RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
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ISSN 2239-6365
Terza edizione — Anno XXIV — n. 3 Luglio/Settembre 2016 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona
Piano sequenza in bianco e nero — Un soggiorno da porta Leoni — Come un faro di pianura — Full color anni Settanta — Avvicinarsi con cura — Ai posteri — Costruzioni con strutture ad arco nell’architettura rurale di montagna — Dal teatro al museo — Studiovisit: Alfonso Bonetti — C'è gusto nel progetto — Itinerario: Stalle con arco in Lessinia.
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Obbligo formativo: premialità e sanzioni Dal 1° gennaio 2014 l’aggiornamento e sviluppo professionale continuo per architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori è un obbligo per gli iscritti, così come definito dal Regolamento recante la riforma degli Ordinamenti Professionali, in attuazione dell’articolo 7 del D.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012 che disciplina la formazione continua degli Architetti e di tutti i professionisti iscritti agli Ordini. L’articolo 6 del Regolamento prevede l’obbligo di acquisire nel triennio, a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo a quello di prima iscrizione all’Ordine, 90 crediti formativi professionali (cfp) con un minimo di 20 crediti annuali di cui almeno 4 per ogni anno “derivanti da attività di aggiornamento e sviluppo professionale continuo sui temi di Deontologia e Compensi professionali”. L’articolo 9 del Regolamento “Entrata in vigore e disciplina transitoria” prevede che nel primo periodo di valutazione (2014 – 2016) i crediti formativi professionali da acquisire
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“sono limitati a 60, con un minimo di 10 crediti annuali di cui almeno 4 per ogni anno derivanti da attività formative sui temi della Deontologia e dei Compensi professionali”. Il 31 dicembre 2016 terminerà pertanto il triennio sperimentale e gli iscritti dovranno essere in regola con il numero minimo di crediti acquisiti (60 cfp). Le Linee Guida e di Coordinamento Attuative del Regolamento per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale continuo, nel ribadire che “ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale” all’articolo 8 “Premialità e Sanzioni” prevedono che l’Ordine provvederà a “dare idonea evidenza qualitativa e quantitativa all’assolvimento dell’obbligo da parte degli iscritti” (8.1), mentre “l’inosservanza dell’obbligo costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’articolo 7 comma 1 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137” (8.2). L’Ordine territoriale, mediante il Consiglio di Disciplina, è tenuto all’avvio dell’azione
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Testo: Arnaldo Toffali
F.a.q. crediti: tutto quello che bisogna sapere Sulla formazione continua
Quanti crediti bisogna acquisire Nel 1° triennio formativo tutti gli architetti italiani devono acquisire 60 crediti formativi, con un minimo di 10 crediti annuali di cui almeno 4 cfp sui temi dell’area “norme professionali e deontologiche”. Il primo triennio scadrà il 31 dicembre 2016. Cosa comporta l’inosservanza dell’obbligo formativo L’inosservanza dell’obbligo formativo costituisce illecito disciplinare; sulle sanzioni si veda l’articolo in queste pagine. Come si acquisiscono i crediti formativi Gli eventi, i seminari e i corsi formativi, che devono essere sottoposti a preventiva verifica e riconoscimento da parte del CNAPPC, concorrono a generare crediti formativi validi. Per sapere se un evento è stato accreditato, occorre chiedere all’ente che ha erogato la formazione. Tutti gli eventi accreditati dall’Ordine di Verona sono visibili nel sito dedicato alla formazione: www.ordinearchitetti.vr.it Esoneri Per gli iscritti con almeno 20 anni di iscrizione all’albo la obbligatorietà formativa cessa automaticamente al compimento del 70 anno di
età, pertanto non si deve presentare istanza di esonero. Possono essere richiesti esoneri nei seguenti casi: a) maternità, riducendo l’obbligo formativo di -20 cfp nel triennio sperimentale e - 30 cfp nel triennio ordinario, ivi compresi i 4 cfp obbligatori sulla deontologia; b) malattia grave, infortunio, assenza dall’Italia, che determinino l’interruzione dell’attività professionale per almeno sei mesi continuativi (nel caso di malattia o infortunio, dietro presentazione di certificato medico); c) altri casi di documentato impedimento derivante da cause di forza maggiore o situazioni di eccezionalità. Neo iscritti Per i neo iscritti l’obbligo formativo decorre dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di prima iscrizione all’Ordine, con facoltà dell’interessato di chiedere ed ottenere il riconoscimento di crediti formativi maturati nel periodo intercorrente fra la data di iscrizione all’albo e l’inizio dell’obbligo formativo. è prevista la riduzione di 2/3 dei crediti formativi da raggiungere, pertanto sarà necessario raggiungere nell’arco del triennio 20 cfp anziché 60 cfp. L’autocertificazione viene inserita direttamente dalla segreteria dell’Ordine sulla piattaforma iM@ateria. Docenti universitari Possono essere esonerati dagli obblighi formativi i professori universitari e i ricercatori a tempo pieno che non svolgono attività professionale, rimanendo fermo l’obbligo di aggiornamento sui temi della deontologia e dei compensi professionali (vedi circolare CNAPPC 20 Marzo 2014 n. 690). Dipendenti pubblici Gli iscritti dipendenti pubblici devono sottoporre all’autorizzazione dell’Ordine i progetti di formazione predisposti da propri datori di lavoro che saranno valutati in termini di crediti formativi, conformemente a quanto stabilito dal Regolamento e dalle Linee Guida del CNAPPC, oppure fare richiesta come singolo professionista, del riconoscimento a posteriori dei crediti per la frequenza del corso stesso.
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disciplinare in conformità al Codice Deontologico vigente (art. 9), “fatta salva la possibilità per l’iscritto di un ravvedimento operoso, nel termine perentorio di sei mesi dalla scadenza triennale”, ossia il recupero dei crediti mancanti entro la fine di giugno 2017. Da alcune statistiche risulterebbe che circa un terzo degli architetti (50 mila?) non siano in regola con la formazione continua, tanto che il Consiglio nazionale ha istituito dei Gruppi di lavoro operativi “Deontologia” e “Formazione” per affrontare la preoccupante situazione in prossimità della scadenza del triennio sperimentale. Primo problema da affrontare tra tutti, “la categoria” di sanzione da comminare agli inadempienti, togliendo discrezionalità ai Consigli di Disciplina per dare uniformità di comportamento e giudizio sul territorio nazionale. A tale proposito si è reso necessario intervenire per modificare il Regolamento sulla formazione, le Linee Guida e conseguentemente modificare l’articolo 9 del Codice Deontologico. Nella Conferenza nazionale degli Ordini che si è tenuta a Roma il 22 luglio (circolare CNAPPC n. 84 del 19.07.2016) sono stati approvati la modifica all’articolo 9 del Codice deontologico, e alcune modifiche al Regolamento della formazione. La modifica alle Linee Guida è stata posticipata in autunno. Per la Federazione degli Ordini del Veneto (FOAV), una corretta politica della professione dovrebbe incentivare e premiare coloro che rispettano la normativa, considerato che l’aggiornamento e lo sviluppo professionale si pone come elemento distintivo del percorso formativo, limitando l’aspetto sanzionatorio, almeno nella fase sperimentale, allo stretto necessario nel rispetto normativo lasciando comunque ai Consigli di Disciplina un margine di discrezionalità da valutare caso per caso. Il contributo ai Gruppi operativi fornito come proposta dall’Ordine di Verona e sostenuto dalla Federazione del Veneto è stato il seguente: 1) mantenere i 60 crediti anche per il secondo triennio; 2) verifica del numero dei crediti nel triennio e non annualmente;
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3) vale il punto 2) anche per deontologia; 4) modificare complessivamente il codice deontologico; 5) fare direttiva univoca per i Consigli di Disciplina in materia di sanzioni sulla formazione; 6) proposta per il primo triennio sperimentale della formazione di applicare (con direttiva CNAPPC) la sanzione massima della censura, evitando la sospensione, in considerazione dell’elevato numero di colleghi da sanzionare; 7) perplessità sul criterio di sanzione 1 cfp/1 giorno di sospensione, mentre è preferibile un criterio a scaglioni; 8) indicare i principi a cui attenersi nelle proposte di modifica delle norme e regolamenti, demandando ai consulenti legali la stesura definitiva dei testi; 9) si all’esonero formativo degli architetti senior; 10) automatismo della sanzione in materia di formazione per evitare le lungaggini amministrative (da verificare con Ministero); 11) mantenere i sei mesi del provvedimento operoso anche per il secondo triennio; 12) potenziare la piattaforma im@teria con possibilità di interfacciarsi con programmi di gestione dei crediti degli Ordini territoriali; 13) trattare sotto il profilo giuridico il tema della difesa dell’incolpato; 14) verifica giuridica sulla possibilità (non condivisa) di far recuperare i crediti formativi avendo applicato la sanzione della censura/ sospensione. Le modifiche approvate nella Conferenza nazionale degli Ordini, e votate a maggioranza, riguardano l’articolo 9 (Aggiornamento professionale) del Codice Deontologico con il seguente testo: “ 1. Al fine di garantire la qualità ed efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale, ogni Professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. 2. In deroga agli articoli 41 commi 2, 3 e 4 del presente Codice, la mancata acquisizione fino al venti per cento dei crediti formativi professionali
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triennali minimi comporta l’irrogazione della censura, la mancata acquisizione superiore al venti per cento dei crediti formativi professionali triennali minimi comporta l’irrogazione della sanzione della sospensione, da calcolarsi nella misura di un giorno per ogni credito formativo mancante, la mancata acquisizione della totalità dei crediti formativi professionali triennali minimi comporta l’irrogazione della sanzione della sospensione per due mesi. 3. La sanzione deve essere comunque commisurata alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione, che possono essere prese in considerazione qualora siano ritenute tali da giustificare una diminuzione della sanzione”. La Conferenza, a seguito di specifiche votazioni, ha inoltre introdotto le seguenti modifiche al Regolamento che riguardano: a) l’aggiornamento dei compiti e delle attività del CNAPPC e degli ordini territoriali: (modifica articolo 2 comma 2-3 del Regolamento); b) la conferma della possibilità di esonero nei casi previsti dalle Linee guida (modifica articolo 2 del Regolamento); c) la definizione di una procedura disciplinare semplificata nei limiti delle possibilità consentite dal Regolamento (art. 4 del Regolamento); d) la conferma del limite minimo dei 60 CFP anche per i trienni “a regime” (modifica articolo 6 comma 3 e articolo 9 comma 3 del Regolamento); e) l’abolizione dei minimi annuali da rispettare (10 CFP e 4 CFP obbligatori in deontologia e ordinamento professionale) e la verifica dell’adempimento dell’obbligo su base triennale in modo da semplificare le modalità di controllo (modifica articolo 6 comma 3 e articolo 9 comma 3 del Regolamento); f) estendere a 60 giorni il termine dell’istruttoria per gli enti terzi (modifica articolo 8 comma 1 del regolamento). Le modifiche del Regolamento richiedono l’approvazione del Ministero e la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia, il cui iter dovrebbe concludersi entro il 31 dicembre 2016 per consentire di iniziare il secondo triennio con le nuove norme.
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LINEE GUIDA E DI COORDINAMENTO ATTUATIVE DEL REGOLAMENTO PER L’AGGIORNAMENTO E SVILUPPO PROFESSIONALE CONTINUO
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01. La normativa di riferimento e le linee guida sulla Formazione Professionale Continua sono diponibili online all’interno del network AWN del CNAPPC all’indirizzo http://www.new.awn.it/ professione/aggiornamento/formazioneprofessionale-continua-
gestione e verifica crediti: il portale di verona e il portale nazionale Come si registrano i crediti Gli Iscritti non devono inviare gli attestati all’Ordine: in maniera automatica, la Segreteria dell’Ordine provvede a caricare le liste dei partecipanti e direttamente i cfp ai singoli Iscritti relativamente alle attività organizzate dall’Ordine stesso. La sezione crediti formativi è in costante aggiornamento. Verona: MorningSun L’Area Personale del sito www.ordinearchitetti.vr.it dà accesso alla piattaforma MorningSun, sulla quale sono registrati i cfp relativi agli eventi organizzati o validati dall’Ordine di Verona. Ogni scritto può accedere alla piattaforma previa registrazione e verificate il proprio monte crediti, ad eccezione di quello maturati in eventi formativi fuori provincia o autonomamente registrati tramite la piattaforma nazionale. http://morningsun.sgiservizi.cloud/ AWN: IM@teria All’interno del network Archiworld è stata creata la piattaforma iM@teria, il servizio di dematerializzazione offerto dal CNAPPC che permette tra le altre cose di gestire alcuni servizi necessari allo studio del professionista, quali ad esempio gestione documentale, fatturazione elettronica e conservazione sostitutiva. Tutti gli iscritti potranno trovare all’interno la propria situazione in termini di CFP, potranno iscriversi agli eventi di formazione proposti dal sistema ordinistico e trovare le informazioni ufficiali e aggiornate su tutti i corsi attivi ed accreditati dal CNAPPC. https://imateria.awn.it/custom/imateria/ Crediti in eccesso Se si accumulano cfp in eccesso in un triennio, possono essere tenuti validi per il triennio successivo nel limite massimo di 10 cfp
complessivi. Fanno eccezione i crediti relativi alla Deontologia e ai Compensi professionali, che possono essere conteggiati come crediti formativi solamente per l’anno in essere. Autocertificazione È possibile attraverso iM@teria fare istanza di autocertificazione – che dovrà essere approvata da parte del Consiglio dell’Ordine – per i cfp derivanti dalle seguenti attività non organizzate direttamente dagli Ordini: - Corsi abilitanti relativi a sicurezza, acustica, VVF, A/RSPP, certificazione energetica e relativi aggiornamenti, non preventivamente accreditati da un Ordine Architetti o dal CNAPPC; - Master universitari di I e II livello, dottorati di ricerca, lauree specialistiche conseguite da iscritti junior e seconde lauree in materie affini prevedono il riconoscimento di crediti formativi; - Corso di formazione per mediatore professionista; - Corso abilitante insegnamento per discipline affini all’architettura; - Mostre, fiere ed altri eventi assimilabili inerenti le aree tematiche dell’attività formativa; ** - Monografie, articoli e saggi scientifici o di natura tecnico-professionale, pubblicazioni di progetti derivanti da attività professionale/concorsuale su riviste a diffusione nazionale/internazionale; ** - Attività di volontariato di protezione civile in caso di calamità; è inoltre possibile richiedere all’Ordine di appartenenza il riconoscimenti dei cfp per le seguenti attività: - Partecipazione a gruppi di lavoro e commissioni di studio promosse dagli Ordini Territoriali, Consulte / Federazioni, CNAPPC; ** - Dipendenti pubblici che dal 1 Gennaio 2014 hanno frequentato eventi formativi proposti dalle proprie pubbliche amministrazioni; - Eventi svolti all’estero: 1 cfp all’ora con massimo di 15 cfp a corso La somma di tutte le attività contrassegnate con ** non può superare i 5 cfp all’anno.
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Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini
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progetto
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Obbligo formativo: premialità e sanzioni di Arnaldo Toffali
Come un faro di pianura di Nicola Brunelli
Zai Due la vendetta della Bassona di Angela Lion
Sinestesie urbane di Giulia Porceddu Cilione
professione
progetto
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odeon
progetto
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Piano sequenza in bianco e nero di Lorenzo Piccinini
Cronaca di un riuso temporaneo di Stefania Marini
odeon
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PROGETTo
editoriale
Pokémon City di Alberto Vignolo
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progetto
Un soggiorno da porta Leoni di Laura De Stefano
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Full color anni Settanta di Alberto Vignolo
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Archi della Lessinia: le stalle-fienile di Vincenzo Pavan
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Avvicinarsi con cura di Federica Collato
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Una patera veneta di risonanza europea di Maria Ajroldi
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Ai posteri di Luisella Zeri
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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXIV n. 3 • Luglio/Settembre 2016
interiors
Un etto di quelli buoni di Francesca Castagnini
078 cantieri
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Dal teatro al museo di Angelo Bertolazzi
C’è gusto nel progetto di Luisella Zeri
diversearchitetture
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Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it
Direttore responsabile Arnaldo Toffali
itinerario
collezione privata
1000 disegni un bestiario: Lino Stefani di Luigi Marastoni
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Stalle con arco in Lessinia di Vincenzo Pavan
Alfonso Bonetti a Verona di Angela Lion
precisazioni
PROGETTO PER IL RESTAURO DI VILLA GUERRINA - MONTORIO PER CONTO DEL BANCO POPOLARE - RILIEVO ARCHITETTONICO
SEZIONE LONGITUDINALE
In relazione all’articolo “La Guerrina ritrovata”, pubblicato su «AV» 105, gli architetti Roberto Grigolon e Lisa Zorzanello sottolineano il ù contributo del collega Giacomo Tappainer per la redazione degli elaborati grafici alle immagini 08, 09, 13.
Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it
studiovisit
SEZIONE TRASVERSALE
Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona
Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.
copertina Foto: Michele Mascalzoni
Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.
Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Paolo Pavan T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it
Redazione Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Federica Guerra, Angela Lion, Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari, Chiara Tenca, Luisella Zeri collaboratori Angelo Bertolazzi, Alessio Fasoli, Dalila Mantovani, Lorenzo Marconato, Lorenzo Piccinini, Nicola Tommasini, Giulia Bernini, Francesca Castagnini, Federica Provoli Fotografia Carlo Ambrosi, Michele De Mori, Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni, Gaia Zuffa contributi a questo numero Maria Ajroldi, Federica Collato, Luigi Marastoni, Stefania Marini, Vincenzo Pavan, Giulia Porceddu Cilione Si ringraziano Francesca Gronich, Elena Tonin, Lino Rama, Andrea Muddolon
SEZIONE LONGITUDINALE
Roberto Grigolon - Lisa Zorzanello STUDIO DI ARCHITETTURA - Viale Alessandro Manzoni, 14 - 37138 Verona - tel. 045 8102790 - e.mail: info@grigolonzorzanelloarchitetti.it collaborazioni: Rilievo strumentale STUDIO IANUS - architetti Fausto Randazzo - Silvia Dandria Editing grafico: arch. Giacomo Tappainer - ing. Francesco Della Torre
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Pokémon City
Uno scenario di demolizioni intercetta passo dopo passo le testimonianze del passato industriale della città, nell’attesa di nuovi scenari urbani
Testo: Alberto Vignolo
Foto: Michele De Mori
Per chi è passato nei caldi giorni di luglio lungo via Unità d’Italia, il tratto urbano della direttrice orientale da e per Verona sul limitare del borgo di San Michele Extra, lo spettacolo che si è presentato dai finestrini di automobili, scooter, biciclette e qualsivoglia altro mezzo di trasporto è apparso eclatante. A rischio d’incidente, l’attenzione veniva infatti catturata non dai mostriciattoli virtuali che, nella medesima stagione estiva, hanno reso catatonici gli sguardi persi nel vuoto digitale degli smartphone di fanciulle e fanciulli più o meno cresciuti, bensì dallo spettacolo drammatico e struggente della demolizione in corso degli storici stabilimenti Tiberghien. Tra polveri e fumi, i grandi arti meccanici in azione hanno ricreato, temporaneamente e in maniera costantemente mutevole, lo scenario di una ruina post bellica: fatta salva la mancanza di vittime, visioni da tg di guerra, nelle note e tragiche varianti che la contemporaneità ci offre con sprezzante noncuranza tra attentati ed esplosioni varie. Per un architetto, lo spettacolo della demolizione di un edificio ne palesa crudamente le viscere, rivelando
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fenomenali sezioni prospettiche. Ma è solo un istante, e un attimo dopo un altro pezzo di sezione cade a pezzi, e il disegno si cancella riga dopo riga. Ben più prosaicamente dei mostri lanciati da Vega che i cartoni giapponesi hanno indelebilmente impresso nell’immaginario di chi li scoprì da bimbo, l’universo tecno-biomorfo dei nuovi dinosauri
meccanici ha rosicchiato travi, strappato pilastri, sbriciolato solette e polverizzato vetri e infissi. Gli elementi metallici sono diventati i filamenti contorti di una resistenza quasi straziante, come se l’anima dell’edificio che stava per essere soppresso, in un estremo tentativo metamorfosante, agognasse restare in piedi, ferito e acciaccato dall’età, ma pieno di memoria e di storia.
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Una storia, quella del Tiberghien, architettonica, urbana e sociale, che i lettori più attenti ricorderanno di aver ripercorso anche sulla nostra rivista (cfr. «AV» 92, pp. 20-28) e che pezzo dopo pezzo viene meno, ridotta in briciole. I tempi cambiano, le città mutano, gli usi si susseguono. Arriverà anche qui, pare, l’ennesimo supermercato. Che occasione perduta, quella di recuperare gli spazi della fabbrica per farci il supermercato più bello del mondo! Certo, recuperare e ri-usare richiede più coraggio e intelligenza progettale che demolire. La tabula rasa appare salvifica, il vuoto che avanza è promessa di sfavillanti destini edificatori, di succose prelibatezze che i moderni markets riserveranno ai consumatori, pardon ai cittadini... Le medesime lusinghe che vennero ventilate, non molti anni fa, a proposito delle ex Cartiere, un complesso archeologico-industrale
demolito sull’onda incalzante di un progetto commerciale e direzionale del quale avemmo l’ardire di scrivere (nel 2011) che stavano iniziando i lavori. Il desolante vuoto sul quale a tutt’oggi campeggia il frammento superstite di quanto venne demolito, dà conto dello scarto tra il diredemolire e il fare-ricostruire un
« La tabula rasa appare salvifica, il vuoto che avanza è promessa di sfavillanti destini edificatori » brano di città. Ma la strategia è collaudata: un lungo abbandono coltivato ad hoc, l’inevitabile presenza di homeless di varia natura, gli strali dei benpensanti contro il degrado e l’inciviltà quale merce di scambio per una succosa ricompensa in termini di capacità edificatoria.
Così è avvenuto alle Cartiere e ora al Tiberghien e così, è scritto a chiare lettere, andrà a finire per la prossima replica dell’abusato copione, che verrà inevitabilmente messa in scena alla ex Manifattura Tabacchi. Le prove dell’azione scenica sono in corso: le gazzette strillano “al lupo!”, i Savonarola di turno si stracciano le vesti contro i vincoli, i lacci e i lacciuoli che qualche cattivone ha dispettosamente posto a freno della santa e indiscutibile legittimità del privato di fare a casa sua quel che gli pare e piace. Tira, molla e sbrega: arriveranno anche qui i mostri di Vega, vedremo polvere e vedremo in un batter d’occhio lungo viale del Lavoro lo spettacolo della demolizione. È solo questione di tempo, qualcun altro si perderà con lo sguardo nel vuoto: altro che realtà aumentata, però, Verona ci offre di contro una realtà sempre più diminuita e impoverita.
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La demolizione del Lanificio Tiberghien, Verona. 01. I locali sopra la tintoria, costruiti nel 1907 su progetto dello studio Lietard & Forest (Tourcoing, Francia). 02. Dal fronte principale, le strutture vincolate: la ciminiera del 1907 e il magazzino di vendita dei primi anni ’10, sopraelevato alla fine degli anni ’30. 03. Il nuovo reparto della rammendatura progettato nel 1948 dall’ing. Eugenio Gallizioli.
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PROGETTO
Piano sequenza in bianco e nero
Una costruzione essenziale, come in un set cinematografico, guida l’organizzazione degli spazi di un interno domestico, svelando un’antico tratto di muro
Progetto: arch. Nico Sandri Testo: Lorenzo Piccinini Foto: Nico Sandri
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“Ho voluto portare il tramonto del mare in città”. Così Nico Sandri, laureatosi presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio, inizia a descrivere la promenade all’interno dell’intervento architettonico che ha portato a nuova vita il quarto piano di un palazzo nel centro di Verona. Fin dalle prime battute si capisce come la scuola che ha frequentato abbia lasciato un segno incisivo, per la libertà di pensiero che la caratterizza; concetti sviluppati negli atelier di progettazione conversando con grandi Maestri dell’architettura, corsi ricchi di esperienze sensoriali, materiche ed artistiche. L’analisi e il controllo del-
« Le luci, fondamentale elemento scenico, caratterizzano tutto il progetto: i corpi illuminanti disegnano studiate ombre su pareti e soffitti » la percezione sono gli elementi essenziali di una composizione “cinematografica”: una costruzione essenziale anche in architettura, quella del set, come ha appreso Nico durante il corso di cinema con Marco Müller – al tempo direttore artistico della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – dove lo spazio definito da forme, luci, ombre e suoni si traduce in sensazioni, in emozioni che si condensano nell’atmosfera spaziale. Proprio sull’importanza dell’atmosfera si sofferma Sandri, sull’evocazione di sensazioni e ricordi che un luogo deve trasmettere come sintesi di tutte le scelte progettuali, concetto attorno al quale gravita il “fare architettura” – cosi ha appreso direttamente in aula
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con Peter Zumthor. L’intervento progettuale ha interessato uno spazio domestico aperto a familiari e amici, un luogo rilassante che lasciasse all’esterno il frastuono cittadino, lo stress e la frenesia della vita quotidiana. L’appartamento preesistente, svuotato da tramezze e rivestimenti, ha lasciato spazio a un nuovo concetto abitativo caratterizzato da una pianta libera. L’atmosfera spaziale ci sovrasta appena varcata la soglia. All’ingresso riusciamo a cogliere la potenza del progetto al primo sguardo: la casa ci abbraccia, ci invita a entrare. L’utilizzo limitato di materiali e colori infonde una sensazione di quiete ed eleganza. Emerge in chiave simbolica l’ancestrale relazione tra mare e cielo, tradotta negli opposti del bianco e del nero. Un nero intenso e ricco delle tonalità appartenenti ai vari materiali. Nel pavimento in acciaio corten, i riflessi blu prodotti dalla luce mostrano le sfumature frutto del processo di fiammatura, che riconducono alle increspature delle onde del mare. Gli arredi, anch’essi di colore scuro, segnano la linea dell’orizzonte, lo stacco verso il cielo – l’infinito – il soffitto modellato con stucco e dipinto di bianco purissimo, enfatizzando cosi la libertà spaziale che caratterizza il progetto. Il senso di continuità è sottolineato anche nella ricerca di studiati allineamenti prospettici, visibili fin dall’ingresso. Da qui, sulla destra si sviluppa il corridoio che conduce alla zona
01. L’essenzialità del bianco e nero è estesa sia ai materiali di finitura che agli elementi di arredo. 02. Lo svelamento dell’antico muro durante i lavori di ristrutturazione. 03-04. Campo e controcampo nel corridoio, verso la porta di ingresso e verso il disimpegno delle camere.
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05. Pianta dell’alloggio con la disposizione degli arredi. 06. All’interno dell’open space, la zona cucina-pranzo è caratterizzata dal lampadario 2097-50 di Gino Sarfatti sospeso sul tavolo Sarpi di Carlo Scarpa.
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notte. Uno spazio inteso come galleria espositiva – concetto che troviamo applicato in tutto l’appartamento – dove le grandi pareti bianche sono pensate per ospitare opere e quadri, marcando la grande competenza dell’architetto per l’arte contemporanea (concretizzata durante gli anni di studio con la gestione di una galleria d’arte). A guidare l’occhio in quest’effetto prospettico è il sistema di illuminazione: in particolare il binario nero ancorato al centro del soffitto, che sostiene i faretti orientabili a 360 gradi per dare la giusta luce alle opere esposte, costituisce un forte asse visivo che, assieme all’asta in ferro a sostegno dei tendaggi sulla parete opposta, dà grande profondità allo spazio. Altro elemento importante è il mobile nero al di sotto delle finestre, che conduce lo sguardo oltre il soggiorno fino ad entrare nella camera da letto; il suo passaggio segna lo stacco della parete sulla quale è posizionato il divano dal muro perimetrale e dal soffitto. Il grande divano assieme alla poltrona, alle sedie e al mobile ribassato a
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NICO SANDRI Nasce a Verona nel 1986 e si laurea in Architettura nel 2011 all’Accademia di Architettura di Mendrisio in Svizzera, dove si forma con architetti tra i quali Mario Botta, Peter Zumthor e Valerio Olgiati. Nel 2007/2008 lavora a Reykjavík in Islanda, tra il 2008 e il 2009 prosegue gli studi al KTH di Stoccolma per poi tornare a Mendrisio. Appassionato di arte e di musica, ha fondato diverse associazioni culturali per promuovere l’arte contemporanea. Come artista produce video, foto e installazioni che sono state esposte tra le altre alla Tate Gallery a Liverpool e alla Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia. Ora si divide tra San Paolo del Brasile e Verona, dove prosegue la sua ricerca. A breve aprirà una nuova casa-studio a Pastrengo, paese che l’ha visto crescere, sulle colline del Garda.
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parete – quest’ultimo rinforzato con una trave in ferro per adempiere cosi alla duplice funzione di contenitore e di seduta – permettono di accogliere un notevole numero di ospiti. Una volta accomodati, il centro della scena viene catturato dal grande lampadario posto in posizione centrale sopra al tavolo Sarpi. Sul fondo, la cucina appare incorniciata tra la porta d’ingresso e lo specchio. Eviden-
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te è la simmetria della composizione. Le ante dipinte di nero opaco dettano l’ordine e fanno da cornice al piano di lavoro centrale interamente rivestito in pietra Nero Zimbabwe. Anche qui si nota l’estrema cura nei dettagli: gli inserti orizzontali in mogano verniciato della colonna frigo e dei forni risolvono con eleganza architettonica un problema di funzionalità impiantistica, dettando la posizione del
giunto delle lastre di pietra del piano lavoro. Lungo il corridoio che ci accompagna alle camere, viene esaltata l’anima storica dell’edificio. Le luci enfatizzano la matericità della parete in sasso e mattoni, riportata alla luce dopo essere stata per anni oscurata da una tramezza. A marcare il segno della storia tangibile dell’edificio, una fascia di pavimento in mogano è posta come
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07. Sul fondo, la parete della cucina è inquadrata prospetticamente dai due mobili lineari sui lati lunghi del vano.
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naturale giunto tra un perfetto pavimento tagliato al laser e un’antica e irregolare muratura. Sul lato opposto, la parete ricavata dalla schiena delle armadiature della camera è rifinita con pannelli di mogano. I giunti precisamente studiati guidano lo sguardo sul sfondo verso il disimpegno, ribassato a creare uno spazio di compressione rilasciata solo all’apertura delle porte a filo muro delle camere e del bagno. Un’atmosfera differente caratterizza questi spazi, resa evidente dal cambio di pavimentazione: il corten esce di scena per lasciare spazio al caldo parquet a listoni in mogano. Nel bagno principale, il piano d’appoggio in alluminio lucidato a mano percorre tutta la parete inchinandosi in corrispondenza della finestra, permettendo così una maggiore illuminazione; gli impianti sono lasciati a vista e trattati come elementi d’arre-
do. Lo stesso concetto viene applicato alla scelta dei corpi illuminanti, la cui struttura diventa il design stesso emergendo dalla muratura rivestita in cemento spatolato blu. Nelle camere, a composizione del set troviamo sempre i medesimi materiali e colori, con l’eccezione di alcuni pezzi d’autore. Il bianco, nella duplice natura lucida ed opaca, predomina gli spazi infondendo un’atmosfera di purezza, simbolo del dolce dormire. L’armadio della camera più piccola è completamente scorporato e ridotto all’essenza per minimizzare l’ingombro: è costituito da un tubolare in acciaio inox satinato che parte dal pavimento e si eleva affiancando la cassettiera, all’apice della quale sterza bruscamente per seguire le nette linee del muro. Nell’altra camera, ritroviamo le armadiature che definiscono il corridoio, che da questo lato si pre-
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committente Privato progetto architettonico arch. Nico Sandri ............................... imprese Brentegani Italo & C. (impresa edile) Giuseppe Gatti (infissi) SM Arredamenti di Spigaroli Marco (contractor interni) Forme di Luce (illuminazione) ITS di Spiazzi e Venturelli (impianto idraulico) Pietro Merlin (impianto elettrico) AM Bagno Design (bagni) Casa Antica (finiture bagni) cronologia Progetto: 2013 Realizzazione: 2014-2015 Dati dimensionali Superficie: 110 mq
08-09. Nella zona giorno, assieme al grande divano, alle sedie e alla poltrona di Charles & Ray Eames, il mobile ribassato a parete è rinforzato con una trave in ferro per fungere anche da seduta.
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10. Nel bagno “bianco�, il mobile in lamiera di ferro verniciato in carrozzeria. 11. Nalla cameretta funge da guardaroba il tubolare piegato in acciaio inox satinato. 12. Il bagno principale con le pareti pigmentate color blu notte e il ripiano in alluminio lucidato a mano. 12
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13-14. La camera è definita da una quinta separata sia dal soffitto che dalla parete e attraversata dal mobile nero del soggiorno. 15-16. Il disimpegno delle camere è uno spazio compresso dove si evidenzia la discontinuità tra il pavimento della zona giorno, in lastre di acciaio corten, e quello in mogano della zona notte.
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sentano con un vestito laccato bianco. Lo specchio in posizione frontale alla porta d’ingresso, lo stacco parete – soffitto e il mobile nero che dal soggiorno arriva in camera, portano nella camera parte di quell’atmosfera già percepita nella zona giorno. Stacco ripreso anche nel bagno privato, che non avendo alcuna apertura sull’esterno permette una rilassante evasione visiva.
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Le luci, fondamentale elemento scenico, caratterizzano tutto il progetto; i corpi illuminanti rischiarano le superfici disegnando studiate ombre su pareti e soffitti. Esprimono il giudizio finale sull’elevata qualità architettonica di questo intervento, dove ad ogni elemento è assegnata la giusta parte nella messa in scena, un copione perfetto dell’opera scritta e diretta dall’architetto.
