoli e a Misurata. Così come tutti sanno (anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo) che una percentuale non so quanto grande di questo milione sarà formata da “soldati” jihadisti, mandati in Italia perché fungano da quinta colonna in vista di future azioni militari. Quali? Difficile dirlo. Ci potrebbe essere – Dio non voglia – un tentativo di conquista della Sicilia, calcando le orme dell‟invasione islamica già realizzata nel Medio Evo. O ci potrebbe essere il tentativo di un‟azione dimostrativa su Roma o contro il Vaticano. D‟altro canto, le nostre strutture di pubblica sicurezza sono in ginocchio, falcidiate dalle riduzioni di personale e dai “tagli lineari” che le privano anche dell‟indispensabile. Il contesto è a tal punto drammatico, che l‟ONU – attraverso il suo inviato Bernardino Leòn – si è espressa preventivamente, non più tardi di un paio di giorni fa, per un blocco navale dell‟Unione Europea alle coste libiche; un blocco che impedisca l‟arrivo in Italia di quella “bomba” migratoria. È una misura utile a tutelare l‟Italia, ma è anche una misura profilattica contro una possibile strategia ISIS che volesse portare la guerra in Europa. Ebbene, a questo punto, quando le parole dell‟inviato ONU sembravano un provvidenziale “assist” per venire in soccorso dell‟Italia, ecco che gli uomini del governo Renzi si precipitavano a gettare acqua sul fuoco. Iniziava il Ministro degli esteri Gentiloni,
Avvilente nel suo tentativo di minimizzare ogni cosa, contrario all‟ ipotesi di un blocco che potesse ostacolare l‟azione di soccorso ai migranti; anzi, ha puntualizzato l‟Incredibile Hulk, l‟ Italia fa già la sua parte ed auspica soltanto che l‟ Unione Europea le dia una mano più energica. Per che fare? Ma, perbacco – ci scommetto – per traghettare con più tranquillità il milione di profughi in territorio italiano! Gli ha fatto sùbito eco la diafana Mogherini, quella vaga fanciulla – si ricorderà – che il Vispo Tereso è riuscito fortunosamente a piazzare come “alto rappresentante per gli affari esteri” dell‟UE. No – ha detto la Mogherini – nessun blocco navale. Non ha aggiunto che il milione di migranti è il benvenuto, ma non ce n‟era bisogno. E Renzi, il “duro” che è andato a chiedere il sostegno di Putin? È semplicemente sparito dalla circolazione. Si occupa di Job Act e di rapporti con la minoranza del suo partito, e sembra ignorare completamente il problema del Califfato e del milione di migranti che si apprestano ad invaderci. Evidentemente, Qualcuno gli ha tirato le orecchie, e il discoletto ha promesso di non farlo più. Chi potrebbe essere stato questo Qualcuno? Non so. Forse qualche suo amico finanziere particolarmente sensibile alle esigenze di Israele (che non è nemica dell‟ISIS); forse qualche personaggio vaticano che sogna una nuova omelia di Papa Bergoglio a Lampedusa; o forse, più semplicemente, qualche tirapiedi dell‟Ambasciata americana, o qualche latitante della NATO. Fatto sta che il nostro sembra rientrato disciplinatamente nei ranghi. E la Sicilia, rassegnata, aspetta l’invasione di primavera. MICHELE RALLO [Da “OPINIONI ERETICHE”]
___________________ Michele Rallo è stato segretario provinciale del Msi e Coordinatore provinciale di AN. È stato eletto la prima volta nel 1994 alla Camera dei deputati nel collegio di Trapani per il Polo del Buon Governo, aderendo al gruppo di Alleanza Nazionale ed è componente della Commissione Esteri. Viene rieletto nel 1996 per il Polo della Libertà e fa parte delle commissioni Esteri, Politiche dell'Unione Europea, Attività Produttive.Non si ricandida nel 2001 e torna agli studi storici. Ha infatti pubblicato diversi volumi sulla storia contemporanea dell'Europa Orientale e dei movimenti nazionalisti tra le due guerre mondiali.
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MINACCIA TURCA ed abbandono dell’isola
(parte V)
Le Egadi rimarranno prive di popolamento stabile e quasi del tutto deserte per l‟intero periodo medievale ad esclusione delle presenze eremitiche, della tonnare e del castrum. Esse sono però estremamente vicine alla costa trapanese e marsalese e sono posizionate lungo le più importante rotte marittime, possono essere un importante luogo di riparo e di rifornimento d‟acqua per flotte nemiche e pirati. Diviene quindi necessario, per chi detiene il potere sulla costa, controllare militarmente l‟arcipelago, in particolare Favignana, ed erigere fortificazioni. La storia di queste isole è quindi strettamente legata a quella di Trapani poiché, quest‟ultima e tutta la costa occidentale della Sicilia, senza il loro controllo, sarebbero in serio pericolo. I trapanesi saranno per secoli padroni delle Egadi e da Trapani partiranno i rifornimenti per il castello di Favignana. Favignana e Levanzo erano congiunte alla Sicilia fin dalla fine del Pleistocene. Gli abitanti, che svolgevano attività di raccolta e di caccia, lasciarono traccia delle loro attività nelle numerose grotte e nei ripari sotto roccia delle due isole. A tal proposito si citano le incisioni della grotta di Cala del Genovese a Levanzo. Dal ritrovamento e dalla conseguente datazione degli utensili epigravettiani degli strati inferiori, si individua il primo utilizzo della grotta intorno al 9230 a.C.1 Nel Neolitico le due isole ritornano ad essere tali e diminuiscono quindi le testimonianze storicoarcheologiche riducendosi a sporadica ceramica neolitica impressa e alle celebri pitture, databili al periodo neo-eneolitico, della Grotta del Genovese. La presenza punica nelle Egadi, documentata in particolare per Aegusa, fu di carattere strategicomilitare poiché estremamente vicine a Mozia e alle rotte per l‟Africa. La prosperità di queste isole è accertata per l‟età romana imperiale quando, a Favignana, si sviluppa un nucleo urbano. Viene segnalata infatti, in diverse località dell‟isola, ceramica di IV-VI sec. d.C. Molto ricca è la documentazione numismatica di fine IV – inizio V sec. d.C. ma di provenienza quasi sempre incerta. La documentazione archeologica confermerebbe quindi l‟affermazione di Nepoziano che, parlando delle Isole Egadi, le definisce “opulentissimae”.
È probabile che l‟aumento della popolazione sia legato all‟arrivo di profughi africani sfuggiti alle persecuzioni dei vandali e dal clima di insicurezza legato alla presenza ariana in Africa e in Sicilia1. Gli scavi mostrano una frequentazione tardoantica e bizantina dell‟arcipelago ma non hanno ancora permesso di precisare le caratteristiche e la consistenza dell‟occupazione. La presenza monastica sulle Egadi, prevalentemente per Favignana, e precedente alla conquista islamica, potrebbe essere confermata dal nome arabo dell‟isola, Gazirat ar-rahab “l‟isola del monaco” o “l‟isola del romito”, che Ibn Khurdardhibih attesta già nel IX secolo d.C1. Le isole minori furono spesso utilizzate come luogo d‟esilio come era solito in periodo tardo antico e bizantino. Il nome arabo di Favignana è quindi legato al fatto che probabilmente nell‟isola esistessero più insediamenti eremitici. È probabile che, in seguito alla scorrerie saracene che sfruttarono le isole come approdo o nascondiglio, che la presenza umana nell‟arcipelago egadino cominciasse a diminuire fino a quasi sparire. Le Egadi quindi si trovarono estremamente esposte alla minaccia saracena. Successivamente alle numerose scorrerie islamiche, anche Lipari e Pantelleria subirono un lungo periodo di spopolamento tra l‟XI e il XII sec. Per Favignana, Levanzo e Marettimo, invece, il lungo periodo d‟abbandono continuò quasi fino all‟età moderna. Gli abitati stabili delle isole Egadi, archeologicamente documentati fino al VI secolo per Favignana e oltre per Marettimo, cominciano a rarefarsi tra la tarda antichità e il medioevo con l‟arrivo dei musulmani nel Mediterraneo. L‟avanzata islamica, infatti, rese le isole trapanesi terra di nessuno in balia delle flotte musulmane. L‟insula opulentissima diventa così luogo di commercio di schiavi. Nel XVI sec. il Pugnatore affermerà che Favignana (in quel periodo acquistata dal vicerè Pescara per allontanare i corsari, anche facendovi edificare rocche e torri)1 fosse stata abbandonata negli ultimi anni di regno di Ferdinando il Cattolico (1468-1516)a causa dei turchi e che le sue coltivazioni si fossero ben presto trasformate in rigogliosa boscaglia. “Né solamente alla fine venne per cagion de’
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Antropos in the world corsari a mancar il commercio di Trapani. Ma i padroni anco dell’isole Favignane incominciarono, per tema di loro, e particolarmente del Giudeo, che fu già circa a cent’anni sono, siffattamente ad abbandonarle che eglino non ne prenderono più né frutto, né commodo, alcuno. Onde elleno per cagion degli arbusti, che quivi nacquer tostamente per tutto, se ne inselvaggirono in guisa che vennero (e particolarmente la Favignana) piene di cacciagione non pur d’intorno a’ suoi colli, ma anco nel mezzo della piana campagna, la quale già arar e coltivar si soleva.”1 Lo stato di abbandono dell‟isola, evidente nell‟Alto Medioevo non cessa del tutto neanche quando le conquiste di Ruggero II creano una nuova unità politica tra le due sponde del Canale di Sicilia. Nel IX secolo Ibn Khurdardhbih riferisce che in passato (presumibilmente in età romano-bizantina) a Favignana venivano castrati gli schiavi; ma le testimonianze archeologiche sono assai scarse e di dubbia interpretazione, anche se non si può escludere “una presenza monastica d‟epoca normanna anche a Favignana”1. Idrisi parla di Favignana indicando la presenza di buoni porti e di sorgenti d‟acqua dolce (“nella spiaggia che guarda tra mezzogiorno e levante trovansi dei porti, né quali sorgono navi: avvi inoltre un ancoraggio, e de‟ pozzi d‟acqua dolce”) e di Marettimo come isola abitate da sole capre e priva di porto1. Gli scavi condotti dalla Ardizzone1 affermano, in realtà, una ripresa di occupazione del sito nella prima età normanna con la costruzione, nel XI sec., della chiesetta bizantina di Marettimo. Inoltre il ruolo di scalo marittimo per Merettimo è indicato nell‟Itinerarium Antonini1 e nel Medioevo è segnalato in portolani come il Liber de existencia riveriarum, redatto a Pisa nel XII sec.1 e il Compasso de Navegare1 Ibn Giubayr riporta, trent‟anni dopo Idrisi, la presenza di un romito che viveva in un castello sul monte più alto di Favignana, a suo dire, unica presenza umana sull‟isola1. Pochi sono poi qui indizi di una presenza umana in età federiciana nell‟arcipelago, fatta eccezione per il complesso di Marettimo, periodo in cui queste isole venivano utilizzate dai cacciatori alla ricerca di falconi1. D‟età angioina sono le prime attestazioni della presenza di una tonnara e di un castrum demaniale di Favignana. A partire dal Vespro, quindi, l‟antica Aegusa riacquista la sua rilevanza strategica divenendo punto di approdo lungo la rotta da e per Barcellona. _______
1 ASHTOR 1982, pp. 29-30
2 PUGNATORE, V 20, pp. 179-180. 3 PUGNATORE, IV 36, p. 140-141. 4 MAURICI 2005, pp. 22-229. 5 AMARI, I, pp. 52-53; MAURICI 1995. 6 ARDIZZONE - DI LIBERTO, pp. 413 - 447. 7 Itinerarium Antonini nell‟edizione di MILLER, p. LXVII, 492-493; cfr. MAURICI 2002, p. 196. 8 GAUTHIER DALCHÈ, p. 175. 9 Nell‟edizione di MOTZO, pp. 98-99; 107;109-110; 112. 10 AMARI, I, p. 167: Favignana è denominata “‟ar Rahib, così detta da un romito dimorante su la sommità, in una specie di castello che v‟ha. Questo offre luogo d‟agguato a‟ nemici. Le altre due isole sono disabitate: in questa non vive se non che il monaco suddetto”. 11 MAURICI 2002, p. 203.
Dott.ssa Paola Leo
[Da le grotte e l’insediam. medievale di Favignana]
ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI ________ Il Mart, in collaborazione con l'Ufficio dei Beni archeologici della Provincia autonoma di Trento, organizza per il 17-18 aprile 2015 un convegno dedicato alla figura di Carlo Belli. Il convegno è la conclusione del progetto di inventariazione del Fondo Carlo Belli avviato nel 2012, in collaborazione con il Museo Civico di Rovereto, e co-finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Dopo gli studi condotti su Carlo Belli, teorico dell‟astrattismo italiano, amico degli architetti razionalisti, critico e pittore, il convegno di Rovereto approfondisce il forte interesse di Belli per l‟archeologia, punto di snodo anche simbolico della sua eclettica attività. A Belli appassionato di archeologia si ispira la prima parte del convegno, che si apre venerdì 17 aprile alle ore 15.00, intitolata Carlo Belli, l’archeologia, la tutela del passato, che si avvale del contributo specifico di importanti archeologi, da Licia Borrelli Vlad, già ispettrice centrale per l'archeologia presso il MIBAC, a Aldo Siciliano, presidente dell‟Istituto per la Storia e l‟Archeologia della Magna Grecia, a Maurizio Paoletti, professore associato di Archeologia Classica dell‟Università della Calabria. Alla seconda sessione, sabato 18 aprile dalle ore 9.00, è affidato il compito di indagare l‟ampia sfera di interessi di Carlo Belli tra passato e modernità, con la presenza di storici dell‟arte, dell‟architettura e della musica, da Giuseppe Appella a Giovanni Marzari a Cosimo Colazzo. Il convegno sarà arricchito dalla esecuzione di un concerto - Musica astratta musa. Omaggio a Carlo Belli - che si terrà venerdì 17 aprile alle ore 18.30, ospitato dalla Associazione Mozart Italia presso Casa Mozart in via della Terra 48 a Rovereto.
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IL TEATRO ROMANO a cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Negli ultimi decenni della repubblica, si assiste a una grande crescita di interesse verso il teatro, che ormai non coinvolge più solo gli strati popolari, ma anche le classi medie e alte, e l'élite intellettuale. Cicerone, appassionato frequentatore di teatri, ci documenta il sorgere di nuove e più fastose strutture, e l'evolvere del pubblico romano verso un più acuto senso critico, al punto di fischiare quegli attori che, nel recitare in versi, avessero sbagliato la metrica. Accanto alle commedie, lo spettatore latino comincia ad appassionarsi anche alle tragedie. Il genere tragico fu anch'esso ripreso dai modelli greci. Era detta fabula cothurnata (da cothurni, le calzature con alte zeppe degli attori greci) oppure palliata (da pallium, come per la commedia) se di ambientazione greca. Quando la tragedia trattava dei temi della Roma dell'epoca, con allusioni alle vicende politiche correnti, era detta praetexta (dalla toga praetexta, orlata di porpora, in uso per i magistrati). Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio furono autori di tragedie, non pervenuteci. L'unica praetexta ("Octavia") giunta fino ai nostri giorni è un'opera falsamente attribuita a Lucio Anneo Seneca, composta poco dopo la morte dell'imperatore Nerone. Il massimo dei tragici latini si ritiene sia stato Accio, il quale, oltre a scrivere una quarantina di tragedie d'argomento greco, si avventurò nella composizione di due praetextae: Bruto e Decius, tratteggiando i caratteri di due eroi repubblicani romani. Seneca si distinse per lo spostamento del nodo tragico, dalla tradizionale contrapposizione tra l'umanità e le norme divine, alla passione autenticamente sgorgata dal cuore umano.
