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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
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Reclamo al Garante della Privacy Testo: Arnaldo Toffali
Il Consiglio dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Verona nella seduta del 25 gennaio 2016 ha deliberato di aderire al reclamo al Garante per la Privacy promosso dal Consiglio nazionale con circolare n. 172 del 10/12/2015, al fine di poter far emergere al Garante adito che le richieste dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) sono contrarie alla normativa sulla privacy non solo per il Consiglio Nazionale, ma anche per gli Ordini territoriali. Nonostante gli accordi verbali presi con ANAC dai Presidenti della Rete delle Professioni Tecniche e dal Comitato Unitario delle Professioni in una specifica riunione del 14 gennaio 2015, in seguito al ricorso perso al TAR dal Consiglio Nazionale Forense e relativa sentenza, ANAC ha deciso di applicare pedissequamente agli Ordini le norme previste per gli Enti Pubblici. Il Consiglio nazionale ritiene sbagliato che si applichino a consiglieri volontari, e nel caso dei consiglieri veronesi privi di alcuna forma di incentivo economico, “norme previste per chi percepisce un compenso da parte della PA, così come l’ulteriore peso burocratico e di costi che viene caricato sugli Ordini, senza utilità”. È opportuno ricordare che le norme applicabili agli Enti Pubblici prevedono, tra gli altri
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adempimenti, per gli organi di indirizzo politico, la pubblicazione nei siti istituzionali di: - dati reddituali e patrimoniali ex artt. 2, 3 e 4 L.441/1982 a partire dall’insediamento; - dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l’esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società; - dichiarazioni dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche, a partire dall’insediamento, proprie e del proprio coniuge; per parenti fino al secondo grado; - variazioni della situazione patrimoniale intervenute negli anni successivi all’insediamento; - devono essere inseriti anche “gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti”. Tali adempimenti applicati agli Ordini professionali sono contrari per il Consiglio nazionale alla normativa sulla privacy, da qui la richiesta di aderire al reclamo al Garante della Privacy. Si riportano di seguito alcuni “passi” salienti del reclamo al Garante al fine di evidenziare le motivazioni addotte a sostegno del reclamo stesso. « L’ ANAC, con la delibera 21 ottobre 2014, n. 145, ha asserito che la legge n. 190 del 2012 stabilirebbe di applicarsi a tutte le amministrazioni pubbliche considerate dalla normativa sul pubblico
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impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001), e che tale ultima normativa, a sua volta, si rivolge anche gli enti pubblici non economici. Da qui la delibera ritiene “di ritenere applicabili le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui alla l. n. 190/2012 e decreti delegati agli Ordini e ai collegi professionali”, nonché di comminare le relative sanzioni in caso di inadempienza. La delibera ANAC precisa poi che la sottoposizione degli Ordini e dei collegi professionali alla disciplina della legge n. 190 del 2012 implica che “i suddetti enti, pertanto, dovranno predisporre il Piano triennale di prevenzione della corruzione, il Piano triennale della trasparenza e il codice di comportamento del dipendente pubblico, nominare il Responsabile della prevenzione della corruzione, adempiere gli obblighi in materia di trasparenza di cui al D.Lgs. n. 3312013 e, infine, attenersi ai divieti di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi di cui al D.Lgs. n. 39/2013”. Secondo consolidata giurisprudenza, gli Ordini professionali hanno natura di enti pubblici associativi non economici ad appartenenza necessaria [...]. Gli Ordini sono, poi, enti dotati di poteri di autorganizzazione interna, nel senso che, per il proprio operare, possono organizzare liberamente la propria struttura. Nell’ambito delle proprie competenze, gli Ordini emanano atti non soggetti ad approvazione da parte di alcuna
autorità esterna. Gli Ordini, inoltre, sono enti autonomi, nell’ambito dei fini pubblici loro affidati dalla legge. Ciò significa che, sebbene il fine pubblico di cui sono affidatari sia stabilito ab externo dalla legge (la tenuta dell’albo e la tutela della professione, anche attraverso procedimenti disciplinari) gli enti sono liberi di stabilire i modi, i mezzi e le iniziative mediante i quali perseguire tali fini, senza potere essere piegati ad indirizzi esterni e senza che alcuna autorità possa sindacare, ab externo, i mezzi intrapresi per tutelare l’interesse pubblico loro affidato. Gli Ordini sono infine dotati di una autonomia finanziaria, poiché rereriscono i loro mezzi di finanziamento direttamente dalla base associativa di cui sono espressione,o comunque da mezzi propri non provenienti da altri centri decisionali o amministrativi. Gli Ordini (punto 27 della sentenza C-256/11) fissano autonomamente le risorse finanziarie necessarie per il loro scopo e, di conseguenza, l’importo dei contributi da richiedere ai loro membri, determinati da essi stessi in sede assembleare […]. La giurisprudenza italiana (Corte di Cassazione n. 21226 del 14 Ottobre 2011) ha peraltro escluso che gli Ordini siano soggetti al controllo di gestione della Corte dei Conti. E secondo la normativa comunitaria, le “organizzazioni professionali o di categoria” non rientrano nel settore delle pubbliche amministrazioni, ma nel settore ben diverso delle “Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie” (Regolamento UE 549/2013 - SEC 2010). Il mancato assoggettamento a misure di finanza pubblica impone il rispetto delle disposizioni comunitarie in tema di trattamento dei dati personali, secondo cui deve sussistere il rispetto dei principi di liceità nonché di proporzionalità e necessità nel trattamento dei dati personali. Nella specie la richiesta generalizzata dell’ANAC, ed il necessitato invito del CNAPPC, di pubblicare sul sito internet i compensi connessi alla carica, i dati relativi all’assunzione di altre cariche presso enti pubblici o privati e relativi compensi a
qualsiasi titolo corrisposti, gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e indicazione dei compensi spettanti, le dichiarazioni reddituali e patrimoniali è contraria al disposto del citato art. 3, trattandosi peraltro di soggetti non gravanti sulla finanza pubblica, e appare quindi sproporzionata rispetto alle finalità di trasparenza che lo stesso provvedimento normativo intende perseguire, attesa anche l’invasività della pubblicazione dei dati mediante diffusione sul web [...]. Come dimostrato, invece, è lo stesso legislatore ad escludere che gli Ordini professionali siano collocati nella elencazione delle pubbliche amministrazioni di cui si discute [...]. Appare peraltro significativo osservare che la maggioranza dei consiglieri degli Ordini professionali non percepisce alcun compenso per lo svolgimento di tale attività istituzionale; la necessità di applicare le regole sulla trasparenza e anticorruzione di cui al D.Lgs 33/2013 anche a tali soggetti appare, di conseguenza, lesiva delle sovrarichiamate disposizioni in materia di protezione dei dati personali, oltre che del citato principio di proporzionalità di cui all’art. 5 del Trattato dell’Unione Europea. In base a quanto premesso e considerato, l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona, richiede: a) il rispetto della normativa comunitaria in materia di protezione dei dati personali (art. 6, par. 1, lett. c), e art. 7, par.1, lett. c) e d), Dir. 95/46/CE) e delle disposizioni italiane (artt. 3 e 11 del d.lgs 196/2003); b) il richiamo dell’attenzione del Governo sulla necessità di un riesame del D.L.gs 33/2013 e sulla limitata applicabilità di agli Ordini professionali e ai Consigli nazionali in quanto non gravanti sulla finanza pubblica [...]. Si richiede altresì di valutare l’adozione, con provvedimento cautelare, di ogni misura che verrà ritenuta idonea a impedire l’ulteriore diffusione dei dati personali, stante l’invasività della pubblicazione dei dati mediante obbligatoria diffusione sul web».
Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini
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Reclamo al Garante della Privacy di Arnaldo Toffali
Il Bastione nel parco di Marco Cofani
L’eleganza della musealità di Chiara Tenca
Un titolo bancario di Marc Dubois
professione
progetto
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progetto
A lezione di architettura di Lorenzo Marconato
Night & Day di Dalila Mantovani
SAGGIO
PROGETTo
editoriale
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Un architetto come Presidente di Alberto Vignolo
Archeoshopping di Alberto Vignolo
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odeon
La disMappa e il labirinto delle barriere di Alessandra Bari
PROGETTO
Due di due di Chiara Tenca
Munimentum atque ornamentum di Lino Vittorio Bozzetto
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odeon
Amorevolmente: un dialogo con Tobia Scarpa di Federico Puggioni
L’archeologia come valore aggiunto di Brunella Bruno
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odeon
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PROGETTo
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odeon
Urbs capta: resistenza, partecipazione, ricostruzione di Luciano Lorini
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studiovisit
Nicola Bortolaso e Pierlorenzo Vantini a Verona di Angela Lion
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itinerario
Il Novecento in provincia di Federica Guerra
Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIV n. 1 • Gennaio/Marzo 2016
Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona
Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it
Direttore responsabile Arnaldo Toffali
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Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it
Unesco e Verona: le nozze di porcellana di Michelangelo Pivetta
Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it
TERRITORIO
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diversearchitetture
Dai sogni alla memoria: Malacarne e Nosetta di Francesca Castagnini precisazioni
In relazione all’articolo “In attesa dello scatto del verde”, pubblicato su «AV» 103, l’autore Andrea Masciantonio deve sottolineare il contributo del collega Roberto Romanò, originale e primo ispiratore dell’interesse dell’autista distratto.
Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.
copertina Foto: Michele Mascalzoni
Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.
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Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Paolo Pavan T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it
Redazione Angelo Bertolazzi, Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Alessio Fasoli, Federica Guerra, Angela Lion, Dalila Mantovani, Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari, Lorenzo Marconato, Chiara Tenca, Nicola Tommasini, Luisella Zeri collaboratori Alessandra Bari, Sara Polo, Federica Provoli Fotografia Carlo Ambrosi, Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni contributi Lino Vittorio Bozzetto, Brunella Bruno, Francesca Castagnini, Marco Cofani, Marc Dubois, Luciano Lorini, Federico Puggioni Si ringraziano Anna Pasti, la direzione di VeronaIn
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Un architetto come Presidente
A partire dalla mostra vicentina sulla declinazione statunitense del mito palladiano una riflessione sull’impegno di un intellettuale come uomo politico
01. Thomas Jefferson, progetto per la President’s House a Washington, 1792. Maryland Historical Society, Baltimore, MD.
Testo: Alberto Vignolo
Per chi ha visto di recente la bella mostra al Palladio Museum di Vicenza, anglofila declinazione espositiva di una prestigiosissima istituzione culturale qual è il Centro Internazionale di Studi dedicato all’architetto veneto, la figura di Thomas Jefferson (1743-1826) è riemersa da lontani ricordi di scuola per acquisire concretezza e stimolare alcune riflessioni su questa singolare figura di uomo politico. Forse qualcuno ricorda il suo volto, scolpito a dimensioni colossali nel granito del Monte Rushmore assieme a quelli di George Washington, Abraham Lincoln e Theodore Roosvelt: fu uno dei padri della patria statunitense, colui che scrisse materialmente la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, ma fu anche architetto e “pianificatore”, per usare un termine odierno. A lui si deve infatti il disegno del territorio statunitense grazie al tracciamento dei confini degli stati sulla base di una griglia regolare, memoria della centuriazione romana. La mostra, ben documentata e allestita con gustoso estro, ha messo in luce in particolare il rapporto che
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egli instaurò di lontano con il mito del massimo architetto veneto del Cinquecento, conosciuto attraverso i “Quattro Libri” e viaggiando per l’Europa del palladianesimo, senza mai arrivare però a visitare le sue opere dal vivo. Visto d’oltre oceano, Palladio era colui che aveva saputo reinterpretare in maniera colta ma pragmatica la lezione dell’antico; a sua volta, Jefferson ne diede una interpretazione ulteriormente guidata
dalla ragion pratica di costruire non solo le ville per l’agio della nuova classe dirigente americana, ma soprattutto gli edifici simbolo della nascente nazione e delle sue istituzioni: spazi di rappresentanza, ma anche edifici con precise necessità funzionali. Questa inusuale figura di presidente pone in rilievo il ruolo di un intellettuale, e per giunta di un architetto, quale massima espressione
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del potere di una nazione. Cosa da non credere per chi sia abituato, ahinoi, a ben altro status di amministratori della cosa pubblica, a tutti i livelli. Dal “partigiano come presidente” di sanremese memoria ai lasciti di altri cosiddetti statisti – che siano i finti vulcani delle ville smeralde coi lettoni multipiazza o gli oratori dei boyscout toscani – pare assai lontano l’esempio di chi ha saputo guardare al Palladio proprio in quanto espressione di un’architettura repubblicana, quella veneziana. Scendendo a livelli amministrativi a noi più vicini, sembra viceversa che cultura e competenza non costituiscano – fatte alcune sparute eccezioni – elementi di scelta della
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classe dirigente, ove regnano invece appartenenza e cooptazione di casta, acquiescenza al potere e maldestra improvvisazione (ognuno dei lettori potrà sicuramente riconoscere in questi connotati un volto a caso tra le ridenti facce da politichetto). Viene da chiedersi se e quanto l’impegno in prima persona per la cosa pubblica chiami in causa i singoli professionisti, e la categoria degli architetti in particolare. Governare lo spazio e il territorio, interpretare i bisogni dando loro risposte appropriate, gestire la complessità trovando soluzioni realizzabili ed eloquenti, sapere di tecniche ma anche di culture: non sono questi dei requisiti che potremmo attribuire sia al buon
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amministratore che al bravo progettista? È noto dalle cronache come il rapporto tra architetti e politica rivesta invece spesso panni ambigui, ad essere buoni. Chi ce lo fa fare, del resto, di lasciare tavoli da disegno e cantieri per sporcarci le mani con la cosa pubblica? Eppure l’esempio di Jefferson invita a riflettere anche sull’impegno di un intellettuale e sulla sua capacità di curare non solo il proprio interesse, ma anche quello della collettività: un principio insito nel fare architettonico. “Come costruire un mondo nuovo” è un impegno che ciascuno di noi, anche attraverso l’opera apparentemente più marginale, dovrebbe sentire come missione di architetto.
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02. Thomas Jefferson, Monticello, Charlottesville, Virginia. Photo © Filippo Romano. 03. Thomas Jefferson, Rotunda dell’Università della Virginia, Charlottesville. Photo © Filippo Romano. 04. Thomas Jefferson, campus della Università della Virginia, Charlottesville. Photo © Filippo Romano.
A meno di non guardare al “Mondo novo” come i personaggi del dipinto di Giandomenico Tiepolo, con la malinconica nostalgia per un glorioso passato sfiorito e la voluta ignoranza del futuro, a cui mostrano le terga. Anche in questa celebre
immagine uno spirito malizioso potrebbe cogliere le fattezze di un qualche nostro amministratore cittadino: i cui volti non verranno di certo eternati nella pietra dei monti Lessini, salvo essere ricordati in futuro per le facce di bronzo.
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Le immagini sono frutto di una campagna fotografica appositamente realizzata in Virginia nella primavera del 2014 nell’ambito dell’esposizione “Jefferson e Palladio. Come costruire un mondo nuovo”, Vicenza, Palladio Museum, 23 settembre 2015-28 marzo 2016, a cura di Guido Beltramini e Fulvio Lenzo.
PROGETTO
A lezione di architettura
L’apertura alla vita universitaria della Provianda di Santa Marta consegna alla città uno straordinario esempio di architettura militare e un recupero esemplare
Progetto: IUAV Studi e Progetti - ISP
arch. Massimo Carmassi
Testo: Lorenzo Marconato
Foto: Lorenzo Linthout , Michele Mascalzoni (biblioteca)
Verona
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è proprio così: tutti a lezione. In sen- to maggiori rispetto a quelle del Siso figurato, ma anche e soprattut- los di Ponente. Ne è testimonianza to concretamente, dal momento che il fatto che l’iter progettuale e quelsi tratta di un edificio destinato alla lo realizzativo siano stati decisamente didattica. Se questo progetto e la sua più lunghi. Ora, guardando entramrealizzazione sono riusciti in così bre- be i lavori finiti, è altrettanto evidenve tempo, dopo la recente apertura al te che la mano sia la medesima, e che pubblico, a riscuotere un così ampio quella del Silos si possa considerare consenso, sino a guadagnare in un ba- come un’esperienza preliminare rileno la Medaglia d’Oro all’Architet- spetto al recupero della Provianda: tura Italiana della Triennale di Mi- una sorta di prova generale. Sembra lano 2015, un’ottima ragione ci deve infatti di leggere lo stesso atteggiaessere. mento doverosamente conservativo, il Dove andare a cercarla? È sempli- medesimo ragionevole approccio teoce: visitando il compendio di Santa rico, ma, sebbene i tratti comuni siMarta e in particolare la Provianda, ano ovviamente molti in un progetove tutto o quasi si paleserà agli oc- to e nell’altro, l’evoluta raffinatezza chi, poiché l’architettura non ha biso- di alcune delle soluzioni adottate nel gno di commenti restauro appena « Una sfida generata dalla inaugurato, paioma parla efficanecessità di trasformare cemente da sé. Il no testimoniare restauro dell’enon solo l’imporquesto monumento da dificio maggiotanza dell’edifiluogo pressoché chiuso re del complesso cio maggiore, ma in un luogo di studio au s t rou n g a r ic o pure un rapporto programmato per lo rappresenta una ancor più positilezione sulla buovo tra l’architetto scambio culturale » na pratica archie la fabbrica. Con tettonica, sul valore positivo del rap- un tenue e comprensivo sorriso mi porto che si crea tra il monumento e sento di poter dire che testa, matita e l’intervento moderno, nei termini di cazzuola questa volta ancor più hanno funzione, forma e tecnologia. lavorato in ottima sintonia l’una con Facendo un passo indietro, ricordo l’altra, ben sapendo che, soprattutcon nostalgia quando ci occupam- to Massimo Carmassi, coordinatore mo del restauro del Silos di Ponen- del gruppo di progettazione di ISP te, cui dedicammo adeguato spazio (IUAV Studi e Progetti), non da tutto sulla rivista 1. In diverse occasioni ho appagato, amaramente qualche compoi avuto il privilegio di visitare que- promesso avrà dovuto accettare. sto cantiere ben prima che assumes- Le questioni e le sfide offerte da quese l’attuale definitivo assetto 2 , e rac- sto progetto erano molteplici, ma se cogliendo la testimonianza dei tratti analizziamo anche superficialmente, nascosti dalle amabili chiacchierate capiamo che sono quelle che spesso avute con Maria Rosaria Pastore e si ripropongono in ogni tentativo di con Mario Spinelli, direttori tecnici riqualificazione di un edificio storico. dell’intervento 3 . Prima fra tutte per portata è la sfida L’ex panificio ha evidentemente una generata dall’imprescindibile necessicomplessità e una dimensione mol- tà di trasformare questo monumento
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01. Una delle ampie scalinate che dal livello interrato, reso fruibile grazie a uno scavo lungo il perimetro dell’edificio, risalgono alla quota naturale. 02. Planimetria generale: in rosso, il Silos di Ponente e la Provianda. 03. Il fronte verso il futuro parco urbano. 04. Le testate prospicienti dei Silos e della Provianda.
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PROGETTO
A lezione di architettura
05. Una delle corti laterali coperte e ribassate alla quota del livello interrato. 06. La corte centrale con gli elementi del sistema distributivo verticale (scale e ascensore). 07. Sezione prospettica longitudinale.
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da luogo pressoché chiuso, nato con lo scopo di stoccare e produrre derrate alimentari per l’esercito, in un luogo di studio estremamente aperto, funzionalmente programmato per lo scambio culturale, il tutto senza perdere, nemmeno in piccola parte, l’essenza propria del monumento stesso. Questa è di certo la madre di tutte le altre problematiche di un progetto di recupero architettonico o restauro; si ripresenta in tutta la sua complessità ogni volta che si interviene sull’esistente, ma non molte sono quelle in cui, come in questo caso, si può dire che la questione sia stata alla fine brillantemente risolta. Ma poiché è al di sotto della superficie che ho promesso di lanciare uno sguardo, provo ad interrogarmi su come ciò sia stato reso possibile. Evidentemente la chiave di un buon progetto sta nell’equilibrio che si crea tra gli attori: committente, progettista, controllore e costruttore. Quando ognuno di essi interpreta correttamente la propria parte, la sinfonia suona bene. Allora penso al programma funzionale e finanziario assai articolato che deve essere stato sviluppato dall’Università quando l’iniziativa si apprestava a partire, ma anche quando, in quasi 15 anni, il cantiere stesso ha richiesto delle modifiche di questi programmi. Ancora di più la mia immaginazione si attiva, se penso ai cambi di strategia che seguono spesso al succedersi delle diverse governance che reggono proprio l’Università. Penso al peso e all’attenzione che le diverse correnti che percorrono la variegata galassia di docenti ed amministratori cercano di guadagnare in un mare agitato, a volte molto mosso, ove solo un ottimo capitano può condurre la nave verso lidi sicuri. Poi viene la capacità del progettista,
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un gruppo articolato di professionisti e docenti universitari riuniti sotto la sigla ISP, di saper indagare approfonditamente la struttura su cui si è chiamati ad intervenire e di metterla in stretta relazione con i programmi funzionali prima e finanziari poi, elaborati dal committente. Il compito è tutt’altro che semplice, ma questa è l’unica via da percorrere. Difficile rendere l’idea di quale sia realmente la complessità degli studi preliminari che anticipano la redazione di un progetto definitivo ed esecutivo di tale portata, ma tanto più questi studi, rilievi, campionamenti, provi-
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08. Veduta assonometrica della Provianda con evidenziato il livello del sottotetto. 09. Sezione prospettica trasversale sulla corte centrale. 10-11. I percorsi orizzontali nelle corti, riconnessi da ballatoi metallici.
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PROGETTO
A lezione di architettura
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12-13. Vedute di una scala di sicurezza realizzata all’interno dell’edificio. 14. Spaccato assonometrico di una scala di sicurezza.
