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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

Cento di questi numeri! — Di pietra e di rame — Tra lago e collina — Le mille e una vista lago — Il minimo indispensabile — Formidabili quegli anni — Garda Grand Tour — Ritorno al paesaggio — Il rosso e il rosa — Verona Writers — “Diario di viaggio” — Che due banche — Recupero all’Avanguardia — Itinerario: San Zeno di Montagna.

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ISSN 2239-6365

Terza edizione — Anno XXIII — n. 1 Gennaio/Marzo 2015 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona

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Edilizia scolastica: opportunità per i professionisti o ennesimo inganno? Testo: Arnaldo Toffali

Nelle “disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (legge 9 agosto 2013 n. 98) e in particolare “misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali” (art. 18, commi 8-ter e 8-quater), è stata riposta grande fiducia dal Consiglio Nazionale degli Architetti PPC in quanto sarebbero ripartiti i lavori pubblici nel campo dell’edilizia scolastica e conseguentemente gli incarichi per molti professionisti. Nel novembre del 2013, il Ministero dell’Istruzione ha assegnato 150 milioni di euro per la realizzazione di 692 interventi, relativi all’adeguamento antisismico e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, con un particolare riguardo alla bonifica dell’amianto. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 64 del 18 marzo 2014 è stato pubblicato il DPCM 22 gennaio 2014, che definiva i poteri derogatori ai sindaci e ai presidenti delle province interessati che hanno operato in qualità di commissari governativi fino al 31 dicembre 2014, per l’attuazione delle misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali. Per tali interventi i sindaci e i presidenti delle province sono stati autorizzati a derogare, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dei vincoli derivanti dall’ordinamento

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comunitario, in particolare alle disposizioni normative del Codice Appalti (art. 11, commi 10 e 12; art. 12, comma 1, terzo periodo; art. 12, comma 2, terzo periodo; art. 12, comma 3, terzo periodo; art. 48, commi 1 e 1 -bis; art. 70; art. 71; art. 122, comma 5, secondo periodo; art. 122, comma 6; art. 123, limitatamente ai termini di scadenza di cui ai commi 2 e 3; art. 125, comma 6). Diveniva così possibile consegnare i lavori all’impresa prescelta senza la necessità di attendere i termini previsti per legge (35 giorni) dopo l’aggiudicazione. Sono stati ridotti del 50% tutti i termini di gara previsti dal Codice Appalti, per giungere alla stipula del contratto. Inoltre, non era necessario procedere alla verifica – documentale o mediante l’Avcpass – dei requisiti dichiarati in sede di gara. La somma complessiva di 150 milioni di euro, destinata all’attuazione di misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, è stata assegnata, sulla base delle graduatorie approvate dalle competenti regioni, agli enti locali. Su tali interventi potevano essere previste forme di cofinanziamento da parte degli enti locali, che avrebbero dato luogo a maggior punteggio nella graduatoria per l’assegnazione dei fondi stessi. Gli enti locali beneficiari dei finanziamenti sono stati autorizzati ad avviare le procedure di gara, con pubblicazione del relativo bando, ovvero di affidamento dei lavori, dandone comunicazione al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della

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Ricerca (MIUR) entro 15 giorni dall’adozione dei relativi provvedimenti. In caso di mancato affidamento dei lavori entro il 28 febbraio 2014 (termine successivamente rinviato al 30 aprile 2014) l’assegnazione veniva revocata con decreto e le relative risorse, nonché le eventuali economie di spesa comunque resesi disponibili all’esito delle procedure di gara, sarebbero state assegnate agli interventi nell’ordine della graduatoria. Ha preso così il via il “piano di edilizia scolastica” fortemente voluto dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un piano, composto da tre principali filoni, che “coinvolgerà complessivamente 21.230 interventi in edifici scolastici per investimenti pari a 1.094.000.000 di euro”. Una scuola italiana su due sarà protagonista di questo primo progetto, che nell’arco del biennio 2014-2015 porterà ad avere “scuole più belle, più sicure e più nuove”. La Regione Veneto con deliberazione della Giunta Regionale n.1545 del 28 agosto 2013, in attuazione della legge 9 agosto 2013 n. 98 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, ha stabilito i criteri per l’istruttoria dei progetti e la definizione della graduatoria che la Regione stessa doveva presentare al MIUR, entro il termine del 15.10.2013, “al fine di attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui è stata censita la presenza di amianto”.


Il comma 8-quater, del citato articolo 18, stabilisce in particolare, che “l’assegnazione delle risorse agli enti locali è effettuata con decreto del MIUR entro il 30 ottobre 2013 sulla base delle graduatorie presentate dalle regioni entro il 15 ottobre 2013. A tale fine, gli enti locali presentano alle regioni entro il 15 settembre 2013 progetti esecutivi immediatamente cantierabili di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici”. È necessaria, a questo punto, una seria riflessione sui requisiti del bando regionale e in particolare sul punto B – Progetti ammissibili: “Sono ritenuti ammissibili alla graduatoria di cui alla legge in argomento esclusivamente i progetti esecutivi, immediatamente cantierabili, redatti ai sensi dell’art.93 del D.Lgs. 163/2006 e dell’art.33 del D.P.R. n.207/2010, corredati del relativo provvedimento di approvazione da parte dell’ente”; e sul punto C - Modalità e termini per la presentazione delle istanze: “Il progetto, e la relativa documentazione a corredo, dovrà esser acquisita dal Protocollo Generale della Regione entro il termine utile del 15 settembre 2013”. La Regione, tenuto conto dei tempi ristretti stabiliti dalla legge, si è riservata 30 giorni (dal 15 settembre al 15 ottobre) per l’istruttoria dei progetti e per la predisposizione della graduatoria da inviare al MIUR, e invece ha concesso praticamente due giorni, se consideriamo la data di pubblicazione sul BUR (n. 78 del 13/09/2013) o, alla meglio, circa 15 giorni (dal 28 agosto al 15 settembre) per la progettazione esecutiva e il relativo provvedimento di approvazione da parte dell’ente, da trasmettere in Regione. Consideriamo che la redazione di un progetto esecutivo immediatamente cantierabile oltre a presupporre l’esistenza degli altri due livelli di progettazione (preliminare e definitiva) approvati, necessita mediamente, a puro titolo esemplificativo e non esaustivo, di: indagine strutturale con elaborazioni di dettaglio del progetto strutturale; elaborazione dei piani per la sicurezza; dei capitolati speciali d’appalto

e computi metrici estimativi; redazione del progetto degli impianti termici ed elettrici; redazione pratica per parere preventivo sul progetto esecutivo per Vigili del Fuoco; rilievo, misurazioni e picchettazioni; elaborazione disegni architettonici progetto esecutivo. Risulta facile dedurre che le amministrazioni locali dovevano essere già in possesso del progetto esecutivo da inviare in Regione oppure, considerato non vi sarebbero stati i tempi minimi (e probabilmente i fondi) necessari per una qualsiasi forma di affidamento di incarico esterno (in assenza di alcuna forma derogatoria) che il progetto dovesse essere elaborato, su progettazioni già avanzate, dagli uffici tecnici comunali. È lecito quindi chiedersi, dove stia l’opportunità per i professionisti nei bandi nazionali e regionali impostati con queste tempistiche? Come possono le amministrazioni pubbliche rispettare l’obbligo del principio di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza nell’affidamento di eventuali incarichi di progettazione esterna? Vale la pena ricordare inoltre che nella recente determinazione n. 4, del 25 febbraio 2015 “ Linee guida per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria” dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), viene ribadito che non sono consentite modalità di affidamento dei servizi tecnici diverse da quelle individuate dall’art. 91 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e che “l’importo del corrispettivo da porre a base di gara per l’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura, ivi compreso l’appalto c.d. “integrato”, è obbligatorio fare riferimento ai criteri fissati dal decreto del Ministero della giustizia del 31 ottobre 2013, n. 143 (Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria)”.

Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini

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professione

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Edilizia scolastica: opportunità per i professionisti o ennesimo inganno? di Arnaldo Toffali

progetto

Di pietra e di rame di Claudia Tisato

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editoriale

Lo gliòmmero del piano di Alberto Vignolo

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progetto

Il minimo indispensabile di Lorenzo Marconato

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progetto

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Le mille e una vista lago di Filippo Semprebon

Tra lago e collina di Nicola Brunelli

pRogetto

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odeon

Per la Basilica di San Zeno: un testo monumentale di Angelo Bertolazzi

La casa che non c’è di Carlo Ferrari

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pRogetto

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Ritorno al paesaggio di Laura Pigozzi

“Vandalism is Art”? di Annalisa Levorato

PROGETTo

Formidabili quegli anni di Alberto Vignolo

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Garda Grand Tour di Laura Pigozzi

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odeon

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Il rosso e il rosa. Due ritratti per Castelvecchio di Rita El Asmar

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La seconda vita del Lazzaretto di Eleonora Principe


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INTERIORS

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Che due banche di Christina Tsompanoglou

Sonia Iorio De Marco a Verona di Angela Lion

studio Visit

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itinerario

Architetture a San Zeno di Montagna 1957-2014 di Andrea Castellani e Marco Semprebon

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Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

diversearchitetture

Recupero all’Avanguardia di Luisella Zeri

cantieri

Il cantiere al Teatro Romano di Lorenzo Marconato

Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it

Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it

collezione privata

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Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona

Direttore responsabile Arnaldo Toffali

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‘Diario di viaggio’ di Tommaso Carozzi di Luigi Marastoni

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIII n. 1 • Gennaio/Marzo 2015

Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

copertina Foto: Michele Mascalzoni

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Barbara Cattonar T. 338 898 8251 barbara.cattonar@promoprintverona.it

Redazione Angelo Bertolazzi, Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Federica Guerra, Angela Lion, Dalila Mantovani, Lorenzo Marconato, Nicola Tommasini, Luisella Zeri Fotografia Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni collaboratori Annalisa Levorato, Laura Pigozzi, Eleonora Principe, Federica Provoli, Filippo Semprebon, Matilde Tessari, Claudia Tisato, Christina Tsompanoglou contributi Rita El Asmar, Andrea Castellani, Carlo Ferrari, Alessandro Gloder, Luigi Marastoni, Marco Semprebon Si ringraziano Giovanni Finotti, Marco Isotta, Barnaba e Sara Rudi, Elisabetta Tomba

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Lo gliòmmero del piano

Nelle pieghe dei tessuti: una riflessione sull’arte “tessile” di costruire la città

Testo: Alberto Vignolo

Foto: Alessandro Gloder

Ce l’ha insegnato il buon Semper: tra maglie, nodi, trame e tessuti, la metafora tessile contende a quella organica il primato dei riferimenti semantici in campo di città e di architetture. Così non stupisce che ciclicamente, nella merceria della prassi urbanistica, si ripeschino tagli d’abito e pezze di materie prime sempre chic, se indossate con eleganza. Un esempio recente in tale direzione viene proposto da un Comune dell’entroterra benacense: non importa quale, il tema trascende il caso specifico e anzi si rivela essere rappresentativo –qualcuno direbbe purtroppo – di una diffusa temperie culturale. Dunque il tale Comune si dota di un Piano degli Interventi per il Centro Storico, con l’intento di “coniugare con spirito moderno ed attuale le esigenze di conservazione dei tessuti caratterizzati da valori storici e architettonici formali con le esigenze di valorizzazione legate alle necessità collettive”. Proprio sulla base dell’individuazione dei tessuti della città storica – ovvero delle aggregazioni di edifici e delle relative aree di pertinenza – il Piano individua una “forbice” degli

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interventi ammessi alla scala edilizia. Starà poi al progettista determinare, sulla base delle indagini effettuate caso per caso, il grado di tutela entro quelli previsti, e all’Ufficio Tecnico Comunale validare tale scelta. Via dunque ai “vecchi orpelli normativi”, e via libera alla rigenerazione e riqualificazione dei nuclei storici delle nostre città. Viva la libertà, dunque?

Facile associarsi al “grido di dolore” contro l’eccesso di rigidità e conservatorismo delle norme nella disciplina urbanistica italiana, e allo slancio riformatore “contro le fastidiose varianti”. Peccato però che, nonostante gli approfonditi studi per identificare il grado di tutela ammissibile isolato per isolato, al dunque il progettista si ritrovi nelle norme la prescrizione,

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in forma di mantra, che “non è ammessa architettura di espressione contemporanea”. Se le parole hanno un senso, ciò significa che è ammessa (solo e solamente) l’espressione non contemporanea: cioè antica, antiquata, anticata, nei toni più velati o craquelée che dir si vogliano. Indietro tutta, colleghi architetti (o meglio, antiquarietti): rispolverato il latinorum per le relazioni tecniche e il piccione viaggiatore al posto della PEC, verremo accolti da un tecnico comunale in elmo e cimiero, sfidati a singolar tenzone per determinare cosa sia “espressione contemporanea” e cosa no... Come si vede, seguendo questa linea di pensiero il grottesco e il ridicolo non hanno fine. A ciò conduce una affermazione normativa che è l’espressione di un colossale malinteso, volto a promuovere la falsificazione e la mistificazione:

una limitazione assurda e retriva che coltiva il banale, promulga lo stereotipo ed esalta lo status quo come modello di valore, negando qualsivoglia approfondimento e ricerca morfologica.

« Una affermazione normativa che è espressione di un colossale malinteso, volto a promuovere la falsificazione e la mistificazione » Una semplice riga di norma, apparentemente innocua, sottende il senso di una caccia alle streghe che ci fa ripiombare in un similmedioevo di cartongessi e di cappotti in polistirene, purché rigorosamente “nei colori delle gamme delle terre”. Qualcuno riuscirà a far comprendere ai novelli Savonarola dei borghi

gardesani che ogni trasformazione posta in atto qui ed ora non può che essere contemporanea? L’intento cruscante di un codicillo come quello del Piano preso in esame, dal punto di vista culturale rappresenta un inaccettabile anacronismo, nonché la peggior iattura che combattiamo pagina dopo pagina in questa rivista, attraverso il valore di esempi che non pretendono di assurgere allo status di capolavori, ma che sono – ciascuno per propria parte e intensità e valore e gusto – strettamente contemporanei. E pensare che il Piano si proponeva di “superare la contrapposizione tra il vecchio e il nuovo”: evidentemente scegliendo il vecchio, vero o falso che sia, a priori e per partito preso. Un gran garbuglio, uno gliòmmero, non c’è che dire, ancora tutto da dipanare. Ma forse, tornando alla metafora tessile, siamo arrivati agli scampoli di quella che un tempo si chiamava “arte di costruire la città”.

01-03. Alcune vedute aeree del bacino gardesano mettono in evidenza i tessuti dei borghi costieri e di quelli dell’entroterra.

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PROGETTO

Di pietra e di rame

Due case gemelle realizzate all’interno di un progetto unitario rinnovano la tradizione del moderno a San Zeno di Montagna, luogo ameno di villeggiatura affacciato sul lago di Garda

Progetto: arch. Giovanni Cenna Testo: Claudia Tisato

San Zeno di Montagna

Foto: Claire Adams

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01. Le due case sono attestate secondo una direttrice convergente sul parterre che consente l’accesso ad entrambe. 02. Planimetria generale dell’intervento. In alto, le due case binate non ancora ultimate. 03. Studi per l’articolazione dei volumi in relazione alla conformazione del luogo. 04. L’aggetto della copertura in rame protegge l’ampia vetrata sulla balconata della zona giorno.

giovanni cenna Nato a Verona nel 1967, si laurea allo IUAV di Venezia nel 1994. Il percorso formativo manifesta sin dall’inizio la continuità tra studi ed esperienze professionali. Dal 1994 collabora con lo studio Arteco di Verona, nel 2001 apre la propria attività e partecipa a concorsi nazionali e internazionali (1° posto per “Il nuovo stadio comunale di Siena”, 2006). Ha realizzato tra l’altro la riqualificazione dello Stadio Olimpico di Torino («AV» 88, 54-59) e l’ampliamento del complesso scolastico di Povegliano («AV» 95, pp. 44-51), menzionato al Premio Architettiverona 2013. 02

A San Zeno di Montagna, l’architetto Giovanni Cenna ha realizzato un interessante complesso di quattro ville unifamiliari. Il luogo è ricco di elementi paesaggistici di rilievo: se si guarda il lago di Garda, alle spalle sale il pendio del monte Baldo. L’area sulla quale insiste il progetto è di forma triangolare: si apre verso il lago, si chiude a nord ai bordi della zona boscosa. Attorno, un insediamento di villette disposte in modo casuale. I primi schizzi sembrano esprimere la volontà di realizzare un progetto in cui le singole unità abitative, con lievi variazioni di forma, tendono ad un disegno unitario. L’unitarietà viene abbandonata nella versione definitiva a favore di una scelta che privilegia l’iterazione.

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Il terreno, caratterizzato da salti di livello, suggerisce l’orientamento dei manufatti. Modellato con muri in pietra Giallo Torri, il suolo va a disegnare la distribuzione funzionale che privilegia l’ indipendenza degli accessi. Tra le curve di livello si ancorano le singole ville. Lo stesso principio insediativo definisce lo spazio per la piscina: uno specchio d’acqua racchiuso tra i muri che vanno a regolarizzare i terrazzamenti. Si leggono i caratteri della contemporaneità, pur conservando l’eco delle tradizioni architettoniche, ad esempio nell’utilizzo di materiali come la pietra. La chiarezza architettonica e i riferimenti alla contemporaneità del progetto sono il frutto di una ricerca che

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Di pietra e di rame

PROGETTO 05-06. La scala in ferro e legno collocata nel punto di massima traparenza visiva della casa. 07-08. Sezioni sulla rampa di accesso all’autorimessa e sul corpo scale. 09. La piscina posta alle spalle di una delle due case.

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ha saputo interpretare le normative comunali in modo tale da non subirne le restrizioni, tese a riferirsi ad una “malintesa tradizione”. Le indicazioni di Piano e delle Norme Attuative del Comune, soprattutto per quanto riguarda il dettaglio, sono ancorate a una visione conservativa-prudente, dalla quale il progettista ha saputo liberarsi per esprimere compiutamente il proprio pensiero architettonico. Lo schema compositivo crea una netta distinzione volumetrica accentuata dall’uso di materiali diversi: il volume ipogeo (come pure i muri di contenimento) è rivestito in pietra Giallo Torri, proveniente da una cava di Crero. Lo spessore utilizzato, circa 18 centimetri, corrisponde a quello di estrazione del materiale. Il solaio superiore del volume ipogeo prosegue sul terreno del livello più alto creando un “terrazzo” sul quale insiste un volume libero su tutti i lati, volume rivestito completamente in rame che va ad assumere un carattere di autonomia rispetto al terreno “modellato”. L’inclinazione del tetto suggeri-

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sce l’andamento del terreno. Nessun elemento tecnico spicca dalla copertura, ottenendo così una linea perfettamente pulita. Il volume di pietra (primo livello) ospita la zona notte le cui camere da letto si aprono verso il giardino e il lago lasciando nella parte contro terra gli spazi serventi. Uno spazio unico al piano superiore è destinato alla zona giorno; completamente vetrato è il prospetto che si apre in una terrazza panoramica sul lago. Un volume centrale completamente staccato dalle pareti racchiude l’ ascensore e gli arredi fissi della zona pranzo e soggiorno. Sebbene la continuità spaziale sia dominante, si delineano chiaramente due ambiti distinti.

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10. Il prospetto laterale di una delle due case: il risvolto della copertura in rame aggraffato, lo zoccolo in pietra gialla di Crero in continuitĂ con i muri di sostegno delle balze. 11. I fronti vetrati sulle balconate sono oscurabili con un sistema di veneziane metalliche retrattili.

Committenti Privati Progetto e direzione lavori arch. Giovanni Cenna Consulenti ing. Dino Boni / Tifs-Manens (progettazione impianti meccanici ed elettrici) ing. Michele Ongarelli (progettazione strutture) Cronologia Porgetto e realizzazione: 2008-2014 Dati dimensionali Superficie lotto mq 3.800 Volume complessivo unitĂ abitative mc 1.799,50

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PROGETTO

Di pietra e di rame

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12-14. Dall’alto, piante della zona giorno, del livello sottostante delle camere e di quello inferiore dell’autorimessa. 15-16. La disposizione della pietra attorno alle finestrature ne svela il valore di rivestimento.