Lucio Anneo Seneca: TROADES (fabula coturnata - circa 20 d.C.) Seneca, in latino Lucius Annaeus Seneca, anche noto come Seneca o Seneca il giovane (Corduba, 4 a.C. – Roma, 65), è stato un filosofo,drammaturgo e politico romano, esponente dello stoicismo. Seneca fu attivo in molti campi, compresa la vita pubblica, dove fu senatore e questore, dando un impulso riformatore.Condannato a morte da Caligola ma graziato, esiliato da Claudio che poi lo richiamò a Roma, divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone, su incarico della madre Giulia Agrippina Augusta. Quando Nerone e Agrippina entrarono in conflitto, Seneca approvò l'esecuzione di quest'ultima come male minore. Dopo il cosiddetto "quinquennio di buon governo" (54-59), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, l'ex allievo si trasformò progressivamente in un tiranno, e Seneca, forse implicato in una congiura contro di lui (nonostante si fosse ritirato a vita privata), cadde vittima della repressione, costretto al suicidio dall'imperatore.Seneca influenzò profondamente lo stoicismo romano di epoca successiva: suoi allievi furono Gaio Musonio Rufo (maestro di Epitteto) e Aruleno Rustico, nonno diQuinto Giunio Rustico, che fu uno dei maestri dell'imperatore filosofo Marco Aurelio. TRAMA DELLA COMMEDIA –
Narra le vicende, dopo la distruzione della città di Troia, di Polissena e Astianatte. Pirro vuole uccidere Polissena. Achille, padre di Pirro, aveva infatti chiesto il sacrificio della fanciulla nel caso fosse morto per avere il sangue di lei unito alle sue ceneri. Nonostante l'opposizione di Agamennone riesce nel suo intento. Ulisse invece vuole uccidere Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, per timore che questo, una volta diventato adulto, possa ricostruire Troia. Andromaca cerca di nasconderlo ma Ulisse con ingegnoso tranello riesce a farselo consegnare e lo getta dall'unica torre superstite alla distruzione della città. SINOSSI: TROADES è una tragedia di Seneca, di modello euripideo, ispirata a Le Troiane .Le tragedie di Seneca sono le sole opere tragiche latine pervenute in forma non frammentaria, e costituiscono quindi una testimonianza preziosa -5-
sia di un intero genere letterario, sia della ripresa del teatro latino tragico, dopo i vani tentativi attuati dalla politica culturale augustea per promuovere una rinascita dell'attività teatrale. In età giulio-claudia (27 a.C.– 68 d.C.) e nella prima età flavia (69–96) l'élitei stelle-tuale senatoria ricorse al teatro tragico per esprimere la propria opposizione al regime (la tragedia latina riprende un aspetto fondamentale in quella greca classica, ossia l'ispira-zione repubblicana e l'esecrazione della tirannide).
ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO SEDE SOCIALE in Via Cantarella
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DIECI MENO NOVE Racconto
La cavalcatura era un lusso per i nobili e un castigo per chi doveva lavorare; i poveri e i frati dovevano andare a piedi: Frate Silvestro e fra Sisto, come spesso accadeva, lasciavano il convento e si recavano nelle vicine contrade per salvare qualche anima e portare conforto ai bisognosi. Lungo la strada recitavano qualche preghiera; dopo di che, frate Silvestro copriva la monotonia del percorso con detti di grande utilità per il vivere quotidiano e, al di là delle concrete circostanze, faceva riferimento alle virtù umane contenute nel libro sacro e negli scritti di Aristotele. Applicando i riferimenti dottrinali alle esperienze dei singoli ricostruivano in parte gli aspetti fatiscenti della natura. Fra Sisto assorbiva gli insegnamenti del socio e, completando gli argomenti con concreti propositi, riceveva gli elogi del confratello. Partirono di buon ora e, quando il sole volgeva al declino, presero la strada del ritorno. Giunti che furono al punto in cui il torrente divideva il territorio in due parti, incontrarono una contadinella che era andata alla ricerca di un poco di legna e, dovendo ritornare, trovò un ostacolo che la bloccò al limitare del ruscello: la pioggia, alimentando il torrente, aveva portato via il ponte che univa le due sponde. Fra Silvestro subito disse: “Ahi! Ahi! E adesso come facciamo?”. Con uno sguardo di compassione rivolto alla ragazza esclamò: “Da quanto tempo sei qui? Verrà qualcuno per portarti via?”. “Solo il Signore si preoccuperà di me!”. “E pensi proprio che s‟interessi delle nostre sventure?”. La maldestra osservazione trovò la sua collocazione nel casellario degli alibi dei frustrati. “Aspetta e abbi fede!”. Il fratello, giovane ed aitante, si mise in ginocchio, se lo caricò addosso e lo portò all‟altra riva. La stessa cosa fece con la giovane. Indi ritornò ancora una volta indietro per recuperare la fascina degli sterpi che la donna aveva raccolto nel bosco. Un inchino, poche parole e un sorriso furono le espressioni di commiato. Lungo la rimanente strada del ritorno Fra Silvestro disse: “Fratello, come ti senti?”. Il giovane immaginò che il compagno si riferisse alla buona azione compiuta. E invece si sbagliava. Dopo una breve pausa di silenzio: “Quando hai
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preso tra le braccia le morbide carni della ragazza, certamente avrai sperimentato le piacevoli sensazioni del sesso! Non mi dire che…”. Ancora una volta le domande e le osservazioni non trovarono riscontro. Ostinatamente, fino a sera inoltrata, l‟interrogatorio si concluse col riposo della notte. L‟indomani al suono della campana, fra Silvestro, anziché pensare alla recita delle Lodi, rivolto al fraticello: “Ieri non hai dato risposta alcuna al tuo turbamento, eppure…”. Fra Sisto, dolce e verecondo, sorridendo, arrossiva e, al tempo stesso, non osava mostrare il disaggio delle impertinenti insinuazioni. Dopo un mese l‟inchiesta non era ancora conclusa. Un‟ennesima insinuazione ebbe una certa risonanza: Dieci meno nove! E ripeté, ancora una volta: Dieci meno nove!. E così di seguito altre volte, fino a quando, il confratello gli domandò: “Cosa vuol significare dieci meno nove?” “Com‟è possibile sostenere che tra le tante meraviglie del creato, ci si debba attardare su una presunta trasgressione del sesto comandamento? Sì, è vero che ho preso la ragazza tra le braccia, ma l‟ho lasciata all‟altra riva; voi invece l‟avete presa e fatta prigioniera nella vostra mente e non l‟avete più lasciata. Vi ricordo che i comandamenti sono dieci, e non dieci meno nove”. Egidio Siviglia
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DIALOGO INTERRELIGIOSO Ricordiamoci che noi abbiamo “la Via, la Verità e la Vita”
Viviamo in una società multietnica, multiculturale e multireligiosa perciò è indispensabile acquisire una mentalità interculturale aperta al dialogo,al confronto,allo scambio interattivo tra persone diverse. Benedetto XVI ebbe più volte a ribadire la centralità del dialogo interreligioso come un “dovere” sia per i cristiani che per i fedeli di altre tradizioni. Ma perché il dialogo sia vero e fruttuososo, perché si possano riconoscere le differenze e i punti di incontro è necessario avere una propria forte identità culturale e religiosa;solo così le differenze possono giocare un ruolo positivo non discriminante, ed essere elementi di valorizzazione reciproca. Ora noi italiani,spesso lo dimentichiamo, abbiamo un singolare e provvidenziale privilegio che ci deriva dalla Bibbia. Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che il primo pagano a ricevere il battesimo da Pietro per ordine di Dio fu Cornelio,un militare di stanza a Cesarea Marittima della coorte italica: era dunque italiano. Dagli stessi Atti sappiamo che Dio fu ancor più categorico con Paolo nell'impedirgli la predicazione in Asia costringendolo ad andare a Roma,facendogli in sostanza spostare il baricentro della cristianità da Gerusalemme a Roma,dove Pietro,Paolo e uno stuolo di Martiri hanno versato il loro sangue per il Vangelo.Qualcuno ha voluto vedere rappresentato il cam-mino del Vangelo da Oriente ad Occidente nella traslazione della Santa Casa da Nazaret a Loreto. Orbene di tutto ciò dobbiamo tener conto. Anni addietro fu scomunicato - la scomunica è un provvedimento gravissimo e molto raro - un eminente teologo singalese per aver scritto su Maria e la liberazione umana. Dispiacque molto, anche perché era un Oblato di Maria Immacolata. Egli,in pratica,volendo dialogare con sincera partecipazione con i buddisti stravolse la nostra dottrina non riconoscendo la filiazione divina di -7-
Gesù, negando il battesimo, il peccato originale, l'infallibilità del Papa e, di conseguenza,i dogmi mariani. Come si vede il dialogo ad ogni costo è un dialogo a perdere che porta a identificare Gesù con Buddha o con Maometto. Un dialogo senza verità o che non parta dalla verità – afferma Mons. Negri – non è un dialogo: è un compromesso, è una connivenza, è un‟ignavia. Per quanto riguarda i musulmani - la cui presenza in Occidente è la più numerosa - sappiamo che sono rispettati e lasciati liberi nelle loro moschee:a Roma hanno la moschea più grande dell'Occidente. Ma sappiamo pure che nei loro paesi non è possibile costruire una chiesa (Riad) e le stragi di cristiani , le devastazioni delle loro chiese, in vari paesi musulmani sono, purtroppo, cronaca quasi quotidiana di questi tempi. I miliziani del Califfato usano addirittura una gigantesca “N” (l‟iniziale della parola Nassarah =Nazareno) per segnalare spregiativamente le case dei cristiani iracheni. E fra i tanti ricordiamo il vescovo Pierre Claverie,martire del sogno dell'unità fra musulmani e cristiani,fatto saltare in Algeria nel nome di Allah con lo stesso sistema usato dagli assassini dei giudici Falcone e Borsellino ed il vescovo Luigi Pavese, altro martire del dialogo con l‟Islam, ucciso in Turchia con 15 coltellate e decapitato dal suo autista, forse per alcune conversioni al cattolicesimo. Se è vero che gli appartenenti ai vari gruppi integralisti spesso non rispettano nemmeno i precetti coranici,come quando approfittano del Ramadan per uccidere,mentre il Corano vieta in questo mese il contatto col sangue - è altrettanto vero che quando possono - vedi il Sudan - attuano dei processi di Islamizzazione forzata in mezzo alle popolazioni cristiane. I musulmani,da noi,criticano il consumismo e l'irreligiosità, e molti perfino la “Caritas” di aiutarli allo scopo di convertirli.
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Vi sono stati,è vero, momenti forti di condivisione e di preghiera comune (Assisi 1986Roma 1996) ma in genere il dialogo è sempre a senso unico, sempre da parte cattolica; i musulmani, ad esempio, al massimo si dichiarano disponibili, ma mai che prendano l'iniziativa. Con questi ultimi, non c'è " par condicio " nemmeno nei matrimoni misti: mentre la Chiesa consente di sposare musulmani, il mondo islamico chiede ai cattolici di abiurare la propria religione. Per concludere, dialoghiamo con le altre religioni cristiane e non cristiane, arricchiamoci delle differenze ma ricordiamoci che noi abbiamo “la Via, la Verità e laVita” con le quali non dico non dobbiamo scendere a compromessi ma non avere neanche il più piccolo dei tentennamenti. In occasione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione Benedetto XVI ebbe a dire che “il dialogo è in misura della propria identità”. Renato Nicodemo
Antonio Tammaro e il Movimento artistico-culturale “Esasperatismo – Logos & Bidone” Per il centenario della nascita dell’artista ______ Tre cose mi piace ricordare di Antonio Tammaro, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita: la grande energia dell’uomo, la straordinaria emozione trasmessa dalle sue opere e il convinto contributo da lui dato al Movimento esasperatista. L’energia dell’uomo era sana, intatta, pura espressione della sua onestà intellettuale; trovava le sue radici nei valori antichi, nei sentimenti autentici del tempo andato, sentimenti di genuinità, schiettezza e sincerità. Mai ipocrisia, doppiezza o diplomatico perbenismo nei suoi rapporti con la gente: non si curava di dire, in ogni circostanza, la verità oggettiva di una situazione o di sostenere senza mezzi termini le sue verità, quelle di cui era fermamente convinto e di cui poteva ben sostenere la bontà, sia per intelligenza sia per esperienza.
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Era anche caloroso ed emotivamente coinvolto in ogni discussione, spesso anche passionale nel difendere le sue tesi. La straordinaria emozione che le sue opere, sia di pittura che di scultura, trasmettono, si spiega con la sua sorprendente capacità espressiva, nonostante la rapidità e la semplicità del tratto, o forse proprio per questo. Ed ecco emergere dalle sue tele affetti familiari lontani, nostalgicamente rievocati nell’animo e potentemente trasposti nell’arte. L’amore coniugale, la tenerezza di un padre, la premura di un nonno, la disponibilità di un amico: questi i sentimenti da lui evocati nei suoi lavori. Singolare il contrasto cromatico, che fa di lui un Artista unico, originale, irripetibile. Inconfondibile l’abbinamento bianco/nero delle sue figure, soprattutto femminili, senza altro colore, a significare e sottolineare quella cifra particolare del suo carattere univoco e deter-minato, senza mezze misure o mezzi termini, senza compromessi o equivoci. Il contributo all’Esasperatismo è stato più che convinto: fu uno dei firmatari del documento che sanciva la fondazione del Movimento artistico culturale di cui aveva già condiviso, in precedenza, il Manifesto. Volle testimoniare la sua adesione al messaggio esasperatista con molte opere; prima di tutto con la scultura in ferro del Bidone, simbolo dell’umanità sofferente, poi con dipinti che, di volta in volta,denunciavano le esasperazioni del suo tempo, evocavano aspetti peculiari di una società al precipizio, esortavano l’uomo a prender coscienza dei propri errori ed a porvi rimedio. Ricordo ancora il giorno in cui ricevette il Bidone d’oro per meriti artistici dal Movimento: nei suoi occhi lucidi lessi l’emozione di quel bambino che era rimasto intatto dentro di lui. C’è da sottolineare, infine, il filo conduttore che unisce questi tre aspetti del Maestro e, mi si consenta, grande amico Antonio Tammaro; si tratta di una dote rarissima dei suoi e dei nostri tempi, una sorta di substrato che legava insieme l’uomo, l’Artista, l’Esasperatista: la generosità. Ne sono testimoni fedeli la nipote, gli amici, i colleghi, le Istituzioni. A tutti dava con sorriso e sguardo dolce, curvando un po’ la testa, senza mai chiedere nulla in cambio del suo dare. Adolfo Giuliani __ ______________ Antonio Tammaro è stato un pittore e scultore napoletano che ha vissuto e lavorato per molti anni a Grosseto. Nato nel 1915, Tammaro è celebre a livello nazionale per aver partecipato a una Quadriennale romana (1955) e a una Biennale veneziana (1956), e per essere stato premiato da Argan al Premio Petroselli per la pittura (1992).
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L’AUTORE DEL MESE:
TOMMASO GUARDATI
( V parte )
Da “Masuccio in teatro”di Franco Pastore - ISBN IT\ICCU\NAP\0646027 – pag.16-18 Presso le Librerie universitarie di Padova, Pavia, Napoli, Modena e Roma
I personaggi sono inquadrati, secondo giudizi e pregiudizi di parte aragonese, in tre categorie: sesso, classe sociale, luogo di nascita. La donna, in genere dipinta come fedifraga e lussuriosa, traccia nelle biblioteche del Regno di Napoli e bisogna spostarsi al Nord per seguirne la tormentata vicenda editoriale. Dall'edizione del 1476, oggi perduta, Cristoforo Valdarfer nel 1483, stampò a Milano la seconda edizione e, un anno dopo, nel 1484, Battista de' Torti produsse a Venezia la terza edizione (IGI, 6267), sulla quale è esemplato, nel 1492, l' incunabolo pubblicato ancora a Venezia, per i tipi di Giovanni e Gregorio de' Gre-gori (IGI, 6268), nonché le numerose cinquecentine che si affol-larono nella prima metà del XVI secolo, tutte prodotte in tipografie veneziane, con interventi correttivi sul testo: le edizioni del 1522 e del 1525 aggiornano i destinatari di dieci novelle; l'edizio-ne detta "della Gatta",senza data,accorcia gli esordi e gli epiloghi moralistici di varie novelle. L' inclusione dell' opera già nel primo Index librorum prohibitorum del 1557- 59 segna il principio dell‟eclisse editoriale, inter-rotta nel 1765 da un' edizione stampata "a Ginevra" (in realtà a Lucca), annunciata dalla presenza di undici novelle scelte in un Novelliero italiano, allestito da G. Zanetti (Venezia 1754). Il rilancio in grande stile dell'opera si deve a Luigi Settem-brini, che ne approntò un'edizione a Napoli nel 1874. La filologia novecentesca non ha prodotto un'edizione soddisfacente. Alfredo Mauro ha allestito un'edizione critica (Bari 1940) basandosi, secondo giudizio personale, tanto sul testo milanese, il più vicino all'incunabolo napoletano perduto, quanto su quello veneziano del 1483, più toscaneggiante e venezia______________
1) Così intitolato "per la sua poca qualità", Novellino, p. 3
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Masutius neggiante. Giorgio Petrocchi, che pure scrisse pagine di critica filologica e letteraria tra le più convincenti su Masuccio, realizzò poi una edizione critica (Firenze 1957) non libera da contestazioni. Salvatore S. Nigro,che ha scandagliato, a più riprese il testo sul piano letterario, sul piano testuale s'è dedicato a riproporre la edizione Mauro riveduta e corretta (Bari 1975) e poi addirittura la edizione Settembrini (Mi. 1990). Tracce dell'opera del G. si rilevano nel Charon di Pontano, tra le carte di Leonardo da Vinci e nel Lazarillo de Tormes. Il gusto masucciano dell'orrido si ritrova in Girolamo Morlini, Matteo Bandello e Giovan Battista (Cinzio) Giraldi. Tommaso Campanella dette un giudizio moralisticamente negativo dell'opera del Guardati, mentre l'abate Giovan Battista Casti trasse dalla novella I la XXXVIII delle sue Novelle galanti.