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ni sono eseguiti in maniera accurata, tanto migliore ed agevole sarà il lavoro di traduzione in progetto delle istanze del committente. In questo caso l’articolata struttura del vituperato ed ormai defunto ISP, fatta di esperti docenti di riferimento, di un formidabile coordinatore, di progettisti troppo poco citati e di ottimi apprendisti, ha costituito – si può dire – la formula magica di questa preziosa alchimia. L’imprescindibile conoscenza del
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manufatto è dunque condicio sine qua non per affrontare il progetto. La teoria del restauro che guida la matita dell’architetto la si legge tutta in queste parole: “Uno stretto percorso che si è snodato tra prestazioni richieste e vincoli imposti, tra i modi dell’usare e del vivere e i modi del conservare e del percepire, è stata la marca faticosa e positiva di questo lavoro: modestia negli accorgimenti, per mai strafare, per mai coprire e cancellare l’esistente, e umiltà nelle scelte progettuali
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volte a perseguire effettivamente un recupero e non un ri-facimento, una ri-strutturazione” (cit. M. Spinelli e M.R. Pastore). In che cosa si è saputo tradurre questa teoria è a vostra disposizione nella Provianda, come nel Silos. Ma proviamo a scorrere velocemente le problematiche e le azioni cruciali che hanno permesso ai progettisti di centrare il bersaglio, soddisfacendo le esigenze del committente, ma anche rispondendo ai numerosi e consistenti vincoli di tipo monumentale, paesaggistico, igienico-sanitario, di sicurezza e genericamente derivanti dalla normativa, le cui istanze sono state presentate da quelli che si possono univocamente definire come controllori in grado di giocare un ruolo di prim’ordine. Pensiamo allora alla necessità di suddividere gli spazi, a
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volte anche in porzioni assai ridotte, in un edificio in cui la trasversalità dei percorsi longitudinali permette ancora di leggere il manufatto nella sua interezza – qui la differenza con il progetto del Silos è marcata – mediante l’utilizzo di diaframmi vetrati e di arredi fissi in grado di governare lo sguardo. Pensiamo all’equilibrio del sistema distributivo esistente, che trova massima espressione nei tre cortili, ora coperti, il cui valore funzionale ed architettonico è portato all’estremo dall’inserimento o dal completamento dei ballatoi che tutto collegano con una sobrietà ed eleganza rare. Pensiamo alla semplicità e assieme alla grande efficacia, in termini di benessere ambientale, ma anche architettonici, delle fonti di luce naturale ottenute realizzando una equilibrata serie di patii, che hanno
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permesso il recupero ai fini abitativi dell’interrato e del sottotetto, bilanciando magari, con soddisfazione del committente, la perdita di superficie utile derivante dal mantenimento nei percorsi orizzontali delle linearità
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15. Uno dei corpi scala originali della Provianda. 16. Spazi distributivi al piano terreno con le tracce superstiti dei forni demoliti e, sul fondo, l’arrivo a terra di una scala di sicurezza. 17. Veduta del livello interrato.
A lezione di architettura
PROGETTO
18. Rilievo del degrado di una porzione di facciata esterna. 19. Le corti sono coperte da una struttura in acciaio e vetro.
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originarie dell’edificio. Pensiamo alla ragionata, forse dolorosa, ma brillantissima scelta di svuotare le testate a nord e a sud dei due corpi avanzati per inserirvi delle imponenti ma aggraziate scale di sicurezza, atte a consentire l’esodo dalle due grandi aule di lettura della biblioteca, giustamente collocata nell’ultimo livello. Ciò ha permesso di soddisfare esigenze funzionali e normative stringenti, senza intaccare l’immagine di forza e austerità dell’edificio dall’esterno. Pensiamo infine, giusto per citare i temi principali, alla razionale maestria dimostrata da architetti e impiantisti nell’arduo compito di domare reti di impianti estremamente articolate e tecnologicamente avanzate, senza irreparabilmente intaccare una struttura così delicata,
concentrando tutto nel poco spazio disponibile e mascherando elegantemente questa complessità dietro a minimali artifici il meglio possibile inseriti nel contesto. Mi sia permesso a questo punto di tornare più sotto la superficie, riprendendo quanto accennato sul ruolo del controllore. Per la Provianda hanno dovuto lavorare alacremente anche i tecnici delle istituzioni, ovvero chi ha esaminato il progetto per conto del Comune di Verona, dell’ASL, dei VVF e soprattutto i funzionari della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici. Un ruolo ibrido, quasi di mediatori, lo hanno pure e con fatica svolto i responsabili dell’ufficio tecnico dell’Università di Verona. Ora provate soltanto ad immaginare quante possono essere state
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Committente Università degli Studi di Verona RUP: arch. Gianfranco Arieti Progettazione IUAV Studi e Progetti - ISP srl Dir. tecnico: arch. Mario Spinelli Coordinamento tecnico: arch. Maria Rosaria Pastore responsabili commessa arch. Stefano Giorgetti (progetto di conservazione, di consolidamento e strutturale), arch. Marco Scanferlin (progetto architettonico, impiantistico e antincendio) Consulenti scientifici Progetto architettonico: arch. Massimo Carmassi Progetto di consolidamento: ing. arch. Paolo Faccio Progetto nuove strutture: ing. Roberto Di Marco Progetto impianti: ing. Mauro Strada DIREZIONE LAVORI IUAV Studi e Progetti - ISP srl DL: arch. Mario Spinelli Vice DL: arch. Maria Rosaria Pastore Assistenti alla DL: arch. Stefano Giorgetti, arch. Marco Scanferlin CSP: ing. Domenico Ferro Milone CSE: ing. Armando Merluzzi Cronologia Progetto definitivo-esecutivo: 2005-2008 Realizzazione: 2009–2015 Dati dimensionali Sup. totale: 25.000 mq
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PROGETTO
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le persone, ciascuna nel proprio ruo- è riusciti ad arrivare al termine dei lalo, chiamate ad esprimersi in merito vori più che onorevolmente, lasciando a questo progetto. Pensate quante le con intelligenza e modestia che il moistanze portate e le soluzioni analiz- numento continuasse ad essere il prozate. Considerate che durante l’iter tagonista dell’intera vicenda. di approvazione, varianti comprese, Quanto vorrei riuscire a trasmettediversi indirizzi sono stati presi an- re il fatto che un progetto, piccolo o che in dipendenza del fatto che sono grande che sia, è certamente una quecambiati, per mostione di carattere tivi amministra« Uno stretto percorso si tecnico, estetico, tivi, alcuni dei è snodato tra prestazioni se volete econocontrollori: per mico, ma è anche esempio tre So- richieste e vincoli imposti, e per buona parte tra i modi dell’usare e printendenti, ciauna questione di scuno con le procarattere umano, del vivere e i modi del prie convinzioni. fatta di relazioni conservare e del percepire » tra persone, attoEbbene dev’essere stato tutt’altro che ri del medesimo semplice fare in modo che una rete di processo. Tanto meno precario è l’einnumerevoli attori, nel rispetto delle quilibrio che si riesce a creare tra gli gerarchie e dei ruoli, entrasse in reci- operatori, tanto migliore sarà il risulproca relazione senza che si palesas- tato finale. Ma è altrettanto vero che, sero dei contrasti, umani e di ordine se il gruppo non identifica un direttecnico, a volte anche forti. Eppure si tore d’orchestra che sappia svolgere
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20. Dal basso, piante dei livelli interrato, terreno, primo e sottotetto. 21-23. La biblioteca nel sottotetto. 24. Una chiostra realizzata per garantire l’illuminazione naturale al sottotetto. 22
il proprio compito nel giusto modo, sarà difficile porre ordine tra le parti. Sinora poco abbiamo parlato di cantiere, ma ciò non vuol dire che, sia in termini temporali che di impegno di risorse, proprio il cantiere sia stato in grado di catalizzare e verificare tutto quanto detto finora. Per la vastità, l’eterogeneità e la complessità degli elementi, visibili e non, di questa fabbrica, entro la quale pur dopo numerose visite ancora qualche volta riesco a trovarmi disorientato, credo sia impossibile rendere a parole la fatica ed il lavoro che sono stati necessari per arrivare al risultato che potete apprezzare. Provo dunque a trarre due pensieri estratti dal testo di Mario Spinelli e Maria Rosaria Pastore, direttori tecnici dei lavori, rispettivamente mano destra e sinistra del professor Carmassi. Essi scrivono: “Sono stati necessari anni di esperimenti in cantiere per sfiorare un risultato accettabile nel recupero, per tangere un’immagine che non tradisca del tutto la storia delle tecniche costruttive tradizionali”. Penso allora a tutta la questione delle finiture, al disegno
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Valerio Terraroli (a cura di) santa marta dalla provianda al campus universitario Cierre Edizioni, 2015, pp. 180
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esecutivo ed alla realizzazione delle scale, delle passerelle, dei serramenti, al restauro ed alla valorizzazione delle stratificazioni delle superfici murarie, penso alla valida scelta di consolidare ed apprezzare il nuovo assetto delle facciate esterne, quasi prive d’intonaco, così come giunte a noi, ma ben diverse da com’erano in origine. Quanto lavoro e quanto sacrificio per ognuno degli encomiabili operatori.
Dispiace solo di non aver potuto apprezzare la destrezza dei progettisti anche nel disegno dei complementi d’arredo mobili, che sinceramente sembrano poco in sintonia con l’ambiente entro il quale sono inseriti, tanto quanto lo è il piazzale asfaltato frettolosamente calato a terra tra Silos e Provianda. E nonostante tutto si è arrivati brillantemente al termine, magari con
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Nel volume promosso dall’Ateneo di Verona sono raccolti studi sulle vicende storiche, economiche, architettoniche e artistiche dell’area urbana di Veronetta, con il focus sugli stabilimenti militari di Santa Marta e sul loro recupero. Contributi di: Gian Maria Varanini, Tiziana Franco, Fabio Coden, Stefano Lodi, Loredana Olivato, Mauro Fiorese, Daniela Zumiani, Maria Luisa Ferrari, Lino Vittorio Bozzetto, Mario Spinelli e Maria Rosaria Pastore.
A lezione di architettura
PROGETTO
Munimentum atque ornamentum
Divagazioni sul tema dell’architettura militare veronese, come un auspicio Testo: Lino Vittorio Bozzetto
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qualche rimpianto o qualche compromesso in più del previsto, producendo di fatto una nuova fabbrica, ma del sapere questa volta, testimonianza del fatto che in 150 anni il mondo è sensibilmente mutato. Questo intervento non può che rappresentare una lezione di buona, anzi ottima, pratica architettonica in generale, ma soprattutto per una città con un patrimonio storico e culturale così ricco come quello di Verona. Un patrimonio sì formidabile, ma altrettanto poco valorizzato, poco tutelato. Panificio e Silos, ora luoghi aperti, senza dubbio diventeranno la vetrina per l’Università di Verona, che qui moltissimo ha investito, garantendosi un futuro auspicabilmente roseo. La città ringrazia, ma rimane colpevolmente inerte. L’Arsenale austroungarico, fratello maggiore del compendio di Santa Marta, attende sofferente, quasi esanime.
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1 Cfr. i contributi raccolti nel numero 85 di
«AV» (2010) e in particolare M. Spinelli e M.R.
Pastore, Dal masterplan per la città agli spazi per la didattica, pp. 25-31. 2 L. Marconato, Lavori in corso alla Provianda di
Santa Marta, in «AV» 96, 2014, pp. 74-77. 3 Di particolare interesse è il contributo di M. Spinelli e M.R. Pastore, L’ex panificio di Santa
Marta a Verona diventa un campus universitario, posto nel volume a cura di Valerio Terraroli,
Santa Marta. Dalla Provianda al Campus universitario, Cierre edizioni-Università degli Studi di Verona, 2015 (cfr. box).
Nel Campo Marzo di Verona, nel settore orientale prossimo a Porta Vescovo, si osservano due capolavori di architettura militare, entrambi recentemente restaurati e restituiti al pubblico godimento per finalità eminentemente culturali. Il bastione delle Maddalene venne edificato nell’anno 1527 secondo le prescrizioni impartite da Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino (1490-1538), celebre uomo di guerra preposto all’esercito della Repubblica di Venezia. È questa la prima opera di moderna concezione fortificatoria eretta a rafforzamento della cinta magistrale di Verona, opera poi osservata come modello dallo stesso Michele Sanmicheli, il quale ne diede una versione più evoluta nei bastioni veronesi di destra d’Adige. Dopo tre secoli, il bastione roveresco delle Maddalene venne ristrutturato nell’anno 1839 secondo il disegno di Franz von Scholl, il più illustre architetto militare absburgico. Lo stabilimento della Provianda di Santa Marta (Verpflegs-Etablissement Santa Marta), costruito negli anni 1864-1865, perfeziona il cospicuo edificio logistico della piazzaforte absburgica: è l’ultimo grande intervento di architettura militare eseguito a Verona, nel vasto spazio urbanistico e militare di Campo Marzo. Il
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progetto complesso, architettonico e tecnologico-impiantistico, viene coordinato da Andreas Tunkler von Treuimfeld, Genie Director a Verona, che si avvale del capitano ingegnere Ferdinand Artmann, per gli impianti tecnologici, e del capitano ingegnere Anton Naredi-Rainer, per l’edificazione e la connotazione stilistica. I due interventi absburgici, situati in diretta, reciproca, relazione spaziale e prospettica, bene rappresentano il grandioso ciclo dei lavori di architettura militare (1833-1866), attuati per ammodernare la celebre fortezza veneta di Verona – in parziale rovina dopo lo smantellamento napoleonico del 1801 – e trasformarla nella piazzaforte cardine del Quadrilatero: munitissima per le sue fortificazioni, dotatissima di edifici di servizio logistico. Piazzaforte di manovra (Manövrier Platz), e piazzaforte di deposito (Depot Platz), era il duplice compito assegnato dal Feldmaresciallo Josef Radetzky a Verona nel teatro di guerra del Lombardo-Veneto. Di quel colossale cantiere, i due lavori qui in argomento rappresentano cronologicamente il complesso svolgimento, dal 1838 al 1865. Ne rappresentano altresì la duplice produzione architettonica: fortificazioni ed edifici urbani di servizio logistico, opere di assai distinta concezione, ma
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entrambe pertinenti alla medesima cultura tecnica ed artistica. Esemplificano negli operatori absburgici la persistenza dell’architettura militare nell’idea classica di architettura universale, cinquecentesca e sanmicheliana. Le due componenti, munimentum atque ornamentum, si manifestano ancora strettamente legate nelle opere militari ottocentesche veronesi. Nel settore fortificato di Campo Marzo, Franz von Scholl (1772-1838), applica un originale criterio, al tempo stesso conservativo e di rinnovamento, operando con ponderato equilibrio e spirito di economia. Il bastione delle Maddalene conserva l’originaria fisionomia architettonica cinquecentesca, pur sottoposto ad una profonda ri-
« La vitruviana bellezza dei due edifici absburgici restaurati rivela l’antico retaggio del primato tecnico e artistico dell’architettura militare veronese » strutturazione funzionale e costruttiva. Nella percezione d’esterno, dalla campagna, l’opera è modificata secondo un disegno di assimilazione mimetica. Gli opposti fianchi del bastione sono dotati del nuovo ordine superiore di artiglieria in casamatta, eliminate le postazioni a cielo aperto. La forma originaria non viene perturbata ma solo corretta, mettendo in opera laterizi e pietre da taglio in completa consonanza tecnologica, costruttiva e cromatica con la struttura originaria. Del tutto diverso il criterio applicato sul fronte interno. Qui i nuovi inserimenti, assai incisivi ed emergenti dal punto di vista figurativo, sono
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25. Il corpo scale principale dell’edificio storico. 26-27. Sezione e pianta del piano terra dai disegni esecutivi elaborati da Anton Nardi-Rainer. 28. Andreas Tunkler von Treuimfeld (1820-1873), tenente colonnello dell’Ingenieur-Corps, direttore della Genie-Direction di Verona dal 1862 al 1866. 29. La Provianda di Santa Marta in una veduta dal Campo Marzio,foto di Moritz Lotze, 1866.
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connotati, per distinzione, dai paramenti murari di pietra d’Avesa, messi in opera con l’apparecchio murario ad opus poligonale, contrassegno stilistico e tecnologico di Franz von Scholl. Risaltano così, anche per la brillante cromia dorata, le due polveriere, inserite nel fronte di gola terrapienato, al termine della rampa discendente verso l’ingresso della poterna centrale. Nello stesso modo si manifestano i due nuovi corpi delle casematte superiori, emergenti. Nelle casematte inferiori l’ardito e ampio taglio delle volte, per favorire l’aspirazione dei fumi di sparo, conferisce allo spazio interno una inaspettata suggestione
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PROGETTO
Munimentum atque ornamentum 30. Pianta delle fortificazioni di Verona detta dell’Autore verde (1550 circa). Particolare del Campo Marzo. 31. G.B. Biancolini, Evoluzione storica delle mura di Verona (1757). Particolare. 32. Francesco Maria Della Rovere, Duca d’Urbino (1490-1538), Governatore generale della Milizia Veneta (dipinto di Tiziano Vecellio).
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di luce. Anche le opere di terra – terrapieno e ramparo – assumono una nuova configurazione, di precisione geometrica tridimensionale, che ne mette in evidenza il pertinente carattere di opere di architettura, a tutti gli effetti. Il dualismo figurativo del bastione ristrutturato dice molto sul talento architettonico di Franz von Scholl; le sue numerose opere veronesi, eseguite dal 1833 al 1842, ancora si conservano, purtroppo con una certa, non lodevole, indifferenza, riservata in verità anche alle opere fortificate del Sanmicheli (par condicio). A chi osserva dall’esterno il bastione
delle Maddalene si presenta, emergente dal ciglio del terrapieno inerbito della cinta magistrale, lo Stabilimento della Provianda di Santa Marta. La simultanea, sinottica percezione in un quadro prospettico unitario delle due opere è quanto di più illuminante si possa sperimentare per comprendere la loro reciproca corrispondenza. Pur distinte per carattere costruttivo e funzionale, esse sono generate dalla medesima fonte di cultura, tecnica e artistica. A venticinque anni dai lavori di Scholl, Andreas Tunkler (18201873), porta a compimento la secolare vocazione militare del Campo Marzo veronese, con la costruzione della Provianda. Si tratta di un opificio protoindustriale ben ordinato: silos per il grano, mulini, motrici a vapore, forni per il pane, magazzini di stoccaggio dei viveri, quartieri per le maestranze, uffici di amministrazione. La complessa macchina tecnologica, dotata delle più moderne attrezzature meccaniche, è accolta e sistemata in una maestosa architettura di pietra e laterizio, stilisticamente ispirata all’e-
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clettismo neomedioevale della Mitteleuropa (Rundbogenstyl). Tunkler, colonnello dell’Ingenieur Corps, affida la definizione architettonica dei diversi edifici della nuova Provianda di Santa Marta al giovane capitano ingegnere Anton Naredi-Rainer. Egli aveva rivelato un fantasioso talento nel progetto di ampliamento e di riforma architettonica di Porta Vescovo, con gli opposti fronti figurativamente distinti: neoclassico verso campagna, neoromanico verso città. Naredi-Rainer, a completamento della Provianda, delinea anche il disegno per la nuova porta fortificata – Porta di Campo Fiore – riservata alla diramazione ferroviaria, da aprire nella cortina presso il bastione delle Maddalene. In quest’opera l’ispirazione è tratta, con pertinente originalità, dal Cinquecento veronese sanmicheliano della porta di San Zeno. I tre lavori absburgici trasfigurano lo spazio urbano di Campo Marzo. In essi si compendia l’architettura della città fortificata absburgica, per fortuna ancora conservata e quasi del tutto indenne. Il quadro paesaggistico è
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33. Franz von Scholl (1772-1838), maggiore generale dell’Ingegnieur Corps absburgico. 34-36. Bastione delle Maddalene: planimetria, pianta e sezioni dei lavori di trasformazione e ammodernamento in età absburgica (1839-40).
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memorabile: se poi si alza lo sguardo verso settentrione, dal bastione delle Maddalene si potrà percepire, ancora per poco tempo, la cinta turrita scaligera di Cangrande, che corona il crinale collinare di San Zeno in Monte, traguardo remoto nello spazio e nel tempo. La vitruviana bellezza dei due edifici absburgici restaurati, messa in risalto nella Provianda dalla perdita, non ripristinata, dell’originario paramento ad intonaco, la loro ingegnosa e pratica funzionalità, la loro esuberante saldezza strutturale, per un provvidenziale tempo senza fine, rivelano, all’osservatore attento, l’antico retaggio del primato tecnico e artistico dell’architettura militare veronese. Scipione Maffei considerava: “...poche cose si trovan qui più meritevoli d’esser vedute d’alcune opere militari, quali sarebbero forse il primo oggetto della curiosità di molti viaggianti se fosser note. Il merito di quest’opere parte nasce dalla magnificenza e parte dall’erudizione...” (Verona Illustrata, Capo V, 1732).
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PROGETTO
Il Bastione nel parco
L’intervento di restauro del Bastione delle Maddalene rappresenta il primo tassello giunto a compimento del grande progetto per l’area della ex Caserma Passalacqua
Progetto: M.P.&T. Engineering - arch. Giovanni Policante Testo: Marco Cofani
Foto: Michele Mascalzoni
Verona
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Salendo sugli spalti erbosi dell’appena restaurato bastione delle Maddalene, la sensazione è quella di ritrovarsi di fronte ad un antico palinsesto ancora in parte da decifrare, ricco di aggiunte, riscritture, annotazioni, cancellature e scarabocchi, anche recenti. A est, entro le mura, appare Veronetta e il suo passato di fortezza militare ormai prossima alla completa riconversione a funzioni civili; mentre a ovest, fuori le mura, si scorge Borgo Venezia, emblema della città del Novecento con le grandi infrastrutture e gli spazi della produzione. Lo sguardo cerca la scintillante Santa Marta, ma viene subito interdetto dai cantieri dell’housing sociale che in parte ne occultano la testata orientale: una scelta urbanistica, questa, francamente poco comprensibile su cui vale davvero la pena di sorvolare, cercando di ingannare gli occhi e portarli a percorre d’infilata la grande spianata di Campo Marzio, dove il pensiero immagina il grande parco urbano che abbraccerà la Provianda sino a raggiungere Porta Vittoria. Voltando a ovest, si viene catturati dal movimentato skyline creato dai ricostituiti terrapieni del bastione delle Maddalene, le cui cortine laterizie conservano sia le tracce dei passati crolli che dei recenti restauri. Si scopre infine che il mondo, “fuori dalle mura” non solo esiste, ma sarebbe anche facilmente accessibile attraverso la vicina stazione di Porta Vescovo, che in futuro non troppo lontano si spera possa rientrare nel progetto di valorizzazione del Parco come, ad esempio, nodo di interscambio per il trasporto leggero. Scendiamo però ora dalla sommità del bastione per scoprirne l’interno. L’intervento di restauro, che di fatto rappresenta il primo tassello effettivamente compiuto del grande progetto di recupero dell’area della ex Caserma Passalacqua, ha dovuto affrontare non pochi problemi, dalle bonifiche preliminari dell’area dai residuati bellici alla scelta della destinazione d’uso sino alle soluzioni tecniche adottate per il risanamento degli ambienti ipogei. Ad opera conclusa, la difficoltà maggiore pare però quella di far uscire questo
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01. La rampa di accesso al bastione e le due casematte superiori. 02. Planimetria generale con evidenziata l’area dell’intervento di recupero. 03. Il fronte esterno del bastione visto da viale Torbido. 04. Dall’alto degli spalti erbosi, in direzione ovest, il quartiere di Borgo Venezia.