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PROGETTO
Un soggiorno da porta Leoni
Un affaccio d’eccezione attraverso l’antica porta romana caratterizza un interno domestico in cui il modernariato fa da contraltare all’archeologia
Progetto: arch. Enrico Savoia Testo: Laura De Stefano Foto: Gaia Zuffa
Verona
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Sopralluogo con progettista e pro- Ci si aspetterebbe di entrare in un prietario in un appartamento appe- appartamento “in stile” con il luogo, na restaurato in Corticella Leoni, con così aulico e carico di storia: grandi una particolarità unica e irripetibile: divani damascati, lampadari di criil fabbricato ingloba un reperto arche- stallo, tavoli in noce massiccio, bagni ologico del I secolo a.C. con rubinetti d’oro ecc. Nel soggiorno infatti è presente il Prima sorpresa: l’androne a cui si acprospetto interno di una porzione cede proprio a fianco la Porta, è un po’ della facciata settentrionale della por- fané e dimesso, sottotono dopo tanta romana detta “dei Leoni”, una del- ta potenza architettonica, ma il bello le più importanti testimonianze del deve ancora venire… periodo in quanto ingresso dal cardo Varcata la massiccia porta lignea di maggiore verso il Foro passando per ingresso, restaurata in stile classiVia Cappello. cheggiante come le altre contigue, si La porta repubblicana (50-40 a.C.) accede a un atrio su cui si affaccia, era una costruzione a pianta quadrata divisa da una parete vetrata, una sala con due torri agli angoli e una corte musica, perfettamente isolata acusticentrale a doppio camente con panfornice; in parte nellature speci« Le finestre sulla porta, fiche, dove, oltre visibile all’interno dell’appartaalle apparecchiaprima tamponate da mento. Le fonture audio e agli muratura, sono state dazioni sono state strumenti, sono riaperte permettendo messe in luce da in bella vista miLibero Cecchini l’inusuale vista della stessa gliaia di vinili, nel riassetto urcd, cassette che dall’interno » bano della zona farebbero la gioia archeologica di Porta Leoni, eseguito di ogni collezionista. dal 1977 al 1982. E arriviamo al cuore dell’appartaLa porta fu oggetto di uno scrupolo- mento: un ampio salone, con affaccio so restauro nel 1959, data incisa nel- “da film” sugli scavi, e parete con porla muratura, seguito personalmen- ta romana incorporata: effetto sorprete dalla allora Soprintendente Bruna sa assicurato! Tamaro Forlati. Gli studi furono pro- Prima dei recenti lavori di restauro lo seguiti poi dalla Soprintendente Giu- spazio era diviso in tre locali, che ne liana Cavalieri Manasse, con un’at- frammentavano la visione; un soffitto tenta ipotesi di ricostruzione della di arelle nascondeva le travature del porta (1986). solaio e l’imponente travone rompi Dopo questa breve ma necessaria di- tratta, sostenuto da due mensole lapivagazione storica, torniamo al presen- dee, ora rimesso in luce dopo opporte. Dall’esterno la massa imponente e tuni rinforzi, in tutta la sua potenza grandiosa di Porta Leoni delimita un iconica. lato del fabbricato, risalente al XIII Le finestre sulla porta dei Leoni, prisecolo, un lungo balcone sulla faccia- ma tamponate da muratura, sono stata, aggiunto nei lavori ottocenteschi, te riaperte, permettendo l’inusuale offre un’inebriante vista sugli scavi vista della stessa dall’interno. L’interarcheologici. vento ha mantenuto lo status quo del-
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01. La zona pranzo in prossimità del tratto di muro addossato internamente a porta Leoni. 02. Dall’esterno, una delle finestre ad arco corrispondenti a quelle della porta. 03. Planimetria del sito con l’ingombro dell’alloggio e la ricostruzione del sedime della porta romana.
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04. Nel living l’eccezionale fondale della parete in laterizio è messo in evidenza dai toni neutri degli altri materiali di finitura. 05-06. Due immagini dello stato di fatto anteriore alla ristrutturazione, con le finestre nella porta ancora tamponate.
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Committente Privato Progetto e direz. lavori arch. Enrico Savoia ES Gruppo d’Architettura COLLABORATORI geom. Damir Gulesich ing. Marco Dal Pozzo COnsulenti arch. Michele De Mori (storico), dott.ssa Giuseppina Rossignoli (restauro), ing. jr. Alessandro Bacciconi (imp. meccanici), per.ind. Massimo Zanoni (imp. elettrici), ing. Giacomo Silvestri (collaudo strutturale)
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la struttura muraria, procedendo con pulitura a mano con spazzole e lavaggio con impacchi di acqua distillata, seguiti poi da stuccatura dei punti mancanti delle stilature e da una leggera velatura per riequilibrare i toni cromatici. Sottili serramenti con telaio a filo muro in acciaio corten, progettati appositamente, permettono di aprire le finestre e toccare con mano il cuore della porta: posso assicurare che è un’emozione forte. Particolare attenzione è stata rivolta agli impianti tecnologici per assicurare il massimo comfort: è stato installato un impianto di riscaldamento e raffrescamento a pavimento e un sistema di trattamento dell’aria, con tutte le condotte posate su controsoffitto. E di assoluto interesse sono gli arredi selezionati dal proprietario: autentici pezzi di modernariato anni 50-60 dialogano apertamente con le antiche vestigia.
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Forniture Brentegani Italo & C. (opere edili), Oemme termosanitaria (impianti idraulici), Merlin Pietro (impianti elettrici), Magalini srl (sistemi a secco e isolamenti), Emmedi (pavimenti e rivestimenti), Flavio e Toni Lonardi (serramenti in legno), Magnum Blindati (serramenti Secco in corten), Zardini Angelo Renzo & Alberto (finiture interne), Vetreria Effemme (opere in vetro), Zanetti Falegnameria e Ambienti (arredi), Forme di Luce (illuminotecnica) wdwdwdwdw Cronologia Progetto e realizzazione: 2015-2016 08
Appena entrati, l’attenzione è subito attratta da un jukebox AMI Continental 2 (unico modello stereo, precisa il proprietario), perfettamente funzionante, un tasto e subito la musica dei Santana ci avvolge in un’altra dimensione. E poi la ghiacciaia rossa della Coca-Cola, il distributore di
chewing-gum con la sua rassicurante pancia piena di palline colorate…insomma non manca niente! Le sedie, di produzione artigianale, sono state “ritagliate” da latte e fusti di olio per motore, e regalano all’ambiente un’esplosione di colori e di scritte pop. Effetto amplificato da
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07. Pianta con la disposizione degli arredi. 08. La cucina a isola campeggia nell’ampia zona giorno, ricavata grazie al rinforzo strutturale della trave rompitratta del solaio.
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09. Uno dei bagni con il rivestimento in lastre di grandi dimensioni di grès porcellanato. 10. La “stanza della musica” dedicata alla collezione di vinili del proprietario. 11-12. Due vedute, interna ed esterna, del muro in laterizio con le tre finestre ad arco.
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una poltrona rivestita con un tessuto di Emilio Pucci in coppia con un tappeto realizzato a mano con uguale fantasia. Per contenere e valorizzare tutta questa vitalità, l’architetto ha saggiamente scelto materiali e toni neutri e sbiancati. Gli intonaci a calce mescolata a terre colorate fanno da fondale materico agli arredi dai colori pop. Particolare attenzione è stata dedicata all’illuminazione: una cascata di tubi luminosi sopra il tavolo e il bancone della cucina e un immenso atollo luminescente in policarbonato creano un’atmosfera magica. Il risultato è una godibilissima zona giorno dove è possibile stare insieme, ascoltare musica, cucinare e mangiare in compagnia, un ambiente dove le funzioni si compenetrano per favorire uno stile di vita aperto e attuale, senza rigide divisioni di spazi.
www.es-gda.it
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Nato a Verona (1963) e laureato allo IUAV di Venezia nel 1992, nel 1998 è co-fondatore dello studio “Savoia & Vicentini Architetti Associati”. Nel 2000 fonda il suo attuale studio “Arch. Enrico Savoia – ES Gruppo d’Architettura”, con il quale ha realizzato numerosi progetti nei campi della progettazione urbana e territoriale, dell’edilizia residenziale, commerciale, direzionale e di servizio. Tra il lavori in corso, il Palazzetto dello Sport a Villafranca, a fianco del complesso Via Postumia 37 progettato dallo studio.
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13. Sezione trasversale dell’alloggio con il muro addossato a porta Leoni sulla sinistra. 14. Disegno di dettaglio per il serramento in ferro nelle finestre ad arco. 15. Veduta della camera da letto matrimoniale.
PROGETTO
Come un faro di pianura
Una serrata composizione volumetrica è la chiave di volta di una condizione urbana al limite tra periferia e centro
Progetto: arch. Damiano Zerman Testo: Nicola Brunelli
Foto: Gianpietro Rinaldi
Legnago
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01. Veduta dal basso dei parapetti metallici dei balconi continui nei livelli superiori dell’edificio. 02. Lungo la strada, l’edificio si pone come punto di tramite tra periferia e centro. 03. Particolare dell’insegna retroilluminata a cui è affidato il compito di “battezzare” il compesso edilizio.
L’intervento che presentiamo in queste pagine sorge a Legnago, e più precisamente ai limiti tra il suo nucleo centrale e la prima periferia residenziale. Mentre il tracciato della ferrovia a sud e il parco verde ad ovest rendono evidente questa cesura, e i tessuti più recenti risultano chiaramente distinti da quelli di matrice storica, a nord non vi è soluzione di continuità tra la zona industriale, la periferia residenziale del dopoguerra e il centro cittadino. Così che, provenendo da Verona in direzione di Legnago, ci si trova improvvisamente e senza preavviso nel centro cittadino, senza un “limite” urbanistico, un segnale architettonico o anche solo un mutamento nella percezione visiva del contesto, in grado di esprimere il passaggio dallo status “periferia” a quello “cuore storico della città”. Le cause di questa condizione urbana sono da ricercarsi negli eventi storici che hanno determinato lo sviluppo socio-economico, ma anche urbanistico della città. Nell’Ottocento Legnago vantava pregiati edifici posti all’interno della cinta muraria, testimonianza di una occupazione militare severa ma generosa dal punto di vista architettonico. Durante la seconda guerra mondiale l’abitato legnaghese, che con il ponte sull’Adige rappresentava un obiettivo strategico, fu più volte bombardato. Più di
« Man mano che si innalza l’edificio si allontana dalla statica classicità per proporre forme più dinamiche, grazie alla rotazione impressa alla grande vetrata degli ultimi piani » metà della città venne distrutta o gravemente danneggiata, e del vecchio centro storico di Legnago non restò che il Duomo e l’antico Torrione (recuperato su progetto di Maria Grazia Eccheli e Riccardo Campagnola, cfr. «AV» 83, pp. 83-86). E questo fu solo l’ultimo di una serie di eventi, iniziati con la piena dell’Adige del 1882 che, in concomitanza con la perdita dell’importanza strategica della città in seguito all’annessione al Regno d’Italia, ne compromisero irrimediabilmente la pregevole immagine di piazzaforte militare. Nel tentativo di ridare impulso allo sviluppo urba-
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no, nel dopoguerra l’amministrazione civica promosse un’importante azione di ricostruzione, ma lo spirito e la sensibilità dei tempi concorsero purtroppo alla perdita dell’identità che aveva contraddistinto il tessuto storico-architettonico, con l’inserimento di nuove e più modeste edificazioni. Tutto ciò nonostante il fondamentale Piano di Ricostruzione post-bellica (1945-53) ed il successivo piano Regolatore Generale (1955-65), entrambi firmati da uno dei numi tutelari dell’urbanistica italiana, Luigi Piccinato, legnaghese di nascita.
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Committente DMD s.r.l. Progetto architettonico arch. Damiano Zerman COLLABORATORI arch. Alessandro Merigo arch. Gianpietro Rinaldi COnsulenti ing. Giampiero Marchetti (strutture), per.ind. Mirco Mattioli (impianti elettrici), ing. Loris Bisighin (impianti meccanici), geom. Marco Migliorini (pratiche catastali e rilievi) direzione lavori ing. Davide Osanni
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Da queste considerazioni storico-urbanistiche, e dalla presa d’atto delle condizioni al contorno con cui l’area di progetto doveva confrontarsi, matura nel progettista l’idea di realizzare un edificio che si proponesse come nuovo simbolo del passaggio dalla periferia al centro. Una sorta di nuova “porta”, o meglio un faro: un elemento facilmente riconoscibile, in grado di orientare il passante, guidandolo nel passaggio ideale tra la periferia e quello che fu il centro storico. Un passaggio “spazio-temporale” che viene assimilato a tal punto nel progetto da influenzarne i caratteri architettonici. La volumetria del nuovo edificio è studiata al fine di inserirsi al meglio nell’articolato tessuto urbano, a partire da un lotto di pertinenza particolarmente complesso per forma e dimensioni, da cui derivano tre elementi volumetrici morfologicamente distinti, evidenziati anche dal trattamento dei prospetti. Sul frammento di un imponente bugnato dalle geometrie e proporzioni classiche, rivisitazione contemporanea di un solido basamento – quasi da fortificazione militare, verrebbe da dire, ricordando il celebre passato della città – si elevano i quattro
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piani residenziali del nuovo edificio. Man mano che si innalza, il fabbricato si allontana dalla solida e rassicurante immagine della statica classicità del piano terra – occupato interamente da un centro benessere – presentando in alternativa forme geometriche più dinamiche e contemporanee; esse culminano in una ardita rotazione impressa al volume nero che racchiude la grande vetrata quadrata degli ultimi due piani che, con scenografica modernità, come un faro sulle onde del mare-territorio, si affaccia sulla strada pubblica sottostante e la domina, sovrapponendosi parzialmente ad essa con un originale sbalzo. Infine un terzo volume, bianco e con caratteristiche architettoniche e proporzioni geometriche più misurate – le cui terrazze ad est vengono volutamente imbrigliate da evidenti parapetti in ferro – completa l’edificio mediando tra classicità e contemporaneità. Un intervento architettonico innegabilmente differente da quello progettato dallo stesso Damiano Zerman in Contrada delle Monache (cfr. «AV» 98, pp. 28-35), dove un contesto più ordinato e caratte-
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imprese esecutrici Osanni S.a.s. (impresa generale), Fdm energie s.r.l. (impianti elettrici), I.T.S. F.lli Manzani (impianti idraulici), Silvio Sbambato (opere in ferro), Sefim S.p.A. (serramenti) dati dimensionali Area lotto: 370 mq Volume edificato: 1.912 mc Cronologia Progetto e realizzazione: 2014-2015
04-06. Lungo la strada, la scansione materica del prospetto evidenzia la compenetrazione degli elementi volumetrici. 07. Lo slancio verticale dell’edificio in una veduta dal basso.
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08. Prospetto sud. 09. Pianta piano terreno. 10. Piante dei livelli superiori. 11. Veduta del fronte su viale dei Caduti.
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damiano zerman Damiano Zerman (Verona, 1971) si laurea presso lo IUAV di Venezia nel 2000. Vive e svolge l’attività professionale da libero professionista a Verona, dove ha collaborato per molti anni con l’architetto Giuseppe Tommasi. Suoi progetti sono pubblicati su «AV» 92 (edificio produttivo a Zevio, pp. 58-61) e «AV» 98 (Contrada delle Monache a Legnago, pp. 28-35). www.studioathesis.it
rizzante dettava linee guida più determinate e determinanti. Non cambia comunque il suo approccio progettuale, basato sull’analisi storico-urbanistica del contesto e sul dialogo architettonico tra il nuovo edificio e l’intorno. Un dialogo che può essere, a seconda delle occasioni contestuali, rispettoso e sommesso o, al contrario, più ardito e provocatorio, come nel caso di C84. Questo edificio diviene così, nelle intenzioni, un nuovo punto cardinale che, grazie anche alle proporzioni geometriche che ne esaltano l’altezza (in realtà non imponente), tende a proporsi come elemento di orientamento urbano. Una propensione confermata da uno studio cromatico coerente, dove le vaste campiture bianche e nere dei prospetti, in contrasto con la grande scritta rossa “C84” che campeggia in bella vista, ne tracciano un’immagine grafica astratta, quasi fosse un’opera pittorica del russo Malevič.