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LA DONNA NELLA STORIA - A cura di Andropos -
LIDIA BELLODI
“Avevamo la casa a pezzi ma c’eravamo tutti, eravamo salvi” Per cosa? Per questa Italia incapace che ci affama? A volte la storia gioca strani scherzi. E sicuramente protagoniste della storia sono state Lidia Bellodi e le altre 200 donne bondenesi che il 18 febbraio 1945, assaltarono il municipio di Bondeno, distruggendo i registri di leva della Rsi, impedendo che tanti giovani del comune venissero chiamati a combattere per i nazifascisti negli ultimi mese della seconda guerra mondiale. “Era il 18 febbraio del 1945, l’appuntamento era per le 10 di mattina in piazza. Fu lì che trovai le donne. Si avvicinò la mia amica Silvana: «Dobbiamo fare una cosa noi donne mi disse però bisogna avere pazienza e stare attenti con chi si parla, perché questa cosa deve riuscire. Avvicina le persone per bene, che sai come la pensano, e chiedi di fare un po’ di passaparola, perché la cosa si allarghi, perché dovremo essere in tante.» E fu così che tutto cominciò. Con tanta titubanza e tanta paura fu così che quella domenica mattina, il 18 febbraio, ci trovammo verso le dieci. Fu anche difficile per me uscire, dovevo raccontar bugie a mia madre, perché in casa nessuno sapeva che facevo parte di questa organizzazione. Insomma, quel mattino, in tre, io, Silvana e Vittorina Dondi, che abitava a Ospitale sulla strada che porta a San Biagio verso la foce del Po, siamo partite. (…) E fu così: lei con un cartone con scritto sopra «Vogliamo pane, abbiamo fame, basta con la guerra!», siamo partite. (…) Quando siamo arrivate in piazza eravamo in tante, e si vedeva da lontano, perché la piazza è grande, da là in fondo, si vedeva che la gente arrivava, arrivava dai vicoli come abbiamo fatto noi, da un’altra discesa che sbuca in piazza. (…) Era domenica mattina, c’era
Non so se la porta del Comune era stata manomessa da qualcuno, so solo che siamo riuscite a sfondarla e poi su a precipizio per le scale!Abbiamo riempito il Comune di donne. (…) Al terzo piano c’erano le donne che buttavano fuori dalla finestra tutto quanto, le scrivanie, le carte … c’era il putiferio. Ho detto: «Silvana, ma se arrivano i fascisti, vengono dentro e ci ammazzano tutte!». (…) Mi ricordo che siamo scese e siamo andate al primo piano: c’era una porta con un bell’ambiente largo pieno di scaffali con dei libri, i libroni dell’Anagrafe. E Silvana gridava: “Quelli, son quelli! Aprite le finestre, buttateli giù che andiamo giù!”. (…) Silvana si mise a strappare le pagine, ma erano dure e non ce la faceva. Allora Vittorina prese un mazzo di fogli… «Lidia, Lidia, accendi!» “Accendi?” ho detto. Allora abbiamo acceso questi libri. Intanto che il falò arde ecco che arriva, da via De Amicis, un fascista di corsa con un fucile impugnato. Siamo scappate. (…) Iniziò il caos degli urli, degli spari. (…) Siamo tornate a casa da dove siam venute. So che hanno picchiato e ferito tre donne e ne hanno arrestate una decina. (…) Tutti avevamo paura. Il bello è che c’erano le scritte «State attenti, il nemico vi ascolta». Per me i nemici erano loro. (…) In quello stesso periodo mio marito era stato arrestato e doveva essere fucilato. Ma arrivarono gli inglesi due giorni prima, della fucilazione. Noi eravamo in un rifugio sotto un filare. Eravamo lì dalla sera prima, tutti quanti, perché Silvana era venuta a dirci che sarebbero arrivati gli alleati. Eravamo in tre famiglie con tanti bambini....” Da quel giorno, una fredda e soleggiata domenica, sono ormai passati settant‟anni e ora Lidia è l‟unica superstite di quel gruppo di eroiche donne protagoniste della Resistenza, la cui azione contribuì, insieme all‟attività dei partigiani “di pianura” che organizzarono anche l‟assalto al municipio, a far solamente un gruppetto di uomini davanti al ta- attribuire al Comune di Bondeno la medaglia di baccaio Gatti, erano i contadini che venivano in bronzo al Valor militare. Una vita, quella di Lidia Bellodi, che doveva piazza. Mi ricordo che erano sbalorditi perché non e s s e re raccontata. sapevano cosa stesse succedendo.
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Antropos in the world DA TRAPANI
IL MINISTRO,IL CONSULENTE E LA POLITICA PRIGIONIERA DEGLI ATTI BUROCRATICI
Premetto di non avere la minima simpatia per l‟ex un cantiere della Salerno-Reggio Calabria. Avete ministro Lupi. Né come persona (lo considero un capito? Non è un burocrate che ricorre ai buoni uffici nemico del porto di Trapani), né come esponente di un politico per avere una raccomandazione; ma, al politico del NCD, un simil-partito nato per contrario, è un politico – peraltro di prima grandezza consentire ai ministri di Forza Italia del governo – che si rivolge ad un burocrate per una segnalazione. Letta di conservare le poltrone anche dopo la presa È questo, credo, il passaggio-chiave dell‟intera di distanza di Berlusconi. Ciò premesso, confesso di vicenda. È l‟episodio che certifica una realtà della aver provato per lui un pizzico di solidarietà umana politica italiana che, pur essendo sotto gli occhi di e – non scandalizzi – anche politica. tutti, è stata regolarmente sottaciuta: fatte salve le Due i motivi. Il primo – sottolineato da più parti scelte di fondo che riguardano gli equilibri interna– deriva dall‟essere stato scaricato con tanto poca zionali, il potere reale, quello da cui scaturiscono le eleganza dal suo Presidente del Consiglio. La cosa scelte operative di tutti o quasi tutti i Ministeri e i non meraviglia: Renzi è quello di Enrico-stai-sereno. centri di spesa, è gestito da Direttori generali, SeE non solo: Renzi è l‟accentratore che – costrin- gretari generali, Capi-struttura e, in genere, da alti gendo di fatto Lupi alle dimissioni – ha posto le burocrati. I politici hanno l‟illusione di comandare, premesse per porre sotto il suo effettivo controllo il ma la loro permanenza nei posti di comando dura Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture; un sovente lo spazio d‟un mattino, stretti fra un cambio Ministero da cui dipendono le appetibili “grandi di governo ed un rovesciamento dei fronti interni ai opere” e che, fino ad oggi, rispondeva a logiche pre- rispettivi partiti; inoltre, otto volte su dieci, non renziane. E – per inciso – do appuntamento ai lettori capiscono nulla della materia che vanno a gestire o, per uno dei prossimi numeri, per trattare della tutt‟al più, hanno soltanto un‟infarinatura generale. “filosofia” – sbagliata – di queste grandi opere, ivi Dipendono dunque, in tutto e per tutto, dai dirigenti compreso il famigerato ponte sullo Stretto. ministeriali, i quali – invece – sono intoccabili, Che il Pifferaio dell‟Arno ci abbia – come suol inamovibili, e continuano ad occupare i loro posti a dirsi – “marciato” è dimostrato dalla inconsistenza prescindere dai cambiamenti delle squadre di degli addebiti rivolti al suo Ministro, peraltro non governo. indagato. A Lupi si rimprovera soltanto di non aver Questo Incalza, per esempio, è in auge dal respinto un costoso regalo (il Rolex da 10.000 euro) lontano 2001, con i vari Presidenti del Consiglio ed i diretto al figlio Luca in occasione della laurea, e di Ministri alle Infrastrutture (tranne la breve parentesi aver poi sfruttato le sue amicizie per procurare allo del furbo Di Pietro) succedutisi fino al 31 dicembre stesso un‟occasione di lavoro, peraltro nel settore 2014, data del suo pensionamento. Dopo di che, privato ed a tempo determinato. Tutti comporta- uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra, ritornando menti sicuramente ineleganti, ma certo non illegali al Ministero in veste di “consulente”. né soltanto illegittimi. Ciò non vuol dire, naturalNé si creda che quella di “Ercolino” Incalza sia mente, che Lupi abbia fatto bene; ma, francamente, una eccezione. Per i nostri boiardi di Stato questa certi ipermoralisti da marciapiede avrebbero fatto prassi è quasi una regola. Draghi, per esempio, rimase meglio a scegliere bersagli maggiormente meritevoli Direttore Generale del Tesoro dal 1991 al 2001, delle loro attenzioni. attraversando con noncuranza 10 anni di intemperie Ma quello che a me sembra più importante è il politiche e di traumatici cambi di governo; e, se non secondo dei due motivi che mi fanno guardare a Lupi avesse spiccato il volo verso più alti scranni, sarebbe come ad un semplice capro espiatorio. Dunque – certamente ancora lì. apprendo dai telegiornali – il Ministro delle Peraltro, l‟invadenza degli alti burocrati (“grand Infrastrutture avrebbe telefonato al Direttore Gene- commis” li chiamano i francesi) è un vec-chio vizio rale del suo dicastero, Ercole Incalza, preannuncian- italico, addirittura antecedente al fascismo. dogli la visita del figlio; da quell‟incontro – secondo Quando si insediò il 1° gabinetto Mussolini (non la ricostruzione degli inquirenti – sarebbe scaturita ancora un governo dittatoriale, ma una coalizione con per il Lupacchiotto un incarico di direzione lavori in liberali, popolari e indipendenti), il Duce tenne per
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Antropos in the world sé anche l‟interim degli Esteri. Ma in quel Ministero trovò un Segretario Generale – Salvatore Contarini – che era abituato a “fare” la politica estera italiana, utilizzando poi i vari Ministri alla stregua quasi di esecutori della sua linea. Era a tal punto sicuro del fatto suo – il Contarini – che quando, in occasione dell‟eccidio della missione italiana in Epiro nel 1923, Mussolini pensò bene di mostrare i muscoli ai greci e ai loro protettori inglesi, cosa non condivisa dal sussiegoso Segretario Generale, questi si mise in ferie e andò in vacanza ad Ischia, pensando forse di mettere in difficoltà il suo Ministro. I fatti – dirò per inciso – avrebbero poi dato ragione a Mussolini, che ottenne le scuse solenni della Grecia e indusse l‟Inghilterra a più miti consigli. Chiusa la parentesi di carattere storico, torniamo ai giorni nostri. Quello degli alti burocrati è uno dei grandi problemi dell‟Italia. Occorrerebbe ricondurli al loro ruolo istituzionale, che è quello di esecutori
di ordini. Occorrerebbe poterli spostare con facilità, impedendo che possano diventare i padroni della situazione. Occorrerebbe evitare che fossero loro a scrivere le leggi che i Ministri – obbedienti – propongono al Governo e poi al Parlamento, il quale a sua volta approva senza rendersi conto – nella maggior parte dei casi – di eventuali trabocchetti. Occorrerebbe evitare che, ritiratisi in dorato pensionamento, i nostri boiardi potessero essere tentati – così, per ingannare il tempo – di ritornare a spadroneggiare nei Ministeri, magari come “consulenti” pagati a peso d‟oro. Occorrerebbero tante cose. Ma, per realizzarle, ci sarebbe bisogno di politici – oltre che onesti – preparati ed in grado di dettare la linea ai loro uffici. E non – come oggi spesso avviene – di dilettanti allo sbaraglio che, fatalmente, finiscono per diventare ostaggio di burocrati più o meno limpidi. M.Rallo
L’ANGOLO DEL CUORE
IL MIO BALCONE Στο μπαλκόνι μου Di Franco Pastore Tra felci bagnate, dipana i segni dell’inverno un nuovo raggio di sole. Verso la luce le mani mie, con l’animo, si protendono, mentre che inghiotto il succo amaro della solitudine. Al mio balcone sul mare, mentre il cielo d’azzurro si colora, bussa la primavera.
BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO
__________ Da “ I ricordi del tempo” © 2015 by Franco Pastore - Una realizzazione A.I.T.W.
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Direzione e Redazione via Margotta,18 - tel. 089.797917
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DALLA REDAZIONE DI BERGAMO:
LETIZIA BATTAGLIA “ Credo che il sogno importante e definitivo sia la ricerca di libertà, di poter scegliere, di poter essere rispettata, riconosciuta, libera di essere determinante nella vita, di essere parte di una società non ingiusta. (1)
In occasione della IV edizione del “Festival Domina Domna”, Rassegna della Cultura al femminile, l‟Associazione “La Scatola delle Idee” presenta a Bergamo Alta, nella splendida cornice del Palazzo della Ragione, Sala delle Capriate, la mostra fotografica “Letizia Battaglia 1974-2015”, aperta al pubblico dal 4 marzo al 5 aprile. L‟evento racconta il coraggioso e sofferto itinerario della fotografa, fotoreporter e giornalista palermitana Letizia Battaglia, che ha fatto del suo lavoro di alto profilo storico ed artistico un manifesto, riconosciuto in tutto il mondo. Cinquantanove fotografie in bianco e nero, realizzate dal 1974 al 2015, provenienti dall‟archivio personale dell‟artista, sono state messe in mostra, scandite in quattro sezioni espositive: Palermo, Cronaca, Rielaborazioni, Invincibili. Il viaggio comincia con “Palermo”, in cui rivive l‟anima della città nelle sue profonde contraddizioni, una città segnata dal degrado, dal lavoro minorile, dalla disoccupazione, ma anche dal calore delle feste religiose, profondamente sentite: i ritratti di bambine, la miseria e l‟incanto, i quartieri, le feste popolari, i fatti di cronaca, gli sguardi, le donne, i salotti borghesi. La “Cronaca” racconta, invece, i delitti mafiosi, gli arresti, i processi degli anni ‟70, ‟80 e ‟90 del „900, immagini che sono divenute icone rappresentative della Sicilia e della mafia, in tutto il mondo. Nel ‟93 la polizia fa irruzione nello studio della fotografa: tra le cartelle sulla DC, trova una fotografia-chiave per il processo, che documenta la conoscenza fra Giulio An-dreotti e il mafioso Nino Salvo, fino ad allora negata. Nel 1995 Andreotti viene accusato e processato per complicità con la mafia. Dopo le stragi del ‟92, Letizia Battaglia, profondamente colpita dagli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, decide di non scattare più “fotografie di cronaca: si allontana da Palermo e si trasferisce per un anno e mezzo a Parigi. In “Rielaborazioni” sono esposte le immagini fotografiche che l‟artista realizza nel 2004, tra sformando alcuni vecchi scatti in qualcosa di diverso
e nuovo: le foto di cronaca del passato, spesso scene cruente di omicidi e disperazione, vengono ingrandite e stampate; davanti ad ogni foto, è collocata una donna, quasi sempre un nudo femminile, una bambina o un fiore, quindi viene scattata una nuova immagine fotografica. Il risultato è sorprendente: l‟occhio è ora attirato non più dalla scena sullo sfondo, ma dalla bellezza e dalla semplicità del soggetto in primo piano. L‟orrore è così allontanato, esorcizzato; la fotografia diventa ora un inno alla vita, alla bellezza, alla speranza ritrovata. La mostra si chiude con la sezione “Gli invincibili”, dove sono collocati gli scatti fotografici che rappresentano un omaggio ai miti di Letizia Battaglia: Gabriele Basilico, Pier Paolo Pasolini, Rosa Parks, il Crocifisso di Santo Spirito di Michelangelo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, James Joyce, Freud, Marguerite Yourcenar, Che Guevara, ed altri ancora. “Invincibili perché non moriranno mai. Rimarranno per sempre. Sino a dopo. Una specie di dono. I punti fermi della mia vita”. Così scrive Letizia Battaglia, a coronamento della sua straor-dinaria carriera fotografica e giornalistica, raccontando i miti della sua esistenza, quei miti che le hanno dato il coraggio di continuare a testimoniare il male, ma anche la speranza del riscatto e della bellezza, speranza che spetta in forma privilegiata all‟universo femminile. Maria Imparato _____________________________________________________
