Architettiverona 101

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Max Zambelli

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

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ISSN 2239-6365

Terza edizione — Anno XXIII — n. 2 Aprile/Giugno 2015 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona

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Le procedure per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria Testo: Arnaldo Toffali

Credo valga la pena ritornare sul tema delle procedure per l’affidamento dei Servizi di architettura e ingegneria alla luce delle le nuove “Linee Guida” che l’Autorità Nazionale Anticorruzione - ANAC - ha varato con determinazione n. 4 del 25 febbraio 2015, che recepiscono gran parte dei contributi che il Consiglio Nazionale Architetti PPC ha fornito in occasione di apposite audizioni e consultazioni. Il decreto legge n. 90/2014 convertito in legge n. 114/2014, ha soppresso l’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici) e trasferito le

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competenze in materia di vigilanza dei contratti pubblici all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC). L’attività della nuova Autorità va individuata nella prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione. È in questa chiave di lettura dell’attività della nuova Autorità che il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e la Rete delle Professioni Tecniche, hanno portato l’attenzione dell’ANAC sulla qualità dell’offerta e della professionalità in luogo dei meri requisiti economici e di consistenza dello studio professionale, “nella direzione di privilegiare l’apertura del mercato della progettazione, la sua trasparenza e competitività, nonché la possibilità di valorizzare i giovani talenti”, principi che trovano ampio riscontro nelle nuove Linee guida relative agli affidamenti dei Servizi di architettura e ingegneria. La stessa Autorità “nell’affermare che la lotta ai fenomeni corruttivi passa attraverso la trasparenza delle procedure pubbliche e la valorizzazione della

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qualità progettuale”, ribadisce sostanzialmente il concetto, da sempre sostenuto dagli Ordini professionali, che il dispositivo introdotto dal Codice dei Contratti in tema di affidamento di incarichi, riferito al solo criterio economico, volto evidentemente alla semplificazione delle procedure ed a ridurre i margini di discrezionalità, oltre a non garantire certamente una prestazione migliore, rischia di produrre un’alterazione dei rapporti di corretta libera concorrenza tra professionisti. È inoltre doveroso precisare come l’obiettivo per le pubbliche amministrazioni debba essere il perseguimento della “qualità delle prestazioni professionali” poiché una “progettazione di qualità è indiscutibilmente il cardine di ogni lavoro pubblico”, ma la progettazione di qualità ha un costo, che non può essere ridotto oltre determinati limiti che, nel caso di ricorso a formali procedure di gara, si traducono nel concetto di “congruità dell’offerta” la cui verifica diventa una condizione irrinunciabile. Non vi è alcun dubbio che il quadro di riferimento sia ancora molto complesso e caratterizzato dalla “pessima legislazione vigente”, così come vi sia l’urgenza di una riforma a tutto campo della normativa del settore dei lavori pubblici, tuttavia le nuove Linee Guida dell’ANAC, superando una serie di criticità, interpretano correttamente l’attuale quadro normativo raggiungendo “gran parte degli obiettivi a lungo inseguiti dagli architetti italiani”. Ma vediamo in sintesi gli obiettivi più rilevanti raggiunti con la determinazione n. 4/2015: – prescrive l’obbligo per le stazioni appaltanti di calcolare l’importo da porre a base di gara negli affidamenti di servizi di architettura e ingegneria, applicando il DM 143/2013, in adempimento all’art. 5 della legge 134/2012, estendendo tale obbligo anche per il calcolo dei compensi spettanti al progettista nelle procedure di appalto integrato; – limita il ricorso al prezzo più basso agli affidamenti di importo inferiore a 100.000 euro e, comunque, solo nei casi di particolare semplicità delle prestazioni, imponendo alle stazioni appaltanti l’obbligo di “ben motivare”, nella lettera di invito, il ricorso al criterio più basso;


– promuove la riduzione dei ribassi dei compensi, invitando le stazioni appaltanti ad adottare l’opzione dello scarto automatico dell’offerta anomala di cui all’art.124, comma 8, del Codice (quando si sceglie il criterio del prezzo più basso) e la formula di cui all’allegato “M” del Regolamento, per la riduzione del punteggio economico assegnato ad offerte con ribasso superiore alla media delle offerte presentate (quando si sceglie il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa); – affronta le criticità relative all’applicazione dell’art. 263, comma 1, lettere b) e c), del Regolamento, che subordina la partecipazione alle gare per l’affidamento di S.A.I. all’espletamento negli ultimi dieci anni di servizi relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori a cui si riferiscono i servizi da affidare, chiarendo che “le attività svolte per opere analoghe a quelle oggetto dei servizi da affidare sono da ritenersi idonee a comprovare i requisiti quando il grado di complessità sia almeno pari a quello dei servizi da affidare”; – supera i dubbi derivanti dalla sovrapposizione del Codice dei contratti (art. 41, comma 2) con il Regolamento di attuazione (art. 263, comma 1, lettera a), in merito ai requisiti del fatturato, le stazioni appaltanti potranno ricorrere al requisito del fatturato solo a seguito di apposita motivazione indicata nel bando e in ogni caso, sono da ritenere congrui requisiti che prescrivano un fatturato pari al doppio dell’importo del servizio in gara; – per quanto riguarda il numero degli Addetti, chiarisce che il requisito del numero di unità fissate nel bando di gara può essere raggiunto anche con la costituzione di un raggruppamento temporaneo di singoli professionisti; – chiarisce che le stazioni appaltanti non possono richiedere alcuna cauzione, provvisoria o definitiva ai professionisti, per partecipare a una gara d’appalto avente ad oggetto la redazione della progettazione e del piano di sicurezza. Sarà dunque sufficiente che il professionista dimostri di essere coperto

da una polizza per la responsabilità civile e professionale; – ribadisce che nei concorsi, “siano essi di progettazione o di idee” è necessario adottare criteri di valutazione di carattere essenzialmente qualitativo e specificamente legati al progetto, sulla base degli obiettivi stabiliti dal “documento preliminare alla progettazione”. Non possono essere previsti nella fase di prequalifica elementi di natura economica, promuovendo così l’accesso ai concorsi dei giovani talenti e dei professionisti che, seppure in grado di garantire prestazioni di qualità, non siano in possesso di strutture di notevoli dimensioni (per fatturato e numero di dipendenti). Il vincitore del concorso potrà acquisire i requisiti tecnico-organizzativi, ricorrendo all’avvalimento, in fase di successiva procedura negoziata per l’affidamento della progettazione definitiva-esecutiva; – ricorda che, qualora la progettazione riguardi immobili di interesse storico artistico sottoposti a vincoli culturali, la progettazione, ai sensi dell’art. 52 del R.D. 2537/1925, è riservata ai laureati in architettura (Cons. St., sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5239). Nell’esprimere l’apprezzamento per i contenuti delle nuove Linee guida “ci auguriamo che esse siano il punto di partenza per la elaborazione di un moderno ed efficace nuovo sistema di riferimento normativo nel settore dei lavori pubblici” in recepimento alla nuova direttiva appalti (2014/24/UE), e su questo confidiamo che il nostro Consiglio Nazionale possa giocare un ruolo importante per l’individuazione degli obiettivi prioritari da raggiungere nella ridefinizione di un nuovo codice dei contratti pubblici.

Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini

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pRogetto

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Le procedure per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria di Arnaldo Toffali

Ritorno al futuro di Nicola Tommasini

Il Parco di Legnago: un caso di onorevole riscatto di Giulia Bressan

Rigenerare Bocca Trezza di Alessandra Bari

professione

progetto

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progetto

progetto

editoriale

M15: i Magazzini delle Professioni di Arnaldo Toffali

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Ritornare all’essenza di Dalila Mantovcani

progetto

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L’Alta Pianura Veronese: immagine di un paesaggio rurale contemporaneo di Alvise Allegretto, Giorgio Renzi

storia&pRogetto

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Per il recupero del Castello di Montorio di Angelo Bertolazzi

Com’era verde la mia Valverde di Maria Giula Da Sacco

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Abitare alle Ferrazze di Nicola Brunelli

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Il Sommo Libro di Luisella Zeri

PROGETTo

Gusto artigianale di Oreste Sanese

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Porosità urbana di Alberto Vignolo

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odeon

O Girasole mio di Alberto Vignolo

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collezione privata

Enrico Fedrigoli: eligere, o l’arte di saper scegliere di Luigi Marastoni

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INTERIORS

Scatole cinesi di Laura De Stefano

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itinerario

L’industria in Borgo Venezia di Michele De Mori

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIII n. 2 • Aprile/Giugno 2015

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona

Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it

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Stefan Seifert. Tenacia teutonica e amore per l’Italia. di Gaia Passamonti

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Barbara Cattonar T. 338 898 8251 barbara.cattonar@promoprintverona.it

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Federico Cappellina a San Bonifacio di Angela Lion

Direttore responsabile Arnaldo Toffali Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

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Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it

Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

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diversearchitetture

Contaminazione al piombo di Dalila Mantovani copertina Foto: Michele De Mori

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Redazione Angelo Bertolazzi, Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Federica Guerra, Angela Lion, Dalila Mantovani, Lorenzo Marconato, Nicola Tommasini, Luisella Zeri Fotografia Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni collaboratori Alessandra Bari, Giulia Bressan, Federica Provoli, Matilde Tessari contributi Alvise Allegretto, Maria Giulia Da Sacco, Michele De Mori, Giorgio Renzi, Luigi Marastoni, Gaia Passamonti. Oreste Sanese TIPOgrafia AVFont, Helvetica Neue, Adobe Caslon, Courier New

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M15: i Magazzini delle Professioni Iniziati i lavori della nuova sede degli Ordini

Testo: Arnaldo Toffali

Foto: Michele De Mori

Sono finalmente iniziati i lavori sui magazzini 15 e 16-17 nell’area degli ex Magazzini Generali dove sorgerà la nostra nuova sede, quella dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e quella dei Consulenti del Lavoro, la “casa” delle professioni intellettuali che chiameremo “M15 I Magazzini delle Professioni”. Per gli Ordini professionali è un percorso per ripensare ai propri spazi non solo come attrezzatura funzionale e strumento istituzionale, ma anche come potenziale luogo comune di incontro aperto ai colleghi e ai diversi interlocutori, un’occasione nei confronti della città. Questa nuova collocazione segna il punto di passaggio dalle sedi storiche degli Ordini nel Centro cittadino, ai nuovi spazi destinati a rappresentare uno dei primi tasselli della nuova centralità urbana di Verona. Dalla fine degli anni ‘80, quest’area di circa 95.000 mq, prevista nel PRUSST di VR Sud come “Polo Culturale”, è rimasta in uno stato di totale abbandono, e l’Ordine degli Architetti è stato tra i primi interlocutori, fin dal 2006, a proporre a Fondazione Cariverona, proprietaria dell’area, la possibilità di insediare la propria sede attraverso il recupero di alcuni fabbricati. Si ritiene tuttavia utile evidenziare

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che la novità di questa esperienza, oltre al recupero in corso degli edifici di archeologia industriale dismessi, destinati alla sede degli Ordini professionali, stia nella metodologia che è stata adottata per la progettazione, metodo che ha cercato di interpretare e intercettare l’esigenza di una serie di professionisti, riuniti in associazione temporanea (ATP), di lavorare assieme uscendo dall’isolamento dei propri studi per condividere un’esperienza che, in questo caso, darà sicuramente a tutti coloro che hanno partecipato uno stimolo importante su come si possa esercitare in modo diverso e innovativo la professione. Il gruppo M28, così è stata definita l’ATP, è un gruppo multidisciplinare di professionisti che si sono messi assieme per affrontare questa esperienza, per studiare in tutte le sue parti le funzionalità e soprattutto le connessioni con il territorio, con il quartiere, con l’ambiente urbano e con la popolazione, chiedendosi cosa può implicare la trasformazione di un’area di questo genere, che è stata per molti anni un’area simbolo per Verona di un’attività produttiva importante. Il tutto iniziò quando il Consiglio dell’Ordine decise di rivolgersi alla Fondazione Cariverona, per proporre di indire un concorso a livello internazionale di progettazione per la

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riqualificazione di tutta l’area. Da un iniziale apparente entusiasmo che Fondazione Cariverona manifestò, fu poi fatto un affidamento diretto a Mario Botta, ignorando completamente le indicazioni date dall’Ordine. Visto che il tema del concorso non fu percorribile fu proposto allora, relativamente ai fabbricati da destinare alla nuova sede dell’Ordine, di “conferire l’incarico nell’ambito di un progetto culturale sui nuovi programmi di rigenerazione urbana – e, in particolare, del laboratorio di progettazione relativo al riutilizzo degli spazi degli ex Magazzini Generali di Verona – promosso dall’OAPPC e dalla medesima Fondazione anche al fine di costituire un’esperienza di formazione e lavoro per giovani professionisti” del territorio (e non a delle archistar)

coordinati da professionisti più esperti. Il team di architetti è stato selezionato mediante un bando tra i giovani professionisti under 35 iscritti all’Albo del nostro Ordine, da una giuria composta da docenti universitari e membri del Consiglio dell’Ordine, ed è stato integrato da varie figure professionali quali ingegneri, storici, geografi, geologi, economi, grafici, fotografi, ecc. I professionisti riuniti nel raggruppamento temporaneo hanno concordato che una parte della somma del conferimento di incarico sarà utilizzata per costi di comunicazione e promozione del progetto, attività che si è già in parte esplicitata mediante workshop con gli studenti della facoltà di urbanistica dell’Università di Barcellona e con gli studenti della facoltà di Architettura di Torino, con conferenze,

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dibattiti anche in quartiere con la popolazione, quaderni tematici, pubblicazioni, video, ecc. Si segnala infine che il Consiglio dell’Ordine sta programmando l’inaugurazione della sede con i docenti del corso di project management dell’Università di Verona affinché l’evento di inaugurazione non sia un semplice taglio del nastro, ma possa essere correlato ad una serie di attività sul tema della rigenerazione urbana e non solo, di cui verrà data in seguito ampia comunicazione.

01. Taglio verticale sulle lavorazioni in cantiere nel magazzino 15, maggio 2015. 02. Sequenza temporale progressiva delle lavorazioni in differenti ambiti del cantiere. 03. Le testate impacchettate dei magazzini 15 e 16-17.


PROGETTO

Porosità urbana

Un monolite sospeso nel fronte stradale di un sobborgo della bassa veronese affida all’iconico colore della massa muraria il suo tratto distintivo

Progetto: Spedstudio arch. Enrico Dusi, arch. Andrea Ambroso, arch. Saverio Panata Testo: Alberto Vignolo Foto: Marco Zanta

Legnago

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La carta da zucchero: è un materiale d’altri tempi, scomparso dall’uso e rimasto nel linguaggio unicamente a denotare il colore di questo antesignano packaging, che affiora alla mente per associazione di idee nel pensare a un elemento, a una chiave di lettura identificativa e sintetica che connoti la realizzazione che presentiamo in queste pagine. Il colore è il dato percettivo della massa – porosa, permeabile, in parte scavata e in parte estroflessa – di cui l’edifico è composto, e la facciata su questa Strip de noaltri nella bassa veronese affida il suo iconico carattere a una sorta di pieghettatura a effetto pop-up della superficie del prospetto. Ecco dunque il foglio di carta da zucchero, che già da questa sua diversità cromatica inizia a raccontare di sé e del rapporto dialettico con il contesto in cui è realizzato. Ci troviamo infatti in uno dei tipici sobborghi di città veneta, lungo una delle arterie che alimentano di sangue veicolare l’abitato di Legnago, distaccandosi dal sistema circolatorio della viabilità di scorrimento. Un contesto caratterizzato da edifici a due-tre piani allineati sul fronte stradale, cimosa del tessuto urbano che si allunga nelle profondità dei lotti dove genti, case, 03 magazzini e porzioni di vuoto si sono accumulate in maniera disorganica. Ma proprio dall’apparente marginalità del luogo deriva l’occasione di riscatto: la grande visibilità del passaggio – e qualche incentivo edilizio – danno origine ad alcuni interventi di riqualificazione che iniziano a sorgere lungo la strada: qualcuno è maldestro, e lo si nota perché il volume in ampliamento stride vistosamente in altezza. I nostri autori – Andrea Ambroso, Enrico Dusi e Saverio Panata – si pongono, nonostante l’evidente scarsa qualità dell’edilizia circostante, in atteggiamento di rispetto. “è la realtà, bellezza”, per dirla con una battuta da film: i vicini non si scelgono (così come i parenti) ma ci si convive, confronta e dialoga. Il nuovo edificio è come un monolite sospeso tra gli edifici adiacenti, dei quali rispetta rigorosamente allineamenti e filo di gronda. La sezione rivela il tratto di falda fortemente inclinata – entro la quale è ricavato un terrazzo a ta-

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SPEDstudio Spedstudio è stato fondato nel 2008 a Venezia da Andrea Ambroso, Enrico Dusi e Saverio Panata. Lo studio ha progettato edifici e piani urbani per una committenza sia pubblica che privata ed è’ risultato vincitore dei concorsi per la nuova piazza Albarola a Lodi e del concorso per il Masterplan dell’area dell’Immerzeeldreef ad Aalst in Belgio per la realizzazione di 800 nuove abitazioni e un parco di 20 ettari, tutt’ora in fase di sviluppo. Dopo un’intensa collaborazione durata fino al dicembre del 2013 i tre soci hanno deciso di continuare l’attività in maniera indipendente.

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01. L’inserimento del progetto tra gli edifici adiacenti. 02. Planimetria di inquadramento nel contesto urbano. 03. Modello di studio che evidenzia il concetto di volume sospeso nella cortina edilizia. 04. Veduta sulla strada dall’interno di un bovindo.

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PROGETTO

Porosità urbana 05. Il volume appare sospeso sul fronte vetrato del negozio al piano terreno. 06. Piante ai diversi livelli. 07. Il fronte posteriore sulla corte. 08. Veduta di scorcio del fronte su strada.

sca – grazie alla quale il volume aggiunto all’ultimo piano è dissimulato rispetto alla percezione dalla strada. L’attacco al suolo è completamente vetrato e arretrato, per accentuare l’effetto di sospensione del volume. Anche grazie a una accorta distribuzione degli arredi dello spazio commerciale, è possibile traguardare verso l’interno del lotto, cogliendo la grande profondità dell’area di pertinenza: una stretta striscia tra i muri ciechi e gli affacci degli edifici adiacenti, pensata come un giardino mura-

« La dimensione plastica delle logge e dei bovindi su strada è pensata per una visione dinamica e di scorcio » to, duro e cementizio nell’uso dei materiali, dove il verde ha un valore di superficie e non di massa, in funzione di schermo, quinta e di elemento del disegno del suolo. Tra il fronte su strada e quello sul retro, posti i caratteri assai differenti degli affacci, si coglie una evidente dicotomia. La dimensione plastica delle logge e dei bovindi su strada è pensata per una visione dinamica e di scorcio, e la grande dimensione delle finestrature, quasi a tutta parete per ogni ambiente, accentua il carattere nordeuropeo di questa architettura, dove gli spazi interni sono proiettati in pubblico senza alcuna padana ritrosia: con tanto di introspezione voyeuristica, complice qualche lampada malandrina accesa di sera, e nonostante l’Adige a Legnago non somigli certo a un canale di

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VR42

Pianta piano terra

Pianta piano primo

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Pianta piano terzo

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Amsterdam. Ma le assonanze scorrono, talvolta, su fiumi mentali sottili. Il fronte posteriore si confronta invece con una visione frontale: il ritmo sfalsato dei tagli verticali delle finestre e degli sporti dei balconi – al primo livello estroflesso, poi a sbalzo e più su scavati nel volume che arretra – porta lo sguardo verso l’alto, dove un nastro vetrato segna l’alterità del grande alloggio posto all’ultimo piano (al piano secondo gli alloggi sono due, mentre al primo sono ricavate due unità ad uso uffici). Il risvolto del rivestimento metallico della copertura segna, come una grande trave di bordo, il coronamento dell’edificio. Il nocciolo distributivo dell’edificio è centrale, consentendo per il corridoio di accesso un ulteriore taglio di permeabilità visiva, a piano terreno, tra la strada e la corte. Il nero dell’asfalto della strada sembra penetrare nell’edificio e, letteralmente , salire le scale: pedate e alzate sono rivestite in ceramica nera, e la parete di fondo color giallo segnale sottolinea l’implicita citazione. Su questa parete sono posati con gusto grafico corpi illuminanti lineari simili a tubi al neon, mentre

Pianto piano secondo

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Porosità urbana

PROGETTO 09. Modello di studio con la stratificazione dei ivelli. 10. Dal terrazzo a tasca all’ultimo livello, la profondità dell’alloggio verso la corte. 11. Progetto esecutivo, pianta del piano secondo. 12. Progetto esecutivo, sezione trasversale sul corpo scale.

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13. Il “nastro” nero delle scale. 14. Il lucernario a copertura del corpo scale; sul fondo la parete giallo segnale e i corpi illuminanti.

