Cielo su Villa Adriana | Archeoastronomia nell'impero romano

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CIELO SU VILLA ADRIANA

“ Una sera, Cabria mi chiamò per indicarmi una stella, nella costellazione dell’Aquila, che era stata appena visibile fino allora e che improvvisamente palpitava come una gemma, batteva come un cuore. Ne feci la sua stella, il suo segno. Ogni notte, mi esaurivo a seguirne il corso; ho scorto strane figure in quella parte del cielo. Mi ritennero folle. Ma non m’importava.” Marguerite Yourcenar “Le memorie di Adriano”


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Indice

pag. 1

Introduzione

pag. 4

Analisi storica ed architettonica

pag. 17

Simbologia a Villa Adriana

pag. 21

Villa Adriana:studi astronomici

pag. 22

Torre di Roccabruna

pag. 32

L’Antinoeion

pag. 45

Il “Recinto dell’isola”

pag. 50

Il Pecile

pag. 54

Bibliografia


CIELO SU VILLA ADRIANA

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Introduzione

In tarda età repubblicana e nel primo Impero la grande villa di campagna era intesa come il luogo dell’otium in cui riposare nel tempo libero, in antitesi all’attività svolta nell’urbe, cioè il negotium. La letteratura, l’arte e l’erudizione coltivate nelle capitali quali Pergamo, Alessandria e Atene mutarono profondamente e permanentemente la cultura romana: ne furono esempi il sapere e i valori spirituali di Vitruvio, la moda dell’arte greca e l’influenza che il corpus teorico greco ebbe su molte discipline. Le ville di campagna vennero così trasformate in luogo di studio a cui era necessario conferire la ricca e sontuosa organizzazione che caratterizzava le residenze urbane: Villa Adriana incarna non solo l’essenza del luogo dell’otium ma anche, e soprattutto, il luogo della rappresentazione economica, sociale e culturale dell’Impero e dell’Imperatore. Per capire le scelte e le dinamiche di questo progetto è necessario rievocare non solo la concezione filosofica nella quale vive la figura dell’imperatore Adriano, ma la concezione antica della meccanica, le cui leggi e le cui conoscenze si applicano necessariamente alla lettura degli edifici, agli interventi sul paesaggio, alla realizzazione di tutte quelle opere i cui resti

ancora affascinano per le dimensioni, per la riuscita, per la resistenza alla durata del tempo.

Particolare del teatro Marittimo.

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La rilettura di questi resti deve dunque confrontarsi con la concezione del mondo al centro del quale Adriano costruisce il proprio potere e la propria residenza interpretandone la filosofia e le capacità tecniche; sarà così forse possibile intuire la molteplicità di significati che le antiche architetture intendevano avere per i contemporanei e dilatare i limiti artificiosamente imposti alla comprensione dello spazio e delle tecniche antiche da interpretazioni forzatamente classicistiche o romanticamente decadenti. Villa Adriana non è solo il risultato di un preciso programma politico e di un’idea poetica, ma soprattutto una sintesi di una scienza e conoscenza che interpreta le relazioni biunivoche tra la sfera del logos e quella più concreta e connessa al fare e alla tekne. La stessa posizione di Villa Adriana rivela una logica di lettura che comprende lo spazio che la circonda e che, seguendo la valle dell’Aniene, giunge direttamente alla valle del Tevere, a Roma, o, per meglio dire, al mausoleo di Adriano. Questa linea di continuità ideologica e ottica tra due poli, fortemente voluti e caratterizzati dal princeps, ne riassumono l’intero programma ideologico. Lo spazio della Villa è strutturato con chiara evocazione del dominio imperiale universale, lo spazio della morte è concepito come apoteosi del sovrano e in vista della continuità dinastica. La continuità fisica e territoriale tra essi

suggerisce la totale inutilità di stabilire per Villa Adriana un limite o un confine.

Vista del Pecile dalla Peschiera.

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Il sito: la scelta di Adriano

Attualmente non è chiaro quali motivi spinsero l’imperatore Adriano a costruire la sua residenza a Tivoli. L’ipotesi che la villa sia stata costruita intorno a un’originaria domus della gens Aelia o dell’imperatrice Viba Sabina sembra, infatti, essere falsa; l’unica cosa di cui si è certi è che la villa tardo repubblicana fu acquistata insieme al suo praedium, che offrì lo spazio desiderato per dare libero sfogo alle nuove costruzioni. I lunghi dossi tufacei isolati dalle vallecole offrivano un ideale supporto

Topografia dell’agro tiburtino, Cabral1778.

topograficamente articolato, ma moderato nelle differenze altimetriche - per la dislocazione degli edifici: è noto infatti che uno dei caratteri più originali dell’architettura di Villa Adriana risiede proprio nei “valori ottici” costituiti da prospettive diverse dagli assi di percorso, linee di fuga, bruschi cambiamenti di orientamento ecc., del resto abilmente sfruttati per l’inserimento delle aree a verde.

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Un’altra notevole opportunità che il sito offriva era l’agevole reperimento di materiali necessari per le murature, a cominciare dal tufo e dalla pozzolana nell’ambito della villa stessa. I dossi collinari su cui sono dislocati i vari edifici sono infatti il risultato dell’incisione a opera delle acque superficiali di un originario tavolato di origine vulcanica; le vallecole scavate da ruscelli espongono alla vista i banchi di tufo e pozzolana, che risultano facilmente sfruttabili. Appare evidente che alcuni complessi sono costruiti in modo da nascondere o camuffare fronti di cava, coltivati durante le fasi del cantiere. L’osservazione dei luoghi evidenzia inoltre, parallelamente alla villa, l’esistenza di cave sia cielo aperto che in galleria disposte lungo le linee naturali di pendio. Oltre alle esigenze pratiche possono inoltre aver influito sulla scelta del sito anche motivazioni, per così dire, “ideologiche”; per esempio il richiamo esercitato dall’aristocratica tradizione della villeggiatura a Tivoli, che risale almeno alla metà del II secolo a.C. e che fra l’età tardo repubblicana e quella augusta vide la costruzione di ricche ville della nobilitas romana. Più in generale si potrebbe pensare alla presenza degli imperatori nella valle dell’Aniere, a cominciare dal “ritiro” di Augusto a Tivoli e proseguendo con la villa di Licenza, donata (32 a.C.) da Mecenate, ovvero dallo stesso Augusto, a Orazio (quasi sicuramente tornata dopo la

morte del poeta al fisco imperiale), con la villa di Nerone a Subiaco e quella di Traiano ad Arcinazzo Romano. Altro motivo di richiamo dovette essere il santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, che prima della costruzione di Villa Adriana rappresentava la più importante realtàmonumentale e politico-religiosa ( per la stretta connessione fra carichi civili e sacerdotali) - del municipio tributino, al punto da essere assunto dagli scrittori come elemento caratterizzante della città.

La villa e dintorni nella carta di Petrosky,1767. 5


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I limiti: l’isola “Villa Adriana”

Villa Adriana venne costruita su un terreno collinoso che, discendendo dai colli di Santo Stefano, si apriva verso la pianura dell’Aniene con due rilievi principali divergenti verso nord e divisi da una valletta naturale nella quale fu creato il Canopo. Ai lati esterni di questi rilievi si allungavano altre due valli percorse da fiumiciattoli, oggi quasi sempre asciutti, ma certamente ricchi di acque in epoca adrianea quando in esse si gettavano tutti gli scarichi delle vasche e dei ninfei del complesso. E’ quasi certo che queste due vallette dovessero costituire i confini est e ovest del complesso. Infatti se esaminiamo la valle orientale, che da Pirro Logorio venne chiamata Valle di Tempe, vediamo che la sua parete est è tagliata a picco: si tratta insomma di una cava. Questa fu fatta certamente per ricavare il tufo nella costruzione degli edifici del complesso, ma si dovette anche tener conto che la parte rocciosa emergente dal verde della vegetazione offriva un piacevole effetto scenografico. Il dirupo verticale costituiva una prima barriera a chi volesse introdursi nel predio imperiale, mentre una seconda e più valida difesa era presentata dai muraglioni di contenimento posti sul lato orientale della Villa propriamente detta:

quelli che sorreggevano la Terrazza di Tempe sull’omonima valle e quelli di terrazzamento dell’area ad est di Palazzo e di quello orientale della Piazza D’oro. In mezzo a questi due sbarramenti si estendeva il verde nastro del fondo valle solcato dal suo fiumicello.

