FRANCO PASTORE
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ALBERTO MIRABELLA “Il VALORE PARADIGMATICO DEI SOPRANNOMI A SARNO” ( Brunolibri Editore, Salerno, 2010 ISBN 978-88-86836-60-9 – pag.13 )
La capèra
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Per aver compiuto una qualsivoglia impresa, quasi sempre di genere guerresco, un tempo, si conquistava un titolo nobiliare ed una rendita che s‟imponevano per la drastica differenza tra prima e dopo, tra il nuovo titolato e gli altri, rimasti a livello di gleba o poco più sopra dell’artigianato. Tra la gente comune, per una caratteristica psicofisica o un‟accentuazione caratteriale e, a volte, per il semplice gioco della combinazione di elementi occasionali, si arrivava a conquistare, sul campo relazionale, il soprannome, una identità al di fuori delle convenzioni sociali. Esso era quasi sempre ristretto entro l’ambito di una circoscritta comunità ed aveva senso solo per essa.
Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. In effetti, i nomi propri di persona, secondo le teorie linguistiche, sono puri significanti, suoni senza referenti specifici e senza significato. Se emetto il suono "gatto", tutti capiscono che mi riferisco a quell’animale che ha quattro zampe, che miagola, che è amico dell'uomo, et cetera; ma se io dico "Antonio", al di fuori di un contesto determinato, nessuno sa chi è la persona con tale nome e nessuno sa a chi mi riferisco. Di "Antonio" ce ne possono essere a migliaia ed ognuno diverso dall'altro. Soltanto se il nome proprio diventa nome comune, per antonomasia, esso acquista un significato preciso: tutti sappiamo che un “giuda” è un traditore, perché Giuda, fu quello che, dicono le sacre scritture, tradì Cristo nell’orto degli ulivi. Il soprannome, dunque, qualifica la persona in modo inconfondibile, così che mentre in una comunità si tollera che ci siano dieci, venti, cento individui che si chiamano Antonio, non è possibile trovare un soprannome che indichi due persone diverse, a meno che non si tratti di nomignolo riguardante un casato (ad es.: "I Virdiniélli").
Marco Tullio “Cicerone”
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La necessità di aggiungere al cognome il soprannome è chiaramente dovuta al fatto che il patrimonio dei cognomi, in ogni comunità, è piuttosto limitato. Nell‟antica Roma, ad esempio i nomi erano alquanto pochi: Caio, Marco, Publio, Sempronio e poi i nomi numerali Secondo, Quinto, Sesto, e così via. Anche i cognomi, o nomi gentilizi, erano pochi ed il popolo Romano era diviso in appena trecento gentes, e che quindi c‟erano solo trecento cognomi, cosicché, quando la struttura sociale diventò più articolata, fu necessario adottare un terzo cognome o soprannome: il cognomen, che si aggiungeva a quello della gens, equivalente al nostro cognome ma anche al nostro soprannome. Nella comunità di Sarno, come in altre comunità, il soprannome era, una volta, l'unico modo per individuare le persone: Quando qualcuno parlava " do ferraro", non si poteva sbagliare, perché nel paese uno solo era quello che esercitava il mestiere di fabbroferraio. In ogni piccola comunità, dunque, non solo sarnese, ma in tutte le piccole comunità del mondo, in cui il sistema antroponimico è complesso, il soprannome è una denominazione fortemente identificante, la cui attribuzione è dovuta a tutta la comunità nel suo complesso. Per tale motivo, si può dire che quest’ultima esercita sugli individui un controllo sociale, che si materializza nel soprannome. Difficilmente l'individuo può sottrarsi, può solo adottare una sorta di “ribellione passiva", nei confronti di quella comunità che lo vuole configurare secondo i suoi criteri di giudizio. Tralasciando l‟analisi di spazi storico-temporali, già ampiamente trattati dal Mirabella, c’è solo da aggiungere che, nel periodo medievale, al momento della nascita delle lingue neolatine, si formarono i nuovi nomi e i nuovi cognomi. Il sistema antroponimico era dunque binominale, formato da un nome seguito o da un‟indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l‟origine di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano", lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E così, moltissimi soprannomi raccolti da Alberto Mirabella restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il soprannome è nato. Solo dunque i soprannomi che hanno un preciso riscontro nel mondo quotidiano e quelli di conio più recente possono essere interpretati, spiegati e capiti; per gli altri dobbiamo accontentarci di avere le raccolte. La microana-
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lisi storica ci ha insegnato che lo studio di una comunità ci può offrire un archetipo, che serve poi alla comprensione di una società più ampia. Così lo studio dei soprannomi di Sarno, nel modo in cui è stato fatto dal Mirabella, ci consente di conoscere quali sono la funzione e gli scopi dei soprannomi in un territorio più vasto, comprendente i paesi dell’Agro sarnese-nocerino, o addirittura della pianura circumvesuviana. Di qui, il valore incommensurabile del lavoro di Alberto Mirabella, il quale, con questa opera, apre le porte di una conoscenza, che, attraverso il sistema antroponimico e della soprannominazione ci permette di individuare strategie occupazionali, strutture, stratificazioni e relazioni sociali, sistemi culturali,conoscenza e controllo del territorio, implicanze geografiche ed altro ancora. Dal patrimonio di soprannomi sarnesi vien fuori, così, la storia di una comunità formata da contadini e da artigiani, questi ultimi immediatamente ricondotti dentro i parametri sociali della valle del Sarno, trasformati in "zeppolari", “zoccolari”, o ancora in “scassacarròzze”.