1) Letizia Battaglia, Paasione, giustizia e libertà,1946
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«BASTA CON SACRIFICI E NUOVE TASSE» “IL BOMBA” HA COLPITO ANCORA Capisco che – come sostengono arruffoni e maneggioni – la politica possa anche essere “l‟arte del possibile”, ma a tutto c‟è un limite. Passi per la panzana della “legge di stabilità” che avrebbe tolto 18 miliardi di tasse (parola di Renzi); mentre in realtà prevedeva per il prossimo triennio 64 miliardi di aumento delle entrate fiscali. Passi per l‟altra bufala del “successo” del semestre italiano di Presidenza del Consiglio UE; mentre in realtà il Vispo Tereso è riuscito soltanto a farsi aumentare l‟importo del contributo annuo italiano alle voraci casse europee. Passi per tutta la serie infinita di annunci, promesse, impegni firmati col sangue e bufale in mandria pascolanti sui prati toscani. Oramai gli italiani non ci facevano più caso. Avevano imparato a convivere con un Presidente del Consiglio che in gioventù – ricordano i compagni di scuola – era soprannominato “il Bomba”, perché le sparava grosse, anzi grossissime. D‟altronde – come recitano i manuali del perfetto politicante – se devi dire una bugia è meglio dirla grossa, se devi fare una promessa è meglio farla grossa, se devi sparare una boiata è meglio spararla grossa. L‟importante – recitano sempre i manuali – è che fra l‟enunciazione teorica ed il riscontro concreto passi il “tempo tecnico”, il tempo necessario a far sbiadire i ricordi, di modo che il trucco non sia troppo scoperto. Ebbene – dicevo – comprendo tutto ciò. Non lo condivido, neanche un poco, ma mi rendo conto che un politicante di professione abbia talora l‟esigenza di bluffare, di far credere di avere carte migliori di quelle che ha in mano. Ma, questa volta, il Bomba ha dimenticato la regola aurea del tempo tecnico. Infatti, “Il Messaggero” di oggi – domenica 5 aprile – ospita un‟intervista al Presidente del Consiglio, con un titolo “strillato” su cinque colonne, e virgolettato: «Stop a sacrifici e nuove tasse». Non ci sarebbe nulla di strano (siamo ormai abituati a queste cose), se non fosse per un piccolo particolare: su quasi tutti i giornali di oggi, con assai meno rilievo (generalmente con un titolo su due colonne) si dà conto del contenuto del DEF che martedì andrà in Consiglio dei Ministri, per essere sottoposto poi all‟occhiuto vaglio dei censori di Bruxelles. I conti sono “sforati” (come volevasi dimostrare) e il duo Renzi-Padoan ha preparato
un nuovo salasso da 10 miliardi di euro (ma qualcuno dice che tra privatizzazioni ed altri annessi e connessi il totale potrebbe salire anche a 17 miliardi). Salasso che avrebbe dovuto presentarsi sotto forma di aumento dell‟IVA, ma che – ecco la genialità della coppia più bella del mondo – questa volta sarà camuffato sotto le mentite spoglie di ulteriori tagli ai Comuni (fatti passare per normale spending review) e di una robusta sforbiciata agli sgravi fiscali. Tecnicamente, dunque, non si tratterà di tasse nuove, ma di tasse vecchie che saranno più alte (perché più basse le detrazioni) e di aumenti delle imposte locali che i Comuni – già con l‟acqua alla gola – saranno costretti a varare. Senza contare il lento svenamento delle privatizzazioni, che continuano inarrestabili, auspice il guru economico del premier, Yoram Gutgeld. Avete capito quanto sono intelligenti quelli là, che fantasia brillante dimostrano, che inventiva leonardesca, che vette di genialità? Non 10 o più miliardi di aumento IVA, ma 10 o più miliardi di imposte locali e di sgravi mancati. Come se facesse qualche differenza… Non mi meraviglio di Renzi, e neanche del suo Ministro delle Finanze. Mi meraviglio del “Messaggero” che si presta a fare da megafono all‟ultima sparata del Bomba: «Stop a sacrifici e nuove tasse». E questo, mentre un‟altra genialata del piccolo imbonitore fiorentino già turba i sonni dei contribuenti italiani: la “local tax” (che anglofonìa di livello!) in arrivo dal 2016 e che dovrebbe assorbire IMU e TASI. Se non che – accetto scommesse – vedrete che il buon Padoan (che ha fatto carriera invocando rigore draconiano ai piani alti dell‟OCSE) si inventerà qualcosa per “arrotondare” il totale del balzello, sì che IMU e TASI possano essere impinguate a dovere. Anche qui, vi invito a constatare di persona. Segnatevi quanto avete pagato quest‟anno fra IMU e TASI, e controllate poi – l‟anno venturo – quanto pagherete con la local tax. Vedrete che si tratterà del solito trucchetto da baraccone per spillare altro denaro ai gonzi. Poi, quando vi stancherete di fare i gonzi, andate a votare, votate bene e mandate affanciullo chi ci strozza per conto terzi, anche se parla di «stop a sacrifici e nuove tasse». Michele Rallo ( Dalle “ OPINIONI ERETICHE”)
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ANNA BURDUA DA ERICICE
Carlo Culcasi Carlo Culcasi occupa un posto di rilevante importanza nel panorama culturale di Erice. Grande umanista, studioso attento di tutta la letteratura italiana, in particolare dei suoi autori prediletti Petrarca, Marino, Pascoli e D‟Annunzio, lasciò numerose pubblicazioni che ne manterranno vivo il nome e il ricordo. Amò tanto anche la musica. La sua vita fu segnata da tristi vicende: rimase vedovo all‟età di trenta anni con tre figli piccoli; ancora giovane fu affetto da un male incurabile e fu colpito dal dolore e dall‟ amarezza per il figlio primogenito prigioniero in India. Partecipò alla prima guerra mondiale col grado di tenente mitragliere. Nacque ad Erice il 3 giugno 1886. Studiò a Trapani e poi a Roma dove si laureò discutendo una tesi su “ Gli influssi italiani nell‟opera di Rousseau”, studio validissimo nel campo critico –estetico. Cominciò l‟attività d‟insegnante ad Erice e di poi a Catania; passò quindi al Liceo Classico di Viterbo. Nel 1919 insegnò al Liceo di Perugia dove tenne alcuni corsi estivi all‟Università per stranieri. Nel 1927, vincitore di concorso, fu trasferito al Liceo Parini di Milano; nel 1933 fu nominato preside del Liceo Desenzano, successivamente del Liceo Carducci e per un altro decennio dell‟Istituto Magistrale Carlo Tenca. Per la scuola curò diverse edizioni di classici: Manzoni minore, Nievo, Marino, Metastasio e compilò alcuni pregevoli manuali: Poesia ritmica, Metrica italiana e l‟Arte della parola. Molto apprezzato il “Libro dei sonetti”. L‟interessante raccolta è preceduta da una sintetica storia del sonetto dove sono esposti i più attendibili risultati critici riguardo l‟origine italiana del sonetto. Contiene duecento lavori scelti in ogni secolo della nostra letteratura sapientemente annotati ed analizzati. Per la sua stesura
il Culcasi si è giovato dei noti saggi del Foscolo, del Cera, del Bettinelli, del Gherar-dini, del Vannucci, del Borgognoni, del Ferrari, del Biadene, del Foresti e dei contributi più recenti del Rajna, del Santangelo, del Palaz-zolo, del Curcio, del Praz, del Cetti. Per il Culcasi il sonetto “ è una forma metrica veramente felice e geniale; e la più alta forse ad esprimere le effusioni dell‟anima nostra e a dare al fantasma poetico quella fissità di contorni che è propria del quadro e a conferirgli nel tempo stesso quelle agili ed armoniose movenze che sono proprie di una sonata musicale”. Molto apprezzate sono ancora oggi le sue antologie: L’antologia della nostra guerra, Polimnia, Italia bella, Mnemosine, Antologia della lirica italiana, Per la scuola e per la vita; Per le Scuole di avviamento professionale,Poeti e prosatori d’Italia, Storia e antologia della letteratura italiana. Suggestive le opere in versi dedicate ad Erice: “ Visioni ericine” : Monte Erice” “ Il Balio e le torri”. “ Il ponte di Dedalo e Il pozzo di Venere. “ Il Castello.” Cielo nuvoloso” nelle quali si fondono mito, storia e ricordi d‟infanzia. Pregevoli i suoi molti articoli pubblicati in riviste e giornali fra i quali “Per gli ericini caduti in guerra” e “ Erice” pubblicato sulla rivista milanese“ Illustrazione italiana“ nel 1944. Morì a Palermo nel 1947.
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Anna Burdua Καλύτερα μιας ώρας ελεύθερη ζωή παρά σαράντα χρόνια σκλαβιά και φυλακή. Kalytera mias oras eleftheri zoi, para saranta chronia sklavia ke fylaki
"Meglio un‟ora di vita libera, che quaranta anni di schiavitù e carcere." (Rigas Feraios)
Antropos in the worldc
PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA Chi non risica, non rosica 2. Chi dorme non piglia pesci 3. Una mano lava l‟altra e tutte e due lavano il viso
Implicanze semantiche:
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risica: dal lat. volgare rix –ic- are, rischiare, da rixa rissa, litigio, imUna mano ... : popolare: „na mane lava „n‟ata e tutt‟e ddòie lavene „a faccia
Sirica Dora
Esplicatio: Una versione italianizzata di vecchi Antropologia: proverbi popolari, che evidenziano l‟importanza Il seme dei proverbi è chiaramente espresso in della operatività e del lavoro di squadra. latino: Riflessio: Sono proverbi antichissimi, che ritroviaAudentes fortuna iuvat (La fortuna aiuta gli mo anche nel mondo greco e latino. auda-ci) - Manus manum lavat (I favori si Fraseologia: rendono) - Nam qui dormiunt pisces non capiunt Il rischio è la molla dell‟azione. ( in Plauto, quelli che dormono non concludono I fessi rimangono a casa loro. nulla). Meglio ricchi d‟amici che di soldi.
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LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos
LE MALATTIE DELLA PRIMAVERA La primavera non porta con sé solo fiori che sbocciano e giornate piene di luce, ma anche alcune malattie, come le malattie esantematiche e le allergie e a farne le spese sono soprattutto i piccoli. Menzione speciale per le malattie di prima-vera va a tosse, febbre e raffreddore dovuti prin-cipalmente al sudore e a raffreddamenti dovuti ai repentino cambi di stagione e di temperatura. D‟altronde, dopo un lungo inverno trascorso in ambienti chiusi i bambini non vedono l‟ora di scorazzare all’aperto. Impedirglielo non è di certo una buona idea, al contrario è bene attrezzar-si vestendoli a cipolla in modo da non farli accal-dare troppo e viceversa da coprirli bene dopo cor-se e partite di pallone e portare con sé una salvietta per consentigli di asciugarsi ogni tanto. Inoltre in primavera, la fioritura della piante è causa della rinite allergica, dovuta ai pollini e che interessa circa il 15% della popolazione. Per quanto riguarda le malattie esantematiche, una visita dal pediatra di famiglia è d‟obbligo sia per curarle che per contenere il contagio, ma è utile anche sapere quali sono le principali caratteristiche di ognuna in modo da saperle distinguere. La varicella, molto contagiosa inizia solitamente con rash cutaneo vescicolare, esteso in particolar modo al corpo e alla testa. Le vescicole, che si trasformano durante il decorso della malattia in pustoline e croste, guariscono poi senza lasciare cicatrici a meno che il bimbo non si gratti insi-stentemente rompendo le vescicole. La rosolia ha un periodo di incubazione di 16-18 giorni e ha come caratteristica quella di provocare il gonfiore delle ghiandole dietro al collo a cui segue febbre ed esantema dopo circa 3-4 giorni. l morbillo è una malattia causata da un virus che si trasmette per via aerea. Il periodo di incuba-zione presenta sintomi di malessere, inappetenza, mal di testa e una congiuntivite che provoca forte fastidio agli occhi. Durante la fase esantematica che inizia dal viso, vicino all‟attaccatura dei capelli per poi estendersi su tutto il corpo, la febbre può essere molto alta. La scarlattina, a differenza della altre malattie esantematiche, è provocata da un batterio. Anche la scarlattina è molto contagiosa e provoca febbre e sfogo cutaneo detto 'capocchia di spillo' che attacca soprattutto inguine, ascelle e collo. L‟esantema è preceduto dalla faringite e dalla formazione di una patina bianca sulla lingua.
Tutte queste malattie devono fare il loro corso, si può cercare di attenuare il prurito, la febbre e i dolori generici, per il resto spariranno da sole dopo il loro normale decorso clinico. Si può inoltre aiutare i bambini colpiti a sentirsi meglio facendo attenzione all’alimen-tazione, facendoli bere molto per mantenerli idratati. Fondamentale inoltre cercare di contenere il contagio sia in casa, soprattutto se ci sono altri figli, che verso tutte le persone con le quali si condivide la vita sociale. Se con l`arrivo della primavera la natura si risveglia, gli uomini potrebbero invece essere colpiti dalla "sindrome del letargo", che li rende stanchi, stressati e irritabili. È quanto emerge dallo studio promosso dall`Osservatorio FederSalus, cui hanno preso parte 75 esperti tra psicologi, nutrizionisti e dietologi, secondo i quali il passaggio dall`inverno alla primavera provoca malesseri più seri rispetto alle giornate fredde e uggiose e ai virus influenzali. I sintomi della patologia sono la stanchezza cronica, che si manifesta nel 67% dei casi, un aumento dei livello di irritabilità nel 56% e una riduzione della capacità di concentrazione nel 46%. Le cause principali di tali disturbi sono la stan-chezza accumulata nel corso dell‟inverno (62%), i continui cambiamenti di temperatura che hanno contribuito a debilitare le difese immunitarie (53%), il periodo di stress legato alla crisi economica (47%), e, per finire, una cattiva alimentazione (44%). Se non si corre ai ripari, si rischia di "trascinarsi" per lungo tempo questi malesseri che, nei casi più seri, potrebbero sfociare in depressione e attacchi di ansia (34%) o ad un deperimento psico-fisico generalizzato (16%). Pertanto gli specialisti hanno messo a punto una serie di regole per superare indenni la "sindrome del letargo". Ed allora? Osserviamo attentamente quanto segue: Dedicare più tempo a se stessi. Ogni giorno 20 minuti d’attività fisica leggera. Non sottovalutare l’esigenza di sonno e riposo. Fare uso di integratori, ma soprattutto provvediamo ad una alimentazione equilibrata: Non saltare i pasti, né abbuffarsi, alternando pasti leggeri ma frequenti, ricchi di proteine e vitamine e, per dolcificare, preferire il fruttosio, perché naturale, digeribile ed energetico. Alternare al lavoro momenti di pausa. Vestirsi "a strati" per fronteggiare gli sbalzi di temperatura Bere due litri di acqua al giorno.