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Due ville realizzate negli anni Settanta da Carlo Bartoli hanno saputo portare in terra veronese gli esiti del “professionismo colto” milanese sui temi della residenza
Progetto: arch. Carlo Bartoli Testo: Alberto Vignolo
Bussolengo/ Verona
Foto: Archivio Bartoli Design/ Michele Mascalzoni
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Due case grandi e generose, due ville degli anni Settanta annidate con domestico understatement nei rispettivi contesti, l’una in un sobborgo residenziale di Bussolengo e l’altra ai piedi della collina di Poiano, appena fuori Verona. Due chiare espressioni di un periodo che, dopo una stagione di oblio, i cicli del gusto hanno riportato in auge: nell’arte, nel design, nella moda, così come in architettura. Si va così alla riscoperta di quanto è stato costruito in quegli anni: in termini quantitativi decisamente molto, rispetto agli standard attuali di vacche magre edilizie, anche se ad essere criticamente obiettivi non sempre con risultati eccellenti. Eppure basta “saper vedere”, avrebbe detto Zevi: e la curiosità invita ad approfondire, a cercare di scoprire le vicende e i protagonisti di questa stagione, per contribuire ad aggiungere un’altra tessera al puzzle di una cronaca&storia dell’architettura veronese. Scopriamo così che le due ville sono state disegnate dalla medesima, felice matita di Carlo Bartoli, architetto e designer milanese, classe 1931, “fresco” vincitore nel 2016 di un Compasso d’oro alla carriera per la sua lunga e proficua attività nel campo del design di arredi.
ve ma fondamentale per l’approccio rigoroso e metodico alla progettazione. In un’altra circostanza di lavoro, la vicenda professionale e quella personale si intrecciano, costituendo la premessa dei successivi lavori veronesi. Il matrimonio con la segretaria nello studio che aveva frequentato porta i giovani sposi a confrontarsi con la necessità di arredare la nuova casa. Cosa fa l’architetto, in un caso come questo? Prende la matita e disegna per il soggiorno una libreria con ripiani a incastro smontabili, e cerca un falegname che la realizzi. E qui entra in scena, in occasione del cantiere di un albergo realizzato a Verona dallo studio frequentato da Bartoli, la conoscenza divenuta poi amicizia con Giorgio Rama, artigiano del legno – “fa02
« Il carattere di questa casa si svela ancora di più negli interni, che hanno mantenuto quasi integralmente assetto e finiture del progetto originale » Abbiamo incontrato Bartoli nel suo studio per farci raccontare della sua esperienza di “un milanese a Verona”. Il primo incontro con la città, prima ancora dei progetti e dei cantieri, è per una ragione assai frequente ai tempi, quando fresco di laurea in architettura al Politecnico (1957) il servizio militare lo porta per sei mesi in riva all’Adige. Il prediodo della formazione e delle prime esperienze di lavoro è ricco di incontri con personalità importanti: a Milano, quelli sono gli anni di Caccia Dominioni, di Zanuso, di Magistretti, di Gardella, un dream team di maestri, colleghi, amici. Ancora studente, è proprio nello studio di Gardella che Bartoli ha occasione di lavorare per un periodo bre-
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Casa S. a Bussolengo (1975-76). 01. All’epoca della realizzazione, la casa risalta all’interno del giardino di fresco impianto. 02-03. Due vedute attuali della casa. Il manto di copertura in coppi della monofalda è stato sostituito da una lamiera.
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Full color anni Settanta
04. Nell’immagine d’archivio del soggiorno, il mobile bar tra soggiorno e pranzo, in prossimità del camino centrale, poi rimosso. 05. Piante ai livelli terra, primo (soppalco) e secondo.
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legname” pare riduttivo – di Cisano, che effetti- Quella prima collaborazione con Rama è stata però vamente realizza la libreria per i giovani coniugi. il tramite per una serie di contatti veronesi, dai Il prototipo diventa un modello al vero che viene quali nasceranno le committenze delle due ville e proposto a un marchio allora in piena espansione, altri lavori, tra cui lo showroom Tecnorama a Cila Arflex, che metterà in produzione il pezzo. sano di Bardolino: ma questa è un’altra storia che La carriera professionale di Bartoli, assieme ai pri- andrà approfondita a parte. mi lavori di architettura e di interni, si indirizza La casa S. a Bussolengo sorge su un vasto appezzacosì verso il design di arredi, che diventa la sua at- mento di terreno in una zona di espansione, dove tività principale. Il caoggi, rispetto agli scattalogo dei pezzi ‘design ti ripresi all’epoca della « Oggi, rispetto agli scatti ripresi Bartoli’ che sono entrasua costruzione, la creti nelle case degli italiascita delle alberature ha all’epoca della sua costruzione, ni è molto vasto: vale la “addomesticato” la franla crescita delle alberature ha pena di ricordare quello chezza stereometrica “addomesticato” la franchezza più iconico, la sedia 4875 della villa. L’elemento prodotta da Kartell per caratterizzante è il granstereometrica della villa » oltre trent’anni, la prima de tetto a falda unica che al mondo realizzata interamente in polipropilene. definisce il volume della zona giorno, articolato al L’attività di designer prosegue con continuità ne- suo interno da un soppalco che si affaccia sul living gli anni, ed è condotta a tutt’oggi assieme ai figli a doppia altezza, mentre la zona notte è definita da architetti con lo studio “Bartoli Design”, mentre le una copertura terrazzata e dalla linea orizzontale realizzazioni in campo architettonico rimangono del balcone. La finitura esterna delle pareti è un significative ma più episodiche. semplice intonaco bianco a grana grossa; le aper06. Il prospetto laterale in un’immagine d’archivio. 07. La sezione trasversale evidenzia il soppalco affacciato sulla zona giorno.
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ture sono tagli o angoli svuotati, e non semplici “finestre”. La bussola d’ingresso è un cubo di vetro ruotato di 45 gradi rispetto all’assialità del percorso di accesso, incentrato sulla scala centrale che conduce ai livelli superiori e all’ampio interrato; alla bussola corrisponde l’analogo aggetto vetrato del bovindo nella zona pranzo.
Progetti arch. Carlo Bartoli casa G. Verona Cronologia Progetto e realizzazione: 1972-74 Casa S. Bussolengo Cronologia Progetto e realizzazione: 1974-76
PROGETTO
Full color anni Settanta
08-09. In due bagni, ulteriori note cromatiche si aggiungono alla elaborata tavolozza dell’intervento. 10. Dal livello superiore, la zona relax sul soppalco e in evidenza la controsoffittatura in doghe di alluminio.
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Ma l’eccezionalità e il carattere di questa casa si svelano ancora di più negli interni, che hanno mantenuto quasi integralmente assetto e finiture del progetto originale. Varcare la soglia di ingresso è come il passaggio, avvenuto circa in quegli anni, dal bianco e nero al colore nell’universo televisivo: dove l’entusiasmo per il colore si fa debordante e, visto con gli occhi di oggi dopo anni di ascetismo minimal, eccessivo. Pare un patchwork, a descriverlo, eppure pareti e soffitti sono rivestite da uno stucco spatolato color acquamarina, tranne l’intradosso della falda inclinata che, tra soggiorno e soppalco, è rivestita da sorprendenti (per l’uso domestico) doghe in alluminio. Il parquet di ponga-ponga, gli infissi e le finiture in legno di cedro, gli imbottiti con uno strepitoso tessuto a righe sfumate dal rosso al fucsia, compongono un elaborato caleidoscopio che, nella
zona giorno, ruota attorno al grande camino centrale tra soggiorno e pranzo. Aggiungiamo poi le ceramiche verdi e le lacche blu dei mobili della cucina, e il palinsesto dei bagni – rigorosamente l’uno diverso dall’altro, come si usava fare – coi verdi muschiati, i rossi, i mobiletti su disegno, i controsoffitti e le velette retroilluminate. Non è azzardo, è libertà creativa e capacità di controllo, frutto anche di un positivo e fondamentale rapporto di fiducia tra architetto e committente. L’altra casa, di poco precedente, è il portato di un’esperienza nel campo del design che viceversa non è andata a buon fine. Il committente produceva all’epoca tavolini per televisori, e sempre per tramite di Rama il contatto con Bartoli è orientato a studiarne di nuovi. Quei progetti non trovano sviluppo, però da cosa nasce cosa, anzi nasce “la casa” di famiglia.
carlo bartoli Nato a Milano nel 1931, appartiene a quella generazione di architetti che erano ragazzi alla fine della seconda guerra mondiale. Imparando dai maestri dell’architettura e del design italiani del periodo, come l’amico Luciano Baldessarri, Luigi Caccia Dominioni e Marcello Nizzoli, Carlo Bartoli si laurea in architettura al Politecnico nel ‘57. Sempre a Milano fonda uno studio, inizialmente assieme alla collega Annig Sarian. I primi lavori riguardano l’architettura e gli interni, ma presto si dedica al design di arredi, lavorando inizialmente su oggetti di cui aveva bisogno personalmente e sviluppando il suo metodo di progettazione: partire dall’identificazione dei limiti e tradurre la semplicità in cultura. La collaborazione con aziende che sarebbero diventate di riferimento per il mondo del design lo ha portato a sviluppare progetti cone la poltrona Gaia per Arflex (inclusa nella collezione permanente del MOMA e del Museo del Design della Triennale di Milano) e la seia 4875 per Kartell, parte della collezione design del Centre Pompidou di Parigi. Nel 2007 ha costituito con gli architetti e designer Anna Bartoli e Paolo Bartoli il “Bartoli Design - studio associato di architettura e design”. Nel 2016 è stato premiato con il XXIV Compasso d’Oro ADI alla Carriera. www.bartolidesign.it 11. La cucina con l’accostamento tra il bianco-verde delle ceramiche, il blu lacca della parete attrezzata e il legno degli arredi. 12. Particolare del bovindo dalla zona pranzo. 13. L’affaccio sul soggiorno dall’imbarco della scala.
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PROGETTO
Full color anni Settanta
Casa G. a Verona (1976-77). 14-15. Nelle immagini d’epoca, il rapporto instaurato tra il volume cubico della casa con il verde della collina sul fondo e con l’ampio giardino. 16. Piante di progetto.
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Posta ai piedi dell’ambito collinare che dalla città sale verso le prime propaggini della Lessinia, in un luogo di quiete oggi in parte compromesso da superstrade e supermercati, è impostata secondo un volume quadrangolare con una copertura a quattro falde lievemente inclinate, e suddiviso specularmente dal taglio assiale del corpo scale. I numerosi schizzi di studio danno conto della ricerca sugli elementi che articolano il blocco stereometrico, dal piano superiore risolto con una fascia continua di serramenti alle pergole e alla connessione con il piano seminterrato e il parterre verde del giardino. Gli anni Settanta hanno visto, infatti, il trionfo delle “taverne”, degli interrati o seminterrati ad uso ludico-ricreativo, assieme ai garages che si ingrandiscono per contenere il numero crescente delle automobili a disposizione del nucleo familiare. Di questa tendenza, casa G. rappresenta un’espressione ricercata ed elegante: la mano di Carlo Bartoli ha saputo portare in terra veronese gli esiti di quel “professionismo colto” milanese, che proprio sui temi della residenza e dell’abitare ha sperimentato alcuni dei suoi migliori canoni.
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17. Negli schizzi, la verifica simultanea dell’immagne complessiva della casa e di alcuni nodi progettuali. 18-19. Appunti per le finiture degli ambienti interni, con alcune campionature di tappezzerie William Morris per le parti superiori delle pareti dei bagni.
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Zai Due la vendetta della Bassona
Una gita “fuori porta” per una passeggiata urbana alle prese con la seduzione dei capannoni di una zona industriale e artigianale
località Bassona Testo: Angela Lion
Verona
Foto: Michele Mascalzoni
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Il termine Z.A.I., così familiare ai ve- na” – possiede un carattere che solo un ronesi, risuona nelle nostre orecchie eccentrico flâneur extra-urbano può con un effetto metallico. Forse è l’e- ritrovare tra i meandri dei capannoco di un terreno minato, di un precon- ni. Sorta alla fine degli anni settanta cetto avvaloratosi negli anni, frutto nella parte nord-occidentale di Verodi uno sviluppo na come polmo« Gli scenari si alternano ne industriale per disorganico delfacendo emergere, le periferie urbala riconversione e ne. Con la crel’ampliamento di entro l’anonimato scita economica, industrie già opedell’edilizia produttiva, le aree artigianali ranti nel territorio alcuni frammenti e industriali hancomunale, occuno preso piede in pa oggi circa un di architettura » maniera preponmilione di metri derante diventando vere e proprie cit- quadrati dove trovano posto circa 120 tadelle, a loro volta protesi delle nostre aziende. città. Pur rientrando in tale logica, il L’insediamento riprende in un cersistema insediativo dell’area produtti- to qual modo i sistemi delle colonie va denominata Zai Due – la “Basso- industriali realizzate nella seconda
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metà dell’Ottocento: una cittadella giardino d’asfalto e cemento, dalla strade ampie coi nomi evocativi (via della Meccanica, della Siderurgia, della Metallurgia... ). Gli scenari si alternano facendo emergere, entro l’anonimato dell’edilizia produttiva, alcuni frammenti di architettura: istantanee che abbracciano un periodo temporale incen-
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01. Il “misterioso” volume blu sfumato campeggia come un landmark tra i capannoni della Bassona. 02-05. Sede aziendale Vtek: prospetto principale, planimetria generale, particolare del loggiato e veduta d’insieme. Progetto: Agosta, Biasiolo & Associati, 2007.
PROGETTO
Zai Due la vendetta della Bassona
06-10. Alcuni scatti di una rassegna del paesaggio extra urbano dei capannoni, tra figure e materiali anni Ottanta, attività in funzione e altre in semi abbandono.
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trato sui “favolosi” anni Ottanta, con alcune realizzazioni anche assai recenti. Tra le ultime, costeggiando via della Meccanica si erge la sede della ditta Vtek. Il fabbricato, a firma dell’architetto Lorenzo Agosta, ha una desti-
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nazione mista in prevalenza produttiva, con uffici e laboratori a servizio dell’attività posti sul fronte principale, secondo una dicotomia che è tipica degli insediamenti di tale natura. Se in genere a una certa cura per la parte direzionale si contrappone un utilitarismo spinto per quella produttiva, in questo caso è evidente la cura nell’affrontare il tema architettonico “bifronte” posto in campo. Il blocco amministrativo, miesiano nella foggia, è posto su un podio messo in evidenza da un’inattesa (per il contesto) cura del verde. Su un ampio tappeto erboso prospetta un portico dalle sottili colonne metalliche; alla facciata vetrata sul fronte porticato si affiancano i fronti laterali rivestiti in pietra, mentre alla copertura metallica dell’avancorpo è affidato il raccordo con il volume del capannone, rivestito esternamente con pannelli corru-
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11, 14. WMF Italia: fronte della parte direzionale, prospetto complessivo, pianta piano terra e veduta del fronte sul lato di accesso. Progetto: arch. Stefano Feriotti, ing. Alessandro Melchiori, 1994.
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gati in lamiera d’alluminio. Verticali e orizzontali: verticali le colonne del loggiato e il taglio tra le campiture dei pannelli del capannone, orizzontali serramenti della facciata continua e le onde d’alluminio dei pannelli. Un ritmo rigoroso per un’essenzialità rigorosa richiesta dalla stessa fisionomia del complesso aziendale. Poco più avanti, sotto passata la strada statale sulla quale fronteggia, troviamo la sede italiana di WMF che i nostri lettori già conoscono per la rassegna dei lavori dell’architetto Stefano Feriotti (cfr. «AV» 105, pp. 74-79),
in questo caso assieme all’ingegnere Alessandro Melchiori. In questo caso la bipartizione tra spazi produttivi e direzionali è più netta: iI progettisti hanno esplicitato, attraverso l’uso di materiali esterni differenti, la distinzione tra la parte direzionale, i cui prospetti sono disegnati a listature orizzontali che definiscono le grandi campiture dei serramenti color prugna, e il magazzino dal rivestimento metallico, evocativo
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della materia del brand (posateria e utensili da cucina). Sul versante opposto di via della Metallurgia si intravede un incognito manufatto dalle sfumature color del cielo, di cui a prima vista risulta difficile coglierne la destinazione. A dire il vero, la sagoma misteriosa di questo svettante monolite completamente opaco risalta con evidenza nell’intero panorama della Bassona, tra i capannoni e lungo le strade, assumendo il
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15-16. Usitalia: la palazzina uffici e, in elevazione tra i capannoni, la sagoma del magazzino automatico. 17. Paesaggio industriale con rifiuti.
ruolo di un landmark industriale. È la sede di Usitalia, 6.000 mq di superficie per l’attività produttiva di cabine per la verniciatura nel settore automotive. Il monolite contiene un grande magazzino automatico: dalle macchine utensili, all’assemblaggio fino alla filiera per la realizzazione dei semilavorati. Si tratta dell’ampliamento del magazzino automatico, uno dei più grandi sul territorio nazionale, realizzato da un’azienda specializzata di
« La Bassona è sorta alla fine degli anni Settanta come polmone industriale per la riconversione e l’ampliamento di industrie già operanti nel territorio » Brescia. La pianta rettangolare, lunga e stretta, per un’altezza di 28 metri si caratterizza di uno spazio vuoto centrale con corsie su due livelli gestite da un sistema meccanizzato per il prelievo dei materiali in giacenza da circa 2.000 celle
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18-19. Sezione trasversale e veduta esterna del magazzino automatico Usitalia. 20-21. Due anonime testimonanze di edilizia industriale.