Committente Privato Progetto architettonico Andrea Ambroso, Enrico Dusi, Saverio Panata (Spedstudio) responsabile di Progetto e d.l. arch. Enrico Dusi collaboratori arch. Elisabetta Ardolino Consulenti ing. Filippo Aio (strutture e impianti meccanici) Studio Rosa (impianti elettrici)

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in copertura un lucernario ritagliato a spigolo vivo inquadra un frammento di cielo: un po’ di Dan Flavin, e un po’ di James Turrel. La matericità del progetto esprime in maniera sintetica il suo carattere dimostrativo e asciutto: in fondo si tratta di un “banale” edificio intonacato (ma è il colore a riscattarlo), in fondo i serramenti sono di alluminio (ma il disegno li enfatizza e li

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riscatta dal vituperio di cui questo nobile materiale è vittima), i parapetti sono semplici telai metallici con reti, ma il controllo del dettaglio fa sì che non sembrino degni di nota. In ciò consiste, per l’appunto, la bravura dei progettisti: nel non dare segno a ciò che non deve averne.

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Cronologia Progetto: 2010-2011 Realizzazione: 2012-2014


PROGETTO

Abitare alle Ferrazze

Un piccolo borgo residenziale ai margini della cittĂ propone una riflessione critica sul tema della lottizzazione, alla ricerca di un dialogo tra innovazione architettonica e contesto

Progetto: arch. Alessandra Bertoldi, arch. Alberto Burro / ABW Testo: Nicola Brunelli

San Martino Buon Albergo

Foto: Michele Mascalzoni

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01. Veduta d’insieme del complesso abitativo, con il borgo delle Ferrazze sullo sfondo. 02. Planimetria generale dell’intervento. 03. Nel fotopiano, l’inserimento della lottizzazione nel contesto del luogo. 04. Particolare di un prospetto con il rivestimento della parte superiore in doghe di cellulosa e cemento.

ABW architetti associati Fondato da Alberto Burro (1967) e Alessandra Bertoldi (1971), ABW è uno studio di progettazione con sede a Verona. Ha realizzato progetti nel Nord Italia, Germania e Spagna. Si occupa di edifici a basso consumo energetico, edifici pubblici, industriali e arredo urbano. Tra i progetti realizzati, un condominio in Borgo Venezia («AV» 81, pp. 30-37), la piazza di Trebbin («AV» 88, pp. 44-49) e il Parco del Campagnol a San Martino Buon Albergo («AV» 96, pp. 28-33). www.abw.it 02

Ancora una volta la “premiata ditta” Burro-Bertoldi ha fatto centro, realizzando l’ennesimo progetto che coniuga efficienza ed estetica, innovazione e tradizione, architettura e paesaggio; e senza affidarsi ai facili e consolidati modelli prestabiliti, ma proseguendo quella instancabile ricerca progettuale che da anni contraddistingue il loro lavoro, più volte presentato su «AV». Il complesso residenziale qui presentato sorge alle Ferrazze, piccola frazione posta ai confini territoriali tra San Martino Buon Albergo e Verona, in un prezioso angolo di paesaggio nei pressi di quell’oasi ambientale che è la tenuta Musella. Un piccolo borgo residenziale, sviluppatosi a partire da alcune preesistenze storiche e, più

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intensamente, attorno ad alcuni opifici legati alla presenza del torrente, usato come forza motrice per le ruote dei mulini. Alcuni di questi edifici, seppur rimaneggiati, sono attuali testimonianze di quelle attività, ora completamente dismesse. Il progetto ha comportato la realizzazione di undici unità immobiliari (una dimensione ragguardevole rispetto agli standard attuali), suddivise in tre volumi parallelepipedi e paralleli, collegati tra loro da un lungo percorso pedonale centrale che li attraversa. Secondo un atteggiamento che potremmo definire di “lottizzazione critica”, i progettisti affrontano una attenta riflessione sul tema ambiguo della “villetta a schiera”. Ne reinterpretano – scomponendolo e ri-

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Abitare alle Ferrazze

PROGETTO 05. Veduta d’insieme dell’intervento dall’area verde a margine delle abitazioni. 06-07. Piante dei piani primo e terra.

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componendolo – l’archetipo fondativo, dilagante nel territorio fin dagli anni Settanta-Ottanta, coniugando i principi della tradizione insediativa locale con i modelli compositivi contemporanei e con le esigenze dettate dall’innovazione tecnologica e dalla conseguente ricerca di un maggiore comfort abitativo. L’accesso al complesso abitativo è filtrato rispetto alla strada principale da un’area dedicata ai parcheggi pubblici. Nel primo blocco, parallelo alla via pubblica, sono distribuite tre unità immobiliari, mentre nei due restanti blocchi gli alloggi sono quattro ciascuno, sui due piani fuori terra. I tre blocchi sono intervallati da aree verdi, messe in relazione visiva dal tracciato pedonale centrale e, mentre il percorso di ingresso alle unità residenziali si mantiene alla quota di campagna, le aree verdi private sono in parte ribassate alla quota dell’interrato: in questo modo i progettisti hanno ottenuto alcuni spazi aperti più intimi e riservati e, soprattutto, hanno garantito una migliore illuminazione e comfort agli ambienti del piano interrato.

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« Il progetto coniuga le esigenze dettate dall’innovazione tecnologica con la ricerca di un maggiore comfort abitativo » L’andamento del percorso pedonale, più volte interrotto e scalettato, dà luogo ad alcuni spazi di sosta che accompagnano il passante: pause compositive che rafforzano la centralità di questo importante asse prospettico, che scandisce e misura anche le piccole traslazioni dei tre corpi di fabbrica principali. La successione dei volumi costruiti

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08. Tra i blocchi, un’inquadratura del nucleo storico delle Ferrazze con il campanile della chiesa. 09. L’ingresso al complesso abitativo dall’area dei parcheggi pubblici. 10-11. Particolare di uno degli edifici in corrispondenza di una loggia: prospetto e veduta.

Committente Immobiliare Parco San Giacomo s.r.l. Progetto architettonico ABW Architetti Associati arch. Alberto Burro, arch. Alessandra Bertoldi

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direzione lavori arch. Alberto Burro Collaboratori arch. Marco Prosdocimi arch. Romina Richiusa Progetto strutture ing. Mauro Zanconato dati dimensionali Superficie lotto. 3132 mq Volumetria: 3600 mc Cronologia Progetto e realizzazione: 2011-2013

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PROGETTO

Abitare alle Ferrazze

12. Il percorso pedonale di accesso alle abitazioni. 13. Articolazione dei livelli: il piano terra con la zona living e il giardino privato, e il piano primo con le camere. 14. Sezione trasversale attraverso i tre blocchi. In evidenza i giardini ribassati a livello dell’interrato. 15. Le aree di sosta lungo il percorso pedonale centrale.

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16. Sezione sul percorso pedonale in corrispondenza dei giardini ribassati. 17-18. Due vedute degli spazi interni di un alloggio: il living con la scala al piano superiore, e un taglio vetrato che porta luce all’interrato.

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e degli spazi aperti traduce nel paesaggio l’alternanza di pieni e vuoti tipica di un ben calibrato tessuto. Il disegno dei rapporti proporzionali concorre alla formazione di un unico fronte virtuale, dove gli elementi del progetto si fondono con il paesaggio del contesto. Capita così di apprezzare la naturalezza disarmante con cui il campanile della vicina chiesa, risalente alla prima metà del ‘900, si accosta visivamente – grazie all’inganno prospettico – alla parete ventilata dei nuovi edifici. Anche in questo intervento appare chiaro il valore che i progettisti riservano al rapporto dialettico tra interno ed esterno. Ampie vetrate e studiate visuali prospettiche proiettano gli spazi abitativi nei giardini e nel paesaggio, grazie alla generosa presenza di patii, portici, logge e terrazze: elementi architettonici tipici della tradizione rurale (anche veneta), qui reinterpretati con forme e materiali contemporanei. Ribadendo la filosofia dello studio ABW, i progettisti affrontano con destrezza il tema del risparmio energetico e dell’isolamento acustico come fondamentale principio di qualità abitativa, grazie a un attento disegno dei dettagli costruttivi e ai materiali utilizzati. Al di sopra di una struttura portante in calcestruzzo ar-

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mato e a un rivestimento a cappotto, il piano primo degli edifici si distingue per una parete ventilata in doghe di cellulosa e cemento, che determina e caratterizza l’immagine architettonica dell’intero intervento. Alessandra Bertoldi e Alberto Burro con questa realizzazione confermano ancora una volta di mantenere agevolmente il passo con i tempi, e che la velocità delle trasformazioni, dettata anche dalla globalizzazione, non li coglie impreparati in una competizione che per loro non si dimostra assolutamente impari.

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PROGETTO

Ritorno al futuro

Una casa con due anime e due facce che trova i propri punti di forza nella chiarezza e nell’immediatezza delle principali scelte compositive

Progetto: arch. Alberto Pizzoli / studio Memento Testo: Nicola Tommasini Foto: Alberto Pizzoli

Villafranca

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Questo primo lavoro del giovane studio di architettura Memento – Gianluca Canzini e Alberto Pizzoli – dà prova di un approccio al contesto solo a prima vista spensierato, ma che ha il merito di fare dell’immediatezza e della chiarezza di alcune scelte insediative e compositive i suoi principali punti di interesse. L’edificio si trova appena fuori Villafranca, perso in un piccolo agglomerato di case (una volta corte rurale e agricola, oggi dalla vocazione quantomeno incerta) posto sulla via Custoza, che porta a Valeggio. L’ambito territoriale è, per l’appunto, incerto, perso in una fascia poco densamente urbanizzata a cavallo tra territorio urbano e ambito agricolo. La prima scelta di progetto, dunque, pare essere quella dell’atteggiamento di sfida a questo contesto. E una sfida

memento Memento è un giovane studio di Architettura con una base a Villafranca di Verona e una finestra aperta sul mondo, fondato da Alberto Pizzoli e Gianluca Canzini per proseguire il comune percorso di ricerca iniziato al Politecnico di Milano, e sviluppatosi durante il Master itinerante in Progettazione Strategica e Gestione Innovativa delle Aree Archeologiche. www.studiomemento.it

« Il volume superiore viene conformato quasi a dare l’idea di una sorta di “visore”, punto di vista provilegiato e privato verso il territorio agricolo »

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lanciata sia dal punto di vista dell’inserimento planimetrico e del rapporto con le costruzioni originarie della corte (come vedremo), che da quello del linguaggio e delle modalità di costruzione stesse del nuovo edificio. L’edificio è composto attraverso due volumi: uno basso, attaccato a terra e alla corte, tradizionale, e un volume smaccatamente innovativo, contemporaneo, alzato da terra attraverso due appoggi in metallo. Il risultato è quello di una casa a due facce: una bassa che mira a ricomporre l’assetto della corte e a completarne il disegno

dello spazio di relazione, l’altra nuova, corpo sospeso ed estraneo (e infatti, dalla corte, non se ne ha quasi visione) e tutto rivolto al paesaggio. Tutto il volume superiore viene infatti conformato quasi a dare l’idea di una sorta di “visore”, punto di vista privilegiato e privato verso il territorio agricolo. Dal punto di vista compositivo e distributivo questi due volumi si compenetrano attraverso uno spazio complesso, a doppia altezza, rivolto simultaneamente verso la corte a nord, il territorio agricolo a sud e il

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01. Vista del volume sospeso della casa al di sopra della cinta dalla strada esterna alla corte. 02. Il volume più basso affacciato sulla corte preesistente. 03-04. Sezione e pianta di progetto.

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Ritorno al futuro

PROGETTO

05. La casa vista dal giardino. 06. Il fronte del volume sospeso, affacciato verso la campagna. 07. Lo scheletro metallico dell’abitazione in fase di montaggio. 08. La costruzione delle pareti a secco del piano terra. 05

cielo. Questo spazio a doppia altezza diventa, nello schema distributivo, il perno attorno a cui si avvitano tutti gli spazi del vivere e innesco dell’interessante intreccio di tutte le viste, le relazioni e i possibili percorsi interni. La zone notte, che trova posto nel volume sospeso a sud, è accessibile dopo aver attraversato uno spazio studiosoggiorno che si affaccia sul piano inferiore e completa lo spazio di relazione della casa. Anche dal punto di vista costruttivo il progetto mantiene queste due anime. Il corpo basso verso la corte, con la necessità di conformarsi, in un qualche modo, all’esistente, dà di sé un’immagine “tradizionale”, con un volume in muratura chiuso da una falda il legno con gronda a vista. Il nuovo corpo a sud propone invece un cambio radicale: non è più costruzione muraria affondata nel terreno, ma struttura leggera, costruita per assemblaggio di una struttura metallica a secco. L’unico fronte finestrato del volume sospeso (se si eccettuano due aperture di servizio ai lati) è, come detto, quello rivolto al paesaggio at-

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traverso la grande loggia rientrata e scavata nel volume. Molto affascinante, proprio per questa sua dichiarata non appartenenza con il contesto circostante, è la foto dello scheletro del volume sospeso nudo, appena realizzato e in attesa di ricevere il completamento superficiale – muri esterni, solette, copertura. Anche lo spazio centrale a doppia altezza è chiuso in copertura con una soluzione di rilettura del tradizionale tetto in legno che richiama ancora lo scheletro e la costruzione per assemblaggio di parti: qui l’assito della falda più bassa (nel momento in cui entra nel volume interno) scompare, e i travetti, liberi, vengono inondati di luce quasi a smaterializzare la copertura in un pergolato esterno. Utilizzando il linguaggio del mondo del cinema, come il gioco proposto dallo studio Memento sul proprio sito (dove i lavori o i progetti hanno nomi di film e questa casa è, per l’appunto, “Back to the future”), viene da dire, per questa loro prima realizzazione: “buona la prima”. Buono (interessante) l’approccio, la

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“back to the future” Progetto architettonico arch. Alberto Pizzoli Studio Memento progetto esecutivo ing. Antonio Morbin Innovabuild progetto strutture ing. Alberto Zanoni 09

direzione lavori ABC studio 08

dati dimensionali Superficie utile totale: 155 mq Zona giorno piano terra: 60 mq Soppalco: 35 mq Zona notte piano primo: 60 mq Cronologia Progetto: 2010-2011 Realizzazione: 2013-2014

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09-10. Due vedute degli spazi interni a livello del soppalco e verso la zona living. 11. Il corridoio distributivo della zona notte illuminato zenitalmente dal lucernario.

chiarezza delle scelte di progetto, la capacità e la tenacia di portarle onestamente fino in fondo, senza concessioni gratuite alle mode o alla necessità di maggior contestualizzazione; soprattutto in un contesto, come questo, di scarso valore e che forse, dopotutto, in questa realizzazione trova una nuova e inedita modalità di rapporto con il paesaggio agrario.

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PROGETTO

Tornare all’essenza

Un rassegna di tre esempi che hanno saputo esprimere al meglio le peculiarità della costruzione con il legno secondo differenti accezioni del suo utilizzo

Progetto 1: arch. Carlo Ferrari, arch. Alberto Pontiroli / Archingegno Progetto 2: arch. Saverio Antonini / Lasastudio

San Martino B.A.

Testo: Dalila Mantovani

Sandrà

Progetto 3: arch. Marco Grigoletti, arch. Simone Salvaro / blocco.18

Dossobuono

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01. Vista frontale dell’intervento: al centro la “T” dei nuovi spazi, in secondo piano il capannone rivestito in lamiera stirata. 02. Fasi di montaggio dei pannelli di legno x-lam. 03. Ortofoto della zona industriale di San Martino Buon Albergo con evidenziato in blu il nuovo edificio. 04. Vista dal basso del nuovo ampliamento. 02

Forse è stato per colpa della favola dei tre porcellini, che trovano riparo dal lupo solamente nella casa in mattoni, che nell’immaginario collettivo si è radicata la concezione che il legno sia un materiale non adatto per le costruzioni edili. In verità, la storia ci insegna che il legno è uno dei più antichi e resistenti materiali per costruire, utilizzato nel corso dei secoli da molte civiltà per realizzare opere maestose, alcune arrivate sino ai giorni nostri. Dal grande splendore di cui godette per millenni, solamente nell’ultimo secolo, a seguito dell’avvento del calcestruzzo e dell’acciaio, l’impiego del legno in edilizia è stato soprattutto come materiale per le finiture, ma siamo di fronte a una ennesima svolta nell’utilizzo di questo materiale. Negli ultimi anni, le tecnologie costruttive applicate al legno si sono notevolmente evolute, e oggi il mercato propone sistemi di costruzione innovativi a pannelli prefabbricati e soluzioni tecniche che valorizzano il materiale al meglio delle sue caratteristiche fisiche e meccaniche.

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In Italia si è ricominciato a parlare alle domande sulle modalità del codel legno come materiale strutturale struire oggi: velocità di realizzazione, dal 2009, con la ricostruzione post- alto potere isolante, minimo consumo terremoto dell’Aquila, poiché questa di energia, flessibilità di progetto e citecnologia era quella che meglio ri- clo di vita sostenibile. Il settore dell’espondeva all’emergenza richiesta nel dilizia, come molti altri, è chiamato progetto C.A.S.E.: rapidità di esecu- in prima linea a discutere e riflettere zione, precisione dei costi, flessibili- su questi temi che diventeranno semtà, resistenza al sisma e basso impatto pre più attuali almeno per il prossienergetico. mo ventennio « Le tecnologie costruttive I fatti accadue prepararsi applicate al legno si sono ti, insieme a dunque oggi una inversioalle esigenze notevolmente evolute, e oggi ne culturale – o normative il mercato propone sistemi degli ultimi – del domani. innovativi e soluzioni tecniche In molti Paanni, all’auche valorizzano il materiale al esi d’Europa mento di cons a p e v ol e z z a meglio delle sue caratteristiche » queste tecper l’ambiennologie sono te e alle restrittive norme europee, utilizzate da svariati anni e hanno otnon possono più lasciare indifferen- tenuto un discreto riscontro. In Italia te il settore della progettazione e co- il settore delle costruzioni in legno è struzione edilizia che è chiamato a in costante crescita e Verona rispecun forte cambiamento, se vuole con- chia questo trend, in città così come tinuare ad essere credibile e al passo in provincia, presentando un vasto con i tempi. panorama tra progetti pubblici e priIl legno e le tecnologie costruttive vati. ad esso applicate possono essere una Per tornare al richiamo iniziale della delle soluzioni in grado di rispondere favola dei tre porcellini, sappiamo che

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la morale non era denigrare il legno come materiale strutturale, ma insegnare che è necessaria fatica ed impegno per costruire case solide e durature nel tempo. L’ingegneria applicata al legno, alla quale dedicano la ricerca diverse università in tutta Europa, sta cercando di fare esattamente questo, impegnandosi molto per ridare una nuova era a un materiale così pregiato che ci viene donato in natura. Questo articolo prende in rassegna tre esempi, tra i molti, nel nostro territorio che hanno saputo esprimere al meglio le peculiarità di questo materiale secondo differenti accezioni del suo utilizzo.

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PROGETTO

Tornare all’essenza

1. Un legno blu oltremare

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05. Piante dell’ampliamento ai tre livelli, sezione longitudinale e prospetto nord-est. 06-07. Il volume blu sospeso funge da riferimento visivo nell’avvicinamento dalla strada. Sulla sinistra, in primo piano, le case per lavoratori di A.c.M.e. studio, Premio Architettiverona 2013 (cfr. «AV» 95, pp. 14-25). 08. Schema del montaggio dei pannelli di legno x-lam. 09-11. Spazi interni: il corpo scale, il terrazzo-loggia al secondo livello e la sala riunioni.