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gioiello di architettura militare dall’isolamento in cui si trova rispetto al resto della città. Isolamento che appare non solo “fisico” ma anche concettuale e strategico, per la mancanza di una stretta relazione tra il neonato Centro di Documentazione “Verona Città Fortificata” (ospitato nel bastione e la cuimissione è ancora tutta da perfezionare) e gli altri luoghi della cultura veronese. L’apertura del parco di Campo Marzio e la connessione con la Santa Marta sarà quindi un tassello fondamentale, ma non l’unico, per la valorizzazione di questo luogo.
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05-06. Sezioni delle casematte e, al piede del bastione, la galleria perimetrale di contromina. 07. Veduta del fronte di gola a lavori ultimati. 08. Pianta a livello delle casematte inferiori. 09. Veduta interna di una casamatta inferiore. 07
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Committente Comune di Verona RUP: ing. Sergio Menon Progetto architettonico M.P.& T. engineering arch. Giovanni Policante Consulente storico arch. Lino Vittorio Bozzetto progetto strutture M.P.& T. - ing. Stefano Malagò ing. Alberto Maria Sartori Sartori & Sartori ingegneri progetto impianti M.P.& T. - geom. Gianluca Zordan HTW - ing. Arrigo Andreoli 08
Il progetto di restauro del Bastione si caratterizza dei fumi delle artiglierie: funzione mantenuta dal per i tre differenti ambiti d’intervento: l’interno, progetto di restauro, per garantire i corretti ricamcon il recupero del sistema di casematte del bastio- bi d’aria e permettere ad una lama di luce naturale ne suddiviso su due livelli; il “sopra”, con il ripri- di insinuarsi nel ventre del bastione, interrompendo stino dei terrapieni; l’esterno, con il restauro delle almeno per un attimo la continuità dell’illuminacortine murarie. zione artificiale. Negli spazi interni l’intervento Le aggiunte previste dal progetconservativo si risolve con una to riguardano essenzialmente le « Il movimento imposto chiusure esterne e le pavimenefficace e non eccessiva opera di al parco dall’andamento tazioni, interamente mancanpulizia e consolidamento delle superfici, che mette in eviden- dei terrapieni e i molteplici ti prima dell’intervento, l’imza i differenti materiali e tecpiantistica e l’allestimento. Le punti di osservazione niche costruttive adottati nelle pavimentazioni, secondo rigore sulla città invitano a due principali fasi realizzative: storico, sono in lastre di pietra la prima, quella cinquecentesca, di Prun e si arrestano timidapercorrere in lungo con i possenti organismi laterimente a pochi centimetri dalle e in largo gli spazi » zi pensati dagli architetti della antiche pareti, in maniera quasi Serenissima; la seconda, quella ottocentesca, con la impercettibile. caratteristica tecnica dell’opera poligonale lapidea, I serramenti con vetrocamera e l’allestimento si ca“marchio di fabbrica” del Genio Militare Asbur- ratterizzano per l’ampio uso del legno a vista, per la gico. Fra le modifiche introdotte da quest’ultimo quasi totalità degli elementi: una scelta che in quesono di estremo fascino, nei due ambienti principa- sto contrasta con la tradizione che prevedeva, alli un tempo adibiti a cannoniere, i grandi tagli sulla meno per tutti i manufatti lignei esposti all’estervolta laterizia praticati per permettere l’evacuazione no, l’applicazione di uno smalto protettivo coprente
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direzione lavori M.P.& T. - arch. Cristian Scardoni Cronologia Progetto e realizzazione: 2013-2015 Inaugurazione: 23 ottobre 2015
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Il Bastione nel parco
PROGETTO
10-11, 13. Vedute interne delle casematte restaurate con gli elementi per l’allestimento espositivo. 12. Particolare della poterna di collegamento tra le casematte.
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caratterizzato, nell’architettura militare asburgica, anche da gamme cromatiche codificate. L’uso del legno a vista si nota soprattutto nell’allestimento: tavoli, sedute, mobili, espositori verticali e, in particolare, i grandi totem che ospitano gli schermi multimediali e contemporaneamente celano le macchine per il controllo dell’umidità. Come spesso accade, gli arredi sono stati progettati prima di conoscere il contenuto delle esposizioni, che ancora in gran parte manca poiché il Centro è appena stato istituito. Le reti impiantistiche, in particolare quella elettrica, sono quasi sempre collocate al di sotto dei nuovi pavimenti lungo cui, lateralmente, sono disposti anche i corpi illuminanti delle gallerie e degli ambienti di dimensioni più contenute. Nelle sale principali, l’illuminazione è realizzata con faretti
collocati su un binario appeso alla volta. Anche la stretta galleria di contromina, che attraversa l’intero bastione per circa 200 metri, è stata interamente ripulita, resa visitabile e illuminata con una rete impiantistica totalmente a vista. Il “sopra” del bastione risulta forse l’ambito dove la forza dell’idea progettuale di base – la ricostituzione dei terrapieni “com’erano e dov’erano” in epoca asburgica – si sostanzia nell’intero intervento e dimostra come sia possibile recuperare dalla storia alcune “regole” per il trattamento e la conformazione dello spazio pubblico derivanti da discipline scientifiche apparentemente lontane dall’architettura. Nel nostro caso la balistica e la fisica dei materiali, che hanno contribuito per secoli in maniera decisiva al disegno delle moderne città europee, vetta insuperata della nostra civiltà.
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M.P.&T. Lo studio M.P.&T. Engineering è una società che opera nell’ambito della progettazione civile, industriale, urbanistica. I soci fondatori sono l’ingegnere Stefano Malagò (1961) e l’architetto Giovanni Policante (1962), affiancati dal 1997 dal geometra Gianluca Zordan (1972), e dal 2013 dagli architetti Cristian Scardoni (1978) e Nicola Viviani (1978). Nel 2009 M.P.&T. si aggiudica il concorso europeo per il recupero dell’ambito monumentale delle ex caserme Passalacqua e Santa Marta di Verona. Lo studio è inoltre affidatario del progetto per la riqualificazione e sviluppo del patrimonio culturale, urbanistico ed architettonico dell’area archeologica di Cirene (Libia).
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I terrapieni sono stati ricostruiti riutilizzando gli inerti frutto delle cospicue demolizioni praticate durante le bonifiche dell’area e, successivamente, coprendoli con terreno vegetale adeguatamente “armato” con reti in tessuto. La scelta di posizionarvi all’interno anche i locali tecnici e i servizi sia per i visitatori del Centro che per gli utenti del parco ha ulteriormente contribuito al contenimento dei costi dell’opera. I parapetti metallici che affiancano tutti i percorsi faticano ad integrarsi con l’elegante disegno del suolo ma, non potendo rinunciarvi per questioni di sicurezza, dobbiamo cercare di farli sparire con l’immaginazione. Il “continuo movimento” imposto al parco dall’andamento dei terrapieni e i molteplici punti di osservazione sulla città invitano a percorrere in lungo e in largo gli spazi, attraverso i sentieri realizzati con un calcestruzzo che riprende la tenue colorazione gialla del calcare veronese utilizzato dagli austriaci per gli interventi sul bastione. Le soluzioni formali adottate per il “sopra” del Bastione caratterizzeranno un domani l’intero intervento sul parco che, una volta completo, confidiamo potrà farci nuovamente respirare quel genius loci che ha reso Verona la città
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che ammiriamo ma di cui, forse troppo spesso, dimentichiamo le radici o le mascheriamo con invenzioni di dubbio gusto e nessuna cultura. Scendendo invece dai terrapieni e visitando l’esterno del bastione, cil cui restauro è ascrivibile ad altro progettista, si percepisce come l’intervento conservativo sulle cortine edilizie si sia limitato alla radicale pulizia e al consolidamento dei diversi materiali e superfici messi in luce dai parziali crolli sofferti dal manufatto nel passato. Le stratificazioni costruttive della muratura rimangono quindi pressoché interamente visibili, protette da malte di costipamento e sigillatura dei giunti e di copertura degli elementi più esposti alle azioni delle intemperie. La scelta, di per sé ineccepibile, rimanda ad alcuni interrogativi riguardo la futura manutenzione dell’opera, certamente non agevole e nemmeno ipotizzabile nell’arco di alcuni decenni visti i diversi chilometri di mura sui quali, se le disponibilità lo consentiranno, si dovrà per prima cosa intervenire. Nel medesimo ambito progettuale, altri interrogativi riguardano il consolidamento del tratto di muro che, tra il bastione delle Maddalene e Porta Vescovo, si erge al di sopra delle cortine cinquecen-
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www.mpet.it
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tesche. Per tutta la lunghezza delmuro, realizzatonel tardo Ottocento o forse all’inizio Novecento, sono stati affiancati da entrambi i lati alcuni tiranti in acciaio collegati e fissati, sulle testate, da rozzi capichiave in carpenteria metallica, peraltro già arrugginiti: la scelta conservativa, anche in questo caso corretta nel principio, denucnia però un pensiero progettuale sommario dell’elemento di rinforzo, rendendo poco felice il risultato. A uno sguardo d’insieme non può sottrarsi il confronto tra i due interventi sul bastione delle Maddalene e sulla Santa Marta, entrambi caratterizzati da un approccio di fondo fortemente conservativo ma anche da scelte progettuali molto diverse. Si nota, ad esempio, il differente trattamento delle pavimentazioni interne, che nel bastione ripropone i materiali e le geometrie dell’antico manufatto mentre nella Provianda definisce delle superfici lisce e omogenee, che paiono quasi levitare nel loro minimalismo accanto alle enormi masse murarie in pietra. Oppure il diverso approccio al progetto degli impianti, rispettosi dell’integrità delle pareti nel bastione e invece perfettamente camuffati, sottotraccia, nella Santa Marta. O ancora, l’uso di elementi in legno naturale a vista all’interno del bastione, totalmente assente nella Santa Marta e sostituito quasi sempre con il metallo dipinto a smalto. Si potrebbe continuare, ma in definitiva quello che conta è il ritorno alla città di questi spazi e di queste strutture che ancora stupiscono per la qualità costruttiva insuperata e la bellezza dei luoghi che contribuiscono a definire. Sta ora proprio alla città, e ai cittadini, farle vivere e respirare ogni giorno. A noi architetti rimane la speranza di continuare ad occuparci di queste opere, per non arrestarne il “movimento” e celebrarne ancora una volta la memoria e la bellezza.
14. Dall’alto del bastione, veduta verso il cantiere di housing sociale, e sulla sinistra la Provianda di Santa Marta. 15. Il corridoio della polveriera. 16. Nella sezione è leggibile l’originario sistema di smaltimento dei fumi di sparo con il taglio nella volta della casamatta. 17. Veduta generale del fronte di gola a lavori uiltimati.
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uno sguardo dall’alto Il Bastione delle Maddalene, la Provianda di Santa Marta e il futuro parco urbano in una ricognizione dall’alto che ne mette in evidenza la morfologia e le reciproche relazioni.
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video http://www.architettiveronaweb.it/ category/video-architettura-verona/
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18-19. Un camminamento pedonale in direzione del muro del cavaliere sulla cortina verso Porta Vescovo. 20. Il fianco sinistro del bastione: veduta esterna dopo il restauro.
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PROGETTO
Archeoshopping
La riconversione a spazio commerciale di un palazzo nel pieno centro cittadino ha riportato in luce importanti stratificazioni archeologiche, ora fruibili nel cuore del negozio
Progetto: Benetton Group / arch. Laura Zamboni Testo: Alberto Vignolo
Foto: Alessandra Chemollo / ORCH
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01. Il livello interrato del negozio dove si svelano i resti archeologici. 02. Dal cavedio coperto, la luce naturale arriva al piano terreno negli ambiti definiti dagli elementi del sistema allestitivo. 03. Gli elementi che compongono l’allestimento sono sempre indipendenti dalle murature, lasciate crudamente a vista. 04. Il fronte su via Mazzini, all’altezza delle Due Campane.
Una inattesa e singolare compresenza di importanti ritrovamenti archeologici, fruibili entro la consuetudinaria dimensione dello shopping: è questo uno dei motivi di interesse per l’intervento che qui presentiamo, anche se questo aspetto lo si può rivelare piano piano, scoprendolo come si rinvengono con sorpresa, nel piano interrato dell’edificio, gli antichi resti. Il primo sguardo incontra però il negozio e la sua conformazione, entro un più generico ragionamento sui luoghi del commercio nella città contemporanea e la loro espressione architettonica. Ci troviamo lungo la principale arteria del commercio cittadino, via Mazzini, nel palazzo all’altezza delle Due Campane che ha ospitato per lungo
« Di concerto con la Soprintendenza archeolgica è stata operata la scelta di conservare e valorizzare i reperti in situ mantenendo le stratificazioni »
tempo sportello e uffici di un istituto bancario, e che è stato recentemente oggetto di un cambio d’uso per farne la nuova location del negozio United Colors of Benetton. Fino a qui niente di nuovo, si dirà, si tratta di una dinamica in corso da tempo che, sempre nella centralissima via nuova, ha portato altri edifici a seguire un analogo destino: dall’ex Cinema Marconi all’edificio di Ettore Fagiuoli al Ghetto per la BNL, che ora ospita lo store di Zara, corrispettivo e concorrente spagnolo del Nostro. Una riflessione sulla mercificazione del centro cittadino, sull’invasione dei grandi spazi commerciali a discapito dei piccoli negozi e di altre
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funzioni d’uso ci porterebbe lontani, verso politiche urbane e scelte urbanistiche: ma al dunque, un bel negozio è l’espressione di un progetto architettonico innovativo e accorto, attento agli usi e ai materiali, alle tecniche e alla comunicazione. Di questi aspetti vogliamo dar conto, a testimonianza del piacere di entrare in un luogo accogliente e gradevole che rinverdisce una brillante tradizione che negli ultimi tempi risultava un po’ appannata. Forse non ce li ricordiamo più, ma furono proprio i Benetton con i loro negozi, a partire dagli anni Settanta, a reinventare la tipologia dello spazio commerciale. Si dice Benetton e giocoforza si dice Afra e Tobia Scarpa,
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architetti non solo delle fabbriche e delle sedi direzionali dell’azienda trevigiana, ma anche dei sistemi per l’allestimento e l’arredo dei negozi che, parallelamente all’invasione delle colorate maglie, hanno riscritto le regole dei punti vendita soprattutto nei
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centri storici delle città. Flashback: vetrine trasparenti e prive di fondale, “finestre” aperte sull’interno, niente rigidi banconi e commessi inamidati ma semplici piani di appoggio, scaffali raggiungibili dagli utenti liberi di toccare e provare i capi, telai e menso-
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united colors of benetton Architectural and Interior Design Project Retail Design Department Benetton Group srl Project and Construction Management Engineering Department Benetton Group srl Progetto Architettonico arch. Laura Zamboni progetto strutture SIC Consulting srl progetto impianti Studio Tecnico Soffiati Simone 07
le di ferro e legno, illuminazione che esalta i colori della merce... Un approccio informale che ha fatto scuola e che oggi ci appare normale, ma che per molto tempo è stata la “cifra” dei negozi Benetton. Poi è arrivata la stagione dei megastore: le dimensioni dei locali di vendita sono cresciute, e quei caratteri di originalità e ricerca si sono sfilacciati. Motivo in più per apprezzare oggi un ritorno al DNA delle origini, con il piacere di ritrovare un’atmosfera e un gusto per lo spazio, i materiali e il dettaglio degli elementi strutturanti il negozio. Il nuovo modello, denominato “On Canvas” è stato elaborato internamente agli uffici Benetton e, dopo l’esordio milanese, quella di Verona è stata una delle prime applicazioni. Una aerea sovrastruttura metallica d’acciaio ordina e distribuisce 10
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i vari corner in maniera indipendente dalle pareti, lasciate a vista con la scialbatura delle parti murarie o con la cruda evidenza del calcestruzzo armato. Semplici teli separano in maniera fluida i vari ambiti: un principio altamente dinamico e flessibile, capace di adattarsi ai vari spazi in cui sarà declinato. Appendiabiti free standing, tavoli e ripiani e complementi di arredo arricchiscono il palinsesto dei ferri e dei legni, completati da una combinazione di tablet e monitor; l’illuminazione è affidata a un sistema di blindosbarre in lamiera piegata, che si presta ad adeguare spot e faretti ai necessari riallestimenti. Tutto ciò è sovrastruttura espositiva a servizio della funzione di vendita: il suo presupposto è un corposo lavoro di adattamento degli spazi, realizzato qui con il local architect Laura
Zamboni. L’intervento progettuale ha previsto il completo svuotamento delle strutture dell’immobile, conservando solo gran parte della copertura esistente e le facciate, per consentire l’allestimento su tre livelli di 1.500 metri quadri di superficie commerciale attorno a un vuoto vetrato che dà luce al piano terreno. Il rifacimento dei solai con struttura metallica lasciata a vista rientra in un principio di “denudamento” degli spazi, analogamente all’impiantistica en plen air; i nuovi pilastri sono evidenziati da una fasciatura metallica, mentre le murature dei corpi scala sono in c.a. L’insieme di tali interventi ha comportato l’adeguamento sismico dell’intero edificio con la realizzazione di fondazioni profonde. Proprio durante gli scavi per la posa in opera dei micropali e per l’abbassamento di parte
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collaudo strutture ing. Mario Fiscon imprese Vilnai spa (opere strutturali) Maser Group srl (opere di finitura) Griffante F.lli Impianti srl (impianti) Cronologia Progetto e reealizzazione: 2012-2014
05. Piante ai livelli interrato, terreno e primo; in rosso i ritrovamenti archeologici. 06. Nell’interrato, il corridoio dei camerini di fronte alla preesistenza archeologica. 07. Al piano superiore, gli ambienti disposti nell’ala affacciata su via Mazzini.
PROGETTO
Archeoshopping
08. Il vano in calcestruzzo del nuovo corpo scale a servizio dei tre livelli del negozio. 09. Gli elementi metallici lineari del sistema espositivo consentono molteplici inserimenti di pannelli, velari, mensole e appenderie.
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dell’interrato, dove prima era collocato il caveau della banca, sono affiorate importanti e stratificate testimonianze archeologiche (vedi box). Che fare di tali ritrovamenti? Spesso si levano eminenti grida di dolore per i “quattro sassi” che ostacolerebbero la libera iniziativa, ed è lecito pensare che in una prima fase il ritrovamento abbia comportato una serie di problematiche, dall’allungamento dei tempi di cantiere alla revisione del progetto alla riduzione degli spazi utili. Ma quale straordinaria occasione: facendo di necessità virtù, di concerto con la competente Soprintendenza è stata operata la scelta di conservare e valorizzare i reperti in situ mantenendo le stratificazioni, mentre in un passato neanche troppo lontano la prassi
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è stata quella di rimuovere e musealizzare i reperti (ciò vale in particolare per i mosaici). L’area archeologica – un tratto di mura romane di età repubblicana e frammenti di pavimentazione in mosaico di una domus – campeggia oggi al centro del piano interrato del negozio, attorniata dall’allestimento delle merci: una condizione che rende fruibile al massimo grado i reperti, ricondotti nella dimensione quotidiana dello shopping e non estraniati da una specializzazione funzionale-espositiva. In una fase intermedia del progetto era stato previsto un solaio vetrato al piano terreno sull’area dei resti, soluzione poi scartata in luogo di quella posta in essere, che esalta l’effetto sorpresa una volta scesi nell’interrato.
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Certo è che manca ancora a tutt’oggi – pur essendo stato richiesto dalla Soprintendenza Archeologica, si veda l’intervento che segue – qualsiasi apparato didascalico e informativo riguardo la natura dei reperti. è come se a un capo di vestiario mancasse l’etichetta: niente composizione dei tessuti, temperatura di lavaggio, niente made in... Eppure basterebbe poco per darne conto, la tecnologia oggi lo ren-
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de facile e un video o un tablet ben posizionato risolverebbero la questione. Magari anche con un rimando in una delle vetrine su via Mazzini, così da far conoscere ai distratti passanti quale singolare occasione si presenti loro, tra camicie e magliette, capispalla e paletot, tessere di mosaico e mattoni romani.
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10-11. I resti della domus, attorno ai quali sono disposti gli elementi deputati allo shopping. 12-13. Fasi di lavoro durante il cantiere di trasformazione dell’edificio, con in evidenza i nuovi solai metallici a vista. 14-15. I sondaggi archeologici in fase di ultimazione durante i lavori.
