La Basilica di San Giovanni a Porta Latina a cura della dott.ssa Alessandra Pignotti
La Basilica di San Giovanni sorge nel Celio – non lontano dalla Porta Latina – che ha condizionato la storia della chiesa attraverso l’alternanza di periodi di apertura e di chiusura della stessa. La Porta Latina è una delle porte della cinta muraria fatta erigere da Aureliano, a seguito delle continue scorrerie dei barbari che minacciavano sempre più Roma. Il percorso murario di Aureliano, iniziato nel corso del III secolo e terminato sotto l’impero di Probo (276-282), cingeva la città per tredici miglia romane, più o meno 19 Km, toccando la via Appia, la via Latina, via di San Sebastiano e Piazza Numa Pompilio, dove archeologicamente si trovano resti romani provenienti dalle regiones augustee. La tradizione classica vuole collocato, proprio qui, nel luogo della chiesa, un sacello di Diana; Cicerone nel “De Aruspicum responso oratio XV, 32, scritta nel 56 a.C., ci informa che un certo Cesare Lucio Calpurnio Pisone aveva chiuso il tempio di Diana sul Celiolus nel 58 a.C. È noto, infatti, che il culto di tale divinità è introdotto a Roma nel 459 a.C. a seguito della vittoria romana sui Latini nella battaglia di Regillo; una volta lastricata la via Latina, nella prima età repubblicana, fu eretto un piccolo tempio, che successivamente Pisone non eliminò, ma chiuse. Il posto dove sorge la basilica perciò, nella Roma repubblicana, assieme al tempio di Diana sull’Aventino, era sede del culto di Diana, divinità pagana autoctona, cacciatrice e silvestre assimilata ad Artemide, la divinità greca della caccia, della fecondità e della vegetazione. La zona, non lontano dai siti archeologici della via Appia, è ricca di sarcofagi e di colombari, frammenti in successione, dall’epoca repubblicana in poi. Quasi di fronte al collegio Rosmini, che attualmente integra la chiesa, è conservato uno dei colombari più importanti a Roma, il colombario degli Scipioni dentro al parco da cui prende il nome.
Sempre nei pressi della Porta Latina, Tertulliano e i martirologi sostengono che si svolse il mitico martirio di San Giovanni Evangelista nel 92 d.C., evento mai del tutto confermato dagli studi. Nel luogo del presunto martirio sarebbe poi sorta una celletta su cui verrà eretto l’oratorio, riedificato ex novo nel Rinascimento. Durante il medioevo il luogo divenne, secondo le relazioni del “Liber Pontificalis”, sede del culto dell’Evangelista e non lontano dalla celletta del martire, fu eretta la basilica di San Giovanni Porta Latina. Dal medioevo però, il sito non fu tra i più sani e salubri della capitale essendo disconnesso dal centro vitale urbano e fu probabilmente per questo motivo che la basilica nel VI secolo non aveva funzioni titolari nella liturgia romana. L’importanza archeologica della zona è confermata dai numerosi ritrovamenti di oggetti vari e dalla conservazione di alcuni di questi da parte del collegio Antonio Rosmini.
L’elevata qualità artistica del sito è evidenziata dall’uso di alcuni frammenti selezionati con molta cura. Sembrerebbe si tratti di una “totalizzante traslazione della matrice antica”.