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L’ampliamento della ditta Kairos a San Martino Buon Albergo è un vera prova di abilità e destrezza. La necessità di nuovi spazi per uffici e sale di riunione si scontrava infatti con la ridotta area a disposizione a ridosso degli spazi produttivi, e con stringenti vincoli urbanistici (distanze, ecc). Nonostante questo, la realizzazione dei nuovi uffici, assieme a un efficace camouflage del capannone preesistente, cambia completamente il volto del contesto, grazie anche a un utilizzo del colore in chiave fortemente segnaletica. L’impostazione volumetrica dell’ampliamento, dopo una serie di verifiche progettuali, è ricaduta su una sagoma a T, che appoggia a terra solamente l’ingresso – un box vetrato a doppia altezza – e la scala in metallo e vetro che collega i tre livelli, sollevando gli uffici con lo scopo di lasciare liberi gli spazi di manovra e gli accessi al capannone a livello del suolo, e al tempo stesso di staccare le aree di lavoro dalla strada e dal relativo traffico di mezzi pesanti. Il volume si impone deciso e compatto con l’intenso colore blu oltremare del rivestimento metallico, che gli permette di distinguersi nella di-

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somogeneità del tessuto industriale e avere anche uno scorcio di visibilità dalla vicina autostrada. L’illuminazione naturale non prevede finestre, ma tagli sui fianchi del volume o nell’incavo della loggia, o da lucernari in copertura. A lato della loggia si pone un volume a sbalzo dove è collocata, in una vetrina retro-illuminata, la scritta aziendale di colore rosso. La scelta della struttura di legno – in pannelli pieni x-lam – secondo il progettista è stata la più logica, e l’unica che mettesse insieme diverse esigenze: la fattibilità strutturale per la necessità di grandi luci a sbalzo,

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sede kairos San Martino Buon Albergo Progetto e d.l. Archingegno arch. Carlo Ferrari arch. Alberto Pontiroli collaboratori arch. Francesca Rapisarda, arch. Alessandro Martini, arch. Marco Rizzi, geom. Andrea Chelidonio consulenti ing. Mauro Croce (strutture) geom. Ivan Morini - Studio Termotecnici Associati (impianti) imprese Impresa Edile Zanini (opere in c.a.) Rasom Wood Techonology (opere in legno) Cronologia Realizzazione: 2014 fotografie Maurizio Marcato 08

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PROGETTO

Tornare all’essenza

la rapidità dei tempi di cantiere per mantenere operativa l’azienda, e dei costi ragionevoli. L’intero fabbricato è composto da porzioni di pannelli prefabbricati, arrivati in cantiere pronti per il montaggio secondo uno schema definito in fase di progettazione; a seconda degli sforzi che devono sopportare, possono variare di spessore o essere aiutati da elementi metallici. Nel complesso sono stati utilizzati 79 pannelli, montati da quattro uomini in meno di tre settimane. All’esterno, i pannelli strutturali sono totalmente rivesti con un cappotto isolante al quale è applicata la lamiera del rivestimento. a qualità degli spazi interni non ha nulla da invidiare a edifici realizzati con altre tecnologie. Come già in altre realizzazioni dello studio Archingegno di spazi per uffici – si ricordano in particolare quelli per la Simem a Minerbe (cfr. Premio Architettiverona, supplemento a «AV» 89, 2011, pp. 20-27) la maestria dei progettisti si rivela nel controllo della luce, naturale e artificiale, che è protagonista della spazio senza imporsi in modo invasivo, e in tutti quei dettagli che permettono la convivenza con una impiantistica avanzata ma non disturbano la fruibilità e la composizione degli spazi.

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2. Sopraelevare con leggerezza L’idea azzardata di sopraelevare una palazzina degli anni ‘70 nasce dalla volontà della committenza di realizzare un nuovo appartamento da adibire ad attività ricettiva tipo bed&breakfast. La tecnologia del legno è stata sin dall’inizio la prerogativa per poter realizzare l’intervento, e per questo il progetto è stato affidato a uno specialista in materia. La struttura esistente non era pensata in origine per sorreggere un terzo piano, ma la verifica strutturale ha dimostrato che il peso della copertura a falde in laterocemento, da demolire, era lo stesso che si sarebbe aggiunto con la nuova struttura di legno, e dunque l’edificio esistente poteva sorreggere la sopraelevazione senza alcun bisogno di ulteriori rinforzi.

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12. La sopraelevazione dell’edificio vista da sud. 13. Schema delle azioni di progetto. 14. Pianta del livello realizzato con la sopraelevazione. 14

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lift up the house Dossobuono, Villafranca Progetto e d.l. Lasastudio arch. Saverio Antonini collaboratori arch. Dalila Mantovani consulenti Studio Sinteco (verifica strutture c.a.) ing. Elisa Sardagna (strutture legno) Studio Protecno (contenimento energetico) geom. Christian Albertini (sicurezza) imprese Lignotec srl Dieffe srl

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Cronologia Realizzazione: 2013

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15. Vista del terrazzo a sud-ovest. 16. Schema con riferimento dei principali temi di progetto. 17. Sezione costruttiva. 18. Nella veduta di dettaglio, il contrasto tra l’edificio originario e la sopraelevazione. 16

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PROGETTO

Tornare all’essenza

Le scelte architettoniche sono state guidate dai vincoli del contesto. In primo luogo, la sagoma dell’ampliamento ripropone quella dei piani sottostanti per ragioni strutturali, creando un volume molto compatto, sorretto visivamente dallo sporto di gronda, lasciato appositamente come segno di separazione. In secondo luogo, il colore rosso mattone della finitura esterna è stato dettato dal laterizio a vista dei piani sottostanti e dalle cromie del contesto residenziale. Da ultimo, le forature delle finestre sono state rivisitate con una cornice-schermatura, che sfrutta il pannello di rivestimento della facciata allungandolo su tre lati e creando una micro foratura, ombreggiando così la parte vetrata e allo stesso tempo creare un simpatico gioco di ombre all’interno. I materiali utilizzati hanno come denominatore comune il legno: la struttura portante è in pannelli di x-lam (pannelli pieni a strati incrociati) rivestita con un isolamento in fibre di legno sia in parete che in copertura, e rifinita esternamente con pannelli di legno-cemento che creano una camera di ventilazione, utile per mantenere la struttura asciutta durante tutte le stagioni. Gli interni si presentano, al contrario dell’acceso rosso mattone dell’esterno, con toni molto chiari per accentuare il contrasto delle ombre delle micro forature. Per la finitura delle tramezze, in abbinamento al cartongesso sono stati utilizzati dei pannelli di argilla, fissati su una struttura a montanti (all’incirca uno per per lato in ogni stanza). Ogni camera del b&b è inoltre caratterizzata da un vetro stampato all’interno della doccia che raffigura diversi temi sulla natura, in perfetta simbiosi con il progetto.

19. Conclusione della fase di montaggio dei pannelli strutturali in legno. 20. Fase di finitura interna con impiantistica e controparete a secco. 21. Sezione prospettica del dettaglio delle forature. 19

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3. Contrasti di legno L’aspetto di questo casa bifamiliare, che si distingue per i volumi molto netti in un’area di espansione residenziale dell’abitato di Sandrà piuttosto frammentata, dove trionfano il rustico e lo pseudo alpino, non lascia minimamente intuire che possa contenere un’anima di legno. Inizialmente, infatti, il progetto era stato concepito con una struttura tradizionale, ma la proposta del committente di modificare la tecnologia costruttiva è stata volentieri colta dai progettisti, che hanno saputo affrontare la sfida. Il progetto si presenta come un incastro di tre volumi - due che compongono la parte basamentale di ciascuna unità immobiliare e il terzo che li sormonta unificandoli – disposti con una lieve scalatura planimetrica. La semplicità e il rigore dell’impianto planivolumetrico spiccano prima an-

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22. L’ingresso pedonale di uno dei due alloggi. 23. Sezione costruttiva. 24. Piante dei piani terreno e primo. 25. Durante il cantiere, fase di montaggio dei pannelli in legno a telaio.


PROGETTO

Tornare all’essenza

26. Veduta interna della zona giorno di uno degli alloggi, con le grandi pareti vetrate schermate dalle ante metalliche a lamelle. 27. Prospetto frontale e posteriore. 28. Veduta del corridoio di distribuzione al piano primo.

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case RG Sandrà, Castelnuovo del Garda Progetto e d.l. blocco.18 arch. Marco Grigoletti arch. Simone Salvaro consulenti ing Fabio Salzani (strutture) ing. Flavio Bottura (impianti idro-termosanitari) ing. Michele De Beni (consulente Casaclima) geom. Pietro Spillari (sicurezza)

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cora di cogliere l’attenzione e la cura maniacale al dettaglio minimale, che è la caratteristica principale di questo edificio e per la quale i progettisti non sono scesi a compromessi. Tutto è studiato tono su tono, possibilmente con la medesima finitura e senza il minimo errore, dalle basculanti delle autorimesse al piano terra alle schermature delle ante metalliche, dalle lattonerie alle recinzioni esterne, andando ad esaltare l’ordine preciso della composizione. La tecnologia utilizzata è del tipo a pannelli prefabbricati a telaio – simile al baloom frame- con interposto un isolamento in lana minerale, rivestiti all’esterno con un cappotto ad alta densità rifinito con una rasatura colorata, che consente di ottenere l’effetto di un classico intonaco su laterizio. Questo tipo di finitura ha facilitato lo studio attento delle cromie e il fissaggio di tutti gli elementi esterni. Finestre e portefinestre sono estese a filo soffitto, ed evidenziate all’esterno da cornici in alluminio che fungono da guide di scorrimento delle ante a lamelle con funzione di scuro

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e di protezione per l’abitazione, e che apportano un elemento di dinamicità alle facciate di questi volumi compatti. L’interno è esattamente quanto ci si può aspettare dall’impostazione così rigorosa degli spazi esterni, ed è senza dubbio la massima espressione e abilità dei progettisti di blocco.18. Complice anche il vuoto delle abitazioni, non ancora occupate, risaltano le finiture con elementi a contrasto sui toni del bianco e dei grigi. Al piano terra gli arredi fissi dissimulano le componenti dell’abbondante impiantistica di cui una casa dal controllo energetico rigoroso fabbisogna, assieme a porte a scomparsa e passaggi “segreti”. I controsoffitti sono ritagliati e modellati per ospitare in un unico gesto l’illuminazione, i tendaggi o i terminali dell’impianto di controllo dell’aria.

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imprese Wolf House Cronologia Progetto: 2012 Realizzazione: 2013-2014 dati dimensionali Superficie lotto : 1026 mq Volumetria complessiva: 978 mc fotografie we-Concept

29. Veduta frontale dalla strada di accesso all’abitazione. 30. Sequenza di apertura di un passaggio nascosto nella boiserie dell’arredo fisso.


PROGETTO

Gusto artigianale

Una “agrigelateria” è l’occasione di una ricerca progettuale che dal più piccolo dettaglio si riflette nella totalità dell’opera

Progetto: Bricolo Falsarella Associati Testo: Oreste Sanese

Foto: Nicolò Galeazzi

Custoza

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01. Vista dell’agrigelateria dalla zona lavorazione. 02. L’area destinata al consumo; sulla sinistra, la finestra sulla zona lavorazione. 03. Schema concettuale. 04. Vista della zona lavorazione dall’agrigelateria.

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Ormai da qualche anno vediamo continuamente nascere nuovi tipi di funzionalità alle quali adattare gli spazi, dettati dalle esigenze e dagli interessi in evoluzione della collettività. Sono apparsi i primi negozi per la vendita delle sigarette elettriche, per non parlare dell’enorme diffusione delle catene dei ristoranti giapponesi, che stanno riscuotendo sempre più successo. Novità, però, che non sono germogliate da una qualche tradizione architettonica, ma che si sono sviluppate prive di legami con un riferimento linguistico sedimentato. Di conseguenza, gli architetti si sono spessi trovati nella difficoltà di dover progettare questi ambienti completamente da zero. Nel nostro caso si parla di una agrigelateria, destinazione d’uso potenzialmente pericolosa per la qualità di questi spazi commerciali, poiché alcuni potrebbero pigramente suggerire soluzioni di scarsa qualità, non ritenendola degna delle dovute attenzioni progettuali. Altri invece potrebbero considerarla affine e conforme ad altre tipologie, cadendo in una errata emulazione.

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Al contrario, lo studio Bricolo Falsarella Associati ha iniziato a chiedersi in primo luogo cosa fosse un’agrigelateria, cosa la differenziasse dagli altri tipi di rivendite e quali potenzialità andassero incontro alle esigenze dei committenti. L’azienda Corte Vittoria aveva deciso di avviare un processo di trasformazione della grande quantità di latte fornita dai bovini del proprio allevamento. Per tale scopo, necessitava di nuovi spazi adeguati non solo alla lavorazione e all’esposizione di formaggi, salumi, gelati e confetture, ma anche a servizio del pubblico. Il nuovo punto vendita ha la particolarità di essere a contatto diretto con il laboratorio di produzione, a ridosso dello stabilimento della propria stalla, con oltre 150 mucche. Ci troviamo a Custoza nella splendida Valle dei Molini dove scorre il fiume Tione, le colline moreniche disegnano gli orizzonti, mentre l’Ossario domina dall’alto il paesaggio. L’area è indubbiamente fortunata dal punto di vista paesaggistico: lo scenario delle colline di Custoza è meta consuetudinaria

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PROGETTO

Gusto artigianale

05-06. Schemi concettuali dell’intervento, con evidenziato il rapporto tra zone di produzione, lavorazione, vendita e consumo del prodotto. 07. Vista dello spaccio-agrigelateria con i corner differenziati (formaggi-gelati).

di passeggiate, soprattutto nella bella stagione, grazie alla vicinanza con il centro abitato. Entrati nell’agrigelateria, la prima impressione è quella di trovarsi in un ambiente accogliente, che predispone alla sosta per il consumo dei prodotti alimentari. La luce penetra generosamente dalle vetrate sul fronte dell’accesso e dallo shed esposto a sud, il bianco delle pareti e il colore chiaro del legno di abete degli arredi sottolineano la purezza degli ambienti. Sul fondo sono disposti il bancone dei gelati e quello di salumi e formaggi, mentre le confetture e altri prodotti sono disposti su mensole a parete. L’attenzione viene però catturata dalla grande finestra che si affaccia sul laboratorio: si apre così una narrazione in grado di raccontare in maniera diretta il processo

della lavorazione “a kilometro zero”, coinvolgendo gli avventori nella conoscenza dell’attività dell’azienda, fortemente legata al territorio e alla propria artigianalità. Muovendosi in questa direzione, ogni elemento è pensato dai progettisti con soluzioni altrettanto artigianali, in consonanza con lo spirito del progetto. La ricerca di valore aggiunto si manifesta anche nel più piccolo dettaglio che, riflettendosi nella totalità dell’opera, riesce a donarle quell’indispensabile carattere uniformante. Per le insegne e l’infografica, è stato appositamente disegnato un elegante font, pensato in funzione della sua modalità di realizzazione. Dei comuni tondini di ferro, solitamente utilizzati per le armature, vengono con estrema semplicità piegati a caldo a formare le varie lettere e simboli, e infine agganciati su tavole di legno di abete spazzolato per risaltarne la matericità. Nello spazio aperto antistante l’agrigelateria, alle spalle dell’abitazione della famiglia Tabarini proprietaria dell’azienda, è a disposizione dei consu-

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Committente Azienda Agricola Corte Vittoria Famiglia Tabarini Progetto architettonico arch. Filippo Bricolo Bricolo Falsarella Associati direzione lavori arch. Filippo Bricolo

08. Alfabeto Corte Vittoria appositamente ideato da Filippo Bricolo con tondini ad aderenza migliorata. 09. Dettaglio di una delle scritte realizzate con il nuovo font. 10. Il tavolo rotondo con al centro la rivisitazione della carpinata.

CollaboratorE arch. Simone Sala 08

Cronologia Progetto e realizzazione: 2011-2014 Dati dimensionali Superficie caseifico: 172,08 mq Superficie spaccio: 124,19 mq

il grande tavolo

matori un ampio spazio verde, in parte definito come area gioco per bambini e in parte organizzato da un grande tavolo circolare in legno, ben ombreggiato da cinque carpini disposti geometricamente al suo interno. La sua forma singolare nasce con l’obiettivo di richiamare quell’idea di corte da cui l’azienda prende il nome, cercando di rappresentare un luogo destinato alla socialità. Tale elemento diventa soggetto del fenomeno architettonico perché riesce da solo, sfruttando una banale esigenza funzionale – la necessità di arredi per lo spazio aperto – a diventare occasione di ulteriori potenzialità, in quanto episodio del progetto inteso come spazio di aggregazione confortevole e ospitale, dove si è quasi costretti a creare relazioni, prima con le altre persone, poi con il paesaggio naturale circostante che si apre alla vista.

Un timelapse interpretato come un film dell’epoca del muto documenta la fase del montaggio del grande tavolo circolare attorno ai carpini, nello spazio aperto di Corte Vittoria. 09

Video: Stefano Di Corato video http://www.architettiveronaweb. it/?p=2655

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PROGETTO

Il Parco di Legnago: un caso di onorevole riscatto

La storia del Parco attraverso la comprensione del suo essere rimasto un vuoto in prossimità dell’abitato storico per oltre tre secoli

Testo: Giulia Bressan

Legnago

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Può accadere, alcune volte, di trovarsi in un ambiente urbano – più o meno esteso, più o meno conosciuto – e di iniziare a chiedersi il motivo per cui il centro più antico abbia quella particolare morfologia, oppure perché i percorsi abbiano quella conformazione oppure ancora perché l’edificio più importante e rappresentativo sia collocato in quella determinata posizione. La curiosità può accrescere ulteriormente quando ad attirare l’attenzione – e quindi il bisogno di approfondire la complessità tipica degli ambienti urbani – non è uno spazio fisico costruito ma un vuoto, uno spazio preservato dall’urbanizzazione all’interno o in prossimità dell’abitato, frutto, il più delle volte, della pianificazione territoriale mentre, in altri fortunati casi, esito di una serie di avvenimenti storici che ne ha di fatto sancito la nascita e l’attuale configurazione. È questo il caso del Parco di Legnago, un’area dal-

pertanto un’area marginale fino alla fine del XIX secolo quando, a seguito dell’acquisto dell’area dal Demanio e la sua inclusione nel piano regolatore dell’ingegnere Moderato Saggiori del 1887, iniziò a configurarsi come una vasta e redditizia area di nuova espansione lungo la direttrice della stazione ferroviaria. All’autorità comunale apparve però chiaro fin da subito come il processo di massiccia edificazione che stava caratterizzando altre aree cittadine non avrebbe potuto interessare la zona del parco: un’area acquitrinosa e stagnante posta ad un

01. Particolare del parco in una cartolina degli anni Cinquanta. 02. L’inserimento nel contesto urbano dal fotopiano. 03. Progetto di trasformazione in età fascista (non realizzato). Archivio Comune di Legnago (in deposito presso la Fondazione Fioroni), Cat. X, Cart.64, Classe 1, Fase 14/1 (1926-1931). 04. Progetto di risistemazione del 1942 che prevedeva la realizzazione della colonia elioterapica “Sandro Mussolini” e degli edifici rappresentativi del regime. L’unico a essere realizzato sarà la Casa del Fascio, nell’estrema porzione nord occidentale. Archivio Comune di Legnago.

« Il Parco costituisce oggi, con la sua rilevante ricchezza di esemplari arborei e le numerose attrezzature interne, documento fisico e tangibile della storia di Legnago » la singolare forma ovale posta a soli pochi passi dal centro, oggi indispensabile “polmone verde” per la città nonché originale testimonianza storica degli avvenimenti di Legnago a partire dal XIX secolo. Sia la sua posizione infatti, a cavallo tra il fiume Bussè e l’abitato storico un tempo racchiuso dalla Fortezza, sia il suo rigoroso disegno geometrico, costituiscono oggi i principali – nonché unici – riferimenti per la comprensione dell’evoluzione storica del Parco contribuendo così alla trasmissione di quella ricchezza e autenticità di significati tipica delle aree rimaste a margine della città per lungo tempo. L’assetto urbanistico di Legnago rimase per oltre 350 anni – a partire dalla costruzione della Fortezza nel 1530 e fino all’abbattimento nel 1886 per sopravvenuto decadimento della sua funzione difensiva – sostanzialmente immutato e limitato entro l’imponente sistema di fortificazione. La zona dell’attuale parco, esterna a tale perimetro, rimase

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PROGETTO

Il Parco di Legnago

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05. Il parco negli anni Cinquanta: sullo sfondo il monumento a Vittorio Emanuele II, prima collocato nell’omonima piazza distrutta dai bombardamenti. Fondazione FioroniArchivio Fotografico “Fondo Roberto Dal Cer”, Edizioni 1945-1964, D-5. 06. Immagine di una delle gare all’ippodromo comunale (maggio 1938) tratta da C. Boscagin, Legnago nella storia, Legnago, Girardi Editore, 1975. 07. Esemplare di Catalpa bignonioides, piantumato negli anni ’50-’60 in occasione delle Feste dell’Albero.

livello di qualche metro più basso rispetto all’intorno – tanto da essere definito una bassura – evidentemente non adatta alla nuova edificazione. La condizione in cui verteva l’area era in realtà il frutto dei recenti e massicci lavori di movimento terra che si erano resi necessari per la costruzione della linea ferroviaria Mantova-Legnago-Este. Questa infatti, terza linea ad entrare in servizio a Legnago ma di fatto la prima a dover attraversare l’Adige 1, necessitò per questo motivo di una serie di interventi e accorgimenti tecnici che avrebbe dovuto garantire l’attraversamento del fiume; tra questi, la necessità di innalzare la linea e di costruire la nuova stazione, causò l’asportazione di materiale dall’area dell’attuale parco, posta nelle immediate vicinanze della nuova infrastruttura e per questo rimasta ad una quota più bassa. Il problema della mancata utilizzazione di questi spazi venne presto risolto dal Comune attribuendo all’area la nuova funzione di ippodromo comunale. La realizzazione della struttura, progettata dall’ingegnere Mario De Stefani e inaugurata nel 1896, si dimostrò una soluzione particolarmente vantag-

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giosa non solo per il Comune ma anche per tutta la città di Legnago tanto da sottolineare l’utilità che arreca al Paese, e massime ai pubblici esercenti, il concorso straordinario di accorrenti agli spettacoli di cui si tratta, come pure il decoro al Paese 2 . Il circuito, molto lodato dagli intenditori, aveva la pista che corrispondeva all’attuale percorso ovale ed era attorniata lungo il perimetro esterno da un filare di platani, di fatto unici esemplari realmente centenari. La vocazione pubblica dell’area venne definitivamente riconosciuta nel 1934 quando l’avv. Cav. Ce-

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08. Il filare esterno di platani, unici esemplari risalenti all’epoca di realizzazione dell’ippodromo. 09. L’area del parco a inizio Novecento. Al centro della pista dell’ippodromo è ancora visibile il casello ferroviario della linea Legnago-Verona, successivamente demolito (per gentile concessione di Anna Lia Berro, figlia dello storico legnaghese Ernesto Berro).