Vista assonometrica del terreno. 6


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Ovviamente il limite estremo di Villa Adriana era il taglio della parete tufacea: infatti mentre è molto probabile che, per ragioni economiche, la zona sfruttata per cavare il materiale di costruzione dovesse far parte del pendio e quindi che questo dovesse comprendere la valle, è chiaro che, chiudendo la parte a picco ogni passaggio da questo lato, Villa Adriana non potesse estendersi più in là. Quindi l’ipotesi

che tale strapiombo costituisse il confine orientale sembra essere valida. La valletta che costeggia la parte occidentale della villa è oggi coperta di cespugli e boscaglia, e su di essa incombe il colle scosceso a picco sul quale si ergono l’Accademia e Roccabruna, altura ai tempi di vita della villa tutta contenuta da un’incessabile muraglione, oggi in parte crollato.

Estensione della Villa in età Adrianea. 7


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Nella valletta, almeno per quel che oggi si sa, non sono state trovate tracce di manufatti, quindi il muraglione era certamente il limite della costruzione, ma non è detto che il pendio finisse lì. E’ infatti possibile che il confine fosse posto sul costone occidentale della valle e che essa facesse parete del complesso, non fosse altro che per difendere l’intimità della residenza imperiale. Più difficili sono da fissare i confini nord e quello sud. Esaminando la pianura a nord dell’attuale ingresso della Villa ci troviamo di fronte ad un’area invasa da brutte costruzioni che hanno sconvolto l’area e sfalsato la sua antica topografia e che impediscono di chiarire con precisione dove fosse il confine del pendio imperiale. Non ci resta che basarci su rilievi precedenti alle ultime edificazioni e precisamente a a quelli effettuati da Contini e Piranesi. Notiamo subito che essi non segnalano la presenza di alcunché di notevole in questa pianura e i due ruderi vicino a Ponte Lucano, che alcuni pensano possano essere i piloni di un gigantesco cancello, sono stati riconosciuti come i resti di due tombe e, quindi, sono completamente estranei al complesso. Le prime tracce da collegare a Villa Adriana le troviamo vicino all’attuale ingresso, e precisamente all’altezza del Pantanello, un laghetto basso e paludoso che venne bonificato e asciugato alla fine del 1700 dall’inglese Hamilton. Questi, scavando il suo fondo melmoso, vi trovò un

considerevole numero di opere d’arte che probabilmente erano state nascoste lì in un periodo di disordini e saccheggi. Ciò fa supporre che il laghetto si trovasse nel predio imperiale, in quanto mal si spiegherebbe la scelta di un luogo ad esso esterno per nascondervi i suoi preziosi tesori d’arte. Una trentina d’anni fa, in prossimità dell’attuale ingresso agli scavi, venne alla luce un grosso tratto di mosaico bianco da rivestimento di piazzali. Esso si trovava proprio nel luogo dove Contini e Piranesi avevano notato i resti del piazzale annesso al Teatro Greco, oggi in fase di scavo. Continuando verso est, più o meno all’altezza del teatro, esistono i resti di un complesso di edifici, oggi in gran parte coperti ancora da terreno, mentre al di là del rivo non esistono altre tracce consistenti di costruzioni e sembra che il fantomatico Teatro Latino rilevato da Piranesi non sia mai esistito. Ciò posto, dato che tutti i ruderi si trovano nell’area inclusa del fiumicello, si può considerare questo come limite delle costruzioni, mentre il confine nord del pendio imperiale doveva correre sul costone esterno della Valle di Tempe e poi piegare a nord del Pantanello fino a giungere alla valle occidentale. Passando al confine meridionale notiamo che fino a poco tempo fa esso veniva posto a sud dei Colli di Santo Stefano, nella zona che Pirro Logorio chiamava Pritaneo. Recentemente invece viene messa in 8


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discussione l’appartenenza a Villa Adriana di questa zona, anche se un sopraluogo ha accertato che si tratta di un edificio di epoca repubblicana del quale pochi modesti restauri costituiscono la fase adrianea.; probabilmente venne inglobato nel predio e continuato ad usare. La prova che il Pritaneo non facesse parte della residenza imperiale ci viene da Pirro Logorio il quale, nella sua Descriptione di Villa Adriana, afferma di aver trovato numerose costruzioni funerarie tra il Pritaneo e i Licei. E’da escludere l’ipotesi che su un pendio imperiale si trovasse un cimitero, fosse esso costituito da tombe precedenti la costruzione del predio stesso, che ad esso posteriori. Si è perciò portati a pensare che il confine meridionale del predio adrianeo fosse posto poco dopo il Assonometria generale dei resti, Boussois 1912. Liceo.

Ipotesi di ricostruzione del Pecile e del muro delle Cento Camerelle, Boussois 1912. 9


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Inquadramento generale

Villa Adriana è sempre stata vista dalla storiografia architettonica come un episodio eclettico. La critica ha però peccato di superficialità, limitando l'osservazione agli aspetti piuttosto esteriori della composizione, che appartengono alla sfera delle soluzioni stilistiche decorative. Villa Adriana, invece, può essere considerata come una realizzazione caratterizzata da evidenti intenzioni fondative, nell' ambito di un progetto culturale globale che si proponeva la rifondazione di una civiltà. In quest'ottica la villa si presenta come una residenza di stato, con tutta l'imponenza che il tema richiede, e nella quale l'imperatore ha voluto esprimere tutti i fondamenti della sua politica culturale. Al tempo stesso, però, è anche una straordinaria prova d'artista nella quale Adriano segue, quasi come se le avesse coscientemente assegnato il ruolo di "pretesto" compositivo, la traccia della propria biografia. Dopo aver livellato tutto il colle secondo le necessità, ordinandolo su più piani, Adriano procede a comporre la villa come una specie di città di fondazione, nella quale ogni singola parte pretende di assurgere al rango di monumento e di distinguersi quindi da tutto il resto.

La villa può dunque essere detta" città", ma al tempo stesso non può essere identificata con nessuno dei modelli di città di fondazione che la storia ci tramanda come tali, cioè come schemi urbani. Villa Adriana è un monumento che si sviluppa in estensione, complessità e articolazione come una città, ma in effetti è un unico manufatto, di un'unica mano. Non è possibile tracciare cesure vere e proprie tra gli edifici: l'architettura trasfigura, trascolora da un blocco alI'altro, incastrando tra i rimandi a ciò che segue o a ciò che precede, costruendo un ordine distributivo complicato, vivibile come ordine solo da chi conosce la Villa assai nel profondo, intimamente. Pertanto, la città di Adriano è tale, ma solo per un occhio privato: è una città privata. Per Adriano, iniziato ai culti misterici degli elleni, una simile isola è uno spazio della mente e dello spirito che egli colloca a cavallo e come sintesi dei due principi fondamentali: ancora una volta, l'apollineo e il dionisiaco. Al di sopra di quest'isola ogni piano, ogni livello di spiccato delle architetture è controllato al centimetro, tutto è artificiosamente delimitato e collegato alla perfezione, senza lasciare nulla al caso sebbene le giaciture sembrino spesso

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rincorrersi e girarsi le spalle una all' altra. Ma questo stesso piano di spiccato è costruito a partire da sotto: l'architettura nasce nel sottosuolo con un elemento che all'epoca di Adriano era già stabilmente acquisito nell' architettura delle grandi ville patrizie: la basis villae. Nel caso di Villa Adriana questa base diventa una zoccolatura vastissima, impostata su più livelli, in modo da compensare l'andamento irregolare delle quote del terreno circostante. Al suo interno ospita una rete di gallerie, di vie di comunicazione percorribili anche a cavallo e con carri che, a partire dalla via principale di accesso, si ramifica collegando tra loro tutte le architetture in più punti, con molte scale di risalita, formando quindi un vero e proprio sistema di spazi ctonii, la cui progettazione viene curata da più punti di vista. Innanzitutto le facciate della basis villae sono di per sé un elemento fondamentale nella composizione e dei fronti della villa

verso il paesaggio esterno. Tali fronti si costruiscono canonicamente con muri sostruttivi, cioè con muri di contenimento delle terre, che diventano, quindi, aree per la piantumazione di giardini pensili, contenute in grandi vasche di pietra, vastissime murature a sacco di cui il terreno forma il materiale di riempimento. Questo stesso terreno diviene dunque base di fondazione sulla quale sono impostate le elevazioni degli edifici, ma è in effetti già parte del progetto e della costruzione. I fronti di Villa Adriana sono innanzitutto costruiti con lunghissimi e spesso anche altissimi podi basamentali. Al di sopra di questi, le architetture, quasi sempre, si arretrano e si chiudono verso l'interno, mediante la propria recinzione muraria cieca. Il lungo muro di contenimento a nicchie sostruttive rimane così l'elemento di base della relazione con il paesaggio, di costruzione della mediazione con