Descrizione della Basilica
La basilica è oggi integrata al collegio missionario Antonio Rosmini ad essa adiacente. Frutto di numerosi restauri, di cui i più notevoli sono attribuibili alla fase novecentesca, la chiesa presenta una pianta basilicale semplice triabsidata; orientata in asse N.O./S.E. parallelo alla via Latina. L’interno è diviso in tre navate con due file di colonne di marmo eterogeneo. Tuttora sottoposta a restauro, mantiene la stessa fisionomia che aveva dopo l’ultimo intervento romanico del XII secolo. Le due colonne prossime al presbiterio sono di pavonazzetto con profonde scanalature; la terza coppia è di cipollino e le altre di granito grigio e rosso, tutte sormontate da capitelli ionici. Ben conservata, nei pressi dell’altare centrale, è una parte del pavimento in opus sectile dall’ornato geometrico colorato dal marmo rosso, verde, bianco, ricostruito in epoca moderna con impostazione identica alla medioevale; frustoli di affreschi anch’essi medioevali decorano le navate: l’abside laterale sinistro è decorato con un mosaico eseguito negli anni cinquanta
con un’iconografia simile a quella bizantina mentre l’abside centrale ha forma semicircolare all’interno ed esagonale all’esterno. Il portico è composto da cinque arcate sorrette da due pilastri e da quattro colonne di riuso. Attraverso un portale sottostante si ha accesso all’interno della basilica; al lato sinistro del portico si eleva una splendida torre campanaria su più piani, che ospita vari frammenti archeologici. Il muro al lato di ingresso del portico conserva tracce di pitture alto-medioevali, all’angolo destro si vede la cimasa che adornava il Tempietto di San Giovanni in Oleo, su probabile disegno del Bramante, mentre sul lato sinistro sorge un’aiuola centrale. Nella piazzetta antistante il portico è conservato il pozzo battesimale, considerato perduto durante i vari interventi della chiesa e successivamente recuperato. Dietro alla basilica si trova il giardino, ricco di frammenti archeologici tra cui un colombario tardo repubblicano. Al lato destro del portico una porta dà accesso al collegio missionario Antonio Rosmini il cui chiostro comunica con il giardino della basilica, addossato alle strutture della chiesa, adiacente alla via Latina. L’edificio presenta poche finestre anguste, proporzioni strette e murature dai molteplici stili. La ricostruzione delle sue fasi costruttive, sia materica che strutturale è complessa e articolata e nonostante la basilica, per la sua ricchezza di materiale archeologico e per il suo prestigio artistico, in passato abbia destato l’attenzione di tanti studiosi, ancora oggi non abbiamo una visione unitaria del suo insieme architettonico.
Storia e vicende della Basilica Antichità La basilica sorta sui resti di un antico tempio, dedicato al culto di Diana, è dal I sec d.C. strettamente legata alla figura di San Giovanni Evangelista che subì, nel luogo dell’odierno tempietto, il martirio, con l’immersione in una caldaia di olio. Uscitone illeso sarebbe stato poi esiliato a Patmos dove, sembra, morì centenario (De Praescr. Haer. 36,3). Sembra vi avesse assistito personalmente l’imperatore Domiziano e che la folla, terrorizzata dall’evento, chiedesse di risparmiare la vita al santo e di commutare la pena in esilio.
La tradizione lega la prima fase della costruzione paleocristiana alla figura di Narsete (478-568) come dimostrano le strutture murarie più antiche e una serie di bolli delle tegole oggi conservate nel pianterreno del campanile tra cui alcune riportanti stampigli dell’imperatore Teodorico. Narsete, figlio come Teodorico del mondo bizantino, influenza l’impostazione planimetrica e decorativa dell’edificio a favore di schemi bizantini. La struttura del presbiterio e delle tre absidi testimoniano tutt’oggi l’influsso dell’architettura dell’epoca. Inoltre, si conserva un affresco di un cherubino a guardia dell’eden, di periodo altomedioevale, raffigurato secondo l’iconografia bizantina, evidente dalla resa delle sue ali policrome. La chiesa paleocristiana, però, seppur strettamente legata all’Impero Romano d’Oriente, è indipendente da esso, perché la chiesa romana in questi anni s’impone sulle altre diocesi. Attraverso immagini di storie salvifiche e del papato di Roma, ribadisce che la Città non è solo la capitale della classicità romana, ma anche della cristianità.
Medioevo
La struttura romanica mantiene la pianta basilicale semplice ma gli ambienti di ampio respiro e l’intensa luminosità creata dai grandi finestrati dei cleristori, sono stati sacrificati per l’adattamento a proporzioni ridotte dell’edilizia romanica. Nuovi lavori interessano l’edificio sotto il papato di Adriano I (772-795). A tale stadio appartiene probabilmente la margella del pozzo, ornata di una decorazione formata da due serie sovrapposte di racemi che corrono orizzontalmente per tutto il corpo. Sull’orlo, tutt’intorno, vi è un’iscrizione latina, di epoca posteriore alla margella stessa (IX secolo), che riproduce quasi per intero la formula battesimale: “In nomine pa(tri) et filii spi [ritus sant]i /omnes sitie[entes venite ad aquas] / Ego Stefanus”. Nel secolo successivo la storia della basilica si macchia del sangue di infanti, uccisi dalle monache del tempio. Sotto il pontificato di Benedetto XI (1032-1044), nell’XI secolo si stabilisce una comunità di sacerdoti sottomessi all’autorità dell’arciprete.