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Il volume della scala tra i due piani si pone come elemento di raccordo autonomo da quelli principali: solo lo spessore della copertura lo avvolge come un nastro. Le superfici vetrate la rendono visivamente permeabile e l’effetto è di una sorprendente contiguità tra gli spazi aperti. Le ville presentano una concezione ambientale/energetica complessiva orientata alla sostenibilità: sono in classe A (37,9 kW/mq anno) ed hanno un sistema basato sulla geotermia, pompa di calore, fotovoltaico, caldaia a condensazione e a legna, in grado di dialogare tramite la domotica. La semplicità delle geometrie è sottolineata dal continuo gioco di pieno -vuoto o luce-ombra che rendono vibrante il tutto. Nessun dettaglio costruttivo sfugge al controllo che domina la costruzione: chiara la pianta come pure le sezioni. Il progetto rappresenta l’incontro tra

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due modi di costruire: il primo che tende a creare un equilibrio “leggero” tra rame, vetro, luce, e il secondo a raccontare attraverso il peso della pietra una storia radicata “pesantemente” alla naturalità. Come dice Calvino nelle “Lezioni Americane”: “Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo [della letteratura] attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggi sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo di impulsi magnetici, l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose...”. Si legge inoltre in questo progetto la volontà di non dare indicazioni perentorie nei confronti della vita quotidiana che lì si svolgerà, ma sembra poter sopportare, senza snaturarsi, la personalità di chi ne farà la propria casa.


PROGETTO

Il minimo indispensabile

Una casa di pietra abbarbicata sulle pendici del Baldo è oggetto di un recupero e ampliamento all’insegna di un controllo formale rigoroso e tagliente

Progetto: arch. Luigo Scolari Testo: Lorenzo Marconato Foto: Michele Mascalzoni

Alto Garda

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Lo confesso: ho sempre grandi attese, e al contempo grandi timori, quando mi approccio a visionare un intervento in un contesto così delicato come quello dell’alto lago di Garda. Le pendici sono ripide, lo spazio è poco, ameno e in equilibrio precario tra cielo e flutti. Ogni mossa, se non compiuta con delicatezza estrema, rischia di far rotolare rovinosamente tutto, come un masso sul fianco scosceso del monte Baldo, giù negli abissi del Garda, con un ineludibile tonfo di cui è impossibile non sentire il fragore. A differenza di uno spaventoso rumore, il silenzio passa quasi sempre inosservato, perché non turba certo la quiete del luogo. Così si può dire di questa realizzazione, notevole per la sobrietà e per il rispetto con cui si rapporta con il contesto. Se si vuole dunque conoscere il progetto – peraltro ben nascosto ai più – non si può prescindere dal conoscere l’ambiente entro il quale è inserito, ovvero le ripide pendici del fronte occidentale del Monte Baldo, a debita distanza dal centro abitato più vicino e dalla trafficata riva del lago. Proprio per la conformazione aspra del terre02 no, in forte pendenza e densamente arborato, i segni lasciati nel tempo dall’uomo sono rarefatti: poche case sparse, rade e ben nascoste, quelle stesse costruzioni che, fino a non moltissimo tempo fa, fungevano da ricovero per qualche pastore e i suoi animali. Poetico presepe, con il lago in fronte: pacifico o ruggente, a seconda della stagione e delle giornate. Degna di nota, proprio per la sua tipicità e il suo carattere vernacolare, è la costruzione originale tutelata e ampliata da questo intervento. Niente di più che uno dei ricoveri sparsi qua e la sul versante, con forti membra in sasso vivo, costituito di una cantina seminterrata (presumibilmente una vera e propria stalla), con un solo piano fuori terra, dove venivano lavorati i prodotti degli animali e dove trovava ristoro il loro pastore. Una bella premessa insomma, se non fosse per il fatto che questa costruzione, oltre ad essere raggiungibile soltanto da una strada molto impervia, anni addietro era stata in qualche modo

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manomessa da un intervento di recupero realizzato con estrema e forse comprensibile superficialità. Senza dilungarmi troppo sullo stato originale dei luoghi, che oggi traspare inequivocabilmente valutato dal progetto di Luigi Scolari – veronese di nascita ma non casualmente bolzanino di adozione – si tratta di un intervento di riqualificazione ed ampliamento, che vede il proprio sviluppo in buona parte in area ipogea, con una propaggine sospesa sulle balze del terreno. luiGi scolari (Verona, 1968) Diplomato alla Scuola Politecnica di Design (1989) e laureato in Architettura al Politecnico di Milano (1994), ha diretto la rivista di architettura “Turrisbabel” (2000-2006) ed è stato presidente della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Bolzano (20052011). Un suo contributo è apparso su «AV» 84 (pp. 96-97). Vive e lavora a Bolzano. www.luigiscolari.it

01. Veduta verso il lago della preesistente casa di pietra, con in basso il lucernario dell’ampliamento. 02. La casa di pietra e la nuova veranda nel contesto. 03. L’ingresso alla casa è ricavato nella parte realizzata ex novo contro terra.

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Il minimo indispensabile

PROGETTO

04-06. Sezione trasversale, pianta del livello superiore con la zona giorno e del livello inferiore con camere e servizi. 2.5 5 0

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A

GIORNO

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Nell’ottica della valorizzazione della costruzione veniente da oltre confine. esistente, due sembrano essere le regole che gui- La costruzione la si sorprende alle spalle, venendo dano la composizione: l’integrazione totale con il dalla strada. Non la si direbbe così articolata e moluogo e l’addizione del solo indispensabile, purché derna, forse distratti dal magnifico panorama, se riconoscibile. Ho percepito, nell’amabile chiac- un lucernario a filo dell’erba del giardino retrostanchierata con l’architette, contornato di pieto e con il committente, tra bianca, non tradisse « Un progetto in cui ogni cosa quanto ostica sia stata la presenza nelle viscere l’impresa di raccordare del terreno della mano sembra al posto giusto, tanto questi principi con l’amda rendere superfluo ogni tentativo dell’uomo. Le balze, se pollosa rigidezza di cernon in orizzontale, sono di descrivere ciò che le immagini ti regolamenti e di certroppo ripide per essere possono raccontare. » te procedure. Ad ogni percorse a piedi, e il vibuon conto, se il risulsitatore è guidato semtato è ottimo, lo si deve plicemente verso il basso proprio alla perizia e alla dedizione del progetti- dal naturale percorso che cinge il lato nord della sta, a quella delle maestranze impiegate – in buona casa e dall’accattivante visione di un artificio archiparte importate dall’Alto Adige – e anche al fon- tettonico di rara bellezza che, quasi come una landamentale e stretto rapporto di fiducia e collabo- terna, decora sospesa il fronte principale. Si tratta razione con il committente, non casualmente pro- di una piccola veranda, un volumetto aggiunto fatto 07-08. Dal basso e dal fianco, il volume in lamiera corten e vetro della veranda, elemento “temporaneo” ma necessario all’equilibrio della composizione. 09. L’affaccio dal soggiorno al livello superiore della casa.

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Committente Privato Progetto e direzione lavori arch. Luigi Scolari Cronologia Inizio progetto: 2010 Fine lavori: 2014 imprese Fabbro: Schlosserei Senn, Soprabolzano (Bz) Serramenti: Amort Richard Tischlerei, Rodengo (Bz) Carpenteria: Schötzer Alexander, Lana (Bz) Impianti termo-idraulici e ventilazione: Joseph Thurner, S. Genesio Atesino (Bz) Elettricista: Joseph Weifner, S. Genesio Atesino (Bz) Arredi su misura: Wiedemann Werkstätten, Monaco di Baviera Impresa edile: Brighenti & Figlio, Brenzone (Vr) dati dimensionali Superficie esistente: 62 + 24 mq (pT + p1) Ampliamento: 21 mq Wintergarten: 12 mq


PROGETTO

Il minimo indispensabile

10. Interno della camera da letto. 11. Disimpegno: la scala che porta al livello superiore e il passaggio verso la veranda. 12. La veranda vista dall’interno.

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13. Sequenza chiuso-aperto dell’imbotte in legno in prossimità dell’ingresso. 14. Al piano superiore, veduta sul soggiorno-pranzo dall’angolo cucina posto in corripondenza dello sbarco della scala.

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dell’alternarsi di superfici trasparenti e di fasce in acciaio corten, che poggia su una pedana parzialmente a sbalzo. Perfetto elemento di raccordo tra la vita che si svolge all’interno della casa e l’ambiente circostante. Essa è in equilibrio stabile sul terreno su cui giace, in relazione con il vecchio edificio di cui è parte integrante, per proprie le dimensioni e per le cromie, che in armonia si ritrovano in tutti gli angoli della costruzione. Ecco che, attirati da questa lanterna, si scopre, incassata in una balza del terreno immediatamente adiacente al vecchio cascinale, la nuova porta d’ingresso all’edificio. Anch’essa rivestita in acciaio corten, che le concede di ben mimetizzarsi con i colori del terreno, di cui però rappresenta, con una certa positiva dirompenza, una intera sezione. L’ingresso nel ventre della terra è stupefacente per la linearità e per la cura con cui è stata realizzata questa sorta di bussola in legno, ma ancora di più per il fatto che, pur addentrandosi nel sottosuolo, si fa apprezzare particolarmente per la grande luminosità, offerta dal lucernario e dalle strette pareti del bianchissimo corridoio. Luce intensa sotto terra: che formidabile intuizione! Dall’ingresso e dal corridoio si ha accesso a due camere da letto (di cui una ricavata nella vecchia stalla), due bagni, a un locale per gli impianti e a un ripostiglio, e al disimpegno passante verso la veranda, che contiene una essenziale scala in acciaio

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Il minimo indispensabile

PROGETTO

DET. GS

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DET. TS

SCHNITT D-D

SCHNITT C-C B

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SCHNITT E-E

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E

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E 71

E

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DET. RW

E

C

D

D

1.10

C

C

C

D

D

C

1

D

1

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1.675

C

1.675

DET.GS2

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DET. TW

D

1.265

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SCHNITT A-A

DET.GS1

DET.GS1

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875

1.85

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3.60

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SCHNITT B-B

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B

A

2.95

DET. GEW

875 15

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smaltato e legno verso il piano superiore del vecchio edificio, ove si sviluppa la parte cosiddetta a giorno dell’abitazione. Salita la scala si attraversa un gradevole cucinino, posto su una sorta di mezzanino, arrivando giusto qualche gradino più in alto nel living con un caminetto dall’imbotte in corten, e con una finestra che ritrae uno scorcio di lago in tutta la sua immensa bellezza. Il continuo gioco di rimandi tra interno ed esterno, che ha la sua sintesi nella veranda, è la chiave per lasciar vivere in simbiosi l’edificio con il proprio ambiente. Pochi elementi utili, un equilibrio e una raffinatezza rari, fatti di intelligenti dettagli, di dimensioni maniacalmente calibrate che rarissimamente capita di vedere in forme così convincenti. Tutto racchiuso in una piccola costruzione. Un progetto in cui ogni cosa sembra al posto giusto, tanto da rendere superfluo ogni ten-

15. Dettagli costruttivi per la realizzazione della veranda. 16. Il corridoio illuminato dall’alto distribuisce i nuovi vani controterra 17. Accostamenti materici: pietra a spacco, pietra levigata, ghiaietto, ferro corten, vetro. 18. Disegno del prospetto sul fronte a lago. 19. Particolare dell’attacco tra la casa in pietra e il volume tecnico della vasca per l’acqua. 20. L’imbotte in lamiera corten con le porte dell’ingresso e della cameretta. 16

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tativo di descrivere ciò che le immagini possono raccontare. Eppure si è aggiunto solo ciò che è indispensabile, rendendolo riconoscibile, leggendo e valorizzando così ciò che di estremamente buono già c’era. E vi sembra poco? E vi sembra difficile? Insomma non vi è posto dove non si possa fare qualcosa di buono, senza dover per forza mettere la propria firma, con una penna che spesso perde inchiostro ad ogni mossa.

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PROGETTO

Le mille e una vista lago

Una vasta dimora signorile realizzata per la maggior parte in luminosi piani ipogei dissimula l’immagine di una aggiornata modernità lacustre tra le fronde di un rigoglioso parco

Progetto: Ardielli Associati Testo: Filippo Semprebon

Foto: Giovanni Morandini

Bardolino

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Dalle colline di Bardolino, lo sguardo può spaziare senza soluzione di continuità per gran parte del lago di Garda. In una bella giornata si può distinguere tutto il paesaggio compreso tra punta San Vigilio e Sirmione, abbracciando la costa veronese e traguardando in lontananza la riviera bresciana. Le lievi alture digradano dolcemente verso le zone lacustri offrendo un panorama ineguagliabile, che nel tardo pomeriggio si accende di mille riflessi dorati. È noto: il lago di Garda e le colline moreniche circostanti sono tra i paesaggi più suggestivi e riconosciuti di tutta la provincia di Verona, e non a caso sono sempre stati luoghi ambiti per la villeggiatura. Non stupisce, quindi, che il committente, un facoltoso impren-

« Protagonista assoluto è il paesaggio: gli spazi prendono forma a partire dai vuoti, e la casa tende a penetrare nella natura circostante. » ditore che viaggia e lavora per tutto il mondo, si sia innamorato proprio di questo luogo e abbia deciso di far costruire qui la sua holiday home. Il progetto è stato affidato a Ardielli Associati, studio di architetti veronesi diretti da Marco Ardielli e Paola Fornasa, che già in altre realizzazioni si è confrontato con il contesto gardesano (cfr. «AV» 83, pp. 16-23). “Il tema del monoaffaccio assieme al “mimetismo” sono stati gli elementi portanti del nostro progetto”, spiega l’architetto Marco Ardielli. “Questi temi li abbiamo sviluppati per risolvere un problema molto comune per chi, come noi, lavora sulla costa gardesana: ovvero come inserire una strut-

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01-03. L’immenso balcone a sbalzo del soggiorno con le vetrate completamente aperte, e veduta dall’interno. 02. Stratificazione dei livelli: quello superiore segnato dal profilo metallico bianco, quello inferiore lapideo e massivo. 04. Pianta a livello delle coperture. In basso, la piscina.

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tura di grande dimensione su di un terreno a falda rispettando non solo le funzioni imposte dal committente ma anche l’ambiente circostante. Siamo riusciti a rendere praticamente invisibile la struttura su tre lati oltre che alla vista da monte, in cui i tetti verdi schermano o riducono di molto la percezione del manufatto”. Uno sguardo alla sezione trasversale può farci comprendere molto dell’intuizione progettuale. Nato da una demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, l’edificio si sviluppa su quattro piani, assecondando il pendio sul quale si erge e disponendo gli ambienti in terrazzamenti lungo le curve di livello. In alto sono

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Le mille e una vista lago

PROGETTO

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villa privata Progetto Ardielli Associati arch. Marco Ardielli arch. Paola Fornasa COLLABORATORe arch. Damiano Capuzzo visualizzazione Francesco Hans Scandinavo Federico Novi Lora direzione lavori arch. Simone Turrina dati dimensionali Sup. parco: 30.000 mq Vetrata continua soggiorno: 120 mq Parapetti in acciaio: 130 ml Bagni: n. 11 Potenza cabina elettrica: 150 kW (compreso parco) Cronologia Progetto: 2010/2011 Realizzazione: 2011/2014

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05. Sequenza dei materiali: pietra a spacco, ferro, vetro. 06-07. Sezioni trasversali. 08. Il fronte posteriore della zona giorno affacciato sulla rigogliosa vegetazione del cavedio. 09. I massicci conci di pietra a spacco del livello principale della villa. 10. Pianta del livello giorno dell’abitazione, con al centro il grande soggiorno tra il balcone a sbalzo e il cavedio contro terra.

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Le mille e una vista lago

PROGETTO

12. Nella veduta dal parco, spicca il volume in acciaio e vetro del livello superiore. 13. Lo sbarco dal livello delle camere in un “giardino segreto” sul fronte posteriore. 14. Il fronte principale della villa.

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collocate le zone living e notte, mentre ai livelli inferiori un’area wellness/ fitness, varie attrezzature oltre a locali di servizio. Un grande cavedio, rivolto verso est, fa da trait d’union tra i vari ambienti della casa; un vero e proprio patio interno dove è possibile ripararsi dalla calura estiva. La sua presenza è essenziale per il funzionamento dell’edificio, spiegano i progettisti: “La villa, infatti, è energicamente assai performante, anche grazie alla grande superficie contro terra e alla ventilazione naturale garantita dal cavedio e dal salone passante che fungono da camino per l’intero sistema”. Peso e compattezza contrapposti a trasparenza e leggerezza, sono carat-

teristiche predominanti dell’aspetto di questa architettura. Gran parte della costruzione è scavata nella collina e si rivela all’esterno attraverso un basamento in grossi conci di pietra locale. L’ultimo livello, caratterizzato da un marcapiano metallico bianco e da pareti completamente vetrate, si libera dalla grevità sottostante e denota con la sua trasparenza tutta la contemporaneità dell’intervento. Ma il punto chiave di tutto il progetto è da ricercare al suo interno. Qui il protagonista assoluto è il paesaggio. Gli spazi prendono forma a partire dai vuoti, e la casa tende a penetrare nella natura circostante. Nel soggiorno due vetrate contrapposte di quindici metri di luce si aprono scomparendo nel

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ardielli associati

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muro. Il volume della stanza si lascia attraversare dalla natura e diventa una sequenza spaziale unica, dal patio interno al paesaggio esterno. Il pavimento scuro del soggiorno, in pietra di Farsena, continua su una terrazza a sbalzo che invita a tuffare lo sguardo letteralmente all’interno del lago. Forse ancor più sorprendente in tal senso è la zona notte all’ultimo piano. L’intimità delle stanze da letto e da

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bagno è completamente messa a nudo di fronte alla vastità dell’acqua, delle colline e delle montagne circostanti, accentuate, se ce ne fosse ancora bisogno, da un gioco di specchi a tratti anche ironico. La villa si fonde con il paesaggio, non lo imita. Lascia le sue bianche pareti ai riflessi della luce, i suoi dettagli minimali e gli eleganti rivestimenti, al lago e al suo tempo.

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15-16. Veduta dall’esterno e dall’interno di una delle camere da letto, completamente vetrata. 17. Il fronte completamente vetrato di un bagno raddoppia il panorama lacustre nel riflesso della superficie a specchio interna.

Ardielli Associati è uno studio di progettazione con base a Verona impegnato nell’ambito dell’architettura urbana. Costituito da Marco Ardielli e Paola Fornasa, ha maturato negli anni la capacità di gestire progetti complessi, in Italia e all’estero. «AV» ha presentato, tra l’altro, la nuova sede Citco a Rivoli Veronese nel numero 96 (pp 20-27). www.ardielliassociati.com

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PROGETTO

Le mille e una vista lago

La casa che non c’è

La testimonianza di Carlo Ferrari (Archingegno), compagno di strada dei progettisti della villa nella comune militanza per l’architettura contemporanea Testo: Carlo Ferrari

È una casa che non si vede, che non si riesce a fotografare, che appare dal nulla. Dopo una lunga passeggiata nel parco, la villa si intravede appena dal basso come un semplice parallelepipedo di vetro appoggiato su un basamento in pietra. L’accesso avviene attraverso una lunga scalinata che, tra gli ulivi, porta alla balza del basamento dove è collocata la zona giorno. I muri sono in pietra e rispondono alla volontà di radicare la casa al suolo; i fianchi sono chiusi da due scale che collegano il livello superiore rendendo di fatto seminterrato tutto il piano. L’unico segno architettonico visibile è una bianca trave di acciaio che comprende senza interruzioni il pavimento superiore del podio e la copertura del padiglione vetrato dove sono collocate le camere. “Ma quanta grande è?” chiedo incuriosito a Marco. “Si siluppa su quattro livelli” risponde. “Ecchecavolo, ma dove sono?”, rispondo. Perché è grande, tanto grande... Ma da fuori, la reale dimensione della villa è di fatto annullata grazie alla scelta programmatica del monoaffaccio. Tema caro a Marco Ardielli e Paola Fornasa e già utilizzato nel progetto dell’Hotel Germano, sempre a Bardolino, con ottimi risultati (anche in considerazione del fatto che il cliente li ha scelti dopo aver soggiornato in quell’albergo). La strategia costruttiva è chiara: rendere invisibile la struttura sui

tre lati lasciando parzialmente aperto solo il prospetto verso il lago. Facile a dirsi, ma difficile a farsi soprattutto in considerazione della sezione, che vede sotto la zona giorno due piani di servizio completamente interrati. La problematica è stata risolta attraverso la realizzazione nella parte a monte di un profondo cavedio, anch’esso pieno di verde, che riesce a portare luce e aria in tutti i piani. Malgrado i pochi affacci, la casa è sorprendentemente permeata dalla luce e “attraversata” dal paesaggio. Impressionante è la “sparizione” degli infissi del soggiorno nelle murature perimetrali, che genera uno spazio aperto verso il lago: di volta in volta “interno” ed “esterno”. Sicuramente ci si sente all’aperto nella zona notte, dove le camere sono completamente vetrate e hanno vista a 180° sul lago. Qui tutto sembra diverso. Il rapporto con la natura è totale; guardando le case “normali” con tante piccole finestre ci si rende conto del cambiamento incredibile che è avvenuto. Marco racconta cosa ha detto il committente: “come faccio adesso nelle mie altre case?” Tutte le possibili motivazioni ostative (privacy, sicurezza, etc.) si annullano di fronte allo spettacolo di un tramonto o di un alba in presa diretta. Questa casa propone una nuova visione dell’architettura, che per paradosso si potrebbe definire nonarchitettura, dove il linguaggio con-

temporaneo ha come fine la completa mimesi con la natura. Il grande basamento è pensato per essere assalito dalla vegetazione, e diventare un muro “agricolo” di contenimento del terreno. “Cinque anni” – dice Marco, “ma se piove come la scorsa estate anche prima”, dico io.