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sare Tonetti, all’epoca Commissario Prefettizio, decise di trasformare l’ippodromo in parco cittadino: un parco all’italiana regolamentato da aiuole e siepi e attorniato dal filare di platani esistente. L’operazione di conversione a parco, fatto disegnare dalla ditta Sgaravatti di Saonara e realizzare dalla Cooperativa Ex-Combattenti di Legnago, racchiudeva in sé alcune delle principali specificità della struttura parco cittadino che già dall’Ottocento si stava diffondendo in Europa. Il ruolo di nuova centralità urbana a servizio della collettività ma soprattutto la dotazione di spazi verdi come risposta alla progressiva edificazione e crescita demografica erano gli obiettivi che Tonetti si era prefissato di raggiungere e di cui, grazie ad una sua visione estremamente lungimirante, si possono percepire i positivi effetti ancora oggi. A partire dal Secondo dopoguerra il parco, superato il pericolo di essere distrutto per crearvi i nuovi edifici rappresentativi del regime – poi di fatto tradotto nella sola realizzazione della Casa del Fascio –, ha subito rilevanti trasformazioni, alcune sicuramente positive, tra cui la progressiva dotazione di nuovi spazi ed attrezzature, altre più problematiche, in particolare l’eccessiva densità delle alberature nell’area centrale, conseguenza delle Feste dell’Albero degli anni ‘50 e ‘60. Appare evidente come il Parco costituisca oggi, con la sua rilevante ricchezza di esemplari arborei appartenenti a oltre cinquanta diverse specie 3 e le numerose attrezzature interne, documento fisico e tangibile della storia di Legnago e sia diventato fin dalla fine dell’Ottocento parte viva e vivace della

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città a servizio della comunità legnaghese. Ciò che invece potrebbe apparire meno evidente, e pertanto più interessante da approfondire, è come la sua posizione, la sua forma e il suo disegno costituiscano per il Parco le uniche fonti a disposizione per poterne comprendere la sua stessa storia – di fatto mai scritta –, segni evidenti di come anche i vuoti possano essere preziosi testimoni del passato. Un onorevole riscatto per quella bassura rimasta per oltre tre secoli ai margini della città.

1 La prima ad entrare in funzione fu, nel 1876, la linea Legnago-Rovigo; l’anno seguente entrò in funzione la linea Legnago-Verona. La linea Mantova-Legnago-Este venne invece inaugurata nel 1886. 2 Archivio del Comune di Legnago (in deposito presso la Fondazione Fioroni di Legnago), cat. IX, b. 38, fasc. 5, “Società Ippica legnaghese (1896-1899)”. 3 Nel 2002 il Comune di Legnago ha avviato il primo censimento sistematico di tutte le piante presenti. In quell’occasione vennero censiti 611 individui arborei appartenenti a 56 diverse specie.


STORIA & PROGETTO

Per il recupero del Castello di Montorio

La complessa vicenda dei progetti sul complesso fortificato va di pari passo con la ricostruzione dei suoi elementi e delle loro trasformazioni storico-archeologiche

Testo: Angelo Bertolazzi

Verona

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Sull’ultima altura meridionale della dorsale che divide la Valpantena dalla Val Squaranto sorge il Castello di Montorio. Il suo caratteristico profilo è chiaramente visibile sia per chi attraversa la pianura sia per chi scende dalle colline retrostanti, segno inequivocabile dell’importanza strategica del luogo per il controllo del territorio, fin dall’antichità preromana. I numerosi ritrovamenti archeologici costituiscono una testimonianza fondamentale per la storia del luogo e le trasformazioni del paesaggio circostante. Gli scavi, iniziati nella prima metà dell’Ottocento da Gian Girolamo Orti Manara e proseguiti fino ai nostri giorni ci hanno restituito una complessa stratigrafia dove il castelliere paleoveneto venne sostituito da un complesso fortificato romano, sul quale poi è stato costruito il castello di Montorio nel XII secolo. Quest’ultimo fu oggetto di trasformazioni in epoca Scaligera che ne aumentarono l’efficienza bellica ampliando il recinto fortificato che alla fine contava ben otto torri. Durante la dominazione veneziana il castello vide diminuita la sua importanza strategica ma rimase pressoché integro nelle sue strutture, fino all’Ottocento quanto la collina entrò a far parte del complesso sistema fortificato asburgico che trasformò la città di Verona nella principale piazzaforte del Lombardo-Veneto. I lavori eseguiti tra il 1859 e il 1866 dall’Esercito austriaco per aggiornare il castello alla guerra ‘moderna’, comportarono la demolizione di cinque torri, di gran parte della cortina muraria Nord-Ovest e Nord-Est – sostituite da terrapieni a scarpa per postazioni in barbetta – e della rimozione della merlatura dalle strutture rimaste. Se questo imponente lavoro di distruzione da un lato ci ha fatto perdere gran parte del castello medievale, dall’altro ci ha consegnato una testimonianza eccezionale che permette di leggere la ricca stratigrafia e una sezione esauriente dei modi costruttivi, delle tecniche e dei materiali dell’arte fortificatoria medievale. Il complesso venne abbandonato a partire dagli anni ’20 del Novecento, quando decadde il vincolo militare attorno alla città di Verona e molte strutture difensive obsolete vennero dismesse dall’Esercito. Per il castello iniziò un lungo periodo di abbandono e di degrado fino al 1987 quando venne acquisito dal Comune di Verona con l’intenzione di farne il fulcro per un parco archeologico che comprendeva anche le zone limitrofe. Il progetto voluto dall’amministrazione cittadina si è rivelato più complesso del previsto, soprattutto a causa della complessità

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del luogo che si presentava come un palinsesto di reperti provenienti da diverse epoche e in diverso stato di conservazione. Tutto ciò portò a un approccio per gradi che, se da un lato ha visto dilatare molto i tempi, dall’altro ha permesso di ricostruire la storia del castello leggendo i diversi elementi e le loro trasformazioni. Dopo una serie di indagini conoscitive e di interventi mirati a mettere in sicurezza il castello, vennero avviati nel 2002 i lavori di conservazione e di consolidamento strutturale. Il progetto, redatto e diretto dall’architetto Arturo Sandrini, interessò le strutture ritenute più vulnerabili e a rischio, come le tre torri superstiti – il mastio, la torre angolare a Sud e quella scudata ad Ovest – e parte della cortina superstite. Dopo questa prima campagna di inderogabili lavori, un secondo progetto, sempre di Sandrini, venne redatto nel 2005, a seguito di un finanziamento statale. Il progetto prevedeva il completamento del restauro del complesso e la realizzazione delle opere necessarie alla valorizzazione del castello come fulcro del parco archeologico. La prematura scomparsa dell’arch. Sandrini

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« La mancata realizzazione delle parti necessarie a rendere visitabile il castello e quindi a farlo rivivere mette a rischio i lavori fino ad ora svolti » nel 2006 ha rallentato, ma non interrotto, il progetto che è stato affidato all’architetto Valter Rossetto. Il nuovo intervento è stato suddiviso in tre stralci, ognuno con precisi obbiettivi: il primo (terminato nel 2009) ha visto il restauro della cortina muraria orientale e della torre, e del recupero e rifunzionalizzazione della polveriera di epoca austriaca, destinata a piccola sala museale e bookshop. Il secondo e terzo stralcio (terminati nel 2012) hanno comportato invece una pluralità di lavori, dall’ultimazione delle opere di restauro e consolidamento della cortina occidentale alla realizzazione degli interventi necessari per l’apertura al pubblico del castello. Questa fase ha avuto tra gli obbiettivi anche lo studio e la valorizzazione delle testimonianze del periodo austriaco. In questa fase, progettata e diretta da

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01. Il profilo del Castello di Montorio, segno inequivocabile dell’importanza strategica del luogo (foto di Diego Martini). 02. Piazzale del Forte di Ca’Bellina (1866). Sullo sfondo il Castello, già trasformato dagli Austriaci, e il Forte John ( foto di M. Lotze, da G. Milani, Mortiz Eduard Lotze, 2010). 03. Rilievo austriaco databile al 1860 della Corte Castellana.


STORIA & PROGETTO

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04. Il Castello sullo sfondo dell’abitato di Montorio in una cartolina degli anni Venti. 05. Un tratto della cortina muraria prima dei lavori di restauro. 06. Quadro sinottico delle fasi dei lavori e delle aree di intervento. 07. Il mastio durante i lavori di consolidamento della prima fase.

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Rossetto, si è resa necessaria un’importante campagna di rilievo topografico e di indagine archeologica per approfondire la conoscenza dei luoghi e delle strutture murarie, nell’ottica di un intervento di restauro che doveva salvaguardare tutto il potenziale informativo che il manufatto permette di leggere, dai processi costruttivi a quelli di trasformazione e d’uso, dalle strutture medievali, fino a quelle austriache. L’eccezionale stratificazione del complesso e la necessità di condurre numerosi rilievi e sondaggi archeologici ha determinato un approccio flessibile del progetto, dove il castello stesso, i reperti della sua storia hanno suggerito le diverse scelte progettuali. La messa in luce delle trasformazioni ‘topografiche’ apportate dal Genio Austriaco e, successivamente, quello italiano, per la realizzazione delle postazioni in barbetta ha modificato le scelte dei percorsi. Il lavoro ha riguardato anche l’individuazione degli altri elementi risalenti al periodo austriaco e le demolizioni delle preesistenze medievali (le altre torri, la chiesetta e altri edifici del castello). Il progetto ha tenuto conto dei suggerimenti dati dai ritrovamenti archeologici e ha messo in luce la stratigrafia del luogo, riproponendo una sezione della storia del castello attraverso il recupero dei percorsi austriaci esistenti sia quelli nella corte centrale, sia quelli che conducono alle postazioni in barbetta. Purtroppo, oggi il progetto risulta interrotto dalla cronica scarsità di fondi. La mancata realizzazione delle parti necessarie a rendere visitabile il castello e quindi di farlo rivivere, mette a rischio i lavori fino ad ora svolti (la polveriera austriaca, abbandonata per lungo

tempo a lavori ultimati, solo ora sta per essere affidata in uso ad alcune associazioni locali) e impedisce di sfruttare la struttura come non solo polo museale, ma anche come punto di vista privilegiato per leggere il paesaggio e la storia fusi in un eccezionale palinsesto. Una triste storia, ma a cui ci stiamo ormai abituando, in un Paese, che a dispetto di quanto si sente ripetere dalla politica, sembra non credere nel proprio patrimonio culturale e non vuole investire nei progetti per la sua valorizzazione.

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i ritrovamenti archeologici I lavori di scavo archeologico effettuati in occasione dei lavori di restauro del Castello di Montorio hanno riportato alla luce un’interessante stratigrafia, che ci racconta la storia del luogo dall’età Paleoveneta fino al secolo scorso. Una storia fatta di costruzioni, modifiche, trasformazioni e anche demolizioni, che giustificherebbe già da sola la costituzione di un parco archeologico, dove il castello può diventare non solo il punto di riferimento per percorsi archeologici, ma anche il museo di se stesso, senza la necessità di cercare funzioni d’uso altre e incompatibili con l’edificio e la sua storia. La sommità occupata dal Castello e le zone limitrofe sono conosciute per la ricchezza dei rinvenimenti archeologici almeno dal XVII secolo quando venne ritrovata l’iscrizione di M. Cornelius Crescens. Nel 1824 Gian Girolamo Orti Manara pubblica i risultati degli scavi condotti nell’area del Castello, nel suo volume

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08. Dall’alto della cortina muraria: sulla sinistra il mastio e, sullo sfondo, il Forte Preara. 09. Veduta d’insieme del Castello al termine dei lavori dellaprima fase. 10. Progetto Sandrini: rilievo del degrado sul prospetto esterno della cortina muraria. 11. Progetto Sandrini: conservazione e rifunzionalizzazione della polveriera austriaca. Piante, sezioni e prospetti esterni.

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Memoria storica sul Castello di Montorio segnalando il rinvenimento di un grosso muro di terrazzamento oltre ad elementi architettonici e iscrizioni funerarie romane reimpiegate nelle strutture del Castello. Dà notizia inoltre del rinvenimento di 38 monete databili tra il 348 ed il 12 a.C. oltre a tre monete imperiali del 104, 268 e 276 d.C. Sulla scorta dei risultati di scavo giunge alla conclusione che il sito occupato dal Castello fosse in età romana già sede di una struttura fortificata. Nel 1950 Giovanni Solinas, a seguito del rinvenimento di abbondanti materiali archeologici, retrodata all’età del ferro le prime frequentazioni dell’area, ipotizzando che l’altura fosse occupata da un castelliere 11

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STORIA & PROGETTO

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(villaggio fortificato situato in posizione dominante). In prossimità della fortificazione, nei terreni di proprietà Pasqua, durante i lavori per l’impianto di vigneti, riemergono tra il 1999 ed il 2001, i resti di abitazioni seminterrate appartenenti ad un villaggio retico occupato tra V e III secolo a.C. e le evidenze di una villa romana. Anche le aree alle pendici del colle sono state spesso oggetto di importanti rinvenimenti soprattutto durante i lavori per la realizzazione della Tangenziale Est negli anni ’90 del XX secolo: in quegli anni si rinvennero una vasta necropoli paleoveneta, tratti dell’acquedotto romano proveniente da Montorio e almeno tre ville rustiche di epoca romana. Se in età protostorica l’abitato era localizzato attorno alla sommità del colle, in età romana la popolazione preferì stanziarsi in pianura dove successivamente si sarebbe sviluppato l’abitato di Montorio. Sono molti, infatti, i rinvenimenti di ville romane (anche di alto livello, del tipo urbano-rustico) che sono avvenuti nel territorio della frazione scelta in antichità come luogo d’otium per la ricchezza d’acqua e l’amenità del paesaggio.

12-13. Esterno e interno della polveriera austriaca. 14. I segni della stratigrafia del luogo all’interno del recinto murario a fine lavori. 15. Blocco parallelepipedo di calcare bianco di riutilizzo, con bassorilievo raffigurante scene di concia delle pelli, probabilmente coevo all’edificazione della chiesa. 16. I lavori di scavo archeologico durante il 3° stralcio della seconda fase. 17. Progetto Rossetto: planimetria finale al 2013, comprendente i ritrovamenti delle ultime campagne di scavo.

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Anche nella recente campagna di indagini archeologiche (2006 e 2011-2013), sono stati rinvenuti importanti reperti. Gli scavi, che hanno interessato l’area della chiesa castellana, non solo hanno riportato alla lucei resti dell’edificio del XII secolo successivamente trasformato in epoca veneta e austriaca, ma hanno restituito degli importanti reperti di notevole interesse. All’esterno dell’angolo nord-est della chiesa è stato recuperato un grosso blocco di calcare bianco con un bassorilievo raffigurante un arco poggiante su capitelli e lesene, con tutta probabilità proveniente da un recinto funerario romano, mentre dalle macerie interne un blocco di calcare frammentario con iscrizione sacra. Gli scavi hanno confermato, anche per il Castello di Montorio, la comune pratica di reimpiego di materiale antico, come testimoniano quelli individuati nelle murature all’esterno della chiesa: da segnalare nell’angolo nord-est una lastra in calcare bianco recante il gioco del filetto o mulino e nell’angolo nord-ovest di un bassorilievo raffigurante scene di concia delle pelli, di epoca medievale.

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Committente Comune di Verona Direttore Area Lavori Pubblici: ing. Luciano Ortolani Responsabile del Procedimento ing. Sergio Menon - Dirigente Edilizia Monumentale prima fase Progetto esecutivo e direz. lavori prof. arch. Arturo Sandrini collaboratori arch. Simone d’Aumiller, arch. Andrea Silvestroni progettazione strutturale prof. ing. Lorenzo Jurina sicurezza ing. Luca Sandrini seconda fase progetto esecutivo 1° stralcio prof. arch. Arturo Sandrini - Ufficio Edilizia Monumentale direzione lavori ing. Sergio Menon collaboratori geom. Viviana Tagetto, arch. Simone d’Aumiller direzione operativa per il restauro Cristiana Beltrami sicurezza ing. Andrea Pogliaghi

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Progetto esecutivo e direz. lavori 2°-3° stralcio arch. Valter Rossetto Collaboratori arch. Laura Scarsini, arch. Nicola Moretto, arch. Massimo Bazzerla sicurezza ing. Elena Targa – Contec AQS Cronologia Prima fase Sandrini: 2002-2004 Seconda fase Sandrini/Uff. Edilizia Monumentale 1° stralcio: 2008-2009 Seconda fase Rossetto 2-3° stralcio: 2011-2013

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L’Alta Pianura Veronese: immagine di un paesaggio rurale contemporaneo Una ricerca sulle relazioni tra la condizione del paesaggio agricolo produttivo e la frammentata, indifferente estensione della città contemporanea

Testo, Foto e Disegni: Alvise Allegretto, Giorgio Renzi

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Nei primi anni del secolo scorso Frank Lloyd Wright si interrogava sui possibili sviluppi della città contemporanea. Le sue idee furono raccolte in The Disappearing City, nel 1932, e solo pochi anni dopo presero forma attraverso il celebre modello della Four Square Mile Community, con il nome di Broadacre City. La realizzazione di questo modello ha rappresentato, e rappresenta tutt’ora, l’occasione per riflettere sull’architettura di una nuova possibile città, espressione di quella sana estetica, essenza e immagine – sap and leaves – di un popolo e dei suoi valori. La famosa maquette di Wright rappresenta una porzione di città che ha la possibilità di scrivere quasi da “zero” la propria trama e la relazione con 02 gli elementi naturali. Guardare agli stessi temi oggi, in un territorio ur- constatazione del progressivo degrado cui sembra banizzato come quello dell’alta pianura veronese inevitabilmente destinato questo territorio lasciato ci pone in relazione con problematiche completa- a se stesso. mente differenti, in primo luogo con un palinsesto Alle realtà rurali abbandonate si sommano infatestremamente stratificato ed un contesto che sem- ti oggi i relitti della modernità. Aree industriabra lasciare ben poche possibilità alla costruzione di li dismesse, cave attive e abbandonate, discariche, nuovi possibili scenari. e cave che oggi si sono trasformate in discariche, In quest’ottica cambia l’approccio di chi si interroga assieme ad una grande quantità di spazi degradati sulla trasformazione di questo territorio. Il piano di non vegetati. Realtà facili a dimenticarsi non apriferimento delle riflespena vengono meno le sioni si sposta da una condizioni che ne ave«Se la dicotomia rurale-urbano è valutazione delle increvano determinato la in fase di superamento non lo è tanto necessità, e spazi fisici dibili possibilità ad una presa d’atto di una reale destinati all’accumulo in virtù della nuova concezione necessità. dei rifiuti che la città, territoriale quanto dell’estensione La condizione di emernel proprio equilibrio genza relativa al consu- dell’urbano all’insieme del territorio» osmotico, necessaria(André Corboz, Ordine Sparso. mo e allo sfruttamento mente produce e riversa dei suoli della pianunella campagna. Saggi sull’arte, il metodo, la città ra dipende dalla relatiL’immagine di città che e il territorio, 1998) va brevità delle singole ne ritorna è quella di esperienze economiche una confusa agglomerae dalla proporzionale rapidità con cui le rispettive zione di attività, di manufatti e scarti che da questrutture di governo e di produzione diventano ob- ste pratiche sono generati. La logica della produsolete. zione e la molteplicità delle esperienze individuali L’emergenza architettonica di molti dei manufatti sono i soggetti principali di una guerra senza prerurali – un tempo strutture di dominio territoria- cedenti, proiettata al controllo forzato dello spazio le, oggi complessi monumentali abbandonati nella necessario alle attività di sostentamento della città campagna produttiva – pone le basi per l’osserva- estesa. Una guerra che nella pianura padana ha lazione dello stato di abbandono del paesaggio rura- sciato ovunque rovine: un’incredibile alluvione di le veronese ad una scala più ampia, nonché per la rifiuti che a valle della fascia prealpina caratterizza

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01. La Pianura Veronese, modello in scala 1:100.000 con indicazione della distribuzione delle Corti Rurali e del Brano di Alta Pianura di riferimento. 02. Relitto rurale in area produttiva a San Martino Buon Albergo. 03. Broadacre City, Frank Lloyd Wright. Foto della famosa maquette del 1934 (3,2x3,2 Km). 04. Brano di Alta Pianura di riferimento. Dettaglio Fotopiano (3,2x3,2 Km).