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PROGETTO
L’archeologia come valore aggiunto Un approfondimento sugli esiti degli scavi che hanno permesso l’acquisizione di interessanti dati sulle trasformazioni urbane dell’area in età romana
Testo: Brunella Bruno
Soprintendenza Archeologica del Veneto
In occasione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di via Mazzini 41, destinato al nuovo negozio Benetton, la Soprintendenza Archeologia del Veneto ha condotto, tra il mese di aprile 2013 e il mese di giugno 2014, alcuni scavi archeologici preventivi. Le indagini hanno permesso l’acquisizione di interessanti dati sulle trasformazioni di un settore della città posto in età romana lungo le mura sud-occidentali e il fortunato rinvenimento di una domus addossata all’antica cortina muraria. Diverse testimonianze archeologiche confermavano la densità archeologica del comparto urbano attraversato da via Mazzini, in parte coincidente con uno dei decumani minori della città; sono ancora oggi in parte visibili, negli interrati del negozio Cos, sotto la neoclassica Loggia Arvedi, i resti di un’altra domus, sorta anch’essa in adiacenza alla cinta muraria, lungo la strada. Nel negozio Benetton, le mura sono state individuate per circa 15 m con un alzato conservato in alcuni punti fino a 3 metri; tale stato di conservazione è dovuto al fatto che esse furono inglobate nelle murature degli edifici via via susseguitisi nell’area fino al riutilizzo negli scantinati nell’attuale palazzo. Nel tempo esse hanno subito opere di spoliazione che ne hanno
provocato una notevole riduzione di spessore; originariamente erano larghe alla base circa m 3,60 e caratterizzate da una progressiva rastremazione verso l’alto per la presenza di varie riseghe sia esterne, che interne, di cui, a causa degli interventi di asportazione, risulta ora difficile ricostruire il numero. Lo scavo ha permesso di documentare come in appoggio alla cinta muraria, sul lato intra moenia, furono realizzati dapprima un impianto metallurgico, poi, verso la metà del I sec. d.C., una domus, che sfruttò la struttura muraria come limite occidentale. L’utilizzo delle mura come perimetrale di impianti e complessi abitativi privati conferma quanto già messo in luce a Verona in diversi altri contesti, ovvero che esse, sin dall’inizio dell’età imperiale, non ebbero mai in realtà una vera funzione difensiva. Della domus si sono riconosciuti i resti di almeno cinque vani contigui, affacciati in origine, con ogni probabilità, su un cortile a peristilio, secondo il modello assai diffuso nell’edilizia residenziale veronese. L’assetto strutturale messo in luce è riferibile all’ultima fase di frequentazione della domus, ovvero al momento dell’abbandono, avvenuto a causa di un incendio. Uno dei vani ha restituito un pavimento con un mosaico policromo, relativo ad una ristrutturazione avvenuta tra fine II-inizi III sec., mentre negli altri ambienti contigui si
sono evidenziati battuti cementizi in ciottoli appartenenti alla prima fase costruttiva. Il vano mosaicato, certamente il più importante ed elegante tra quelli individuati, potrebbe essere una sala tricliniare. Il mosaico mostra uno schema coerente con l’organizzazione interna e con la funzione a cui era adibita la sala: vi è infatti una distinzione tra le zone in cui erano collocati i triclini (tappeto bianco con il punteggiato) e quella in cui era collocata la mensa (pseudo-emblema), più tardi abbellita da una fontanella rive-
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16-18. Veduta d’insieme e particolari del mosaico policromo collocabile tra la fine del II e gli inizi del III secolo. 19. La posizione dei ritrovamenti effettuati nel negozio nel contesto della città romana. 18
stita in origine di lastre marmoree. Di struttura compositiva assai simile a quella di altri pavimenti veronesi, in particolare a quello di un vano della vicina domus di Piazza Nogara, il tessellato dell’abitazione di via Mazzini 41 è collocabile tra la fine del II sec. e gli inizi del III sec. L’ambiente ha restituito resti consistenti di un incendio che in epoca tardo-antica provocò il crollo dei soffitti, di cui si sono rinvenuti sul pavimento resti bruciati dell’incannucciato e delle strutture lignee del tetto (ancora oggi riconoscibili). Tali livelli di distruzione non furono sgomberati e furono lasciati in situ, segno evidente del fatto che l’abitazione, non più ristrutturata, venne abbandonata. Il buon grado di leggibilità sia delle mura municipali, che dell’ambiente mosaicato della domus, ha suggerito l’opportunità di un progetto di va-
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lorizzazione dei resti all’interno del e nelle murature, al fine di agevolare piano interrato del negozio, la cui or- il “grande pubblico” nella comprenganizzazione interna è stata quindi sione e fruizione del contesto antiripensata nell’ottica di garantire una co. Nell’intento di compenetrare le convivenza tra la fruizione culturale e strutture antiche nell’ambiente, evil’esigenza di tipo espositivo-commer- tando rigide compartimentazioni, il ciale. settore dei resti L’archeologia si è « La struttura compositiva archeologici della trasformata anche del mosaico è assai simile domus è stato dein questo caso, limitato da una come in molti al- ad altri pavimenti veronesi, struttura di conin particolare a quello di tenimento di circa tri, in un valore aggiunto ed un vano della vicina domus 50 cm sormontata è diventata parda una ringhiedi Piazza Nogara» te integrante del ra molto leggera progetto di allein acciaio e vetro, stimento. Le strutture antiche – con- mentre le mura, lasciate prive di proservate per una superficie di circa 6 tezione sul fronte interno, sono state m x 10 m – sono state oggetto di un invece coperte da una parete verticaaccurato restauro conservativo, com- le in vetro sul lato esterno, dal moprendente l’integrazione delle nume- mento che questa parte della strutturose lacune, causate da interventi an- ra avrebbe fatto da sponda allo stretto tichi e recenti, presenti nei pavimento corridoio su cui dovevano aprirsi, se-
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condo il progetto, camerini-prova. Ai fini della percezione dell’imponenza della cinta muraria originaria – oggi molto ridotta nello spessore perché intaccata dai progressivi interventi di assottigliamento e asportazione – è stata disegnata nel pavimento in resina una fascia di colore diverso pari alla larghezza originaria del bastione murario. Il progetto, a oggi non ancora ultimato e che auspichiamo di riprendere, prevede ulteriori affinamenti, tra cui la realizzazione di un adeguato apparato illustrativo multimediale: uno schermo potrebbe mostrare al visitatore la ricostruzione assonometrica della domus nel contesto urbano di età romana e immagini “vive” dei lavori svolti da archeologi e restauratori nella fase di cantiere.
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PROGETTO
L’eleganza della musealità
Equilibrio formale e rimandi ai maestri dell’architettura moderna per un lusso discreto in un negozio nel centro di Verona
Progetto: arch. Roberto Baciocchi - Baciocchi Associati Testo: Chiara Tenca
Verona
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Capita di entrare in un negozio passeggiando per le vie del centro, e di trovarsi momentaneamente a sfogliare le immagini raccolte nell’album della memoria: affiorano all’improvviso le testimonianze sui celebri allestimenti di Franco Albini, dai primi improntati a una retorica celebrativa di stampo propagandistico (Sala dell’Aeronautica al Palazzo dell’Arte di Milano, 1934, e Mostra dell’Antica oreficeria italiana alla VI Triennale, 1936) a quelli per le arti (Mostra di Scipione e di disegni contemporanei a Brera, 1941). Linee di una ricerca che ha avuto molte altre declinazioni (Mostra di arte contemporanea, arte decorativa e architettura
« Ogni elemento è definito con precisione, in un delicato equilibrio tra rigore e libertà espressiva» italiana, Stoccolma-Helsinki, 1953), fino all’allestimento del Negozio Olivetti a Parigi, 1958-60. Dalla propaganda all’arte al prodotto di qualità, un passaggio significativo. Oggi non siamo a Milano né nel Fauboug Saint-Honoré ma a Verona, dove l’eco di quei sistemi espositivi ha trovato una reinterpretazione eloquente. Roberto Baciocchi, aretino di nascita formatosi all’università di Firenze, è uno degli architetti più noti sulla scena internazionale nell’ambito della reinterpretazione stilistica dei negozi del lusso. La profonda osmosi tra la sua personalità creativa e l’ambiente fiorentino trabordante di arte e bellezza lo aiuta a sviscerare negli anni ’70 le dinamiche più delicate che si intrecciano dietro al mondo della moda, un fenomeno dai contorni sempre più decisivi in un’Italia che
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accelera al galoppo. Fortunato è l’incontro che avviene negli anni ‘80 con Paolo Bertelli e Miuccia Prada; un sodalizio professionale che ininterrottamente da allora, fornisce esiti sempre nuovi sull’interpretazione dell’immagine espositiva del marchio. E sono proprio l’arte e la moda che si fondono nell’allestimento progettato per l’ampliamento del negozio Folli Follie a Verona nel 2012; quando l’abilità creativa del progettista dimostra che la moda è arte. Il layout compositivo per il negozio veronese non ha mai il sapore della reinterpretazione tout court dei sistemi espositivi di Franco Albini, ma ne dimostra semmai una profonda conoscenza, dalla quale nasce la capacità di accendere negli occhi del visitatore quello stupore e quel piacere di quando ci sia trova di fronte alla vera bellezza. Il progetto del negozio trasuda maturità compositiva ed è impostato sulla razionalità architettonica, con un esito di grande intensità e raffinatezza. Il luogo è denso di atmosfera, prodotta da un intento comunicativo forte e ragionevole. La particolarità compositiva nasce con la trasposizione dei sistemi e dei rimandi museali agli schemi tipici di un ambiente dedicato alla vendita. La diversità sta prima di tutto
nei presupposti, anche fisici, in cui il progetto si inserisce; a partire dal contenitore storico, che internamente racconta la sua importanza attraverso le volte ad arco, le colonne lavorate e i soffitti a cassettoni. Il progetto di allestimento dialoga con questa importanza in ogni sua parte, inserendosi in maniera sobria ed elegante a partire dall’ingresso, dove troviamo una porta in cristallo con profili in metallo scuro e una maniglia quadrata in
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01-02. I differenti locali del negozio, caratterizzati da una raffinata alternanza di materiali, sono accomunati dalle strutture allestitive di rimando museale. 03. L’affaccio del negozio su via Adua, con gli archi metallici sovrastanti le vetrine.
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L’eleganza della musealità
PROGETTO
04. I telai metallici a parete e i tavoli espositori lasciano il campo alla specchiatura litica della pavimentazione. 05. La struttura espositiva per gli accessori in una zona di transito dalle proporzioni spaziali compresse. 06-07. Al centro dell’ambiente, la struttura free standing retta dagli esili montanti binati tra pavimento e sottitto.
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marmo serpentino verde con profilo perimetrale sempre in metallo scuro. Le vetrine si inseriscono nei portali ad arco, dove trova posto una fascia metallica in corrispondenza dell’imposta; ogni placca contiene un logo in metallo retroilluminato. Il prodotto stesso, che si rivolge ad una clientela selezionata da un target medio alto, racconta del suo fascino attraverso i materiali utilizzati per l’allestimento: colori scuri, marmi pregiati e metalli si alternano nelle varie stanze in una composizione che sembra sospesa ed aerea, senza sofismi, talvolta quasi autoritaria nella sua linearità. Il prodotto in vendita spazia dal settore viaggio, all’elegante, per passare poi ad accessori e scarpe; ed in generale ogni tema trova una
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sua collocazione precisa. Il negozio occupa una superficie di 170 mq suddiviso in pochi grandi ambienti, che si affacciano su un cortile interno. Tutte le stanze possiedono a ridosso delle pareti perimetrali un rivestimento con pannelli ricoperti in tela con bordo in metallo scuro, trattate ad intonaco; una sorta di fondale scenico che prende distanza dal paramento retrostante. I pavimenti sono un alternarsi di diversi tipi di marmo: serpentino verde nella prima stanza, marmo arabescato nella seconda, pietra pece nella terza e carrara nell’area accessori/cassa. Gli stessi materiali interagiscono con gli espositori, con le teche metalliche e il banco cassa diventandone parte integrante sotto forma di rivesti-
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08-10. Alcuni impliciti riferimenti ai lavori museali di Franco Albini, leggibili per assonanza nel negozio veronese.
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mento. L’atmosfera si fa più morbida nell’area scarpe: a terra un tappeto in cavallino color muschio e due divani dalle linee semplici e confortevoli. Le teche sono modulari e si alternano con gli specchi autoportanti e quando si trovano in posizione centrale sono sollevate da terra e sospese al soffitto, fluttuando sui montanti metallici.
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Le luci a soffitto sono fari che si incastonano in binari scuri che tagliano la superficie orizzontale di colore chiaro, nascondendosi dentro di essa e creano di fatto una geometria orizzontale che dialoga con la linearità verticale dei profili degli espositori. Quando sono a vista, si mimetizzano con il legno delle travi.
In un periodo storico in cui per certi versi è forte la tensione verso la spettacolarizzazione dell’esito formale, l’insegnamento di Albini lo ritroviamo forte qui, dove è presente quello sguardo più consapevole e meditato sul rapporto tra l’uomo e lo spazio costruito permanente ed effimero. Ogni elemento è definito con precisione: quel delicato equilibrio tra rigore e libertà espressiva che Gio Ponti chiamò “fantasia di precisioni” parlando dell’arredamento di casa Albini nel 1940 lo ritroviamo in questo negozio, nelle linee rigorose e nelle geometrie educate, per un bon ton dal sapore classico senza tramonto.
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folli follie Via Adua, Verona progetto e direzione lavori arch. Roberto Baciocchi Baciocchi Associati ............................... Cronologia Realizzazione: 2012 dati dimensionali Superficie: mq 230
PROGETTO
Due di due
Potere evocativo, essenzialità ed eleganza per due differenti approcci al progetto di interni nell’ambito del retail nelle realizzazioni di due studi veronesi
Progetti 1-2: arch. Mario Bellavite
Progetti 3-4: arch. Giovanni Elia Perbellini, Enrico Girotti Testo: Chiara Tenca
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Il mondo del retail è il palcoscenico di un teatro in cui gli attori si alternano in maniera febbrile sulla scena, recitano un copione sempre nuovo a ogni apparizione e ricevendo in maniera istantanea un feedback dal pubblico, con il quale hanno un contatto quasi fisico. Esiste un certo grado di similitudine tra il teatro e la vetrina nel loro essere un palcoscenico esposto al giudizio del pubblico: l’ago della bilancia è il riscontro di chi assiste. L’allestimento è una performance fatta di immediatezza, in cui ciò che vale qui ed ora è un episodio irreplicabile in maniera identica altrove. Questo vale anche per gli esempi presentati nelle pagine che seguono, diversi per
« Realizzare un negozio e pensarne il suo concept sono due azioni distinte che non coincidono, ma sono semmai consequenziali » tipologia e filosofia. Che testimoniano idee di prodotto diverse. Progettualmente parlando, l’iter della creazione degli spazi adibiti alla vendita si muove su binari diversi rispetto alle altre tipologie di ambiente abitativo (siano esse ad uso pubblico o privato); la committenza ha esigenze specifiche in relazione alla necessità di monetizzazione del prodotto, dalla quale scaturiscono tempi di realizzazione ridotti e l’enfasi della scenografia. Certo è che realizzare un negozio e pensarne il suo concept sono due azioni distinte che non coincidono: sono semmai consequenziali. La concettualizzazione di un’idea o di un tema è essa stessa progetto, e in quanto tale
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01-02. Franklin&Marshall, via Stella. Due vedute interne del negozio, con i pavimenti in legno, i mattoni a vista e i cromatismi che esaltano l’effetto vintage. 03. Planimetria del negozio. 04. Veduta esterna delle vetrine su via Stella.
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costituisce l’ossatura di un marchio, l’identità di un brand. È lo strumento comunicativo più forte attraverso il quale un’azienda si rivolge al “suo” pubblico, definito da un target preciso e mai generico. Una strategia comunicativa efficace, infatti, per essere tale deve mostrarsi mirata e specifica, costruendo un’immagine nella quale il cliente si identifica e attraverso la quale avviene il processo di fidelizzazione. Il pubblico rimane sempre e comunque, oltre che l’obbiettivo finale, una variabile incalcolabile. Se è vero che il retail, anche grazie al suo potere mediatico, ha la capacità di anticipare le tendenze e talvolta plasmare bisogni e desideri, ciò che non è mai calcolabile è la reazione dell’utente finale che, in ultimo, riesce sempre a trovare una via di fuga alle previsioni di marketing più precise, determinando un successo o un flop.
Evocazione vs essenzialità Decidiamo di salire sulla macchina del tempo per esplorare due realizzazioni assai diverse, pur essendo di mano del medesimo progettista. Ci catapultiamo in atmosfere dal sapore vintage entrando in via Stella, e poi nel futuro delle macchine volanti di corso Porta Borsari. L’architetto Mario Bellavite, un mago dell’eclettismo per la sua capacità – che sfiora la mimesi – di saper interpretare luoghi e scene in antitesi tra loro, riesce a restare sempre fedele a se stesso, concedendo ad ogni copione la sua trama precisa. Ogni progetto è un racconto, e lo è ancora di più quando diventa un format per una catena con punti vendita non solo in Italia ma in tutto il mondo, come per ognuno di questi due casi; una trama forte e convincente viene esportata e man04
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Due di due
PROGETTO
05. Freddy Pantroom, corso Portoni Borsari. Planimetria con il layout dell’allestimento. 06. Veduta interna generale dello store. 07. Dettaglio dell’allestimento sulla parete di fondo. 08. Particolare degli espositori a “celle” che rivestono le pareti del negozio. 06
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tiene intatta la sua forza. L’empatia con il pubblico è uno dei successi che può vantare il negozio di via Stella per Franklin&Marshall, un marchio nato nel 1999 in maniera quasi casuale grazie all’incontro tra due imprenditori veronesi che condividono la passione per lo stile sporti-
vo e i suoi capi iconici. L’ambiente è di marcato stile vintage, se con questo termine intendiamo quell’aura che avvolge un oggetto entrato a far parte della memoria collettiva per ragioni legate alla cultura e al costume, e perché legato ad immagini cariche di significato ormai appartenenti al ba-
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gaglio personale di ognuno. È un vintage di stampo americano, uno stile a stelle e strisce che parla di college, fatto di mattoni, legno e metallo. Identifica una gerarchia di valori legati a un periodo della vita, quella del college appunto, che plasma la vita di una persona in maniera forse più caratterizzante di quanto non accada durante il periodo universitario così come vissuto in ambito europeo. Pertanto, lo spazio diventa un ambiente fortemente evocativo nel suo essere marcatamente smart e sprigiona un’energia contagiosa; è rivolto ad un pubblico giovane che si identifica pienamente nel target che l’azienda
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Progetto arch. Mario Bellavite ARCADE progettazione integrata Concept, progetto esecutivo, direz. lavori, allestimento, collaudo franklin and marshall Via Stella, Verona
PROSPETTO A
Superficie: 124 mq Realizzazione: 2014 FREDDY PANtROOM Corso Porta Borsari, Verona Superficie: 34 mq Realizzazione: 2014
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09-10. Il concept allestitivo rivisitato per lo store Freddy di Londra: le celle a parete si dilatano per diventare dei grandi ovali.
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rappresenta e diventa quindi esso stesso parte della storia del prodotto; membro di una grande famiglia e a sua volta identificato come parte di essa attraverso l ’abbigliamento che indossa. L’a t m o s f e r a esperienziale si concretizza in un ambiente cromaticamente carico, in cui le parti tecniche e gli spazi di servizio quasi spariscono, passano in secondo piano perché il focus sta tutto nello scenario allestitivo da vivere come rappresentazione del proprio essere, lungo un filo narrativo di riferimento. I pavimenti sono in legno, gli apparati di illuminazione rimandano all’estetica del passato, così come gli espositori e il banco cassa, tutti custom made, le pareti sono trattate con mattoni a vista. In generale è il prodotto in sé che racconta la sua sto-
ria, offre numerosi spunti sensoriali nell’anatomia spaziale e coinvolge il cliente in una sorta di viaggio all’interno dell’ambiente. Se la narrazione è il criterio che ha alimentato questo progetto, il progettista lascia invece il posto all’essenzialità nel negozio Freddy Pantroom di corso Porta Borsari. Nessuna storia da raccontare qui, nessun valore da evocare, ma estrema focalizzazione sul mono-prodotto, il pantalone wrup. La vendita di una sola tipologia di articolo porta la concentrazione sulla merce, se possibile, ancora più estrema. Il progetto di allestimento è prima di tutto il progetto di strategia comunicativa nei confronti di un capo dalle forte potenzialità: era necessario conferirgli una forte identità, perché le sue potenzialità si traducessero in atto. Il contenitore, di dimensioni in questo caso abbastanza ridotte, coincide con il palinsesto del concept: è audace e ha la forza di un’installazione artistica, è bianco e luminoso, completamente rivestito dagli espositori e di ispirazione fortemente contem-
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Foto di Giovanni Gallio
poranea. L’involucro è l’allestimento. Lampadari marziani di forma circolare illuminano le pareti interamente attrezzate da piccole celle bianche in ognuna delle quali è contenuto un capo, sapientemente arrotolato, colorato e desiderabile. La disposizione degli articoli negli espositori segue un andamento cromatico, dando a vista d’occhio la sensazione di trovarsi dentro ad una grande palette. Il susseguirsi di queste piccole nicchie è intervallato di tanto in tanto da una riquadratura dalle dimensioni maggiori, in cui il prodotto è svolto addosso ad un manichino. Il prodotto acquista valore in relazione alla modalità con la quale viene trasmesso. La medesima filosofia progettuale è applicata nel concept per il flagship store di Londra, dove si amplifica l’effetto plastico e futurista; le “celle” che rivestono i muri si dilatano per diventare dei grandi occhielli e creare isole di colore verticale dai contrasti forti.
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11. Mauro Grifoni, via Oberdan. Assonometria del negozio. 12. Veduta interna con gli espositori dall’effetto “wireframe”. 13. Già dall’ingresso si coglie complessivamente l’intero spazio commerciale.