Sostruzioni di Valle di Tempe, Daumet 1860. 11


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l'andamento naturale del territorio, e la sua forma "porosa", quasi adattata a recepite in sé lo spazio esterno, documenta tratto per tratto questo carattere compositivo che esorbita da questioni legate puramente alla forma tecnica. La villa assume non più di tre direzioni fondamentali e quindi contiene non più di due cerniere all'interno del propria organismo distributivo. La direzione principale è quella dell'asse maggiore del Pecile, che è anche quella a cui si conformano tutte le costruzioni a essa aggregate, avvero il blocco formato dall'Edificio con tre esedre, dal Giardinoninfeo e dall'Edificio con peschiera o residenza imperiale invernale. È anche la direzione più evidentemente voluta, dato che è costruita con una spianata totalmente artificiale che si protende nel vuoto, in direzione della pianura sottostante e di Roma. Le due direzioni secondarie vi confluiscono secondo regole che evidentemente lasciano al solo Pecile il compito di instaurare un rapporto vero e proprio con il paesaggio, mentre la parte restante della villa "è affacciata" sul cielo e sulle montagne dalle quali è dominata a est. In realtà gli edifici del primo gruppo si articolano seguendo due assi ortogonali e si dividono in due sottogruppi. Il primo comprende la sala absidata, l’immensa terrazza del Pecile (lunga circa 230 m) e la parte di servizio sottostante i margini

occidentale e meridionale della terrazza che prospetta la valle ovest. Il secondo sottogruppo è costituito da un insieme di fabbriche caratteristicamente disposte a croce e composto dal Triclinio con arcate, il Giardino stadio e l’Edificio a peristilio con peschiera. I rapporti con gli edifici vicini si limitavano a piccoli varchi e corridoi di modeste dimensioni. In pianta la Sala a tre esedre sembra essere un semplice spazio di transito fra la vasta terrazza e il recinto dell’isola.

Plastico con il Vestibolo centrale, il Pecile, le Piccole e Grandi Terme, verso nord.

L’asse che dalla terrazza est- ovest raggiunge il Canopo determina anche l’orientamento dei due complessi termali e del Grande vestibolo. Le due terme, con i calidari orientati a sud- ovest, formano con il vestibolo un edificio a T, benché situati a un livello diverso. Alle spalle delle grandi terme, il ripido terreno in salita fu tagliato 12


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allo scopo di creare un palestra, fiancheggiata lungo il lato orientale da un criptoportico che si collegava con atri sotterranei. Il Vestibolo fornisce un geniale esempio romano di impianto ortogonale. Lasciate sulle sinistra le Grandi terme, appare in lontananza l’ampia volta del triclinio scenografico (Canopo). Il blocco del canale ( di cui si è conservata la metà del pianterreno) e il prospiciente vialetto colonnato imprimono alla prospettiva una spinta in avanti e così i canale; tale spinta viene intensificata dal muro con contrafforti del parco superiore in alto a sinistra e dall’erto fianco terrazzato dell’alveo.

Veduta aerea del Canopo.

Veduta aerea della Residenza e delle strutture circostanti.

La seconda direzione è quella determinata dalla preesistente villa repubblicana. I suoi resti vengono in parte mantenuti e riutilizzati, e il suo asse principale viene assunto quale asse di tutta l'ala di Villa Adriana che si trova allineata alla cosiddetta "Valle di Tempe". Ci si trova di fronte a un insieme compatto e precisamente definito di elementi rettangolari che contrasta nettamente con la direzionalità variata e l’impianto insolito degli edifici vicini. La maggior parte delle costruzioni di questa zona sono situate grosso modo a livello del cortile della residenza e dunque ben più a valle della residenza stessa. L’orientamento e la chiarezza rettangolare di quest’ultima si ripetono nelle nuove fabbriche presso l’angolo nord (il Salone dei cubicoli, l’Appartamento con portico, il Belvedere 13


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est) e nei contorni delle terrazze est adiacenti; la situazione appare invece radicalmente diversa per quanto riguarda le strutture della zona, che ignorano del tutto tale indirizzo (hanno infatti un generico orientamento a settentrione che crea una forte contrapposizione diagonale con la pianta del nucleo). Il nucleo e gli edifici lungo il suo perimetro sono contemporanei nel senso che tutte le opere adrianee risalgono al periodo compreso tra il 118 e il 125. L’architettura tradizionale non viene abbandonata, ma a essa si affiancano costruzioni di straordinaria originalità. Ogni edificio adiacente al nucleo residenziale si situa in posizione nettamente separata dagli edifici vicini, tranne il Salone dei cubicoli; vi sono scale e corridoi di raccordo, ma si tratta perlopiù di comodità esterne alla fabbrica vera e propria. A raccordo tra la seconda direzione e la prima (dunque una ”delle cerniere”), vi è l'edificio forse più rappresentativo della villa e tra i più significativi per contenuti di invenzione tipologica, il Teatro marittimo. La cerniera sulla quale si raccorda e si imposta la direzione in esame, sulla quale troviamo allineati gli edifici delle terme, il Vestibolo di ingresso e il Canopo, è realizzata con la fabbrica denominata delle Piccole Terme, altro edificio fortemente innovativo.

Veduta aerea del Teatro Marittimo.

La terza direzione è quella assunta dalla parte di Villa Adriana che si allinea approssimativamente all’andamento del fiumiciattolo occidentale e che costituisce quindi il fianco ovest della villa. Questo lato, però, non affaccia verso l'esterno: infatti, la sezione degli edifici viene mantenuta a una quota tale da infossarli in una sorta di controavvallamento che ha il proprio sfogo verso l'esterno solo assialmente, e cioè di ritorna verso il Pecile. Quest'ultima rappresenta, dunque, anche per questa ala, il vero punto di apertura verso l’ esterno. Si suppone che l’ingresso principale alla Villa originariamente avvenisse proprio dal lato occidentale in corrispondenza di quello che viene definito il muro delle Cento Camerelle. Si tratta delle sostruzioni che sorreggono la grande terrazza del Pecile all’interno delle quali vennero realizzati gli 14


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alloggi per la servitù. Di fianco a questa imponente struttura infatti sono stati trovati i resti di un’antica strada lastricata che conduceva al Grande vestibolo. A circa metà di questa in periodi recenti sono stati trovati i resti di quella che con molta probabilità era la tomba di Antinoo, l’Antinoeion, del quale si tratterà approfonditamente più avanti. Questo asse comprende anche il complesso di Roccabruna e dell’Accademia, l’estesa Terrazza ovest e il complesso sud composto dal Liceo e dall’Odeon.

Plastico con il Vestibolo centrale, il Canopo, il complesso di Roccabruna, l’Accademia, la Terrazza ovest, il Liceo e l’Odeon.

Veduta aerea del Pecile, dell’Antinoeion, del Vestibolo e degli edifici intorno. 15


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quali non è ancora chiara la destinazione funzionale. A ovest, incassato in un rilievo, sorge il teatro nord sul cui lato occidentale doveva affiancarsi un enorme quadriportico probabilmente adibito a uso pratico, forse militare.

Veduta aerea del Teatro Greco, delle Palestre e del Tempietto di Venere Cnidia.