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La rimanente superficie del magazzino si articola in quattro campate per i tre reparti di lavorazione, rispettivamente punzonatura-piegatura, assemblaggio e magazzino-spedizioni, che scandiscono le tre fasi del ciclo di lavorazione. La palazzina uffici posta in prossimità dell’ingresso principale, sebbene le facciate continue a specchio risentano di un retaggio tipologico degli anni Ottanta, è del 2001. Proseguendo in questa inconsueta passeggiata tra i capannoni, in via della Scienza troviamo forse uno dei più significativi esempi di architettura industriale presenti in quest’area: si tratta del compendio sorto per Selezione del Reader’s Digest, una rivista che aveva il suo centro distributivo a Verona già dal ‘63 e che nel 1987, in una fase ancora di crescita, trasferì qui le sue attività in una nuova e più razionale sede.
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22-24. Magazzino e centro distribuzione “Selezione”: la pensilina d’angolo in corrispondenza dell’accesso è il perno compositivo dell’insieme. Progetto: ing. Alessandro Polo, 1987.
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25-27, 29. Prati, erbacce, siepi e alberature addomesticano il paesaggio dei capannoni. 28. Un tramonto “metallico” sul margine della zona industriale. 26
Il progetto venne affidato ad Alessandro Polo, ingegnere la cui presenza a Verona è testimoniata da diverse realizzazioni, oltre che a un suo passaggio nel ruolo di Assessore all’Urbanistica degli anni Novanta. Occupando due lotti (quasi 25.000 mq) dell’allora neonata Zai Due, il progetto ha previsto l’insediamento di più corpi di fabbrica, distinti per altezze e superfici, destinati a magazzino, alla produzione ed infine alla postalizzazione. Solo la centrale termica e il compattatore della carta sono staccati dall’insieme produttivo. La lettura dell’insieme è però continua grazie alla cura del dettaglio di ogni elemento. La copertura della stazione di pesa posta d’angolo, perno compositivo dell’insieme, è risolta come una elegante pensilina, il cui coronamento è analogo a quello delle parti ad ufficio, dove il modulo del
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coronamento ribaltato diventa anche basamento al di sopra di uno stacco vetrato dal terreno. Il colore rosso uniforma gli elementi di dettaglio di maggior controllo formale: il contenimento delle gradonate, le scale e i corrimano dell’accesso pedonale, le fasciature dei pilastri della pensilina. I lavori furono eseguiti dall’impresa Marani di Verona, le strutture prefabbricate dei capannoni vennero fornite dalla Ipres, le travi prefabbricate centrali, laterali e portapannelli dalla ditta Rivoli. La passeggiata continua, proponendo molte altre istantanee sul paesaggio extra urbano dei capannoni, scorci inattesi su edifici e luoghi che, pur se apparentemente “in disparte”, fanno parte a pieno titolo dei nostri spazi di vita.
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Archi della Lessinia: le stalle-fienile Costruzioni con strutture ad arco nell’architettura rurale di montagna
Testo: Vincenzo Pavan
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01. Lo spaccato della ottocentesca casara di malga Fittanze di Erbezzo, dovuto al crollo della parte anteriore dell’edificio, permette una lettura in sezione dell’arco a sesto acuto. 02. Stalla-fienile isolata con falde del tetto a doppia pendenza presso la contrada Stander di Roverè Veronese. 03. Manto di copertura vegetale ancora intatto in una stalla-fienile con falde del tetto a doppia pendenza presso contrada Fontani di Velo Veronese. 02
“Tede” della Lessinia centro-orientale In continuità, esclusivamente tecnica, con gli essiccatoi per il tabacco della pianura veronese, ricerca pubblicata su «AV» 97, si delinea il tema degli edifici per la essicazione degli alimenti vegetali per gli animali nelle aree montuose del territorio veronese. Le “tede” (o tezze) tradizionali stalle-fienile della montagna veronese, oltre a costituire una straordinaria ed inedita tipologia di architettura rurale, oppongono alla destinazione inoppugnabilmente voluttuaria delle costruzioni trattate nel precedente itinerario, una finalità utilitaria che non è retorico definire basilare per la vita degli uomini. Le erbe essiccate e trasformate in fieno costituivano, prima dell’immissione sul mercato dei moderni mangimi industriali, l’unico alimento che permetteva nelle stagioni fredde la sopravvivenza degli animali, dai quali dipendeva – e ancora dipende – quella degli umani. Per una serie di fattori, dalla geologia alle varietà vegetali del luogo, dal sistema di produzione agricola alla cultura costruttiva, la Lessinia ha dato luogo ad una singolare tipologia di edifici che rappresenta in modo incisivo la sintesi tra le culture costruttive di due materiali, il legno e la pietra. La presenza diffusa sul territorio di materiali a struttura lasteo-
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lare, il Rosso Ammonitico e Scaglia Rossa Veneta o Pietra di Prun, è all’origine di una straordinaria architettura litica, senza confronti con quella delle altre aree alpine. Pur svolgendo identiche funzioni, le principali tipologie che compongono gli insediamenti umani, le abitazioni e gli edifici rustici, hanno però assunto connotazioni morfologico-costruttive diverse nelle due aree principali in cui si è soliti classificare l’architettura rurale del territorio lessinico. Pur mantenendo il tradizionale assetto, che vede universalmente diffuso il sistema della stalla a livello di terra e il fienile sovrapposto, come serbatoio di foraggio a essa collegato, le stalle-fienile hanno assunto un carattere integralmente litico nel settore occidentale, che fa riferimento ai comuni di Fumane, Sant’Anna d’Alfaedo ed Erbezzo, mentre nell’area centro orientale comprendente i comuni di Boscochiesanuova, Roverè, Velo e Selva di Progno, è assai diffuso per gli stessi edifici rurali un sistema costruttivo ove il legno e la pietra si integrano in modelli costruttivi assai originali. Le ragioni di tale diversa connotazione va cercata marginalmente nella minore disponibilità di lastame offerta dal territorio centro orientale, ma soprattutto in una diversa cultura costruttiva legata alla storia del popolamento di quest’area della montagna veronese, oggetto nei secoli XIII e XIV di successive ondate di “migrazioni programmate” di coloni germanici, bavaro-tirolesi chiamati teutonici e in
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seguito cimbri, portatori di proprie culture costruttive e colturali. Trovano infatti radice nella cultura lignea tedesca le “tede” dell’area lessinica orientale, caratterizzate dalla muratura in pietra e con le falde del tetto a doppia pendenza, coperto parzialmente fino all’inizio del ‘900 con paglia e canna palustre, e oggi con lamiere metalliche. Le due diverse inclinazioni delle falde del tetto sono dovute all’impiego dei due materiali. La parte in lastre di pietra calcarea ha una funzione di copertura e riparo della muratura e la sua inclinazione leggera è dovuta al contenimento dello scivolamento delle lastre. Il manto vegetale, che caratterizza la parte cuspidale del tetto, ha invece una pendenza più accentuata per favorire lo scorrimento veloce delle acque meteoriche, impedendone l’infiltrazione all’interno del fienile. Completamente culturale, o meglio colturale, è la motivazione della scelta di adottare fino all’epoca moderna la copertura di paglia o di canna palustre, come appare evidente dall’esiguità di superficie del manto vegetale impiegato in molte “tede”. L’uso della costruzione lignea come “cesta traspirante” per migliorare la maturazione e la fermentazione del fieno è caratteristico delle stalle-fienile di numerosi territori alpini dove il legno è il materiale costruttivo prevalente. In Lessinia, dove invece domina il materiale litico, si è conservata la tradizione “traspirante” del manto vegetale solo nei rustici di area cimbra.
SAGGIO
Archi della Lessinia: le stalle-fienile
Masenel 1 Biancari
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Pelosi di Sotto
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04. Abaco di una selezione di stalle-fienile della Lessinia centro-orientale con comparazione dei profili dei tetti con falde a doppia pendenza. Pagina successiva: 12. Abaco comparativo di sezioni che illustrano diverse tipologie di archi di stalloni di contrada e di malga della Lessinia in una selezione di esempi, riferiti alle contrade. Rilievi e restituzione grafica: Vincenzo Pavan, Federica Guerra, Francesca Gronich, Elena Tonin.
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Gli “stalloni” ad archi della Lessinia centrale Il crescente sviluppo dell’imprenditoria agricola e dell’allevamento bovino tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’‘800 nell’area lessinica ha portato ad una consistente espansione dimensionale e volumetrica delle stalle-fienile di contrada, che ha modificato anche la consuetudine di coprire questi edifici con un manto vegetale, sostituendolo con una più duratura copertura di lastame calcareo (com’era progressivamente avvenuto nei secoli precedenti per gli edifici abitativi). Lo sviluppo dimensionale della scatola muraria avrebbe però richiesto per il tetto l’impiego di strutture lignee di dimensioni ben maggiori di quelle in uso fino allora, in grado di reggere il peso della copertura di grandi tavole di pietra. La scelta, evidentemente più conveniente, fu invece di dividere la struttura trabeata del tetto in due parti con un arco di pietra avente funzione di muro di spina svuotato o di rompitratta di pietra, certamente più
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solido (e forse meno costoso) di una grande capriata di legno. Dagli inizi dell’800 fino alla metà del secolo furono costruiti in numerose contrade lessiniche degli “stalloni” con arco rompitratta capaci di ospitare fino a venti bovini, mentre le “tede” tradizionali ne contenevano al massimo dieci. Questa tecnica strutturale fu trasferita negli stessi anni anche nell’altopiano settentrionale lessinico nelle aree di alpeggio estivo, dove alcune malghe si dotarono di “stalloni” con tetto in lastre retto da archi, privi però di fienile, con funzione esclusiva di ricovero degli animali nei casi di emergenze climatiche. L’uso di tali strutture ad arco si diffuse assai più estesamente nello stesso periodo, fino alla fine dell’800, nell’alta Lessinia nella costruzione dei “baiti” (caseifici di malga) in muratura, che sostituirono i vecchi “casoni” in legno coperti di paglia e canna palustre, in dotazione da secoli sulle malghe dell’altopiano.
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05. Interno della casara settecentesca di malga Lavacchietto di Ala, con archi a tutto sesto, a conci lunghi 06. Esterno della casara di malga Lavacchietto con in evidenza i contrafforti di controspinta degli archi interni. 07. Interno della casara settecentesca di malga Bagorno di Bosco Chiesanuova con archi a tutto sesto, a conci lunghi.
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Archi della Lessinia: le stalle-fienile
08. Sezione di progetto 1856 del baito di malga Revoltel di Ala con arco a tutto sesto (Archivio Storico del Comune di Ala). 09. Disegno di progetto 1879 per la costruzione del baito di Malga Boldiera, sezione con arco a sesto acuto (Archivio Storico del Comune di Ala). 10. Arco a sesto acuto dello stallone di contrada Falz di Roverè Veronese. 11. Archi a sesto acuto all’interno del baito di malga Brancon di Bosco Chiesanuova, della prima metà dell’Ottocento. 08
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L’evoluzione dell’arco lessinico Vera anomalia costruttiva rispetto agli edifici rurali delle altre aree alpine, l’arco strutturale lessinico ha trovato la sua ragione logica nel particolarissimo materiale litico locale, il lastame calcareo reperibile in forma tabulare, facile da estrarre e lavorare; ottima alternativa al legname più diffuso, il faggio, poco adatto alla costruzione lignea e principal-
mente usato come legna da ardere. Anche se frutto dell’ingegno e del sapere di abili maestranze locali, l’arco lessinico ha avuto una sua evoluzione tecnico-stilistica che mette in dubbio la “spontaneità” che in genere viene attribuita ai linguaggi dell’architettura rurale, specie delle aree di montagna. Il primo esempio di arco strutturale di questo territorio appartiene ad una tipologia edilizia completamente diversa da quella considerata nel presente studio: la “casara” di malga. Sui pascoli dell’altopiano settentrionale, dove si praticava fin dal medioevo
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una intensa attività di alpeggio, ebbe inizio nel XVI secolo la costruzione delle “casare”, edifici in muratura, forse inizialmente coperti di paglia, destinati alla conservazione e stagionatura dei derivati del latte, formaggi, ricotte e burro, prodotti nelle malghe. La loro produzione avveniva invece nei “casoni”, in seguito chiamati “baiti”, edifici interamente costruiti in legno e coperti di paglia, idonei ad essere smontati e spostati in aree diverse dei pascoli della malga, per sfruttare un sistema di concimazione “al naturale” ritenuto conveniente per fertilizzare i magri terreni dell’alta Lessinia. A partire dal XVII secolo queste casare risultano essere tutte coperte di lastre di pietra il cui peso sommato a quello della neve in inverno, spesso era retto da archi rinforzati da contrafforti all’esterno del perimetro murario. Gli archi delle casare fino alla fine del ‘700 erano a tutto sesto o a sesto ribassato, con una luce mediamente di 5 metri, disposti in sequenza in modo che le lastre poggiassero scalarmente su due archi, eliminando così l’uso di capriate in legno. Ma la particolarità di questi archi è il sistema dei conci che li compone, ricavati da bacchette di pietra
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Brutti
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Camporetratto
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Archi della Lessinia: le stalle-fienile
13. Interno dello stallone della prima metà dell’Ottocento di malga Campo Retratto di Erbezzo con la sequenza di coppie di archi a sesto acuto che dividono lo spazio in due navate. 14. Interno dello stallone del 1950 di malga Scortigara di Cima di Ala, con coppie di archi a tutto sesto.
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longitudinali, tagliate ricurve e montate a formare archi completi, analoghi a quelli dei portali cittadini della seconda metà del ‘400. Una tecnica che, in assenza di molti elementi conoscitivi, ci appare stranamente poco efficiente per il peso che l’arco doveva sostenere, essendo la superficie d’attrito tra un concio e l’altro assai ridotta. La cosa farebbe pensare ad un’eredità stilistica – ipotesi azzardata ma da approfondire – opera si direbbe di maestranze locali di discendenza della scuola di lapicidi della Valpolicella che dalla seconda metà del ‘400 alla prima del ‘500 avevano lavorato ai progetti dei grandi architetti del primo Rinascimento a Venezia, Ferrara e in Lombardia, nei quali troviamo con frequenza questo tipo di arco. Oltre metà delle casare degli alti pa-
scoli della Lessinia testimoniano nelle loro strutture interne la diffusione, durata alcuni secoli, di questo particolare sistema costruttivo. Un radicale mutamento nella concezione dell’arco strutturale lessinico si registra all’inizio dell’ ‘800. Nelle nuove grandi stalle di contrada, “stalloni”, vengono costruite strutture ad arco di grande dimensione con una tecnica affatto diversa: l’arco a sesto acuto. La loro cronologia è regolarmente scandita dalle date incise a partire dal 1814 per circa un cinquantennio. La loro caratteristica, determinata dalla costruzione geometrica, non consisteva solo nel tracciato dei due archi congiungentisi – che già nei documenti d’epoca erano definiti con termine stilistico “arco gotico” – ma anche dal si-
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stema dei conci “a mattone” disposti radialmente secondo il lato lungo per sfruttare in modo ottimale l’attrito fra i conci lapidei, impedendone lo slittamento come avveniva frequentemente negli archi a tutto sesto delle casare. Con questa tecnica, peraltro antica, l’efficienza accresciuta degli archi consentiva una luce variabile tra i 9 e i 16 metri ed un’altezza equivalente, anch’essa variabile a seconda della loro apertura. La configurazione completa dell’arco seguiva sull’esterno dell’edificio il diagramma delle spinte attraverso la fuoriuscita dalle pareti laterali di queste costruzioni di due possenti contrafforti a inclinazione piramidale. Mentre per gli archi a tutto sesto delle casare è documentato l’intervento di piccole imprese guidate da mastri scalpellini della bassa collina o del fondovalle, le tecniche più sofisticate dell’arco ottocentesco a sesto acuto richiedevano l’apporto di tecnici, disegnatori, periti ed ingegneri in grado di redigere un progetto da affidare all’impresa, di cui sono reperibili ancora progetti, disegni e capitolati. La funzione di rompitratta degli archi lessinici a cui abbiamo accennato all’inizio del presente scritto, è stata utilizzata anche in “stalloni” di contrada in cui si è mantenuto il manto di copertura in paglia o in canna di palude, in alcuni casi utilizzando
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porzioni di arco forniti di contrafforti esterni come appoggio o mensole di capriate, dando vita in tal modo a strutture ibride, lignee e litiche. Sono circa una quindicina gli “stalloni” con arco strutturale a sesto acuto censiti nelle contrade della Lessinia centro orientale, incluse alcune eccezioni nell’area occidentale ad essa confinante. Esempi molto interessanti dell’applicazione di questo tipo di arco sono visibili anche in alcuni rari “stalloni” di malga, strutture sorte nella prima metà del XIX secolo come ricovero temporaneo del bestiame al pascolo nel caso di maltempo, quindi privi di fienile. In queste stalle-ricovero dalla forma allungata, oltre 20 metri, gli archi ogivali formano sequenze che ricordano navate di chiese medievali. Gli “stalloni” con archi strutturali diffusi nelle contrade dell’area lessinica e nell’altipiano settentrionale costituiscono una forma originale di ingegno e creatività costruttiva in aree alpine che amplia e arricchisce il patrimonio delle strutture agroindustriali del paesaggio costruito italiano. La diffusione di tali tipologie edilizie, l’alta qualità tecnica delle costruzioni, il ruolo determinante da esse assunto nel paesaggio ci pone urgenti interrogativi sulla sorte di questi edifici in seguito alla loro dismissione ormai generalizzata, sia che si tratti della loro scomparsa per effetto dell’abbandono o per demolizione programmata, sia nei casi più frequenti, di alterazioni irreversibili dovute ad interventi di trasformazione spesso totalmente inconsapevoli della qualità delle costruzioni in oggetto. Da questo sintetico studio nasce la necessità di mettere in atto una serie di iniziative finalizzate a studiare, indagare e conoscere approfonditamente le suddette tipologie; discutere e proporre adeguate metodologie di intervento e strumenti di tutela; individuare orientamenti e politiche di sviluppo del territorio capaci di valorizzare lo straordinario patrimonio architettonico della tradizione costruttiva lessinica.