Taglio sartoriale Basta percorrere pochi passi per immergerci in un altro tipo di esperienza, dai paradigmi completamente rovesciati. Dalla comunione tra identità del brand e format dell’ambiente di vendita pensato per una catena, passiamo alla calibrazione sartoriale di spazi su misura. I due i progetti , lo
store “Concept” di via Stella e “Mauro Grifoni” di via Oberdan, sono opera del duo Giovanni Elia Perbellini ed Enrico Girotti, architetti che amano sperimentare e osare con la potenza simbolica dei materiali, e instancabili ricercatori di nuovi esiti formali. I loro allestimenti sono guidati dalla volontà di portare la creatività al limite, cercando ogni potenzialità, an-
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che la meno convenzionale, dai materiali utilizzati. Da qui la vicinanza con il mondo dell’artigianato, con il quale lavorano a stretto contatto e del quale talvolta si divertono a far parte. Le texture e le superfici sono uno dei loro ambiti preferenziali di sperimentazione materica, ma lo sforzo visionario si traduce nella progettazione e creazione artigianale di ogni pezzo dell’allestimento. Da cosa nasce cosa, e dall’esito di uno dei negozi qui presentati è scaturita una fortunata collaborazione con il Pitti Uomo di Firenze, diventata sempre più fitta ad ogni edizione, fino a tradursi nell’allestimento dell’intero spazio fieristico per quest’ultima edizione. Entriamo così nel negozio di via Oberdan, in quella che, dopo i bombardamenti della guerra, era stata negli anni ’50 una ferramenta e in seguito, dagli anni ’70 in poi aveva ospitato a turno diversi marchi di abbigliamento. I temi dello svuotamento del contenitore e della sperimentazione materica si fanno strada in maniera prepotente. Li ritroviamo nell’eliminazione dei controsoffitti e nel denu-
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14. Dettaglio allestitivo con i camerini in secondo piano. 15-16. Particolari di alcuni elementi di arredo del negozio: il verde verticale e gli espositori realizzati a mano.
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damento delle pareti e delle colonne a croce in mattoni, tutte poi trattate con il colore bianco. Fin dall’ingresso il cliente ha una visione prospettica e globale di tutto l’ambiente, come si trovasse in un’inquadratura grandangolare che gli permette di esplorare con gli occhi anche l’angolo più lontano, nonostante la planimetria si articoli con una geometria non lineare. L’interno è fatto di linee essenziali dai rimandi nipponici: espositori (progettati uno ad uno e realizzati artigianalmente) dai tratti semplici, monoblocchi pieni utilizzati come basamenti che si alleggeriscono e si svuotano quando si sviluppano in altezza; cubi di marmo a terra che diventano sottili tubi in ferro in verticale per pochi e selezionati capi d’abbigliamento. Quando ci si sposta verso il fondo del negozio, il proget-
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to prende una nuova forza: l’ambiente diventa più alto e una parete è rivestita da un giardino verde, una sorta di sorpresa finale nella quale la curiosità del cliente trova la risposta più scenografica. La progettazione del negozio “Concept” di via Stella è stata invece una scommessa non facile, come spesso accade quando il rapporto tra progettista e committente diventa quasi viscerale ed il primo mette in atto tutte le sue capacità di sperimentazione per interpretare nella maniera più sensibile gli stimoli e gli umori attraverso la ricerca. È stata una progettazione in fieri, quasi estemporanea. L’ambiente è molto grande, composto di quattro aree in fluida comunicazione tra di loro e diversificate dal tipo di prodotto: uomo, donna, abbigliamento street e concettuale. I progettisti si sono inizialmente trovati di
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PROGETTO
Due di due
17. Concept, via Stella. Una vetrina su strada. 18. Il bancone in legno. 19. La “stanza degli specchi” moltiplica e amplifica la merce in esposizione. 20. La preesistente scala in cemento con il parapetto in ottone si snoda all’interno del negozio.
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fronte a un contenitore molto ampio, ma occupato da numerose superfetazioni che ne diminuivano altezze e superfici, quasi a voler camuffare il più possibile gli estremi geometrici della scatola; controsoffitti altissimi e rivestimenti in primis. Al centro, una scala esistente, dal disegno e dai dettagli importanti, si è rivelata una termine di confronto con il quale il nuovo progetto ha dialogato senza snaturarsi nella sua personalità. La prima azione è stata quella di svuotare il contenitore architettonico per riportare alla loro naturale origine altezze e superfici. Lo stesso è avvenuto in facciata, dove le vetrine sono state ampliate a tutta luce; dall’interno sono state frazionate attraverso l’introduzione di setti verticali, in virtù della necessità di offrire
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Progetto arch. Giovanni Elia Perbellini industrial designer Enrico Girotti www Mauro grifoni Via Oberdan, Verona Realizzazione: 2013 Foto di Enrico Dal Zotto concept Via Stella, Verona Realizzazione: 2015 Foto di Enrico Girotti
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a chi guarda dall’esterno una prospettiva privilegiata che permetta già una selezione dell’offerta. La sperimentazione materica è un vero e proprio mantra dei progettisti, che con la loro ricerca dal carattere fortemente multidisciplinare spaziano dall’artigianato alla progettazione immergendosi in prima persona e trovando ogni volta un punto di contatto dagli esiti formali differenti. L’allestimento parla il linguaggio dei materiali dal carattere forte: ottone, ferro (naturale e verniciato), legno e specchi. La studiata mescolanza della corporeità della materia dà origine a elementi puri dall’effetto quasi cartoonistico, e i materiali stessi vengono talvolta utilizzati come strumento di modifica della percezione spaziale: è quanto accade nella cosiddetta “stanza degli specchi”, nella quale il prodotto si riduce dimensionalmente alla scala dell’accessorio, ma l’introduzio-
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21. L’allestimento di una vetrina in una veduta dall’interno. 22. Planimetria del negozio al piano terreno. 23. Dettaglio del banco cassa, frutto di una sperimentazione a base di cemento e vetro. 24. Dettaglio di un espositore.
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ne di specchi a rivestimento produce una sapiente moltiplicazione di luci, elementi e geometrie. Una nota a parte meritano il pavimento, esaltato nella sua durezza con l’utilizzo di un massetto cementizio trattato a elicottero, e il banco cassa, un monoblocco in legno sul quale è stato effettuato un getto in cemento con l’introduzione di un’armatura e una protezione esterna in vetro: un richiamo e un riepilogo degli intenti progettuali.
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SAGGIO
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Un viaggio alla scoperta di come mutano aspetto e funzione (e abitanti) alcuni luoghi della cittĂ tra le ore del giorno e della notte
Testo: Dalila Mantovani
Foto: Dalila Mantovani (night), Diego Martini (day)
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Che volto ha la città di Verona? Molti direbbero che ha il volto della storia e dell’arte, o della provincialità, del buon vino e della buona tavola... ma quanti volti esistono di una città o di un luogo? È impossibile trovare una definizione univoca per la nostra città, proprio perché come tutte le altre è costituita da un sistema urbano complesso, e come tale si compone di milioni di volti, quindi potrebbero essere infinite e altrettanto vere tutte le definizioni che si tentano di dare. Ognuno di noi, a seconda del proprio modo di essere, vivere e pensare vede una sola faccia di quelle infinite che compongono la città, ed è come se quella parte – o poche parti – che conosce fossero la sua personale città, che non è quella vera, ma solamente un riflesso di se stesso. La complessità di un luogo urbano è proprio questa: la capacità di creare spazi diversi dove ognuno possa riconoscersi, senza esclusione per nessuno arricchendo di volta in volta la diversità di un sistema che ha bisogno di molte tessere per comporre il quadro finale. Con questo articolo vogliamo dare visibilità a un volto di Verona spesso trascurato e insolito, che appare più chiaro e visibile durante la notte. È quello di chi vive i nostri stessi spazi, condivide strade, parchi, piogge, traffico, turisti e paesaggi mozzafiato, ma è senza una fissa dimora e perpetua vagabondando alla ricerca di un riparo e qualche cosa per sopravvivere alla giornata.
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01-02. L’ingresso della Scuola Secondaria Valerio Catullo su Lungadige San Giorgio. 03-04. Circonvallazione Raggio di Sole, l’area di sosta nottura del furgone della Ronda. 05-06. Corso Porta Nuova all’altezza di piazza Pradaval.
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Senzatetto, invisibili, homeless. Il punto di vista sulla città, per queste persone, non è nemmeno immaginabile da parte di noi cittadini “rispettabili”. La condizione di non possedere nulla spinge a fare di qualunque spazio pubblico la propria casa, per qualche ora o per pochi giorni, trasformandolo al meglio secondo le esigenze del momento. Lo spazio urbano è a disposizione di tutti, e loro non pongono attenzione se un luogo è sacro, monumentale o troppo trafficato ma solamente che sia adeguato a giacere per la nottata che sta arrivando.
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SAGGIO
07-10. Su Lungadige Rubele all’altezza di Ponte Nuovo. 11. Di notte nella Piazzetta di Santa Maria in Organo, davanti all’omonima chiesa.
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Si possono scovare molti di questi luoghi improv- ce giardino o monumento, loro sanno trasformarvisati a rifugio durante il turno serale del servizio li in giacigli: come l’arco sotto una scalinata o la della “Ronda della Carità”, che si occupa di con- chioma di un grande cespuglio, oppure la botola di segnare beni di prima necessità alle persone che ingresso di un negozio o i grandi davanzali delle fivivono per le strade. Durante questa esperienza è nestre dei vecchi edifici storici. possibile rivivere i luoghi del centro di Verona e In maniera inaspettata, il volto di uno stesso luodella sua periferia con un occhio diverso, attenti a go può assumere sembianze e utilizzi molto diversi cercare il “giaciglio” di qualche senzatetto piutto- passando da un’ora a un altra della giornata, come sto che quello consuese in un set cinematoto a riconoscere monu- «Di notte le parole scorrono più lente grafico rimanesse semmenti e palazzi famosi. pre la stessa scenografia però è molto più facile parlare con La soglia della chiesa di la gente, conoscere le storie, ognuna ma andassero in scena Santa Maria in Organo, storie e attori diversi. originale, sapere che nel mondo così come la Tomba delLe immagini che acnessuno è normale. Ognuno avrà le Martiri che riposano compagnano questo araccanto alla chiesa dei qualcosa che ti potrà insegnare, gente ticolo raccontano di un Santi Apostoli, oppure i contrasto molto forte, molto diversa di ogni colore» portici della Camera di che dimostra la comCommercio, in via del plessità e la diversità Jovanotti, Gente della notte, 1990 Pontiere, o in Piazza che convivono all’interRenato Simoni, e ancono di uno stesso sistema ra l’incrocio tra Ponte Nuovo e Lungadige Rubele o urbano e che sono capaci di offrire – più o meno i giardini davanti a Porta San Zeno sono alcuni dei volontariamente – degli spazi utili per tutti. Non si luoghi che vengono vissuti con uno scopo diverso finiscono mai di scoprire le infinite facce della città da quello per cui erano stati pensati, come se fos- e gli usi possibili dei suoi luoghi, e questo è senza sero di una città parallela o nascosta. A volte sono dubbio uno di quelli più invisibili e magari anche gli angoli più impensabili quelli che queste persone scomodi, ma che pure esiste e rimane visibile solo sanno riconoscere come luoghi sicuri, quelli dove ad occhi attenti e sensibili. noi avremmo visto solo dei calcinacci, o un sempli- Se abbassassimo anche noi qualche barriera, maga-
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12-13. Da Piazza Indipendenza verso via Ponte Nuovo, a fianco dei Palazzi Scaligeri. 14-15. L’incrocio tra corso Milano e viale Cristoforo Colombo, di fronte all’ingresso del Centro Sportivo. 16-17. Piazza Renato Simoni, veduta diurna e notturna.
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ri durante la notte, potremmo provare ad osservare qualcuno di questi luoghi con uno spirito diverso, e magari farci raccontare un volto nuovo e diverso da chi ne ha conosciuti e vissuti più di quanti noi ne possiamo immaginare e chissà, scoprire un lato nascosto di Verona che potrebbe diventare un nuovo riflesso di noi stessi.
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Amorevolmente. Un dialogo con Tobia Scarpa
In occasione dell’evento “Carlo Scarpa a Castelvecchio 2015”, Alba Di Lieto e Nicola Brunelli incontrano Tobia Scarpa nella sua casa-studio di Mogliano Veneto
Testo e Foto: Federico Puggioni
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Ci sono determinati incontri che lasciano al loro termine sensazioni più intense di quanto possano far intendere sulla carta. Incontri che vanno oltre quel limite fino al quale l’immaginazione riesce a spingersi. Ci può essere di più di quanto una grigia mattinata di dicembre nei dintorni di Mogliano Veneto lasci sperare, ad esempio. L’incontro con Tobia Scarpa nella sua abitazione è “denso”; concentrato tra due suoi incontri di lavoro, è un’esperienza di apprendimento totale, umana. Una di quelle nelle quali un sorriso riesce a sciogliere l’apparente aura di impenetrabile distacco propria di un professionista con decenni di esperienza progettuale. Un professionista particolare, che porta sulle spalle quell’eredità ingombrante, pesante, unica. Nel mentre che vengono organizzati luci e microfoni per le riprese ci si guarda attorno, continuamente, per iniziare a conoscere e capire una persona attraverso ciò con cui essa si circonda nei suoi ambienti privati. Il centro della sala è occupato da un prototipo di tavolo in compensato di frassino con attorno varie sedie Pigreco e Libertà: due modelli lontani tra loro non solo nel tempo, eppure nati dalla sua stessa mano. Tra il tavolo, le sedie, le poltrone, le diverse lampade si intravede il pavimento in frammenti laterizi su cocciopesto, già sperimentato in alcuni showroom. In un angolo, invece, lo scorcio sull’ambiente confinante, visibile da una porta socchiusa, rivela un ampio infisso con grata metallica a pattern incrociato: oggetto di una memoria scarpiana che richiama a sé il negozio Olivetti, Castelvecchio, l’artigianato delle botteghe... Le pareti, invece: non sono spoglie.
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Un camino composto da linee geometriche chiare è integrato nella muratura, diventando elemento decorativo con la sua semplice complessità, espressa anche nei dipinti appesi in contiguità. Sono composti da geometrie essenziali che con le loro proporzioni, la loro disposizione e le loro reciproche distanze rimandano chi osserva a quel costante e continuo giocare con la natura più volte affermato dal maestro, ovvero a quel relazionarsi con quella forza dei numeri, dei rapporti incommensurabili. Emerge lentamente l’anima segreta delle cose, quella pulsione che spinge ad andare a cercare nella struttura delle cose, nei loro legami, i perché. E anche in questo emergere, c’è memoria del legame ereditario, della forte piega che questo possa aver dato a oltre mezzo secolo di ricerca progettuale e personale. Ora si inquadra meglio il
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01-03. Alcuni momenti delle riprese del video, effettuate nella casastudio di Mogliano Veneto.
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Ricordi e riflessioni su Carlo e sull’architettura a cura di: Alba Di Lieto e Nicola Brunelli editing video: Alberto Scorsin video http://www.architettiveronaweb. it/video-architettura-verona/tobiascarpa/
personaggio: il salotto/set si pone non come una stanza monografica autocelebrativa della lunga carriera di un professionista, ma come luogo pieno delle tracce di un amorevole ricerca personale e progettuale di un uomo. Amorevole non è una parola casuale, in quest’incontro. Di amorevole interesse è permeato l’incessante dialogo che dal particolare, dall’evento, dal ricordo, dal frammento, conduce all’universale, ai grandi temi, a quel grande amore per le cose ereditato dalle prime esperienze, sia di viaggio sia di apprendimento, da un padre incondizionatamente innamorato della bellezza. Ma tutto il peso dell’attitudine amorevole emerge quando viene ribadita l’inesistenza di uno stile scarpiano: “non esiste uno stile scarpiano, perché basato sulla conoscenza amorevole per le cose; lo stile è contro l’amore; amore per le cose, è dove nasce l’opera di Scarpa”. è un dialogo che cerca di inquadrare Tobia nella sua dimensione di uomo e di professionista, ma anche,
inevitabilmente, in quella dell’erede. Ci si ritrova davanti a un flusso continuo di ricordi, di aneddoti, di affezione per le cose più diverse e disparate. Ma è parlando dei rapporti con la madre, con la zia Bice Lazzari e di quelli con Carlo, complessi e sfumati, che si svela la vera dimensione umana di Tobia: “non c’è conflittualità tra me e mio padre – io sono mio padre, nella migliore o nelle peggiori delle mia capacità”. Una dimensione che si palesa anche nell’alta integrità intellettuale dell’approccio ai temi architettonici contemporanei, della committenza, del saper costruire e del saper fare e anche alla progettazione che, oggi, risponde sempre più alle logiche di mercato. E mentre affiora il disprezzo per quelle logiche di mercato lontane da ogni forma di amore incondizionato per la bellezza, torna in mente una massima popolare statunitense – Great minds discuss ideas, average minds discuss events, small minds discuss people – proprio mentre
l’occhio cade sul prezioso e sottile dettaglio dei coprifori circolari in madreperla del tavolo. Proiettato in anteprima nelle sale del Museo di Castelvecchio durante l’evento Carlo Scarpa a Castelvecchio 2015 del 19-20 dicembre scorsi, il video dal titolo “Ricordi e riflessioni su Carlo e sull’architettura” è un estratto da un dialogo con Tobia Scarpa a cura di Alba Di Lieto, responsabile del Gabinetto Disegni Carlo Scarpa di Castelvecchio e responsabile architettonico del settore Allestimenti della Direzione Musei e Monumenti del Comune di Verona, e di Nicola Brunelli, vicepresidente dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Verona.
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04. Da sinistra, Nicola Brunelli, Tobia Scarpa e Alba Di Lieto. 05. Aggiustamenti in vista delle riprese.
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Un titolo bancario
Testo: Marc Dubois
Foto: Valter Rossetto
Ho visitato Verona per la prima volta nel 1978. Un collaboratore dell’architetto belga Charles Vandenhove mi aveva consigliato di andare a vedere l’opera di Scarpa, e in particolare il restauro di Castelvecchio con il nuovo allestimento della collezione del museo. Vandenhove aveva appena iniziato la ristrutturazione di un edificio rinascimentale a Liegi, il palazzo Torrentius, con un chiaro rimando a Scarpa. Fatta eccezione per un paio di riviste italiane di settore, era stato molto difficile trovare informazioni sul lavoro di Carlo Scarpa. Pertanto, la mia prima visita a Castelvecchio è stata veramente una sorpresa, una scoperta mozzafiato. Sono stato profondamente colpito dai suoi interventi architettonici e dalla sua visione del restauro, in quanto all’epoca ero membro della Commissione Reale dei Monumenti in Belgio. Scarpa ha mostrato l’importanza di un percorso nel museo, ha ripensato la collocazione di sculture, oggetti e dipinti nello spazio espositivo in modo da vivificarne l’esperienza visiva. Ho scoperto così un “maestro”, la cui opera all’epoca era quasi completamente sconosciuta in Belgio. Fu solo più tardi che venni a sapere che Scarpa era morto quello
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stesso anno in Giappone. Durante il mio soggiorno a Verona, ho camminato attraverso la città e ho scoperto piazza Nogara, imbattendomi in un grande cantiere, l’ampliamento della Banca Popolare di Verona (BPV). La facciata, con una complessità inaspettata a livello tettonico, era evidentemente opera di Scarpa, il risultato di una sapiente erudizione e della capacità di trasformare influenze diverse in un’entità originale. La duplicazione delle colonne mi ha fatto pensare al chiostro della basilica di San Zeno, dove le colonne sono poste a due a due, collegate alla base. Ciò che mi ha sorpreso essenzialmente è stata la facciata, inaspettata, le diverse aperture, i particolari delicati. Nell’architettura del Novecento, le finestre circolari venivano spesso utilizzate per alludere al mondo nautico. Perché Scarpa ha scelto questa soluzione? Non ho associato immediatamente la finestra a nastro nella parte superiore della facciata con la fenêtre en longueur tipica di Le Corbusier. Mi ha ricordato piuttosto l’imponente municipio rinascimentale di Anversa, dove la fascia orizzontale dei balconi arretrati è posta tra la facciata e il tetto. Questa profondità, accentuata dal vetro nella finestra a nastro, crea un sottile gioco di ombre. Nel settembre 1982 sono tornato a Verona per la prima grande mostra su Carlo Scarpa a Castelvecchio. Proprio in quell’occasione ho
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Il nuovo volume sulla sede centrale della BPV fa seguito ai recenti restauri delle facciate condotti sulla base di un’attenta filologia
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01. Particolare delle finestre in facciata. 02. Particolare del logo BPV di Rosso Verona e decorazione di Munz metal sulla “bandiera” nel cortile.