I restanti edifici, cioè i due teatri, il Ninfeo di Venere Cnidia e altri minori, posti per lo più a settentrione, sono effettivamente slegati dal nucleo centrale e preponderante della villa e si trovano in posizioni sufficientemente isolate da legittimare questa slegatura. Il tempio si ergeva entro un’area semicircolare amplificata da aggiunte absidate che promanano dal centro del tempio medesimo. L’effetto che originariamente si voleva dare era probabilmente quello di evocare il promontorio di Cnido con la Tholos aperta che ospitava la famosa statua di Prassitele raffigurante Afrodite. A nord-est del tempio, ma molto più a valle, ci sono i ruderi di un nutrito gruppo di edifici di vario impianto dei

Tempietto di Venere Cnidia.

Le palestre.

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Simbologia dell’Aquila

Rappresentazione dell’aquila romana.

Fin dai tempi più antichi molti popoli e culture adottarono l’aquila come simbolo “universale”. Questo imponente rapace, dal quale per analogia d’interpretazione discende il volatile mitico per eccellenza, la fenice, è la fonte d’ispirazione di molte leggende che spiegano la sua ricorrente rappresentazione iconografica e che giustificano l’associazione di significato a tutti quegli uccelli forti e solitari, quali ad esempio il falco. Considerata emblema di regalità e potenza presso i Persiani, tramite divino tra cielo e terra, disegno d’immortalità presso gli Egizi e messaggero fidato di Zeus presso i Greci, essa non poteva non venire utilizzata dai Romani come insegna del coraggio delle legioni e della magnificenza dell’impero.

Secondo C. G. Yung con il passare dei secoli la simbologia dell’aquila diventa polivalente, cioè la sua rappresentazione assume significati diversi a seconda che essa sia bianca oppure nera. Nel primo caso è l’incarnazione dell’allegoria dell’alta divinità, del fuoco celeste, del sole, della nobiltà e dell’anima, come parte dell’uomo appartenente a Dio. Nel secondo caso invece, quando viene ritratta di nero, il suo significato cambia totalmente: essa non viene più legata al cielo diurno, al sole e alla luce, ma alla notte, al buio e diviene segno lunare femminile. Sotto le sue ali vengono poste le sfere dell’acqua e della terra disegnate con le sembianze di Poseidone, dio del mare per i greci, e di Pan, dio dei boschi. L’ aquila venne poi ripresa molte volte anche dopo l’impero romano in epoche più vicine a noi dal Medioevo al Rinascimento, dal Risorgimento fino all’inizio del Novecento. Anche alcuni dei protagonisti più famosi della storia , quali Carlo Magno, Napoleone, Hitler, non poterono fare a meno di utilizzare la simbologia mitica di questo volatile regale.

Legioni romane con l’insigne dell’aquila. 17


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Simbologia della costellazione dell’Aquila

Costellazione aquila.

La costellazione dell’aquila è una costellazione di 652 gradi quadrati situata a cavallo dell’equatore celeste e che, ad esclusione delle estreme regioni orientali, si trova in piena via lattea. Essa è formata da un piccolo gruppo di stelle che sembrano descrivere due trapezi uniti lungo una base comune. Il periodo di massima visibilità della costellazione nell’emisfero boreale è da metà giugno fino a fine luglio. La sua stella più brillante è Altair che, insieme a Vega, della costellazione della Lyra e Deneb, appartenente a quella del Cigno, forma il cosiddetto Triangolo Estivo.

Molti popoli antichi erano a conoscenza dell’esistenza di questa costellazione e su di essa concepirono numerose leggende e mitologie che ne spiegavano la natura. Tra quelle più ricorrenti si ricorda quella greca, che più tra tutte affascinò ed influenzò l’imperatore Adriano. Essa narra di un giovane principe troiano di nome Ganimede che per volere di Zeus, innamorato follemente di lui, venne prima sedotto e poi sottratto al mondo terreno per mezzo di un aquila, l’uccello rapace sacro al Padre di tutti gli dei. Il mito è stato rappresentato da numerosi artisti in varie epoche e preso come simbolo per eccellenza dell’amore omofilo tra due uomini .

Zeus rapisce Ganimede- kylix (arte greca VI sec .a.C.)

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La costellazione per Adriano

Il ratto di Ganimede, Baldassarre Peruzzi VI sec .a.C.)

L’imperatore Adriano da sempre grande amante e appassionato delle culture dei popoli antichi , conosceva perfettamente la mitologia greca e la leggenda di Zeus e Ganimede. Molto probabilmente anche per lui la costellazione dell’Aquila simboleggiava qualcosa di caro e profondo quale appunto un amore che si poteva eternare e fissare per sempre nel cielo. Non ci si può infatti dimenticare della morte enigmatica e misteriosa di Antinoo, il giovane bitino per il quale l’imperatore nutrì un immenso e sincero affetto.

Nel quarto capitolo del libro “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar si racconta del sacrificio umano del ragazzo fatto per salvare il suo imperatore dalla premonizione di morte. Da allora Adriano, mosso da un incolmabile dolore per la perdita del suo amante, onorò la memoria di Antinoo eroicizzandolo e trovandogli una collocazione divina nel firmamento proprio all’interno della costellazione dell’aquila. La stella Antinoo (in latino Antinous) venne citata per la prima volta da Tolomeo nel suo Almagest scritto vent’anni dopo il leggendario annegamento del fanciullo, e rappresentata ufficialmente nel mappamondo celeste nel 1551 da Gerardus. Da allora venne sempre menzionata come astro importante della costellazione dell’aquila e spesso raffigurata in forma simbolica, similmente al ratto di Ganimede, come Antinoo intrappolato tra gli artigli della regina degli uccelli. Ne è esempio palese nel mosaico ritrovato a Villa Adriana, e oggi conservato ai Musei Vaticani, “Ganimede e l’aquila di Zeus”.

“Ganimede e L’aquila di Zeus“ (o “Apoteosi di Antinoo”), Roma, Musei Vaticani, da Villa Adriana. 19


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La costellazione dell’Aquila con Antinoo. Disegno di Gerardus. (1551).

La Costellazione dell’Aquila. Disegno di Hoffmann del 1835.

La Costellazione dell’Aquila. Tavola dell’ Uranometria di Bayer. 20


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Villa Adriana: studi di astronomia.

Inquadramento

Il tema dell’astronomia a Villa Adriana non è mai stato approfondito. L’unico documento che ne tratta è l’articolo: “Tivoli: Villa Adriana, Roccabruna e astronomia” di Vittorio Castellani nella “Rivista italiana di archeoastronomia”. I temi di cui tratta l’articolo sono quattro, ma dopo aver verificato tutti i dati, solo di due abbiamo riscontrato delle effettive

corrispondenze astronomiche, di cui vale la pena approfondire il contenuto.

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Torre di Roccabruna

Inquadramento

La costruzione si trova in un luogo che appare come un'ampia zona pianeggiante, coltivata ad ulivi; il Terrazzamento Ovest connette le architetture che costituiscono il gruppo sud- est della Villa Tiburtina. Questa area è organizzata attorno ad un asse divergente rispetto al Canopo, che segue la morfologia del sito.

L'edificio definito Torre di Roccabruna o Torre di Timone, si sviluppa su un cubo di base (16,50 X 16,75 m), ed è sormontato da un secondo corpo cilindrico; successivamente il piano inferiore fu contornato su tre lati da un basso portico, con tetto spiovente, di cui oggi si riscontra qualche traccia modesta. Il dado di base non risulta costruito nella consueta opera reticolata, ma in tufo

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tagliato a piccoli parallelepipedi, alternati a corsi di mattoni. Il vano principale del pian terreno è costituito da una grande Sala rotonda, dal diametro di 9,50 m, anch'essa in opera mista, coperta da cupola; lo spazio si dilata per la presenza di una grande nicchia rettangolare di fronte all'ingresso, per le due ampie finestre sull'asse trasversale e per le piccole nicchie semicircolari collocate in corrispondenza delle diagonali del vano. Della pavimentazione marmorea, in "opus sectite", decorata tramite un complesso disegno geometrico restano solo le impronte. Il piccolo vano adiacente il terrazzamento est, che non si collega alla Sala rotonda del Belvedere, venne adibito dai Gesuiti, nel periodo in cui erano proprietari della Torre, a cappella. Si accedeva al corpo elevato della costruzione salendo una rampa esterna, a piano inclinato, che passa con una volta rampante sopra il vano collocato dietro il Salone circolare; gli ambienti della Torre sono quindi serviti da percorsi separati, che non interagiscono tra loro. Lo stacco tra il pian terreno e il blocco superiore era segnato da un balcone continuo, sostenuto da archetti e mensole, forse connesso con la rampa esterna. Il secondo piano era ornato da grandi colonne tuscaniche, probabilmente da questo spiccava anche un terzo corpo, di cui manca traccia.