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Referenze fotografiche Ugo Sauro (01, 05, 07) Vincenzo Pavan (02, 03, 06, 11, 14) Fabrizio Tosi (10) Pietro Savorelli (13)
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Angelo Bertolazzi gli archi della lessinia tra arte e scienza del costruire L’arco rappresenta uno di quei casi in cui la tecnica ha anticipato la scienza: la loro costruzione ha infatti preceduto di gran lunga la formulazione scientifica, che fu il risultato dell’applicazione dei principi della meccanica del corpo solido al problema della statica e segnò una del tappe del passaggio dall’arte del costruire alla scienza delle costruzioni. La teoria dell’arco in muratura venne studiata in Francia da Philippe De la Hire (1640-1718) e da Charles Augustin de Coulomb (1736-1806), mentre in Italia i contributi principali furono del veronese Antonio Maria Lorgna (1735-1796), di Lorenzo Mascheroni (1750-1800) e Leonardo Salimbeni (1752-1823). Precedentemente il tracciamento dell’arco e quindi la sua costruzione seguiva procedure basate su metodi che si fondano su regole proporzionali dedotte dall’osservazione di strutture esistenti. La nuova scienza invece, superando tali regole, partì dall’osservazione dei dissesti creatisi su strutture dimensionate con principi esclusivamente geometrici. L’arco, struttura iperstatica, veniva reso isostatico ipotizzando la presenza e la posizione di lesioni (cerniere plastiche) e studiato nelle condizioni di equilibrio limite. I principali meccanismi di collasso per l’arco individuati furono: rottura per scivolamento della parte centrale dell’arco, studiato da De La Hire e De Belidor, e la rottura flessionale della porzione centrale dell’arco studiata da Coulomb e Mascheroni. Questi studi condussero anche a regole costruttive per il progetto di nuove strutture che non erano più basate sul “saper fare” di generazioni di scalpellini, ma sulla scienza degli ingegneri, come testimonia la manualistica del XIX secolo. Gli archi costruiti in Lessinia costituiscono un’importante campo di indagine per la storia delle costruzioni e il passaggio – maturato nel XIX secolo – dall’arco a tutto sesto con grandi conci a settore di cerchio a quello a sesto acuto con conci “a mattone”, sembra essere la concretizzazione di quanto studiato dagli scienziati del XVIII secolo e successivamente messo in pratica dagli ingegneri. A cavallo tra Sette e Ottocento, inizia a diffondersi la nuova tipologia strutturale che, come abbiamo visto sembra far propria la nuova scienza del costruire: la riduzione del numero dei conci come la loro “standardizzazione” in forme regolari si
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spiegano con l’affermazione del della nuova cultura del progetto, che non si basa più solo sull’esperienza. Da un lato infatti la riduzione delle dimensioni dei conci migliora il loro comportamento strutturale e facilita la posa in opera, mentre la loro regolarità rende la costruzione più economica. Questa coincidenza di date e modi di costruire può essere spiegata in parte dalla presenza a Verona nella seconda metà del ‘700 di scienziati che si dedicarono allo studio della meccanica e in particolare quella dell’arco, come Lorgna e Salimbeni. Entrambi infatti erano insegnanti presso la Scuola Militare di Castelvecchio, nella quale si formavano gli ingegneri militari della Serenissima. Al momento della chiusura della scuola da parte del Governo napoleonico è verosimile che alcuni allievi ingegneri abbiano trovato impiego nel campo civile. Pur rimanendo necessari ulteriori approfondimenti in campo storico e archivistico, scorrendo le pagine del testo “Degli archi e delle volte” (1787) di Salimbeni, non si può non pensare alle strutture costruite nei baiti, nelle casare e nelle stalle della Lessinia.
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15. Frontespizio e tavola con lo studio della meccanica dell’arco (da L. Salimbeni, Degli archi e degli volte, Verona, 1787).
Cronaca di un riuso temporaneo
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Una rassegna di eventi culturali promossa dall’Ordine degli Architetti di Verona per salutare la città storica e dare inizio a un ideale percorso di avvicinamento verso gli ex Magazzini Generali
Testo: Stefania Marini Foto: Alberto Scorsin
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c’è vita nello spazio Astra Largo ex Cinema Astra, Verona 8-25 giugno 2016 con la partecipazione di LAC Laboratorio di Architettura Contemporanea Verona, Bridge Film Festival, Teatro Impiria, Cineclub, Associazione Interzona re.life Verso i nuovi Magazzini
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facciata dell’ex cinema è diventata il supporto per una videoproiezione scandita dalla performance live di musica elettronica di Ra-kunesh. in cui spezzoni di pellicole storiche si sono mescolate assieme alle animazioni dell’illustratore Giacomo Trivellini. La compagnia Teatro Impiria ha proposto lo spettacolo “Ah!” del
con la partecipazione di M15, Reverse, A.G.I.L.E., M28, Verona Risuona, Officina delle Nuvole, Spoon con il contributo di Arredoluce Colorificio Casati ideazione e cura Nicola Brunelli, Marco Campolongo
« La rassegna ha dimostrato il ruolo dell’architetto come promotore culturale e sociale » mimo Sergio Bonometti diretto da Andrea Castelletti e ha riportato al centro la socialità del luogo; l’ambiente è stato ravvivato in modo giocoso coinvolgendo spettatori e passanti incuriositi. Il CineClub Verona con Urbancortos ha proiettato “Verona 1956”, il film di Tano Zoccatelli su concessione di Ugo Brusaporco. L’Ordine degli Architetti ha
Cavalcavia di viale Piave, Verona 17 giugno 2016
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proposto un momento formativo sul tema della rigenerazione urbana sostenibile. Il gruppo M15 ha illustrato il progetto e presentato il video delle fasi del cantiere della prossima futura sede dell’Ordine all’interno dei Magazzini Generali. Di seguito sono state proiettate le videointerviste fatte ad alcuni celebri architetti e critici presenti
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01. Sul tabellone in ferro del vecchio cinema, la locandina della rassegna. 02-03. L’installazione Seeds proposta dall’Associazione interzona.
ODEON
Durante tutto il mese di giugno si sono riaccese le luci dello spettacolo nello spazio antistante all’ex cinema Astra, a due passi da Porta Borsari e dalla storica sede dell’Ordine di via Oberdan. Le bacheche dell’ex cinema, da troppo tempo vuote, si sono così improvvisamente riempite di eventi culturali e il cinema, che un tempo era un luogo fondamentale nella vita pubblica e sociale, ha fatto da cornice a installazioni, videoproiezioni, musica, presentazioni, performances ed esibizioni artistiche dal vivo. Lo spazio, da anni abbandonato e lasciato al degrado, ha ripreso vita attraverso un riuso temporaneo, ideato e organizzato da Nicola Brunelli e Marco Campolongo, con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sul tema della rigenerazione urbana. Il fulcro della proposta è stata l’idea di coinvolgere molte realtà associative cittadine per offrire molteplici visioni di come la cultura possa contribuire a far rinascere spazi abbandonati e sottoutilizzati. Le associazioni coinvolte sono state stimolate a ripensare e riusare lo spazio; ne è nata una rassegna di progetti culturali specifici animati da differenti forme di espressione. Il laboratorio di architettura contemporanea Lac con l’installazione multimediale ‘eyes’ e l’esibizione dell’artista Biljana Bosnjakovic ha rievocato i personaggi del cinema d’oro giocando con la memoria di uno spazio che fu un luogo centrale della cultura e della socialità cittadina. Il team del Bridge Film Festival ha reinterpretato in chiave contemporanea e sperimentale lo storico cinema muto: parte della
urban re-generation Luca Molinari, Valerio Paolo Mosco, Luigi Prestinenza Puglisi, Luca Guido, Emanuele Piccardo, Alfonso Femia, Odile Decq, Marina Dragotto, Fulvio Irace, Alberto Ferlenga, Luca Talluri, Alberto Winterle, Maurizio Carta, Gianluca Peluffo, Neil Leach, Hans Ibelings, Indira van’t Klooster, William Menking durante il vernissage della 15. Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia. Interviste a cura della redazione de: Il Giornale dell’Architettura editing video: Alberto Scorsin video http://www.architettiveronaweb. it/?p=4210
04. L’esibizione di Biljana Bosnjakovic proposta da LAC. 05. La facciata del cinema come schermo della videoproiezione su iniziativa del team del Bridge Film Festival. 06. Il logo di «AV» in versione lignea gigante illuminato sul fondo della piazzetta dell’ex cinema Astra.
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al vernissage della recente Biennale di Architettura realizzate da “Il Giornale dell’Architettura”: Odile Decq, Luca Molinari, Alfonso Femia, Fulvio Irace, Alberto Ferlenga (solo per citarne alcuni) hanno offerto un contributo teorico originale, sottolineando l’importanza che questa tematica ricopre nella costruzione della città contemporanea. Infine l’Associazione Interzona ha proposto l’installazione Seeds: attraverso musica, design, sostenibilità e uso del verde ha voluto riflettere sul ruolo centrale della promozione culturale e della cura degli spazi verdi come elementi generatori di socialità in ambito urbano. La piazzetta solitamente vuota, alloggio per senza fissa dimora, si è riempita di piante, arredi composti da materiali di recupero, musica e videoproiezioni: semplici gesti progettuali hanno stimolato la cittadinanza alla condivisione all’insegna del riuso sostenibile. La rassegna, nata anche per accompagnare l’addio alla storica
sede dell’Ordine di via Oberdan, si è rivelata un vero e proprio laboratorio di sperimentazione, e ha dimostrato l’importanza del ruolo dell’architetto come promotore culturale e sociale, capace di innescare processi di partecipazione, di riappropriazione attiva della cittadinanza e di valorizzazione di molteplici espressioni culturali e artistiche. Ora che si sono spenti i riflettori temporaneamente riaccesi all’ex cinema Astra, solo alcune domande rimangono: è possibile trovare approcci sostenibili per ridare socialità e cultura in modo permanente a quegli edifici pubblici e privati abbandonati e chiusi da decenni di cui è pieno il nostro territorio? La professione dell’architetto riuscirà a favorire e farsi promotrice di progetti innovativi di rigenerazione urbana e innescare processi virtuosi con un approccio plurale sostenibile anche a lungo termine? Dopo averne riscoperto le potenzialità, l’ex cinema Astra assieme ai resti archeologici romani
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nascosti al suo interno potrebbero riprendere vita con un progetto culturale sostenibile, ma forse anche questa è solo un’altra occasione sprecata, perché il P.I.R.U approvato nel 2006 ne segna il destino, indirizzato alla sua trasformazione nell’ennesimo contenitore commerciale cittadino.
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Avvicinarsi con cura
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Uno spazio non convenzionale, quello sotto il cavalcavia di viale Piave, ha accolto un dialogo sulle opportunità del riuso come occasione progettuale Testo: Federica Collato Foto: Alberto Scorsin
Il tempo è un filo teso che le persone interpretano, rivivono, immaginano e costruiscono. Il tempo scandisce la nostra storia personale e scorre sulle pareti degli edifici che viviamo e che continuano a sopravvivere a dispetto di usi e funzionalità mutevoli. La nostra città, come altre, sta vivendo una fase di scoperta di tutti quei luoghi che sono stati dimenticati dai progetti di sviluppo, dai centri storici razionalizzati. Spazi talvolta oggetto di degrado e abbandono: le periferie. Il 17 giugno l’Ordine degli Architetti di Verona ha organizzato l’evento “Relife. Verso i nuovi Magazzini”, proprio sotto il cavalcavia di viale Piave in collaborazione con M15, Reverse, A.G.I.L.E., M28, Verona Risuona, Officina delle Nuvole e Spoon e con la sponsorizzazione tecnica di Arredoluce e Colorificio Casati. è stato un momento importante per due ragioni: la tappa e il luogo. Nel percorso di avvicinamento alla nuova sede, la conferenza ha rappresentato una tappa di rilievo: in autunno l’Ordine degli Architetti si insedierà nella nuova sede degli Ex Magazzini Generali, di proprietà della Fondazione Cariverona, a testimonianza di un recupero possibile, doveroso e funzionale ad ospitare la “Cittadella delle Professioni”. La conferenza del 17 ha visto la partecipazione di Mario Cucinella – che prima di affermarsi con i lavori del suo studio MCA è stato allievo di Renzo Piano e in seguito tutor del gruppo G124 – e degli architetti Roberto Corbia e Anna Merci, quest’ultima attualmente impegnata nell’analisi della periferia di Marghera con il G124, gruppo di studio sulle periferie italiane fondato dal
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senatore Renzo Piano e interamente sostenuto dal suo stipendio da parlamentare. Cucinella ha sottolineato l’importanza di recuperare gli edifici in disuso, dando dignità e centralità alle periferie, con interventi capaci di interpretare e rafforzare il senso di comunità, l’esigenza di socialità e di partecipazione. I processi di rigenerazione passano dal bisogno di indagare ciò che già c’è ed integrarlo, con un occhio rispettoso rivolto al passato ed uno innovativo verso un futuro di socialità e sviluppo. Il luogo scelto, infine, è stata un’affermazione di riconquista. Lo spazio sotto il cavalcavia, che rappresenta il principale accesso alla città, è un non luogo per antonomasia. Abbandonato, in stato di degrado e decisamente non considerato da
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01. Il palco di Relife nello spazio sotto il cavalcavia di viale Piave, a ridosso degli ex Magazzini Generali. Da sinistra: Francesco Ronzon, Arnaldo Toffali, Luca Gibello, Mario Cucinella, Roberto Corbia e Anna Merci.
Sinestesie urbane Un volume che racconta Verona per immagini attraverso un ricchissimo repertorio e una sofisticata narrazione grafica
relife I commenti di Mario Cucinella e di Luca Gibello sui temi emersi durante l’incontro veronese nello spazio del sottocavalcavia di viale Piave. video http://www.architettiveronaweb. it/?p=4198 http://www.architettiveronaweb. it/?p=4205
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02. Un momento conviviale nel post conferenza. 03. L’antropologo Francesco Ronzon durante il suo intervento a Relife.
Testo: Giulia Porceddu Cilione 02
quanti organizzano eventi, conferenze o interventi di vario genere a Verona. Accendere un riflettore raccontando alla cittadinanza la necessità di riscoprire questi luoghi è importante, decidere di organizzare un evento di contenuto proprio in uno di questi è decisivo e dimostra una coerenza importante da parte dell’Ordine. Luca Gibello, caporedattore de «Il Giornale dell’Architettura» che ha moderato gli interventi in modo molto misurato e partecipe, ha introdotto anche l’antropologo Francesco Ronzon che ha portato la platea ad interrogarsi sui paesaggi sonori e sulla rilevanza che i suoni, questo “tappeto” scontato sul quale camminiamo costantemente, possono avere nel condizionare il nostro vivere e la nostra capacità di progettare luoghi migliori. Attivare nuovi sensi ci può aiutare ad immaginare scenari di recupero alternativi e meglio integrati nel contesto sociale. Del resto questo resta l’obiettivo ultimo: mettere in campo competenze eterogenee in grado di migliorare la qualità della nostra vita. E se una conferenza seguita da una festa, peraltro molto partecipata, riescono a dimostrare che le periferie possono avere un futuro di riscoperta, all’interno di un percorso di cambiamento e rigenerazione, allora siamo sulla giusta strada. Ha fatto da quinta scenica al dibattito e all’intero evento un wallpaint realizzato per l’occasione per l’occasione dal writer veronese Eugenio Filippi, coadiuvato da Manolo Bossi.