‘0 zoccolaro
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Il sistema dei soprannomi configura Sarno come una comunità relativamente chiusa in se stessa, tra la montagna ed il fiume della pianura, con le sue acque termali, il guizzare delle anguille ed il profumo dei gamberetti, nelle taverne secolari. Con le sconvolgenti trasformazioni del secondo dopoguerra, i numerosissimi soprannomi, indicanti le famiglie, che si sono perpetuati fino ai nostri giorni, sono di difficile spiegazione e, difficilmente, si arriva al loro significato. Difatti, anche se molti soprannomi sono chiari dal punto di vista linguistico (scazzato, ceciamoscia, centrella), è impossibile venire a conoscere perché e in quale occasione fu dato quel nomignolo. Da questo perpetuarsi della soprannominazione, dunque, si può arguire come la comunità sarnese sia rimasta compatta e chiusa in sé, fino a tutto il primo dopoguerra. Sarebbe un grave errore considerare questo lavoro una semplice raccolta di vecchi significanti, in quanto esso ha raggiunto pienamente l’intento del suo autore. L’opera, con respiro antropologico, si snoda e corre sulla terra dei Sarrasti a coglierne la vita, lo spirito di un fiume e la sua storia, fatta di voci e di profumi, del canto delle donne nelle campagne, tra le pendici del monte Saro e le acque, allora pure e pescose, del Sarno. Le voci riportate sono state studiate e analizzate dal Mirabella con la coscienza di recuperare e di conservare un prezioso patrimonio culturale e linguistico, che altrimenti poteva andare perduto; un patrimonio complesso ed articolato, i cui meccanismi possono essere conosciuti solo attraverso l’uso di strumenti di analisi complessi, di metodologie diverse.
Municipio della città di Sarno
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Il Mirabella non si è sottratto a questo compito ed ha così usato metodi interpretativi della semiologia e poi anche quelli della sociologia e dell’antropologia. Non si può non sottolineare positivamente lo sforzo fatto, per cercare di penetrare i significati, spesso reconditi, non solo linguistici, ma anche storici ed antropologici del soprannome e della sua funzione. Lo studio del Mirabella ricostruisce buona parte del patrimonio culturale e dell’identità di Sarno, realizzando una ricerca che completa il ritratto storico ed ambientale di questa città orgogliosa e fiera nella sua storia, tenera ed appassionata nei suoi canti e nella sue tradizioni: “ Era bella la mia terra contornata d‟alture‚ tra il fiume e la sua storia‚ nella pianura fertile del Sarno. Il canto delle donne preparava il tramonto: l‟ultimo bacio del sole alla campagna. Rintocchi di campane, nella piana, raccoglievano amici dai contadi, anime semplici, volti tagliati dal tempo ed abbronzati, tra semine e raccolti. Filosofia antica, fatta di soprannomi e di proverbi, che si spegnevano nel buio della sera e si vestivano di nuovo a primavera, tra feste e balli per l‟Addololorata.(1)
_____________ 1) “ La mia terra”, da “LE TUE LABBRA” di F.Pastore - A.I.T.W. edizioni, Salerno 2010.
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