La Torre potrebbe essere un Osservatorio, per la nota passione di Adriano verso

Pianta

l'astrologia, o semplicemente un Belvedere sulla pianura e sulla cerchia dei monti dal Soratte ai Lepini, o infine una Torre di segnalazione, come nella Villa di Tiberio a Capri. Tuttavia la presenza di una finestra inclinata di 30° e orientata a 208°, fa pensare che l’edificio fosse un punto da cui osservare, in un certo periodo dell’anno, la costellazione di Antinoo. Questo lo tratteremo nel dettaglio più avanti.

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Torre di Roccabruna.

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Le misurazioni in campo

Allineamento solstiziale La sala principale di Roccabruna presenta tre aperture principali di cui una è l’ingresso. Ponendoci al centro della sala abbiamo misurato l’orientamento dell’ingresso e poi quello delle due finestre per cercare qualche riscontro col sorgere o il tramontare del sole agli equinozi e ai solstizi. Successivamente abbiamo corretto tutte le misure tenendo conto dell’errore della declinazione magnetica che a Villa Adriana era, in quei giorni, di 2°1’, ma considerando il nostro grado di precisione arrotondiamo a 2°. La porta principale è orientata di 298°, cioè 28° a Nord dell’Ovest. Abbiamo proceduto col verificare il sorgere e il tramontare del sole nelle date solstiziali ed equinoziali utilizzando il programma Skymap con il quale è possibile riportare il

cielo all’epoca di Adriano, fissando come anno medio il 125 a.C.. Si può notare che al tramonto del Solstizio d’Estate, l’apertura principale è rivolta quasi precisamente verso la direzione del sole, ed è deviata solo di pochi gradi. Quindi si può affermare che effettivamente si vedeva tramontare il sole. A questo, dobbiamo aggiungere anche la considerazione che nel 45 a.C. Giulio Cesare aveva riformato il calendario, sbagliando però a fissare la data dell’Equinozio Primaverile al 25 Marzo. Ne risulta quindi che anche il Solstizio Estivo era errato, e considerando la distanza con l’equinozio, possiamo calcolare che corrispondeva con l’attuale 17 Giugno. In questo modo si ottiene una piccola variazione di 2° dell’angolo di tramonto del sole, diminuendo così l’errore riscontrato prima e dando più forza a questa teoria. 25


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Torre d Roccabruna misurazioni dell’orientamento.

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Allineamento al solstizio d’estate. Visuale della finestra.

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Roccabruna: la costellazione dell’aquila Visitando l’edificio , si nota un’apertura alquanto strana in uno stretto corridoio che conduce da un’entrata laterale alla sala principale. Si tratta di una feritoia stretta e lunga posta a quasi 2 metri d’altezza . La sua posizione e la sua inclinazione di 30° sembrano quasi inspiegabili in quanto da essa, si può vedere solo una porzione di cielo. Abbiamo quindi misurato l’orientamento della finestra, in modo da poter poi controllare eventuali allineamenti solstiziali od equinoziali. Procedendo alla verifica come già fatto per la sala principale non abbiamo trovato nessun riscontro. Sappiamo però che Adriano era molto legato ad una costellazione, l’Aquila, che per lui aveva un particolare significato in quanto era collegata alla figura di Antinoo (vedi approfondimento sulla simbologia). Il passo successivo è stato perciò quello di verificare quale porzione di cielo fosse visibile dalla feritoia e se si potesse vedere la costellazione dell’Aquila, in particolare la parte meridionale, quella che in cui si trova la stella col nome di Antinoo. Sempre utilizzando Skymap abbiamo riportato il cielo indietro nel tempo, in due date significative: • 29 Novembre 110 d.C. la nascita di Antinoo; • 30 Ottobre 130 d.C. la morte di Antinoo;

In queste date però, la costellazione passa per quella regione di cielo solo di giorno e quindi non è visibile. Considerando però il probabile allineamento della sala riscontrato prima, abbiamo controllato anche la traiettoria della costellazione dell’aquila al Solstizio d’Estate. Come si vede dallo schema, la feritoia è orientata a 208-215°, cioè tra i 28° e i 35° a ovest del sud ed è inclinata di 30°, per cui la parte finale della costellazione è effettivamente visibile. A rinforzare questa teoria possiamo aggiungere che è noto che in quella parte di cielo si potrebbe trovare la cosiddetta “stella di Antinoo”. A questo riguardo possiamo considerare due possibilità: la nova Aql 1918 ed una supernova. La Nova Aql 1918 è stata citata da Castellani, ed in effetti è presente anche nel catalogo stellare Astrophisical Data: Planets and Stars, a pagina 680, ed è definita dai seguenti dati: Nome: V603 Aql Coordinate ascensione retta: 18 46 21 45 Declinazione: + 00 31 36.1 Anno 1918 Magnitudo - 1,1.

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Ossia è stata scoperta nel 1918, le coordinate e la declinazione sono quelle dell' anno 1950. Molto interessante la magnitudo apparente, poiché significa che al momento in cui è stata scoperta brillava come Sirio. Altra ipotesi è l’apparizione di una supernova, nell’area meridionale della costellazione dell’Aquila proprio dove dovrebbe essere comparsa la stella d’Antinoo, di questa però non abbiamo nessuna informazione riguardo la sua manifestazione e quindi potrebbe essere trascurata. Tuttavia ci sembrava interessante inserirne le caratteristiche:

Anno dell' esplosione n.a. Massima magnitudo apparente n.a. Visibile ad occhio nudo n.a. Coordinate galattiche G40.5 - 0.5 Nome del residuo attuale n.a. Distanza 5,5 - 8,5 kpc Diametro del residuo 50 pc Ascensione Retta 19.04.45 Quindi l'ipotesi più plausibile sembra ora quella della nova, perché veder comparire una nuova stella luminosissima anche solo per due o tre giorni può sicuramente avere commosso Adriano. Infatti quella stella comparsa improvvisamente poteva essere proprio l' anima di Antinoo.

Il cerchio rosso rappresenta quello che si vede dalla feritoia la notte del solstizio estivo.

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Calcolo di ciò che si vede dalla feritoia.

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Altre teorie sulla Sala Ottagonale In seguito alle misurazioni e alle analisi effettuate in sito possiamo osservare che la porta principale dell’edificio di Rocca Bruna è orientata in direzione 298°, o meglio a 28° a Nord dell’ Ovest geografico come effettivamente viene indicato nella relazione di Vittorio Castellani. Partendo da questa considerazione abbiamo poi studiato la declinazione del Sole nei solstizi e negli equinozi e abbiamo constatato che la direzione di Rocca Bruna è tipica del Sole in prossimità del tramonto del solstizio d’estate e che quindi non si concilia affatto con la data dell’11 Agosto(salita al trono di Adriano) fino a poco tempo fa ritenuta come data significativa. Sappiamo infatti che l’11 Agosto dista dal solstizio quasi due mesi e verificando il tramonto del Sole in questo giorno abbiamo calcolato che esso avviene a circa 290° e quindi a ben 8° di distanza dai 298° di Rocca Bruna. Come sostiene Castellani rifacendo i calcoli astronomici al tempo dell’imperatore il nostro attuale 11 Agosto sarebbe corrisposto all’allora 8 Agosto ma di fatto il risultato e lo studio su Rocca Bruna rimane lo stesso. Per quanto riguarda le teorie inerenti alla destinazione di osservatorio astronomico della Sala Ottagonale centrale di Roccabruna siamo in accordo con le

affermazioni di Vittorio Castellani, il quale le reputa false e inappropriate. Si nota infatti che i cinque condotti che si aprono all’esterno dell’edificio e che, attraversano la muratura restingendosi sino a diventare delle semplici fessure in prossimità della parte superiore della cupola, non servivano per osservare i fenomeni celesti, ma avevano probabilmente altre funzioni. La più accreditata è quella strutturale: la struttura strombata dei condotti serve a contenere uno sforzo di trazione, a partire dalla volta della sala ottagonale, con un sistema che aveva quindi un’ottima distribuzione delle forze di sforzo lungo tutta la struttura. Tale ipotesi è sostenibile anche in virtù della dimensione delle fessure: laddove, sul fronte orientale, per motivi architettonici non si potè aprire un condotto centrale, si ricorse a due condotti di dimensioni inferiori, ognuno dei quali doveva sopportare solo metà dello sforzo.