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Un dettaglio, a volte, capovolge il nostro modo di vedere le cose. Come, per esempio, una lumaca. C’è un saggio divertente e illuminate di Daniel Arasse dedicato all’Annunciazione di Francesco del Cossa esposta a Dresda in cui tutto il ragionamento si svolge attorno a una lumaca. Sì, perché, se guardate bene, una lumaca compare proprio sul bordo inferiore del dipinto. Il piccolo gasteropode ci interessa qui perché funziona da dispositivo visivo e non come immagine simbolica. La lumaca ci “chiama ad una conversione dello sguardo” e ci fa capire “in ciò che vedete non vedete ciò che guardate, ciò per cui, nell’attesa di cui, voi state guardando: l’avvento dell’invisibile nella visione” (si tratta pur sempre di un’Annunciazione). Verona Tales è un dispositivo visivo. E ci invita ad adottare “lo sguardo della lumaca”, mettendo in pratica la “conversione dello sguardo” per attraversare le mille e più immagini che lo compongono con occhi diversi. Migliaia di immagini collezionate dalla mente creativa e instancabile di Lamberto Bottaro, che da vero flâneur, ha camminato per le strade di Verona ricostruendo una visione, la sua visione, sulla città e i suoi particolari: il libro è un racconto che si snoda, dettaglio dopo dettaglio, come una rivelazione. A passo lento, con sguardo attento. Ogni segno, ogni colore, ogni pietra, ogni scritta racconta la stratificazione di vicende umane, architettoniche e storiche che ci sorprendono. Dettagli che raccontano storie lontanissime, eppure vive. Ci sono due capitoli centrali “Guardo
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in alto” e “Guardo in basso”, in cui, proprio l’appello al vedere, o meglio al guardare, ci spalanca nuove visioni. Torri campanarie, sculture, statue, camini, oppure lastricati romani, pavimenti delle chiese, “piccoli monumenti al lavoro del tempo che fu”. Un inno alla materia che compone la città, alla forma degli elementi architettonici, a quei particolari che spesso ignoriamo, nella velocità del nostro modo di vivere lo spazio urbano. Questo libro è un vero “capriccio architettonico per immagini”, inteso come “una specie di fantasia improvvisata, nella quale si passa da un tema
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all’altro”. Progettata da Daniele Dalla Valle, la grafica minimale e ricercata esprime quella stessa variazione sul tema ricomponendo le tracce, i segni e le immagini che con i testi scandiscono il ritmo del libro. Dove per esempio i numeri civici diventano i numeri delle pagine e viceversa. Una narrazione grafica per elementi accostati. Una polifonia visiva che apre all’invito, al mettersi in moto, con lentezza, per riscoprire l’anima della città, la sua vita segreta. Per provare piacere, dobbiamo adottare lo sguardo della lumaca. E la sua lentezza. “Nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’oblio”. Come dice bene Kundera “Dar forma a una durata è l’esigenza della bellezza, ma è anche quella della memoria. Ciò che è informe è inafferrabile, non memorizzabile.” Questo libro ci parla di memoria, di sguardo, di forma. Ci parla di città, dunque. Una Verona svelata. Da svelare.
verona tales svelata Autore: Lamberto Bottaro Art director e progetto grafico: Daniele Dalla Valle Testi e cura redazionale: Bonifacio Pignatti Traduzione testi: Sergio Paini Cromista: Valentino Cordioli 2016, pp. 656 Edizioni Stimmgraf
Una patera veneta di risonanza europea
Posto in apertura del nuovo percorso espositivo al Museo degli Affreschi di Verona l’antico bassorilievo ornamentale propone un raffinato tema iconografico Testo: Maria Ajroldi
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01. Scultore veneto, Patera con fenicotteri dai colli intrecciati, XII-XIII secolo, marmo. Verona, Museo degli Affreschi “G.B. Cavalcaselle”, acquisto dalla Collezione Lazise-Gazzola (inv. 4627). 02-03. Schemi grafici da Villard de Honnecourt: costruzione di due rette perpendicolari, e costruzione di sei triangoli equilateri.
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per tutta la scultura altomedievale, in cui si intrecciano l’ispirazione religiosa con quella puramente fantastica, le allegorie morali e le valenze simboliche con le tradizioni figurative delle diverse popolazioni successivamente inglobate nella nuova civiltà che nel frattempo si va delineando. La patera del museo veronese presenta un soggetto abbastanza frequente nella produzione coeva: non a caso la stessa sala custodisce in un’altra vetrina un esemplare molto simile, e altri se ne trovano ancora a Treviso e sui muri degli edifici veneziani. Di fatto, gli uccelli a colli intrecciati sono un motivo comune non solo nelle patere in esame ma anche nei capitelli o nei fregi delle chiese romaniche. Se però vogliamo ritrovarne l’origine, ci tocca fare un salto all’indietro non solo di secoli ma addirittura di millenni: gli animali intrecciati infatti sono un motivi iconografico che risale alla cultura mesopotamica, come è stato evidenziato in un importante saggio sull’argomento 1. Per quanto riguarda il mondo medievale, questa immagine è stata finora interpretata
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« Questa testimonianza del medioevo veneto ci lascia intravvedere relazioni e legami difficili da ricostruire, ma presenti nel patrimonio culturale di cui siamo eredi » come espressione della concordia, riferibile sia all’ambito civile che alle relazioni interpersonali. Recentemente però è stata avanzata una ipotesi molto interessante a proposito dei trampolieri a colli intrecciati che si trovano nel primo arcone del portale centrale della Basilica di San Marco a Venezia 2 . In base a questo studio tutto l’arcone avrebbe un preciso significato astronomico e i trampolieri sarebbero riconducibili alla costellazione denominata come Gru e facente parte di un gruppo di costellazioni che vengono indicate collettivamente come “gli uccelli meridionali”. Di conseguenza anche le patere veneziane con raffigurazioni di trampolieri a colli intrecciati presenterebbero una simbologia
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ricollegabile all’orientamento stellare dei viaggi dei mercanti veneziani. Anche in questo caso però ci si può chiedere come mai in questa e in altre patere gli uccelli raffigurati siano precisamente dei fenicotteri. Infatti, diversamente dalla gru, il fenicottero, riconoscibile più volte nei mosaici romani, non è invece un animale presente nei bestiari medievali. Lo troviamo semmai nelle illustrazioni dei codici miniati, o in quella curiosa sfilata di animali che decora i bordi dell’arazzo di Bayeux. In ogni caso, non si riesce ad attribuirgli un preciso significato simbolico, anche se si può collegare alla concordia per la natura solidale della specie, o, come per altri migratori, agli auspici di buon augurio relativi al ritorno della primavera. Si può registrare però una coincidenza abbastanza singolare con un altro documento che la cultura medievale ci ha lasciato in eredità: si tratta del taccuino di lavoro di Villard de Honnecourt, uno straordinario compendio delle conoscenze architettoniche del periodo gotico, destinato probabilmente non solo a uso personale ma anche alla
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Chi visita a Verona il Nuovo Museo degli affreschi G. B. Cavalcaselle in una delle prime sale espositive si trova di fronte a una patera di marmo greco di soggetto zoomorfo: rappresenta due fenicotteri con i colli intrecciati e i corpi simmetricamente iscritti nella cornice circolare che delimita lo spazio. La storia di questo bassorilievo, come di altri simili, è riconducibile alle vicende urbane di Venezia nel periodo altomedievale. In quell’epoca infatti molte case veneziane presentavano nella muratura esterna questa tipica forma di scultura, che è stata in seguito denominata erratica perché frequentemente trasportata da un edificio all’altro nelle successive ricostruzioni: una caratteristica che fa supporre per queste raffigurazioni non solo uno scopo decorativo ma anche un valore simbolico, di genere celebrativo o di protezione rispetto all’abitazione stessa. Attualmente molte di queste patere sono ancora visibili lungo i percorsi veneziani, diverse altre sono custodite nel museo Luigi Bailo di Treviso, altre ancora sono reperibili in località diverse di una vasta zona che si estende lungo le coste del bacino superiore dell’Adriatico. La matrice comune di questa produzione ci riporta comunque a Venezia, con tutte le implicazioni che comportano per la produzione artistica dell’epoca le relazioni della Serenissima in primo luogo con l’impero bizantino, ma anche con le persistenze del mondo classico e con le suggestioni figurative della cultura islamica. Per questa complessità di apporti nelle realizzazioni di questo periodo risulta difficile identificare una interpretazione dei motivi iconografici: cosa che del resto accade
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04. La patera nella teca espositiva all’interno della Sala 1 del Museo degli Affreschi G.B. Cavalcaselle (foto di Lorenzo Linthout). 05. Estratto dalla tavola del progetto di allestimento della Sala 1 al Museo degli Affreschi (progetto: arch. Valter Rossetto).
trasmissione di saperi all’interno di una specifica corporazione. Una sezione di questa singolare raccolta viene introdotta dall’autore con questa espressione: “Qui comincia il metodo per disegnare le figure come insegna l’arte della geometria, così da lavorare con facilità”. E a conclusione dei disegni relativi, l’autore precisa anche: “In questi quattro fogli ci sono delle figure costruite secondo le regole della geometria, ma chi vuole sapere quale deve usare, deve studiarle con molta attenzione”. Proprio nell’ultimo dei fogli in oggetto, ritroviamo a sorpresa i due fenicotteri: in questo caso in posizione eretta e disposti simmetricamente verso destra e verso sinistra, in modo che i rispettivi colli, nel disegno parzialmente
sovrapposti, segnino l’intersezione di due circonferenze. La prima regola geometrica che si ricava dalla figura la suggerisce il disegno stesso, che riporta i centri delle due circonferenze: la retta che unisce i due centri forma sicuramente un angolo retto con quella che passa attraverso i due punti di intersezione delle circonferenze stesse. Si tratta quindi di un promemoria relativo a un metodo pratico per ottenere due rette perpendicolari. L’avvertimento sulla necessità di usare molta attenzione comunque non è superfluo: il disegno dei fenicotteri infatti è riconducibile anche alla proposizione 1.1 di Euclide, che stabilisce il metodo per disegnare triangoli equilateri. In questo caso bisogna tracciare un altro cerchio, facendo centro sul punto di intersezione inferiore dei colli degli uccelli e intersecando le rispettive articolazioni delle zampe. A questo punto facendo centro nell’articolazione della zampa destra si può tracciare un arco di circonferenza che passi per il centro. I punti di intersezione con la prima circonferenza possono essere a loro volta i centri di altri archi di
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circonferenza, tutti passanti per il centro. Ci accorgiamo allora che la circonferenza risulta suddivisa in parti uguali che permettono di tracciare sei triangoli equilateri 3. Ci si chiede allora se è verosimile che un architetto medievale abbia padroneggiato con tanta precisione la geometria euclidea. La risposta può essere affermativa, dato che nel secolo precedente i rispettivi codici erano stati trascritti e divulgati ad opera dei conventi monastici. Ad esempio per quanto riguarda l’Italia uno dei più antichi frammenti dei testi di Euclide è custodito proprio nella Biblioteca Capitolare di Verona. Anche le altre figure delle pagine “geometriche”, come ha dimostrato recentemente R. Bechmann, si possono interpretare come schemi grafici che rimandano a proposizioni e teoremi di Euclide 4. Inoltre la figura ottenuta col secondo procedimento non è una qualsiasi figura geometrica. Fa parte di una serie di una serie di modelli archetipi che vengono indicati col nome di “geometria sacra”: in questo caso la figura risultante è conosciuta comunemente come “fiore a sei petali” o “fiore della vita”. Anche questo un simbolo antichissimo,
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1 J. Baltrusaitis, Arte sumera, arte romanica,
2 G. Vallese, Le stelle e i viaggi. Un ciclo astronomico nel portale centrale della Basilica di San Marco
a Venezia 3 AA.VV., Villard legacy: studies in medieval
technology, science and art in memory of Jean Gim-
pel, Ashgate, 2004 4 R. Bechmann, Villard de Honnecourt. La pensée technique au XIII siècle et sa communication, Pa-
rigi, 1993. 5 A. Rizzi, Scultura esterna a Venezia, Venezia, 1987.
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Ai posteri
Un luogo appartenente alla memoria collettiva della città ha ospitato un dialogo tra diverse forme di espressione artistica
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di difficile interpretazione anche se spesso utilizzato per evidenziare fenomeni astronomici, in particolare i solstizi. Questo lungo percorso ci riporta, anche stavolta inaspettatamente, alla città di Verona, a cui del resto tutto il Museo degli Affreschi fa esplicito riferimento. Il fiore a sei petali infatti è presente in una delle più antiche testimonianze delle realizzazioni artistiche altomedievali, il pavimento di Santa Maria di Gazzo datato all’ottavo secolo, ed è poi ripetuto con sorprendente insistenza nella decorazione muraria all’interno della cripta romanica di San Fermo maggiore. A proposito della produzione veneto-bizantina era stata già rilevata la presenza di apporti della civiltà mesopotamica trasmessi attraverso gli scambi commerciali e le migrazioni dell’epoca tardo antica 5. Risulta allora particolarmente interessante questa testimonianza del medioevo veneto che ci lascia intravvedere relazioni e legami forse difficili da ricostruire, ma comunque presenti nel patrimonio culturale di cui siamo eredi e interpreti.
Testo: Luisella Zeri
Foto: Lorenzo Linthout
La nostra città è tristemente testimone di perplesse vicende di gestione amministrativa, di cui pagano lo scotto edifici e spazi pubblici. Altrettanto tristemente, per una strana congiuntura urbanistica, in alcune occasioni, questi luoghi sono raggruppati nel raggio di pochi metri. è il caso del brano di città racchiuso fra Piazza Viviani, Piazza Indipendenza e Via Nizza, dove, determinare quale sia la più triste fra le vicende che hanno coinvolto gli Scavi Scaligeri e i giardini di piazza Indipendenza, nel dubbio, è questione da giocare ai dadi. Il centro storico non trova pace, all’interno di un dibattito che cerca di tutelare la città e la memoria storica del passato. Nello stesso spazio occupato dai luoghi citati poco sopra e nello stesso scoraggiante panorama, si inserisce il monumentale Palazzo delle Poste, prezioso elemento architettonico del patrimonio costruito veronese. L’edificio, oggetto di un recente intervento di ristrutturazione e restauro conservativo, ha modificato la destinazione d’uso originale pubblica, relativa all’ambito postale, in quella di spazio privato per residenze di lusso. L’edificio riveste nella memoria collettiva un importante riferimento iconografico ancor prima che culturale, avendo
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« Attraverso il dialogo con la memoria del luogo Post ha permesso alla città di riappropriarsi di un importante pezzo di storia cittadina » fatto da sfondo, con il suo prospetto monumentale, a momenti più o meno noti della storia locale. Senza dover scomodare per forza episodi sanguinosi, come la battaglia delle Poste svoltasi nel ‘43, si pensi che ancora oggi, qualche veronese poco attento alle trasformazioni della città, confonde nei propri ricordi l’ufficio “Verona Viviani Inesitate” di Piazzale Guardini, con l’ormai “ex” palazzo delle Poste, che effettivamente è localizzato nei
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pressi dell’omonima piazza. Per un edificio che porta con sé un così ampio bagaglio di storia e memoria, il drastico cambio di destinazione d’uso funzionale è stato foriero di una serie di interrogativi. La domanda sottesa e comune, fin dalla vendita al soggetto privato è sempre stata la stessa: l’intervento di riqualificazione, nonostante lo svuotamento dalla funzione pubblica, avrebbe permesso di perpetrare, una volta portato a termine, il forte carico simbolico che l’edificio ha da sempre rappresentato nell’immaginario collettivo? I lavori, iniziati nel 2009 e terminati nel 2013 hanno svelato, una volta levate le impalcature, un intervento sui prospetti che ha mantenuto fede alla preesistenza. Fino ad oggi, però, per ovvie ragioni legate al fatto che
01. Nello spazio del nartece l’intervento del gruppo Low Budget Graffiti. 02. Una delle due teche speculari con le opere fotografiche di Enrico Fedrigoli nel passaggio verso il salone centrale. 03. Veduta complessiva dell’allestimento nel salone degli sportelli del palazzo delle Poste. 04. Pianta con la disposizione delle opere.
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l’edificio riveste sostanzialmente il ruolo di un condominio di lusso, pochissimi privilegiati hanno avuto l’occasione di esplorare gli interni dell’edificio per toccare con mano fino a dove si è spinto il restauro. L’opportunità per raccontare ciò che è successo “dentro”, si è concretizzata a maggio, in occasione dell’evento “Post. La città storica incontra l’Arte Contemporanea”. I cittadini, grazie alla disponibilità della proprietà del Palazzo delle Poste, la società Matis, con il sostegno di alcune aziende veronesi, hanno potuto penetrare nuovamente all’interno dell’edificio, interagendo con l’evento ideato dagli architetti Luigi Marastoni, Alberto Vignolo e da Alessandra Ruspini in qualità di responsabile dell’organizzazione. In questa
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occasione gli spazi posti al piano rialzato dell’edificio, cioè quelli che storicamente si sono interfacciati con il pubblico, sono rimasti aperti per tre giorni, ospitando un evento culturale che ha fatto da contenitore d’eccellenza per l’arte in ogni sua forma. L’installazione, snodatasi fra il vestibolo d’ingresso e l’ampio salone centrale, ha permesso di riscoprire spazi fortemente caratterizzati: le geometriche e quasi archeologiche forme della pavimentazione , l’elaborato partito decorativo delle pareti lapidee che lascia tra sportello e sportello ben poche superfici libere e infine lo stupore del grande vuoto centrale. Sotto il lucernario in vetri policromi, uno spazio che rappresenta l’antitesi al “cubo bianco”
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ideazione Luigi Marastoni, Alberto Vignolo a cura di Luigi Marastoni con Loretta Sacconelli
05. Dal retro di uno sportello, scorcio sul salone allestito con la pedana e gli effetti di luce. 06. L’immagine grafica dell’evento realizzata da Nausica Ferrarini. 07. Una folla mondana è tornata a riempire di voci il piano terra del Palazzo durante i tre giorni della manifestazione.