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scoperto il meraviglioso mondo dei disegni di Scarpa, e il suo bisogno di tracciare su carta tutti gli elementi del suo mondo interiore. I disegni danno forma ai suoi pensieri, rivelano le diverse proposte e le scelte da compiere, mostrano il processo di crescita, visualizzano i dubbi e le alternative del progetto. Nel maggio 1984 ho visitato gli
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interni della BPV con i miei studenti. È stata un’esperienza indimenticabile. La meravigliosa architettura degli interni dà l’idea di un “palazzo” moderno, dove la spazialità e i materiali sono perfettamente integrati. Questa visita mi ha spinto a studiare ancora più approfonditamente l’opera di Scarpa: nel 1986 sono stato il primo
03. Il nodo “bandiera” nella facciata verso il cortile, prima e dopo il restauro. 04. Prospetto su Piazza Nogara (rilievo: Studio Rossetto).
sulla piazza mostra una continua ricerca di variazioni e gli echi di altri progetti scarpiani. Rossetto e Di Lieto citano un’affermazione di Giuseppe Mazzariol, secondo il quale “Vicenza apre e chiude la parabola dell’esistenza di Carlo”. La cornice a dentelli, un motivo chiave nel linguaggio formale di Scarpa, è un elemento che ritorna anche in un altro progetto di quel periodo, il cimitero Brion, e che troviamo sia nelle facciate che negli interni della banca. Gli autori citano anche altri riferimenti sulle soluzioni scarpiane, tra cui la sua ammirazione per la Maison de Verre di Pierre Chareau a Parigi. Nell’impostazione planimetrica, Scarpa non opta
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a pubblicare un articolo su Scarpa in una rivista olandese. Dopo la morte di Scarpa, sono stati editi un paio di libri sulle sue opere più significative. Prima del 1978 era quasi impossibile trovare pubblicazioni sul suo lavoro, mentre in seguito il loro numero è cresciuto esponenzialmente. Un buon libro sulla sede centrale della Banca Popolare di Verona, il secondo progetto veronese di Scarpa, non esisteva fino ad oggi. Pubblicato in seguito al restauro delle facciate, questo volume presenta chiaramente la poetica di Scarpa. All’interno della copertina, ricostruzioni grafiche mostrano con efficacia come la banca sia il risultato di un raggruppamento di diversi edifici, e presentano gli interventi dei tre architetti: Carlo Scarpa, Arrigo Rudi e Luigi Caccia Dominioni. I due curatori del volume, Valter Rossetto e Alba Di Lieto, conoscono molto bene il lavoro del maestro
veneziano. Tra gli autori, Paola Marini in “Verona, una Patria per Carlo Scarpa” illustra il metodo di Scarpa e le sue relazioni con gli architetti collaboratori, in particolare con Roberto Calandra. Nel Museo di Castelvecchio di Verona, Scarpa aveva già dato prova del suo talento contando sulla autorevolezza di Licisco Magagnato, direttore del museo. Nel caso della BPV, punti di riferimento furono alcuni membri della direzione come Giorgio Marani e Pietro Bianchi. L’architetto Arrigo Rudi, assistente di Scarpa che già aveva collaborato al progetto di Castelvecchio, fu coinvolto fin dall’inizio nel progetto per la BPV. Maddalena Scimemi pone in relazione la banca con il contesto internazionale, evidenziando i nessi con le opere di Frank Lloyd Wright e di Louis Kahn. Fu soprattutto il modo in cui Kahn utilizzò la forma circolare nella Exeter Library a impressionare Scarpa. Ma l’autrice
sottolinea l’eccezionalità della reinterpretazione: “Nel caso delle aperture circolari della banca veronese, la costruzione geometrica con due centri traslati di 11 cm lungo l’asse orizzontale complica il tema e ne rivela la natura ibrida”. Una forma circolare all’esterno, una forma rettangolare sul lato interno: è in questo modo singolare che Scarpa fa scivolare la luce all’interno. Scimemi cita anche l’opera di James Stirling e il grande fascino di Scarpa per l’architettura giapponese, oltre a tracciare un parallelo tra la BPV e il progetto per la Fondazione Masieri a Venezia, e a confrontarsi con la filiale della Banca d’Italia a Padova di Giuseppe Samonà, realizzata tra il 1968 e il 1972. Valter Rossetto e Alba Di Lieto affrontano la genesi dell’opera. Scarpa iniziò a lavorarci a partire da un progetto già approvato, sulla base del quale elaborò gradualmente il progetto definitivo. La facciata
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« Il libro è un interessante contributo per comprendere la poetica di Scarpa, e offre l’opportunità di entrare nel complesso mondo di questo “maestro” »
per l’angolo retto ma mantiene una deformazione di un grado e mezzo: in questo modo ha potuto pretendere in fase esecutiva una elevata precisione. Questa lieve inclinazione è appena percettibile, ma le variazioni dei materiali e il posizionamento delle colonne rivelano l’esattezza di questo capolavoro architettonico. È noto a tutti che i grandi architetti sono capaci di progettare scale bellissime: nella BPV, Scarpa ha mostrato il fascino che esercitavano su di lui le scale, un elemento dell’architettura degli interni che spesso percepiamo come un oggetto dinamico.
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Quando Scarpa morì nel 1978, le facciate erano completate e le decisioni più importanti erano già state prese; l’edificio verrà inaugurato ufficialmente nel 1981. Nel saggio successivo, Alberto Vignolo affronta gli sviluppi nella fase del “post Scarpa”. Già nel 1977 la banca aveva chiesto a Scarpa di sviluppare alcune idee per lo sportello centrale, sistemazione che verrà poi realizzata da Arrigo Rudi. L’autore sottolinea il fondamentale apporto di Rudi nella fase di completamento dopo la scomparsa di Scarpa, e il successivo contributo di Valter Rossetto negli adattamenti finali nell’edificio. Negli anni ‘90, la banca acquista l’adiacente Palazzo ex Forti, e Luigi Caccia Dominioni riadatta lo sportello centrale. In “Note a margine”, Simone Barnaba Rudi propone una personale lettura di questo “nobile lavoro di architettura”. Secondo l’autore, la composizione musicale di Luigi Nono dedicata all’amico Carlo è la chiave per capire il mondo di Scarpa, così come i riferimenti ad artisti
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moderni come Arp e Mondrian e al fondamentale patrimonio della tradizione veneziana. Valter Rossetto ha diretto i recenti lavori di restauro delle facciate. Le foto antecedenti ai lavori mostrano in maniera eloquente come la loro fragilità fosse stata gravemente compromessa, soprattutto a causa del tempo e dei volatili. Le numerose cavità delle facciate erano diventate un vero e proprio paradiso per i piccioni. Dopo il rigoroso restauro si può ben dire che le facciate hanno riacquistato il loro originario splendore. Nel confrontare le immagini del prima e del dopo, appare evidente come questo intervento fosse assolutamente necessario. Nel contributo seguente, Elena Tinacci analizza i più di mille disegni (1.312) per la BPV ora conservati nella collezione del MAXXI di Roma. I disegni di Scarpa sono magnifici e ne illustrano la ricerca per la soluzione appropriata di ogni elemento del progetto. L’ultimo disegno selezionato da
Tinacci è quello per il logo della BPV collocato in facciata. Il lavoro di catalogazione del materiale grafico relativo alla BPV è infine preso in esame nel contributo di Lucia Tarantino e Silvia Dandria. In calce al volume, viene proposta la trascrizione di una lezione tenuta da Scarpa a Venezia il 13 marzo 1975: “Banca Popolare di Verona, le automobili sono dei cofani”. In questo interessantissimo intervento, Scarpa espone la sua poetica, spiegando ai suoi studenti che l’architettura è radicata nella cultura e rende palpabile la luce. Il libro è un interessante contributo per comprendere la poetica di Scarpa, e offre l’opportunità di entrare nel complesso mondo di questo “maestro” e del suo ultimo capolavoro veronese.
CARLO SCARPA PER LA SEDE DELLA BANCA POPOLARE DI VERONA a cura di Valter Rossetto, Alba Di Lieto Banco Popolare / Silvana Editoriale, 2015, pp. 240
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1 Marc Dubois, Het universum van het detail -
Marc Dubois insegna al Dipartimento di Architet-
«Forum», 4, 1986, pp.176-185.
di «Casabella» e ha pubblicato numerosi scritti in
The universe of the detail. Work of Carlo Scarpa, in (Traduzione: Anna Pasti e Alberto Vignolo)
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tura Sint-Lucas di Gent (Belgio); è corrispondente particolare sull’architettura belga.
La disMappa e il labirinto delle barriere
Un punto di vista “dal basso” inquadra attraverso l’obiettivo fotografico il tema dell’accessibilità nella città storica Testo: Alessandra Bari
Foto: Nicoletta Ferrari
Norme, cerchi prespaziati, rampe, pendenze, tavole, verifiche, dichiarazioni. Questo sono per noi architetti, ad essere sinceri, le barriere architettoniche viste attraverso l’ottica del tavolo digitale da disegno. Ma per chi vive tutti i giorni una condizione di disabilità motoria – definizione che comprende anche quelle temporanee, tra passeggini, stampelle o semplice difficoltà di deambulazione – il punto di vista si fa ben più reale. E la famigerata barriera è un piano di scale che non si riesce a salire, o anche solo il semplice gradino di una soglia che non consente l’ingresso agevole a un negozio; è la caccia al bagno di un servizio igienico accessibile ma per davvero, non solo per un’etichetta appiccicata sulla porta, o uno sportello aperto al pubblico dove l’operatore non ti squadri dall’alto in basso. E gli esempi potrebbero continuare. Di questo sguardo si è fatta interprete Nicoletta Ferrari, Presidente dell’Associazione disMappa che dal 2012 sta portando avanti il suo progetto e la sua idea di città. In quell’anno Nicoletta si è trovata nella circostanza di dover cercare casa in centro storico a Verona. Compito tutt’altro che facile: appartamenti abitabili da
persone con disabilità motoria, semiautonome, non se ne trovano. Da qui l’idea: ma se l’edilizia residenziale non è al passo coi tempi, che grado di accessibilità hanno gli spazi istituzionali, commerciali, ricettivi e, perché no, urbani? Per rispondere a questa domanda serve inequivocabilmente una Mappa. E una missione: valorizzare le bellezze storico-artistiche del centro di Verona rendendola accessibile a tutti. Come? Lo strumento scelto da Nicoletta è la macchina fotografica. Le immagini pubblicate in queste pagine e quelle raccolte nel sito disMappa sono un campionario generosamente eloquente. Domandare è lecito: come mai noi architetti non ci abbiamo mai pensato? A mappare il territorio cittadino e gli spazi annessi per generare anche solo un documento strategico, una raccolta dati, una piattaforma web per la la ricerca, uno spazio virtuale multidisciplinare in cui condividere visioni e criticità, una mappa online aggiornata e aggiornabile? Rispondere è cortesia. Il percorso di disMappa è cominciato così: a dicembre 2013 l’Associazione ha ottenuto il patrocinio e la collaborazione con l’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Verona. In questi due anni di attività istituzionale molti sono i progetti lanciati e seguiti in prima
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persona da Nicoletta: “Verona 365”, un diario fotografico che testimonia la vita quotidiana cittadina di chi si muove su sedia a rotelle; il Manifesto dei Teatri Accessibili e l’iniziativa Teatri 10 e lode; la mostra fotografica “Cambio di Prospettiva” tenutasi nel Palazzo della Gran Guardia (marzo 2014), durante la quale si invitava il pubblico ad utilizzare la carrozzina per guardare le proiezioni in mostra; la campagna fotografica di sensibilizzazione “Accessibile è meglio” sostenuta anche da testimonianze video di protagonisti della scena culturale e della società civile su scala nazionale; una seconda mostra fotografica tenutasi dal 26 novembre al 10
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dicembre 2015 presso la Biblioteca Centrale Arturo Frinzi e intitolata “Verona on Wheels”. In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità sono stati proiettati sul muro interno all’ingresso della biblioteca 1989 scatti che ritraggono i tanti turisti che visitano, e i tanti cittadini che vivono, in carrozzina il centro storico di Verona. Ma facciamo un passo indietro. Come dice Franco La Cecla, “l’accessibilità non è una questione teorica né solamente un obbligo di legge, ma una necessità quotidiana” (Per una critica delle automobili, Bollati Boringhieri 2006). Chi gestisce la res publica dovrebbe
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« È necessario superare il concetto di barriera architettonica come problema circoscritto alla popolazione disabile, a favore di una concezione allargata alle esigenze di tutti » occuparsi degli spazi, dei percorsi, dei servizi. A noi architetti rimane una questione di costume: costruire relazioni di qualità col territorio, sostenendo e diffondendo nuovi modi e comportamenti con cui abitare la città. Perché molto è già stato costruito e la sfida di oggi non è tanto quella materiale di adeguare le strutture esistenti sfidando la burocrazia, ma di avere il coraggio di essere radicali e intelligenti, per non cedere all’impoverimento urbano e sociale. “Il grado di accessibilità di una città lo si percepisce da quanti disabili si vedono in giro, e a Verona qualcuno
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si comincia a vedere”. Così ci dice Nicoletta, che con il suo compagno Luca ha finalmente trovato casa, e assieme a loro anche l’Associazione disMappa. Grazie alla collaborazione di AGEC è stato messo a disposizione uno spazio all’interno di un palazzo storico in Corso Porta Borsari. I lavori di ristrutturazione per rendere accessibile l’appartamento si sono conclusi; manca ancora poco per inaugurare l’ampia camera con affaccio sulla Chiesa di San Giovanni in Foro come stanza degli ospiti e sala di cortesia: questo locale con bagno privato sarà messo a disposizione esclusivamente ai visitatori che si muovono su sedia a rotelle e che riscontrano difficoltà a trovare alloggio in centro a Verona. Oltre al pernottamento, la stanza è aperta anche a chi si trovasse a Verona per un solo giorno e necessitasse di un luogo di riposo con bagno e doccia. Per concludere. Noi architetti siamo chiamati in causa, nostro malgrado, come professionisti e dobbiamo riflettere e uscire da quegli schemi mentali che ci imbrigliano più delle stesse norme tecniche. È necessario superare il concetto di barriera architettonica come problema
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esclusivamente circoscritto alla popolazione disabile, a favore di una concezione allargata alle esigenze di tutti. Come disMappa ci dimostra, l’impegno per cambiare passa sia dall’abbattimento delle barriere architettoniche che dalla innovazione dei servizi urbani di ospitalità, di mobilità e di collegamento tra spazio pubblico e spazio privato, tra dentro e fuori. Ed è anche una questione culturale: abbiamo un manuale e delle leggi che ci spiegano come progettare e quali norme rispettare, ma non abbiamo un piano strategico comunale che supporti un cambiamento socio-culturale e che ci faccia diventare padroni dei nostri movimenti senza impedire quelli dei nostri simili. Nicoletta Ferrari a nome dell’Associazione disMappa ci lancia una sfida, o meglio ci vorrebbe coinvolgere nell’organizzazione di un evento: “La Notte Bianca senza Barriere”. Chi: un architetto e un’azienda appartenente alla filiera del marmo. Cosa: abbattimento delle soglie di tutte le attività commerciali aderenti, in cui il gradino d’ingresso impedisce ad una persona disabile di entrare autonomamente. Perchè: accessibile è meglio.
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01. L’accesso al Palazzo della Ragione: una barriera apparentemente semplice da superare. 02. La mostra “Verona on Wheels” presso la Biblioteca Frinzi dell’Università di Verona. 03-04. L’ingresso e il logo di Casa disMappa a Verona.
Urbs capta: resistenza, partecipazione, ricostruzione
Le critiche del giurista Paolo Maddalena e dell’urbanista Paolo Berdini ai modelli economici e culturali che hanno guidato le politiche dell’ultimo ventennio Testo: Luciano Lorini
Foto: Michele Mascalzoni
Fa un certo effetto, ritrovarsi in una sala gremita del fior fiore dei professionisti della nostra società (avvocati, architetti e ingegneri), ad ascoltare parole certamente ispiratrici, ma sicuramente inconsuete in questo contesto. È accaduto venerdì 27 novembre 2015 al Convegno Urbs Capta, due testimonianze su città, territorio e beni comuni, nell’Aula magna del Silos di Ponente, presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Verona. L’incontro era organizzato dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Verona, dall’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e moderato dall’architetto Anna Braioni. I due relatori, il giurista Paolo Maddalena e l’urbanista Paolo Berdini, hanno dipinto uno scenario a tinte fosche, circostanziando ogni argomento e puntando il dito verso le storture di un sistema corrotto e finalizzato al solo arricchimento, completamente dimentico del bene comune. Entrambi hanno fatto più volte cenno al fallimento dei modelli economici e culturali che hanno guidato le politiche economiche di questo nuovo ventennio (1994-2015), concordi che lo sfacelo è già in stato avanzato.
E tuttavia non è mancata la speranza che, come abbiamo ascoltato in altre occasioni, si riassume nella raccomandazione di riprendere in mano le deleghe a governare, impegnandoci in prima persona nei processi decisionali che riguardano la vita della comunità. Se dovessimo riassumere con una parola il sentimento dominante, la cifra comune che i relatori hanno voluto trasmettere, dovremmo usare resistenza, nella sua accezione storica attiva di partecipazione consapevole finalizzata al cambiamento. Secondo Maddalena il vero “nemico” è nei poteri forti legati al mondo della finanza. “Nemico” è il pensiero dominante, il pensiero unico neoliberista, che dobbiamo trovare la forza di individuare e denunciare. Se una volta il ciclo economico era costituito dai passaggi finanzaprodotto-finanza, adesso il percorso è cambiato: il prodotto non c’è più, manca il legame del denaro con il valore dei beni e il bene è diventato il debito (ciclo finanza-finanza). La ricerca del massimo profitto ha inoltre comportato un cambiamento antropologico. Oggi conta la finanza, che però causa impoverimento collettivo e accumulo della ricchezza nelle mani di pochi. La ricchezza finanziaria è fittizia, ma le leggi recenti favoriscono le azioni finanziarie, scellerate,
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anche per gli enti pubblici. Le più comuni sono: acquisto del debito, trasformazione del debito in titoli commerciali (negoziabili in borsa), vendita di questi titoli, ammissibilità dei derivati (titoli tossici), cartolarizzazione dei crediti, cartolarizzazione degli immobili da vendere (cioè non ancora venduti), privatizzazioni (poste, ferrovie, società energetiche e servizi essenziali). Tutto questo è contrario alla nostra Costituzione. Tutte le leggi varate negli ultimi anni sono contro la Costituzione, contro il concetto di bene comune, contro il principio di uguaglianza (e contro la libertà), ma i giornali e i mezzi di comunicazione non denunciano,
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Il presente articolo è già stato pubblicato sulla rivista online VeronaIn (www.verona.in.it). foto Alessandro Tommasi
DUE TESTIMONIANZE SU CITTA’, TERRITORIO E BENI COMUNI
il convegno on line Le registrazioni degli interventi di Arnaldo Toffali, Paolo Maddalena, Paolo Berdini e Anna Braioni effettuate nell’aula magna del Silos di Ponente il 27 novembre 2015 sono disponibili nella sezione video del sito di «AV». video http://www.architettiveronaweb.it/ category/video-architettura-verona/
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URBS CAPTA
Paolo Maddalena: il territorio bene comune degli italiani Paolo Berdini: le città in vendita
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i cittadini non si informano e non leggono (la maggior parte guarda solamente la TV), nessuno ne parla, i politici mentono. In realtà il debito non è dovuto ai costi dello stato sociale, ma all’aumento dei tassi di interesse, decisi dal mercato. Non è una crisi, è una menzogna; è una nostra sottomissione a un sistema finanziario fasullo, basato sui debiti e quindi vuoto. Nel suo intervento, Berdini ha stigmatizzato le leggi criminose e criminogene di questi anni (una per tutte la legge “Obiettivo”), ricordando che troppo spesso abbiamo ceduto al ricatto per il quale «non si poteva fermare l’economia, non si poteva interrompere il flusso virtuoso che genera lavoro». Oggi abbiamo le prove che non era vero. Ci hanno raccontato altre menzogne sul fatto che le città in gestione al privato sarebbero state belle, efficienti e funzionali, e così non è stato. In verità, in 6000 anni di storia delle città (una piccolissima porzione del nostro orizzonte di Sapiens), mai la città è stata interpretata in
modo così poco inclusivo. Certo ci sono stati periodi in cui la gestione è stata affidata a gruppi ristretti, ma da questi periodi abbiamo anche riportato testimonianze artistiche di indubbio valore. La visione privatistica odierna, invece, porta solo tanto male, con la complicità degli amministratori, in un’identità sostanziale di destre e sinistre. Per un po’ il sistema ha anche funzionato, ma a partire dal 2008 si è bloccato, per sempre. E la gente che ha coscienza critica oggi si organizza e si riunisce (è stato calcolato che in questi anni sono sorti oltre 10.000 comitati), principalmente non con lo scopo di tutelare interessi privati, ma con quello di preservare il bene comune. Ricostruzione, quindi, per la quale occorrono tre ingredienti: 1) cultura delle classi dirigenti; 2) capacità e bravura degli specialisti (progettisti, architetti, artisti); 3) disponibilità di risorse economiche. Per il primo punto siamo in attesa che l’Italia dei comitati e dell’impegno civile esprima qualche figura di rilievo. Per
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venerdì 27 novembre 2015 ore 17.00 Aula Magna del Silos di Ponente Via Cantarane 22c VERONA introduce: avv. Luca Tirapelle modera: arch. Anna Braioni a cura di: M.Matilde Paganini Commissione iniziative promozionali e culturali Ordine Architetti PPC Verona
PAOLO MADDALENA (1936) giurista e magistrato. Si è occupato di diritto amministrativo, diritto costituzionale e ambientale, di cui diventa, sin dagli anni Settanta, uno dei massimi studiosi in Italia. Nel 1971 passa in magistratura alla Corte dei conti e nel 2002 viene eletto giudice della Corte costituzionale, Þno al 2011. Ha pubblicato su riviste specialistiche, Þrmando interventi in cui la competenza giuridica si fonde alla passione civile: "Diritto all'ambiente" (2012), il saggio apparso nel volume "Costituzione incompiuta" (2013). Nel 2014 pubblica "Il territorio, bene comune degli italiani", una rißessione sulle radici dell'attuale crisi democratica, da rintracciare principalmente nella concentrazione del potere economico nelle mani di pochi e nella tendenza a misconoscere la prevalenza giuridica della proprietà collettiva a scapito di quella privata, con conseguenze nefaste tanto sul piano Þnanziario che su quello ambientale. PAOLO BERDINI (1948) laureato in ingegneria è tra i più profondi conoscitori dell'urbanistica di Roma. Svolge attivitˆ di pianiÞcazione e consulenza per le pubbliche amministrazioni ed è stato membro del Consiglio direttivo nazionale dell'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) dal 1989 al 1992. Cura uno spazio blog per "Il Fatto Quotidiano", collabora come redattore al sito "www.Eddyburg.it". é autore di importanti monograÞe sul degrado del territorio italiano ("Le città in vendita", 2008; "Breve storia dell'abuso edilizio in Italia", 2010). Suoi contributi sono apparsi nei libri a più mani "Dove va l'urbanistica" (2011) e "Il pianeta degli urbanisti (2013). "Le città fallite" (2014) libro che Çenumera con lodevole completezza la serie dei fatti eclatanti che hanno distrutto i territori urbani, ponendo in evidenza come questa distruzione territoriale e ambientale sia andata di pari passo con la cancellazione delle regole dell'urbanistica»
il secondo punto non è difficile capire (lo dice guardando la platea dei molti giovani professionisti intervenuti) che c’è una classe professionale nuova, che ha introiettato lo sfacelo della generazione precedente e ha le capacità e la passione per cambiare. Sul terzo punto non ci sono dubbi: è ora che lo sperpero di denaro pubblico destinato alle grandi opere (dall’Expo al Mose, alle Olimpiadi…) finisca per sempre. Le risorse devono tornare ai progetti di ricostruzione delle città, perché città moderne, efficienti e funzionali, sono la vera risposta ai problemi del futuro (un esempio per tutti, Londra, che sta pianificando il futuro in modo esemplare, con l’occhio attento al vero benessere dei cittadini).
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01-03. Vedute urbane tra lavori in corso, parcheggi lungo le mura e fiumi di autovetture. 04. La locandina dell’incontro.