Uno dei condotti strutturali, vista esterna. 31


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L’Antinoeion: La Tomba di Antinoo a Villa Adriana

Inquadramento.

Nella Villa Adriana è stato recentemente scoperto un complesso monumentale che, per il suo fascino esotico, ha suscitato notevole interesse nel pubblico e tra gli studiosi che si occupano dell'Egitto grecoromano e degli apporti della civiltà egizia a Roma. Esso era indubbiamente legato ad Antinoo, il bellissimo giovane favorito

dell'imperatore Adriano, morto tragicamente in Egitto nell'anno 130 d. C.. Visitando Villa Adriana si leggeva del suo infelice destino solo nelle guide più informate che accennano al rinvenimento nei secoli scorsi di statue e ritratti dall'inconfondibile fisionomia, ma nessun luogo specificatamente dedicato a lui si

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trovava nella fastosa residenza tiburtina; questa, pertanto, pur rivelandosi diretta emanazione della versatile personalità di Adriano e scrigno dei suoi ricordi di viaggio, mancava del riferimento a una delle fondamentali esperienze di vita dell'imperatore. I due trascorsero insieme circa sette anni sino al fatidico momento in cui, durante il soggiorno della corte in Egitto, Antinoo affogò nel medio corso del Nilo. Antinoo era nato a Bythinium, città della Bitinia, che si chiama anche Claudiopolis. Egli era stato il favorito dell'imperatore e morì in Egitto per la caduta nel Nilo, come scrive Adriano [allusione all'Autobiografia dell'imperatore], o, come risponde al vero, per essere stato offerto in sacrificio. Infatti Adriano era sempre molto curioso e praticava divinazioni e magie di ogni genere. Di conseguenza egli onorò Antinoo o per il suo amore per lui o perché il giovane aveva volontariamente deciso di morire (era infatti necessario che una vita si sacrificasse spontaneamente per sventare la fine che incombeva su Adriano), con la costruzione di una città nel luogo ove egli era andato incontro al suo destino, città che chiamò con il nome di quello; Adriano gli innalzò anche statue, o piuttosto immagini sacre, praticamente in tutto il mondo. Infine egli dichiarò di aver visto una stella che ritenne essere quella di Antinoo e volentieri prestò orecchio a falsi racconti inventati dai sodali per far credere che la stella fosse realmente nata dallo

spirito di Antinoo e che era apparsa allora per la prima volta. Attraverso le fonti epigrafiche e numismatiche si possono ricostruire più dettagliatamente le vicende post mortem: all'indomani del misterioso annegamento (resta il dubbio se fu incidente, auto immolazione o omicidio) nel fiume presso la futura città di Antinoopolis il giovane fu divinizzato; gli furono eretti templi soprattutto nelle province orientali dell'impero (in primo luogo nella natia Bythinium, ove probabilmente si celebravano dei misteri) e venne assimilato, come documentano i ritratti, a Ermes o Dioniso; fra il 133 e il 138 la sua effigie compare anche sulle monete. Il complesso riportato alla luce nella villa con tre recenti campagne di scavo (20022004) appare essere la tomba-tempio di Antinoo ed è stato quindi denominato l’ "Antinoeion".

Pianta. 33


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Si trova lungo la strada basolata per il Grande Vestibolo, di fronte alla costruzione, dall'aspetto di severa cinta urbica, delle Cento Camerelle, in un luogo, quindi, che risulta adattissimo - come si verifica nelle grandi ville suburbane spesso affiancate dal mausoleo gentilizio o dinastico - a un monumento sepolcrale. Il pendio tufaceo in lieve pendenza fu spianato per accogliere un recinto o temenos rettangolare di 63 x 23 m, che si incurva su un lato in una vasta esedra larga 27 m. Il recinto include due templi affrontati di 15 x 9 m: questi erano rialzati su podio di travertino, avevano ante laterali con scalinata interposta, profondo pronao e probabile fronte tetrastila. L'ordine architettonico (tranne la trabeazione di tipo ionico) rimane incerto e poteva anche risultare non canonico, con caratteri di originalità ed eclettismo. L'elevato era interamente in marmo fino al culmine del tetto. Le rovine si presentano completamente spogliate dei preziosi rivestimenti lapidei e atterrate a causa delle intense coltivazioni impiantate nel sito fin dal Seicento. Sul muro di fondazione interno dell' esedra si ergevano, a formare un portico semianulare, eleganti colonne tortili in giallo antico; il piano dell' esedra era leggermente sopraelevato, delimitato frontalmente da una balaustra o transenna e preceduto da due vasche lunghe e strette (13 x 1 m), rivestite di lastre rettangolari in marmo bianco; il temenos aveva un pavimento in mosaico a

grandi tessere marmoree. L'area all'aperto fu strutturata come un ordinato giardino: i templi infatti erano racchiusi da una profonda trincea scavata nel tufo, interrotta solo sull’asse centrale, che accoglieva probabilmente alberi, forse delle palme, che con il loro alto fusto non avrebbero disturbato la vista dei templi e nel contempo avrebbero suggestivamente evocato il paesaggio egiziano. In quattro trincee parallele fra i templi, più strette e meno profonde, si sviluppavano invece aiuole o fioriere. Un elemento strutturale fondamentale per risalire alla destinazione del complesso è la fondazione quadrata in cementizio (lato 3 metri), situata esattamente fra i due templi. Su di essa, infatti, doveva innalzarsi l' obelisco Barberini, o di Antinoo, oggi sul Pincio a Rama, in granito rosso, alto 9,35 m, recante quattro iscrizioni in geroglifico: una, ben augurale (forse rivolta verso l'ingresso), è dedicata ad Adriano e all'imperatrice Sabina, per i quali si invocava salute e felicità, tre parlano del culto di Antinoo, assimilato a Osiride (Oseirantinoos), culto diffuso dall'imperatore in ogni luogo e per l'eternità. Oltre al ricordo dei giochi sacri istituiti in Egitto, del tempio eretta ad Antinoopolis e dell'azione del nuovo dio che soccorre tutti coloro che a lui si rivolgono un passo cruciale recita: "Antinoo riposa in questa tomba situata all'interno del giardino, proprietà del Principe di Roma" (trad. di J. C. Grenier). Se ne ricava che

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l'obelisco era collocato nell'ambito di una tomba monumentale degna di accoglierlo, della quale costituiva l'epitaffio o titulus principale, destinata a essere letto dall'esterno. Ciò spiega anche perchè l'obelisco non fosse in coppia con un altro, come accade di norma nel mondo egizio.

Ricostruzione della scena esistente all’interno dei Templi dell’Antinoeion.