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I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos
Ἀναξίμανδπορ Il fuoco attacca l'acqua causandone l'evaporazione, ma essa si "vendica" attaccando la corona periferica e smantellandola. Questa sua strana idea del fuoco che agisce a discapito dell'acqua deve essergli derivata dal fatto che egli scorgeva spesso fossili marini a chilometri di distanza dal mare o addirittura sui colli: significava quindi che vi era un'evaporazione costante e che il fuoco "rosicchiava" sempre più terreno all'acqua facendola evaporare. Oltre a notare l'interesse di Anassimandro per gli aspetti comuni della vita, gli va senz'altro riconosciuto il merito di aver capito che cosa fossero i fossili (cosa che non aveva invece capito Aristotele) . Quindi per lui il nostro mondo sarebbe finito quando il fuoco sarebbe riuscito a far evaporare tutta l'acqua (che , come aveva notato Talete, è davvero fondamentale per la vita). Per Anassimandro un contrario non può vivere da solo, quindi la scomparsa dell'acqua decreterebbe anche quella del fuoco e del mondo intero. Il mondo, una volta finito, sarebbe ritornato nell'apeiron e lì ne sarebbe poi nato uno nuovo. Sempre a riguardo della cosmologia anassimandrea, va ricordato che egli non pensava che la terra fosse rotonda nè che fosse in movimento: la immaginava come il tamburo di una colonna. Per lui la terra sarebbe ferma semplicemente per il fatto che non avrebbe nessun motivo di muoversi: è al centro di tutto e quindi perchè mai dovrebbe spostarsi? Torniamo ora al frammento a noi giunto: l'espressione "secondo l'ordine del tempo" non si è sicuri che sia effettivamente anassimandrea. E' chiaro che quando dice "da dove hanno origine, hanno fine" allude all'apeiron: il mondo, una volta finito torna, nell‟apeiron. Poi egli parla di "ingiustizia": essa consiste sia nel distacco dall'apeiron del mondo (che può essere visto come una sorta di peccato originale ) sia (soprattutto) nel conflitto che oppone un contrario all'altro. A riguardo dell'idea del peccato originale dobbiamo riallacciarci alla religione orfica, che vedeva la nascita dell'uomo come una colpa originaria:la vita sul-
la terra è sia l'effetto della colpa sia la pu- 18 -
(III parte) nizione. Anassimandro estende questa concezione all 'intero mondo: il distaccamento dall'apeiron è un peccato: i contrari stessi,opponendosi, commettono una sorta di peccato nei confronti dell' apeiron. E' interessante l'espressione "secondo necessità": dà l'idea che le cose avvengano secondo un ordine preciso e non casualmente. Comincia a subentrare un primo e rudimentale concetto di "legge naturale" con il "secondo necessità". Si può riscontrare nella visione del mondo di Anassimandro un forte pessimismo legato alla tradizione orfica . Anassimandro nel suo scritto, oltre a dedicarsi alla cosmologia e alla cosmogonia, si dedica anche alla biologia e alle prime forme di vita: egli - così ci dice una testimonianza di Aezio - sostiene che i primi viventi furono generati dall'umido (va senz'altro notato come Anassimandro sia influenzato da Talete e alle sue dottrine che vedevano l'acqua protagonista della realtà), avvolti in membrane spinose e che col passare del tempo approdarono all'asciutto e, spezzatasi la membrana, mutarono in fretta il genere di vita. Per lui dalla terra e dall'acqua riscaldate nacquero o dei pesci o comunque degli animali molto simili ai pesci; in questi concrebbero gli uomini ed i feti vi rimasero rinchiusi fino alla pubertà. Quando questi si spezzarono, allora finalmente ne uscirono uomini e donne che potevano già nutrirsi. Sembra quasi che in un certo senso anche per Anassimandro il vero principio sia l'acqua. (Continua)
Antropos in the world IO LA VEDO COSI’
INSIEME SI, MA CON LE NOSTRE RADICI Viviamo oramai in una società multietnica, multilingue, multiforme. Viviamo nella società dei social network, che ci inquadrano entro standard e mode che risultano uguali in tutto il mondo. E‟ una società in cui un click ci porta dall‟altra parte del mondo, in cui Internet e la società degli internauti ci fanno sentire nel mondo. In realtà le nuove generazioni, sempre più avvezze a queste forme di comunicazione e ad una visione del mondo aperta e cosmopolita, risultano giorno dopo giorno lontani dalla terra che li ha originati e che li ha nutriti nelle tradizioni più interiori. L‟Italia ha alle spalle una storia così lunga, con tradizioni che affondano le radici nella Magna Grecia, la culla del mondo, ha secoli di storia che l‟hanno forgiata nel migliore dei modi: nella lingua, nella bandiera, nelle tradizioni arcaiche e locali. Tutto ciò, purtroppo, rimane appannaggio delle generazioni più anziane in quanto i più giovani, reduci e immersi in un periodo di profonda sfiducia verso le istituzioni, si mostrano sempre più propensi ad andare via dall‟Italia quasi volendo dimenticare la madre da cui provengono. L‟Italia è uno Stato relativamente giovane. E‟ sempre stata l‟appendice dell‟Europa sul mare nostrum. Sempre invidiata dalle diverse Nazioni europee, sempre preda a cui aspirare. E così gli Asburgo e i Savoia al Nord, hanno avvicinato il nostro territorio a quello europeo; i Borboni hanno lasciato quel senso di appartenenza alla cultura mediterranea; Napoleone vi ha visto un bottino ghiotto. L‟Italia sembrava di tutti e di nessuno. Si è formata nel 1861ma la completa unità è stata raggiunta solamente nel secolo scorso. E così la lingua: i due grandi autori italiani a formare la nostra lingua sono stati Dante e Manzoni. 1300, 1800. L‟immensa differenza temporale che intercorre tra i due la dice lunga su quanto arduo fosse stato il processo di unificazione linguistica, avvenuto in toto sempre e solo nel secolo scorso per mezzo dell‟alfabetizzazione obbligatoria. Se pensiamo che in Italia siano ancora presenti delle minoranze alloglotte, come quelle - 19 -
germaniche della provincia autonoma di Bolzano, ciò la dice lunga su quanto sia ancora difficile da parlare di vera unità. Nonostante queste contraddizioni interne, non c‟è paese più bello al mondo che il nostro, il Bel Paese. Di ciò dovremmo andarne fieri e combattere ancora per conservare e custodire gelosa-mente le nostra radici italiane e preservarle dal logorio del tempo e della politica interna zionale. Gli adulti devono essere i primi ad insegnare ai giovani il valore delle nostre radici: noi Italiani siamo stati un popolo sem-pre schiavo di altri, ma, nonostante ciò, non abbiamo mai smesso di ribellarci all‟ingiusto dominio del padrone forestiero, vedendo i governi stranieri come usurpatori. Questo perché, nonostante le difficoltà intestine, è nel DNA di noi Italiani sapere che veniamo tutti dalla grande madre Grecia, con una lingua che affonda le sue radici nei complessi segni dello alfabeto greco e con una cultura che permea inconsciamente ogni aspetto della nostra vita. E‟ lì che sono nati i primi filosofi, pensatori e matematici. È lì che affondano inestricabili le nostre radici culturali. Tutto ciò è d‟obbligo che lo sappiano le giovani generazioni: senza entrare nella vexata quaestio dei licei classici, è indubbia l‟importanza degli studi classici, l‟unico modo per trasmettere ai giovani donde veniamo. Murray scriveva: “Per chi crede in una vita fondata sulla libertà,sulla ragione, sulla bellezza, sulla eccellenza e sul conseguimento della verità, la Grecia tiene alte tutte le sue luci” Questo valore degli studi classici, ovvero quello di recuperare chi siamo e le nostri origini culturali, viene più spesso sopperito dalla necessità di collocare gli stessi giovani nel mondo e in Europa. Il cosmopolitismo è essenziale per un individuo, ma partire senza sapere da dove veniamo, non ci porterà molto lontano. Purtroppo, è quello che sembra avvenire sempre più spesso. Se i giovani sono materia in continuo dive-
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nire e da plasmare, allora perché proiettarli ed alzarli a livelli europei senza prima fargli toccare con mano le nostre radici? E‟ quello che succede quotidianamente a scuola e nella società. Un altro fenomeno che potrebbe influenzare questo processo di straniamento ed allontanamento dalle proprie radici, è il vivere in una società multietnica. Vivere in posti dove si mescolano e fondono amabilmen-te lingue, colori e tradizioni, equivale a voler creare un meltin-pot, interessante ed affascinante, certamente, che deve unire popoli diversi ma che non deve finire per sopprimere l‟autoctona tradizione italiana dal punto di vista di usi e costumi. Ancora, la lunga e controversa questione dei Crocefissi nelle aule, ben rappresenta quella che è l‟identità cristiana. Senza entrare nel merito della questione, e con l‟assunto che ci debbano essere rispetto e tolleranza per le professioni di fede altrui, con annessa libertà di culto, chi ha pensato che fosse necessario togliere il Crocefisso delle aule per non offendere le religioni altrui, non ha meditato sul fatto che venisse tolta dalle nostre aule un pezzo di „italianità‟. E‟ certamente un simbolo di culto e fede, ma è anche il simbolo di un‟Italia sede di Città del Vaticano, dell‟Italia scelta dal Cristianesimo come sua sede principale, dei martiri che hanno fatto la storia e dei Patti lateranensi, con l‟accordo Stato- Chiesa circa le rispettive sfere di influenza. Inoltre, la stessa scuola tende a voler innalzare i propri studenti a livelli all‟avanguardia proposti dal mondo europeo. Non c‟è nulla di più giusto ma è necessario anche diffondere ai nostri gio-vani quella che è la nostra cultura, senza sperso-nalizzarli nutrendoli solo di web ed Inglese, per poi tralasciare il valore inesti-mabile di un libro e il fascino complesso della lingua italiana. Deve arginarsi la cosiddetta fuga di cervelli all‟estero, il bisogno di andare lontani per trovare, oltre al lavoro, un‟identità che sembra che l‟Italia stessa voglia privare ai suoi figli. Noi siamo figli di una terra meravigliosa, nei suoi luoghi, nella sua storia e nelle sue tradizioni. Noi Italiani abbiamo certamente e giustamente bisogno dell‟Europa, ma l‟Europa non deve aver bisogno di noi Italiani, spersonalizzandoci
Cuore, ragione e Storia fanno L‟uomo!
Massificazione ed ignoranze ed egoismi globali lo distruggono.
omologandoci alle altre nazioni estere. I giovani non devono disprezzare le proprie radici. Deve esserci una classe diri-gente, una classe docente e la propria famiglia che gli presentino il meglio della società affin-ché imparino a guarda l‟Italia con occhio beni-gno, vedendo nella stessa, semmai, un punto di partenza, gambe salde su cui poggiarsi, e non una terra morente da cui fuggire. Se non ci si riappropria della propria identità culturale, si finirà per vivere sì in Italia, ma in un territorio arido senza Italiani. Maresca Maria Rosaria
"Si può dare vita al mondo "la Spagna invita tutti a" illuminare il mondo in-tero, "portare la luce in situazioni di povertà e di ingiustizia. 748 milioni di persone senza nemmeno l‟accesso all'acqua potabile e molti mancano dei servizi igienici di base. Manos Unidas da 56 anni lotta per l'accesso universale all'acqua potabile e ai servizi igienici, non sono un obiettivo, ma una realtà!
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UNA SPERANZA PER LA SINISTRA: “LANDINI” In un tempo lontano lontano, quando le fiabe iniziavano con “c‟era una volta” e finivano con “vissero tutti felici e contenti”, tra le nebbie della storia e i fumi delle leggende, nel Paese più bello del mondo, l‟Italia, c‟era la Sinistra. La Sinistra con la S maiuscola, quella dura e pura, identificata prevalentemente con un partito, il comunista, che con il suo nome evocava utopie ottocentesche e lotte politiche sanguinose, talora sanguinarie; ma che anche – una volta finiti i tempi bui della guerra civile – rappresentava un presidio di stabilità sociale i cui benefìci si riversavano sull‟intera collettività nazionale. Certo, quella Sinistra portava avanti una serie di battaglie ideologiche radicali, permissive, iperbuoniste, libertarie al limite dell‟anarchismo (dalla chiusura dei manicomi alla depenalizzazione dell‟uso di droghe, a numerose altre) che tanto danno hanno fatto alla società italiana. Erano, peraltro, battaglie che, in un qualunque Paese comunista, avrebbero portato i promotori dritti dritti nelle patrie galere. A fronte delle sue fisime anarcoidi, comunque, sul piano economico-sociale la Sinistra faceva onestamente il suo lavoro: difendeva il “proletariato” (cioè il ceto di chi non possiede nulla) e successivamente, essendo oramai spariti quasi del tutto i proletari, si impegnava in favore dei “lavoratori”; espressione – questa – intesa in senso sempre più ampio, fino, addirittura, ad includervi la borghesia, il ceto che una volta era considerato il “nemico di classe”. Non che fossero tutte rose e fiori: ogni tanto il PCI si dimenticava che la seconda guerra mondiale era finita da un pezzo e tornava a proporre misure punitive contro il ceto medio; per esempio, la patrimoniale. Ma, tutto sommato, il PCI – specie sotto la gestione illuminata di Enrico Berlinguer – aveva il senso della misura. Inoltre – lo dico da convinto statalista di destra – lo statalismo di sinistra era una solida garanzia contro le manovre di certi ambienti che, già dagli anni ‟70-‟80, avrebbero voluto vendere ai privati (meglio se stranieri) una delle grandi riserve del popolo italiano: la nostra – allora – ricca e fiorente “industria di Stato”. E non soltanto la nostra industria avrebbero voluto alienare lor signori, ma anche il nostro sistema bancario (e quindi la nostra moneta) che, a suo tempo, il deprecato regime fascista aveva di fatto nazionalizzato, espropriando i soggetti privati dall‟azionariato della Banca d‟Italia. Ma – ecco la sorpresa – quando all‟inizio degli anni ‟80 iniziava a prendere forma in Italia il fronte pro-privatizzazioni, questo fronte nasceva proprio a sinistra. Non nel PCI, naturalmente, e neanche in quella parte della sinistra DC di più antica tradizione (i morotei), ma in un‟area di nuova formazione, molto progressista, molto modernista, molto globalista e, naturalmente, molto americanista. I suoi più prestigiosi esponenti – guarda caso – erano economisti di scuola anglosassone, come il capintesta Beniamino Andreatta, il Ministro del Tesoro che nel 1981 aveva posto le basi per la privatizzazione della Banca d‟Italia. O come il suo pupillo Romano Prodi, che alla privatizzazione della
nostra industria pubblica darà un contributo fondamentale come Presidente dell‟IRI. Tutta gente che in un Paese normale avrebbe trovato un ruolo dignitoso in un partito liberalreazionario, ma che in Italia – invece – si acquattava a sinistra. Anzi – con studiata progressione – riusciva a convincere la Sinistra che, per stare al passo coi tempi, doveva gettare alle ortiche tutto il suo bagaglio politico e culturale (lo statalismo, la socialità, i sindacati) ed abbracciare il “sogno americano” con tutte le sue non illuminate storture: la subordinazione della politica agli interessi dei “mercati”, prima di tutto; e poi le privatiz-zazioni, la fine dello Stato sociale, la riforma delle pensioni, la disoccupazione istituzionalizzata, l‟impoverimento generale della popolazione. Per arrivare – ultimo atto di questa sconcia abiura delle proprie radici – al Job Act del piccolo imbonitore fiorentino ed alla legalizzazione dei licenzia-menti ingiustificati. Non a caso, quando nel giugno 1992 i banchieri inglesi convocarono a bordo del “Britannia” (lo yacht della Regina Elisabetta) i manager dell‟industria pubblica italiana per discutere delle imminenti privatizzazioni, l‟unico esponente politico presente tra i tanti “tecnici” era il senatore Beniamino Andreatta, capofila di quella corrente iperliberista che si avviava ad egemonizzare culturalmente la Sinistra orfana del PCI (sciolto l‟anno precedente). Pochi anni appresso – va detto – un processo analogo interessava la Destra sociale e statalista: il Movimento Sociale Italiano, sciolto nel gennaio 1995. Il suo posto veniva preso da una Destra liberale e antistatalista, favorevole alle privatizzazioni, alla riforma delle pensioni e a tutto il guazzabuglio che ci ha portato dove ci ha portato.Il risultato di questa “modernizzazione” del panorama politico italiano è stato la formazione di due grandi aree “moderate”, in larga parte fungibili, la cui politica interna è subordinata al volere dei mercati, e la cui politica estera è totalmente dipendente dal volere degli Stati Uniti e dei suoi alleati mediorientali. Negli ultimi anni – tuttavia – il nostro scenario politico ha visto la nascita di nuovi soggetti che, con ogni probabilità, andranno ad assumere una importanza sempre crescente. Il primo di questi soggetti è stato quello trasversale ideato da Beppe Grillo, il Movimento 5 Stelle, che si definisce “né di destra né di sinistra”. È venuto dopo il movimento di Salvini, che tende a rifondare la Destra di radice missina, innestandola su quel che è rimasto della Lega. Adesso, infine, Maurizio Landini lancia, a Sinistra, un soggetto che, se non è un partito, è qualcosa che gli assomiglia molto da vicino. È quella Coalizione Sociale che, se darà luogo ad un partito vero e proprio, potrà svolgere in Italia un ruolo simile a quello di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna. Il futuro ci dirà se la Sinistra italiana avrà ancora un suo peso specifico, o se dovrà continuare a galleggiare nel mare “moderato” e globalizzato, tra i fogli d‟ordini della Banca Centrale Europea e quelli della NATO.
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Michele Rallo
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PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore
ARROSTO AL LATTE Ingredienti per 8-10 persone Sottonoce di vitello kg 1 Latte 1 l - Patate 500 gr Alloro 4 foglie Carota, sedano, basilico,sale Preparazione Far soffriggere nel burro la carota, il sedano, l‟alloro e il basilico tritati. Aggiungere la carne, salarla e farla dorare a fuoco moderato. Coprirla con il latte e lasciarla cuocere per 1 ora. Aggiungere le patate tagliate a pezzi e lasciar cuocere per un‟altra mezz‟ora. A cottura ultimata, il fondo di cottura deve risultare denso, non acquoso. Pochi minuti prima di ritirare dal fuoco, si può aggiungere un pezzo di burro infarinato. Tagliare l‟arrosto a fette, coprirlo con la salsetta di cottura e contornare con le patate.
ogni tanto bagnarli con qualche cucchiaino d‟acqua. Servirli caldi con il loro fondo di cottura, oppure freddi, coperti di gelatina.