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Unesco e Verona: le nozze di porcellana
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Nel quindicesimo anniversario dall’iscrizione di Verona nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità i risultati e le aspettative del prestigioso riconoscimento
Testo: Michelangelo Pivetta Foto: Lorenzo Linthout
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“Un popolo senza Memoria è un popolo senza Futuro” Luis Sepúlveda La frase ormai sdrucita dell’autore cileno dovrebbe ricordare a tutti il significato della Memoria come pietra angolare di civiltà. A maggior ragione in questi tempi, nei quali ci si infuria per giorni a causa di un errore arbitrale mentre, al contrario, si rimane impassibili davanti alle distruzioni perpetrate dal furore terrifico di bande in preda alla metanfetamina. Cosa aspettarsi da una società che ormai vive secondo questa parallasse? Vero anche che Bufalino ebbe a scrivere che i “ricordi uccidono e senza memoria saremmo immortali”, e forse questo è il nocciolo del leitmotiv contemporaneo. Per quanto mi riguarda, cartesiano di natura e formazione, vero è l’esatto contrario: senza memoria non saremmo coscienti, senza coscienza non saremmo noi stessi, saremmo quindi solo animali. Verona ha celebrato recentemente i quindici anni quale membro del ristretto gruppo di città, monumenti e paesaggi definiti da UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) “Patrimonio dell’Umanità”. Un traguardo temporale importante, quasi una maggiore età. Può essere quindi interessante provare a tirare le somme chiedendosi quale sia il risultato che l’appartenere a questo club d’eccellenza mondiale abbia prodotto nei tre lustri e cosa la città abbia fatto per meritarselo. Per la maggior parte dei veronesi stessi la città è un mistero, talmente lontano e difficile nelle proprie alchimie da generare disinteresse e quindi, purtroppo, ignoranza. Una recente indagine segnala, infatti, come solo
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il 50% degli intervistati (turisti compresi) sia a conoscenza che la città è Patrimonio UNESCO; a scanso di equivoci: patrimonio mondiale al pari di Venezia e la sua Laguna, Roma, Firenze, Pompei eccetera, solo per citare alcuni casi italiani. Ciò significa che mentre gli occhi della comunità internazionale sono rivolti su Verona e su chi opera perché la città e il suo contesto monumentale vengano preservati e valorizzati, più della metà dei veronesi, pure loro in qualche modo oggetto di vincolo, nemmeno lo sanno. Utile ed istruttiva è stata la conversazione con colui che di Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO di Verona se ne occupa da tempo. Conosco Domenico Zugliani, responsabile dell’Ufficio UNESCO, da qualche anno ormai, e ho sempre intravisto in lui l’indole del francescano e così è, un po’, anche l’immagine del suo ufficio. Anzi, forse più benedettino che francescano, dato l’isolamento che quell’ala e quel piano di Palazzo Barbieri suggeriscono. La stanza è finalmente ampia con quelle misure degli uffici anni Cinquanta, ma fino all’anno scorso il vecchio ufficio misurava non più di tre metri per due. Una piccola finestra alta nel fondo e la scrivania oppressa dagli incartamenti sulla sinistra rammentano, in certe condizioni di luce, immagini dal sapore antico, come fosse un San Girolamo di Antonello da Messina, solo specchiato. La disponibilità è regola del suo rapportarsi col prossimo, ma vi è anche un velato languore, quello delle persone che vivono l’impressione di poter fare di più e meglio, un po’ come un centometrista a cui si permetta di correre solo trenta metri. Precisiamo subito che i criteri
su cui viene definito il valore di Verona per UNESCO sono due: la stratificazione storica e culturale e il patrimonio dell’architettura militare. Questi due criteri, che sono i pilastri della Dichiarazione, stabiliscono una sorta di Carta d’Identità del sito e definiscono gli ambiti sui quali intervenire per ottenere il risultato ultimo, che è quello di conservare e trasferire il patrimonio alle generazioni future.
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01. Uno degli accessi a “Verona Patrimonio dell’Umanità”. 02-03. Lo stato dei luoghi a ridosso della cinta monumentale della città.
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04. Un’immagine esemplare dello stato di conservazione di molte parti del patrimonio di architettura militare. 05. Il varco di accesso al Bastione delle Maddalene, recentemente recuperato. 06. Porta Nuova.
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L’Ufficio UNESCO presso il Comune è stato costituito tra il 2006 e il 2007, circa cinque o sei anni dopo l’iscrizione e solo dopo l’approvazione del Piano di Gestione. Compito dell’Ufficio dovrebbe essere quello di coadiuvare la gestione del sito da parte del soggetto responsabile, che nello specifico è il Comune stesso. Due le linee scelte dalle Amministrazioni che si sono succedute: conservazione e valorizzazione in base a quelle che sono le caratteristiche della Dichiarazione di Eccezionale Valore ottenuta, finalmente, proprio nel 2015. All’interno di questo perimetro si pone maggiormente la problematica della conservazione perché, al contrario di molti altri siti, Verona è una città che vive, quindi con tutte le difficoltà che questo significa nella ricerca dell’equilibrio tra conservazione, appunto, e l’evoluzione dettata
dalle dinamiche cittadine di una città viva. Nel processo di valorizzazione vi sono due ulteriori ambiti distinti: il primo culturale e il secondo economico. Nell’ambito culturale sono attive azioni che vanno dalle interazioni con il sistema scolastico all’apertura del Centro di Documentazione delle Mura, perché è giusta convinzione che solo attraverso la conoscenza e l’approfondimento dei valori unescani si possa creare la sensibilità necessaria. Per quanto riguarda l’aspetto economico, è costantemente monitorato il rapporto tra il grande numero di turisti e i monumenti che costituiscono il sito, comprese le modificazioni che questo tipo di afflussi possono indurre nella struttura sociale del sito stesso, come ad esempio l’abbandono del centro storico da parte dei residenti a favore dell’insediamento di attività ricettive. Percorso contrario a quanto previsto da UNESCO, che tende invece a garantire la conservazione non solo dal punto di vista storico-architettonico ma anche dal punto di vista sociale, in quanto valore unitario all’interno del cosid-
detto Paesaggio Storico Urbano. In questi ambiti l’Ufficio ha contribuito alla realizzazione di un sistema di monitoraggio statico di una decina di edifici monumentali, tra i quali l’Arena e la Torre dei Lamberti, e in parte all’approntamento delle linee guida di un piano per l’illuminazione delle Mura Magistrali che sta andando avanti in collaborazione con la Soprintendenza. Sul piano culturale invece, all’interno del sistema veneto dei siti UNESCO, è stato sviluppato un processo di sensibilizzazione nelle scuole. Costante anche l’impegno nell’Osservatorio sul Turismo Culturale in collaborazione con l’Università di Verona, che in sostanza si occupa della raccolta ed elaborazione dei dati relativi all’afflusso turistico in città. Sul futuro pesano le difficoltà economiche e le emergenze sociali, ma per i prossimi anni l’esempio è il restauro del Bastione delle Maddalene, primo timido tassello per la creazione del cosiddetto Parco Culturale delle Mura. Ora però ci si augura che l’Amministrazione riesca a farlo
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funzionare all’interno di una logica di sistema, perché deve essere interpretato come l’inizio di un processo di riqualificazione della Cinta Magistrale dato che, si voglia o non voglia, la Cinta è il più grande monumento della città. Monumento che, al contrario di altri come l’Arena e le Arche Scaligere, non ha l’attenzione che meriterebbe. Le difficoltà di gestione hanno poi diverse scale: dalla necessità inascoltata di dotare la città di una segnaletica decente per permettere la percezione che ci si trovi in un sito UNESCO, alla difficoltà di pensare come i grandi progetti della città si possano ripercuotere sull’Eccezionale Valore Universale riconosciuto da UNESCO a Verona. Da un Ufficio auto-definitosi quasi “uni-personale” non si può pretendere di più, anzi, onore a chi invece di diluirsi all’interno del tessuto amministrativo, ha il coraggio e l’orgoglio di portare avanti, quasi in solitaria, il proprio compito. Ciò che più rammarica in generale, da veronese, architetto e viaggiatore, è l’evidente poca considerazione che l’attivismo sociale/politico/amministrativo dedica ad un fattore fondamentale e foriero di sviluppo, e questa è chiaramente una partita persa da tutti. Alcuni siti nel mondo hanno saputo ritrovare energia e identità proprio partendo dall’essere diventati Patrimonio: Firenze, tanto per citarne uno. Città dove di certo non è stato semplice, in una decina di anni, realizzare chilometri di tramvia, rimuovere caotiche bancarelle sul fianco di San Lorenzo, chiudere al traffico Piazza San Giovanni attorno al Battistero oppure scendere a patti con la Soprintendenza Archeologica per interrare i cassonetti nel centro storico.
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Nel Cinquecento Vasari scrisse: “si come è vero che la città di Verona, per sito, costumi, ed altre parti è molto simile a Firenze, così è vero che in essa, come in questa, sono fioriti sempre bellissimi ingegni in tutte le professioni più rare e lodevoli.” Potremmo scrivere oggi altrettanto? Questo un esempio, tra moltissimi altri, di come il “fattore UNESCO” non sia solo un cartello stradale da esibire per pura immagine, ma piuttosto un codice comportamentale
«Quale risultato ha prodotto in questi tre lustri l’appartenenza a questo club d’eccellenza mondiale e cosa ha fatto la città per meritarselo? » da utilizzare nei momenti peculiari delle scelte, contro qualsiasi interesse che non sia quello pubblico, avendo lo slancio di pensare al domani e al dopodomani. Rispondendo ad esempio alla concorrenza dei mercatini natalizi delle città limitrofe con mostre veramente monumentali e memorabili, o non piegandosi al denaro versato in cambio di marchiani alberi natalizi kitsch. Pensare a domani, non a oggi. L’etica della polis, cioè la politica, quella di tutti i veronesi, dovrebbe essere innanzitutto questo. Diciamolo pure, frequentare città vicine come Mantova, Padova, Brescia (tralasciando Rovereto e Trento che fanno storia a se) è ormai tautologicamente deprimente. Lì è evidente una condizione diffusa di qualità in ogni ambito. Queste città, tra l’altro meno dotate per così dire, riescono a rigenerare le proprie ferite componendo nel tempo un perfetto
stato di evoluzione nella conservazione. Basti citare l’operatività di Mantova dopo il terremoto d’Emilia con il vastissimo restauro del suo centro, oppure Brescia che ormai da anni ha affrontato i problemi di mobilità con una sofisticata metropolitana. Può sembrare scontato, ma è proprio da questi segnali che risulta tangibile l’attenzione e il rigore nella gestione del bene pubblico. In una città come Verona forse non basta delegare part-time alla Cultura un consigliere comunale, ci vorrebbe maggiore responsabilità e responsabilizzazione. Il recente tragico furto delle opere dal Museo di Castelvecchio, sotto il naso di tutti e nel silenzio di tutti, è il chiaro sintomo dello stato delle cose: nessun responsabile, nessuno a cui si possa chiedere conto del più profondo sfregio alla città dall’epoca dei bombardamenti di settant’anni fa. Possibile? Così, al pari dei mattoni sgretolati delle Mura di cui lo stato di abbandono di Porta Nuova è solo uno dei lati più evidenti, un pezzo fondamentale del nostro Patrimonio UNESCO è andato in fumo. A proposito di Porta Nuova, ma anche di Porta Palio: quando decideremo che non sono solo voluminose e fastidiose rovine nel mezzo di una rotatoria, ma veri monumenti di valore universale, visitati da torme di turisti, sui quali finalmente investire? Per fare un esempio di inerzia e
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disinteresse, oltre l’incerto intervento delle Maddalene il cui esito per dislocazione, contenuti e gestione sarà tutto da verificare, è importante rammentare come la manutenzione, gestione e riuso degli edifici che compongono la Cinta Magistrale, cioè il 50% della Verona Patrimonio UNESCO, siano a totale carico di associazioni e comitati cittadini, che, tra infinite difficoltà economiche, si trovano spesso anche fermati da una burocrazia, che mentre è rapidissima nei casi di mercificazione risulta ostativa in quelli di vera rivalutazione. La porcellana, essenza con cui si definiscono gli anniversari dei quindici anni, è simbolo perfetto per questa ricorrenza. Sostanza tanto bella e raffinata quanto effimera, delicata, fragile come il rapporto tra Verona e il suo semi-cosciente essere Patrimonio dell’Umanità.
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Nicola Bortolaso e Pierlorenzo Vantini a Verona
Testo: Angela Lion
Un pizzico di genius loci, abbondante perseveranza, fattiva determinazione - progredire sì, ma con i piedi ben ancorati a terra - fortuna quanto basta: ecco gli ingredienti per un sano e proficuo mix di longevità lavorativa. Lo studio Bortolaso Vantini ha trovato in questa ricetta il giusto equilibrio per garantire un operato durevole e di qualità. Iniziamo così una serie di incontri con alcuni esponenti del cosiddetto “professionismo”, ovvero con quegli architetti impegnati all’interno della prassi delle trasformazioni urbane e territoriali e che hanno lasciato molti segni della loro opera. L’incontro fatale tra Nicola Bortolaso e Pierlorenzo Vantini, titolari dell’omonimo studio associato, avviene ai tempi del liceo attraverso la passione comune per la vela. Gli studi universitari a Firenze si concludono non a caso con una tesi in disegno industriale, la progettazione della ‘barcatram’: una navetta su acqua per piccoli spostamenti della collettività. I relatori furono due esperti di questo settore, Roberto Segoni e Giovanni Klaus Koenig, ideatori del jumbotram di Milano, con cui lo stesso Vantini aveva lavorato nel capoluogo fiorentino realizzando un volume sulla storia della MotoGuzzi. L’idea è interessante, ma la scarsa esperienza e i tempi non sono ancora maturi per
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cogliere questo spunto progettuale e lanciarlo verso una produzione seriale. Nel 1980 con la laurea alle spalle inizia una collaborazione nel dipartimento di tecnologie dell’architettura e design dell’università fiorentina. In parallelo, Vantini si dedica agli allestimenti di mostre e agli arredi d’interni, mentre Bortolaso segue la direzione tecnica nella ditta
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01. Da sinistra, lo staff dello studio: Daniele Oliosi, Alessandra Vallin, Piero Vantini, Nicola Bortolaso, Marzia Nardon, Gabriele Tregnaghi e Alberto Castioni. In basso, disegni per la ‘barcatram’. 02-05. Veduta generale, sezione, pianta e schema costruttivo del Centro di rieducazione costruito in Algeria. 06. La ‘barca-tram’, tesi di laurea (1980). 07. San Pietro di Morubio: planimetria di progetto per la riqualificazione della piazza (2005). 04
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di prefabbricati di famiglia. Nel 1981 aprono lo studio con sede a Verona che, salvo una parentesi di breve durata con l’inserimento di un terzo socio, vede i due architetti protagonisti di una notevole crescita professionale. Gli inizi sono di grande fermento, soprattutto per le numerose opportunità che l’estero offre loro: nel 1984 vincono un concorso per la realizzazione di un ‘Centro di rieducazione e di apparecchiature per handicappati fisici’ in Algeria. Non si tratta solo di un complesso ospedaliero per la rieducazione: è un vero e proprio organismo polifunzionale completo di ogni tipo di struttura ricreativa per la degenza degli ospiti e a misura dei diversamente abili. La difficoltà di questo tema, dovendo garantire la fruibilità in ogni singola parte dell’edificio, è determinata dal luogo tutt’altro che pianeggiante. La conformazione naturale del terreno viene sfruttata per collegare i due corpi di fabbrica, posti a differenti quote, tramite una serie di rampe. L’utilizzo di elementi portanti prefabbricati, composti da una struttura metallica a maglia e da tamponamenti in oannelli di cemento
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08-11. Corte Castello, Incaffi: prospetto principale, vista d’insieme della corte, particolare dell’interno, piante piano terra e primo (2012-14). 12. Corte Pasti, Bonavicina: prospetto dell’intervento di riqualificazione lungo il fronte stradale (200004).
armato, accompagnati da un puntuale studio delle normative francesi in materia di barriere architettoniche fanno sì che il progetto venga classificato al primo posto. La realizzazione di quest’opera avrà seguito con la collaborazione dello studio Arteco. Questo forte slancio verso il mercato estero prosegue per tutti gli anni ottanta, con progetti di edilizia scolastica ad Algeri, residenze in Costarica, Grecia, Argentina, Stati Uniti, e per spazi commerciali e alberghieri in Turchia
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13-15. Porto Manfredi, Peschiera del Garda: planimetria dell’intervento, veduta panoramica, piante, prospetti e sezione della torre di controllo (2000-03).
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e Tanzania. Nel territorio veronese della partecipazione a numerosi appalti-concorso, dell’edilizia residenziale agevolata-convenzionata, delle scuole pensate ed edificate con i sistemi compositi della prefabbricazione, inteso come innovativo linguaggio architettonico per un moderno disegno delle città volto ad una versatilità costruttiva dinamica e riutilizzabile. Il lavoro preciso e costante li ripaga coinvolgendoli in sfide sempre nuove ed ambiziose. Nel ventennio successivo, infatti, sono impegnati su più fronti
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tematici, quali l’arredo urbano con la realizzazione a Peschiera del Garda del porto turistico ‘Bruno Manfredi’ per la Nautica Pioppi. Prova di notevole entità sia per l’iniziativa portuale – tema a loro caro – sia per la riqualificazione di un’ampia porzione del lungolago Garibaldi. Anche in questo caso la progettualità è rivolta al luogo, complesso come quello del territorio lacustre ma rispettato nella sua fisicità, ed ostico tecnicamente a causa della realizzazione di una grande vasca destinata a parcheggio interrato. Poco distante, a Valeggio sul Mincio, nasce l’idea per un’autorimessa pubblica. In questo caso l’approccio progettuale è diverso: la pensilina monopiano, accesso ai due livelli interrati sottostanti, si caratterizza per i lineamenti apparentemente semplici. In realtà tiranti in acciaio, relegati a posizioni defilate per
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garantire la massima fruibilità degli spazi attigui, sostengono l’ampia copertura a sbalzo ed il vetro ne fa da padrone, oscurando con le sue trasparenze il materico rivestimento in pietra e rendendo impercettibile il medesimo volume. Con il tempo la committenza inizia a farsi numerosa e sempre più impegnativa. Le commesse aumentano, raggiungendo anche la bassa veronese. Altro 15 spazio pubblico da riconfigurare; forma e sostanza si concretizzano nell’opera di riqualificazione della piazza antistante la chiesa di San Pietro di Morubio. In questo caso viene riprogettato tutto un ambito attraverso la lettura di quanto rilevato dall’analisi contestuale del luogo – la facciata della chiesa, l’articolarsi dei limitrofi manufatti storici e della prospiciente area verde degradata – effettuando una trasposizione a terra. Questa realtà della provincia è florida, tanto da investirli qualche tempo prima nel recupero edilizio e restauro della non lontana Corte Pasti a Bonavicina. Un intervento conservativo che nel rispetto dell’esistente valorizza la parte storica del complesso rendendola viva nel suo riutilizzo a residenza. Si aprono le porte ai piani PEEP e al turistico-ricettivo, toccando un po’ tutta la costa del lago e non solo. La ‘Mattarana’
16. Progetto per il complesso residenziale Bellavista a Bardolino (2015): vista dall’alto nel territorio gardesano. 17-18. Residenze Mattarana, Lazise (2014-15): veduta del fronte a lago e piante dei piani primo e solarium.
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a Lazise, residence sorto grazie ai piani-casa ha il sopravvento. Gli esterni, ripuliti dal degrado attraverso una ricostruzione con ampliamento, del tempo, mantengono il loro configurarsi, predilige l’architettura lineare, pulita nelle forme segnato dalla mano dell’uomo – impaginato e nei materiali, attenta alle nuove tecnologie, compositivo sintesi delle molteplici stratificazioni funzionale non solo a chi ci vive ma all’ambiente – mentre l’interno si tinge di una veste moderna e in cui è inserita. Volumi squadrati e ripetuti funzionale, lasciando traccia del passato attraverso secondo sequenze delineate dal terreno, vuoti elementi originali opportunamente collocati. su pieni con decisi L’attenzione e la elementi aggettanti, sensibilità al complesso « La produzione architettonica coperture piane, brise è massima; la cura nelle dello studio non spicca per un soleil, parapetti in vetro, finiture, nella scelta progetto principe che ne connoti rivestimenti in pietra dei materiali, in un locale. Le linee pulite linguaggio coerente. l’identità, bensì per la costanza prendono il sopravvento e la notevole quantità produttiva » Coerente come lo su una realizzazione di spirito che li accomuna stampo tradizionale che nel procedere senza per lungo tempo ha caratterizzato il loro costruito. compromessi, determinati da un impegno comune Un’attenzione maniacale al dettaglio costruttivo, seppur distinto. quasi a voler anticipare preventivamente qualsiasi I temi progettuali affrontati e quasi tutti imprevisto di cantiere. È quanto accade per il realizzati sono molteplici. Uno slancio verso restauro con cambio d’uso di corte Castello ad un’architettura dall’aspetto tecnologico è Incaffi. Un’area immersa nel verde dal sapore rappresentato dall’edificio realizzato a Cà Vignal antico dove il concetto di conservazione filologica nel polo scientifico di Borgo Roma dell’Università
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19. Valeggio sul Mincio, rendering della proposta progettuale per la costruzione di un’autorimessa interrata (2007). 20-21. Laboratori per il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Verona, Cà Vignal (2012-15): sezione longitudinale e trasversale e veduta dell’edificio realizzato. 19
degli Studi di Verona. Questo slanciato volume, interamente coperto da una pannellatura fotovoltaica, nasce per concentrare una sperimentazione sul tema delle energie rinnovabili, e si presenta come un oggetto futuribile ma che in realtà racchiude in sé spazi elementari, destinati ad essere attrezzati come laboratori di ricerca. I tre fronti si spartiscono in maniera equa pannellature in lamiera che gli rendono una grande staticità, e ampie vetrate nella fascia superiore. A coronamento di questo involucro un cappello voltato dalla linea unica. La produzione architettonica dello studio Bortolaso-Vantini vista attraverso questa sintetica rassegna appare serrata e quasi maniacale nella cura del dettaglio: non spicca per un progetto principe che ne connoti l’identità, bensì per la costanza e la notevole quantità produttiva. Un’attività progettuale intensa e variegata che ha visto i singoli professionisti specializzarsi in ambiti definiti nella gestione dei processi di elaborazione e gestione dei lavori: dalle fase preliminari ai progetti definitivi e alla simultanea redazione degli esecutivi, fino alla direzione lavori e a quanto serve per garantire un prodotto finale di sostanza. L’effettiva lealtà tra le parti, il forte senso deontologico e la professionalità di studio, di un lavoro ben valutato e di un sistema progettuale strutturato sono qualità che il tempo ha saputo loro riconoscere. La formula vincente per avere continuità e perdurare nel tempo: non mollare mai!