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18-19. La cucina in una veduta parziale dall’alto attraverso il lucernario sul bancone a isola, e dall’interno verso l’affaccio principale. 20-21. Nei bagni, riflessi e trasparenze delle ampie superfici vetrate che introiettano il paesaggio.

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Proprio il sottoscritto, che vive a Desenzano del Garda, cittadina dove hanno dedicato una via al Cemento Armato – non scherzo, è sotto monte Corno e ha una bellissima vista lago – e dove la vicina Valtenesi è stata completamente edificata con case di tipologia “Beni Ambientali” (tetti a doppia falda, portico ad arco ribassato, finestre rigorosamente con gli scuri e tinteggiature di tutte le sfumature possibili del giallo), non può non capire immediatamente la domanda che ci si pone davanti a questo edificio. Può questa architettura-non-architettura essere un esempio positivo per l’edificazione nel fragile paesaggio gardesano? La risposta è decisamente si: rendiamo le nostre case tutt’uno con il paesaggio, e dimostriamo che si può costruire nel pieno rispetto dell’am-

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biente guardando allo stesso tempo alle nuove esigenze dell’abitare e del vivere. È un appello, quello di Marco Ardielli con la sua casa sul lago di Garda: un appello alle istituzioni, agli uffici tecnici dei comuni e alle Commissioni Beni Ambientali nel considerare l’architettura contemporanea come la migliore strada per inserire il nuovo assecondando la topografia del luogo. E poi non è solo mimetismo: la casa mi ha stregato. Una piccola cantina è collocata a lato della casa, l’accesso scavato nella roccia è coperto da un fitto pergolato verde; l’interno è prezioso, rivestito in pietra con il pavimento in onice retroilluminato. Ma non è un particolare, o un materiale, o uno scorcio architettonico che ti colpisce, ma è quel senso di ambivalenza: intimità, protezione, quasi

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come essere in una tana degli spazi ipogei e al contrario la libertà e il trovarsi immersi nella luce e nella natura degli spazi fuori terra. Ecco, ho capito: una casa che asseconda i diversi stati d’animo. Una casa che non c’è: spettacolare.

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PROGETTO

Formidabili quegli anni

Una casa per la villeggiatura nel temperato borgo del buen retiro lacustre a suggello della stagione degli anni Settanta, fervidi di realizzazioni per Calcagni&Cenna

Progetto: Luigi Calcagni, Luciano Cenna Testo: Alberto Vignolo

San Zeno di Montagna

Foto: Michele Mascalzoni

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01. Architettura, paesaggio e natura in un ritratto tardo autunnale che ne esalta i legami coloristici. 02. La veranda comunicante con la zona giorno, belvedere ombroso sul paesaggio lacustre. 03-04. Le due case viste dal basso di scorcio e dall’alto, visibili quasi unicamente per l’elevazione dei camini nelle fronde.

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Costruire in pendenza: sfidare le curve di livello, assecondare le balze del suolo adagiando i volumi o contrapporsi tagliandole, nel ricercare l’ineludibile sguardo verso il basso, verso il lago laggiù. San Zeno di Montagna è una ben “piccola” montagna rispetto alle vette alpine, eppure offre una attrezzatissima palestra per esercitare questa particolare arte del costruire. Prendiamo questa casa: la si scorge appena, scendendo da una straducola che sembra perdersi nella boscaglia, una volta lasciati alle spalle l’arteria portante del tessuto insediativo. Intravvediamo appena la massa grigiastra di un cemento maturo, stagionato e addomesticato tra le fronde. I camini in realtà sono due, non è un fenomeno di strabismo: la casa ha una sua gemella appena scostata, un tempo condividevano lo spazio intermedio come domestico luogo collettivo. Poi sono arrivate le recinzioni, segno dei tempi che cambiano. L’accesso impervio è giustificato dalle caratteristiche naturali del luogo, e dal fatto che si tratta di una casa per le vacanze, stagione nella quale si è più indulgenti in fatto di comfort: ciò vale anche

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per l’auto, niente garage, basta un riparo che è parte integrante del volume fuori terra, da cui è ricavato per sottrazione. I prospetti rivelano in maniera didascalica la tripartizione della composizione, tra il basamento cementizio, la fascia dei serramenti del piano terreno e lo sviluppo del rivestimento in scandole di eternit alla francese che avvolge tutto il piano superiore e la copertura. Nella sezione, il rigore della falda inclinata è declinato in un inconsueto doppio colmo, che si rovescia poi sul fronte a valle retto dal grande camino, perno di avvitamento al suolo della casa. Sembra un trucco del mestiere, l’elusione raffinata di un regolamento che imponga le falde inclinate, eppure è “solo” composizione architettonica: un assertivo modo di proiettarsi in avanti, tensione generata dallo sguardo verso il lago. L’ampio appezzamento verde sul davanti si apre infatti su una vista invidiabile, per il buen retiro durante la bella stagione, ma anche negli spettacolari autunni dorati di San Zeno, terra di castagni, o ne-

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PROGETTO

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Formidabili quegli anni

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gli inverni temprati dalle generose fauci del camino eleganza, arricchita dal valore d’uso del tempo, olattorno a cui gravita la zona giorno al piano terreno. tre che dal proprio carattere. Al livello seminterrato un altro camino riscalda i Non è una macchina per sorprendere, una casa d’alocali per gli svaghi (il tavolo da ping-pong...), col- bitazione: se così fosse, sarebbe artificiosa e menlegati da una ripida scala in legno da rifugio mon- zognera. L’emozione è quella di una giornata dalla tano che risale fino al piano delle camere, claustra- luce dorata inattesa, i raggi del sole basso che proli cellette foderate di legno di pino – arredi fissi e ducono effetti trasognati: il padrone di casa che mobili compresi – con una moquette verde bouclé l’ha abitata per lunghe estati, il ricordo dei giochi da far andare in visibilio gli amanti degli anni ‘70. dei figlioli ora adulti, le piccole inevitabili magaLa vista inquadrata dalgne dell’edificio, mali le finestre delle camere, passeggeri. Padrone di « Nella sezione, il rigore della falda saliti di livello, si fa aninclinata è declinato in un inconsueto casa particolare, visto cora più aperta. che – sveliamo il picdoppio colmo, che si rovescia sul D’estate il “fuoco” delcolo segreto – è lo stesfronte a valle retto dal grande la casa si sposta sul verso progettista, Luciano sante esterno del caCenna: e l’architetto camino, perno di avvitamento mino, dove il volume che disegna una casa al suolo della casa » è eroso da una veranda per sé confonde l’orgod’angolo, complice l’agglio del professionista a getto a sbalzo della copertura. Seduti sulla Mar- quello del genitore presente in ogni momento delgherita (poltroncina in vimini disegnata da Franco la crescita: diversamente dalla consuetudine, visto Albini), l’attenzione è catturata dal raffinato saggio che il progettista è costretto a farsi padre snaturato, di serramentistica, tra scuri a saliscendi, ad ali di e ad abbandonare l’architettonica prole non ancora gabbiano, griglie e carabottini in pitch-pine. svezzata. La crescita: termine assai appropriato in Il resto è quanto traspare dalle immagini: una casa questo caso, a giudicare dalla fusione delle membra intensamente vissuta, che associa al rigore della architettoniche con quelle vegetali degli alberi crecomposizione e della conservazione di spazi, ma- sciuti a fianco – quanta fatica le foglie, d’autunno! teriali e finiture originali, il calore di una spartana – o del nocciolo che, nella veduta dal basso, sembra

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05-06. Piante dei piani terreno e primo. 07-08. Accostamenti materici: le scandole di eternit francese, cemento a vista, legno di pitch-pine. 09. Il fronte laterale mette in evidenza lo scarto della doppia falda della copertura. 10. Sul fronte posteriore dell’accesso, una panca realizzata da Eros Bonamini. 11. Sezione trasversale comprendente il portico-rimessa per l’auto e la veranda. 10

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Formidabili quegli anni

PROGETTO

12-15. Vedute degli interni: la cucina, lo sbarco della scala a livello delle camere, il soggiorno con la scala e controcampo con il camino sulla sinistra. 16. Dettaglio esecutivo di un nodo relativo ai serramenti.

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casa a cerro veronese Di Luigi Calcagni (1929) e Luciano Cenna (1932), storico sodalizio professionale veronese, «AV» ha pubblicato tra l’altro un profilo in occasione dei cinquant’anni di attività (n. 79, pp. 77-79) e nel numero 81 la casa M. a Cerro Veronese (pp. 54-61), ora riproposta online. rileggi l’articolo su: www.architettiveronaweb.it/?p=2468

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17. Veduta di scorcio del fronte laterale, con la finestra della cucina protetta dal carabottino in legno. 18. Le ante ad ala di gabbiano delle finestre del soggiorno richiuse, mentre la porta a vetri della cucina riflette una sagoma riconoscibile.

rappresentare simbolicamente le fondamenta-radici. Qualche anno fa, accompagnandoci a visitare la casa M. al Cerro poi pubblicata sul numero 81 di «AV», Luciano Cenna accennava a quest’altra realizzazione più o meno coeva, sempre caratterizzata dal contesto in pendenza. Finalmente raccogliamo il suggerimento, che diventa l’occasione di approfondire parte del cospicuo corpus di opere di Calcagni&Cenna realizzate nella fortunata stagione degli anni ‘60-’70 a San Zeno di Montagna (cfr. l’Itinerario, pp. 86-93). Anni fervidi di esercizi, non di stile o di retorica del disegno, ma costruttivi. Ricorda Cenna come fossero case costruite con poco, economiche, non c’erano ancora preoccupazioni di isolamento né le attuali paranoie normative. Formidabili davvero, quegli anni.

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PROGETTO

Tra lago e collina

Un armonioso intervento si incunea tra il paesaggio lacustre e quello collinare nel tratto costiero tra il centro di Torri del Benaco e l’abitato di Pai

Progetto: arch. Christian Piccoli - h21 studio Testo: Nicola Brunelli

Foto: Cristina Lanaro

Torri del Benaco

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In una splendida quanto inaspettata giornata di sole, fredda e nitida come solo quelle invernali sanno essere, mi appresto a raggiungere la località gardesana di Torri del Benaco, dove ho appuntamento con l’architetto Christian Piccoli, progettista dell’intervento qui presentato. La strada sgombra dalle auto, complici la bassa stagione e il freddo di fine dicembre, permette una andatura solitaria e spensierata che incentiva l’osservazione del paesaggio collinare che costeggia il lago, sempre più ricoperto di interventi edilizi che ne hanno in molti casi compromesso irrimediabilmente l’immagine originaria. Superato l’abitato di Torri e ormai prossimo a destinazione, noto con piacere che da queste parti si è costruito un po’ meno rispetto al basso lago, e mi domando se l’attuale e le prossime amministrazioni sapranno mantenere tale atteggiamento o cederanno, purtroppo, alle tentazioni delle proficue speculazioni immobiliari. Giunto finalmente a destinazione, scorgo l’intervento in un terreno appena nascosto rispetto alla strada, soddisfacendo così la mia curiosità. Il progetto, frutto dell’ennesima applicazione del Piano casa, ha interessato il recupero e ampliamento di un portico-fienile, la cui struttura originaria è ancora chiaramente riconoscibile, grazie a un trattamento prospettico rispettoso e coerente. Grandi vetra-

se energetica “A”). Il volume architettonico in addizione si arrampica letteralmente sulle balze del pendio, assecondandone l’accentuata pendenza. Ne risultano alcuni terrazzamenti posti a vari livelli, collegati tra loro da percorsi scalinati in pietra. I tre volumi “rampanti” ed ancorati alla collina di cui si compone l’immagine costruita del progetto sono chiaramente distinguibili fin dal primo approccio, dando luogo a un’immagine articolata che non contrasta e non entra assolutamente in competizione con il carattere sedimentato e austero del

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01. Veduta dalla corte di accesso all’edificio preesistente e ai suoi annessi. 02. Una inquadratura sul lago dal terrazzo di uno degli alloggi. 03. I fronti a lago e quello posteriore con in evidenza il nuovo volume a torre. 04. Da una balza del terreno a monte, il volume della torre con la sommità finestrata.

« L’uso dei materiali rispecchia una moderata ma progressiva dissociazione, dove convivono tradizione e contemporaneità » te e tamponamenti in legno completano e risaltano l’originaria struttura muraria in pietra, riordinata e consolidata: tangibile e banale dimostrazione di quanto sia elegante un prospetto generato semplicemente dall’armonioso alternarsi di spazi pieni e spazi vuoti. Il recupero in senso residenziale del fabbricato è reso possibile da una razionale distribuzione degli alloggi, oltre che dall’utilizzo di accorgimenti tecnici e costruttivi che garantiscono il buon livello del benessere interno (tali da raggiungere la clas-

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PROGETTO

Tra lago e collina

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05. Studi per i prospetti laterali. 06. Pianta a livello dell’accesso superiore, con l’area di sosta e la piscina. 07. Veduta dell’inserimento nel contesto in una ripresa da un molo a lago. 07

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preesistente fabbricato contermine (analogamente dalle dimensioni considerevoli). Salendo, infatti, da quello che era il fienile verso il nuovo volume aggiunto, il disegno regolare degli alzati si trasforma in una sagoma più complessa e variegata. Anche l’uso dei materiali rispecchia questa moderata ma progressiva dissociazione, dove convivono tradizione e contemporaneità: l’uso del legno e della pietra tradizionale lascia spazio ai tamponamenti in laterizio con isolante a cappotto esterno intonacato; la pietra viene riproposta, ma lavorata con finiture e tagli più rispondenti al gusto (moda?) contemporaneo. Le bucature prendono la forma di eleganti finestre a nastro, facendo prevalere i vuoti sui pieni. E tutto ciò avviene con naturalezza ed equilibrio formale. Anche i colori che identificano le varie parti del fabbricato risentono inevitabilmente del cambiamento: dai colori naturali della pietra e del legno si passa alle varie sfumature di un più moderno colore grigio.

Risulta piuttosto evidente che in questo progetto molte scelte sono dettate dal contesto paesaggistico-ambientale, di cui l’intervento diviene parte integrante; la “scalata” del pendio collinare culmina con una piccola torre, riconoscibile più dalle fattezze che dall’imponenza, la cui copertura in legno a quattro falde si stacca dalle murature perimetrali che idealmente la sorreggono, lasciando spazio a quattro colonne in acciaio all’interno di un nastro continuo di finestre vetrate, con vista a 360° sul paesaggio e che, all’imbrunire, diviene una sorta di lanterna luminosa. Il progettista, che abbiamo conosciuto per un altro apprezzabile edificio (cfr. «AV» 97, pp. 18-23), in questo caso ha saputo limitare gli impulsi di una personale ricerca architettonica (nelle forme) e tecnica (nei materiali), che mira indiscutibilmente alla proposta di soluzioni innovative e mai uguali a se stesse. In questa realizzazione l’approccio risulta più convenzionale, assecondando il caratte08. Lo “sfioro” visivo della piscina nella parte posteriore dell’edificio. 09. In controluce, la piscina, il corpo della torre e sullo sfondo il lago.

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committente Ediltre s.n.c. Progetto e direzione lavori arch. Christian Piccoli COLLABORATORe arch. Pietro Guglielmoni consulenti ing. Massimo Comencini (strutture) Studio Delta (impianti) impresa costruttrice M.&M. Costruzioni s.r.l., Torri del Benaco dati dimensionali Volume totale dopo ampliamento: 1.006 mc Superficie lotto: 800 mq Sup. utile: 1.000 mq circa (compresi interrati etc.) N. unità abitative: 6 Cronologia Progetto: 2012/2013 Realizzazione: 2013/2014


PROGETTO

Tra lago e collina

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10. L’immagine notturna esalta riflessi e traparenze dell’acqua della piscina e delle parti vetrate. 11. Sezioni con l’articolata sovrapposizione di piani e livelli. 12-13. Le parti esterne (giardini e terrazzi) di pertinenza di alcuni alloggi. 14. Veduta verso la corte preesistente.

CHRISTIAN PICCOLI

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re del contesto paesaggistico e nel rispetto anche della tradizione costruttiva. Pur non rinunciando a qualche elaborata incursione nel contemporaneo, soprattutto nella parte nuova dell’edificio – quella rivolta ad est – e nella piscina a sfioro. Gli spazi interni degli alloggi rivelano necessariamente le ragioni – immobiliari – sottese all’intervento, trattandosi di fatto di un residence per villeggianti articolato in sei unità immobiliari di piccole dimensioni, essenziali nelle superfici ma funzionali e ben distribuite. La cura del dettaglio costruttivo e dei materiali è coerente con la filosofia dell’insieme, fornendo una immagine gradevole e soprattutto confortevole. Notevole è la cura dedicata al rapporto tra interno ed esterno: da ogni unità immobiliare è possibile cogliere ricercate inquadrature sul lago, e gli spazi esterni privati risultano quasi tutti ben orientati e soleggiati. La piscina, collocata nella parte più alta del lotto, rappresenta infine un piccolo oggetto contemporaneo, arretrata rispetto all’edificio, ma dalla quale si

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gode di una suggestiva vista sulle sottostanti acque del lago e, più in lontananza, delle entusiasmanti panoramiche sui monti della costa bresciana. Un intervento quindi che, posto in un luogo difficile e fortemente caratterizzato, non mira a celebrare se stesso, ma piuttosto a rafforzare il dialogo formale e materiale tra il paesaggio e l’architettura che ne “invade” – ma con discrezione – lo spazio. Ottenendo, almeno in questo caso, un silenzioso ma meritato consenso.