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SAGGIO

L’Alta Pianura Veronese

Elementi dello spazio pubblico In nero gli spazi pubblici potenziali e di interesse collettivo: cave abbandonate ed in uso, aree abbandonate o in attesa di una nuova destinazione, corti rurali abbandonate; in giallo: centri storici, corti rurali in uso e trama del reticolo di strade bianche; in verde i parchi pubblici esistenti.

Estenzione delle attività pesanti nel sistema ambientale In verde le aree boscate, i parchi territoriali istituiti e i SIC (Siti di Interesse Comunitario); in nero: attività pesanti, aree industriali e commerciali; in azzurro il reticolo idrografico con l’indicazione puntuale delle risorgive.

Forme di produzione agricola In giallo l’estensione dei suoli agricoli produttivi: seminativi, frutteti, vigneti, orticolture; in nero la distribuzione delle culture coperte (serre).

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le nuove geografie urbane complice il rapido sviluppo delle attività produttive e delle infrastrutture dell’ultimo secolo. Molti di questi scarti necessitano un ripensamento: posseggono il potenziale per poter rispondere a questioni legate alla salvaguardia ambientale alla tutela del patrimonio agricolo della pianura padana. All’interno di queste geografie, inoltre, una gran parte degli spazi sono spesso inaccessibili; proprio questa loro condizione di marginalità rafforza l’inerzia al cambiamento e alle trasformazioni all’interno delle nuove dinamiche in atto. La condizione dell’alta pianura veronese è emblematica delle geografie appena descritte, per la presenza di intensi fenomeni industriali e delle nuove forme di produzione agricola che condividono con l’incredibile ricchezza di segni del passato e i brani superstiti di paesaggio naturale uno stesso ambito territoriale. I manufatti rurali raccontano di una passata gestione sinergica del territorio. Gli spazi dell’abbandono contemporanei rappresentano invece gli scarti di quell’esperienza di crescita, che alla prima possi-

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bilità di cambiamento ricerca costantemente nuove e più vantaggiose strategie di sviluppo, senza però impegnarsi a risolvere problemi e contraddizioni delle esperienze precedenti. Decriptando il supporto infrastrutturale contemporaneo – palinsesto –, emerge l’incredibile complessità dei tracciati passati oggi brani disconnessi di percorsi territoriali alternativi. Le strade bianche, oggi spesso privatizzate, sono un’importante eredità del patrimonio rurale, richiedono un ripensamento di ruolo e sono strutturali in una possibile riconfigurazione territoriale. Hanno la potenzialità di garantire una nuova centralità a quei contesti figurativi dispersi nel paesaggio produttivo. Come in tutti i territori dove l’agricoltura ha subito una trasformazione in favore del modello industriale, nell’alta pianura veronese è in atto una radicale semplificazione della maglia tradizionale degli elementi paesistici. Questo processo di impoverimento del paesaggio viene rafforzato dalla parallela estensione delle monoculture: la tecnica e la chimica agraria consentono di falsificare il limite del naturale sviluppo delle essenze agricole estendendo

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05-07. Evoluzione brano di Alta Pianura a San Giovanni Lupatoto dal sistema a piantata, alla scomparsa della piantata fino all’assetto attuale. 08-10. Evoluzione delle forme di irrigazione in Alta Pianura dal sistema dei canali di risorgiva al paesaggio della bonifica e delle canalizzazioni in calcestruzzo fino all’irrigazione delle serre 10. Contrasti in aperta campagna, Zevio. 11. Una corte monumentale abbandonata, La Maffea di Santa Maria di Zevio.


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transizione a nuovi metodi di produzione che mirano alla massimizzazione costituiscono le basi per la diffusione del paesaggio delle serre che nell’alta pianura veronese è tra i più estesi d’Italia, queste coprono una notevole superficie di suoli agricoli liberi nella fascia dell’alta pianura asciutta grazie alla facilità di recuperare risorse idriche attraverso pozzi collegati direttamente alla falda acquifera profonda. La piantata padana sta lentamente scomparendo, con essa l’immagine di quel “mare di filari” raccontato dalle cronache di guerra in periodo napoleonico che rendeva impossibile ai militari la visione completa della campagna da attraversare. La lettura dell’evoluzione dello spazio aperto at-

traverso il confronto di carte storiche restituisce la cifra qualitativa di queste trasformazioni. L’abbandono delle corti, superstiti evidenti di un passato modello di organizzazione e gestione del paesaggio, rappresenta la cartina tornasole di un processo ben più esteso. L’incredibile quantità di manufatti abbandonati o sotto utilizzati registrata negli ultimi anni descrive l’entità e la scala del fenomeno del degrado paesistico e la reale condizione di emergenza. Un’osservazione più accurata fa emergere le relazioni che intercorrono tra i differenti tipi di manufatto e organizzazione spaziale rurale e la loro resistenza alla trasformazione, che ne ha determinato l’obsolescenza.

13-14. L’abbandono in area rurale (44% delle corti): il caso della Corte Zizzetta a Zevio dalla ricostruzione della condizione originaria alla situazione attuale di abbandono in rapporto alle trasformazioni del paesaggio agricolo. 15-16. L’abbandono in area urbana (27% delle corti): il caso della Corte Radici a San Martino Buon Albergo dalla ricostruzione della condizione originale in aperta campagna alla situazione attuale di abbandono in area industriale.

le culture più redditizie anche sui terreni che non hanno una vocazione specifica per le stesse. Ciò che ne deriva è un paesaggio agrario fortemente uniforme con una forte riduzione del mosaico dei biotopi umidi in relazione alle misure di riordino della rete dei corsi d’acqua minore. È su questo paradossale contrasto tra la frammentarietà di nuova urbanità in continua espansione e la reazione estensiva di un’agricoltura votata all’industria che si è giocata la costruzione del paesaggio rurale contemporaneo. Parallelamente tra i principali problemi dell’estensione del tessuto urbano in area agricola ha un notevole impatto la riduzione del reticolo idrografico più minuto e dei sistemi di circolazione naturale delle acque. L’adattamento a questa condizione e la

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17. Carta della distribuzione delle corti abbandonate nell’Alta Pianura Veronese (dimore complesse a corte e Corti Monumentali): in nero le corti abbandonate. 18. Abaco dei tipi di manufatto rurale dell’Alta Pianura Veronese. In senso orario: dimora familiare; dimora plurifamiliare; dimora complessa a corte; corte monumentale.

L’analisi del fenomeno dell’abbandono alla scala territoriale sottolinea infatti l’esistenza di una reale relazione (in termini percentuali) tra il grado di complessità degli agglomerati rurali (da casa a blocco a casa a corte) e le forme di riconversione; quindi tra la dimensione e la specificità dei manufatti e i motivi intrinsechi della loro difficoltà di adattamento ai nuovi modelli produttivi ed insediativi. Oggi il 37,6% delle corti rurali e monumentali dell’alta pianura veronese è in stato di abbandono o di forte sottoutilizzo. La riqualificazione di questi oggetti, dei segni e degli elementi costitutivi del territorio nel loro insieme siamo convinti possa rappresentare un’importante risorsa, in termini di salvaguardia ambientale e di recupero della qualità estetica di un paesaggio agricolo unico nel suo genere.

L’articolo è un estratto della ricerca affrontata dagli autori nell’ambito della tesi magistrale “Il Parco della Pianura Veronese. Progetto di un paesaggio rurale contemporaneo”, Università IUAV di Venezia, A.A. 2012-2013, relatore prof.ssa Paola Viganò. http://parcodellapianuraveronese.tumblr.com/ 18

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Una mostra e un’installazione in occasione del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri è l’occasione per riscoprire la chiesa di Sant’Elena, nel complesso del Duomo di Verona

Testo: Luisella Zeri

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Nel gergo cittadino, quando parliamo di Duomo, la prima immagine visualizzata è quella della grande chiesa dedicata a Santa Maria Assunta, in realtà, a far parte dell’aggregato architettonico in riva all’Adige concorre un altro gruppo di preziosi manufatti. Il complesso del Duomo è costituito dalla chiesa di S. Giovanni in Fonte, dal Chiostro dei Canonici, dalla Biblioteca Capitolare, dal Museo Canonicale e dal Vescovado. In ultimo, l’edificio meno conosciuto ma cronologicamente più importante: la Chiesa di S. Elena. Storicamente questo piccolo manufatto è la prima traccia veronese di complesso basilicale: sulle sue fondamenta, ampliamento dopo ampliamento, è sorta la cattedrale che oggi conosciamo. La chiesa è in realtà dedicata ai Santi Giorgio e Zeno, ma la tradizione popolare la riferisce a Sant’Elena in quanto, durante la consacrazione avvenuta tra l’842 e l’847 d.C., vennero deposte sull’altare alcune reliquie della Santa Croce di Gerusalemme, portate a Roma secondo la leggenda dalla Santa imperatrice madre di Costantino. La chiesa è legata alle origini romane della nostra città ed è testimone di stratificazioni successive. La tradizione, mai confermata da campagne archeologiche di scavo, vuole che nei pressi dell’attuale edificazione trovassero luogo le terme pubbliche e un antico tempio dedicato a Minerva. Se la preesistenza romana non è mai stata avvalorata da alcun ritrovamento, le testimonianze paleocristiane sono invece state confermate dagli scavi condotti tra il 1960 e il 1970. Il risultato di queste ricerche è visibile all’interno della chiesa tramite un’ampia apertura realizzata nel pavimento. Questi resti lasciano poco spazio all’immaginazione facendo intuire ai visitatori che l’attuale edificato è stato il risultato di una nuova costruzione avvenuta su resti antichi databili attorno alla prima metà del IV secolo. La preesistenza è riconducibile anch’essa al culto religioso, così come riportato nei sermoni del Vescovo Zeno. Nel Versus de Verona viene infatti narrato come, proprio nella zona della città dove ora sorge Sant’Elena, il santo patrono fosse solito recitare gran parte dei suoi discorsi esortando i fedeli a innalzare la propria fede sullo stampo

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dell’edificio eretto nel luogo della predicazione: Esultate, dunque, fedeli, e imparate come costruire l’edificio delle vostre persone da codesto nuovo tempio del quale avete reso angusta la capacità col vostro numero davvero consolante. Dello stesso fatto che il luogo non vi contiene , si comprende che vostra fede contiene Dio. L’interno della chiesa è a navata unica coperta con soffitto a capriate lignee. Seriamente danneggiata dal terremoto del 3 gennaio 1117, la chiesa venne rapidamente ricostruita e consacrata dal patriarca Pellegrino nel 1140. A metà della navata, entro due nicchie ad arco contrapposte, si trovano i due altari laterali, costruiti nel Cinquecento e rinnovati nel Settecento. L’altare di destra è dedicato alla santa Croce e accoglie una pala di Pietro Antonio Rotari raffigurante la Madonna col Bambino fra i Santi Elena, Caterina e Giovanni Nepomuceno, l’altare di sinistra ospita una pala di Giovanni Pietro Salvaterra con Il Redentore e i Santi Francesco di Sales e Filippo Neri. Nell’abside quadrangolare, vi è l’altare maggiore barocco, sul fondo spicca il coro ligneo del XV secolo.

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01-02. Luciana Soriato, Trasfigurazione. Viaggio dall’umano al divino, campo e controcampo dell’installazione. 03-04. Schizzi per l’allestimento dell’esposizione. 05. I libri sospesi sugli scavi paleocristiani nella zona del presbiterio della chiesa di Sant’Elena.


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come gente che pensa a suo cammino. persone e personaggi della divina commedia Chiesa di San’Elena, Verona 24 arile-24 maggio 2015 iniziativa di Banca Popolare di Verona ideato e promossa da Fondazione Credito Bergamasco curatore Angelo Piazzoli curatore letterario Enzo Noris allestimento arch. Stefano De Franceschi dott.ssa Elisabetta Sinigaglia

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Esternamente la chiesa affaccia sopra un piccolo cortile con un porticato cinquecentesco, nella parte superiore della facciata, si può notare l’originale paramento murario romanico, caratterizzato da un alternarsi di fasce in mattoni rossi e marmo. La Chiesa di Sant’Elena è uno spazio nascosto fra i viottoli caratteristici della nostra città, ma nonostante faccia da sfondo a ben più imponenti edifici, ha visto passare fra le proprie mura eventi di un certo rilievo, oggi come nel passato. A testimoniarlo sono le stesse pareti della chiesa: sulla destra dell’ingresso infatti è incastonata una lapide con il ricordo della Quaestio de aqua et terra qui pronunciata da Dante Alighieri il 20 gennaio 1320. Il Sommo Poeta, di passaggio a Verona per completare la Divina Commedia, disquisì oralmente e poi trascrisse, secondo l’abitudine medioevale, rispetto ad alcuni temi riguardanti l’omocentrismo del globo terraqueo in relazione al tema delle terre emerse e sommerse dello stesso. Non poteva quindi che essere la chiesa di Sant’Elena, il luogo ideale per festeggiare

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quest’anno il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Fra il 24 aprile e il 24 maggio 2015, la Fondazione Credito Bergamasco e la Banca Popolare di Verona hanno promosso in questi spazi la mostra dal titolo: “Come gente che pensa a suo cammino. Persone e Personaggi della Divina Commedia”. Per l’occasione sono stati esposti un ciclo di dipinti del bergamasco Angelo Celsi rappresentanti alcuni personaggi della Divina Commedia. I quadri, distribuiti lungo la navata, introducevano con le loro evocazioni letterarie un’installazione site-specific dell’artista veronese Luciana Soriato, dal titolo “Trasfigurazione. Viaggio dall’umano al divino ”. In questa parte dell’esposizione, sul presbiterio, in corrispondenza della grande apertura sugli scavi paleocristiani, era sospeso tramite cavi un ordinato gruppo di libri, mentre sull’abside, come una scenografia di fondo, la visuale era chiusa da una grande fotografia rappresentante un volto coperto da rovi. L’installazione di libri, ispirata a Dante e al Divino, voleva simboleggiare il viaggio che mette in collegamento il corpo dell’uomo e il suo vissuto con l’anima e la contemplazione. La composizione di volumi, rappresentava degli astri disposti in un cosmo ordinato, ciascun libro infatti è titolato “Costellazione” seguito da un numero progressivo che lo ordina rispetto ai suoi vicini. I volumi non mostravano testi e parole, ma segni sedimentati volti ad approfondire i temi concreti della vita in cui la sofferenza accettata crea eventi per nuovi incontri con lo spirito. I libri sono interlocutori per nuovi dialoghi, svelano la luce oltre il buio. La Chiesa di Sant’Elena con la sua posizione nascosta e la commistione di stili che la caratterizzano è uno spazio evocativo che merita una vista, a costo di passare un po’ di tempo a cercarla, così nascosta com’è da più imponenti edifici. La fatica sarà di certo ripagata dalla straordinaria dimensione in cui si verrà catapultati: proiettata all’oggi e permeata dalla storia.

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Un incontro sul futuro del nobile palazzo veronese, patrimonio cittadino in cerca di un riscatto dall’attuale incerto destino Testo: Alessandra Bari

PALAZZO BOCCA TREZZA: SIMBOLO DI RIGENERAZIONE URBANA Verona - 10 aprile 2015

Foto: Diego Martini

Si tratta di una delle tante emergenze italiane: molte archeologie industriali e beni culturali, artistici e architettonici diffusi sul nostro territorio sono lasciati in stato di incuria e abbandono. La maggior parte di questi edifici sono di proprietà pubblica, fatto che spesso diventa più un ostacolo che una facilitazione per il loro recupero. Il Comitato Palazzo Bocca Trezza per Veronetta in collaborazione con il Centro Ricerche Eterotopie ha organizzato nel mese di aprile 2015 un incontro per discutere di questi temi, prendendo il caso di Palazzo Bocca Trezza come simbolo locale di mancata rigenerazione urbana e sociale. L’incontro diventa un pretesto per cercare modelli, azioni, interventi, paradigmi da adattare al contesto e da replicare. Palazzo Bocca Trezza, prima Palazzo Murari della Corte Brà, è un edificio con doppio affaccio su via XX Settembre e via San Nazaro; di impostazione classicheggiante, venne costruito nella seconda metà del Cinquecento. Diviene proprietà pubblica a seguito di un lascito testamentario vincolato da parte della nobildonna Lavinia Bocca Trezza, che nel 1922 lo donò al Comune di Verona affinché venisse conservato come palazzo di pregio artistico e mantenesse la propria vocazione artistica e culturale. La sua complicata

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Promotori Comitato Palazzo Bocca Trezza per Veronetta, Centro Ricerche Eterotopie INTERVENTI Introduzione Sandra Villa, Presidente Comitato Palazzo Bocca Trezza per Veronetta 01

storia lo vide soffrire molto a seguito dell’abbandono in cui fu lasciato dopo l’ultima Guerra Mondiale. Attualmente il palazzo è chiuso dopo aver ospitato per anni l’Istituto Statale d’Arte Nani. L’ultimo intervento conservativo è datato 2008, dopo del quale non è stata prevista né realizzata nessun’altra manutenzione, lasciando l’immobile in uno stato di decadimento tra infiltrazioni di umidità e atti vandalici. Durante l’incontro, in sala erano presenti professionisti, privati cittadini, associazioni e collettivi sensibili al tema, alcuni dei quali già impegnati in questa piccola rivoluzione. Tra i relatori sono stati chiamati anche l’architetto Guido Incerti e alcuni esponenti dell’Associazione Culturale Temporiuso, che hanno presentato progetti di riattivazione temporanea, e non solo, sia italiani che europei.

Tra i relatori, la professoressa Daniela Zumiani accompagnata dal professor Gian Paolo Romagnani, Direttore del Dipartimento TESIS dell’Università degli Studi di Verona, hanno dato disponibilità in nome dell’ateneo ad installarsi nel Palazzo, confermandone la destinazione culturale; e hanno annunciato come prossima la pubblicazione della ricerca su Il Palazzo dalla Corte Murari Brà ora Bocca Trezza nel contesto urbano intorno al nuovo campus di Santa Marta, in cui verrà inserita un’analisi del palazzo e del suo contesto storico. In via di elaborazione, a cura del Comitato Palazzo Bocca Trezza per Veronetta, vi è il Regolamento per la Sussidiarietà dei beni comuni, di concerto con le associazioni veronesi. Come l’architetto Katia Gasparini ha spiegato, “l’obiettivo è quello di creare una rete di associazioni ed enti

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Inquadramento storico di Palazzo Bocca Trezza Prof.ssa Daniela Zumiani, Università di Verona Dott.ssa Marta Vanzetto, consulente legale Il ruolo dei professionisti in un progetto di valorizzazione e rigenerazione per Veronetta Arch. Katia Gasparini, Università IUAV di Venezia Casi studio Ass. TempoRiuso, Milano Arch. Guido Incerti, Università di Ferrara

01. Palazzo Bocca Trezza, uno dei soffitti decorati.

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Rigenerare Bocca Trezza


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pubblici o privati che possano in sinergia proteggere questo bene comune dallo scempio o dall’alienazione”. Il caso di Palazzo Bocca Trezza in realtà è oggetto di attenzioni già dal 2014, quando l’Associazione Culturale Dèsegni ha iniziato ad interessarsi al bene storico-artistico inaugurandone la nuova gestione dei giardini in collaborazione con il

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Comitato Porta Vescovo, ZeroPerCento e Società Cooperativa 3A, attraverso la rassegna cinematografica di documentari “Bridge Film Festival”, primo evento in programmazione. Oggi ha ottenuto dalla Prima Circoscrizione l’uso dei giardini e di un piccolo spazio all’interno del complesso; da gennaio 2015 ne cura il verde e propone periodicamente eventi culturali aperti al pubblico, incontrando tuttavia alcune difficoltà di gestione. Sempre Dèsegni, in collaborazione con Urbanslow, collettivo di osservazione e ricerca del paesaggio urbano, sta elaborando un progetto di più ampio respiro che coinvolge anche il quartiere di Veronetta, contenitore di complessità di difficile percezione da parte dei cittadini veronesi. Quale sarà il destino di Palazzo Bocca Trezza? Durante la conferenza è più volte serpeggiata l’aspettativa di un gesto concreto da parte della amministrazione cittadina. Il “male oscuro – così è stato definito da un collega – forse è qualcos’altro”. Forse siamo noi che non abbiamo ancora sviluppato un’intelligenza e una coscienza collettiva e stentiamo a riconoscerci nei beni pubblici, noi che sempre meno viviamo gli spazi pubblici delle città. La rigenerazione urbana e sociale molto spesso parte dal basso, anche attraverso la consapevolezza di una professione che ormai ha poco a che fare con l’età dell’oro del recente passato. Oggi progettare la riattivazione di un bene architettonico abbandonato

02. Il cancello di accesso da via XX Settembre. 03. Un fregio decorativo. 04-05. Due vedute degli spazi interni abbandonati.

significa sporcarsi le mani, ricercare modelli di gestione collettiva che ormai hanno una definizione sempre più lucida. Giulia Cantaluppi e Matteo Persichino dell’Associazione Culturale Temporiuso di Milano su questi temi hanno scritto un volume (Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono in Italia), utilizzando con tono provocatorio il termine ‘manuale’ per lanciare una sfida continuando a sperimentare e innestare pratiche di riappropriazione e gestione degli spazi. La vera sfida che dovremmo essere tutti in grado di accogliere è quella di potenziare un percorso collettivo a scala regionale fatto di seminari, azioni urbane e workshop, volto a stimolare nuove forme di partecipazione, formare competenze, elaborare strategie attraverso programmi, metodologie e pratiche d’intervento dalla scala della governance territoriale fino alla riattivazione del singolo spazio. In questo modo si potrà costruire un follow-up del progetto collettivo che metta al centro delle agende locali i temi della riqualificazione del territorio, della rigenerazione urbana e della riattivazione del patrimonio dismesso, attraverso nuove forme di imprenditorialità. Auspicando un ampliamento di un network a scala locale e sovra-territoriale, capace di attrarre nuovi agenti di creatività o, come direbbe Richard Florida, talento, tecnologia e tolleranza anche a Verona.