Il termine "giardino" (ma, secondo una traduzione più letterale, "campagna", "campo") si adatta egregiamente a Villa Adriana, un enorme insieme di edifici compenetrata di giardini e circondato da parchi, di cui detto termine potrebbe aver tradotto l'appropriata definizione latina di suburbanum o horti. Anche la specificazione "proprietà del Principe di Roma" bene si confà a una residenza privata come la villa tiburtina. In base a questa interpretazione la tomba di Antinoo, quindi, non va localizzata nella città

omonima (l'Antinoopolis o Antinoe, costruita da Adriano lungo il Nilo nel luogo della sciagura), ma in Italia, ove l' obelisco fu sicuramente scolpito, come dimostrano la struttura non monolitica (bensì a lastre montate su una colonna centrale) e lo stile dei geroglifici. La tomba è stata invece ricercata proprio nella città egizia (da cui l'obelisco sarebbe stato trasferito a Roma in epoca imprecisata), nonché a Roma stessa, in particolare sul Palatino (nella Vigna Barberini) da cui l' obelisco sarebbe stato rimosso già al principio del III secolo a opera dell'imperatore Elagabalo che lo innalzò sulla spina del Circo Variano fuori Porta Maggiore. Va sottolineato come, in base all' epigrafe dell' obelisco, non si trattasse di un cenotaphium o di un sepolcro onorario, bensì di un'autentica tomba contenente i resti del giovane e, forse, la statua di culto di costui come Osirantinoo. Le fonti sopra ricordate, che pure forniscono alcuni particolari sulla divinizzazione post mortem e sui fenomeni con cui quella venne accreditata (come la stella nata dallo spirito di Antinoo), nulla tramandano riguardo al corpo, il quale, secondo l'uso egizio, dovette essere mummificato. La tarda testimonianza (fine del IV secolo) di Epifanio di Costanza sul seppellimento della mummia ad Antinoopolis per ordine di Adriano è assai dubbia. Nulla vieta di pensare, quindi, che costui abbia portato con sé in Italia le spoglie

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dell' amato e le abbia riposte nel luogo ove si ritirava a villeggiare e nel quale trascorse lunghi periodi. Inoltre si osserva come Villa Adriana, rispetto ad Antinoopolis o a Roma, fosse il luogo più adatto per offrire sepoltura non a un personaggio pubblico, ma a una figura che aveva esaurito il suo ruolo unicamente nella sfera privata dell'imperatore. La datazione delle strutture conforta quanto detto: la muratura piuttosto affrettata, realizzata con scaglie di tufo, e alcuni marchi di fabbrica sui mattoni consentono di fissare i lavori all'indomani del rientro (nel 133-134 o un biennio prima) di Adriano a Roma. Probabilmente quindi l'Antinoeion fu l'ultimo complesso eretto nella villa: uno o due anni infatti servirono per concluderlo e Adriano morì, dopo una lunga sofferente malattia, nell'anno 138. La nuova costruzione comportò probabilmente anche una "rifunzionalizzazione" dell'antistante strada basolata a due corsie parallele (lunga 130 m) di accesso al Grande Vestibolo, che potrebbe essere diventata una sorta di via cerimoniale e processionale utilizzata per le cerimonie del culto funebre e divino. In realtà l'edificio, che è diventato presso il grande pubblico il vero "Egitto" di Villa Adriana, non era un tempio, bensì un triclinio monumentale e quasi tutte le statue a esso attribuite provengono sicuramente dall'Antinoeion, come dimostrano numerosi frammenti di parti anatomiche, accostabili

per stile e tipo di marmo alle suddette statue. Le sculture egittizzanti dall'Antinoeion conservano il "canone" egizio della posa avanzata del piede e della rigida frontalità, ma questo appare completamente superato dalla rivisitazione naturalistica che si traduce in una maggiore scioltezza dei gesti e nell’espressione, seppur statica, dei volti. Oltre al ruolo di ultima dimora, l'Antinoeion era anche un tempio ove l'immagine di Antinoo doveva essere associata ad altre divinità della sfera osiriano - isiaca e del pantheon egizio. Per questa sua doppia natura, che non consente di assimilarlo ai tanti santuari isiaci (lsea) diffusi in età imperiale in centri grandi e piccoli, con i quali comunque presenta molti aspetti in comune, esso era un luogo "speciale", che si può spiegare solo con la volontà di Adriano di celebrare il suo favorito. Allo stato attuale delle ricerche (non ancora ultimate), molti quesiti in merito alla complessa funzionalità dell'edificio restano ancora insoluti; dubbia è, per esempio, l’ interpretazione da riservare ai due templi gemelli, che farebbero pensare a una delle coppie divine dell'Egitto ellenistico-romano o a diverse ipostasi di Antinoo. Lo scavo ha comunque risolto una questione posta da tempo, quella cioè della sfuggente presenza del bitinio nella villa, ove egli soggiornò dal 125 al 128, cioè fra il primo e il terzo viaggio di Adriano, quando la

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prestigiosa residenza era ancora un fervido cantiere. Tuttavia, al di là degli eccezionali onori concessi a un defunto e a un dio, è da ritenere che per il disincantato Adriano il monumento fosse soprattutto il nostalgico luogo della memoria, ove poter, in un certo senso, ristabilire il contatto con l'amato e rievocare un'esperienza di vita - ormai sublimata dalla morte - che aveva potentemente coinvolto in lui ragione e sentimenti. Chi, superato l'arco all'inizio della strada per il Grande Vestibolo, penetrava a destra nel recinto racchiudente la tomba aveva subito la netta percezione dell'Egitto attraverso la vista di simboli e attributi ben noti, ma avvertiva anche come dietro quelle ieratiche immagini si celasse un vissuto personale che era stata la molla della divinizzazione imposta da Adriano per rendere il nome di Antinoo immortale.

Proposta di ricostruzione dell’area dell’Antinoeion.

Proposta di ricostruzione dell’elevato dell’Antinoeion con i due telamoni sullo sfondo e l’obelisco in primo piano. 37


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L’Antinoeion: tomba di Antinoo a Villa Adriana.

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L’ allineamento solstiziale

Effettivamente la direzione L’edificio dell’Antinoeion rimane ancora un mistero in quanto non è riportato sulle carte storiche e, non essendo rimasto nulla in elevazione, si possono fare solo delle supposizioni su come fosse all’epoca di Adriano. Il fatto che, però, probabilmente fosse la tomba di Antinoo, ci spinge a pensare che possano esserci dei collegamenti astronomici. Il collegamento che viene immediato fare è con la costellazione dell’Aquila; abbiamo quindi provato ad accertare se, posizionandosi in diversi punti, le stelle meridionali della costellazione passassero sopra l’obelisco. Abbiamo prima calcolato la direzione della visuale guardando: • dall’ingresso verso l’obelisco; • dal tempio 1 verso l’obelisco: 155°; • dal tempio 2 verso l’obelisco.

Effettivamente dal punto B, a mezzanotte del 21 Giugno del 130 d.C. la stella di Antinoo si trova sulla verticale dell’Obelisco. Per verificare ciò, abbiamo calcolato l’inclinazione dell’asse visivo di una persona alta 1,7 metri ponendoci sul basamento del tempio che, stando alle ricostruzioni è alto circa tre metri. Il calcolo è stato fatto conoscendo l’altezza dell’obelisco e misurandone la sua distanza orizzontale ed inclinata (passante per la sua punta) dal punto B. Risulta così un angolo di 38° che vai poi corretto in base all’altezza della persona. L’angolo che ne risulta è di 33°, che fa in modo che la parte meridionale della costellazione dell’aquila risulti di pochi gradi sopra la punta dell’obelisco. Per le altre direzioni è stato fatto lo stesso procedimento di verifica, ma senza nessun esito positivo.

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Sopra: misurazione dell’inclinazione. Sotto: la vista del cielo il 21 Giugno guardando dal punto B.

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Misurazione degli orientamenti. 41


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Un'altra verifica che ci è sembrato opportuno fare è stata quella di calcolare il sorgere e il tramonto del sole agli Equinozi e ai Solstizi, come già fatto per altri edifici, e confrontarlo con i dati dei nostri rilievi. In questo caso abbiamo riscontrato un allineamento possibile con il sorgere del sole al solstizio estivo, ma per essere vero bisogna tenere in considerazione la presenza delle montagne e tutta la Villa. L’Antinoeion si trova a meno 4 metri rispetto al piano che sostenuto dalle Cento Camerelle, inoltre, sopra di esse si innalzavano degli edifici alti quanto il muro

del Pecile. In totale a 39 m dall’Antinoeion si ergeva un muro di circa 13 m. Il sole, di conseguenza in questo luogo sorgeva dopo. Per calcolare di quanto veniva ritardato il levare del sole abbiamo fatto uno schema che ci è servito a trovare l’altezza dell’orizzonte e sapere di quanti gradi si spostava lo spuntare del sole. In questa fase abbiamo anche controllato che essendo il muro così alto e vicino, le montagne e le costruzioni dietro non interferivano con il nostro edificio.

Antinoeion: sorgere del sole al solstizio estivo. La fascia grigia indica la porzione di cielo coperta dal muro di 13 m, mentre la linea rossa la direzione dell’asse di mezzeria trasversale dell’intero complesso dell’Antinoeion passante per l’obelisco.