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Christian Piccoli (Verona,1973) si laurea nel 2002 presso lo IUAV. Nel 2004 fonda a Verona h21studio, occupandosi prevalentemente di architettura privata e arredo d’interni. «AV» ha già presentato sul numero 97 un suo intervento per una villa a Pescantina realizzato “sotto il segno del moderno” (pp. 18-23). www.h21studio.it


PROGETTO

Ritorno al paesaggio

Una passeggiata alla scoperta delle ricchezze del territorio in un progetto di interconnessione sovracomunale che propone una “sezione” dall’entroterra al lago di Garda

Progetto: LAND Milano - arch. Andreas Kipar, arch. Matteo Pedaso

Affi, Bardolino, Cavaion Veronese

Testo: Laura Pigozzi

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La Valsorda è una valle torrentizia di notevole interesse geologico, scavata all’interno dei depositi morenici del ghiacciaio del Garda, che fa parte della glaciazione della fase di Sedena circa 80-70.000 anni fa. Essa vede la propria origine dal progno Valsorda, che nasce a Incaffi sul Monte Moscal e si dirige ad ovest, dove sfocia a lago nella zona centrale di Bardolino e lascia spazio a una spiaggia rocciosa e ghiaiosa attrezzata a piccolo lido balneabile. Andreas Kipar, assieme al Gruppo LAND di Milano, ha sviluppato sulla valle uno studio volto alla promozione del territorio, che propone la valorizzazione della fruibilità lenta della zona, lo sviluppo delle connes-

« Il “taglio” dall’acqua all’entroterra segnala l’opportunità di guardare oltre la consolidata vetrina turistica lungolago » sioni tra i comuni di Bardolino, Cavaion Veronese e Affi e la progressiva messa in sicurezza idrogeologica della zona. La riflessione progettuale ha inizio con lo studio del sistema turistico del Garda, dei canali infrastrutturali di accesso che vedono uno dei due ingressi autostradali proprio ad Affi (A22 Brennero), della fondamentale presenza di attività legate al tempo libero che genera un indotto di visitatori pari a 11 milioni per l’80% stranieri (nel 2011). Successivamente, valutata l’attuale offerta attrattiva, che coinvolge principalmente la realtà costiera, si interroga sull’opportunità di prendere in considerazione altri aspetti di questo

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contesto, quali potenziali risorse in grado di promuovere differenti modalità di utilizzo e di fruizione. Attraverso una diversa lettura del sistema lacustre si mettono in evidenza gli elementi del territorio che si sviluppano perpendicolarmente alla linea di costa quali torrenti, alvei, conoidi che fanno parte della giacitura morfologica della fascia prealpina. Si valutano, inoltre, ad una più ampia scala, le presenze ambientali che coronano la parte nord-est del Garda come le riserve naturali (Lastoni Selva Pezzi e Gardesana Orientale), il parco regionale della Lessinia con il Parco delle Cascate e fluviali (Sarca e Mincio), quali importanti giacimenti di biodiversità. Seguendo la traccia naturalistica del progno, si mette, quindi, in atto una scansione trasversale che prende in considerazione i rilievi morenici, quali preziosi belvedere spontanei, la consistenza faunistica e vegetazionale del loro “microcosmo” e i nuclei storici che si sviluppano in prossimità del lago. Questi elementi del territorio divengono, contemporaneamente, capisaldi nella riflessione progettuale e opportunità di approfondimento operativo in grado di trasmettere, con la loro presenza, la peculiarità e la ricchezza della zona. orditure antropiche naturalistiche

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La Valsorda offre la presenza di un calanco e di piramidi di terra e di un’interessante vegetazione umida punteggiata da piante di pioppo; inoltre, un intervento di contenimento dei terreni lungo il torrente, eseguito nell’ottocento, ha dato luogo a caratteristiche cascatelle godibili dal sen-

tiero ciclo-pedonale esistente. Il monte Moscal, a ridosso della Valle, offre l’opportunità di punti panoramici e zone di sosta soprelevate che guardano il lago. I comuni coinvolti vedono, infine, la testimonianza di ville dei secoli XVI (Villa Fracastoro a Incaffi e Villa Poggi ad Affi), XVIII (Villa Da Persico ad Affi) e XIX (Villa Guerrieri

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01. ll “taglio” dall’acqua all’entroterra: una sezione attraverso il territorio. 02. “Un Manifesto per la Valsorda e il Lago di Garda” esposto nella mostra itinerante LAND 25 Omaggio al Paesaggio Italiano, già ospitata allo Spazio FMG di Milano, oggi visitabile presso il Vega Park di Porto Marghera e in prossima programmazione a Roma.


PROGETTO

Ritorno al paesaggio

Rizzardi a Bardolino) caratterizzate da diversi stili architettonici, che possono costituire punti di approdo a percorsi di visita allargati. Tutte queste preziose presenze proiettano immagini sensibili molto efficaci nel trasmettere l’identità dei luoghi e costituire motivo di visita nell’area. La messa in relazione di queste diverse “orditure del paesaggio costiero”, definisce un interessante sistema attrattivo “storico-culturalenaturalistico” in cui intervenire con trame e tessiture leggere. 03

tessiture di percorsi, soste, informazioni

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A partire da questa volontà di intervento, il progetto delinea un percorso di circa 3 km (un’ora di passeggiata) alla scoperta della “sezione tipica” della parte settentrionale del Garda e all’interno di un dislivello totale di 220 metri. L’intersezione di questa successione di ambiti permette di scoprire i seguenti contesti caratteri-

03. I paesaggi attraversati: lungolago, centro storico, contesto agricolo, bosco. 04. I link con i siti di interesse storico. 05. Con la messa in evidenza degli elementi di pregio dal punto di vista naturalistico e paesaggistico e dei totem illustrativi i fruitori della valle potranno osservare e comprendere le sue ricchezze.

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stici: l’urbanizzazione costiera lungolago, l’ambito agricolo dei vitigni e delle aree boschive dei calanchi. Il “taglio del territorio” evidenzia la diversità delle fasce che si sviluppano con i cambi di quota e permette di apprezzarne la sinergia e l’integrazione attraverso il cammino, la visita e l’esperienza che rappresentano i modi per usufruire dell’unicità del paesaggio. Il percorso individuato riprende e “riusa” quanto già esistente, proponendo da un lato il ripristino dei tratti antichi non più utilizzati, dall’altro la messa in sicurezza dei versanti e degli argini del torrente al fine di rendere ancora più fruibile il sistema di percorrenza. Gli ingressi a questo sistema trasversale previsti nelle località di Bardolino (a valle), nella collina Ceriel (a sud), nel Monte Incaffi (a est) e nella località Casetta (a nord), verranno contrassegnati da totem informativi dotati di QR-code, al fine di aumentarne la riconoscibilità. Nuove aree di sosta, lungo il tracciato, potranno evidenziare i punti di pregio e illustrare, attraverso una cartellonistica studiata ad hoc, la ricchezza della composizione della biodiversità e della topografia del luogo. Il tema della segnaletica diventa, perciò, un’opportunità per trasferire dati e informazioni ai visitatori e per illustrare la ricchezza di una valle poco conosciuta oltre i propri confini. Inoltre, attrezzature per lo sport e il tempo libero potranno essere inserite a corredo del sentiero di visita, per aumentare le opportunità di fruizione e la capacità attrattiva allo scopo di accogliere un turismo naturalistico locale, nazionale e internazionale. Infine, attraverso una potatura della vegetazione infestante e della necromassa del bosco esistente, si potrà re-

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RIQUALIFICAZIONE PAESISTICO AMBIENTALE DELLA VAL SORDA. Studio degli scenari di sviluppo dell’assetto paesaggistico e forestale committente Comuni di Bardolino, Affi, Cavaion Veronese Progetto LAND Milano s.r.l. arch. Andreas Kipar, arch. Matteo Pedaso Cronologia Progetto: 2012

06. Masterplan paesaggistico descrittivo dell’intervento. 07. Sezione trasversale tipica del percorso attrezzato lungo il progno. 06

cuperare ed utilizzare come fonte di energia la biomassa prodotta, avviando così una buona pratica, già diffusa all’estero, che potrà essere ulteriormente proposta nella manutenzione dei boschi limitrofi, nell’intenzione di creare un vero e proprio circuito di recupero energetico. Interventi ciclici e controlli annuali potranno, perciò, contribuire alla salvaguardia del patrimonio arboreo e arbustivo. Il “taglio dall’acqua all’entroterra” illustrato dal progetto del Gruppo LAND, segnala l’opportunità di guardare oltre la consolidata vetrina turistica lungo-lago per inventare di-

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gressioni nella natura o riscoprire la ricchezza del contesto storico e agricolo che il paesaggio allargato offre. Il collegamento di diverse porzioni di territorio attraverso una mobilità lenta e sostenibile, può diventare il manifesto di un sistema alternativo di fruizione che si diversifica nelle stagioni ed è in grado di offrire occasione di visita a qualsiasi categoria di utenza.

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Garda Grand Tour

Dalla scoperta dello “stupendo effetto della natura” alle meraviglie dell’industria turistica gardesana

Testo: Laura Pigozzi

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01-03. Il Castello di Malcesine: da approdo, per Goethe, a sfondo balneare. 02-03. Segnaletica vista lago, e un chiosco per souvenir. 04. Una rappresentazione cartografica del lago in chiave turistica di inizio Novecento. 05. Copertina di una rivista benacense della fine degli anni Venti. 02

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«Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro, Una brezza lieve dal cielo azzurro spira, Il mirto è immobile, alto è l’alloro! Lo conosci tu? Laggiù! Laggiù! O amato mio, con te vorrei andare!»

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“La riva veronese del lago di Garda si direbbe un paesaggio romantico precostituito”: questo il breve commento di Guido Piovene nel Viaggio in Italia (1957) espressivo della “capacità scenica” ed evocativa del lago di Garda, forza ispiratrice di poeti e letterati dell’otto-novecento. Lo sguardo del forestiero ha più volte favorito la riscoperta della ricchezza del paesaggio del luogo. L’esempio più noto è rappresentato dal soggiorno di Goethe a Malcesine (1786) descritto nel suo Italienische Reise. Egli ritrasse i resti del castello che domina il borgo, accendendo la curiosità da parte dei residenti e, di conseguenza,

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favorendo la riscoperta del contesto quotidiano e del patrimonio locale. Tale atteggiamento da spettatore-visitatore, desideroso di scoprire la diversità dei luoghi senza esserne direttamente protagonista, ha stimolato negli abitanti-attori nuovi atteggiamenti di consapevolezza del proprio ambiente, e di fierezza del proprio teatro d’azione. Questi abitanti, nei secoli, hanno imparato a mantenere e a integrare nella propria evoluzione economica le ricchezze che la storia e la posizione geografica hanno donato loro. Così come la letteratura, anche l’arte e la poesia, attraverso le parole e le

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(J.W. Goethe, Wilhelm Meister, 1795) immagini, hanno contribuito a immortalare immaginari di pregio e a descrivere atmosfere uniche, a loro volta in grado di attrarre sul Garda visitatori e turisti alla ricerca della cartolina illustrata e dell’emozione irripetibile. La Natura del lago, fonte di ispirazione del sogno nostalgico della Sehnsucht di Goethe, è stata rappresentata come “giardino italiano” da

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Gustav Klimt (1913), descritta quale “gioiello” da David Herbert Lawrence (1912-13), “paradiso” da Ezra Pound (1920), e infine quale “meraviglioso ricordo” da André Gide (1948). Tuttavia è l’unicità dei paesaggi ad aver favorito il transito e la sosta dei viaggiatori lungo le sue rive: gli iconemi di lago, che come “quadri particolari di riferimento sui quali co-


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A partire dal paesaggio

06-08. La Strada Gardesana: manifesto di un servizio di trasporto d’epoca, cicloturismo sportivo e un mezzo ibrido per un orgoglioso turista germanico.

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struiamo la nostra immagine” (E. Turri, Semiologia del Paesaggio italiano, 1979) hanno custodito gli elementi salienti dello spazio organizzato. Tali elementi, talvolta ripetitivi altre volte unici, ma di sicura memoria, articolano repertori ambientali, naturali e antropici. Alcuni iconemi ambientali ritraggono crinali montuosi a picco sull’acqua, radure inaspettate che ben si prestano ad assumere il ruolo di osservatori e belvedere sul lago. Altri, naturali, fotografano la presenza di biotopi esemplari (l’Hortus Italiae del Parco Naturale Locale del Monte Baldo sul versante trentino, meta di studiosi naturalisti e farmacisti fin dal 1400, la Riserva Naturale Integrale Gardesana Orientale e la Lastoni-Selva Pezzi istituite nel 1971), di alberi secolari che punteggiano le passeggiate lungolago, di associazioni floristiche e arbustive che arricchiscono i parchi e i giardini delle ville. Infine, alcune delle visioni che compongono iconemi antropici rilevano territori coltivati a vite (a sud) e a ulivo (a nord di Garda), sistemazioni arboree di

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alberi ornamentali lungo le risalite delle alture, presenze di rocche e castelli che strutturano i centri abitati, immaginari di ville signorili, dedicate all’otium, a bordo lago. Oltre a queste inquadrature, testimonianza dell’evoluzione storica e produttiva nei secoli, il paesaggio del Garda veronese, offre una serie di elementi tipologici caratterizzanti, che descrivono lo sviluppo turistico avvenuto negli ultimi novant’anni. La strada gardesana orientale, a due corsie, è stata costruita in epoca fascista lungo la sponda lacustre, fa-

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vorendone il consolidamento e, contemporaneamente, provvedendo all’inserimento di pennelli e di banchine percorribili, all’apertura di scorci a quota lago e alla costruzione di piccole spiagge artificiali quali merlettature intessute a pelo d’acqua. Ciò ha consentito l’arrivo dei turisti lungo la costa e la conseguente trasformazione dei centri urbani in località accoglienti per visitatori e villeggianti. Sono sorti viali pedonali e passeggiate lungolago, hotel, case vacanze e campeggi che potessero offrire ospitalità ai nuovi avventori. In anni più recenti sono nati i parchi tematici (Parchi del Garda), in grado di richiamare i “consumattori” nell’accezione di Aldo Bonomi (Il distretto del piacere, 1999), destinatari nonché ispiratori di tendenze di consumo degli anni 2000, e attrazioni turistiche quali golf club (Marciaga, Peschiera) e parchi termali (Villa dei Cedri divenuto Parco termale dopo il 1989, Gardacqua realizzato nel 2005-2006) che contribuissero ad offrire nuove opportunità di turismo. Analogamente si pongono i sistemi di risalita meccanica, la Funivia Malcesine-Monte Baldo (aperta nel 1962 e

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09. La costruzione del paesaggio agrario nell’immediato entroterra gardesano, terre dei vini Lugana e Bardolino. 10-11. Il lago dalla cabina della Funivia di Malcesine e dalla Cabinovia di Prada-Costabella. 12. Basso Garda, l’urbanizzazione intensiva di un villaggio-camping attorno al “lago artificiale” della piscina.

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totalmente ricostruita nel 2002) e la Cabinovia Prada-Costabella (inaugurata nel 1966 e non più attiva dal 2013), che permettono di osservare dall’alto, a 1800 m, il suggestivo panorama lacustre e di effettuare escursioni naturalistiche tra i monti, sacri protagonisti delle principali vedute paesaggistiche.

Ville, case-vacanza, seconde case Il tema della residenza (continuativa ed estiva) nel distretto del Lago si confronta con il limite e la ricchezza del paesaggio: la conformazione dei Lessini, che digradano repentinamente a valle, lascia poco spazio agli sviluppi urbani e definisce una sorta

di città lineare a bordo lago. Gli edifici che si attestano in questa striscia, e che via via “risalgono” le pendici dei monti, ricercano una relazione diretta con gli elementi naturali attraverso le visuali e, nel caso degli edifici storici, nei termini di accessibilità e di proiezione verso l’acqua. Fin dall’epoca della Serenissima, la sponda orientale del Garda ospita

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ville padronali, arricchite da estesi giardini all’inglese e all’italiana, che si integrano perfettamente nell’ambiente locale. Ne rappresentano esempio le Ville Carlotti Canossa e Albertini a Garda, Villa Guarienti a Punta San Vigilio, Villa Buri-Bernini a Lazise. Dal ‘600 all’800 le ville divengono più simili a palazzi urbani, andando a favorire il consolidamento e l’espansione del contesto costruito. Nel ‘900 sorgono ville-vacanza quali status symbol per ricche famiglie veronesi e luoghi di rifugio e “sogno” per i forestieri, sempre più presenti nelle stagioni primaverili ed estive. Si stima che le case di proprietà tedesca sul lago siano circa 100.000 e nel 2014 il mercato immobiliare nella sponda orientale ha visto un aumento della domanda di acquisto da parte di acquirenti tedeschi e austriaci. Per i nord europei (prevalentemente tedeschi, olandesi, svedesi e danesi) il lago di Garda rappresenta, di fatto, “la prima spiaggia a sud” dove è possibile improvvisare bagni di sole e di lago anche nei giorni freschi di inizio primavera.


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A partire dal paesaggio

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Campeggi, hotel, B&B I primi camping del Lago sorgono negli anni cinquanta (il primato della costa veronese è di Lazise), quali strutture di accoglienza economiche, destinate inizialmente ad un pubblico straniero avvezzo a questa forma di ricettività a contatto con la natura. In sessant’anni la morfologia dei campeggi ha subito notevoli evoluzioni trasformandosi da spianate di terra con qualche struttura di servizio, in vere e proprie lottizzazioni infrastrutturate, complete di strade, piazze, piscine, bungalow, bar, ristoranti, supermercati. Questo sulla scia

di un’evoluzione normativa che permette, nei villaggi turistici, la realizzazione di allestimenti fissi nel limite del settanta per cento della ricettività totale. La maggior parte dei campeggi è situata tra Sirmione e Garda. Gli hotel distribuiti lungo la costa veronese si differenziano per offerte e attrattività: con connotazione termale e di benessere (SpA & Wellness) soprattutto a Sirmione, Lazise e Garda; congressuale, anche di grandi dimensioni, da Bardolino a Desenzano e legata allo sport in particolare in prossimità delle pendici dei monti Lessini (sporting hotel) e nella parte sud est (golf hotel). Gli hotel a 4 e 5 stelle ve-

dono un rinnovamento continuo, al fine di assicurare il comfort più adeguato e alla moda del momento. Infine, bed & breakfast e alberghi diffusi forniscono alloggio in camere dislocate in più stabili esistenti, definendo un sistema di accoglienza corpuscolare che può essere intercettato attraverso siti internet, blog e uffici di promozione turistica piuttosto che dal riconoscimento della tipologia edilizia.

I Parchi del Garda Gardaland e Gardaland Sea Life Aquarium, Canevaworld (Movieland Park e Caneva Aquapark), Parco Natura Viva, Parco Giardino Sigurtà, Jungle Adventure Park e South Garda Karting. Il Lago di Garda, è la zona d’Italia a

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più alta concentrazione di parchi divertimento. Questo distretto tematico si è sviluppato tra gli anni ’80 e gli anni 2000 ed ha visto il suo inizio con Gardaland inaugurato a Peschiera del Garda nel 1975, per primo in Italia e organizzato per aree tematiche secondo il modello Disneyland. Trattando il tema “del sogno, dell’irrealtà e della fuga dall’immaginario consueto”, i parchi tematici necessitano di un continuo processo di rinnovamento d’immagine e di capacità attrattiva: l’evoluzione del parco ha di fatto visto, dal 1975 al 2010, l’aumento della propria superficie da 9 a 20 ettari e la nascita del Gardaland Hotel quale struttura di accoglienza dedicata. Il Gardaland Hotel, albergo a tema, anche nei criteri compositivi e nel trattamento delle facciate, fa parte dell’insieme di strategie commerciali finalizzate a prolungare la permanenza dei visitatori, ed è quest’anno in fase di ampliamento. In un’ottica di diversificazione dell’offerta tematica, nel 1982 è stato inaugurato Canevaworld primo “Parco acquatico e sportivo d’Europa” (Aquafan nella Riviera Romagnola è del 1987), con un’estensione di oltre 100.000 mq, che prende ispirazione dal “Disney Typhoon Lagoon” presente in Florida. Un’alternativa all’attrazione artificiale è rappresentata dalle presenze del Parco Giardino Sigurtà, a Valeggio sul Mincio, “brolo cinto de muro” aperto al pubblico nel 1978 e parco più bello d’Italia 2013 nella categoria “parchi privati”; il Parco Natura Viva, a Bussolengo, parco faunistico inaugurato nel 1969 e, infine, il Jungle Adventure Park di San Zeno di Montagna, parco attivo dove svolgere attività fisica.

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13. Il Golf Club Paradiso del Garda, tra Peschiera e Castelnuovo. 14-15. Lazise: il lungolago e il porticciolo di Pacengo. 16-17. Bardolino: il Parc Hotel Germano e veduta del lungolago. 18. Derive a vela sul Garda: un Flying Dutchman negli anni Sessanta.

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19-20. Il Gardaland Hotel tra ferrovia, vigneti e montagne, e cantiere per il suo ampliamento. 21-22. Contrasti: il paesaggio artificiale del parco acquatico Canevaworld e il paesaggio naturale della conca gardesana.

Sport & tempo libero Un’importante potenzialità attrattiva, sia stagionale che “mordi e fuggi”, è rappresentata dal turismo sportivo che, in un contesto naturale così differenziato, può esprimersi in maniere differenti e accogliere variegate categorie di fruitori nelle diverse stagioni dell’anno: vela, windsurf, kytesurf, trekking, cicloturismo, sci, parapendio... L’alto Garda, grazie alla presenza costante di forti brezze, costituisce una palestra ideale per appassionati di windsurf e di vela, nonché un prestigioso campo di gara per competizioni internazionali quali la Cento Miglia velica, una delle manifestazioni veliche più famose d’Europa, ideata nel 1951. Negli ultimi anni, tra Malcesine e Campione, si è diffusa la pratica del kite-surf che ha superato, in numero di adepti e praticanti, il windsurf. Tale fenomeno ha favorito l’apertura di circa una ventina di scuole e la presenza, in ogni fine settimana, di almeno 500 kitesurfer. I massicci del Baldo e del Tremalzo definiscono, invece, un luogo ideale in cui praticare, in primavera e in estate, il parapendio e il trekking, data la presenza della funivia di Malcesine che ne garantisce la raggiungibilità in quindici minuti. È, inoltre, possibile muoversi in mountain-bike

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nei 200 chilometri di sentieri percorribili che si snodano a diverse altezze e, nei mesi invernali, praticare lo sci negli 11 chilometri di piste da sci, di varie difficoltà, accessibili attraverso una seggiovia e sei sciovie. Infine, l’introduzione di alcuni campi da golf intorno al lago, ha definito una sorta di circuito che permette di svolgere una settimana di gioco e perciò di soggiorno in questo contesto, con capacità attrattiva anche di un pubblico internazionale.