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Com’era verde la mia Valverde

Testo: Maria Giulia Da Sacco

Villa La Valverde si trova sul confine tra Borgo Venezia e il tratto di campagna che separava Verona dal Comune di Montorio. Il complesso della villa e degli annessi rustici che un tempo si trovava in piena campagna, al centro di un ampio fondo agricolo, venne interessato in più riprese dalla crescita della città. In particolare negli ultimi decenni l’espansione urbanistica è penetrata con lingue di cemento nei terreni agricoli e i brani di campagna rimasti hanno spesso assunto un carattere di provvisorietà, come fossero in attesa di un nuovo destino che li trasformasse in aree edificabili. Verona cominciò a espandersi oltre le mura di Porta Vescovo alla fine del XIX secolo, ma fu la costruzione d’insediamenti importanti come Borgo Venezia e Borgo Santa Croce, la Caserma Duca alla fine del secondo conflitto mondiale, e il nuovo e moderno stabilimento Mondadori negli anni ’50, che accorciò le distanze tra città e campagna. Dagli anni ’60 in poi la città si è estesa fino a giungere a ridosso della villa, occupando gran parte di quello che prima era il fondo agricolo. Villa La Valverde è una tipica espressione del paesaggio agricolo veneto, con un insieme di edifici organizzati in un sistema a corte e strettamente legati alla produzione

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agraria. Introdurre il profondo legame che esisteva tra le ville e il fondo agricolo circostante serve a evidenziare quanto sia importante oggi tutelare il contesto agricolopaesaggistico di questi beni culturali di cui non basta salvaguardarne l’architettura, ma è indispensabile estendere la tutela anche al paesaggio circostante in quanto parte di un unico complesso. La villa è un tipo di edificio che caratterizza la maggior parte del territorio veneto. Alla fine del Medioevo, quando le campagne diventano più sicure e inizia il grande investimento della Serenissima nell’economia agricola, nasce la “civiltà delle ville”. La struttura delle prime ville quattrocentesche era quella di un palazzo di città a due piani, strutture spesso quasi fortificate alle quali si aggiungevano le strutture necessarie al lavoro e alla vita nei campi: l’aia dove far asciugare e battere il raccolto, la torre colombaia, i portici detti barchesse, i granai e le cantine, le abitazioni per i fattori. Già nel Veneto rurale del ‘500 la villa era una struttura produttiva complessa attorno alla quale si organizza la vita delle campagne e dei loro abitanti. La Valverde, il cui nucleo originale risale alla fine del ‘400, viene costruita all’inizio di questo percorso di sviluppo agricolo e gli edifici sono rappresentativi ancora di un carattere difensivo, dedicato al lavoro e alla

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A più di un decennio dall’impianto, un nuovo bosco alle porte della città è un esempio di progetto paesaggistico e di riqualificazione ambientale

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01. Il limite dell’espansione urbana rispetto alla villa. 02. Prima della messa a dimora del bosco.

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03. L’estensione del fondo in una vecchia mappa. 04. L’impianto dopo sei anni. 05. Il nuovo ingresso. 06. Villa La Valverde dalla corte interna. 07. Veduta aerea dell’impianto.

produzione, e molto poco agli agi prima sono stati destinati poco più di della villeggiatura delle dimore di quattro ettari di piante da legno ad campagna dei secoli successivi. alto fusto: noci, tigli, frassini, ciliegi La forte connotazione paesaggistica e querce; due ettari invece sono stati che ha oggi il luogo viene dalla destinati bosco naturale con un creazione, su una parte del fondo, impianto che comprendeva numerose di un bosco planiziale, realizzato specie autoctone: Fraxinus excelsior, in base alla normativa europea Quercus cerris, Tilia cordata, Carpinus sui rimboschimenti di pianura e betulus, Quercus robur circondato finanziato da una misura agricola da una cornice di Rosa canina, del PSR Veneto (Programma di Crataegus momogyna (biancospino), Sviluppo Rurale, lo strumento di Euonymys europae, Cornus. Oggi attuazione del complessivamente Fondo Europeo è un bosco di Agricolo di cinque ettari alle Sviluppo Rurale). porte di Verona, « Il progetto di Il PSR e’ redatto rimboschimento tutela entrato di diritto da ogni Regione nel circuito delle la villa da una nuova Fattorie Didattiche e alloca le risorse espansione urbana finanziarie in regionali, base alla priorità in modo fisico e visivo » particolarmente di sviluppo del amato dalle territorio. scuole primarie Una decina d’anni ma anche dagli fa, il paesaggio adulti che possono attorno alla corte era molto sperimentare il contatto con la natura deturpato dalla recente espansione e conoscerne i segreti. edilizia e la scoperta di finanziamenti Dal punto di vista paesaggistico il riservati alla realizzazione di aree progetto ha il pregio di aver creato boschive fu la chiave che spinse a un polmone verde e una barriera fare un progetto di rimboschimento visiva importante, riqualificando che interessasse gran parte dei il paesaggio circostante e creando campi rimasti. Il bosco sarebbe nuova vitalità in un’area che era stato un modo diverso di coltivare rimasta incerta tra una destinazione il terreno, stanco dopo tanti anni di agricola o partecipazione produzione cerealicola, e soprattutto all’espansione della città. un’opera di riqualificazione ambientale e paesaggistica di tutta l’area. Il progetto voleva tutelare la villa da una nuova espansione urbana in modo fisico e visivo e contemporaneamente rigenerare il terreno che in futuro potrà essere utilizzato per colture biologiche. Sono state utilizzate le misure del PSR Veneto per l’arboricoltura da legno e il bosco naturaliforme. Alla

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Progetto paesaggistico arch. Maria Giulia Da Sacco Progetto forestale dott. Giuseppe Lugoboni cronologia Presentazione domanda Misura 8 del PSR (Imboschimento di terreni agricoli): 2001 Messa a dimora delle piante: febbraio 2002 dati quantitativi Superficie rimboschita: 1,60 ha a bosco naturaliforme 4,08 ha a bosco da legno Alberi messi a dimora: 5.200 finanziamento 50 milioni di lire circa (9000 lire/ha) per progettazione e DL. acquisto piante, messa a dimora e pacciamatura. Era inoltre previsto un premio di manutenzione per i primi 5 anni e un premio per mancato reddito per i primi 20 anni.

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bosco della valverde Verona


O Girasole mio

Una rilettura a opera dei quattro fotografi di ÂŤAVÂť sullo straordinario connubio di architettura ingegneria di Villa Girasole, e alcune considerazioni in margine alla recente mostra veronese Testo: Alberto Vignolo

Foto: Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout,

Diego Martini, Michele Mascalzoni

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Immagini tratte dalla campagna fotografica di: Michele Mascalzoni (01, 04); Cristina Lanaro (02, 03).

organismo/meccanismo

L’indagine condotta attraverso gli sguardi dei quattro fotografi che sono soliti arricchire, attraverso i loro obiettivi, le pagine di «Architettiverona», riparte dalle condizioni attuali di Villa Girasole, soggetto al tempo stesso tanto noto – quanto meno a livello di citazione – per la sua eccentrica singolarità, quanto poco frequentato e conosciuto in prima persona, a causa della appartata solitudine di cui gode nella valle di Marcellise, e delle rare occasioni per poterla visitare. La circostanza di questa mostra rappresenta pertanto un pretesto imperdibile per affiancare alla lettura documentaria e a una descrizione didascalica – sulla base dei rilievi, dei ridisegni e dei materiali d’archivio – una presa d’atto di tipo interpretativo, in consonanza con le diverse sensibilità di ciascun autore coinvolto. Si fondono così, filtrate dagli sguardi di Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini e Michele Mascalzoni, la scala dell’edificio e quella del paesaggio, la geometria razionale dell’architettura e quella organica del giardino, lo storicismo della parte basamentale e il meccanicismo della parte rotante, la lucentezza dei metalli e l’opacità setosa dei marmi, l’atmosfera domestica degli interni e quella ferroviaria degli ingranaggi... e il gioco degli opposti può continuare.

La tensione dialettica tra organismo e meccanismo, tra organon e automaton, rende questo questo capriccioso carrillon fuori scala il simbolo non di una contrapposizione, bensì dell’unità di intenti e degli sforzi convergenti tra un committente-ingegnere, visionario e coraggioso, e un architetto sodale e complice, oltre agli altri artisti coinvolti negli interni e nell’apparato decorativo, secondo il principio utopico dell’opera d’arte totale. Una realizzazione di alta ingegneria civile e meccanica assurge così al rango di opera d’arte, secondo l’accezione aulica di oggetto dotato di valenza estetica. Nei confronti del paesaggio della valle, il grande edificio a sua volta è organicamente parte del vasto giardino, mentre ruote, motori e ingranaggi sono pudicamente nascosti all’intradosso e nelle viscere segrete della casa. Visto da lontano, il suo impatto visivo è fiero e assertivo: l’esatto contrario di ciò che oggi sarebbe consentito in nome e per conto del carattere dei luoghi. Anche nei confronti degli imperanti regolamenti, la casa rotante rappresenta una sfida impossibile all’incasellamento classificatorio. Forse oggi qualche zelante funzionario pretenderebbe anche il pagamento del bollo di circolazione in quanto “casa mobile”? In realtà il Monumento, in quanto tale, esula dal Regolamento: ben venga dunque l’eresia, monumento alla folle genialità dei suoi artefici.

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DOCUMENTARE / INTERPRETARE


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monumento/movimento

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La fissità delle immagini fotografiche trascende necessariamente l’idea del movimento rotatorio, che pure nella realtà doveva essere lento e quasi impercettibile. Gli scatti ritraggono così i singoli frame di una ricercata scenografia, perfetta ambientazione per un film esistenzialista dove non succede mai niente, e il massimo dello sforzo per i protagonisti è quello di stare seduti sul terrazzo, un drink sul tavolino, mentre lentamente il punto di vista muta.

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La noia e la pigrizia all’ennesima potenza: il paradosso del movimento è, infatti, che genera la stasi. Siamo nuovamente al limite del paradosso: la casa si muove ma, pur ruotando su se stessa, è sempre nel medesimo luogo. Ben misera conquista, si dirà. Eppure questa avanguardistica macchina celibe mette in crisi l’idea stessa di monumento, associato per ancestrale memoria al concetto di fissità e ieraticità. La meccanica da sempre patisce una cattiva fama, nel parterre de roi delle arti. È dunque

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la poetica della macchina Villa Girasole a Marcellise

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guarda le gallery fotografiche su: www.architettiveronaweb.it/?p=2468

Verona, 7 marzo - 7 aprile 2015 Magazzino 1 - Sede dell’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia

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monumentale l’atrio marmoreo, lo sono i mosaici decorativi dei pavimenti, e anche le statue nel giardino: ma sono monumento ancora più singolare, raro e prezioso i binari disposti ad anello, le ruote e i carrelli ferroviari, gli ingranaggi sporchi di grasso e la magica ralla su cui si impernia l’interno sistema del meccanismo rotatorio. La futurista poetica della macchina

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CONSERVARE/RESTAURARE

Che fare oggi di Villa Girasole? I segni dell’usura non mancano, e non vi è dubbio che al degrado che in molti punti avanza occorra porre fine, così come sia necessario mettere in sicurezza e rendere visitabile questo incredibile luogo. Per farne cosa? Il tema sotteso a questo interrogativo è quello della musealizzazione di un edificio nato come casa d’abitazione, sia pur assai singolare: una casa non più abitata, ma non ancora destinata a

qualcos’altro. Ogni museo mutila necessariamente la funzione originaria di ciò che espone, così come ogni architettura che venga riconvertita ad un uso espositivomuseale perde il primitivo significato per acquisirne uno nuovo. Pur potendo ospitare occasionalmente nei suoi vasti ambienti usi temporanei consoni (incontri culturali, formativi, ecc.), la Villa potrà essere un eccezionale museo di se stesso, reintegrando gli spazi interni della coerente unità di progetto estesa agli arredi e ai complementi, fino a pochi anni fa ancora visibile nella sua totalità. E il movimento rotatorio? È necessario ripristinare tale “lacuna”, rimettendo in funzione gli arrugginiti meccanismi? Forse il vero senso di un restauro necessario

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e auspicabile è quello relativo all’idea della casa rotante, tema sul quale si potranno sperimentare modelli aggiornati e innovativi, come fu la coraggiosa idea di Angelo Invernizzi.

Immagini tratte dalla campagna fotografica di: Diego Martini (05, 06), Lorenzo Linthout (07, 08, 09, 10)

ODEON

A cura di Angelo Bertolazzi, Ilaria Segala, Alberto Vignolo con la collaborazione di Anna Burti, Federica Guerra, Laura Schena Fotografie di Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni Progetto grafico Giulia Lopez Mostra organizzata da Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, «Architettiverona»


Interiors:

Scatole cinesi

L’allestimento degli spazi di accoglienza e l’ampliamento di quelli operativi nella sede di una multinazionale austriaca è l’occasione per costruire una nuova prospettiva entro l’involucro esistente Progetto: Imarchitect / arch. Alessio Fasoli, arch. Andrea Bosio Testo: Laura De Stefano

Foto: Michele Mascalzoni

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Percorrendo una stradella di campagna che si dirama dall’abitato di Caselle, in quel di Sommacampagna, improvvisamente si ha una strana visione: una palazzina tutta a vetri, nel discutibile stile anni Ottanta, si erge maestosa tra le aie e i campi. Non esattamente una “cattedrale nel deserto”, piuttosto una pietosa “cappella”, ubicata in un paesaggio di confine scandito da cavalcavia e tangenziali. In questo contesto si sono ritrovati a lavorare i due giovani colleghi dello studio Imarchitect, Alessio Fasoli e Andrea Bosio, interpellati da una multinazionale austriaca che qui aveva gli uffici della sua unica sede in Italia. Grazie all’aumento dell’attività lavorativa, gli uffici erano da ampliare andando a occupare l’intero piano dello stabile, realizzando anche degli spazi comuni: una sala conferenze, una hall di ingresso e accoglienza e una piccola cucina con annessa sala mensa/relax per i dipendenti. Una autosufficienza irrinunciabile, dato il non-luogo in cui è ubicata la sede. Il budget limitato da criteri di economicità e di efficienza, e i limiti dettati dalle strutture esistenti non sostituibili come serramenti e impianti, sono stati determinanti per lavorare con pochi elementi, coerentemente utilizzati per mettere

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in scena degli spazi che sfruttassero la prospettiva come elemento architettonico principale, cercando di privilegiare la caratteristica morfologica dello spazio a disposizione, caratterizzato da una pianta rettangolare lunga e stretta. Dopo aver svuotato l’involucro, è stato inserito un parallelepipedo destinato alle funzioni comuni, appoggiato sull’esistente, riprendendo la pavimentazione in laminato tipo legno, ma con una colorazione differente sottolineata da un listello a contrasto. Il volume è scandito anche da una controsoffittatura a riquadri, ribassata rispetto alla preesistente, proprio per accentuare il nuovo inserimento. Quando le porte scorrevoli sono aperte, lo spazio è fruibile visivamente con profonda visione prospettica, ed è reso vibrante dalla parete di lamelle lignee, progettate con un’inclinazione tale da schermare le persone sedute nella sala d’aspetto. Questa parete riesce a mutare la percezione che si ha dello spazio secondo la posizione nella quale ci si trova, creando nuove prospettive a seconda del punto di vista. L’uso dei colori scelti e delle essenze lignee impiegate per l’impiallacciatura delle porte e della parete a lamelle, svolge un ruolo

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determinate per conferire eleganza e sobrietà al nuovo intervento. I colori caldi nella tonalità del giallo, utilizzati per le pareti dipinte a marmorino trattato con cera naturale, l’uso di arredi di design molto lineare e l’illuminazione ben

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dosata contribuiscono a conferire all’ambiente di lavoro un’aria accogliente e rilassata.

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01. Dall’area di attesa nella hall di ingresso, l’infilata verso la sala riunioni a lato della parete finestrata. 02. La sala riunioni. 03. Pianta con evidenziata in bianco l’area del nuovo intervento. 04. Sezione longitudinale sulla sala riunioni, l’area di atetsa e la hall di ingresso agli uffici. 05-06. Il corridoio della sala riunioni visto dall’atrio. 07. La parete-filtro dell’area di attesa.


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Stefan Seifert è un graphic designer tedesco specializzato nel type design. Ha lavorato per importanti agenzie europee (Condé Nast, Medialist, Buro MK), e anche come free lance nella città di Verona, che gli è rimasta nel cuore. Qui negli anni Novanta ha trascorso un periodo di grande intensità personale e professionale collaborando con la Stamperia Valdonega di Giovanni Mardersteig al progetto VAL (Valdonega Aesthetic Line). Si trattava di un processo altamente innovativo: il redesign digitale con i nuovissimi mezzi di desktop publishing messi a Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio da dove nascono i suoi progetti.

disposizione da Macintosh delle font della stamperia, originariamente create per la stampa in piombo. Una sintesi avveniristica di eccellenza tecnologica e di saper fare, ancora oggi di grande attualità nelle teorie sul “ futuro artigiano”. Si definisce fedele, gentile e appassionato, ma anche un esteta tenace e determinato nel perseguire il risultato, perfetta combinazione di virtù teutoniche e amore per la bellezza tipicamente italiano.

Testo: Gaia Passamonti — www.pensierovisibile.it

Come hai iniziato a fare il designer, e cosa ti ha spinto? Quando ero giovane fare il designer era ancora considerato un lavoro troppo artistico e poco sicuro dal punto di vista del reddito, per cui i miei genitori erano contrari. Fu proprio questo desiderio di sfida (oltre all’inclinazione fin da piccolo per il disegno e la pittura) a darmi la motivazione per continuare! All’epoca ottenere un posto all’università era difficile, c’erano test molto severi. Nella mia città (Colonia) c’erano solo 30 posti per circa 400 candidati.

Che cos’è per te il progetto grafico, e come lo approcci? Hai un tuo metodo? Ogni volta è come per un attore che deve uscire sul palco. Un misto di paura e attrazione. Lavorare da solo vuol dire avere poche scuse e mettersi in gioco continuamente. Ogni azienda ha esigenze diverse, e quindi ogni progetto parte praticamente da zero. Io in particolare mi occupo molto di logotype, che è settore davvero molto complesso. Alcuni partono dai tanti libri che ci sono sul mercato, cosa che ho fatto troppo di rado nel passato, il che mi dava da un lato

Stefan Seifert. Tra tenacia teutonica e amore per l’Italia, alla ricerca di un’estetica che va oltre la superficie.

GRAPHICS La pagina come luogo da costruire, caratteri e inchiostri come mattoni e pietre. Un territorio del progetto visto dai progettisti del campo grafico veronese. a cura di Pensiero Visibile

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Le immagini riprodotte sono solo a uso dimostrativo, non ne viene fatto uso commerciale e appartengono agli aventi diritto.

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più orginalità, dall’altro però meno ampiezza di visione. Un punto di vista più personale ma più limitato. Oggi faccio inizialmente ricerca sui libri, ma poi li lascio da parte per un po’ e chiedo al cliente un certo lasso di tempo per potermi preparare mentalmente prima di cominciare. Poi scelgo qualcosa che mi ispira, ad esempio una musica (l’ultima volta ho utilizzato la colonna sonora di Interstellar) e lo tengo come sottofondo. All’inizio (se i tempi lo consentono!) lavoro solo la mattina con un paio di tazze di Espresso italiano forte (e assolutamente senza cibo), per al massimo uno o due ore. Con questo metodo cerco di arrivare a una vasta gamma di idee molto diverse tra di loro. Quando mi rendo conto che sto entrando troppo dentro un singolo approccio, lo lascio andare. Alla fine di questa prima fase (la più difficile per me) quando tutto va bene ho più di venti proposte diverse, con delle variazioni aggiunte.