MESSICANI Ingredienti per 6 persone Noce o fesa di vitello gr 500 - Burro gr 80 Prosciutto crudo gr 100 Salame crudo gr 50 - Uovo 1 Pane grattugiato - Parmigiano grattugiato Brodo ½ tazza Salvia, prezze.lo, basilico, spezie, sale Preparazione Tagliare la carne a fette sottili, appiattirle con il batticarne. Passare al tritacarne le rifiniture delle fettine, con il prosciutto ed il salame. Impastare con 2 cucchiai di parmigiano, un po‟ di pane grattugiato, sale,spezie, l‟uovo, il prezzemolo e il basilico tritati. Mettere un cucchiaino di ripieno sopra ogni fettina. Arrotolare e infilzare gli involtini a tre a tre su uno COSTOLETTE CON PISELLI stecchino, mettendo fra l‟uno e l‟altro una foglia di Ingredienti per 6 persone Costolette disossate tagliate dal carré di vitello 6 salvia. Far rosolare nel burro da tutte le parti. Salare. A metà cottura aggiungere un po‟ di brodo Burro 100 gr - Uovo 1 e far restringere il fondo di cottura. Servire i Piselli kg 1 ½ - Salsa di pomodoro 1 tazzina messicani, con il loro intingolo, con piselli. Pane grattugiato sale POLPETTINE AL FORNO Preparazione Appiattire un poco le costolette con il batticarne, Ingredienti per 6-8 persone passarle nell‟uovo sbattuto e nel pane grattugiato, Magro di vitello gr 600 friggerle al burro e farle dorare salandole da Besciamella 2 o 3 cucchiai entrambe le parti. Aggiungere la salsa e fare Burro gr 100 - Uova 3 insaporire per qualche minuto. Parmigiano grattugiato 3 cucchiai Unire i piselli sgranati e far cuocere ancora per 45 Pinoli, basilico, pepe, sale minuti. Aggiungere, se necessario, un po‟ d‟acqua. Preparazione INVOLTINI AL PROSCIUTTO Tritare o passare al tritacarne il magro di vitello: Ingredienti per 6-8 persone aggiungervi la besciamella, il parmigiano, le uova e Filetto o fesa di vitello gr 60 il basilico tritato. Mettere il sale e il pepe necessari, mescolare bene e Prosciutto cotto gr 200 formare tante polpettine rotonde allineate in una Carciofi 2 o 3 - Burro gr 80 - sale teglia im-burrata. Preparazione Tagliare il filetto a piccole fette, assottigliarle con il Spruzzarle con il burro fuso e sopra ciascuna di esse batticarne. Stendere sopra ognuna una fettina di infilare 3 o 4 pinoli. prosciutto e aggiungere uno spicchio di carciofo. Mettere al forno e ogni tanto bagnarle con il burro Arrotolarle e legarle con un filo.Mettere gli involtini di cottura. Ritirarle ben dorate. in un tegame con il burro e farli rosolare. Salarli e
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Antropos in the world UNA DONNA NELLA LETTERATURA – a cura di De Boris
ISOTTA LA BIONDA
Narra la storia, dell‟erede spodestato dal trono di Bretagna, il nobile Tristano, che crebbe alla corte dello zio materno, il buon Re Marco di Cornovaglia. Tristano, nobile e coraggioso avvezzo all‟arte della spada e della musica, non è ben visto dai baroni del regno che non lo considerano il degno erede di Re Marco. La Cornovaglia inoltre deve affrontare le pretese del Re d‟Irlanda, che manda il mostruoso fratello Moroldo a richiedere un tributo, il quale, oltre ad un enorme quantità di libri di cuoio, argento e infine oro, pretende anche di portare via 300 fanciulli e 300 fanciulle. Re Marco non tollera ciò, ma è incapace di battersi e nessuno dei suoi baroni sembra intenzionato a difenderlo. È Tristano che entra in scena e convince Moroldo a battersi su un‟isola sperduta all‟ultimo sangue. La battaglia non è facile, ma Tristano riesce ad avere la meglio su Moroldo e a tornare al castello, dove il nobile cavaliere rischia però la vita per una ferita riportata nel duello, aggravata dal veleno della spada del cavaliere irlandese. Secondo la tradizione celtica, in questi casi lo sfortunato guerriero va lasciato alle acque del mare e così Tristano è posto su una zattera e spinto al largo. La barca naufraga sulle sponde dell‟Irlanda e Tristano viene salvato da una bellissima fanciulla, Isotta dai biondi capelli, la figlia del Re. Tra i due nasce subito una certa complicità, ma dopo 40 giorni, essendo guarito, Tristano per timore di essere riconosciuto dai cavalieri irlandesi torna in Cornovaglia. Intanto Isotta viene a sapere della morte dello zio e medita vendetta contro il suo assassino. In Cornovaglia i baroni restano stupiti dal ritorno di Tristano, ma intenzionati a non farlo diventare Re, chiedono a Re Marco di sposarsi e di dare allo Stato un erede diretto. Secondo la legge celtica, infatti, se il re non aveva eredi era il figlio della sorella a dover ereditare il regno, e ciò suscitava la loro gelosia. Marco accetta, ma vorrà sposare solo la fanciulla cui appartiene il ricciolo d‟oro che una rondine aveva condotto fino al suo castello. Tristano informa il re che la ragazza in questione è la principessa d‟Irlanda; perciò il matrimonio, oltre a calmare i baroni, avrebbe favorito la pace. Tristano torna in Irlanda dove viene a sapere di un editto reale secondo il quale chiunque fosse riuscito a sconfiggere un Drago che minacciava la città avrebbe potuto sposare la principessa Isotta. Tristano affronta il Drago e lo uccide tagliandogli la lingua come prova, però il veleno lo fa svenire e Aghingherrano il Rosso, un codardo pretendente di Isotta, si prende il merito e porta la testa del drago a palazzo. Il re non crede alle parole di Aghingherrano e rimanda la riunione di 3 giorni. Intanto Isotta va alla ricerca del vero uccisore del mostro e lo trova in punto di morte. Grazie alle loro competenze mediche riescono di nuovo a guarirlo e Isotta gli prepara un bagno. Qui, fa una terribile scoperta: pulendo la spada di Tristano si accorge che manca una parte e la confronta
con un frammento di spada che aveva estratto dal cranio di Moroldo, riconoscendo la sua appartenenza. Furiosa, decide di ucciderlo, ma Tristano è molto abile nel parlare e si salva la vita facendole credere di essere innamorato di lei. Solo dopo aver provato la sua vittoria contro il drago, dice di essere il messaggero di Re Marco. Prima della partenza d‟Isotta, la Regina Madre consegna a Brangenia un filtro d‟amore che farà innamorare Isotta dello sposo, molto più anziano di lei. Il destino vuole però che Tristano e Isotta, scambiato il filtro per vino, lo bevano, si innamorino e consumino così il loro amore durante il viaggio verso la Cornovaglia. Isotta non è più vergine, ma la buona ancella Brangenia si offre spontaneamente per la prima notte col re. Tristano e Isotta non possono smettere di amarsi e con diversi stratagemmi riescono ad incontrarsi segretamente, ma Brangenia non ne è all'oscuro. Anche i baroni se ne accorgono e insistono perché lui venga esiliato; il Re Marco è quindi obbligato a cacciarlo. Tristano e Isotta continuano però a vedersi all'esterno e gli spioni ingaggiano così un nano che conosce l'arte della magia per riuscire a trovare delle prove. Il nano cerca di provare la loro colpevolezza e una notte fa sì che i baroni seguano Isotta con il Re Marco e osservino l'incontro dei due innamorati. Tristano vede il riflesso del re nascosto su un albero e finge di incontrare Isotta solo per capire come mai il Re l'ha cacciato. Isotta capisce e sta al gioco; il re osservando la scena è molto intenerito e si sente in colpa di aver pensato ad un tradimento: fa così tornare Tristano a corte. Il nano viene condannato a morte e scappa, ma il suo lavoro non è finito. I baroni lo chiamano nuovamente e organizzano un piano per dimostrare il tradimento dei due amanti. Questa volta partecipa anche il re e grazie a uno stratagemma Tristano e Isotta vengono scoperti. I due innamorati vengono così condannati al rogo, una morte vergognosa. Tristano riesce a scappare, ma Isotta deve essere bruciata. Interviene un gruppo di lebbrosi. Il loro capo fa capire al re che la regina non merita una morte rapida, ma una morte lenta e laida; propone così di portarla via con sé. Tristano intanto con l‟aiuto dello scudiero Gorvenale giunge a una strada fuori Tintagel, dove inncontra il gruppo di lebbrosi e l'amata. Uccide il capo e prende con sé Isotta, ma sono obbligati a rifugiarsi nella foresta. Qui vivono per un lungo periodo, conducendo una vita umile e selvaggia. Nessuno dei due è contento di vedere l'altro vivere in quel modo. Dopo qualche tempo un forestiero li scopre e si reca a riferirne al re. Il Re Marco li cerca e li trova addormentati nella foresta; per caso tra i due c'è la spada di Tristano. Il re vede ciò come un simbolo di castità e li perdona, lasciando dei suoi oggetti nella capanna per segnare la sua visita. Al loro risveglio si accorgono di ciò che è successo e iniziano a ripensare a re Marco. Infine capiscono che non possono trascorrere tutta la loro vita là e Tristano decide di far tornare Isotta a corte.
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STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore
LA MUSICA LEGGERA - I BEATLES LA PRESUNTA MORTE DI PAUL MACCARTNEY (VI parte) Nel corso del decennio che li vide protagonisti, i Beatles andarono incontro a profonde evoluzioni che li portarono a indirizzarsi verso stili diversi. Partiti originariamente dalloskiffle come Quarry Men, si formarono alla scuola del rock and roll prendendo a modello i loro idoli d'oltreoceano fra i quali Chuck Berry, Buddy Holly, Elvis Presley e Little Richard – dai quali oltre ai linguaggi musicali assorbirono moduli interpretativi – e del pop degli Everly Brothers. Per il loro lancio sul mercato discografico e per il loro successivo esordio in spettacoli dal vivo, al fine di conquistare un vasto numero di potenziali fruitori scelsero di orientarsi verso un rock and roll mescolato con elementi pop[1], rifacendosi anche, attraverso composizioni originali oppure cover, allo ti nomi: "Black Jacks", "Quarrymen", "Johnny and stile e alle sonorità Motown, con riguardo fra gli the Moondogs", "Beatals", "Long John and the Silver altri ad artisti quali Smokey Robinson e il gruppo Beetles", "Silver Beats", "Silver Beatles". femminile delle Shirelles. La formazione di Liver- "Beetles" (coleotteri, scarabei), secondo il giornalista pool ottenne un enorme successo in patria e un Bill Harry fu suggerito da Stuart Sutcliffe come un trionfo nel continente nordamericano, fungendo così riferimento al gruppo di Buddy Holly "The Crickets" da apripista al successo di altre formazioni bri- ("I grilli"). In una ricostruzione più tarda, Derek tanniche, un fenomeno musicale che per natura e Taylor, press agent dei Beatles, sostenne invece che proporzioni d'impatto sarebbe stato denomina- l'idea era venuta a Sutcliffe dopo aver visto il to British invasion. film The Wild One, nel quale Marlon Brando ha a che Con la maturazione, i Beatles affinarono le tecniche fare con una gang di motociclisti chiamati "Beetles" compositive; e attraverso l'aiuto del produttore (Questa versione è però contestata da Bill Harry in George Martin ricorsero in alcuni casi ad arran- quanto il film fu bandito in Gran Bretagna fino alla giamenti che vedevano l'utilizzo di quartetti d'archi, fine degli anni sessanta. Sutcliffe suggerì questo corni, trombe, flicorni, clavicembali, in uno stile nome e Lennon, con uno dei suoi tipici giochi di che, per l'impiego di strumenti musicali classici e di parole, lo trasformò in "Beatles" per richiamare "beat" modelli stilistici del Settecento europeo, è stato (battito, ritmo, termine che dava il nome alla musica definito baroque pop Più avanti, in sintonia con le in voga a quell'epoca)[193]. In questo susseguirsi di trasformazioni nei comportamenti della loro alterazioni si inserisce il ricordo del poeta beat generazione e con il panorama musicale che si Royston Ellis, che avrebbe dato a Lennon e Mcaffermava specie negli additata come l'antesignana Cartney l'idea di trasformare "Beetles" in "Beatals", dell'heavy metal. Le molte informazioni sul gruppo partendo dalle parole "beat alls". nel suo insieme o sui singoli componenti – rilanciate La frequente associazione in italiano fra il nome dei dalla stampa specializzata e non in una sorta di Beatles e gli scarafaggi è in realtà un errore di caleidoscopico tam-tam mediatico – hanno spesso traduzione: il nome comune inglese dello Scaragenerato leggende e falsi miti tra coloro che nel faggio è infatti cockroach, mentre con beetles si corso degli anni ne hanno seguito vita e carriera. indicano genericamente i Coleotteri, come i maggio. nformazioni controverse e leggende si intrecciano a lini o gli scarabei. proposito della creazione della parola macedo- Infine la "leggenda": Lennon dichiarò a più riprese di nia "Beatles", scelta come nome definitivo del avere avuto a dodici anni la visione di un uomo su gruppo nell'agosto del 1960. una torta fiammeggiante ("flaming pie") che disse: È un fatto che "Beatles" fu il punto di arrivo di un «Voi sarete Beatles, con una 'A'», rivendicando così percorso che portò il gruppo di Lennon, a cui si la paternità del nome. A ricordo di questo, Flaming unirono in seguito McCartney e Harrison, a chia- Pie nel 1997 divenne il titolo di un album di Paul marsi, anche per periodi molto brevi, con i seguenMcCartney.
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Antropos in the world POLITICA E NAZIONE – OVVERO IL PENSIERO DELLA GENTE COMUNE
IL DEBITO PUBBLICO DELL’ITALIA Il debito pubblico italiano è l'emergenza della nostra epoca: la sua presenza è una minaccia costante per il nostro futuro, per i nostri sogni e progetti e per le giovani generazioni. Condiziona e condizionerà la nostra vita personale, riducendo la nostra capacità decisionale, incidendo direttamente nella vita di ogni giorno. Eppure si sa cosi poco di esso. Come si è generato, a quanto ammonta, comeeliminarlo o ridurlo in maniera sostanziale perché è un nemico letale ed è invisibile ai più ed in particolare al popolo. Il debito pubblico si forma perché le spese dello Stato sono maggiori delle sue entrate. La differenza, se non è finanziata con l‟emissione di moneta, è coperta con l‟emissione di obbligazioni. Si deve perciò andare alla ricerca della fonte: come si è formato il deficit. Più o meno tutti i Paesi sviluppati hanno visto crescere smisuratamente la spesa pubblica a partire dagli anni Sessanta. Quelli che hanno registrato una crescita delle imposte non troppo distante dalla crescita della spesa, hanno oggi dei debiti contenuti. Altri, invece, hanno speso velocemente, con le imposte che crescevano lentamente. Da qui i grossi deficit, che cumulati, hanno prodotto un gran debito. Per capirci qualcosa in più va detto che la spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”. La prima finanzia l‟ordine, la giustizia, la difesa. La seconda finanzia l‟istruzione e la salute. Le pensioni invece sono pagate a chi è in pensione – attraverso un apposito organismo – da chilavora, quindi sono un trasferimento, non proprio una spesa. Premesso ciò, la spesa per lo stato minimo è rimasta all‟incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. Il debito pubblico non è un fenomeno solo italiano anche se l‟Italia è stata meno attenta e oggi spende ( per interessi cumulati) più di alcuni altri Paesi. Ciò capita perché ha incassato di meno per troppo tempo. Oggi i conti sono comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale e, purtroppo, vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito che, cumulandosi nel corso del tempo, ha formato l‟attuale debito pubblico. In conclusione, l‟Italia ha speso ( fino all‟ultimo governo Andreotti) più di quanto incassasse per troppo tempo e oggi i trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Il deficit quindi è rappresentato dal pagamento degli interessi sul debito cumulato. A ciò si aggiunga che la crescita economica (prodotto interno lordo PIL) non è mai stata troppo robusta, e perciò il rapporto debito su Prodotto interno lordo (PIL) è rimasto stabile, o è appena sceso, o è cresciuto di poco. Ultimamente, con i governi di sinistra che
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hanno portato l‟Italia in recessione, il rapporto è cresciuto molto perché, per la cattiva politica praticata, il PIL è calato molto e non si è ancora ripreso ed il debito sta aumentando a dismisura. Il debito pubblico italiano è stimato dal Fondo Monetario Internazionale al 137% del PIL. Questa sti-ma differisce di cinque punti percentuali in più rispetto alle valutazioni del governo italiano ed il tutto si tramuta purtroppo di una differenza maggiore di debito pubblico di circa 80 miliardi di euro . Solo nell‟ultimo anno l‟Italia ha visto crescere il nostro indebitamento pubblico a 2.168,6 miliardi di euro, +0,2 miliardi rispetto a giugno 2014. Il 137% è una percentuale altissima perché molto vicina a quella soglia fatidica del 140%, che generalmente viene indicata quale punto di non ritorno per la sostenibilità finanziaria di un paese. Purtroppo, in questo tragico momento, il governo italiano, guidato dalla sinistra, sta ancora imbrogliando gli italiani fornendo dati diversi da quelli reali ed in contrasto con le stime del Fondo Monetario Internazionale. Gli economisti parlano del 5,1% di differenza ( pari a oltre 80 miliardi di euro). Mediobanca, nel 2015, nelle sue stime ufficiali,ha invece calcolato il debito pubblico al 145% del PIL Per questo motivo il governo di sinistra guidato da Renzi ha camuffato le disastrose percentuali ricalco lando il PIL includendo tra la ricchezza prodotta dagli italiani, anche quella generata dalle attività illegali, come droga e prostituzione. Il PIL è stato così alzato di 59 miliardi di euro, pari a un +3,7% rispetto alle reali stime. Ciò ha consentito al governo di abbassare le proprie stime sul debito ( già diverse da quelle del FMI) dal 134,9% precedente al 131,6% e di prendere ancora una volta in giro gli italiani. Nonostante questo trucco alla fine, il Fondo Monetario, pur tenendo conto del ricalcolo operato da Renzi, ha comunque stimato il debito pubblico italiani intorno al 138% e per questo gli economisti mondiali considerano l‟Italia a rischio fallimento più della Grecia perché in Italia il PIL – per la cattiva politica operata dal Governonon cresce e non si intravedono prospettive di crescita immediata. A questo punto viene spontaneo chiedersi: Chi sono i creditori del debito pubblico? Sono principalmente le banche ed in buona parte straniere. Ciò a consentito alla Germania e alla Francia , con la colpevole complicità delle più alte cariche dello Stato Italiano, di far cadere il Governo Berlusconi perché questi Paesi stranieri, tramite le loro banche, hanno immesso contemporaneamente sul mercato tutte le obbligazioni italiane creando il panico tra gli addetti ai