Enogastronomia L’enogastronomia costituisce un’ulteriore capitolo di sviluppo turistico e di valorizzazione delle del territorio, nel quale il paesaggio si configura come un eccezionale parco divertimenti che si snoda tra le vallate, le colline e il lago. Le principali produzioni tipiche, rappresentate dall’ulivo (nella parte centro-settentrionale) e dalla vite (nelle colline moreniche meridionali), sono in grado di generare economia e in-

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dotto nel contesto locale favorendo l’aumento, negli ultimi anni, del valore dei terreni agricoli coperti da coltivazioni pregiate e situati in zone di denominazione tipica. Per quanto riguarda la produzione d’olio, la coltivazione della cultivar autoctona Casaliva (le altre storiche cultivar sono il Leccino, il Rossanel, la Raza, il Moraiolo, il Pendolino e il Frantoio), grazie al microclima mediterraneo che caratterizza quest’ambiente, rappresenta la coltura di olivi posizionata alla latitudine più a nord al mondo. Ogni anno, nel mese di giugno, si svolge a San Felice del Benaco la manifestazione interregionale Olea, che da oltre dieci anni promuove la conoscenza dell’Olio Garda DOP e che richiama migliaia di visitatori. La degustazione dei vini del Garda, invece, rappresenta un’occasione di visita alle più importanti ville storiche, in cui spesso si riscontra la presenza di cantine e di estese proprietà di vigneti. Un esempio significativo è testimoniato dalla Villa Belvedere a Calmasino, sede del Gruppo Italiano Vini, la cui attività si sviluppa lungo l’intera filiera della produzione vinicola, dalla campagna alla commercializzazione.

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E il viaggio continua? Il palinsesto finora descritto mostra un ampio e articolato terreno di intervento per architetti, urbanisti e paesaggisti. Gli architetti, negli anni, sono intervenuti nei meccanismi della trasformazione e dello sviluppo turistico dell’ambito lacustre, interpretando il susseguirsi delle vicende storiche e delle esigenze del mercato turistico. Anche in epoca contemporanea i professionisti sono coinvolti nella manutenzione e implementazione del patrimonio edilizio esistente, nella mitigazione di quanto “troppo turistico” è stato realizzato e nel mettere in luce, attraverso le scelte progettuali, quei motivi che hanno reso il Garda un luogo unico e prezioso. È, di fatto, riconoscibile la tendenza al miglioramento della qualità percepita al fine di ottimizzare l’esperienza del visitatore e di valorizzare, attraverso il progetto, il racconto del territorio e dei manufatti che esso custodisce. Nella consapevolezza che ogni traccia del tempo ha aggiunto un nuovo strato evolutivo del territorio, la lettura della complessità della costa lacustre costituisce, perciò, un punto di partenza per ogni operazione di innesto

Eugenio Turri “Gardaland e lo spazio perduto” in «AV» 58, 2002, pp. 28-29 numero a cura di Anna Braioni rileggi l’articolo su: www.architettiveronaweb.it/?p=2486

e conservazione. In quest’ottica anche i segni della tematizzazione turistica “da divertimentificio”, che Eugenio Turri suggeriva avessero fatto dimenticare la presenza di un contesto paesaggistico già di per sé attrattivo (cfr. box), costituiscono occasione di scoperta del lago e delle sue meraviglie. Grazie ai sistemi di sviluppo turistico integrato, i visitatori dei parchi a tema possono prolungare il loro soggiorno alla scoperta della bellezza di un territorio che offre occasione di visita in ogni stagione e a tutte le età e che, soprattutto, manifesta una presenza poderosa e una memoria materiale.

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Referenze fotografiche Laura Pigozzi: 01, 02, 03, 08, 20 Immagini da U. Sauro, C. Simoni, E. Turri, G. M. Varanini (a cura di), Il lago di Garda, Il Sommolago/Cierre Edizioni/Grafo (2001): 05, 06 Michele Mascalzoni: 07, 09, 10, 11, 12, 14, 15, 17, 19 Alessandro Gloder: 12, 21, 22 Ardielli Associati: 13,16 Alberto Vignolo: 18

Il potenziamento e la diversificazione dell’offerta negli ultimi anni, ha portato alla distribuzione delle diverse tipologie di visitatori nei differenti settori del lago, favorendo così la diffusione di una maggiore sensibilità ai temi della storia, della natura e della cultura che si intrecciano alla geografia. L’opportunità di una scoperta capillare e specifica rappresenta, di fatto, un’opportunità di selezione delle tipologie di utenze e di controllo dei flussi in arrivo.


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Per la Basilica di San Zeno: un testo monumentale

Un ricchissimo volume fotografico dedicato all’insigne monumento zenoniano, capolavoro dell’arte romanica in Italia

Testo: Angelo Bertolazzi

Foto: BAMS PhotoRodella

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Il complesso di San Zeno riveste un significato diverso rispetto ai pur numerosi monumenti di Verona. Forse perché non è solo un edificio ma è un insieme di manufatti, un tessuto stratificato nelle qui pieghe si raccoglie la storia della città e lo ha fatto chiamare el cor de Verona. O forse per la sua eccentricità rispetto al centro storico che ha consentito al quartiere di mantenere quell’atmosfera paesana, di un centro abitato che si accalca attorno alla Basilica che ospita le reliquie del Patrono della città, come il gregge attorno al Buon Pastore. In ogni caso la Basilica costituisce un capolavoro assoluto dell’arte romanica italiana e non a caso John Ruskin scriveva nel 1857: «Verona contiene perfetti esempi della grande architettura romanica del dodicesimo secolo [...]. E la contiene, quella architettura, non in forme primitive,ma negli esemplari più perfetti e più belli che essa abbia mai raggiunto [...]». Queste stesse parole sono riportate 02 dall’Abate di San Zeno nella prefazione all’ultima iniziativa editoriale di Cierre, dedicata appunto all’insigne monumento zenoniano. Il volume di grande formato narra la storia dell’edificio e mostra attraverso le immagini le sue ricchezze artistiche con inquadrature che fanno cogliere particolari architettonici e pittorici che spesso sfuggono o sono inaccessibili al visitatore. I testi sono di Tiziana Franco e Fabio Coden, docenti di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università di Verona, e riassumono la storia del complesso, aggiornati allo stato attuale delle conoscenze e degli studi; il servizio fotografico invece è di Basilio e di Matteo Rodella (BAMSphoto), mentre la grafica è stata curata da Andrea Dilemmi e le traduzioni del testo in inglese, che avvicinano il volume ad un pubblico internazionale, sono di Penelope Brownell. La pubblicazione di un libro su San Zeno può apparire per certi versi scontata, un omaggio

dovuto all’insigne monumento. Tuttavia le scelte editoriali fatte per questo volume hanno evitato la ripetizione di quello che poteva sembrare solo l’ennesimo, curatissimo libro sulla Basilica e i suoi tesori artistici. Si può dire che la scelta vincente, e per certi versi coraggiosa, è stata quella di porre sullo stesso piano il testo scritto con le immagini. Queste infatti non sono semplicemente il corredo fotografico del volume ma costituiscono un testo critico dove la narrazione è lasciata all’occhio esperto ed indagatore dei fotografi che ci restituiscono la realtà materiale e tattile dell’edificio. La porosità vibrante della facciata, la calda tonalità della copertura lignea e la ricchezza cromatica degli affreschi diventano parte integrante della conoscenza dell’edificio e ci parlano di come la cultura dell’immagine possa e – soprattutto oggi – debba stare a stretto contatto con la cultura del testo scritto.

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SAN ZENO VERONA Tiziana Franco e Fabio Coden Foto di Basilio e Matteo Rodella (BAMSphoto)

Cierre Edizioni, 2014 formato: 30x40 cm, 344 pp. 170 fotografie a colori

01-02. Due esempi della campagna fotografica originale realizzata per il volume.


“Vandalism is Art”?

L’indagine sistematica sulle pitture murali dei writers veronesi a partire dagli anni Ottanta, e gli esiti dello stacco di tali testimonianze dai Magazzini generali

Testo: Annalisa Levorato Foto: Michele De Mori

Verona Writers, ovvero il grido di libertà della aerosol art scaligera, è l’inconsueto (per una istituzione bancaria) libro-strenna natalizio edito da Fondazione Cariverona, per la cura di Ugo Soragni. Gli autori dei testi, Michele De Mori e Sebastiano Zanetti, raccontano trent’anni di storia e vita dei writers veronesi, esaltandone il lavoro e relazionandolo nel contesto storico e sociale della città, includendo nella parte finale del volume una sistematica e approfondita catalogazione delle opere. Le origini sono raccontate partendo dallo stretto legame che si creò tra la musica hip-hop e i writers. Datato anni ‘80, questo movimento non era semplicemente una moda come quella dei superficiali paninari, bensì un Movimento Progettuale, in quanto legava strumenti, tecniche e linguaggi non solo artistici o grafici, ma anche e soprattutto della nuova cultura musicale. Il testo è ricco di testimonianze, interviste e aneddoti dei writers che hanno operato sui muri di edifici (e non solo) della città di Verona e dintorni. Si parte dall’Inizio, quando l’hiphop sbarca a Verona, poi arriva il momento di Massima espansione

tra il 1990 ed il 2000, con le sue Generazioni di Writers (raccontate in tre schede: Evoluzione, Costanza e Crescita) e i Nuovi Nomi; senza tralasciare la provincia di Verona, alla quale viene dedicato un capitolo per documentare le opere da Legnago a Isola della Scala e dal Garda a San Bonifacio. Nei capitoli finali sono raccolte le riflessioni sulla realtà sociale di questi artisti di strada, per interrogarsi su come tramandare alle future generazioni il ricordo del loro lavoro. Uno di questi capitoli è dedicato allo “strappo”, per descrivere le tecniche, molto simili a quelle usate per gli antichi dipinti murali (anche se non si tratta di affreschi) e sperimentate da Decorart per staccare i graffiti dagli edifici dei Magazzini generali. Una operazione dal significato ambiguo: questo nuovo gesto dello strappo non può salvaguardare opere che, per propria natura, non sono e non vogliono essere come gli affreschi, non essendo nate per commissione né per fini commerciali, ma dettate solo dallo spirito libero di chi le ha realizzate. Il risultato artistico del movimento dei writers, come lo storico movimento Dada, può essere definito gestuale: l’oggetto diventa opera d’arte perché carico del significato dato dal gesto stesso che lo va a modificare. Perciò la porzione di

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edificio segnata dai graffiti non è il più solo un supporto, ma diventa parte dell’opera stessa. Staccare queste creazioni dai luoghi nativi al fine di tutelarle e conservarle per portarle in ambiti chiusi, magari in spazi che ne limitano la vista, ne modifica il significato e la natura. Il fine di tale complessa operazione potrebbe rischiare di trasformarli in semplici oggetti da collezione, limitando il significato profondo di questi grandi progetti grafici, strettamente legati alla vita e ai luoghi dei suoi creatori. Le storie di questi giovani writers veronesi sono esposte in modo dettagliato insieme alle interviste dei personaggi più rappresentativi,

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mario botta & philippe daverio I commenti di Mario Botta e di Philippe Daverio a margine della presentazione di Verona Writers presso la Sala convegni UniCredit di Verona (3 dicembre 2014). video www.architettiveronaweb.it/?p=1100 www.architettiveronaweb.it/?p=1102

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legate dal robusto filo rosso della musica hip- hop e rap (colonna sonora indispensabile per apprezzare a pieno il libro). Sono cresciuti e si sono formati nelle aule del liceo artistico statale di Verona, definito luogo storico per eccellenza, mentre nei Magazzini Generali si è raccolta la loro più importante Hall of Fame. Attraverso le interviste di questa generazione di artisti riusciamo ad immaginare un romanzo che va oltre l’attenta e puntuale descrizione dei fatti. Storie di ragazzi e ragazze, delle loro tag (firme), risultato di una fusione di ritmo e colori che hanno segnato il loro tempo e il loro passaggio, anche in spazi desolati e marginali della città. Queste immagini, come per l’hip-hop, si confrontano con grande intensità in un gioco di forme e tinte, che nel volume costituiscono la ricca schedatura finale. La storia di un movimento che è stato espressione di questa città, che ama la sfida e con le sue opere sfida l’opinione pubblica e le istituzioni, la sua anima ribelle e innovativa,

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può essere sintetizzata da una scritta provocatoria, realizzata con uno stencil nel 2007 dalla T.L.C.: “Vandalism is Art“. Queste opere, che possono essere definite pittoriche, rompono gli schemi ed irrompono sulle facciate grigie di edifici abbandonati, in luoghi e spazi dimenticati con volumi che si ripetono e che non si noterebbero mai, se non perché evidenziati dalle tag dei Writers: il loro segno dà vita a luoghi che sembra non ne abbiano più.

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01. L’incontro di presentazione del volume. Foto di Albano Cataldo. 02. Veduta degli ex Magazzini generali di Verona nel 2008. 03. Writers all’interno dell’ex calzaturificio ScarMac a Bussolengo nel 2007. 04. I Jungle Kid Posse all’opera nel 1991. Foto di DJ Zeta. 05. Un writer pronto ad entrare in azione, 2008.


Il rosso e il rosa. Due ritratti per Castelvecchio Sull’onda del cinquantesimo anniversario appena celebrato, due nuovi volumetti arricchiscono la saga editoriale dedicata al Museo di Castelvecchio e al suo artefice

Testo: Rita El Asmar

Foto: Lorenzo Linthout

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Immergendoci nei suoi spazi sereni, percepiamo l’eco delle cose che furono e che sono, e seguiamo senza mai esserne pienamente consapevoli le tracce di grandi e piccoli eventi, di personaggi ordinari e straordinari, sedimentate in ogni pietra e raccolte in un processo perenne di collezione, aperto anche al nostro contributo e a quello di chi verrà. Quello della memoria è l’aspetto più labile, inconsistente eppure determinante, della vita di un opera, destinato a scomparire più velocemente perché trascurato dalla discipline della conservazione, che spesso rinunciano

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Il 20 dicembre 1964 la città di Verona assisteva a un evento che avrebbe segnato significativamente la sua storia: l’inaugurazione del Museo di Castelvecchio nell’allestimento progettato da Carlo Scarpa. Lo scorso dicembre, cinquant’anni dopo, i festeggiamenti si sono puntualmente svolti e, come in ogni anniversario che si rispetti, si è sentita la necessità di riflettere intorno a questioni esistenziali cruciali quali l’identità e le prospettive future del complesso museale. Che cos’è il Museo di Castelvecchio? Come raccontarlo in questa significativa ricorrenza? Certo esso non corrisponde alle strutture dell’antico presidio scaligero, né si conclude negli ampliamenti che si sono succeduti nei secoli; non si identifica nelle vestigia dei perduti allestimenti e non si risolve nella fabbrica rimodellata da Scarpa, sebbene l’interpretazione proposta dal grande architetto sia il contributo che più ci avvicina a una ‘possibile’ comprensione. La sua essenza sfugge, è qualcosa che giace nel fondo, affiora come una rivelazione grazie all’intervento scarpiano, e subito scompare, tanto incomunicabile quanto autentica. Forse avrebbe più senso chiedersi: cos’è il Museo di Castelvecchio per ciascuno di noi? Allora ci si renderebbe conto che il valore e il significato del monumento sono allo stesso tempo in tutto quell’elenco di cose e in nessuna di esse; che ci sono altri valori e altri significati generati da episodi forse marginali e soggettivi, eppure in grado di suscitare emozioni indelebili, che determinano il nostro legame con il luogo.

« Come tutte le architetture, il Museo di Castelvecchio non può sottrarsi al proprio destino di essere in continuo divenire » al fascino della narrazione per dedicarsi esclusivamente al dato oggettivo e misurabile. Profondamente consapevole di ciò, la direttrice Paola Marini ha sentito l’esigenza di fissare questo importante momento attraverso due libretti che provano a proporre, da angolazioni diverse e con obiettivi diversi, un punto di vista del tutto soggettivo. Nel primo, Carlo Scarpa al Museo di Castelvecchio, 1964-2014, pubblicato anche con il contributo dell’Ordine degli Architetti di Verona, l’intento dei curatori Alba Di Lieto e Alberto Vignolo è quello di «riannodare i fili della memoria», presentando una raccolta di omaggi composti da 52 Autori, lasciati liberi di esprimersi secondo i mezzi a loro più congeniali – brevi annotazioni, disegni, intenzioni progettuali,

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descrizioni, fotografie, riflessioni – per raccontare e condividere con i lettori alcune considerazioni personali sul ‘loro’ Museo di Castelvecchio. Il risultato è un ritratto caleidoscopico e intimistico, fatto di ritorni, ricongiungimenti, ricorrenze, ritrovamenti, molti raccontati in termini di suggestioni: le impressioni atmosferiche di ombra e di luce; l’emozione di una visita; le conferme e le delusioni al ricordo del primo incontro; il puro godimento procurato dalla contemplazione della bellezza; l’ispirazione improvvisa; l’intuizione di un significato mai assimilato fino in fondo; il ricordo di un amico perduto. Una trama invisibile tiene assieme la serie di episodi minimi, sapientemente composti dai curatori per raccogliere una delle infinite, possibili ‘storie’ di

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Castelvecchio: molto è stato detto, molto ci sarà ancora da dire. Come porsi, a questo punto, nei confronti di chi non ha ancora vissuto il Museo di Castelvecchio, di chi non sente tra le sue mura questa corrispondenza di memorie perchè non ha ancora avuto modo di sedimentarne? Come consegnare un’eredità preziosa, custode di tante tracce della nostra stessa identità, alle nuove generazioni? Per un architetto, la risposta è immediata: attraverso l’esercizio progettuale. Nel libro Sulle tracce di Carlo Scarpa – Innesti a Castelvecchio, Filippo Bricolo presenta l’esito dell’esperienza laboratoriale maturata nel 2013 da un gruppo di giovani studenti di architettura dell’Università Iuav di Venezia, da lui coordinati assieme a Giorgio


Filippo Bricolo sulle tracce di carlo scarpa innesti a castelvecchio 2014, Comune di Verona - Direz. Musei d’Arte e Monumenti Alba Di Lieto e Alberto Vignolo (a cura di) CARLO SCARPA AL MUSEO DI CASTELVECCHIO 1964-2014 2014, Comune di Verona - Direz. Musei d’Arte e Monumenti / Ordine Architetti P.P.C. di Verona scarica il pdf www.architettiveronaweb.it/?p=2193

01-023. On site dei due volumetti nel cortile del Museo di Castelvecchio.

Galeazzo e Ettore Muneratti. Su invito dei docenti, gli studenti sono entrati all’interno del recinto sacro e raccogliendo il guanto di sfida hanno sviluppato una serie di riflessioni progettuali intorno al tema del completamento del Museo. Gli innesti architettonici si sono concentrati in cinque precisi ambiti – il mastio, i camminamenti, i cortili scaligeri, l’ala est e il vallo – scelti dai docenti in quanto spazi non risolti o poco sviluppati, e caratterizzati dunque da un alto potenziale didattico. Sin dalle prime pagine l’autore spiega il tema e le ragioni della sua scelta, osservando come l’idea di rigida fissità nel

mantenimento dell’aspetto raggiunto nel 1964 sia in fondo una forzatura: da allora il complesso è stato oggetto di una serie di adeguamenti che hanno amplificato e migliorato le sue attività, senza recar danno perché discreti e pertinenti. Come tutte le architetture, insomma, non può sottrarsi al proprio destino di essere in continuo divenire; il vero oggetto di tutela dell’opera è semmai il suo spirito. La possibilità offerta a questi e a molti altri studenti di architettura di cimentarsi in un palinsesto di tale ricchezza e complessità è la più accorta opera di conservazione del monumento. Al di là delle ipotesi avanzate e della fattibilità dei progetti presentati, ciò che veramente conta in queste esperienze è lo stravolgimento dell’orizzonte imposto dall’esercizio. Nella libertà della simulazione, ogni studente è stato obbligato a moltiplicare i punti di vista e a misurarsi con le due opposte necessità di approfondimento e digressione, per giungere al superamento dei pregiudizi e alla rielaborazione critica. Il conflitto cognitivo vissuto nello svolgimento della prova non interessa solo gli studenti, e non si conclude con la presentazione del loro lavoro, ma coinvolge anche noi, osservatori esterni, convocati dai giovani progettisti e invitati a riconsiderare con rinnovata attenzione gli spazi riletti. Il racconto attraverso il progetto di quello che Museo di Castelvecchio potrebbe essere, è dunque per tutti occasione preziosa di diversione dello sguardo, che rinuncia a vedere ciò che crede e vuole, per aprirsi alla contemplazione delle infinite Forme possibili.