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Cosa ti ispira o ti ha ispirato negli anni? Al primo posto: il fotografo Paolo Roversi (http://www. paoloroversi.com/ diaporama/photographs. html). Poi la donna, la moda, l’Italia, la musica, la pittura classica (Raffaello). E sempre la lunga storia dei caratteri da stampa, soprattutto il periodo rinascimentale.

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A questo punto faccio il primo incontro col cliente, l’appuntamento più importante. È qui che nella maggior parte dei casi si capisce se il lavoro riuscirà bene. Il cliente deve essere convinto e appassionato del mio lavoro. Poi si scelgono una o due strade da proseguire e approfondire, e si comincia il processo di rifinitura, la fase che preferisco.

tristi per le cose che avevi e non hai più, ma di essere felice di averle avute. Difficile da mettere in pratica però! Tragicamente è quasi impossibile per uno straniero mantenersi in Italia senza un aiuto. Con il solo lavoro io non ci sono riuscito. Questo non diminuisce il mio amore per la bellezza italiana, ricca di cultura, benessere, stile.

Qual è il tuo legame con Verona? Bellissimo e tragico nello stesso tempo. Direi quasi che le mie esperienze di vita a Verona sono state l’apice della felicità che ho raggiunto nella mia vita. I cinesi dicono di non essere

Metti più testa o più cuore nel progetto? Cuore. E poi intelligenza, di conseguenza.

Vuoi lasciarci un pensiero? Tutti voi che vivete a Verona, siate felici e non lasciatela.

sinuosità, flessuosità e tenerezza, all’interno la struttura retta dallo scheletro, con le sue componenti dure e spigolose. Credo che fosse questa una delle sfide dell’architettura.

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C’è un rapporto tra la progettazione grafica e l’architettura? Entrambe creano una struttura che sta sotto l’aspetto superficiale delle cose. Per esempio posso paragonare il processo di disegno delle lettere con quello della scultura. Da una parte ci sono le linee laterali, che sono visibili all’esterno, ma sono quelle all’interno che sostengono la stabilità del carattere, come le ossa del corpo umano. La loro ambiguità (intesa in un senso molto positivo, anzi fondamentale per la bellezza!) per me più che in ogni altra cosa si fa vedere nel corpo della donna: all’esterno

www.stefanseifert.com www.seifertalbers.de http://typophile.com/blog/19151

01. Font Memoir Italic 02. Font Memoir Italic con una foto di Paolo Roversi a cui si ispira. 03. Font Girl, lettering Balenciaga accanto a un’immagine di Richard Avedon. 04. AAA: Font Incantation, Urbino, Next. 05. Font Inspiration, lettering Yves Saint Laurent accanto a un’immagine di Hedi Slimane.

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Circondarsi di bellezza è una delle cose più importanti della vita. Eccetto l’amore, si intende.


Collezione Privata

Enrico Fedrigoli: eligere, o l’arte di saper scegliere

Un artista-fotografo per il quale la carta è materia d’espressione, e la conseguente sfida della rappresentazione del suo lavoro a partire dal luogo dove viene elaborato-riprodotto

Testo: Luigi Marastoni

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01. Sul tavolo dello studio alcune stampe della serie Berlino, 1988 (foto di Lorenzo Linthout). 02. In alto, Object à reaction poetique n. 29 e n. 21, 2014, in basso Romeo e Giulietta et ultra, 2000 (foto di Luigi Marastoni). 03. Sulla sinistra, Mostrata sia, 2011 (foto di Luigi Marastoni). 04. Coefficiente di fragilità, 1998 (foto di Luigi Marastoni).

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La materia è elemento fondamentale per Enrico Fedrigoli, sia che tratti di chimica di sviluppo o di fissaggio sia per il supporto, ovvero la carta su cui si stampa l’immagine. La sua fotografia vive di questi momenti ancora distinti, soprattutto nel bianco e nero: la ripresa – esclusivamente con banco ottico con pellicole 10-12 mm –, lo sviluppo e la stampa. È data certa quando smisero di produrre la carta a colori cibachrome, che garantiva una stabilità di stampa pressoché eterna, o le pellicole al tungsteno che permettevano esposizioni di quattro ore per realizzare un’immagine. Processo che è all’origine del volume Ravenna Viso-in-aria (A. Longo Editore, 2003), in cui Fedrigoli utilizza questo tipo di esposizione

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per indagare la città romagnola e le sue molteplici contraddizioni. Ecco perché, a partire da una premessa implicita (...la carta usata per stampare «Architetti Verona» non è adatta per le mie fotografie...), * abbiamo deciso di innescare un gioco di rimando in cui altri fotografi avrebbero immortalato lui e le sue foto negli spazi dove lavora ed espone: uno studio-galleria dove si accumulano le testimonianze della sua ricerca, frammenti che compaiono quasi di sfuggita nelle immagini qui riprodotte. Facile, per chi vorrà approfondire, risalire attraverso il sito web, alle fonti e ai rimandi di ciascuna opera. Qui ora non analizziamo, pertanto, la cifra stilistica dell’arte di Enrico Fedrigoli, il suo operare nel mondo

dell’arte, dell’architettura e del teatro: non parliamo di composizione o di riferimenti, di figure e di trasfigurazioni, di objects à reaction poetique. Qui ora raccontiamo di questo “interesse alchemico” che esprime una riflessione profonda su ciò che oggi si imprime su un foglio di carta: come definire altrimenti i lavori della serie Heliogabalus (2006) in cui l’autore utilizza il viraggio all’oro o al selenio per fissare le immagini sul supporto cartaceo, un metodo utilizzato dalle istituzioni museali nel secolo scorso per catalogare le opere, metodo che garantiva la massima durata della stampa? Non è una visione romantica, la maniera di Fedrigoli, non è artigianalità contrapposta al sistema

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seriale che muove il suo operare, ma una lucida consapevolezza che se lo schermo garantisce una certa qualità solo attraverso l’effetto dato dalla propria luminosità, se le pubblicazioni si avvicinano e necessitano di un supporto cartaceo adeguato, è solo con l’unicità della stampa uscita dal suo laboratorio che si può apprezzare in toto il valore della sua arte. Ecco perché la narrazione di una vicenda attraverso le date e le tappe significative della sua esperienza, per contribuire a spiegare il titolo e un periodo storico. Enrico Fedrigoli nasce nel 1953 a Sant’Ambrogio di Valpolicella, figlio di un costruttore edile. Nel 1965-66 conosce Milo Manara (più grande di lui di otto anni) col quale sarà di casa


Collezione Privata fino alla fine degli anni settanta, e che introduce il Nostro all’arte, alla politica e al clima di quegli anni. Libero Cecchini lo introduce, ancora ragazzino, alla Scuola d’Arte di Sant’Ambrogio di Valpolicella che frequenta fino al 1975. Nel 1973 davanti alla Commissione d’esame di maturità fa scena muta e si fa bocciare per non diventare geometra; inizia a lavorare come carpentiere in uno dei tanti cantieri

della zona. Nel 1978 prende in mano casualmente lo strumento fotografico... Nel 1979, mentre Manara disegna in casa, Fedrigoli smette di dipingere (“aiutato dalla sua presenza e dalla sua capacità, mi è stato semplice diventare consapevole che quella non sarebbe stata la mia maniera d’esprimermi”); * avvia la sua attività di fotografo, attratto

inizialmente dall’immediatezza del mezzo e dalle possibilità di manipolazione dell’immagine che offre. Inizia come fotografo di architettura, lavorando sul Chiostro di San Zeno Maggiore a Verona e sul Bastion 23 ad Algeri, ma presto affianca alla ricerca artistica l’attività di fotografo pubblicitario, in Italia e all’estero. Dall’architettura allarga la propria ricerca ai rapporti spaziali dei paesaggi e alla fotografia del territorio. Nel 1983 documenta fotograficamente il lungo viaggio in India di Manara che è alla base del suo Hp e Giuseppe Bergman; nel 1988 il viaggio a Berlino coronato da una pubblicazione sulla rivista “Area” in una rassegna cui partecipano Luigi Ghirri e Gabriele Basilico. È il momento in cui si sente capace

in pieno di governare lo strumento che ha scelto per esprimersi. È il momento in cui assorbe i miei stimoli di giovane studente di architettura carico di repulsione per l’oggettività e la provocazione nell’arte di allora, e attento allo studio della cultura antica proposta da Manfredo Tafuri come àncora di salvezza per la fine del secolo. Nel 1996, mosso dalla volontà di trovare elementi che “potessero soddisfare la mia necessità d’arte intesa come unione di figure e spazi”, * approccia il mondo dei teatranti contemporanei italiani che gravitano attorno alla città di Ravenna. In particolare, intesse un rapporto profondo e fecondo con Luigi De Angelis, cofondatore con Chiara Lagani del gruppo teatrale Fanny&Alexander, che gli permette

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05. Object à reaction poetique n. 14, 2014 (foto di Luigi Marastoni). 06. Nel corridoio, a a sinistra Le ore felici,2010, a destra La tigre assenza, 2003 (foto di Luigi Marastoni). 07. Nel salone, teca n. 1 Animalia, 2012 (foto di Luigi Marastoni). 07

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in un primo momento di investigare la contemporaneità metropolitana, e in un secondo momento di continuare ad approfondire il mondo classico. Con Fanny&Alexander sperimenta un nuovo rapporto con la scena, che nasce dall’interno dell’opera teatrale: le immagini vengono inserite nel disegno degli spettacoli, e i servizi fotografici accompagnano l’intera gestazione dell’opera. • Una società ex-ingessata è infine diventata liquida: necessita qualche contenitore per ridarle forma. Trovare nuove forme non è mai facile; ma è una

sfida molto stimolante. Utile in questo senso quanto ricorda per iscritto ai suoi studenti la professoressa Galloni: “eleganza viene dal latino eligere, scegliere. L’eleganza è dunque la capacità di scegliere tra più alternative possibili”. 1 * Parole dell’artista.

1 Michele Serra, estratto da «L’Amaca », La Repubblica, 26 maggio 2015.

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enrico fedrigoli

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08-10. Enrico Fedrigoli nello studio con Luigi Marastoni, e mentre sfoglia le stampe di Berlino (foto di Lorenzo Linthout). 09. Camera oscura (foto di Lorenzo Linthout). 11. Concerto per Dorothy, 2009.

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Tra le più recenti esposizioni del lavoro di Enrico Fedrigoli si ricordano le mostre Le ore felici al Museo d’arte contemporanea di Lissone (dicembre 2014febbraio 2015) e Figure al Red Zone Art Bar di San Giorgio di Valpolicella (novembre 2014-gennaio 2015, a cura di Luigi Marastoni). Attualmente sta lavorando alla realizzazione di una sorta di atlante visivo, con la collaborazione dell’artista veronese Beatrice Pasquali. www.enricofedrigoli.com

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Federico Cappellina a San Bonifacio

Testo: Angela Lion

Arrivare allo studio di Federico Cappellina è come raggiungere la meta di un pellegrinaggio: un luogo sperduto, quasi a consolidare il proprio operato nel silenzio di una realtà che nulla ha a che vedere con gli input acquisiti nel girovagare globale. L’ambiente è profondamente materico: campioni di ogni genere – dai rivestimenti tradizionali agli elementi tecnologici di ultima generazione – posizionati lungo una breve scala in cui si apre, al di là di una porta di legno, un mondo tutto da scoprire. Lo IUAV dal 2001, anno in cui si laurea, inizia a stargli stretto: la mente è proiettata altrove, a New York, il grande sogno. Purtroppo quell’anno, dopo la caduta delle torri gemelle, un insediamento nella Grande Mela non era pensabile. Si trasferisce per circa un anno a Milano, lavorando senza fissa dimora in diversi studi di architettura, formandosi sulle pratiche edilizie, i restauri, la progettazione degli interni e non solo. Presso lo studio Caruso-Torricella partecipa ad alcuni concorsi internazionali, tra cui quello per l’Egypitian Museum a Giza. In questo frangente si confronta per la prima volta con un’architettura ‘spinta’, così la definisce. Dopo questo assaggio, Federico grazie all’amico e collega Gianluca Milesi arriva finalmente a New York. La metropoli non è

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poi così dispersiva come sembrava: attraverso dei contatti italiani approda allo studio di Peter Eisenman. Un’esperienza indimenticabile, racconta: “la facoltà di architettura italiana ti rende timido nel progettare, non ti consente di avere una volontà senza limite”. Qui finalmente scopre quella libertà di linguaggio che ricercava. Lo studio è un magazzino di lavoro, fisico e mentale. Eisenman – racconta – teneva nel proprio “arsenale” due plastici di Terragni, che rappresentavano il simbolo di un pensiero purista.

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Conoscere un grande architetto nella quotidianità del suo lavoro è stato l’insegnamento più alto. Dal maestro scopre come i bozzetti siano una risorsa inesauribile: partendo da questi non ci si pone mai una fine, mentre la tecnica aiuta a risolvere i problemi progettuali. Grazie ad AGAV Eisenman, che non aveva mai operato nel nostro paese, approda in Italia proprio a Verona, con la memorabile installazione a Castelvecchio de ‘Il giardino dei passi perduti’. Per una serie di coincidenze è lo stesso Federico

« Bisogna cambiare i caratteri tipologici e portarli verso una lettura contemporanea, così come lo studio delle tecnologie dev’essere approfondito e metodico » a seguire la realizzazione dell’opera, dal progetto all’esecutivo, nell’atelier newyorkese, dove complessivamente rimane per 13 mesi. Tornato in Italia, inizia a progettare in proprio secondo l’insegnamento ricevuto, ‘senza limite’. Nel 2008 la realizzazione a Lonigo di Villa MF segna una tappa importante: un’abitazione unifamiliare dal carattere forte e dalla estenuante ricerca tecnica. Le linee semplici e pulite non lasciano spazio all’imprecisione della forma, dove una semplice scala interna diventa, oltre che elemento strutturale, elemento conformativo dello spazio in cui si colloca. A nessuno dei suoi lavori sembra voler dare una linea di continuità,

01. Lo studio, in alto, e pianta di Villa CP in basso. 02-04. Villa MF, Lonigo: vedute esterne e particolare dell’accostamento di materiali negli interni. 05-06. Villa Negri De Salvi, veduta d’insieme e particolare delle facciate esterne. 03

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07-09. Villa CD ‘Diamante’,San Bonifacio: vedute dei fronti esterni nel contesto del paesaggio agricolo.

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sebbene quel filo conduttore, tacitamente celato, sia sempre percettibile nei progetti realizzati e in quelli a venire. Il restauro di Villa Negri De Salvi (attuale sede municipale) ad Albettone, un lungo lavoro iniziato nel 2005 e conclusosi nel 2011, ha segnato in maniera puntuale una approfondita ricerca della stratificazione negli edifici storici. Un lavoro che ha comportato fatica e grande dedizione: partendo dall’assunto che il progetto non deve adattarsi al progettista o alle condizioni al contorno, Cappellina, adoperandosi per la conservazione del bene monumentale, effettua un lavoro di cesello nella riscoperta e nella capillare analisi degli elementi caratterizzanti la tecnologia costruttiva del manufatto. Non a caso, l’avvicinamento alle moderne tecnologie delle residenze passive e

allo studio delle forme in relazione alle diverse tipologie costruttive, differenziando le parti per funzioni e ambiti, gli ha consentito di perfezionare questo lavoro sulla fisicità dei manufatti. Villa CD ‘Diamante’ a San Bonifacio è il primo di alcuni esempi entro questa linea di ricerca. Un edifico monofamiliare ai margini di una zona agricola, e il suo primo progetto – corre l’anno 2010 – di casa passiva. Il confronto con la normativa e un approccio “costruttivo” con gli uffici tecnici diventano fondamentali. Una approfondita analisi del contesto parte dal limitrofo Palaferroli e dall’adiacente area industriale, ma non essendo stato accolto in origine il nuovo pensiero architettonico, viene presentata una sorta di appendice tipologica al progetto, nella quale vengono esaminati venti esempi in ambito

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agricolo. Un vero e proprio manuale degli elementi e dei caratteri tipologici per spiegarne la filosofia progettuale, da cui si apre un confronto dialettico tra le parti. Si rivela così un problema concettuale molto profondo, ovvero cosa si intenda comunemente per architettura. Non è possibile costruire un’abitazione in tecnica rurale, intesa come povera - sostiene Federico. Bisogna cambiare i caratteri tipologici e portarli verso una lettura contemporanea, così come lo studio delle tecnologie che dev’essere approfondito e metodico. Il fronte su strada a nord, la parete a ovest sviluppata su un lungo corridoio ove batte il sole durante tutto l’arco pomeridiano, porta l’immobile a una resa energetica inferiore ai 15 Kwatt. Arrivare a un risultato importante come la realizzazione di Villa CD è la manifestazione

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10-12. Home SD, Soave: plastico di studio, veduta del cantiere e prospetti. 13-14. Ipotesi progettuale area Cengiarotti, San Bonifacio: plastico di studio e render.

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di quella difficoltà di procedere che nasce dalla non conoscenza e dalla mancata accettazione dell’architettura moderna. Ed è per questo che il lavoro più ostico da affrontare parte proprio dalla committenza e approda agli enti. A Soave sta sorgendo un progetto che ha avuto forti limitazioni da questo punto di vista, a causa di un vincolo paesaggistico determinato dalla vicinanza al centro storico. L’unico progetto di abitazione residenziale con tetto piano esistente nella cittadina risale agli anni Settanta. Questo esempio di casa passiva – Home SD – è ancora più ‘spinto’: volumi architettonici puri, con il ribaltamento della funzione distributiva – l’affaccio della zona giorno è verso monte – dall’effetto scenografico; l’inserimento al primo piano di un schermo intagliato metallico non solo

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crea un effetto decorativo all’interno dell’edificio, ma rende distinguibile e contemporanea l’opera. La continuità del muro di cinta del fabbricato dialoga con la perimetrazione in sasso a vista dell’adiacente area, avvalorando la lettura approfondita di un tessuto territoriale in trasformazione. Il problema iniziale con i Beni Culturali non è stato affatto superficiale: il progetto di per sé si distingueva; quelli che venivano messi in discussione erano i criteri di valutazione. Valutazione che l’ipotesi progettuale Cengiarotti, nel centro storico di San Bonifacio, disattende completamente. Ogni aspettativa di stampo conservativo in questo caso viene meno: la facciata su strada, dal sapore retrò, si inserisce nostalgica di un passato ormai perduto, celando al suo interno un’esplosione compositiva quasi caotica. Anche in questo caso vi è un consapevole richiamo al lavoro di restauro e a un maniacale perfezionismo nella scelta degli elementi e dei materiali. Un’interazione di linee e sovrapposizioni volumetriche in cui si riflette l’articolazione speculare degli elementi bidimensionali. Quanto ritroviamo a terra altro non è che l’immagine riflessa proiettata nella verticalità degli elementi rappresentati. Variazioni cromatiche, pieni e vuoti, matericità in un articolarsi armonioso. Quell’analisi progettuale che si pone ‘senza limiti’.


{DiverseArchitetture}

Contaminazione al piombo

Dal co-working all’impresa per valorizzare l’artigianalità del nostro territorio: un crogiolo di realtà creative all’insegna della condivisione

Testo: Dalila Mantovani Foto: Lorenzo Linthout

Nome lIno’s type Luogo VERONA, vicoletto valle 2 Attività co-working, concept store, comunicazione, stampa Contatto www.lInostype.com

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La parola d’ordine di questa storia è contaminazione. the Fab nasce tre anni fa come co-working

per riuscire infine a concretizzarli e

pianificazione aziendale e l’organizzazione

svilupparli in continuazione.

di eventi, oggi ci sono circa una ventina

L’obiettivo condiviso da tommaso, Matteo,

di persone che lavorano e realizzano idee

dalle teste di pochi amici e collaboratori.