Nel 1044 la basilica diventa collegiata. Nel XII sec. possiede fondi nel territorio dell’antica Gabii e nel 1145 la chiesa passa al Capitolo Lateranense. Nel 1190 è riconsacrata da Celestino III, una lapide nell’ambone lo ricorda.
Nel 1291 acquisisce nuova consacrazione, con un ulteriore restauro del ciclo degli affreschi interni, raffiguranti scene vetero e neotestamentarie. Nel 1228 la struttura ecclesiastica ha alle dipendenze quattro chiese: o o o o
S. Stefano in “Capite Africae” S.Lorenzo “Juxta Porticum B.Petri” S.Anastasio “Cum Castro Noviliae” S. Lucia “De Columna”.
Nel 1299-1333 entra a far parte del clero secolare, ma cade in rovina, senza reddito, con il ritiro dei canonici e l’abbandono delle liturgie. Nel corso del XIV secolo la proprietà passa ai padri Clareni, una congregazione autonoma e di eremiti. Nel 1433 crolla il vecchio campanile, ma dal papato giunge l’ordine di ricostruirlo com’era; Il portico, infatti, è ripristinato nel 1438. Età Moderna Nel 1513 Leone X affida ai cardinali titolari restauri finanziati dal Cardinale Crivelli per coprire e dipingere il vano della volta a botte del presbiterio e dal Cardinale Albani per dipingere il martirio del santo patrono della basilica su un quadro di Federico Zuccari per l’altare maggiore. Nel 1580 Montaigne sostiene che ivi si stabilì una curiosa confraternita di portoghesi omosessuali i quali, con alcuni spagnoli, furono bruciati secondo un dispaccio dell’ambasciatore veneto dello stesso periodo. Una volta riaperta, la Basilica passa alla Confraternita di S. Petronio della “nazione” per riattivare il culto di questo santo. Nel XVII secolo a causa dello stato di abbandono in cui versa di nuovo la chiesa, l’ultima comunità religiosa se ne va. Il Laterano decide allora di incaricare un canonico tra i suoi membri per provvedere alle necessità della chiesa. Per oltre un secolo sono i canonici che si prenderanno cura della basilica e degli annessi. Al 1630 è datata la prima descrizione dettagliata dello stato archeologico della Basilica. È in questo secolo che avvengono pesanti cambiamenti: sovrastrutture “barocche”, profusione di marmi moderni e ori, demolizione del vecchio ciborio, inserimento nel catino absidale di un dipinto di scarsa qualità artistica raffigurante il santo che scrive l’Apocalisse, la posa di un pavimento nuovo con lastre di marmo identiche al precedente, una nuova campana. Il papa Alessandro VII commissiona al Borromini, attraverso il cardinale Paolucci le modifiche del tetto e l’installazione di una croce sostenuta da una sfera decorata da rose e un fregio in terracotta con rose e palme. Nel 1703 i padri Mercenari Scalzi ottengono il permesso di usare chiesa e convento e nel 1719 ci sono ritocchi all’interno dell’oratorio di San Giovanni in Oleo. Nel 1729 i Padri Minimi di S. Francesco di Paola ottengono in enfiteusi perpetua la chiesa ma contraggono debiti per la malaria; nel 1798 sono perciò cacciati e la Basilica, che versa in condizioni disperate, è salvata da un vignaiolo. Età Contemporanea All’inizio del XIX è di nuovo chiusa; nel 1830 i Padri Minimi rinunciano ai diritti sull’edificio; nel 1 876 la sua cura è affidata ai Terziari francescani di Albi che per la malaria dopo poco andranno via. Nel 1877 è in completo abbandono.