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La seconda vita del Lazzaretto

Un nuovo inizio per il monumento veronese grazie all’accordo tra amministrazione comunale cittadina e Fondo Ambiente Italiano Testo: Eleonora Principe Foto: Lorenzo Linthout

Dopo anni di studi, ricerche e trattative tra il Comune di Verona e il FAI (Fondo Ambiente Italiano), il complesso del Lazzaretto di Verona ha finalmente ricevuto la “benedizione” che consente di avviarne un processo di restauro, riqualificazione e valorizzazione culturale. Originariamente concepito con la funzione di cura dei malati e dunque simbolo di sofferenza, grazie a questa operazione diventerà luogo del benessere fisico e dello spirito, cuore pulsante di cultura all’interno del grande polmone verde che è il Parco dell’Adige Sud. Salvatore Settis, nell’incontro organizzato dall’Ordine degli Architetti presso la sede della BPV il 13 maggio 2012 in occasione della presentazione del suo libro Paesaggio Costituzione Cemento, aveva affermato: “Pochissime città hanno il pregio di avere così vicino al proprio centro un’area naturale come quella del Lazzaretto. È una grandissima potenzialità che voi avete e che dovreste riuscire a valorizzare”. Negli ultimi anni, le attenzioni e le iniziative attorno al Lazzaretto si sono intensificate. Nel 2012 la cittadinanza ha potuto visitare il complesso in occasione delle Giornate FAI di Primavera, a cui hanno fatto seguito concerti, spettacoli ed incontri culturali sempre sotto l’egida della benemerita associazione (FAI l’Estate al Lazzaretto). Nel novembre dello stesso anno il FAI, a seguito di una donazione, è diventato proprietario del terreno interposto tra la proprietà

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comunale e il fiume Adige, per una superficie di circa tre ettari. Su quest’area è prevista la realizzazione di orti urbani. A maggio 2013 è stato organizzato il “Workshop Lazzaretto” (cfr. «AV» 96, pp. 58-61) che ha portato giovani architetti ed antropologi a studiare il Lazzaretto di Verona e il suo territorio, al fine di fornire degli strumenti utili a trovare la chiave giusta per salvare dal degrado il monumento e l’area su cui insiste. ll 3 ottobre 2014 il Comune di Verona ha ufficialmente consegnato al FAI le chiavi del Lazzaretto. Il merito si deve sicuramente al grande spiegamento di forze messo in moto dal Fondo Ambiente per sensibilizzare politica da un lato e cittadinanza dall’altro, e all’amministrazione cittadina che (finalmente) ha compreso l’importanza di questo sito in una strategia di valorizzazione territoriale del parco dell’Adige e di Verona in un senso più generale. L’accordo si deve alla comprovata esperienza dell’associazione nel recupero e nella gestione di beni culturali di grande rilevanza storica,

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architettonica e paesaggistica – anche appartenenti a Enti Pubblici – e grazie alla condivisione delle esigenze strategiche di valorizzazione culturale e paesaggistica del sito e della individuazione degli interventi e delle attività da realizzarsi. Una convenzione della durata di 18 anni è volta a soddisfare due esigenze: la necessità del FAI di poter avere a disposizione un lungo periodo di tempo per una completa realizzazione dei progetti, da una parte, dall’altra l’esigenza del Comune di mantenere operativa la convenzione solo se essa consegue gli obiettivi prefissati. Questo permetterà al Comune di rendere il sito al più presto fruibile da parte della collettività, di poter realizzare gli orti collettivi, di avere una manutenzione ordinaria del luogo. I lavori sono dunque iniziati. Ad oggi è stata terminata la fase di pulitura dalla vegetazione infestante e dai cumuli di macerie, per poi procedere con la bonifica dell’area dagli ordigni bellici rimasti inesplosi (durante la Seconda Guerra Mondiale il Lazzaretto fu infatti utilizzato come deposito di armi e munizioni).

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Paolo BÜRGI al lazzaretto Dopo aver presentato il proprio lavoro a Verona in un incontro del ciclo “il Sabato del Paesaggio” (4 ottobre 2014), l’architetto e paesaggista svizzero Paolo Bürgi ha avuto occasione di visitare il Lazzaretto. Le sue impressioni nel video. video www.architettiveronaweb.it/?p=2193

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01. Veduta del tempietto sanmicheliano, in parte ricostruito nel 1958. 02. La localizzazione del Lazzaretto in una mappa della Città di Verona del 1848 (particolare).


Interiors:

Che due banche

Il rinnovo delle filiali-pilota di due importanti gruppi bancari propone la piazza di Verona come campo di prova dei rispettivi modelli di agenzia Testo: Christina Tsompanoglou

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Negli ultimi anni, le banche si avvicinano sempre di più a un modello distributivo nuovo, con lo scopo di migliorare la soddisfazione della clientela, aumentare la loro fidelizzazione e garantire l’acquisizione di nuovi clienti. Lo sviluppo di questi concetti punta prevalentemente sull’aspetto relazionale, concentrandosi sul rinnovamento dei layout e ponendo le filiali al centro del sistema, in parallelo a un processo di riprogettazione del loro modello organizzativo e commerciale. Nel retail banking, l’interazione bancacliente è posta al centro del nuovo modello di agenzia, con una visione che cerca di colmare quel divario che negli anni passati si era creato a causa di un approccio passivo da parte di molti istituti tradizionali – il consueto “muro” del bancone frontale – e che attualmente sconta anche il comportamento di una clientela multicanale che si rivolge sempre di più all’online. Mettere al centro il cliente è dunque fondamentale per i nuovi progetti di architettura degli interni bancari, che si vestono di nuovo e si propongono senza ostacoli psicologici né fisici, in spazi aperti dove il rapporto clientebanca assume significati diversi. Anche il peso sempre più rilevante dei servizi self-service fa parte di una cultura diffusa, che rende le

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banche meno disgiunte dalla realtà dei clienti. A Verona sono state recentemente aperte due filiali – una ex novo, mentre per l’altra si è trattato della ristrutturazione di uno sportello storico – che assumono il valore di prototipi di questa idea di spazi aperti, senza barriere fisiche, dove cliente e bancario si siedono l’uno accanto all’altro durante le operazioni.

« Nel retail banking l’interazione banca-cliente è posta al centro dei nuovi modelli di agenzia » La prima di queste è l’agenzia UniCredit di piazza Bra, riallestita nel 2014 su progetto di Matteo Thun & Partners. Si tratta della prima di cinque filiali pilota in Italia che definiranno le linee guida per la trasformazione di gran parte della rete dell’istituto, che comprende migliaia di agenzie. Obiettivo del progetto è stato quello di creare un ambiente dal carattere piacevolmente informale, in grado di trasmettere benessere in uno spazio lavorativo positivo e sensoriale. Lo spazio si caratterizza per apertura, trasparenza e permeabilità di zone e arredi che fondono il mondo dell’ufficio

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con quello del living. Il costante equilibrio tra strumentazioni hi-tech ed elementi di arredo accoglienti e confortevoli è la cifra stilistica che Matteo Thun & Partners ha voluto attribuire al progetto UniCredit. Nell’architettura dell’edificio sono presenti grandi archi e portoni incorniciati da marmi originali, che si sono inseriti perfettamente nel concetto di interior design caratterizzato dalla naturalezza dei materiali. La pianta degli ambienti, pur essendo complessa e irregolare con molte stanzette, nicchie, passaggi e angoli spesso non retti, è stata risolta con l’ uso di arredi iconici e freestanding, che in questi casi si esprimono al meglio. L’elevata altezza dei soffitti ha permesso di installare facilmente le pareti divisorie di vetro, sorrette con telai di legno, per realizzare

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UniCredit, Piazza Brà, Verona 01-02. Due vedute degli spazi interni evidenziano il carattere informale e domestico del nuovo concept. 03. L’edificio all’inizio del Liston in piazza Brà, ove ha sede l’agenzia bancaria di UniCredit, in una veduta d’angolo da via Roma. 04. Elementi di seduta e arredo firmati Thun. 05. La sequenza degli archi incorniciati di marmo inquadra i desk di consulenza. Foto: Matteo Thun & Partners


CheBanca!, Corso Porta Nuova, Verona 06-07. Veduta esterna e dall’interno della vetrina sul corso. 08. Pianta dell’agenzia e sviluppo assonometrico di front office e saletta riservata. 09-10. Livelli di privacy: spazi comuni distributivi e salette riservate. 11. Il tunnel di ingresso contenente gli sportelli ATM. 12. Il fronte su Corso Porta Nuova. Foto: Simone Bossi 06

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salette riunioni che comunque non rinunciassero a un respiro ampio. Legno anche per i dettagli strutturali degli arredi, come nel caso delle penisole e delle gambe delle scrivanie e dei desk di consulenza bianchi, disegnati da Matteo Thun e Antonio Rodriguez, delle gambe delle poltrone Serie 50 di La Cividina e delle lampade Arba per Belux, entrambe ideate dal duo Thun-Rodriguez. Perfino le apparecchiature elettroniche – quali postazioni ATM self-service, video wall e segnaletica digitale – sono dotate di cornici e mensole lignee di appoggio. Il secondo esempio è quello della nuova filiale di CheBanca! progettata dallo studio Modourbano e aperta nel luglio 2014. Situata in Corso Porta Nuova, nel cuore della città scaligera, essa riorganizza e ottimizza l’immagine esistente del gruppo bancario, implementando il concept funzionale e il layout interno degli spazi lavorativi.

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L’accesso alla filiale avviene direttamente dal piano stradale attraverso l’imponente tunnel di ingresso che contiene l’area self, costituita da due ATM sempre fruibili dagli utenti durante l’intero arco della giornata. La vetrina rappresenta l’interfaccia con la città, loghi e promovetrina veicolano l’immagine della banca verso l’esterno, mentre al tempo stesso il paesaggio della città diventa sfondo principale delle attività bancarie. Gli ambienti sono suddivisi su tre diversi livelli di privacy; il primo è rappresentato dalle postazioni cassa studiate ergonomicamente per permettere di ospitare gli operatori e i clienti secondo la filosofia del side by side banking: entrambi i soggetti si dispongono sullo stesso lato del tavolo per favorire la trasparenza e la condivisione. La filiale si sviluppa in profondità nell’edificio, articolandosi in aree tematiche open space: area d’attesa, area bimbi, cafè corner,

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edicola finanziaria. Le gole luminose, caratterizzate dai led posizionati nella controsoffittatura, accompagnano il visitatore nell’esplorazione dello spazio. Qui trovano posto, inoltre, gli elementi rappresentativi del secondo livello di privacy: salette chiuse sul perimetro permettono di ottenere l’adeguato isolamento per le attività di consulenza, la vendita di prodotti finanziari e, in generale, di approfondimento. I moduli consulenza, così come le postazioni cassa, sono elementi stand-alone, realizzati fuori opera, aggiornabili tecnologicamente qualora ci fossero mutamenti dei servizi erogati. Al termine del percorso all’interno dei locali troviamo gli spazi di backoffice e riservati; in questa area cosiddetta di terzo livello si articolano gli uffici singoli (direttori, consulenza, telemarketing) oltre alle sale per riunioni e videoconference, più isolati per garantire lo svolgimento di attività riservate.

UNICREDIT Piazza Brà, Verona Progetto interior e lighting design Matteo Thun & Partners, arch. Luca Colombo, Massimo Colagrande, Laura Parolin Progetto arredi Matteo Thun e Antonio Rodriguez, Massimo Gattel CHEBANCA! Corso Porta Nuova, Verona progetto architettonico MODOURBANO forniture GCDestefanis (impresa generale), Alifor (arredi), Sedus Stoll (sedute e poltroncine), Underline (promo e grafiche), O.L.F.A. (serramenti), Bassilichi (impianti Sicurezza) consulenti Enginera (progetto impianti e strutture) STEG (supervisione cantiere)

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Collezione Privata

‘Diario di viaggio’ di Tommaso Carozzi

L’ouverture di una potenziale rassegna di artisti veronesi, introdotta da un agitatore-curatore-guida che discute di arte essendo architetto Testo: Luigi Marastoni

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01. The dry tree. 02. Suburbs. 03. The Telstra box. 04. Neighborhood. 05. Hair Saloon. 06. Fish&Chips.

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Una serie di piccoli dipinti, realizzati in Australia, sono l’ultima opera di Tommaso Carozzi. Come i pittori francesi di fine Settecento, Carozzi utilizza il viaggio come elemento primario per poter costruire il proprio apparato filologico. Un viaggio lento, che sedimenta, capace di cogliere in profondità ciò che l’occhio vede. Una continua ricerca per poter arrivare all’essenzialità: come se il tempo e il disegno

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permettessero l’arte del levare, la sintesi suprema per poter capire un luogo, le sue peculiarità, per poter portare al massimo delle capacità espressive un oggetto, una parte di città o la natura. Come nella serie ‘Skylines’ del 20072011, in cui l’autore tratta il tema delle montagne, dell’arco alpino, è un ripetuto peregrinare su quei luoghi ad anticipare la costruzione del quadro, anche qui nel ‘Diario

di viaggio’ è la ricerca paziente che permette la scelta delle inquadrature apparentemente insignificanti, la sicurezza del segno, il momento della giornata in cui cogliere l’essenzialità di ciò che si vuole rappresentare, «il paesaggio interiorizzato dall’artista»*. Una ricerca che varia nell’esperienza del viaggio: ad una fase iniziale ‘analitica’ ne segue un’ultima sensoriale, di estrema essenzialità di segno e di massima interiorizzazione.

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Una ricerca che è unica nel formato dei quadri: solo piccoli formati, come un Carnet de Voyage, uno SketchBook, capaci di ‘contenere’ il livello di informazioni in soli pochi gesti. ‘Diario di viaggio’ è una serie di frame da guardare nell’insieme come si guarda un fumetto. Questo racconto di viaggio inizia con delle sequenze di un’apparente suburbia qualsiasi in cui elementi di


Collezione Privata carattere architettonico rimandano a culture anglosassoni di un qualche Nuovo Mondo, intervallate da altre sequenze che raccontano la natura con un grado di rigoglio del tutto inaspettato per le nostre latitudini. La cabina del telefono (03) piuttosto che ‘Fish&Chips’ (06) o ‘Hair Saloon’ (05) innescano un processo in cui all’immaginario oramai collettivo, che identifica in Edward Hopper l’icona di una certa visione della cultura anglosassone-americana-nuovi mondi, si contrappone la mancanza

della presenza umana fuori casa. Abitazioni illuminate ci raccontano che la vita di questa sterminata suburbia, dove non esistono luoghi urbani per la socialità, sta solo all’interno delle mura domestiche: ‘Andy’ (09) seduto sulla poltrona guarda un tablet che illumina la scena. Le sequenze finali trattate sempre più velocemente parlano di vento, del cielo e di colore; ‘The sky above Robinson st.’ (13) è l’ultimo frame “alla Turner”* – un altro anglosassone – in cui la memoria e l’esperienza guidano la mano

dell’artista. La Ragione, la Storia invece che l’irrazionale, la notte; se nelle prime opere Carozzi mostra una città di rovine, con prospettive alterate, viste a volo d’uccello, cetacei che sganciano bombe, tutto rigorosamente in bianco e nero – le ‘Meduse’ esposte alla Biennale 20111– ora la luce irrompe nella scena. Ad un mondo fantastico, oscuro e visionario, piranesiano, figlio del fumetto del secolo scorso, dove il piacere estetico è reso più intenso da una bellezza insidiata da presagi di morte, Carozzi contrappone le

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07. Evening. 08. The lifeguard tower. 09. Andy.

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serie ‘Skylines’ e ‘Diario di Viaggio’ dove investe di luce vitale, a tutto campo, spazi deserti, creando uno scenario atemporale, apparentemente metafisico in cui «poter identificare la pittura con la luce… partendo dai fondi scuri la luce si posa materialmente sopra la superficie come a… dipingerla».* Se nel Primo Novecento il registro provocatorio, la necessità di portare all’estremo e spingere a visibilità le contraddizioni dell’ordine borghese, spinsero a scrivere su Lacerba “e non vedo che l’Assoluto sia tanto poi tanto più interessante del Moulin Rouge” 2 , oggi nelle ultime opere di Tommaso Carozzi quella frase calza ancora benissimo, ma privata della sua carica provocatoria, nel disincanto di un Secolo Nuovo che è iniziato, spinge il “dipingere il relativo” ad un orizzonte ultimo, invalicabile, che segna il passaggio da un’idea naturalistica della veduta ad una proiezione fredda ed utopica ma piena di speranza. •

10. The yellow wall. 11. Morning wind. 12. Streetlight. 13. The sky above Robinson st.

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TOMMASO CAROZZI (Villafranca di Verona, 1977) Pittore, scultore e illustratore, dal 1999 lavora nell’industria dello spettacolo curando il design e la realizzazione di scenografie per cinema, televisione e studi d’animazione. La sua esperienza professionale comprende collaborazioni con produzioni europee e americane. In parallelo, porta avanti una personale produzione artistica in cui spesso confluiscono iconografie ed immaginari tipici della cinematografia contemporanea. Suoi lavori sono stati esposti a Venezia alla Biennale di Architettura nel 2006 e alla Biennale d’Arte nel 2011. Nel 2012 è tra gli artisti italiani invitati alla Biennale Italia Cina alla Villa Reale di Monza.

* Parole dell’artista.

1 La serie dei cetacei è stata riproposta alla

personale ‘Life is beautiful’ al Red Zone Art

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Bar, San Giorgio di Valpolicella, 2013 (a cura di L. Marastoni). 2 Ardengo Soffici in «Lacerba».

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www.tommasocarozzi.com

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CANTIERI

Il cantiere al Teatro Romano

Uno dei più complessi e delicati lavori pubblici nel cuore monumentale della città inizia a mostrare gli spazi del rinnovato Museo Archeologico, che verrà aperto nei prossimi mesi

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Testo: Lorenzo Marconato

Foto: Costanzo Tovo e studio Camera24 Ferarra

Piace chiamarlo così, anziché con la corretta definizione di “Museo archeologico al Teatro Romano”, perché di fatto avvolge benevolo il catino dell’antico teatro, con il quale è in strettissimo rapporto. Si tratta probabilmente del più complesso e delicato lavoro pubblico posto in essere dall’Amministrazione e dall’Ufficio Tecnico LL.PP. del Comune di Verona, il cui progetto, elaborato dall’architetto Stefano Gris, è già stato illustrato nel numero 94 di «AV». La direzione dei lavori è stata affidata all’architetto Costanzo Tovo – a cui è subentrato l’arch. Guido Paloschi da ottobre 2014 – che ci ha accompagnato nella visita al sito, coadiuvato dai colleghi Maria Grazia Burato e Dino Gamba, dall’ing. Claudio Modena per la parte strutturale, dall’architetto Giorgio Valentini per la sicurezza e dal RUP ing. Sergio Menon. È un cantiere estremamente esteso, pur trovandosi nel cuore del centro antico, si distribuisce dalla riva sinistra dell’Adige, poco a valle del Ponte Pietra, sino alla base della terrazza di Castel San Pietro, su un unico ripido pendio, a sud e ad est della cavea del teatro. A molti, del Museo era forse nota soltanto la cosiddetta “casa romana”, conosciuta anche come Palazzo Fontana, per la sua posizione di grande visibilità su Lungadige Redentore. Già le condizioni dei suoi fronti davano segno del degrado preoccupante in cui versava l’intero complesso. Proveremo a fare un breve viaggio a ritroso, percorrendo all’inverso quello che dovrà essere il percorso di visita, per il semplice fatto che, più ci si inerpica verso Castel San Pietro, più i lavori sono ancora nel vivo della loro realizzazione e quindi in grado di lasciare maggiore spazio ai temi della costruzione. L’accesso all’area di cantiere avviene proprio dalla zona di contatto con la terrazza di Castel San Pietro, a margine dell’altro intervento in gestione – passatemi il termine – alla Fondazione Cariverona, che porta la medesima firma dell’architetto Gris. La prima cosa che colpisce è un’ar-

ditissimo e suggestivo ponte di carico e scarico materiali, che si protende sopra il primo terrazzamento e sul chiostro del convento dei Gesuati, dal quale si coglie la dimensione e la complessità del sito, nonché lo strettissimo rapporto tra le parti e con il resto della città antica. A prima vista sembra rimangano intonse le vaste porzioni scoperte del sito archeologico, ove sono ancora disordinatamente disposti reperti lapidei di ogni sorta, per non parlare dell’intero teatro, più in basso, o del muro di contenimento di uno dei terrapieni più alti, che mostra i residui di una meravigliosa tessitura muraria in opus reticulatum. In contrasto con l’apparente incuria delle aree scoperte, si pone la netta geometria delle coperture in coppi appena posati del chiostro e degli edifici annessi, esternamente già in avanzato stato di restauro. Dalla appassionata testimonianza dell’architetto Tovo, si percepisce chiaramente la complessità di un restauro come questo, ove le opere di consolida-

« Il tema dei percorsi è cruciale all’interno del sito archeologico: lo zigzagare delle rampe di scale poste a nord della cavea del teatro è di per sé particolarmente suggestivo nel suo movimento tra i reperti» 03

01. La grande copertura provvisionale mobile di cantiere posta sopra il chiostro del Convento dei Gesuati. 02. Planimetria generale di cantiere con evidenziate le aree di lavoro. 03. I ponteggi in fase di montaggio sulla facciata del convento. 04. Veduta generale del colle di San Pietro durante i lavori.