Antropos in the world lavori. In questo modo lo spread (differenza tra i titoli italiani e tedeschi), fino ad allora sconosciuto ai più, è schizzato alle stelle completando il complotto straniero. I complici italiani subito si sono affrettati a salire al Governo con rappresentanti non eletti che, con la loro balorda politica, hanno portato allo sfacelo e alla recessione l‟intero paese che, dopo anni di falsità e menzogne, non si è ancora ripreso. Le banche private che oggi creano denaro dal nulla (senza alcuna riserva) hanno fatto inceppare il sistema economico capitalistico con la conseguente distruzione dell‟economia dei paesi, specialmente i più poveri. Diventa così urgente e necessario salvare le economie. Ma cosa fare per cancellare il debito pubblico ? Il mezzo c‟è ed è semplicissimo perché era in vigore prima del 1666 quando il denaro veniva creato dagli Stati. Dal 1666 il re inglese Carlo II mise il controllo del denaro in mani private e a tutt‟oggi nel mondo le banche comandano e inventano denaro. Per cancellare il debito pubblico ci vuole solo coraggio ( che manca ai nostri governanti). Basta sostituire l‟attuale sistema facendo una legge che obblighi le banche a una riserva del 100% . In questo modo il controllo del denaro passerebbe di nuovo nelle mani dello Stato e ciò alimenterebbe la crescita e la stabilità dei prezzi. Si incrementerebbe l‟occupazione e, cosa più importante, si spodesterebbero i banchieri che sono la causa del nostro male. Schiavi dell‟euro: la Banca Centrale Europea lucra sul denaro che ci spetta E‟ vero che le banche centrali europee hanno emesso la moneta, prestandola.La gente deve cominciare a capire che, con l‟avvento dell‟euro, noi ci andiamo a indebitare con la Bce, senza contropartita, per tutto l‟euro che sarà messo in circolazione dalla Banca Centrale Europea. Se compro un‟automobile, mi indebito e mi impegno a pagare a rate: ma almeno l‟azienda mi dà come corrispettivo l‟automobile. La Bce ci viene a indebitare per un valore pari a tutto l‟euro messo in circolazione, ma senza contropartita. Sicché, l‟Europa rischia di precipitare nella dimensione dei popoli del Terzo Mondo: che sono tali perché gravati da un debito non dovuto, che è pari a tutto il denaro in circolazione, e che quindi realizza una subordinazione di schiavitù nei confronti della “usurocrazia” che domina il sistema monetario e politico mondiale. Di fronte a questo rischio, cosa possiamo fare? Proponiamo a chiunque – privati cittadini, aziende, enti pubblici – di affiggere ovunque un cartello con scritto: “L‟euro di chi è?”. Maastricht non lo dice. Perché si tace? Di norma, quando ruba, il ladro lo fa di nascosto. E qual è il programma della Bce? Siccome tutte le banche centrali del mondo, dalla Banca d‟Inghilterra in poi, hanno emesso la moneta “prestandola” – cioè arrogandosi non solo il diritto di stamparla, ma anche la proprietà della moneta, come proprio monopolio bancario – la stessa cosa fa la Banca Centrale Europea. La Bce non potrebbe mai dire che è
l‟euro è suo, dovrebbe dire che è dei popoli: ecco perché la Bce non può dire di chi è la proprietà della moneta. Perché chi dà valore alla moneta non è chi la stampa, ma chi l‟accetta. Se mettiamo il governatore di una banca centrale a stampare moneta su un‟isola deserta, non nasce il banconote valore: perché manca la collettività. Solo la gente, accettandola, crea convenzionalmente il valore della moneta. Questo significa che anche l‟euro, all‟atto dell‟emissione, va dichiarato di proprietà dei popoli europei, e non della banca centrale. Il rischio è grosso, perché non ci sono vie di mezzo: se il Trattato di Maastricht non dice niente sulla proprietà dell‟euro, noi non possiamo autorizzare il ladro a decidere chi dev‟essere il proprietario. E‟ come per i popoli del Terzo Mondo: prima che dalla fame, sono strozzati dal debito. La stessa cosa avverrà coi popoli europei: che si indebiteranno senza contropartita con la Bce per ogni euro messo in circolazione, così come i popoli del Terzo Mondo si sono indebitati con la Federal Reserve americana per i dollari messi in circolazione. Abolita la contropartita della riserva aurea nel 1971, la Fed cosa ha fatto? Carta e inchiostro, in cambio di denaro vero dal Terzo Mondo. Esattamente così, solo su carta e inchiostro, la Bce baserà l‟emissione di euro nei confronti dei popoli europei. Ecco perché, in qualità di cittadini europei, noi pretendiamo di sapere di chi è la proprietà dell‟euro all‟atto dell‟emissione: perché se manca questo accertamento, la risposta fa crollare questo sistema programmato dai grandi usurai che dominano il regime monetario. I quali, con l‟euro, hanno realizzato una truffa clamorosa nei confronti di tutti i popoli europei. Sono obbligati a dare una risposta: ci dicano di chi è l‟euro. Se è della Bce, che lo stampa e lo presta, allora ci truffa: perché toglie ai popoli il valore monetario creato dalla collettività. Se non diciamo chi è il proprietario, non possiamo dire neppure chi è il debitore e chi il creditore. Non si può dire di Giacinto Auritichi è l‟euro? Allora quella diventa una moneta che non può essere accettata. Io, cittadino, ho il diritto di contestare e dire: io l‟euro non lo accetto. Questo fa saltare per aria tutte le trame dei grandi usurai che ci hanno manipolato, per imporre all‟Europa un debito non dovuto. Il loro piano? Fare dell‟Europa un‟organizzazione di popoli del Terzo Mondo. Il valore indotto della moneta, che si ha quando la si fa circolare, è il potere d‟acquisto. Inizialmente, c‟era la riserva aurea: la moneta è stata costituita come titolo rappresentativo di quella riserva. Sennonché, con gli accordi di Bretton Woods che nel „71 hanno abolito l‟oro come riserva, dobbiamo cominciare a chiarire che, all‟atto dell‟emissione, la moneta va dichiarata di proprietà dei popoli e non delle banche centrali. Tanto più lo dobbiamo dire oggi, per colmare una lacuna normativa del Trattato di Maastricht, che parla di tutto tranne che di questo punto centrale: di chi è la proprietà dell‟euro. Perché tanto silenzio? Perché le banche centrali vogliono appropriarsi in modo parassitario dei valori creati dalle comunità. Prestano denaro non loro: e noi abbiamo scoperto la tecnica con cui questi truffatori barano al gioco della Storia. ( CONTINUA A PAG.28)
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(ISOTTA LA BIONDA – da pag.23) Aiutati da un eremita si mettono in contatto con il re, che è contento della loro proposta e accoglie nuovamente Isotta. I baroni, non contenti, vogliono che Isotta giuri di non aver mai tradito il re. Isotta, decisa a non essere più presa di mira, decide di fare il giuramento davanti a Re Marco. Escogita un piano con Tristano e riesce a giurare il vero. Tristano si allontana quindi dalla Cornovaglia e va in Bretagna; in caso di pericolo però ciascuno avrebbe soccorso l'altro. Tristano diventa amico di Caerdino, il figlio del duca Oele e lo aiuta durante una battaglia. Per ricompensarlo, questi gli offre la mano della sorella. Isotta dalle Bianche Mani. Tristano l'accetta per non offendere il suo onore, ma non consumerà mai il matrimonio e resta fedele a Isotta la Bionda. Isotta dalle Bianche Mani è offesa da ciò e ne parla con il fratello. Caerdino affronta Tristano e il giovane è obbligato a raccontargli tutto. In seguito Tristano vuole rivedere Isotta; si finge pazzo e si reca a Tintagel dove si fa riconoscere a fatica. Durante un'imboscata viene gravemente ferito da una punta avvelenata ed è sul punto di morire, perciò chiede a Caerdino di andare in Cornovaglia e scortare Isotta la Bionda che lo avrebbe salvato. Se Isotta fosse venuta, Caerdino avrebbe dovuto issare una vela bianca, altrimenti una vela
nera. L'inviato parla con Isotta e subito si imbarcano verso la Bretagna.Tristano riesce a scorgere una nave ma i suoi occhi offuscati non distinguono il colore della vela. Isotta dalle bianche mani, gelosa di quel suo tenace amore, dice al povero Tristano che la vela è nera ed egli muore poco dopo. Isotta dai biondi capelli non fa in tempo a giungere e dopo aver pregato per l‟amato gli muore accanto. Per volere di Re Marco i due sventurati sono sepolti in Cornovaglia e dalla tomba di Tristano nasce un rovo che si estende fino al sepolcro di Isotta.
LAUREE IN FAMIGLIA
In questo mese, si sono laureati con il massimo dei voti i miei nipoti Paolo e Daniela Liguori. Presso l‟Ateneo Salernitano abbiamo avuto modo di apprezzare la loro alta professionalità e la disinvoltura che nasce dalla vera preparazione. Ad essi ed alla madre, Rosa Maria Pastore, Direttrice di Antropos in the World, le congratulazioni mie e dei redattori tutti. Un fugace pensiero a Matteo, da poco scomparso, che tanto desiderava assistere alla laurea dei figli. - 27 -
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IL DEBITO PUBBLICO – da pag. 26 Allora pretendiamo che l‟euro venga dichiarato di proprietà dei popoli europei. E, contestualmente, chiediamo che ad ogni popolo vengano accreditati – e non addebitati – gli euro emessi. Proprietari e non proprietari? Non è una differenza di poco conto: è la stessa differenza che c‟è tra creditori e debitori. Cosa preferiamo essere, proprietari dei nostri soldi o debitori? Questa è la domanda alla quale Maastricht non risponde, perché è stato programmato dai grandi vertici delle banche centrali, che hanno organizzato la Bce sul modello della Banca d‟Inghilterra che dal 1600 fame nel terzo mondoemette “prestando”, inaugurando cioè il grande parassitismo ai danni delle economie nazionali. Ogni anno muoiono di fame 50 milioni di esseri umani: non per mancanza di alimenti, la cui eccedenza distruggiamo, ma per mancanza di denaro per comprare gli alimenti. Non solo la moneta dev‟essere di proprietà dei popoli, ma ogni cittadino dovrebbe avere il suo reddito di cittadinza, per razionalizzare il diritto sociale. Cos‟è la moneta? Una convenzione: accetto moneta contro merce, perché prevedo di poter ottenere altra merce contro moneta. Valore indotto: lo stesso che si ottiene facendo circolare monete alternative. E‟ il caso del Simec, circolato in Abruzzo come esperimento, per poi eventualmente diventare una valuta mondiale in sostituzione del dollaro, emanato dal “grande usuraio” che è il governatore della Federal Reserve. La Fed usa lo stesso sistema della Banca d‟Inghilterra: stampa e presta. Con una moneta come il Simec, io stampo e dò. Sta a noi decidere: solo noi possiamo scegliere di dare valore a un pezzo di carta. La grande usura si è consolidata negli ultimi tre secoli, nella storia della moneta. Abbiamo bisogno di cambiare le regole del gioco. La riserva? E stata sempre una favola. E ha spinto le monarchie a indebitarsi coi banchieri, per denaro che i banchieri stampavano a costo tipografico. Il valore del denaro non è un vero valore creditizio basato sulla riserva, ma solo un valore indotto e basato sulla semplice convenzione. Il principio della proprietà popolare della moneta: è l‟apertura della terza via. Se l‟euro è dei cittadini, ad ogni cittadino spetta una parte dei soldi stampati dalla Banca Centrale Europea: la Bce dovrebbe funzionare solo come tipografia, operando gli adempimenti necessari a mettere a disposizione dei cittadini la loro moneta. Chi dà valore alla moneta siamo noi: e quindi abbiamo diritto di pretendere dalla Bce che l‟euro sia dichiarato di proprietà dei popoli, altrimenti abbiamo il diritto di rifiutare l‟euro all‟atto dell‟emissione perché, mancando la certezza del diritto, manca la validità della moneta. Qui si tratta di trasformare i popoli: da debitori in proprietari. Oggi tutta l‟umanità è angosciata dall‟insolvenza: recenti statistiche rivelano un quantitativo impressionante di persone che si suicidano per i debiti, e questo fenomeno non ha precedenti nella Storia, perché nasce dall‟avvento della “usurocrazia” che si è presentata sotto una parvenza
di democrazia. A noi la democrazia sta bene: vuol dire sovranità popolare. Ma il popolo deve avere anche la sovranità monetaria, oltre a quella politica, cioè la proprietà popolare della moneta in un sistema di democrazia integrale. Tante sono le idee e tanti i partiti, ma quello che conta è l‟onestà degli scopi: liberare l‟umanità dall‟angoscia dell‟insolvenza. Oggi l‟arrivo del postino è motivo di allarme, temiamo pagamenti: è la prova del fatto che viviamo in regime di “usurocrazia”, non di democrazia. Si impongono scelte strategiche, cioè semplici: meglio avere in tasca il doppio o la metà? Oggi la banca centrale ci presta denaro, caricandone il costo del 200%. Denaro che in realtà è nostro, e ci viene espropriato: la banca centrale non dovrebbe prestarcelo, ce lo dovrebbe accreditare. E quando il costo del denaro prestato è del 200%, la puntualità nei pagamenti è impossibile. Ecco perché la maggior parte dei suicidi da usura non avviene per la piccola usura di bottega, ma per il fisco: la gente è costretta a vendere i propri beni per pagare le tasse. Tasse che, prima di tutto, ripagano gli azionisti della banca centrale. Dal 1910, con la fondazione della Banca d‟Italia, abbiamo sopportato la prassi di una banca che emette prestando. Con la Bce bisogna cambiare le regole del gioco: nelle nostre case deve tornare la serenità. Altrimenti, rischiamo di portare le nuove generazioni di fronte alla scelta tra il suicidio e la disperazione. (Giacinto Auriti, estratti delle dichiarazioni rilasciate a “Saus Tv” l‟11 aprile del lontano 2011, alla vigilia della storica introduzione dell‟euro. Economista e docente universitario, Auriti denunciò il ruolo delle banche centrali, che ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta dando origine in tal modo al al debito pubblico. "L'attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto" (By Maurice Allais, premio Nobel per l'economia) "Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera, è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico." Sir Winston Churchill. Mario Bottiglieri
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Ειπών ά θζλεισ, αντάκουε ά μή θ ζ λε ισ Se dici ciò che vuoi, devi ascoltare in risposta ciò che non vuoi. -------
Kάλλιο πζντε καί ςτο χζρι, παρά δζκα καί καρτζρει. Meglio poco oggi che molto domani. (ad sensum)
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IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO
LE LAVANNARE
Le “minenti” erano popolane romane, per la maggior parte lavandaie o erbiven-dole, uno dei vecchi mestieri che si faceva a Roma quando il Tevere era “biondo” ; nella zona dei Banchi e di ponte Sant‟Angelo ; con i loro cestoni di vimini ricolmi di biancheria. Ma anche in appositi luoghi pubblici attrezzati per lavare i panni, creati nella Roma dell‟ottocento, bello un quadro nel museo di Roma in Trastevere che dipinge in maniera fotografica uno scorcio di quei tempi. Figure tipiche della romanità, per la loro mordacità e di una femminilità dirompente, cantate da una canzone della compianta Ga-briella Ferri, colei che diede la voce a Roma come la Magnani diede il volto, da un asserto del sito “Core de Roma” ; uno dei tanti siti dedicati alla “maggica”. Dirette antagoniste delle portinaie, delle lingue da riporto, un vero “taglia e cuci” dei rioni ; era un giornale orale che correva per tutta Roma ; con i motteggi salaci sui vari malcapitati. Anche se il mestiere è decaduto, il cicaleccio è una attività che non soffre il tempo, ma si tramanda nei secoli, difatti è tipico romanesco
dire quando uno parla troppo: - Me sembri nà lavannara -. Adesso, quello che era un mestiere, è fatto in casa con delle macchine infernali,e non si sente più quella fraganza di lavanda e sole di una volta, ma si è guadagnato in fatica e reumatismi.
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CONFIDENZE TRA LAVANNARE M‟era mó ccapitato un conciapelle fijjo der zervitor de Tammerlicche. Ebbè, ppe la miseria ho pperzo nicche e ppartito; e cciò mmadre e ddu‟ sorelle! La dota a mmé?! Cchi mme la dà? Bberlicche? Chi cciajjuta a nnojantre poverelle? Le dote de le povere zitelle toccheno tutte a le regazze ricche. Tratanto eccheme cqua, ssora Sciscijja: quest‟antro puro me l‟ha ffatta tonna: tutti me vonno e ggnisuno me pijja. Ma ggià, cquela bbon‟anima de nonna me lo disceva: «Statte quieta, fijja: ce penzerà er Ziggnore e la Madonna».