Nel 1905 le suore della S.S. Annunziata, dette Turchine, entrano in possesso del convento e fondano un monastero di clausura. Nel 1911 la Porta Latina, la cui chiusura e apertura aveva condizionato le sorti della basilica, è definitivamente aperta. Nel 1913 l’archeologo svizzero Don Paolo Styger scopre nel solaio affreschi del XII sec. Il corridoio scoperto ed il vestibolo, ancora esistenti nel 1700, sono ridotti ad abitazioni per le suore Turchine nel 1928. Dal 1937 al 1941 la basilica è sottoposta a nuovi interventi di restauro ad opera del collegio Antonio Rosmini, eretto adiacente all’edificio. Nel 2003 sono stati avviati i lavori di restauro degli affreschi alto medioevali situati all’interno, deteriorati dai precedenti degli anni 30 e 40 del ’900, perché eseguiti con l’uso massiccio di cemento, utilizzato per consolidare le pareti pericolanti, senza tenere conto del degrado che il cemento stesso avrebbe causato sugli affreschi. A maggio del 2004 sono iniziati anche i restauri del tetto, della zona absidale e della parte superiore della facciata; così come i lavori di ripulitura, consolidamento e restauro dei fusti di colonne del portico. Sono stati eseguiti i restauri del tetto, dell’abside e degli affreschi, per riportare al suo antico splendore le strutture e salvare i dipinti dal cattivo lavoro degli anni 40, seguendo scrupolosamente, questa volta, le norme della Carta del Restauro. La Basilica di San Giovanni a Porta Latina, oggi, cerca di restituirci l’immagine che doveva avere nel medioevo, con la sua struttura originaria e gli interventi medioevali successivi, priva delle parti aggiunte in epoca moderna e contemporanea, arricchita dai frammenti erratici della zona, rinvenuti intorno ad essa.
La collezione Archeologica La collezione, sebbene sia disomogenea, è caratterizzata soprattutto da frammenti archeologici di cui, nella maggior parte dei casi, si ignora l’areale originario di destinazione, sia per la mancanza di fonti, sia per l’assenza di una stratigrafia dello scavo del sito. Si tratta di una raccolta vicina allo spirito antiquario, che ha segnato la storia della museologia italiana e in particolare di Roma, per tutto il rinascimento e anche dopo, fino addirittura agli anni trenta. Comprende: o o o o o o o
frammenti architettonici di vario genere (dall’epoca imperiale a quella moderna); transenne (dalle paleocristiane alle carolingie); terrecotte architettoniche (dal II a C); lastre, frammenti di lastre e stele funerarie iscritte (dai frammenti archeologici di I/II secolo ai testi cristiani); tegole che appartenevano probabilmente all’antico tetto (496-524); frammenti di sarcofagi (dal II- III secolo); rivestimenti della chiesa, lastre di marmo e coperture di capitelli, dal medioevo (sette/otto frammenti marmorei del primo quarto del IX secolo, di cui due sono collocati sul muretto del sagrato, due come gradini e quattro nel giardino) al 1719.
I vari materiali, nonostante i danni subiti e i problemi di adattamento alle nuove situazioni di conservazione, sono ancora in un ottimo stato di preservazione storico-documentaria. Le notizie riguardo ogni singolo frammento, sono talvolta molto scarse e non è sempre possibile il confronto con pezzi analoghi già datati. Il ricorso ad un confronto spesso mostra solo l’evoluzione del motivo e non la tipologia del frammento. Il perdurare di un motivo decorativo non sempre in archeologia ha un significato assoluto, ma denota comunque la presenza di un elemento di repertorio non legato ad una determinata funzione; sarebbe un errore dire che la forma segue la funzione. Ad esempio i plutei tardo antichi e alto medioevali della chiesa presentano vari tipi di decorazione, ciascuno riscontrabile in tante altre transenne di Roma, ma ciò non significa che quelle sculture siano conseguenza di una funzione. In effetti si tratta soltanto di motivi diffusi, di tendenza, molto apprezzati dal punto di vista ornamentale. La diversità dei motivi non determina anche la diversità temporale, ma una varietas di temi paralleli di uno stesso periodo artistico, come dimostrano nelle terrecotte. Il lungo arco cronologico, dal II secolo a.C. al 1719 che abbraccia in generale tutti i pezzi della basilica, segna marcatamente il valore artistico e di frequentazione del sito nel passato.
Versione del testo Edito nel Febbraio 2022 su https://bloggingart.it/san-giovanni-a-portalatina/