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CANTIERI MA2

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mento strutturale hanno avuto grande importanza sotto tutti i punti di vista. Diverse sono infatti le tecnologie utilizzate, tutte ampiamente collaudate, mentre insolita è la soluzione architettata per la protezione del cantiere, che ha comportato la completa rimozione delle coperture esistenti. Sia sulla sommità del chiostro e degli edifici attigui, sia su quella di Palazzo Fontana è stato infatti montato un imponente impalcato metallico, una sorta di carro-ponte composto da travi reticolari e membrane impermeabili di protezione. Una soluzione che ha consentito il rispetto dei manufatti in primis, ma anche dei tempi previsti per le lavorazioni, evitando ritardi dovuti alle avversità atmosferiche. Da sot-

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tolineare anche il ruolo dell’impresa Operes s.r.l. di Catania, aggiudicataria su oltre duecento partecipanti al bando, che si è distinta per competenza, capacità organizzativa e qualità dei lavori. Percorrendo a scendere i diversi corpi di fabbrica del complesso claustrale, importante appare il lavoro fatto sui diversissimi tipi di paramenti murari, ciascuno con problematiche di conservazione differenti e ciascuno degno di esibirsi partecipando alla futura vita del museo. Alle numerose stratificazioni evidenziate dal lavoro di restauro, si aggiungono – ancora in fase di installazione e pertanto ancora estremamente visibili – le cospicue reti impiantistiche ed un voluminoso corpo, ancora in forma

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05. Disegni relativi alle strutture provvisionali per la sicurezza e l’operatività del cantiere. 06-07. Veduta all’estradosso e dall’interno della struttura metallica di copertura del cortile. 08. Particolare del restauro di una cornice sottogronda del chiostro. 09-11. Palazzo Fontana: fronte su strada dopo i lavori, interno di una sala con i grandi massi lapidei lasciati in evidenza e veduta dei fronti sulla cavea del teatro.

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di scheletro metallico, che occupa per intero uno dei due cortili. È probabilmente questo il segno più evidente dell’intero intervento, che sicuramente diverrà comprensibile nella sua forma e nel rapporto con la altre parti solo una volta che i lavori saranno terminati. Abbandonando il livello dei cortili per ridiscendere verso il sottostante teatro, i percorsi tornano ad assumere una spiccata verticalità I rinnovati ascensori che andranno a coprire il notevole salto di quota costituiranno evidentemente la spina dorsale dell’intero sistema, poiché in grado di mettere fisicamente in relazione la zona alta del museo con quella inferiore. Il tema dei percorsi è cruciale all’interno del sito archeologico: lo zigzagare delle rampe di scale poste a nord della cavea del teatro è già particolarmente suggestivo nel suo movimento tra i reperti, che comunque necessitano di cospicui interventi di consolidamento e restauro. È auspicabile che, compatibilmente con la disponibilità dei finanziamenti – quelli utilizzati sono fondi europei di competenza di un programma operativo regionale – lo stesso tipo di intervento si possa vedere presto e bene applicato all’intero teatro che, forse complice la grigia giornata invernale, mostrava con tristezza le sue imperdonabili condizioni di conservazione. È for-

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se questo, a parere di chi scrive, il punto più critico di quanto emerge dalla visita, soprattutto se si pensa che, oltre che costituire il più illustre reperto e quindi cuore pulsante dell’intero sistema, il teatro viene da tempo utilizzato con costante successo nella rassegna teatrale e concertistica estiva. La nostra visita al contrario volge al termine quando ci si addentra in Palazzo Fontana, da sempre porta d’ingresso al complesso museale. Questo edificio è ora quasi completo anche all’interno, quindi la sensazione di trovarsi in un vero e proprio cantiere svanisce apprezzando quello che potrebbe essere il risultato finale ottenibile, se pur nella loro diversità, nelle altre strutture già visitate. Le murature mostrano le eterogenee tessiture fatte anche di grandi blocchi in tufo, in pietra di bianca locale ed in mattoni; il tutto marcatamente velato

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da una spolveratura di terre ancora molto coprente. Spuntano i segni di chiavi e tiranti in acciaio, molto ben assestati e comunque gradevoli, poiché essenziali anche nella forma. Rimangono, specialmente sul fronte ovest intonaci e pitture murarie. Chiare le stratificazioni all’esterno, chiare anche all’interno, dove ormai sedimentata è pure l’immagine dell’intervento posto in essere ai tempi di Magagnato – che qui aveva il suo alloggio veronese – da mano di evidente ispirazione scarpiana. Sebbene l’ingresso, per ovvi motivi di accessibilità, sia stato saggiamente ribaltato sul fronte sud, non muta la percezione degli spazi. A fare da collante tra il puzzle delle stratificazioni interne, dai colori diversi ma in qualche modo omogenei, il total white di pareti, intonaci, contropareti, controsoffitti. Rimangono i vecchi serramenti in legno chiaro, ancora gradevoli: difficile comunque notarli, rapiti dalla vista sull’ansa dell’Adige, che è il tema fortemente dominante di questa costruzione. Quando si passa dal progetto sulla carta al cantiere – e in questo caso il passaggio è più che mai arduo per gli operatori – spesso si rischia di vanificare almeno in parte gli ottimi intenti iniziali. La sensazione avuta percorrendo questo cantiere è che il risultato finale sarà fedele a ciò che è stato disegnato ed immaginato per il complesso del Museo archeologico del Teatro Romano. Resta il delicato tema del riallestimento, per il quale non c’è che da attendere ancora qualche mese


Sonia Iorio De Marco a Verona

Testo: Angela Lion

Architettura è Donna. Questo è quanto ci trasmette attraverso il suo operato Sonia Iorio De Marco, articolato e composito nome per una personalità iridescente. Un percorso professionale delineato da una strada tutt’altro che lineare, un travaglio architettonico interiore che fa da filo conduttore alle idee di questa professionista. Il poliedrico iter di studi universitari, ricco di incontri decisivi, segna profondamente il suo modus operandi. Milanese di nascita, è il Politecnico il punto di partenza verso la Spagna e la cultura stilistica ‘globale’: gli studi presso la ETSAM a Madrid, il rientro per conseguire la laurea nel capoluogo lombardo, da cui subito riparte alla volta della capitale spagnola per altri due anni, continuando a collaborare con Javier Bellosillo. L’incontro con l’architetto madrileno rappresenta la svolta: di spirito estremamente forte, uomo di grande vivacità culturale e fuori dalle righe, comporta per Sonia una grave crisi di identità professionale. È qui che inizia la fase di rottura in cui a parlare non è l’architetto, ma il segno da lui tracciato. Cosa significa progettare, e fare architettura? Per quale fine? Il foglio bianco deve essere rappresentato poiché la teoria dell’architettura da sola non è in grado

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di riempirlo. La biblioteca di Madrid diventa un porto sicuro dove ricomporre le fila di un tessuto logorato da questi interrogativi. L’architettura contemporanea proposta dalle riviste internazionali è oggetto di una analisi quotidiana, ripercorrendo l’esperienza moderna con un’attenzione maniacale per ogni singolo progetto, in ogni suo dettaglio. Ad un tratto tutto quel sapere di architettura, che era rimasto tacito, si manifesta in modo dirompente mostrandone la vera vena e la propria libertà di

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01. Uno studio al femminile: Sonia Iorio De Marco al centro tra Guendalina Scilla e Laura Vesentini. In basso alcuni schizzi progettuali. 02-05. Ex Bristol, Lonato del Garda: plastico di studio, pianta piano tipo, vedute esterne con i balconi a sbalzo.

espressione: spiccare finalmente il volo grazie alla consapevolezza di un metodo di lavoro in cui l’elaborazione progettuale avviene anche attraverso la manipolazione e la continua trasformazione dei plastici di lavoro. Una trasformazione incessante supportata da schizzi, disegni in scala e modellazioni tridimensionali. La scoperta spagnola la riporta in Italia: ecco incombere gli anni del dottorato in progettazione architettonica e urbana, un interesse da tempo coltivato per la ricerca accademica che si compie al Politecnico di Milano, dove con altri due compagni d’avventura intraprende un importante lavoro guidati dal professor Nico Ventura sotto l’egida di Ernesto D’Alfonso e Sergio Crotti. Sono anni duri e serrati di ricerca formativa, con Henri Ciriani e Michel Kagan presso l’École Nationale Supérieure d’Architecture di Parigi-Belleville per promuovere il progetto di ricerca, fino al suo concretizzarsi nella la tesi intitolata ‘Dal paesaggio all’astrazione’.

« Il progetto stabilisce una modalità di vivere il sito come elemento morfogenetico, mentre il manufatto architettonico è il mezzo d’unione tra le parti, elemento di continuità » 04

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Sembrava tutto ormai chiaro e stabilito. In realtà la vita riserva sempre mille e una sorpresa. Il bivio: la scelta sofferta tra la carriera universitaria e la libera professione. Quest’ultima – pur rimanendo la ricerca il pensiero trainante – ha il sopravvento, e da qui inizia un nuovo capitolo con lo studio aperto a Verona, ‘ultimo’ punto di partenza. Una città ‘provinciale’ rispetto alle metropoli in cui Sonia a lungo ha lavorato e dalle quali ha ricevuto importanti offerte, in cui crede fortemente di poter inserire le proprie radici culturali


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con il mirabile obiettivo di divulgare un pensiero cosmopolita. La commessa del 2006 per l’edificio denominato ‘ex Bistrol’ a Lonato del Garda concretizza il lungo percorso di ricerca. Un imprenditore lombardo con già tre concessioni in tasca richiedeva un progetto preliminare per la realizzazione di un nuovo manufatto. Un percorso dai forti contrasti – da un lato la proprietà con l’intento di realizzare un falso storico, dall’altro il pensiero dell’architetto assolutamente contemporaneo – che ha fatto crescere il progetto e portato la committenza ad un atto di conversione, sfociata poi in una fiducia consolidata con lo studio. Il progettista ha una sua identità professionale: questo è il messaggio che deve trasparire, e l’edificio è lo

strumento atto a trasmettere tutto ciò. L’analisi architettonica guarda, invece, al contesto. Il luogo è il leitmotiv di una sinfonia armonica in cui la linea taglia e ricuce lo spazio. L’utilizzo di grandi vetrate aggettanti, la cui articolazione crea forti contrasti chiaroscurali, tende a introiettare il contesto, figure tese al paesaggio con la volontà di coglierlo, analogamente alle vetrate dalle tinte cielo, ai giardini pensili e al tetto-giardino di lecorbusierana memoria. Così accade anche per lo studio di fattibilità per la riqualificazione del lungolago di Lonato del Garda, 400 metri di litorale fortemente degradato, studiato e vissuto attraverso il coinvolgimento diretto degli abitanti del luogo. La novità più significativa, oltre alla viva presenza del

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cittadino nelle scelte progettuali, è la proposta di portare avanti un progetto autofinanziato senza alcuna sovvenzione da parte della pubblica amministrazione, rifacendosi ai principi pionieristici del ‘Self Made City’. “ Dal generale al particolare. Un procedere per parti, analizzando i singoli dettagli e le peculiarità del sito: questo è l’approccio che caratterizza i progetti di scala più contenuta, come le ville unifamiliari a Verona all’interno della lottizzazione San Felice, le ville bifamiliari di Padenghe sul Garda e quelle a schiera di Rivoltella. A una lettura attenta del territorio, dell’orografia e della natura insita in ogni luogo, si affianca l’analisi dei bisogni, intesi come spazi da viversi nella loro essenza. Luce, colori, morfologia:

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06-08. Padenghe sul Garda, ville bifamiliari: pianta ‘Lotto alto A’, sezione trasversale ‘Lotto basso B’, immagini del cantiere ‘Lotto alto B’. 09-10. Progetto per il Lido di Lonato, fotosimulazioni. 11-13. Villa S. Maria, Salò: rendering, pianta e stato avanzamento lavori. 14-15. Verona, lottizzazione San Felice: plastici di studio di ville unifamiliari.

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elementi per entrare dentro lo spazio, elaborarlo appieno ascoltandolo in solitudine, in cui il primo gesto progettuale diventa quello definitivo. Il progetto stabilisce una nuova modalità di vivere il sito come elemento morfogenetico, mentre il manufatto architettonico è il mezzo d’unione tra le parti, quello che “costruisce” la continuità. Sia l’impianto planimetrico che lo studio degli alzati ricercano volutamente un’identità propria nelle diverse unità abitative, con l’intento di muoversi dal medesimo principio insediativo, ovvero dal rispetto dei materiali della tradizione locale che, pur ritrovando una collocazione non inusuale, sono utilizzati per realizzare elementi architettonici ripensati nella loro configurazione. Il coinvolgimento in numerosi concorsi diventa ben presto realtà, con molteplici esperienze come quella del Masterplan per un Eco-Residence a Bedizzole (BS) nel 2013, e l’anno prima il concorso di progettazione a inviti per Piazza

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d’Annunzio a Padenghe sul Garda. Anche qui il punto di partenza è dato dalla dicotomia spazio-funzione, in cui l’analisi dell’ambito d’intervento diventa fondamentale. Oggi la partecipazione alla LAC (Laboratorio di Architettura Contemporanea) di Verona come vicepresidente rappresenta l’apice in cui l’esperienza culturale, la ricerca e la progettazione trovano una sintesi. Nata a Mantova grazie a un gruppo di architetti e docenti universitari, l’associazione si plasma da una singolare selezione dei compagni di viaggio: è stato Roberto Nicolis (attuale presidente di LAC) che passando davanti al Bistrol decise di conoscere il progettista. Insieme a Michele Adami, costituiscono la costola veronese dell’associazione, con l’intento di comunicare le forme dell’architettura contemporanea alla collettività. Molte le iniziative già effettuate e presentate da questa rivista (vedi l’incontro con Franco La Cecla (cfr. «AV» 97, p. 64) e la conferenza-installazione di Topotek 1 (cfr. «AV» 99, p. 65). E poi la rassegna “Cinema e architettura”, all’insegna di un approccio multidisciplinare dal quale far scaturire un confronto costruttivo di idee e proposte finalizzate alla valorizzazione della qualità architettonica, progettuale e quindi del vivere. Un bel tuffo in avanti!


{DiverseArchitetture}

Recupero all’Avanguardia

Una Diversarchitettura in cui persone e luoghi si incontrano alla scoperta di una associazione culturale e delle sue realizzazioni

Testo: Luisella Zeri

Foto: Lorenzo Linthout

Nome avanguardia

Luogo VERONA strada della genovesa 104 Attività associazione di promozione sociale Contatto www.avanguardiaverona.IT

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La scoperta del progetto e degli spazi

il primo progetto che ha preso vita fra le

sfaccettature. recupero della persona:

dell’Associazione culturale Avanguardia è un

mani di Padovani e dei suoi ragazzi è tally,

il disagio del carcerato viene volto,

viaggio nell’evoluzione di un idea che si è

un tavolo eco-sociale, pieghevole, realizzato

attraverso i lavori socialmente utili, in

fatta impresa. tutto ha inizio nel piazzale

con listelli di bancale piallati e spessorati,

competenze che creano impresa, permettendo

prospiciente il capannone-laboratorio di

perfettamente impilabile e trasportabile.

così all’associazione di auto sostentarsi

strada della Genovesa, dove ad accoglierci e

L’operazione viene presto estesa ad altri

e ai soggetti coinvolti di avviare nuove

ad articolare il complesso skyline della zona

oggetti che possiedono, sottese, due

forme imprenditoriali. recupero è cultura

industriale sono enormi cataste di pallet per

caratteristiche principali: la fine ormai

ecologica del materiale ormai apparentemente

lo stoccaggio e il trasporto di materiali.

certa e il materiale ligneo. Fra le mura di

inservibile, è riappropriarsi delle

Avanguardia tutto può essere riportato a

competenze artigiane e delle conoscenze

comincia nel 2011, quando la gestione della

nuova vita e a nuova funzione: le briccole

del disegno. recupero è pensare a un nuovo

cooperativa sociale “il maggiociondolo”

della laguna di venezia diventano Dodo, una

viene affidata a Giuseppe Padovani, eclettico

lampada dalla forma d’albero, il legno di

architetto veronese, formatosi nel settore

barrique si tramuta in un tavolo dalle forme

edilizio e del visual merchandising. Lo scopo

sinuose e il nome eloquente, ellibotte.

La storia di questa Diversarchitettura

della cooperativa, attiva fin dagli anni novanta sul territorio cittadino, è quello di

Per Avanguardia la parola d’ordine è recupero, dove il termine assume diverse

riabilitare al lavoro persone provenienti da situazioni critiche e di disagio, attraverso un percorso occupazionale impegnativo, teso all’acquisizione di nuove competenze. il progetto viene portato avanti acquistando, da ditte fidelizzate negli anni, pallet di seconda mano da rivendere alle stesse dopo un meticoloso lavoro di rigenerazione. La filiera di recupero è molto rigida, al fine di assicurare un prodotto perfettamente in linea con i protocolli, le certificazioni e le normative di legge. 02

Nel 2012 Padovani decide di rispolverare

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il proprio spirito creativo e le competenze di architetto, volgendo in maniera produttiva la parte di rifiuto ottenuta dalla rigenerazione dei bancali. Molto spesso, infatti, per rispettare regolamenti e normative, è necessario scartare la porzione di materiale più deteriorata. La cooperativa comincia quindi a produrre oggetti con il ricavo derivante dallo smontaggio dei bancali, creando un circolo virtuoso di produzione, finalizzato a riequilibrare l’impatto dell’acquisto della materia prima dall’esterno, abbassando di conseguenza il prezzo di vendita del prodotto rigenerato. Nasce così, dalle radici della cooperativa e dallo scarto delle lavorazioni, l’associazione culturale “Avanguardia”.