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{DiverseArchitetture}
Dai sogni alla memoria: Malacarne e Nosetta
Due ritrovi per il bere e il mangiare sono il frutto di una gustosa ricetta che ha unito committenti, artigiani e tecnici
Testo: Francesca Castagnini Foto: Lorenzo Linthout
Nome circolo malacarne osteria nosetta Luogo verona via s. vitale via betteloni AttivitĂ bere&mangiare
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Questa puntata delle diversearchitetture
mette assieme due luoghi che, pur essendo per
l’appunto diversi, sono accomunati dall’essere parte del medesimo racconto, con un primo
“Ho dato un’identità al Malacarne e il
Malacarne ha dato un’identità a me”, dice Lorenzo.
Dopo circa tredici anni arriva l’idea di
capitolo e con un sequel che dà continuità
aprire un nuovo locale, l’Osteria Nosetta. La
fortunato esordio.
un ruolo fondamentale: appena fuori le mura
e sviluppo a personaggi e interpreti del
Nel 1999 apre il circolo Arci Malacarne: un
luogo immaginato da Lorenzo durante due anni
passati in una fattoria nella campagna senese a capire che cosa fare del proprio futuro. Un centro culturale, uno spazio per le
mostre, una sala per piccoli concerti e
presentazioni di libri e un bar, l’unico sostegno economico di tutte
ricerca del luogo anche questa volta assume
cittadine, in Borgo Venezia, l’attenzione si ferma su un edificio d’angolo, dei primi del
‘900, con tutte le caratteristiche originarie intatte.
Questa volta gli attori principali del
progetto sono Lorenzo, l’amica architetto
Federica e Roberto, il suocero di Lorenzo,
queste ambiziose attività. Lo spazio dove far prendere vita
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a tutto questo viene cercato
meticolosamente e infine trovato in un articolato piano terra
di via San Vitale in Veronetta, territorio di incontro tra universitari stranieri e
sognatori, che in questo nuovo locale si possono ritrovare. In questa avventura è
accompagnato da molti amici, tra i quali l’architetto Federica
Guerra che seguirà le pratiche burocratiche necessarie
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all’apertura, ma si rimboccherà anche le
maniche nel dare concretamente una mano nella realizzazione dei lavori.
Piastrelle bianche lucide e mosaico alle
pareti - come in un grande bagno, pavimento
tra marmette, gres economico e veneziana si
snodano in un dedalo di stanze che presto si
riempiono di mobili recuperati nei mercatini, poster, strani oggetti, libri e riviste.
Uno spazio creato come un condensato di
vita immaginativa: Lorenzo svuota se stesso
in queste stanze, i libri che ha letto, i film che ha visto, la musica che ha ascoltato,
i sogni e gli incubi che ha fatto, dando a
questi spazi una personale e particolarissima identità da condividere con gli altri. Al Malacarne ci si sente a casa.
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01. Panoramica della Nosetta con il bancone realizzato con le vecchie serrande del locale. 02-05. Al Malacarne: piastrelle e marmo come in una vecchia cucina per il bancone; l’ingresso; il “black cube” per le mostre temporanee (e per il calciobalilla); una selle sale interne. 05
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{DiverseArchitetture} artigiano-artista per passione.
Gran parte degli arredi del locale sono
stati costruiti con materiale trovato
all’interno dell’edificio: con i vecchi infissi
in legno sono state realizzate le mensole e il top del bancone, il cui rivestimento frontale è la vecchia serranda, secondo l’originale idea arrivata dall’imbianchino (e un po’ filosofo…) tra una pennellata e l’altra.
Lorenzo osserva e immagina, Federica dà
ordine alle idee e partendo dal materiale
disponibile realizza i disegni esecutivi con la misura e la delicatezza di un regista che non vuole comparire. La costruzione
degli arredi avviene grazie al paziente
lavoro di Roberto, in una logica di
cantiere lontana dalle regole committente-
progettista-artigiano che regala un
risultato dal sapore
unico e irripetibile, come l’idea che il
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locale sia sempre esistito.
Grande impatto ha l’esposizione
di vini a tutta parete creata
in modo originale attraverso la
saldatura di cerchi in ferro. Un
dettaglio: la pinza per afferrare le bottiglie è stata progettata e brevettata da Silvio, marito
dell’architetto, confermando la
logica corale di un progetto che riesce a cogliere e valorizzare tutto quello che di buono gli orbita attorno.
“Nosetta” è il soprannome da partigiano
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Lorenzo racconta che spesso i clienti
del padre di Lorenzo, a cui il locale vuole
si sorprendono per quanto il locale sembri
libri sulla Resistenza che compaiono qua e là
parigino...”, ma lui sostiene che a Berlino non
rendere omaggio anche attraverso diversi
nel locale, un segno tangibile dell’impegno
culturale e politico che, seppure non più in primo piano, non è scomparso dai tempi del Malacarne.
poco veronese, “dicono londinese, berlinese, c’è nemmeno mai stato, e che le ispirazioni
06. Nosetta: l’ingresso. 07. Le mensole di appoggio create utilizzando i vecchi infissi. 08. Un’apertura incorniciata tra le due sale. 09. Planimetria del locale e dello spazio esterno.
sono più vicine di quanto possa sembrare.
La coerenza tra tutti gli elementi e la
capacità di osservazione del pre-esistente
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diventano la base sulla quale far crescere una nuova storia forte di radici profonde e sono
la chiave del successo di questi due locali: progetti che nascono da un mix irripetibile di equilibri tra committenti, artigiani,
tecnici e amici, la cui visione si è allineata dando risultati sorprendenti e inaspettati, ma soprattutto difficilmente ripetibili.
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10. La veranda, come un giardino d’inverno, amplia gli spazi verso l’esterno. 11. La sala ristorante. 12. Schizzi esecutivi per gli arredi. 13. Vista del bancone dall’ingresso con il portabottiglie che occupa tutta la parete.
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Il Novecento in provincia
Bardolino, Castelnuovo, Bussolengo, Valeggio, Arcole, Albaredo, Oppeano, Bonavicina, Bovolone, Cerea, Minerbe, Nogara
Nel territorio veronese riemergono dalla damnatio memoriae della cultura postbellica, dai guasti dell’incuria e delle improprie destinazioni d’uso gli esiti locali di quella formidabile stagione dell’architettura italiana che va dal 1926, anno di fondazione del “Gruppo 7”, ai primi anni del secondo dopoguerra. Le impronte lasciate dalla cultura del Ventennio comprendono l’edilizia pubblica e privata, gli edifici produttivi e le Case del Fascio, in una trama stretta di rimandi agli esempi di un’architettura molto indagata a livello nazionale, ma assolutamente sconosciuta a livello locale. Non ci sembra che esista una originalità di linguaggio negli esempi raccolti, e forse nemmeno una chiarezza stilistica e formale: si tratta di realtà urbane composte attraverso un alfabeto semplice, fatto di pochi elementi che si ripetono secondo schemi compositivi a carattere tradizionale e destinati a variare in funzione della gerarchia urbana e tipologica. Tuttavia, se letti nel loro insieme, sono gli esiti di un assetto del territorio ormai illeggibile, strutturato secondo i canoni di una razionalità economica e funzionale ben chiara e accertata. Emergono inoltre personalità che hanno avuto eco anche a livello più ampio, come Ernesto Pedrazza Gorlero, segretario provinciale del “Sindacato fascista ingegneri”, o Bruno Bresciani, politico di spicco che si interesserà dell’architettura e dell’urbanistica di Cerea, suo paese d’origine. Alcune degli esempi qui raccolti sono più conosciuti e studiati, altri sono inediti e aprono possibilità ad interessanti approfondimenti; testimoniano del dibattito contraddittorio e complesso tra funzionalismo e monumentalismo che si stava svolgendo in quegli anni in Italia. Testo: Federica Guerra
Foto: Lorenzo Linthout
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1 BARDOLINO Bar Lido Mirabello 1938
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Situato a sud del paese di Bardolino, alla foce del torrente Valsorda, l’edificio venne realizzato come “Colonia elioterapica Pietro Vincenzi”, una delle colonie diurne per la prevenzione sanitaria e cura dell’infanzia realizzata dall’Opera Nazionale Balilla. Le colonie elioterapiche furono formidabili macchine propagandistiche dell’impegno del regime per i ceti popolari, ma, contemporaneamente, dettero l’occasione agli architetti razionalisti di sperimentarsi in un tema, quello dell’architettura con fini etici, che Le Corbusier aveva già formalizzato. In questo piccolo edificio sembra riproporsi quella perizia compositiva, chiarezza d’impianto e qualità architettonica che lo stile internazionale aveva sperimentato, per esempio, nella colonia “Stella Maris” di Montesilvano (1938, Pescara).
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CASTELNUOVO DEL GARDA Saima SpA 1939/1945
BUSSOLENGO Centrale idroelettrica 1944
L’azienda nasce agli inizi del ‘900 come “Stabilimento meccanico di costruzione e lavorazione Federico Marzan” per la produzione di componentistica meccanica. Occupa una vasta area al confine con Peschiera con costruzioni in ampliamenti successivi, che vanno a lambire il manufatto austriaco di Forte Fenilazzo. Nel 1939 viene convertita in azienda bellica per la produzione di ordigni; in questi anni viene anche riattato il corpo principale su strada che riecheggia di riferimenti all’architettura piacentiniana con l’interessante cornicione ad archi che connette i due torrioni laterali. Sul retro un grande arco a sesto acuto, fiancheggiato da proiettili inesplosi, introduce all’area produttiva.
La Centrale di Bussolengo, realizzata a partire dal 1939 ma entrata a regime nel 1944, fa parte, con la Centrale gemella del Chievo e con il Canale Biffis, dell’impianto idroelettrico del Medio Adige. L’acqua imbocca il canale derivatore ad Ala e viene restituita all’Adige dopo due salti, a Bussolengo e a Chievo dove sono collocate le due centrali. Oltre alla palazzina uffici, di grande interesse risulta essere il manufatto che ospita le turbine dove la maestosità delle facciate rispecchia lo spirito della “civiltà italica” che dall’antico mutua le idee di ritmo, misura ed equilibrio. Gli interni presentano particolari di grande accuratezza, inaspettati rispetto alla destinazione produttiva dell’edificio.
4 BUSSOLENGO Palestra Citella 1934 Il centro storico di Bussolengo viene interessato all’inizio degli anni ’30 da una intensa politica di sventramenti che interessa l’attuale via Mazzini, l’abbattimento della Casa dei Sette Cantoni e la cortina delle case di Sottovia. Delle operazioni urbanistiche resta, a parte gli edifici dell’ex Casa del Fascio ora utilizzati a sede comunale, l’interessante e ben conservato edificio della “Casa del Balilla”, ora adibita a palestra, in stile Littorio ma con particolari che rimandano all’architettura internazionale dell’epoca come le finestre laterali a nastro e la composizione razionalista dei volumi a copertura piana. Sul cornicione di facciata si intravede la scritta ONB (Opera Nazionale Balilla).
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VALEGGIO SUL MINCIO Mercato ortofrutticolo 1932
ALBAREDO D’ADIGE Palazzo della cultura 1938
L’edificio, che versa in stato di forte degrado, fu realizzato nel 1932 su progetto dell’ing. Nello Gottardi, già sindaco del paese e presidente della ferrovia Mantova Peschiera, ora scomparsa. Inizialmente adibito a magazzino per la conservazione della frutta (era infatti dotato anche di due celle frigorifere), fu poi utilizzato come mercato ortofrutticolo. Il suo lessico, pur applicato alla massima funzionalità e scevro da concessioni al superfluo, esprime un’attenzione maggiore alla storia ed è ispirato, soprattutto nella bella facciata, ad un classicismo di matrice Novecentista.
Progettato come Casa del Fascio dall’ing. E. Pedrazza Gorlero, segretario provinciale del Sindacato fascista ingegneri, venne poi utilizzato, fino ad epoca recente, come sede municipale. L’edificio, realizzato tra il 1936 e il 1938, è costituito da due corpi di fabbrica addossati adibiti l’uno a sede amministrativa e l’altro, sul retro, a cinemateatro. Di grande impatto prospettico, l’edificio si staglia come fondale della principale via G. Marconi ben interpretando la sua scala urbana. Il prospetto principale, mosso in corpi leggermente aggettanti, rispetta una simmetria assoluta rispetto all’asse costituito dall’altissimo torrione centrale, ornato dall’asta porta bandiera.
6 ARCOLE Municipio 1938 Progettato nel 1937 dall’arch. Marino Padovani e realizzato l’anno successivo, il Municipio si apre su una ampia piazza alberata che ne esalta la chiarezza formale e rimanda ad una sorta di metafisica degli spazi aperti che evoca i quadri contemporanei di De Chirico. La facciata tripartita, con un ampio portale che racchiude i tre livelli su cui è distribuito l’edificio, riprende uno schema classico dell’architettura littoria. Ai lati del corpo centrale i bassorilievi decorativi portano ancora applicati i fasci littori. La facciata laterale mostra un gioco di volumi di sobrio razionalismo dove il corpo scala di servizio si inserisce nei volumi del corpo principale. A lato del municipio, la coeva sala consiliare riprende lo stesso apparato decorativo.
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8 OPPEANO Caserma Carabinieri 1937
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L’edificio, realizzato dall’impresa Giovanni Piga di Lonigo tra il 1936 e il 1937 su progetto dell’Ufficio Tecnico della Provincia, sorge su un terreno donato dall’allora Podestà all’Amministrazione Provinciale proprietaria dell’immobile. È caratterizzato oltre che da un sapiente incastro di volumi orizzontali e verticali, dall’originale corpo aggettante stondato, sottolineato dall’andamento del balcone e della veletta parasole che ne sottolineano il profilo. Sono state apportate lievi modifiche in fase esecutiva rispetto al progetto iniziale, consistenti nell’aggiunta di un corpo laterale che funge da ingresso secondario.
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9 OPPEANO Municipio 1956 Questo curioso edificio, realizzato in un periodo successivo a quello da noi considerato, risulta tuttavia interessante perché progettato dall’ing. Rossignoli che fu tecnico comunale a Oppeano nel
decennio tra il ’30 e il ’40: risulta evidente come la lezione dei maestri, la polemica tra funzionalismo e monumentalismo, il clima di intenso dibattito di quegli anni, non siano stati facilmente dimenticati.
11 BOVOLONE Caserma Carabinieri 1938 Il progetto della Caserma dei Carabinieri di Bovolone ebbe un lungo iter iniziato nel 1936, con le prime richieste del Comando locale alla Provincia di Verona perché si prendesse in considerazione l’ipotesi di realizzare ex novo una Stazione locale dell’Arma. Dopo un primo progetto redatto dall’Ufficio tecnico Provinciale nel 1937, si giunse al progetto definitivo solo nel 1938 quando, sotto la direzione lavori dell’ing. Renato Castiglioni, vennero completati i lavori. Per quanto manomesso nel corso degli anni, l’edificio conserva inalterate le sue principali caratteristiche formali: la torretta portabandiera, i riquadri sfondati che movimentano la superficie della facciata, l’articolazione dei volumi con l’angolo smussato tondeggiante ripreso dall’andamento del balcone, l’alternarsi della finitura a intonaco con quella a mattoni faccia a vista.
10 BONAVICINA Residenza 1935? Piccolo edificio in una frazione del Comune di San Pietro di Morubio, catalogato come Casa del Fascio, che presenta in modo molto sommesso i caratteri stilistici dell’architettura di regime: il rigore delle facciate, l’angolo stondato con il balcone al primo piano, l’articolazione dei volumi, a dimostrazione di quanto fosse diffusa fino nelle più remote località l’attenzione agli stilemi dell’architettura funzionale.
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12 BOVOLONE Filiale Venetobanca 1933 L’edificio, che palesa un chiaro riferimento alle architetture piacentiniane (per esempio la Banca Nazionale del Lavoro di Roma), fu realizzato nel 1933 a seguito di una serie di demolizioni delle abitazioni in precarie condizioni igieniche lungo l’attuale via Umberto I. Fin dalla sua costruzione l’edificio ebbe destinazione a sportello bancario; lo confermano le immagini riportate nei riquadri a bassorilievo della facciata con soggetti che riguardano il risparmio, l’abbondanza e il lavoro.
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BOVOLONE, NOGARA, MINERBE Consorzi agrari I Consorzi Agrari, nati nel 1882 in forma di società cooperative con funzione di gruppi di acquisto, vengono autorizzati, dal 1927, anche all’esercizio del credito agrario. Dopo la crisi del ’29, lo stato fornirà i mezzi per risanare le situazioni debitorie ma, di fatto, si impossesserà delle strutture cooperative ristrutturandole, riducendole di numero e sottoponendole alla vigilanza del Ministero dell’Agricoltura. Dal 1935 ai Consorzi agrari verrà affidata anche l’organizzazione della “gestione ammassi” delle derrate di materie prime, per garantire l’autarchia e il rapido passaggio dall’economia civile all’economia di guerra. Durante il ventennio quindi la Federconsorzi si dota di un capillare apparato di magazzini, i “monti frumentari”, in cui compare la vera anima dell’architettura di regime: un’architettura eclettica e storicistica improntata ad una profonda retorica scenografica.
NOGARA Elettrauto 1940? Questo piccolo edificio perso tra le maglie di una caotica e recente urbanizzazione è inaspettata testimonianza di un gusto raffinato, con chiari riferimenti allo stile internazionale nella composizione dei volumi e nel disegno dei prospetti su cui si staglia il curioso espediente che mima la finestra a nastro.
17 CEREA Caserma Carabinieri L’edificio, inaugurato nel 1935 come Scuola Media, era composto di un corpo principale per le aule, un corpo secondario di servizio e, soprattutto, un’ampia area verde sul retro, dotata di tribuna, nella quale avvenivano gli spettacoli ginnici della “Gioventù del Littorio”, di cui resta ampia documentazione fotografica. Nel 1938 nell’edificio venne trasferita la sede della Casa del Fascio e, finita la guerra, divenne sede della Stazione dei Carabinieri. Tra tutti gli edifici analizzati questo sembra quello che meglio interpreta lo stile del Ventennio, richiamando alla memoria gli edifici in costruzione in quegli anni per le città di fondazione dell’Agro Pontino, come declinazione “mediterranea” del Razionalismo internazionale.
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LA BACHECA DI AV
LA BACHECA DI AV
“Il bagno minimo: funzionalità ed estetica nel limite di 6 mq” Al via la seconda edizione del concorso di interior design promosso da EERA soluzioni in pietra per l’architettura
Parte EERA Contest 2016, la seconda edizione del concorso di interior design lanciato da EERA soluzioni in pietra per l’architettura, con il patrocinio dell’Associazione per il Disegno Industriale (ADI), delegazione Veneto e Trentino Alto Adige. La partecipazione è gratuita e c’è tempo fino al 3 maggio per aderire al progetto, che si rivolge a tutti gli architetti e designer. I partecipanti sono invitati a ideare un ambiente bagno minimo dal punto di vista spaziale, ma non per questo privo della dimensione estetica e del comfort. I progetti presentati dovranno quindi valorizzare la bellezza e il potenziale del marmo nell’architettura d’interni nell’ambito di un tipico appartamento residenziale cittadino. Una giuria composta da esperti del settore selezionerà il progetto vincitore, che sarà realizzato presso il prestigioso showroom
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EERA ed esposto in occasione della fiera leader del settore marmo Marmomacc 2016. Il bando del concorso è disponibile sul sito di EERA al seguente link: http://goo.gl/14Eryc
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Filled: la luce come strumento progettuale
La tradizione della sartorialità artigianale per l’arredo e le finiture d’interni Ormai giunti alla quarta generazione, dopo più di cent’anni di esperienza nel settore dell’arredamento su misura, ci presentiamo per la prima volta su questa rivista di architettura. Le nostre opere nascono dal rapporto diretto col cliente o mediato da professionisti del settore ed è possibile seguirne ogni fase di lavorazione presso la nostra falegnameria.
Le immagino mostrano delle realizzazioni da noi eseguite e tutt’ora in fase di completamento, riguardanti una parete allestita con pannelli laccati appesi ad una cornice in legno nero, un tavolo con piano in massello di mogano con gambe in ferro e una scala in palissandro Santos e ferro.
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TECNOLOGY AND DESIGN
LA BACHECA DI AV
Stratificazioni materiche
PRONTI AD ACCENDERE LA LUCE
Sul prossimo numero di «ARCHITETTIVERONA» la presentazione della Nuova Sede dell’Ordine a lavori finiti
Cari lettori RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
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circuito — Il gioco delle prospettive — Passeggiate urbane — Abitare tra il
ISSN 2239-6365
Quarta edizione — Anno XX — n. 3 settembre/dicembre 2014 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona
la coperta troppo corta — Lavori in corso: Provianda Santa Marta — Itinerario: Libero Cecchini in Lessinia.
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FORM
A partire da questo numero, al fine di razionalizzare le modalità di spedizione della rivista, è necessario reinserire il proprio recapito nel form sul sito all’indirizzo sotto indicato, specificando la preferenza tra ritiro della copia cartacea in sede (a brevissimo nella nuova sede!), invio postale o invio esclusivamente in formato digitale. A coloro che non si registreranno, la rivista continuerà a essere inviata solo in formato digitale. Ogni variazione di indirizzo, di modalità di spedizione o nuovi nominativi potranno essere comunicati online, in ogni momento, con la medesima procedura. www.architettiveronaweb.it/distribuzione/
San Zeno in verona testi di Tiziana Franco e Fabio Coden fotografie di Basilio e Matteo rodella copertina cartonata con cofanetto edizione numerata e limitata in italiano e in inglese 170 immagini a colori formato: 30 x 40 cm pagine: 344 prezzo: 6 490,00 isbn: 978-88-8314-773-9
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