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IL MUSEO DIOCESANO DI SALERNO Di PAOLO LIGUORI (II parte) Fin dal 1967 il professore Causa insisteva per una sede diversa e negli anni seguenti preparò, con la collaborazione dell‟ingegnere Grillo, un progetto per trasferire il Museo nell‟atrio del Duomo, comprendendo le gallerie e le adiacenza. Il terremoto del 1980 fece crollare il tetto della sala degli avori e il Museo restò chiuso fino all‟aprile dell‟anno seguente, quando si riuscì a riparare i danni. Istituita la Soprintendenza ai Beni Culturali per le Provincie di Salerno e Avellino, con sede in Salerno, il Soprintendente Mario De Cunzo, il 22 agosto, chiese il Museo quale sede provvisoria, ricevendo parere positivo da Monsignor Pollio. L‟ospitalità, sebbene di breve durata, offrì l‟occasione per valutare lo stato precario di molte delle opere conservate, sia per l‟alto tasso di umidità sia per la continua variazione della temperatura. Venne, pertanto, suggerito il trasferimento delle opere nella basilica di San Benedetto, allora in fase di restauro, o nell‟atrio del Duomo con un progetto non molto diverso da quello previsto dall‟ingegnere Grillo. Monsignor Pollio chiese il parere ai Canonici, i quali, nell‟adunanza del 15 ottobre 1981, aspresero parere sfavorevole. L‟Arcivescovo, allora, ricevendo il 3 novrembre l‟architetto De Cunzo, non si mostrò contrario alla scelta della basilica di San benedetto: soluzione che divenne definitiva il 14 gennaio 1983,quando Monsignor Guerino Grimaldi, allora arcivescovo coadiutore, decise di dare la Basilica quale sede nuova del Museo nel corso della riunione del Capitolo. Il Soprintendente dispose i lavori di adattamento della chiesa alla nuova destinazione, mostrando, però, troppa fiducia negli eventi futuri: nel giugno del 1987 Mons. Grimaldi dava la Basilica ai Padri Domenicani, costretti a lasciare la chiesa di San Giorgio, sottoposta a restauri. Doveva essere un trasferimento breve, ma il protrarsi dei lavori in San Giorgio, unitamente a una sottoscrizione popolare, lasciarono la Basilica ai Padri Domenicani e al Museo la ricerca di una nuova sede. Questa venne individuata nell‟ex Seminario Arcivescovile, dove erano in corso lavori di restauro e di
adattamento per l‟Archivio e la Biblioteca della Diocesi. L‟Arcivescovo dette il consenso e i lavori proseguirono per disporre la nuova sede del Museo, inaugurata nel 1991. D‟allora, il Museo (fig. 1) costituisce, insieme con la Biblioteca e l‟Archivio, un grande polo culturale della città e provincia. L‟Arcivescovo di Salerno Mons. Cervantes1, che aveva preso parte al Concilio di Trento del 15 luglio 1535, diede immediata applicazione ad una disposizione del Concilio che ordinava ad ogni Diocesi di istituire un collegio nel quale fossero formati ed educati i giovani che avessero deciso di avviarsi alla vita sacerdotale. L‟edificio sorse sul lato settentrionale del Duomo ed era addossato alla parete esterna della navata sinistra della Cattedrale, al di sopra di un larghetto che era allora davanti alla porta piccola dell‟atrio e da questo larghetto doveva avere anche accesso. Per il resto l‟edificio confinava con la via pubblica, senza possedere particolari elementi architettonici significativi. Nel 1731 l‟Arcivescovo De Capua, volendo eliminare i numerosi inconvenienti derivanti soprattutto dal modo disorganico con il quale il complesso si era ingrandito, decise di demolire quasi completamente le vecchie strutture ed impostò l‟impianto del nuovo edificio nella maniera che ancora oggi si vede. (Continua)
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DALLA REDAZIONE DI S.Valentino Torio
L’AMORE è UNA COSA MERAVIGLIOSA “Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, / prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. // Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, / che, come vedi, ancor non m’abbandona. // Amor condusse noi ad una morte”. (Divina Commedia – Inferno - canto V) “ Amor con amor si paga, chi con amor non paga, degno d’amor non è” (Francesco Petrarca)
giovinezza) : piccole fiamme che sembrano dei roghi devastanti, sconvolgenti; poca cosa, che, però, ci cambia la vita. Poi si comincia a riflettere, si comincia a valutare meglio, a soppesare e l‟amore diventa più intrigante, più ragionato, sempre vissuto intensamente e appassionatanente, e sempre più…. meraviglioso. Successivamente si comincia a fare sul serio, i progetti di vita sono più accurati, si comincia a pensare a un nido (con inevitabili bollette da pagare- luce, acqua, Come dice il titolo “l‟amore è una cosa meravigliosa” gas, ecc.-), e si comincia a pensare seriamente a una e non mi riferisco alla celebre canzone , né all‟altret- scelta responsabile e si conclude con un impegno tanto celebre film. Partiamo dall‟amore tra Paolo e formale a vivere sotto lo stesso tetto, ad aiutarsi Francesca, di cui Dante ci ha parlato nell‟Inferno ( V. vicendevolmente in tutte le circostanze della vita i primi versi dopo il titolo in alto): due amanti che (favorevoli o avverse) e sempre più innamorati, per un sono rimasti nella mente di tutti coloro che hanno periodo determinato o, magari, per tutta la vita. studiato la Divina Commedia; il loro amore fu un Uomini e donne, di ogni latitudine e di ogni età (perché amore tragico, ma anche un grande amore. l‟amore colpisce ad ogni latitudine e ad ogni età) Parliamo, dunque, dell‟amore, sic et simpliciter; que- unitevi nel segno dell‟amore: la vita è più bella se sto sentimento dalle molte sfaccettature, che ci vissuta serenamente (o burrascosamente) in due . prende, ci tormenta, ci gratifica tutta la vita, a volte ci Unitevi per raggiungere il più alto grado di intensità del fa soffrire, ma rimane sempre… una cosa meravi- rapporto. Fate sempre in modo da vivere un amore gliosa. “splendido”, come recitano alcuni versi della canzone L‟amore ha diverse sembianze, ma, per brevità, ci “L‟amore è una cosa meravigliosa” (un cenno al testo soffermeremo sull‟amore con la “A” maiuscola, della canzone era doveroso): quello che fa sussultare il cuore e la mente, quello che “Sì,questo amore è splendido non ci fa dormire, quello che più di tutti ci estasia, come il sole, più del sole tutti ci illumina, quello che ci procura qualche delusione e , perché no, è qualcosa di reale che incatena i nostri cuor, qualche dispiacere. Il primo amore è quello filiale nei amor meraviglioso amor” confronti dei nostri genitori: è ugualmente una cosa Per finire la citazione del grande poeta Francesco meravigliosa, ma quello di cui vogliamo parlare, è un Petrarca, che di amore si intendeva molto: “ Amor con altro tipo di amore. amor si paga, chi con amor non paga, degno d‟amor Parliamo di due persone che si innamorano, si amano, non è” stanno bene insieme e che decidono, dopo un periodo e n.4 aforismi sull‟amore: di “tiroconio”, di fare un percorso di vita insieme, Se l'amore non ti ha fatto commettere mai neanche la mano nella mano, divorandosi a vicenda con gli occhi più piccola follia, vuol dire che non hai mai amato e con la fiammella del desiderio sempre accesa. (W. Shakespeare) Vivere insieme, sempre disponibili verso il partner, L'amore è come il fulmine: non si sa dove cade finchè sempre gentili, sorridenti. Quale è il segreto per una non è caduto. (Jean.Baptiste Henri Lacordaire) convivenza serena, duratura e tranquilla? Gesti sem- Amate, amate, tutto il resto è nulla.(Jean de la plici, nel quadro di una quotidianità caratterizzata dal Fontaine) piacere di stare insieme, parlare, parlare molto, dal I ragazzi che s'amano non ci sono per nessuno, sono saluto mattutino alla “Buona notte! “ di sera, in un altrove, ben più lontano della notte. (Jacques Prévert) rispetto reciproco e rassicurante. E n.10 mod di dire in francese “Ti amo”: Ti amo/ Je L‟amore ( quello vero, quello meraviglioso) è fatto di t‟aime. Ti adoro/Je t‟adore. Sono pazzo di te/Je suis fou piccole cose, che qualificano un‟esistenza in due, danno de toi . Muoio per te/Je meurs pour toi . Ho voglia di un senso speciale alla vita: è bello amare e sapere, ac- te/J‟ai envie de toi. Sei la mia vita/Tu es ma vie . Ti corgersi, constatare che si è riamati. Quando c‟è tutto amo teneramente/Je te chéris. Non posso vivere senza questo, la vita è …straordinaria. di te/Je ne peux pas vivre sans toi. Sei il mio destino/Tu I primi innamoramenti (l‟età dell‟adolescenza/prima es mon destin. Vado pazzo di te/Je raffole de toi. (Continua a Pag, 34)
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Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XLVII
DE RAPIS ET PHOENICULIS Rapa iuvat stomacum, novit producere ventum, provocat urinam, Faciet quoque dente ruinam : si male concta datur, hic tortio tunc generatur. Autem semen foeniculi fugat et spiracula culi. . Son le rape esche dietetiche per lo stomaco e diuretiche; Ma son molto flatuenti e nocive per i denti. Chi mal cotte le assapora, della colica addolora. Del finocchio Le sementi caccian fuor dall’ano i venti.
LEVIORA
LE COSE DELLA VITA
BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione - via Margotta,18 tel. 089.797917 - 32 -
Una famosissima attrice dei film per il pubblico adulto va a confessarsi. Inizia a raccontare i suoi peccati, legati prevalentemente al suo mondo del lavoro. Il prete, dall'altra parte, ascolta e dopo un po' il suo respiro diventa affannoso. "Tu sei un prete" – diceva a se stesso – "devi resistere alla tentazione". L'attrice si accorge che il prete si è eccitato ed anche lui inizia a sentirsi così. Il suo racconto diventa più spinto, con più dettagli e inizia a sbottonarsi la cami-cetta. Il prete intravede cosa succede ed inizia a sudare fortemente. "Sei un prete, devi resistere"- continuava ad incoraggiarsi. Nel frattempo, la donna si è tolta il reggipetto e la gonna, sotto la quale non aveva niente. Eccitatissima, comin-ciava ad innervosirsi perché il prete non passava all'azione. Così esce dal confessionale. L'uomo la segue. Lei si siede su di una panca, alza una gamba ed inizia a toccarsi, tutto davanti al prete che perde il lume della ragione, alza lo sguardo verso Gesù crocifisso e gli chiede: - Gesù, aiutami. Dimmi cosa devo fare!-. Nell‟aria un grido:- Schiodami! Schiodami! –
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LETTERA DI UN PROFESSORE DI FILOSOFIA Egregio Ministro Poletti, ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere. Mi sono laureato, ho preso due abilitazioni a numero chiuso, ho fatto un concorso nazionale e sono precario da 13 anni (assunto il primo di settembre e licenziato il 30 giugno) non tanto perché volevo far l‟insegnante, ma per godermi tre mesi di vacanze estive, oltre ovviamente a quelle natalizie, pasquali, di carnevale e ai ponti dei santi, dell‟immacolata, del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno. Peccato non si stia a casa anche il giorno della festa della mamma, del papà, della donna e magari dei nonni. Egregio Ministro, ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere, la volgarità e la disonestà intellettuale che caratterizza lei e tutto il governo Renzi è squallida e imbarazzante, sintomo di un paese sempre più allo sbando, retto da personaggi di piccolo cabotaggio, corrotti, prepotenti e mediocri. Probabilmente signor Ministro lei è troppo impegnato in cene e feste con importanti esponenti di Mafia Capitale per conoscere la professione dei docenti e la realtà in cui vivono gli studenti italiani; altrimenti saprebbe che il numero di giorni di scuola in Italia è pari a quello dei principali stati europei (Germania, Francia, Spagna. ..). Le vacanze sono solo distribuite in modo diverso. Se conoscesse le condizioni in cui versano gli edifici scolastici italiani e l‟ubicazione geografica del Paese che governa, saprebbe, inoltre, che andare a scuola a luglio e agosto nella maggior parte delle città (Napoli, Bari, Palermo, Roma, Sassari, Milano) sarebbe impossibile. Infine, signor Ministro, le ricordo che ormai anche il mio macellaio di fiducia (purtroppo sono carnivoro) non pensa che un insegnante faccia tre mesi di vacanza. Tra esami di stato, esami di riparazione, riunioni e programmazione le ferie dei docenti (trenta giorni più le domeniche) si concentrano per lo più da metà luglio al 31 agosto. Comunque Egregio Ministro e Esimio Premier, fate bene ad umiliare costantemente noi in- 33 -
segnanti. Ce lo meritiamo. Negli ultimi decenni abbiamo accettato tutto supinamente: blocco salariale, classi pollaio, precarietà, aumento dell‟orario di lavoro, edifici insicuri, cattedre spezzatino e concorsi truffa. Ed ora, sprezzanti ma con il sorriso sulle labbra, state realizzando la privatizzazione della scuola e la sua trasformazione in un‟azienda senza che il corpo docente italiano dia un sussulto di vitalità. Tra chi aspetta la pensione e chi pensa che un salario fisso anche se basso è meglio che niente, tra chi è stanco di lottare e chi si considera intellettuale, tra chi “tanto mio marito è un dirigente o libero professionista” e chi è solo e disperato, tra chi “o si blocca il paese per settimane o uno sciopero non serve a nulla” e chi ” ora servirebbe la rivoluzione”, gli insegnanti stanno assistendo inerti e rassegnati alla lenta morte della scuola pubblica, democratica e costituzionale. Il nostro silenzio è complice. E non basta più (se mai è servito a qualcosa) sfogarsi solo sui social network. Per chi non si vuole arrendere non vi è altra strada che la lotta, per la nostra dignità e per il futuro dei nostri figli e dei nostri studenti. Una terza via non ci è data. Matteo Saudino1 __________________
1)Docente di storia e filosofia a Torino. Libero pensatore e cittadino del mondo.
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L’amore e’ una cosa meravigliosa Continuazione da pag.31 E n.4 esempi di grandi amori dei tempi nostri: 1) Il re Eduardo VIII, che per amore rinunciò al regno per unirsi in matrimonio alla divorziata Wallis Simpson.
3) Adriano Celentano e Claudia Mori. E tanti altri…
4) Grace Kelly e il principe Ranieri di Monaco: un matrimonio da favola.
2) Fausto Coppi e la Dama bianca.
Vincenzo Soriente
CONCORSO DI POESIA MATER DEI La Direzione di ANTROPOS IN THE WORLD, in collaborazione con la Chiesa Madre di Pagani,bandisce la quarta edizione del Concorso nazionale di poesia religiosa MATER DEI, per gli alunni degli istituti superiori ed autori adulti, ovunque residenti. Si partecipa con una sola lirica, mai inviata ad alcuna competizione poetica e che non superi i trenta versi. Gli elaborati dovranno giungere alla Direzione del Giornale, in Salerno, alla via Posidonia, 171/h, entro e non oltre il trenta aprile p.v. Una commissione specializzata,che sarà resa nota nel giorno della premiazione, valuterà atten-
tamente i testi, scegliendo i vincitori che saranno premiati nella manifestazione che si terrà, in data da stabilire, nella magnifica chiesa del SS. CORPO DI CRISTO, in Pagani, entro il 30 maggio 2015.
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Di Giuffrida Farina
COME ANCORA PENSO A MIA MOGLIE In quel luccichio, Anna, una radiosa malinconia … In essi io vi leggo come un libro aperto, scintillanti tenere pagine, finestre illuminate nella notte risvegliano l’aria dormiente. E osservano magici sogni cicatrizzati, la solitudine dei campi coperti di neve con dolce calore la sciolgono, lievi e improvvise gocce di rugiada diventano una penna nella mia mano, rapide accarezzano il bianco foglio dileguandosi lontane. Descrisse la moglie il poeta Umberto Saba con una leggera, zuccherina fiaba … Scultorea stella divenne la sua donzella, in un simpatico gioco di specchi e versi – parodia singolarmente di fuoco – paragonata, pensate, a tutti gli animali del globo! Anch’io rivedo la mia Anny con sguardo potente e sincero, più alto, più intenso di quello degli occhi. Lì, nel dolce visino egizio la dimora di una luce che si trasforma in suono, magici tocchi ascolto, bussano nei miei interni. Lì, impressa nella mia carne è una ferita da stilo, di una dea egizia è il magnetizzante profilo.
GIUFFRIDA FARINA
PROCESSIONE DELLA MADONNA DELLE GALLINE,PROTESTA DEI FEDELI Di Gaetano Visconte dell’Itc S.Giuseppe Anche quest‟anno i festeggiamenti in onore della Madonna del Carmine, hanno raccolto migliaia di fedeli,così come succede da centinaia di anni, nella nostra città di Pagani. Alle ore nove la statua della Madonna è uscita dal Santuario,per raggiungere ogni punto della città. Giunta al Viale Trieste, la processione è stata fermata per circa tre ore, per una ordinanza del Comune di Salerno che proibiva i fuochi d‟artificio in città per motivi di sicurezza. La folla, allora, è esplosa sia nei confronti dei po-tatori, che del Sindaco Bottone, che per gli slogan ed altro, è stato costretto ad abbandonare la pro- 35 -
cessione. L‟intervento dei carabinieri ha evitato il peggio. Finalmente, con lo sparo dei fuochi d‟artificio, è ritornata la calma e la processione ha ripreso il suo cammino. In-tanto, la seconda ordinanza del sindaco, che vietava la vendita di alcolici ai minori è stata rispettata. A mezzanotte, la statua della Madonna è rientrata nel santuario tra canti e suono di ” tammorre”. G.Visconte
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