01. Veduta degli spazi dell’associazione culturale Avanguardia. 02. Il logo di Avanguardia impresso su un pianoforte destinato ad essere trasformato in un altro oggetto. 03-04. All’interno della sede dell’associazione, tutto parla di Avanguardia perchè ogni elemento è progettato e realizzato ad hoc. 04

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{DiverseArchitetture} modo per dare forma a funzioni e necessità. L’associazione prende a prestito il proprio nome dalle avanguardie artistiche di inizio novecento, proprio perché lo scopo di tutta l’operazione è quello di dare una spinta innovativa al nostro tempo. il manifesto di Avanguardia è impresso su un anta dell’Armaciclo, oggetto costruito mettendo insieme bancali e pezzi di bicicletta: “smontiamo il prodotto e torniamo alla materia con cui è stato fatto togliendogli così la funzione per cui è stato creato. rigeneriamo quella materia in poesia facendola diventare qualcosa che non ha una sola funzione perché ne può avere mille, milioni ancora come infinita è la nostra immaginazione. tutto torna al nostro cuore.” Avanguardia non è più solo laboratorio ma anche centro di aggregazione culturale, tanto da essere associato alla rete dei circoli oratoriali Anspi. La parte comunicativa è curata da Francesca Padovani, figlia di Giuseppe, che nel ruolo di presidente 05

dell’associazione si occupa degli aspetti storicoartistici ed educativi dei progetti. in questa escalation di iniziative sono nati nuovi spazi che si affiancano al capannone-laboratorio. La sede dell’associazione si propone come un piacevole luogo di ritrovo, in cui ciò che circonda il visitatore è l’immagine di Avanguardia,

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perché da essa completamente progettata e costruita. Qui è possibile incontrarsi, 06

formarsi, organizzare eventi, in un ciclo di relazioni che diventa alimento

immagine. È il caso di un bar ad Affi, e

per l’associazione stessa. La maggior parte

della nuova gestione del campo pratica easy

dei contatti commerciali, infatti, si

Golf in via sogare a verona. Per il progetto

sviluppa in questo contesto, attraverso la

del ritmo Divino a Bardolino si è fatto un

frequentazione da parte di soggetti terzi

ulteriore passo avanti: lo spazio, oltre ad

delle attività proposte.

essere integralmente pensato e realizzato

Alcuni locali hanno affidato all’associazione la cura della propria

05- 06. Il magazzino di strada della Genovesa, dove legno e bancali vengono rigenerati o trasformati in nuovi oggetti. 07. Un’altra veduta della sede dell’associazione culturale.

da Avanguardia diventa vetrina espositiva per gli oggetti stessi, grazie alla sua

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08-09. Nel Canton-different cafè ad Affi: gran parte degli arredi interni sono stati progettati e realizzati da Avanguardia. 10. Lo spazio di ristoro nella sede del campo pratica Easy Golf di via Sogare a Verona. 08

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questa soluzione un

cantina viene portata avanti un’iniziativa

ulteriore mezzo per

finalizzata a promuovere il recupero della

autopromuoversi.

batteria di scarpa nel Parco delle Mura a

La collaborazione

ha progettato una confezione ispirata

serene di Affi è

all’architettura militare scaligera, e parte

stata focalizzata sul

del ricavato delle vendite verrà devoluto al

packaging, con una

recupero dell’opera.

linea di involucri 09

san Zeno in Monte, a verona: Avanguardia

con l’azienda vincola

e cassette per

Avanguardia è un faro illuminante fra i capannoni della Zai, che sono ogni giorno in

posizione strategica con due grandi vetrine

vini a fermentazione naturale per i quali

equilibrio precario sulla sottile lama di

e un flusso molto intenso di avventori. Qui

è necessaria la conservazione “a testa in

rasoio della crisi economica. in questo senso,

hanno trovato sistemazione alcune creazioni

giù”, posizione che assicura una corretta

Avanguardia merita una visita da parte di

fornite in comodato d’uso al bar, consentendo

espulsione dei depositi all’apertura. Nasce

architetti, imprenditori e addetti ai lavori:

un doppio ritorno: per il locale, che ha

così sboccadoro, una cassetta dotata di

la positività che se ne ricava è energia

contenuto i costi per le spese fisse di

sostegni utili a mantenere una corretta

assicurata per tornare alle proprie attività

arredo, e per Avanguardia che ha trovato in

posizione delle bottiglie. con la medesima

con un ottimismo nuovo.

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Architetture a San Zeno di Montagna 1957-2014

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San Zeno di Montagna

L’incantevole posizione alle pendiMarco Semprebon ci del Monte Baldo, il clima mite e l’immenso panorama lacustre hanno attratto i turisti a San Zeno di Montagna già dai primi anni del ‘900. Tra il primo e il secondo conflitto mondiale si sviluppa un turismo d’élite: personaggi illustri e ricca borghesia soggiornano a lungo nelle ville e negli alberghi, tra i quali va ricordato l’Hotel Jolanda, primo esempio Liberty della riviera veronese. Nel dopoguerra il paese sviluppa ulteriormente la propensione a luogo di vacanza, la crescita economica favorevole a tutte le fasce sociali culmina, tra gli anni ‘60 e ‘70, in un vero e proprio turismo di massa. La posizione geografica vicino alla pianura Padana facilita questo fenomeno, parallelamente le scelte politiche volte ad impedire lo spopolamento della montagna svendevano i terreni affinché fossero realizzate case di villeggiatura; prende corpo così una veloce urbanizzazione del territorio. È in questo contesto che si colloca l’itinerario sulla casa di vacanza e il luogo di villeggiatura dai primi anni ‘60 ai giorni nostri. Accanto all’edilizia storica tradizionale dell’area baldense e all’anonimato di molte costruzioni, si individuano alcune realtà i cui legami sociali, economici e costruttivi risultano ben riusciti. Temi quali le relazioni territoriali, la riscoperta dei materiali locali, la sperimentazione tecnica e la modernità, misurano in questo fragile e complesso luogo montano le volontà dei committenti e la cultura di ciascun progettista. Da segnalare in particolare il consistente corpus di realizzazioni di Luigi Calcagni e Luciano Cenna. (MS) Testi: Andrea Castellani,

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1 1974 case cT Luigi Calcagni, Luciano Cenna

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Arroccate a poca distanza l’una dall’altra sul forte declivio che separa il territorio comunale di San Zeno di Montagna da quello di Torri del Benaco, le due case si raggiungono scendendo un ripido percorso, che ne consente un primo avvistamento dall’alto: per tale ragione il progetto della copertura assume una particolare importanza per l’intera composizione, che parla un linguaggio moderno costituito da linee tese ed affilate. La figura geometrica che irrompe sul tetto consiste in un grande canon lumière che porta la luce nel salotto e ne amplifica l’altezza, gerarchizzando gli spazi. I due edifici sono disposti longitudinalmente rispetto al pendio, e ospitano al livello superiore gli spazi principali dell’abitazione (soggiorno, cucina, camere da letto). Al livello inferiore gli spazi di servizio affacciano su una breve porzione di giardino orizzontale. La copertura piana si estende oltre i limiti della casa per generare ampie terrazze coperte indirizzate verso il lago. (AC)

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1975-80 CASA CN Luigi Calcagni, Luciano Cenna

1975 CASA DELLA PARROCCHIA Luigi Calcagni, Luciano Cenna

L’edificio si scorge a poco a poco, rivelandosi come una non scontata rivisitazione dell’archetipo della casa unifamiliare: pianta rettangolare e copertura a doppia falda. Il volume stereometrico, il cui aspetto monomaterico è dovuto all’assonanza cromatica dell’intonaco e della copertura, è svuotato attraverso un processo di sottrazione che restituisce una modulazione articolata degli spazi abitativi come l’ingresso, il portico e le logge. Disposta longitudinalmente rispetto al terreno, l’abitazione ripete un modello

La casa della parrocchia, in origine residenza privata, è dal 1985 proprietà della Curia a seguito di una donazione. Il lotto, triangolare e con una fortissima inclinazione, porta a sviluppare una soluzione molto audace in termini spaziali e strutturali. L’abitazione, a un solo livello, ha una pianta triangolare che organizza gli spazi in modo razionale risolvendo gli angoli non abitabili con terrazze e logge. Il lato prospiciente la strada, in muratura di sasso a vista, molto compatto si contrappone con gli altri due lati che si aprono per catturare brani di paesaggio. Notevole è il sistema strutturale – che rimanda al celebre rifugio Pirovano di Franco Albini – composto da quattro possenti pilastri in sasso innalzati con audace verticalità a sostenere la porzione di edifico non ancorata al terreno. (AC)

insediativo che i progettisti hanno già utilizzato in precedenti realizzazioni (vedi le schede 1, 13, 14): l’avvicinamento avviene da monte e lateralmente, attraverso uno spazio coperto come riparo per l’automobile e per l’ingresso che conduce agli spazi principali della casa, affacciati sul panorama lacustre e svelando una dischiusa facciata a valle. (AC)

4 1958 (modificato) Cinema parrocchiale Luigi Calcagni, Luciano Cenna Sorto su pianoro adiacente alla chiesa come cinematografo parrocchiale, l’edificio è imperniato sulla sala di proiezione a pianta esagonale, attorno alla quale sono aggregate, secondo un principio di gemmazione, geometrie esagonali minori. A ciascuno di tali elementi, distinto per funzioni, corrisponde una differente elevazione, dando origine ad una articolata aggregazione di volumi. L’originario rivestimento in sasso a vista delle facciate relazionava il cinema con la chiesa patronale, contrapponendo al contrasto volumetrico una analogia matericocostruttiva oggi non più percepibile. Seppure una facciata principale non sia identificabile, l’ingresso è segnato da una finestra ad angolo a tutta altezza che si attesta sulla strada principale del paese, che illumina il foyer e la sera funge da richiamo luminoso. Attualmente l’ex cinema è utilizzato per saltuarie attività parrocchiali. (AC)

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esigenze che nascono da un uso stagionale dell’abitazione: imponenti scuri scorrevoli in metallo sigillano le aperture principali quando la casa non è utilizzata. (AC)

5 1977 CASA D’A Iglis Zorzi

6 1963-65 ALBERGO SOLE (demolito) Rinaldo Olivieri

Calata con precisione all’interno di un terreno in pendenza stretto e allungato, la casa si incastona con prepotenza nel contesto, attorniata da altri lotti edificati. I due livelli dell’abitazione si aprono sul paesaggio con ampie finestrature al piano terreno, e con un grande terrazzo a tasca al primo piano. I restanti prospetti tendono a proteggersi dall’introspezione con poche e calibrate aperture. La giustapposizione dei materiali – cemento, pietra, ferro – accentua la lettura dell’edificio come una sequenza di muri in sasso, tenuti assieme dalla falda in calcestruzzo. Interessante come il progetto tenga conto anche delle

Costruito nel periodo in cui Rinaldo Olivieri esercitava la professione a San Zeno di Montagna presso lo studio del collega Pino Ferrari, l’ampliamento dell’albergo cambia radicalmente la tipologia originaria. L’uso del cemento armato come principale materiale da costruzione definisce la nuova struttura e la “pelle” dell’edificio; la moltiplicazione e giustapposizione dei setti verticali a “C” è l’elemento regolatore della pianta, dando luogo ad un volume molto dinamico. I setti divengono ancor più suggestivi quando ripiegano sui parapetti dei balconi, mentre le coperture definiscono terrazze e solarium con vista lago. Particolarmente suggestiva doveva risultare la scala curva in cemento armato

7 1970 RESIDENZE “A SBALZO” Ugo Morselli L’ingegner Ugo Morselli, direttore del Genio Civile di Mantova dal ’56 al ’65 e autore di notevoli opere idrauliche per la gestione del Mincio e dei laghi mantovani, è il progettista di quest’opera. Nel panorama di San Zeno di Montagna, la continua sperimentazione tecnica ha in questo edificio una testimonianza: dichiaratamente dedicato alla villeggiatura nasce con il preciso intento di esaltare la qualità panoramica del luogo. La struttura a sbalzo in cemento armato con travi-pilastro ad “Y” solleva le residenze isolandole dal contesto naturale locale e affacciandole verso il panorama lacustre. Gli spazi architettonici sono molto essenziali, il piano terra in origine era accessorio ai soprastanti appartamenti. (MS)

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che conduceva sulla copertura-solarium al di sopra della sala ristorante: un elemento caro all’architetto, presente anche in altre sue opere. Alcune foto dell’epoca testimoniano la bontà esecutiva dei cementi armati di questa realizzazione, di cui rimane traccia solo nell’impianto planimetrico. (MS)


9 1994-2001 PORTA DEL BOSCO Maria Grazia Eccheli Riccardo Campagnola

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Reinterpretazione della struttura insediativa del paese, costituito da una costellazione di piccoli centri, il progetto nasce con l’intento di dotare la Pineta Sperane, meta per pic-nic e passeggiate estive, di un luogo di centralità dove raggruppare alcuni servizi essenziali, e di definire il punto di partenza – la Porta – di sentieri e percorsi. È una precisa operazione chirurgica che permette all’edificio di iscriversi nella morfologia esistente e costruire una strada-corte definita da “muri abitati” e varchi che si aprono verso il bosco. Nella costruzione in muratura di sasso, i cordoli in calcestruzzo sono messi in mostra, facendone elementi del disegno. Seppur nel ricercato carattere di edifico incompiuto, il progetto reclama una sua ultimazione, che prevede di inglobare una struttura esistente attraverso un passaggio coperto e la realizzazione di una grande sala aperta sul bosco. (AC)

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10 1960-65 casa ferrari Giuseppe Ferrari Dopo anni di lavoro in Sardegna, l’architetto Giuseppe Ferrari si stabilisce definitivamente a San Zeno di Montagna, dove progetta e realizza per sè questo edificio che è contemporaneamente studio d’architettura, laboratorio di ceramica e abitazione. Fino agli anni ‘90, la casaatelier è un punto di riferimento per l’attività artistica per il paese. La pianta dell’edificio è rivolta verso il lago, e sfrutta un piccolo edificio esistente come laboratorio artistico; il portico d’ingresso è posto a collegamento tra nuova e vecchia costruzione. La geometria della composizione è molto articolata, i volumi sono stemperati sul terreno in pendenza, una singola falda di copertura racchiude la ricercata frammentazione della facciata ovest. La rusticità nell’uso del materiale locale esalta il dettaglio degli elementi metallici e vetrati di camino, scala e parapetti dei balconi. Negli anni ’70, “Pino” Ferrari realizza a San Zeno alcune altre residenze dai caratteri

architettonici fortemente riconoscibili: le linee spezzate delle piante, le finestre ad angolo come soluzione degli spigoli, le coperture ad ombrello irregolare. (MS)

12 1968 CASA FD Arrigo Rudi Tra i materiali d’archivio di Arrigo Rudi che testimoniano la genesi di questa casa, un’immagine ritrae la particolare morfologia del luogo prima dell’avvio del cantiere: un terreno punteggiato da masse rocciose irregolari. L’edificio si incastona tra le pietre, fondendo la geometria dell’architettura con il contesto, razionalizzato dalla disposizione regolare del rivestimento in sasso. Una volta lasciata l’automobile a livello della strada, l’accesso avviene salendo una scalinata tortuosa che conduce all’ingresso disposto sul fianco. Gli spazi dell’abitazione giacciono sotto un’unica falda inclinata secondo l’andamento del terreno, che dà origine a due livelli sfalsati e a un soppalco affacciato sul soggiorno e sulla parete vetrata rivolta verso il lago. Per sfruttare il limitato cono visivo a disposizione, le camere da letto verso monte sono scostate lateralmente per guadagnare affacci e luce. La copertura è interrotta dalla presenza di un terrazzo e dal camino. (AC)

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13 1975 CASA PL Luigi Calcagni, Luciano Cenna Nella produzione sanzenese di Calcagni e Cenna, questa casa segna la ricerca di un confronto con la tradizione costruttiva locale. Le murature in sasso, opera di maestranze locali, e le falde molto basse e distese esprimono un carattere “organico”: raccolti e compatti, i volumi sono bilanciati tra linguaggio della tradizione e modernità della composizione, così come pietra e

legno bene convivono con il calcestruzzo a vista dei solai e l’intonaco delle pareti. Viste e scorci sul paesaggio sono assai misurati, l’occhio è guidato nei modi più ricercati, come nel bow-window della cucina o nella gelosia di legno che separa l’ingresso dal posto auto. (AC)

15 1970-71 CASA SC Luigi Calcagni, Luciano Cenna Situata sul margine superiore del lotto, a ridosso della strada di accesso, per massimizzare la superficie a giardino affacciata ad ovest verso il lago, la casa stretta e lunga si distingue nettamente sui due versanti: su strada un fronte-muro in clinker con poche controllate aperture, mentre sull’interno del lotto il prospetto si smaterializza in una lunga balconata per

14 1957 CASA FC Luigi Calcagni, Luciano Cenna Non ancora laureati, Calcagni e Cenna sono incaricati della progettazione di questa casa per vacanze che costituisce un banco di prova e sancisce il primo lavoro in ordine cronologico di una proficua produzione a San Zeno di Montagna. La villa si compone di quattro setti paralleli e perpendicolari rispetto al pendio, che organizzano la casa in due ambiti separati dal sistema di risalita. Si strutturano così spazi aperti lungo l’asse est-ovest che instaurano un dialogo visivo con il Garda e con il Baldo. L’ambiente principale dell’abitazione è il soggiornopranzo, uno spazio cannocchiale disposto su differenti livelli che prende luce da un unico diaframma di vetro in direzione lago. Interessante l’articolazione degli spazi in sezione, che assecondando il declivio si distinguono in altezze e quote differenti secondo i principi del Raumplan. Nel corso degli anni un piccolo annesso e la modifica della copertura hanno cambiato in parte l’aspetto dell’opera. (AC) aprirsi al paesaggio. Alla forte pendenza del terreno si contrappone un grande basamento abitato, che consente di guadagnare un piano destinato a servizi. Gli spazi della casa si ispirano alla disposizione interna di una imbarcazione, con ampi spazi comuni al piano terra e “ponte e cabine” al piano superiore. In continuità con l’analogia navale, alla serialità del corpo di fabbrica si contrappongono le estremità che, come la poppa e la prua di una imbarcazione, richiedono una variazione del disegno. Spicca per la qualità spaziale il portico a doppia altezza a nord, provvisto di una

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schermatura in listelli di legno orientati ad est in modo da attenuare i venti provenienti dal Baldo. (AC)

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16 2005 CASA CF Gaetano Luciani, Federico Ottogalli Realizzata su progetto dell’architetto padovano Gaetano Luciani (1932-2012) assieme al collega Federico Ottogalli, la casa è una sapiente articolazione sul tema del muro in pietra. Elemento costruttivo del genius loci, la muratura in pietra lavorata a mano viene declinata con piena libertà compositiva per realizzare una successione di quinte sceniche, nelle interruzioni delle quali trovano spazio le aperture come ampi scorci sul paesaggio. Geometrie libere organizzano spazi fluidi arricchiti da elementi di architettura vernacolare come portici, camini e pergole, cui fa da contrasto la copertura metallica. In questa osmosi tra spazi coperti e spazi aperti, l’edificio sembra adattarsi alla morfologia del luogo. Agli stessi progettisti appartiene l’abitazione, molto simile ma non identica, che sorge nel lotto adiacente. (AC)

17 2012 CASA MS Filippo Bricolo (Bricolo Falsarella ass.ti) Concept design: Michele Spangaro Edificata sul sedime di un anonimo fabbricato residenziale, la nuova costruzione rivela un carattere di tipo “narrativo”. L’edificio pare infatti riappropriarsi dei ruderi in pietra di una abitazione rurale, di cui rimangono solo alcuni frammenti. Come un nastro senza soluzione di continuità, un muro in pietra modella le balze del terreno, organizza le sistemazioni esterne tra giardino, piscina e annessi, struttura lo spazio dell’abitare sui due lati a nord e ad est, proteggendo la casa dalle condizioni climatiche avverse sul versante del Monte Baldo. A ridosso delle pareti in pietra è calato un box costruito interamente di legno, con le facciate sud e ovest rivestite in listelli orizzontali di larice. Dall’interno del soggiorno, tre grandi varchi interrompono la cadenza regolare e misurata di aperture, per proiettare all’interno con grande impatto scenico il paesaggio a 180 gradi. (AC)

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8 2008-2014 CASE BMC Giovanni Cenna Vedi pp. 12-17

11 1970-71 CASE T Luigi Calcagni, Luciano Cenna Vedi pp. 34-39


100 UN RITRATTO DI GRUPPO PER FESTEGGIARE IL TRAGUARDO DEL NUMERO CENTO

Tributiamo un doveroso omaggio alla retorica del “cento”, numero pieno, tondo e secolare, attraverso la festosa immagine di una nutrita parte delle persone che stanno lavorando attualmente al progetto di «AV», lanciato per aria con un gesto quasi liberatorio davanti al più insigne monuimento della città.

Le dinamiche del gruppo sono assai elastiche, tra redattori storici, collaboratori assidui, frequentatori occasionali e freelance, come presuppone la logica volontaristica della redazione. Impossibile pertanto un elenco preciso di nomi, che andrebbe a duplicare il colophon in apertura della rivista. Ai lettori dunque il gioco del riconoscimento delle

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facce, con l’invito sempre valido di aggiungerne di nuove, da parte di chi abbia la voglia, la pazienza e la passione per contribuire a portare avanti la gloriosa tradizione di questa storica testata. www.architettiveronaweb.it

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