Quando l'arte si recodifica: Quayola a Roma(Palazzo Cipolla)

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Quando l’arte si ricodifica: Quayola a Roma a cura della dott.ssa Alessandra Pignotti

Palazzo Cipolla La sede è nata nel 1999 per volontà e su impulso del Presidente della Fondazione Roma, il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele. Il Museo Fondazione Roma ha realizzato ad oggi oltre 35 mostre temporanee in collaborazione con i più prestigiosi poli museali internazionali.


Palazzo Cipolla è quindi la cornice ideale per l’esposizione d’arte di Quayola, da sempre animata da un confronto permanente tra l’educazione classica e l’uso quotidiano di mezzi d’espressione visiva futuristici. Davide Quayola, utilizzando sistemi di robotica, Intelligenza Artificiale (AI) e software generativi, ricodifica la storia dell’arte attraverso una prospettiva inedita e trasforma la tecnologia computazionale in una nuova tavolozza. Sviluppando un corpo di lavoro che assume sia una forma immateriale (come i video) che materiale (come le stampe o le sculture), l’artista ci illumina sul paradosso dell’immaterialità che è di fatto una nuova forma di materialità. La Mostra a Palazzo Cipolla

Si tratta della prima mostra monografica dell’artista romano Quayola, classe 1982, londinese d’adozione. Davide Quayola è uno degli artisti maggiormente rappresentativi della Media Art nel panorama internazionale. La mostra ripercorre le tappe del suo percorso artistico dal 2007 al 2021. La serie sulle iconografie prende come riferimento dipinti rinascimentali ma soprattutto barocchi, restituiti in complesse composizioni digitali, libere traduzioni geometriche e visionarie di scenografici soffitti di chiese romane o di opere di Sandro Botticelli, Artemisia Gentileschi, Rubens, Bernini. La serie sui paesaggi trae spunto da atmosfere e nature impressioniste, da culture di mondi lontani dall’artista (la Cina imperiale, il Giappone, l’India, la Russia sovietica, gli Stati Uniti). Il percorso espositivo si sviluppa attraverso tre aree tematiche: iconografia classica, sculture non ultimate, tradizione della pittura paesaggistica.


L’Iconografia Classica e Quayola

Il suo stile robotico lascia trasparire l’omaggio ai grandi geni del Rinascimento e del Barocco, che vengono “smontati” e rimontati all’interno delle sue opere. Massima espressione della capacità innovativa e tecnologica di Quayola è la rappresentazione di sculture ispirate alla tecnica michelangiolesca del non-finito; lavori esemplari come il Laocoonte o il Ratto di Proserpina, che ben evidenziano le infinite possibilità di formalizzazione dell’idea creativa attraverso la moltitudine di opportunità che la tecnologia offre. Sculture non finite


Le forme delle opere di Quayola sono imprigionate nella materia; esse emergono grazie all’intelligenza artificiale, distante dalla volontà dell’artista. Il non-finito assume in tale maniera un diverso significato. Il robot permette una riflessione sul reale e sull’artificiale che non sarebbe possibile di fronte ad un atto creativo ben determinato. Le infinite variabili elaborate dal robot e dagli algoritmi che lo guidano aprono orizzonti sconosciuti. Lo spettatore non può far altro che stupirsi di fronte a questa meravigliosa wunderkammer della contemporaneità, al cospetto di un’arte in grado di conciliare il glorioso passato con il futuro più visionario. La pittura di Paesaggio in Quayola La rappresentazione della natura è un altro tema ricorrente nel lavoro di D. Quayola, prodotto di un’arte generativa che evidenzia l’affascinante e paradossale somiglianza tra il mondo naturale e quello digitale. Dalle prime serie, come Bitscapes (2006) e Natures (2009), a opere più recenti come Jardins d’Été e Promenade (2018), l’artista esplora le tradizioni storiche della pittura paesaggistica, creando connessioni con l’impressionismo francese e indagando i rapporti tra rappresentazione e astrazione. La posta in gioco è l’icona: la sua saldezza, la sua fragilità, la sua capacità metamorfica e il suo farsi occhio, lampo sulla retina. Col mondo da una parte e il soggetto senziente dall’altra. Con Pleasant Places (2015), progetto appena presentato al Glow Festival di Eindhoven, Quayola cita già nel titolo la pittura paesaggistica olandese del XVII secolo: gli albori luminosi di una tradizione. E cita Van Gogh, in un omaggio appassionato e diretto, nel 125° anniversario della sua scomparsa. Tornato in Provenza, che fu luogo di grande ispirazione per la pittura del maestro, eccolo realizzare una serie di foto e video, e poi delle grandi installazioni. Un lavoro sulle suggestioni secentesche dei “piacevoli paesaggi” fiamminghi, condotto lungo quella linea inquieta che porta dalla figurazione alla dissoluzione formale, per passaggi ed implosioni, per dissolvenze e smarrimenti. Helga Marsala, critico d’arte, sostiene che grazie all’uso improprio di image-analysis e alla manipolazione di algoritmi, l’artista altera, dissolve, disgrega i dettagli in altissima definizione di boschi ed arbusti, ottenendo un progressivo effetto “familiar stanger”: l’impronta di ciò che è noto permane, mentre l’immagine lascia il posto allo straniamento, alla presenza aliena. La natura è liquefatta, indistinta, nella linea sinuosa degli alberi e nel loro divampare; nella schiuma incandescente delle chiome e nelle masse brune, grigie, dorate, come pennellate piene; nella corrente vorticosa e nella sostanza pulviscolare, in cui la natura stessa si annulla, poi compare, poi di nuovo evapora. E convivono il moto vigoroso del pennello, che scolpì le tele di Van Gogh, e il dettaglio rigoroso del barocco d’Olanda, che raccontò di cose, paesaggi, persone, come piccole fiabe borghesi.

Testo edito in prima versione su https://bloggingart.it/quayola-a-roma/ rielaborazione per il pdf


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