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Calcolo dell’orizzonte visibile dall’obelisco dell’Antinoeion in relazione alla distanza del muro delle Cento Camerelle e dagli edifici retrostanti. 43


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Antinoeion: sorgere del sole al solstizio estivo (linea gialla) direzione dell’asse di mezzeria trasversale dell’edificio (freccia rossa)

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Il “Recinto dell’Isola”

Inquadramento.

Rientra tra le architetture "atipiche" presenti nella Villa, prive quindi di precedenti conosciuti, il "Recinto dell'Isola": esso non appartiene a nessuna categoria tipologica e per questa ragione nel passato è stato chiamato in diversi modi, quali: -Natatoio, luogo adibito al nuoto, per la presenza del Canale anulare a cielo aperto, profondo al massimo 1.5 m.

-Teatro Marittimo, per i fregi presenti sulla trabeazione dei colonnati, rappresentanti putti alati alla guida di carri, animali marini, tritoni e figure mitologiche; e per la possibilità che i teatri antichi potessero essere circolari. -Casino, un padiglione di piacere situato nel parco della residenza.

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Per i Romani l'isola rappresenta il Rifugio, un ambiente privato, un luogo appartato in cui recarsi, non per vivere, come testimoniano le dimensioni della fabbrica e l'assenza di ambienti per i domestici e per le loro attività, ma per soggiornare temporaneamente. L'ingresso principale dell'Isola è collocato nel Cortile delle Fontane tramite una sala di ingresso a “T”, che con una modesta apertura, si immette nel corridoio anulare, il quale risulta chiuso esternamente dal muro di cinta ed internamente si affaccia sul canale tramite 40 colonne Ioniche lisce, le quali sostenevano anticamente un Attico. Il nocciolo dell'Isola è composto da un ampio Peristilio, attorno ad esso vi sono tre appartamenti adattati all'ambiente circolare, l'appartamento ad est è adibito a Biblioteca, quello a sud a Triclinio, quello ad ovest a piccolo complesso Termale, mentre il vano a nord del peristilio si apre verso l'esterno tramite un ampio cortile ad esedra. I due ponti, adiacenti al Cortile, inizialmente mobili in legno e successivamente uno dei due sostituito con una struttura in muratura arcuata, costituiscono le importanti infrastrutture che permettono l'ingresso agli ambienti del cuore dell'Isola. Sono numerosi i riferimenti storici e tipologici che connettono gli ambienti appena descritti che costituiscono il nocciolo dell'Isola con luoghi presenti in antiche e note architetture.

Pianta.

Il riferimento storico più importante riguarda l'intero complesso dell'Isola, la quale come già evidenziato, non ha precedenti conoscitivi, rientrando tra le architetture "atipiche" della Villa, ma richiama nel disegno in pianta il palazzo fortezza, "Herodeon " costruito tra il 23 e il 15 a. C. per Erode, situato a 12 km a sud di Gerusalemme. La "cittadella" con al centro una costruzione rotonda, fu realizzata su di un colle artificiale, una preesistente altura scoscesa e isolata, che fu rimodellata con riempimenti. Nella sommità dell'altura fu interrato per metà il muro esterno rotondo di contenimento, la struttura così collocata doveva apparire agli occhi dei contemporanei come il cratere di un vulcano.

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Il recinto dell’isola: Teatro Marittimo. 47


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Ricerca dell’orientamento

Il Teatro Marittimo è ritenuto essere l’osservatorio astronomico della Villa, per questo abbiamo pensato di poter trovare qualche corrispondenza astrale. Purtroppo, nonostante tutte le misurazioni fatte, non è possibile trovare nessun riscontro significativo, in quanto l’edificio è circondato da altre costruzioni che non permettono di avere un orizzonte visibile.

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Teatro marittimo: misurazioni.

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Il Pecile

Inquadramento

Doppio Portico, con muro di spina centrale, coperto da tetti spioventi; una lunga appendice architettonica orientata estovest. Conservando le sue caratteristiche originarie, diventa il lato settentrionale di un Quadriportico gigantesco: il Pecile; ampio 232 x 97 m ed alto ben 9 m.

L'ampia spianata è caratterizzata da lati brevi leggermente curvi, e dalla presenza nell'area centrale di una grande piscina (106,80 x 26 m), profonda in media 1,50 m, adibita nell'età dell'Imperatore Adriano probabilmente a peschiera.

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Il doppio Portico rientra nella tipologia del "Portico Miliaria", e richiama l'antica "stoà poikile"; il primo, il Portico Miliaria consiste in un Portico misurato, percorrendolo un certo numero di volte si veniva a conoscenza, in miglia, di quanto cammino si era percorso. Il secondo riferimento, la stoà poikile, richiama l'Agorà di Atene, o meglio il portico perimetrale dipinto (con temi storici e mitologici) decorato nel V sec. a.C. Sono ancora visibili nel muro di spina centrale del Pecile i fori dove nel passato vennero inserite le 104 tavole dipinte da Polignoto ed altri artisti, raffiguranti le leggendarie vittorie della mitica Atena, di cui non è pervenuta traccia. Sappiamo che l'imponente struttura del Pecile consiste nella sistemazione prevista di una delle numerose cave di materiali destinate alla realizzazione della Villa Tiburtina, forse non era stato preventivato, nel progetto complessivo, l'ampliamento sul lato sud-ovest con le Cento Camerelle. Queste sono collocate in una costruzione cava alta più di 15 m., ricavando una numerosa serie di vani, non comunicanti fra loro, disposti anche su quattro piani per la profondità di una sola stanza. Gli ingressi sono determinati da balconate esterne continue, che sottolineano i diversi piani; la funzione di questi vani è probabilmente destinata ad alloggi delle Guardie Imperiali, del personale amministrativo e della servitù. Questa ipotesi è sostenuta da diverse motivazioni tra cui: il grande numero dei vani, la loro

indipendenza, le tracce di una sobria decorazione negli ambienti; l'esposizione a nord-ovest dei vani permette al costruito di costeggiare minaccioso l'adiacente via di accesso alla Villa Tiburtina. La nicchia posta nella metà del lato meridionale del Pecile ha la funzione di mascherare la disarmonia dell'allineamento delle Cento Camerelle, con il braccio che si stacca a metà del lato meridionale del Pecile, per dirigersi con una angolazione dissonante verso sud-est.

Pianta Il Pecile

Il Pecile Pianta.

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Il muro del Pecile.

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Allineamento Equinoziale

Il Pecile ci ha fatto pensare a un orientamento molto importante: quello estovest, ma c’è un piccolo errore di 2° che ci fa escludere i riferimenti Equinozi.

Sopra:misurazione dell’orientamento.

Sotto: orientamenti degli equinozi.

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CIELO SU VILLA ADRIANA

Bibliografia • • • • • • • • • • •

E. Salza Prina Ricotti, Villa Adriana. Il sogno di un imperatore. L’Erma di Bretschneider, Roma 2000. M. Falsitta, Villa Adriana. Una questione di composizione architettonica. Skira, Milano 2000. W. L. MacDonald, J. A. Pinto, Villa Adriana. La costruzione e il mito da Adriano a Louis I. Kahn. Electa, Milano 2006. M. Reggiani, Villa Adriana. Paesaggio antico e ambiente moderno. Electa, Milano 2002. Adembri, Suggestioni egizie a Villa Adriana. Electa, Milano 2006. AA. VV., Adriano. Le memorie al femminile. Electa, Milano 2004. M. Yourcenar, Memorie di Adriano. Einaudi, Torino 2002. F.Zambon , L’alfabeto simbolico degli animali, Carocci 2003. Rita Sala, Ganimede e Antinoo: l’Aquila rapì il desiderio. “Il Messaggero”, 14 Agosto 2001. Paola Borghi, La costellazione dell’Aquila.” True Planets”, 16 Agosto 2007. Vittorio Castellani, Tivoli: Villa Adriana, Rocca Bruna e Astronomia, tratto da Rivista Italiana di Archeoastronomia

Siti internet consultati • www.letterariamente.it/ARCHIVIO/Monograf/Yourcenar/antinoo e arte.htm. • www.coc. Il cannocchiale.it. • www.lunexit.it/truplanets/2007/08. • www.xoomer.alice.it. • www.galassiere.it. • www.imperium-romanum .it /IR/impero/simbologia.htm. • www.sopricom.it/AboutItaly/ImperoRomano/SoPrICom.

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