Alessio e Marco – primi fondatori - e dagli

un co-working è una realtà lavorativa tra

altri inquilini di the Fab – opportunamente

individui che condividono, oltre allo spazio

selezionati - è la valorizzazione e la

troviamo uncòMag, ideato da Alessio sartore,

e alle spese, soprattutto dei valori comuni

riqualificazione del nostro territorio, che

un website di interviste a giovani che si sono

di crescita, e questa sembrava la risposta

ognuno compie attraverso il proprio lavoro.

reinventati un lavoro, oggi uscito da the

più adeguata all’idea di unire saperi diversi

in particolare si occupano delle aziende

Fab; salmon Magazine, un network e calendario

per creare un esempio di sviluppo di impresa

artigiane e manifatturiere piene di storia e

eventi per promuovere le attività organizzate

adatto ai nostri tempi. La contaminazione

di saperi, che trovano oggi molta difficoltà a

da associazioni culturali del veronese,

tra capacità ed esperienze diverse, ma con un

ricollocarsi sul mercato.

obiettivo comune, ha fatto nascere la volontà

tra i primi progetti a marchio the Fab

introducendo il mondo digitale all’interno

di creare una rete di professionisti che

di queste realtà, cercano un nuovo modo

offrisse alle imprese del nostro territorio un

per diffondere i loro valori, ridonandogli

nuovo modo di “fare impresa”.

la possibilità di una nuova storia. Dalla

il luogo selezionato per la realizzazione

all’interno di questo contenitore.

comunicazione, all’architettura, alla

di questa idea si trova in una zona del centro storico un po’ defilata, tra via Marconi e corso Porta Palio, che sta riprendendo vita grazie alla ristrutturazione del teatro ristori. Lo spazio era un vecchio laboratorio artigianale di statuine in terracotta, e l’impressione è proprio quella che non sia stato modificato molto dalla sua destinazione originaria. Alle finiture di pareti e pavimento in cemento grezzo, le porte in vecchio legno, i coppelloni del soffitto a vista e le luci al neon, si sono aggiunti tavoli, sedie, libri e tanti computer. the Fab (diminutivo di fab-rica o fabulous) è strutturato con un gruppo di soci fondatori, i cosiddetti resident, che lavorano tra comunicazione e marketing strategico (Amplificatore culturale e sharazad sono

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01, 04. Veduta degli spazi del co-working. 02. Caratteri mobili per la stampa con macchine tipografiche. 03. Macchine tipografiche al lavoro.

due esempi) - attorno ai quali ruotano altre figure di liberi professionisti, che rimangono a the Fab per periodi più o meno lunghi passando successivamente ad altre esperienze. in questo senso il co-working funziona non solo come luogo di condivisione e come metodo anti-crisi per abbassare le spese, ma come un vero e proprio incubatore di progetti, che, dalla testa dell’ideatore, trovano in questo luogo la possibilità di essere discussi e confrontati con la professionalità dei vicini di scrivania, 04

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{DiverseArchitetture}

05. Reparto digitalizzazione. 06. Reparto progettazione. 07. Alcuni dei lavori con stampa a caratteri mobili di Lino’s Type.

05

su formato pieghevole e web; e OniricaLab, un evento–workshop annuale, con tematiche differenti, ma sempre legate al “metterci le mani”: imparare quindi a fare qualcosa con la propria manualità. il progetto più ambizioso e importante, nato quasi in contemporanea con il co-working, 07

è quello di Lino’s type, una idea di grafica vintage realizzata con

trasformare lo spazio di the Fab, ormai

vecchie macchine tipografiche a

arredato dalle macchine tipografiche e i

caratteri mobili, acquistate dalla

tavoli del co-working, in un nuovo incubatore.

tipografia Borgo roma che stava per

È previsto l’ampliamento sul lato della strada principale per aprire un negozio–laboratorio,

chiudere. 06

L’inizio non è stato facile,

proprio come le tipografie di una volta, dove

c’è voluta tutta l’esperienza del vecchio

status di start-up per diventare una vera e

trovare nel medesimo luogo sia la vendita che

tipografo Lino, orgoglioso di trasmetterla a

propria società. in pochi anni ha riscontrato

la produzione, con il valore aggiunto di una

dei ragazzi, passione e impegno per imparare

molto successo, si è meritata l’attenzione

professionalità giovane e trasversale alle

ad usare questi macchinari complessi e

nazionale e internazionale attraverso

spalle, che possa offrire anche il servizio

comunicare al pubblico il valore di questa

articoli di giornale e servizi tv e si sente

di progettazione ampliando il raggio della

“arte retrò”.

pronta per affrontare una nuova sfida.

clientela.

Oggi Lino’s type sta abbandonando il suo

sono infatti in corso via i lavori per

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La commistione tra vecchio e nuovo, passato

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e presente, sembra proprio aver trovato la sua massima realizzazione - e crescita in questo progetto. Guardando al passato, alcuni ragazzi veronesi hanno saputo vedere la chiave per il loro futuro, con in testa solamente l’intuizione di salvaguardare un patrimonio artigiano che stiamo perdendo a causa delle attuali dinamiche economiche che favoriscono i grandi numeri delle multinazionali rispetto alla qualità degli artigiani. in questa direzione the Fab continua la sua missione, e ha nel cassetto il sogno di realizzare un fab-lab a integrazione del co-working (sul significato di fab-lab cfr. «Av» 98, pp. 80-82). il ciclo artigianale tra passato e futuro sarebbe così completo, passando dalle macchine a caratteri mobili alle stampanti 3D. Nelle storie delle diversearchitetture abbiamo incontrato più volte persone che hanno riscoperto un lavoro attraverso la loro

08-09. Macchine tipografiche. 10. Lo spazio del recente ampliamento del negozio al pubblico di Lino’s Type.

manualità, chi come falegname, costruttore o tipografo. A dimostrazione che il mondo di oggi non vuole perdere il sapere artigiano che un tempo vantavamo; basta saperlo riscoprire e reinterpretare per adattarlo al

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mercato di oggi che, confuso tra consumismo e nostalgia, sa ancora apprezzare la storia e il valore della qualità.

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L’industria in Borgo Venezia

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Verona

Il Quartiere Venezia, così come altre aree residenziali extra moenia, vide la luce solo all’inizio del sec. XX con la perdita delle servitù militari che, dal 1517, vietavano la costruzione di edifici per il raggio di un miglio dalle mura della città. Il Borgo, sviluppato lungo la strada provinciale per Vicenza, godeva di una privilegiata posizione strategica, determinata principalmente dalla presenza della stazione ferroviaria di Porta Vescovo, dalle Officine delle Strade Ferrate e dalla stazione del Tramway. Proprio per la presenza di questo importante centro logistico, e favorite dalle agevolazioni fiscali promosse dall’Amministrazione Comunale, diverse attività industriali di piccola e media dimensione si stabilirono nell’area. Ben presto il Borgo assunse l’impostazione di un quartiere operaio, tanto che la Chiesa Parrocchiale, completata nel 1915, venne dedicata a San Giuseppe, patrono dei lavoratori. A seguito di uno sviluppo urbanistico assai complesso e caotico, nonostante l’area prevista per l’insediamento delle attività manifatturiere fosse stata identificata lungo la statale, dirimpetto alle ferrovie, l’intero Quartiere fu presto costellato di industrie. Allargando il Quartiere anche alla porzione limitrofa dell’ex comune di San Michele, sull’area si potevano contare più di 70 attività, tra le quali spiccava il Lanificio Tiberghien (cfr. AV 92), il Calzaturificio Rossi, e il più tardo stabilimento Mondadori (cfr. AV 92). Oggi, nonostante l’identità industriale del quartiere sia stata quasi del tutto azzerata in virtù del rapido sviluppo residenziale avviato nella seconda metà degli anni ’60, permangono ancora alcune interessanti tracce da riscoprire. Testi e Foto: Michele De Mori

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1 1850 Officine delle strade ferrate Situate in prossimità della stazione di Porta Vescovo, le Officine furono uno dei primi stabilimenti nel veronese ad essere organizzati secondo un sistema industriale e ad utilizzare macchine a vapore. L’opificio si occupava della costruzione delle locomotive anche se l’occupazione principale consisteva nella loro riparazione. Inizialmente, vi trovava lavoro una media di 500 addetti. La struttura consisteva in una serie di edifici circondati da un alto muro perimetrale con elementi difensivi situati negli angoli più esposti. Il corpo principale era composto da un edificio rettangolare con una doppia corte interna dove aveva sede il reparto produttivo. La seconda guerra mondiale portò alla completa distruzione dello stabilimento che venne prontamente ricostruito in modo più moderno e funzionale. Oggi, nonostante la riduzione dell’organico e delle attività, le Officine mantengono la propria importante presenza.

A sinistra: Officina delle strade ferrate, anni ‘40. Collezione Lorenzo Facci.

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2 1905 Magazzini Frutta Cipriani - Bianchini

poste sul retro presentano forme assai più funzionali e sintetiche e oggi si trovano in stato di quasi totale abbandono.

Discendente diretta della più antica società per esportazioni ortofrutticole “Bamba, Dolci, Bader”, la ditta Cipriani, attirata dalle grandi possibilità di comunicazione, si installò nelle vicinanze del centro nodale di Porta Vescovo nel 1905. Al tempo era costituita nella forma di cooperativa, raggruppando sotto il suo nome una ventina di piccoli esportatori. Nel 1923 venne edificato, da parte del socio Umberto Bianchini, il grande palazzo che diventerà poi la sede di rappresentanza della ditta, la quale, oltre alla vendita e immagazzinamento di frutta e verdura, risultò essere, per un lungo periodo, l’unica importatrice di banane nella città. I due palazzi che si affacciano sulla statale evidenziano un gusto liberty, mentre le strutture industriali

3 1907 CALZATURIFICIO ARVEDI F.LLI MARTINI - A.G. F.LLI ROSSI Lungo via Betteloni, Paolo e Ferruccio Arvedi installarono nel 1907 un primo laboratorio per calzature che, pochi anni più tardi, venne acquisito dai fratelli Martini, già imprenditori nel mondo calzaturiero. Una seconda, più importante, evoluzione avvenne nel 1918 con l’acquisto dello stabilimento, e del marchio “F.lli Martini” da parte dei fratelli Attilio e Guido Rossi. Con la nuova gestione la ditta ebbe un notevole sviluppo, tanto da diventare, già nel 1936, una delle più grandi attività industriali in città, con circa 1.000 addetti. Nello stesso anno venne avviata una modernizzazione dello stabilimento, con il rifacimento degli edifici su progetto dell’ing. Italo Mutinelli. Nel quartiere le proprietà della ditta comprendevano anche case per dirigenti, negozi e la grande villa padronale. Dopo la cessazione dell’attività buona parte del complesso venne demolito; rimangono oggi visibili solo alcune strutture minori come la mensa.

4 1916 Stabilimenti Meccanici F.lli Chesta POI Biscotteria Zardini

In alto: Stabilimenti Chesta, anni ‘20. Collezione Silvano Morando.

Nel 1916, pochi anni dopo la costituzione della piazzetta dedicata ad Isotta Nogarola, i fratelli Antonio ed Ernesto Chesta edificarono una “Officina di montaggio per costruzioni metalliche”, disposta su un unico piano, affiancata da una palazzina abitativa di tre piani fuori terra. L’attività, che realizzava anche brandine metalliche per i militari, si ampliò notevolmente negli anni ’20. Gli edifici rimasero ai Chesta fino al 1935, anno di vendita di tutte le proprietà, anche se già da qualche anno si era stabilita all’interno dello stabilimento la S.A.I.V. (Società Auto Industriale Veronese), guidata dal Conte Scopoli, che produceva autobotti. La vecchia fabbrica Chesta venne poi rivenduta nel 1941, e in parte continuò a mantenere la sua funzione industriale grazie ad Angelo Zardini, il quale vi trasferì il proprio biscottificio da via Interrato dell’Acqua Morta. Le strutture sopravvissute oggi sono utilizzate come magazzino.

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5 1928 OFFICINE MECCANICHE CESCHI Nonostante l’attività risalga al 1928, fu solamente negli anni ‘40 che i Ceschi trovarono sede presso via Salgari, dove erano precedentemente installati la fabbrica per imballi Tomelleri e il deposito legname della vicina falegnameria Breoni. La ditta lavorava come fornitore per le Officine Adige, per le quali produceva piedi e cilindri idraulici. Tra i diversi prodotti va ricordato il “Tornio a Revolver” e i freni per camion modello “Ardito”. Vi era anche grande collaborazione con la ditta Farina, operante nel campo di macchine agricole; inoltre si producevano forni per cottura in ghisa, e perfino i pistoncini di collegamento per la rete elettrica del tram. Durante la seconda guerra mondiale la fabbrica fu militarizzata e vi lavoravano circa 100 operai. L’attività, rimodernata nel 1961, proseguì in Borgo Venezia fino al 1970 per poi trasferirsi a Poiano mentre le vecchie officine lasciarono posto ad un supermercato.

7 1938 SOCIETÀ ITALIANA OSSIDI FERRO La lavorazione delle terre coloranti, da sempre fulcro della produzione industriale del Quartiere, dopo un primo periodo di grande sviluppo, con la nascita di diversi stabilimenti, vide la quasi completa dismissione degli impianti produttivi negli anni ’60 del Novecento. Dismissione da imputare sia allo sviluppo residenziale del quartiere, sia al cambiamento del mercato e alle nuove tecnologie produttive legate all’innovazione chimica. L’unico esempio tutt’ora rimasto sul territorio è

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6 1921 OFFICINE MECCANICHE PIETRO BENDAZZOLI Come buona parte delle industrie presenti nel quartiere, anche le Officine Bendazzoli erano strettamente legate alla lavorazione delle terre coloranti rifornendo il vicino Colorificio Anti di macchine per la macinazione delle pietre. Le origini della ditta risalgono al 1921 quando Pietro Bendazzoli installò un’officina, sulle preesistenze del Colorificio Tessiore, dedita alla costruzione di parti meccaniche per i mulini e macine. Ben presto venne avviata una produzione parallela legata a macchine utensili per la produzione di imballaggi in legno e in cartone ondulato. Nel 1948 fu prodotta la prima stampante destinata al cartone, derivata, da un modello per legno. Le officine Bendazzoli, che acquisirono anche i fabbricati del limitrofo colorificio Anti, sono una delle poche attività industriali ancora operanti nel quartiere.

rappresentato dalla ditta S.I.O.F., con la lavorazione degli ossidi di ferro. La Società Italiana Ossidi Ferro nacque nel 1923 a Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria, ma solo nel 1938 aprì un secondo stabilimento nel Veronese, acquisendo un’area già utilizzata dal 1926 per la lavorazione delle terre coloranti. Lo stabilimento, oggi attivo, assunse la sua forma definitiva negli anni ‘70, con la costruzione dei due grandi silos cilindrici e delle relative strutture di supporto.

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8 1941 CANAPIFICIO TURRI POI PASTIFICIO ANTONIOLI E OFFICINE ARREDAMENTI VALLI

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Già nel piano comunale di sviluppo dei quartieri del 1924 l’area a Sud del cimitero israelitico aveva iniziato ad assumere una funzione prettamente industriale trovandosi al confine Est del quartiere e non essendo, a causa dei corsi d’acqua che la circondavano, idonea alla realizzazione di aree abitative. In quest’area, nel 1941 Aronne Turri installò un canapificio per la produzione di corde. L’avvento della seconda guerra mondiale portò alla completa distruzione dello stabilimento a causa dei bombardamenti diretti alle vicine officine ferroviarie. Nel dopoguerra, proprio a causa degli ingenti danni, Turri vendette parte della proprietà ad Gianfranco Antonioli il quale, nel 1954, vi costituirà il proprio pastificio, mentre la restante area passò nel 1959 a Filiberto Valli, il quale vi stabilì la propria attività legata alla produzione di mobili. Oggi l’intera area è utilizzata da supermercati ed esercizi commerciali.

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9 1908 Fornace e Fabbrica di Lampade Lebrecht Già impegnati nella produzione di laterizi dal 1876, i Lebrecht acquistarono l’area situata ai confini di San Michele Extra nel 1888. Qui vi edificarono, nel 1890, una “fornace con casa e magazzino” che si sviluppava per due piani d’altezza. Nel 1908 venne costruito anche l’attuale edificio su viale Venezia ad uso “opificio per la lavorazione delle lampade”. La proprietà passò nel 1919 a Flavio e Giuseppe Gioia, i quali continuarono l’attività della produzione di lampade per poi rivendere nel 1924 gli stabilimenti ai vicini F.lli Tiberghien i quali lo trasformarono in un convitto per le lavoratrici che dimoravano lontano dal lanificio. Il convitto era gestito dalle Sorelle della Misericordia e al suo interno, nel 1954, si realizzò la prima chiesa del nuovo quartiere di Borgo Trieste. Passata poi alle cantine Pasqua, la proprietà, venne nuovamente venduta e oggi si trova in abbandono.

10 1912 Fornace Lebrecht La piccola fornace da calce, della quale oggi permane solo la parte inferiore della ciminiera, venne costruita nel 1912 da Danilo Lebrecht e consisteva in un edificio rettangolare di un solo piano. La proprietà passo a Cesare Stegagno nel 1931 il quale demolì l’opificio per ricostruito in forma più articolata composto da tre corpi disposti a creare una corte interna. Nei primi anni ‘50 il complesso venne ampliato e assunse la funzione di magazzino. L’intera area venne donata alla fine degli anni ’70 alla Croce Verde, la quali stabilì qui una delle sue sedi operative. Oggi l’intero complesso giace in grave stato di abbandono.

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12 1934 OFFICINE ADIGE Le Officine Adige iniziarono la loro attività nel 1920 quando i due soci Corazza e Caratti avviarono una prima modesta officina meccanica. La società, ufficialmente costituita nel 1934, si occupava della produzione di rimorchi generalmente per autoarticolati ma persino per mezzi d’assalto delle forze armate. Infatti, durante il periodo bellico, la produzione venne completamente assorbita dalle esigenze militari. Proprio per questo, e per la vicinanza con le officine ferroviarie, durante i bombardamenti del 1945 le strutture vennero completamente distrutte. Ricostruite completamente nel periodo post bellico, le Officine videro un radicale cambio di direzione organizzativa che le portò al trasferimento, nell’agosto del 1958, presso la nuova e moderna sede in ZAI, che divenne ufficialmente operativa nel 1960. Oggi le strutture sono, in buona parte, abbandonate.

11 1919 OFFICINE F.LLI PERUSI L’attività industriale della famiglia Perusi prese vita in via Carducci; qui Emilio Perusi, con il fratello Donatore, avviò un’attività legata alla costruzione di reti in metallo per letti, per poi trasferirsi in Borgo Venezia dove, nel 1936, trovò la sua sede definitiva. L’avvento della seconda guerra mondiale fu disastroso: con la campagna “ferro alla Patria” tutto il ferro necessario per la

produzione venne requisito; inoltre con l’accentuarsi del conflitto la situazione peggiorò ulteriormente. 54 bombe colpirono lo stabilimento che venne completamente distrutto. Nel dopoguerra alla produzione di letti vennero affiancate cucine economiche con stufa a legna e cucine componibili in metallo “all’americana”, che riscontrarono grande successo sul mercato. Oggi del grande stabilimento rimane solo una delle palazzine ad uso direzionale.

13 1956 ACQUARAMA Nel quartiere di Santa Croce, prima ancora della costruzione delle Case INA, Carlo Bonazzi avviò un modesto laboratorio di assemblaggio per impermeabili in Nylon, con alle dipendenze cinque operaie. Rapidamente l’attività passò dal semplice assemblaggio alla produzione diretta di impermeabili, per poi risalire la catena di produzione ed arrivare a fabbricare

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direttamente sia il filo che il tessuto. La crescente attività, denominata “Aquarama” e definita come “Industria confezioni con tessiture e finissaggi propri”, portò, nei primi anni ’60, alla costruzione di un grande stabilimento. L’azienda oltre ad eseguire lavorazioni su tessuti, come la polimerizzazione e filatura per tappeti, produceva diverse tipologie di filati e tessuti sintetici, come polipropilenici per usi tecnici. I fabbricati oggi trovano utilizzo con destinazione commerciale.

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1934 VILLA ROSSI Italo Mutinelli

1948 VILLA CIPRIANI Domenico Battocchia

Negli anni ‘30, l’attività del Calzaturificio Rossi conobbe un grande periodo di sviluppo e affermazione nel campo produttivo; proprio per evidenziare questo successo, il Cav. Attilio Rossi, titolare della Società, fece edificare la maestosa villa alle porte di Borgo Venezia. I lavori per la residenza, che venne completata nel 1934, furono affidati all’Ing. Italo Mutinelli e Pino Casarini, i quali svilupparono un edificio di pieno gusto razionalista. Il corpo principale presenta un porticato scandito da un colonnato dietro al quale si trova il grande portone d’accesso. Anche gli interni riprendono il tono solenne dell’edificio, specialmente nel grande scalone, posto sul retro, contornato da un vetrata che ne segue tutta l’altezza. Da evidenziare la presenza di due pannelli a mosaico realizzati dal Casarini, raffiguranti l’homo faber, artefice della propria sorte, e la sacra famiglia.

La villa, commissionata dall’industriale Enrico Cipriani all’Ing. Domenico Battoccchia, era inserita all’interno del contesto del Calzificio Cipriani, installatosi in Borgo Venezia nel 1933. Purtroppo oggi la villa risulta essere l’unico manufatto ancora esistente di tutto il complesso, demolito nel 2007. L’edificio, che spicca nel quartiere per sua grande volumetria, fu edificato nel primo dopoguerra e si compone di due corpi distinti: uno adibito elusivamente a residenza, l’altro con uffici e magazzini al piano terra. I due diversi corpi sono delineati anche nella struttura: il corpo direzionale presenta una planimetria molto regolare, di forma quadrata, si sviluppa su tre livelli e si caratterizza per l’ampio loggiato presente al piano terra e al primo piano; il restante corpo interpreta la propria posizione ad angolo tra via Maestro Martino e via Bianchini proponendo un’impostazione curvilinea.

01. Disegno pubblicitario delle Officine F.lli Perusi (cfr. scheda 11).

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