ODEON
post memoria e retorica della città Palazzo della Poste, Verona 13-14-15 maggio 2016
organizzazione Alessandra Ruspini (fuoriartegallery)
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a disposizione dell’intervento artistico. Post ha mostrato al pubblico le opere di Sebastiano Zanetti, le sculture di Chiara Castagna e di Matteo Cavaioni e ancora gli interventi di Lucia Amalia Maggio e di Beatrice Pasquali, i ritratti in bianco e nero di Enrico Fedrigoli, incastonati in teche lignee lungo il percorso di accesso alla sala centrale degli sportelli e le installazioni di Agile, i lavori del gruppo Low Budget graffiti e l’opera di Eugenio Filippi sospesa nel vuoto sull’asse principale del Palazzo. Ma l’arte non si è manifestata solamente attraverso sculture e installazioni bidimensionali. La Scuola Teatro nuovo di Verona ha fatto rivivere i vecchi spazi di lavoro dei funzionari postali con un raffinato gioco tra gli sportelli, coinvolgendo il pubblico presente. I musicisti del Conservatorio Dall’Abaco hanno infine sollecitato attraverso le loro note la dimensione sonora evocata dallo spazio.
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Inoltre, con un evento esclusivo l’arte non si è manifestata solamente come momento di elevazione culturale, ma anche come esaltazione del gusto. A rappresentare questo aspetto uno showcooking del campione dell’eccellenza della pasticceria e dell’arte dolciaria italiana, il Maestro Leonardo Di Carlo. Nelle giornate di apertura al pubblico di Post i cittadini hanno potuto rincontrare uno spazio della memoria e apprezzarlo nuovamente attraverso il raffinato restauro che lo ha visto protagonista. Gli artisti, a loro volta, hanno fatto in modo che tale esperienza venisse se possibile esaltata, relazionandosi con l’importante presenza di un contenitore carico di significato e significante. Attraverso il dialogo con lo spazio, i materiali e la luce ma soprattutto con la memoria dei luoghi Post ha permesso alla città di riappropriasi, anche se solamente in maniera simbolica, di un importante pezzo di storia cittadina.
supporto Marper, Matis SpA con il contributo di Cantine Tinazzi, Regina Italian Stone Design, Novacart, Arredoluce, Mobilificio Zinelli, Le Corti Giardinerie, Casati Color, 3Fe
La Città Storica incontra l’Arte Contemporanea
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MEMORIA E RETORICA DELLA CITTÀ 13•14•15 MAGGIO 2016
PALAZZO DELLA POSTE • P.zza Viviani, 7 • VERONA
ARTI DEL GUSTO ARTI VISIVE MUSICA TEATRO
Ufficio stampa e comunicazione: I Contatti Studio • Grafica: Nausica Ferrarini
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Interiors:
Un etto di quelli buoni
Una bottega di generi alimentari venduti a peso unisce un’idea di commercio d’altri tempi a un linguaggio contemporaneo degli spazi Progetto: Antonio Scotti
Testo: Francesca Castagnini Foto: Lorenzo Linthout
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Ettogrammo è un piccolo negozio di cibo sfuso di alta qualità, legumi, semi, cereali, frutta secca, vino. “Tutti piccoli produttori selezionati, nessuno spreco per le confezioni, la possibilità di acquistare la quantità desiderata” ci racconta Fabio, il titolare che con Lucia comincia a coltivare l’idea di aprire un negozio di questo tipo durante i viaggi all’estero e nelle grandi città dove è sempre più frequente trovare realtà come questa.
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Alla seduzione di un packaging studiato ad hoc per un consumatore “da supermercato”, dove ogni scatola deve gridare più forte delle altre per poter finire nel carrello, qui vediamo per contrapposizione i prodotti per quello che sono, in semplici vasi di vetro che ne esaltano la bellezza e la naturalità dei colori. Il tutto succede all’interno di una confezione speciale: il negozio stesso, che si prende il compito di dirci che questo è un luogo di idee diverse ma vecchie come il mondo, alle quali ci eravamo semplicemente disabituati. La scelta dei grandi vasi, al posto dei dispenser in plastica a muro utilizzati in molti negozi simili, è la base cui inizia il progetto, e l’immagine finale dello stesso ricorda proprio grazie a questi elementi un luogo antico tra la farmacia e la drogheria, che comunque rimanda istintivamente al pensiero della cura, come a dire “prenditi cura di te, mangia bene e non sprecare nulla”. Il progetto è del designer d’interni Antonio Scotti, che a fronte di un investimento modesto ha la fortuna di avere committenti fiduciosi nel fatto che un buon progetto possa veramente cambiare le sorti di un luogo. Lo spazio giusto viene individuato in una Piazza Isolo in rinnovamento
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ODEON
01. Sul fondo della bottega, il logoinsegna calligrafico ritagliato in una sagoma di legno. 02-03. Campo e controcampo del locale, con il pavimento in marmette di graniglia, le pareti scure e gli arredi in OSB. 04. Particolare del bancone centrale e, sullo sfondo, le scaffalature con i vasi di vetro contenenti i prodotti sfusi. 05. La vetrina su via Interrato dell’Acqua Morta, in piazza Isolo.
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da un punto di vista degli esercizi commerciali, tra nuovi baretti e affascinanti negozi di tappeti. “Imballaggi per un negozio senza imballaggi” è il leitmotiv del progetto, che cavalca la tendenza di utilizzare l’OSB, prodotto derivato dal legno e utilizzato principalmente per l’imballaggio, elevato a materia prima per gli arredi. I banconi e le mensole addossate alle pareti lunghe del vano sono realizzati con questo materiale, la cui bellezza sta nel colore caldo del legno, abbinato alla texture spettinata delle scaglie di cui si compone. Anche la distribuzione del negozio con un grande bancone centrale è interessante per il ricmando ad una vecchia drogheria. Le pareti scure, scelta di Fabio e Lucia, sono indovinate per dare risalto ai prodotti illuminati correttamente con semplici striscie led nascoste
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dal profilo dei ripiani, una soluzione che – fatte le debite proporzioni – potremmo trovare in un espositore museale e che conferisce ai grandi vasoni di vetro, ai ceci e fagioli in essi contenuti una meritata nobiltà. Il tema dell’illuminazione è completato con i lampadari in lamiera, originali degli anni ‘50, sospesi sul bancone e sulla vetrina, accentuando il carattere domestico
della bottega: “Sulle luci Antonio ha insistito moltissimo” raccontano i proprietari. Da notare infine l’insegna-logo “ettogrammo” per la quale la graphic designer Federica Vaglio ha scelto un carattere corsivo calligrafico: sulla vetrina è posta come scritta adesiva (con l’ombra dei caratteri disegnata), mentre all’interno, sulla parete di fondo, è ritagliata in legno
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e tridimensionale: un elemento “di spessore” che diventa così arredo e comunicazione. Il risultato è molto convincente e regala, nella giusta misura “al grammo”, le sensazioni di una umanità ritrovata, a partire dallo stretto rapporto con il bottegaio, utilizzando mezzi semplici e facilmente reperibili con un linguaggio contemporaneo.
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Collezione Privata
1000 disegni un bestiario: Lino Stefani
L’ opera grafica di un artista che sottende una grande cultura del fumetto e si rivolge a una dimensione onirica
Testo: Luigi Marastoni
Una scientificità latente, umanizzata, volutamente surreale, nessuna regola se non la conoscenza con la fantasia; anzi una regola si trova ed è quella di non averla. Disegni modificati dal dato scientifico, disegni suggeriti dal dato scientifico, disegni in cui la memoria ha inciso sul dato scientifico per il piacere del nuovo/diverso. Questo dato tipicamente moderno 1, figlio della cultura alternativa degli anni 60/70, determina la genesi dei disegni di Lino Stefani. Una capacità di segno che sottende una grande cultura del fumetto. Una capacità di segno che ricerca negli archetipici segni dei primitivi ragione di essere. Una capacità di segno che si rivolge alla dimensione onirica. Qui non interessa la razionalità del segno nero, del dorico, come ad esempio nel tardo ‘700 si usava alla scuola del David. Come nel Medioevo il bosco costituiva una sorta di fascino per la sua macchia fitta e profondamente buia, frequentato solo dai suoi inquilini selvaggi, demoniaci e sovrannaturali,
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capace di essere l’immaginario per raccolte di animali fantastici, così oggi il bestiario di Stefani racconta il bosco della cultura universale, la miscellanea ed eterogenea varietà della cultura determinata dal limite geografico dell’universo umano. Stefani sfrutta una conoscenza e una curiosità che lo portano ad assorbire velocemente elementi di epoche e mondi diversi. Come nel Liber monstrorum de diversis generibus, un particolare tipo di
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bestiario di origine alto-medievale contenente animali esclusivamente fantastici o creature mostruose c’è il tentativo di stupire i lettori con mirabilia per lo più provenienti da autori latini classici, così nei 1000 disegni un bestiario c’è la vorace, enciclopedica, ricerca di un singolo che ci mostra il suo background; come fosse un atto di rigetto verso Diderot e i suoi seguaci illuministi, come se “l’istruzione circolare”, che comprende tutte le discipline, fosse
solo la sua, intima, propria, personale ricerca della conoscenza. Con questa istallazione si vuole interrogare il senso della parola catalogazione in questo periodo di mezzo tra la capacità di conservare cara alle metodiche passate e la capacità data dal mondo informatico-telematico ancora da esplorare. Di Stefani così scrive Caterina Marrone, semiologa e filosofa del linguaggio: “Ho guardato gli interessantissimi disegni di Lino
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01. Pluvialis, grafite in bianco e nero su cartoncino. 02. Fish and Bee, grafite, matite colorate su cartoncino.
Collezione Privata 03. 1000disegniunbestiario, china su carta. 04. Installazione al Red Zone Art Bar di San Giorgio di Valpolicella (6 settembre-4 ottobre 2014): riproduzioni di 1000disegniunbestiario su fogli di carta.
lino stefani Frequenta il corso di illustrazione allo IED (Istituto Europeo di Design) a Milano, lavora come illustratore freelance per l’editoria, studi creativi e agenzie di pubblicità, seguendo anche la progettazione grafica e la realizzazione di allestimenti fieristici, casting, accessori per l’abbigliamento e altro. Collabora per diversi anni come responsabile immagine e comunicazione per un’industria. Attualmente si dedica principalmente al disegno in varie tecniche espressive e alla creazione di propri prodotti editoriali con illustrazioni e testi. Il suo atelier a Campo di Brenzone, caratteristico borgo medioevale nell’alto lago di Garda, è aperto al pubblico e funziona anche come piccola galleria dove ospita opere di altri artisti.
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www.linostefani.it 04
Stefani e mi sono molto divertita. Certo gli avranno già detto noiosamente che si fa associare a quel grande antecedente che è Luigi Serafini, ma questa è una banalità perché in realtà ciò che a mio avviso fa riflettere è la “comune” scelta espressiva e fantastica di una generazione come la loro, (come la
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mia). È un dizionario enciclopedico questo di Stefani, a mio vedere, che usa il simbolo e la metafora per disegnare sì un mondo fantastico, ma un mondo fantastico che non va per la sua strada mettendo uno iato tra sé e il reale ma che invece struscia, anche violentemente, contro il nostro universo abituale cercando
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da farcelo percepire in modo meno abitudinario. Devo dire che c’è anche una grande capacità verbigenerativa nel dizionario enciclopedico, perché la forgia di parole nuove basata su un lessico conosciuto/sconosciuto dà quell’effetto di figura ambigua papero-coniglio che destabilizza, diverte e apre le porte di una percezione di maggiore coscienza. Anche questi neologismi, non solo i disegni, sono una sorta di geroglifici,
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intesi in senso rinascimentale. E poi il materiale visivo su cui opera, preso dappertutto e da ogni cultura, contaminato e riarmonizzato è molto interessante. Mi fa venire in mente una sorta di medioevo globalizzato con i doccioni simbolici delle sue cattedrali, gli oggetti di vita delle città e delle non città, le tracce di pensieri passati e futuri. Se ne potrebbe parlare per ore. È molto bello”.
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1 “A una società chiusa, basata sull’obbedienza all’autorità, si contrappone una società aperta che è continuo superamento della forma
cristallizzata”. Henri Bergson, Les Deux sources de la morale et de la religion, 1932.
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05. Le fleurs de l’air, china e penna su carta, disegni preparatori. 06. Le fleur de l’air - Conopilus sfericum, china e penna su carta.
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Dal teatro al museo Con la riapertura del Museo Civico Archeologico giunge a compimento il primo fondamentale tassello del recupero del colle di Castel San Pietro
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Testo: Angelo Bertolazzi Foto: Lorenzo Linthout
Dopo tre anni di lavori il Museo Archeologico al Teatro Romano ha finalmente riaperto le porte a un gran numero di visitatori, turisti (in genere la maggioranza) e veronesi. Come «AV» ha costantemente documentato 1, il progetto rientra nel recupero dell’intero colle di San Pietro, avviato dal Comune di Verona nel 2007, che ha visto fino ad ora la risistemazione del parco sul versante ovest del colle, mentre si attende il completamento della rimessa in funzione della funicolare e del restauro della imponente ex caserma, i cui cantieri sono tuttora in corso. Il precedente allestimento del museo, risalente nella sua impostazione ancora agli anni ’30 2 , da tempo non rispondeva più ai requisiti museografici attuali, mentre le strutture esistenti, da Palazzo Fontana al Convento di San Girolamo, necessitavano di un radicale recupero conservativo 3. Il progetto tuttavia non solo ha affrontato le problematiche dal punto di vista impiantistico o funzionale, risolte peraltro molto bene, ma ha migliorato soprattutto la conservazione, la fruizione e la valorizzazione delle collezioni, del convento di San Girolamo e del luogo stesso. Il recupero del piano primo del convento ha consentito di esporre nuovi reperti, precedentemente accolti nei magazzini per mancanza di spazio. Il percorso di visita prevede ora un circuito molto più lineare, che prende avvio dal livello superiore del convento con l’introduzione alla Verona Romana e l’esposizione di reperti funerari ritrovati in città. Segue la sala dedicata agli edifici pubblici, dove sono esposti i plastici lignei dell’Arco dei Gavi e dell’Arena, oltre a un mosaico relativo ai giochi anfiteatrali, da cui si passa al Teatro Romano stesso, calandolo nel suo contesto cittadino non solo fisico, ma anche architettonico e storico. La scelta di presentare questi monumenti insieme a riproduzioni dei disegni rinascimentali consente infatti al visitatore di comprendere il loro valore quale emergenze urbane nel corso dei secoli. I numerosi reperti esposti, come quelli dell’apparato decorativo del Teatro, testimoniano la ricchezza e la sontuosità dell’edificio.
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Alle sale dedicate al teatro segue quella dedicata al santuario di Iside e Serapide, che sorgeva nella zona del complesso teaatrale, da cui ci sono pervenute alcune sculture di divinità egizie. Scesi al livello inferiore si attraversa la piccola corte che introduceva al refettorio del convento, ora coperta. Questo spazio non solo dà un tocco di contemporaneità in un luogo così ricco di storia, ma costituisce un ambiente che da continuità ai percorsi espositivi, eliminando l’alternanza chiuso-apertochiuso della precedente sistemazione. Le finestre sul lato destro sono state trasformate in vetrine, e hanno il duplice ruolo di espositori per le mostre temporanee e di diaframma che anticipa al visitatore le sale successive. All’interno del Refettorio è stata mantenuta la sezione dedicata alla scultura in marmo, i cui reperti provengono da scavi di abitazioni, strade ed argina-
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01-02. La corte coperta, snodo del percorso espositivo al livello inferiore, con le vetrine bifacciali destinate alle mostre temporanee. 03. La scala realizzata in Palazzo Fontana rende fruibili i livelli superiori per usi didattico-museali. 04. Il chiostro dell’ex convento, restaurato nelle strutture e riallestito come lapidario.
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CANTIERI
05-07. Vedute lungo il percorso del museo nelle sale riallestite sui due livelli dell’ex convento di San Girolamo. 08. Una delle cellette monastiche allestite con reperti di piccole dimensioni. 09. Il refettorio con la sezione dedicata alla scultura in marmo. 05
Margherita Bolla IL TEATRO ROMANO DI VERONA Cierre Edizioni, 2016, pp. 124 Pubblicato in concomitanza con la riapertura del Museo, il volume costituisce una preziosa ed agile guida per il visitatore, nella quale il monumento è descritto nei suoi aspetti storici, architettonici e costruttivi. Il testo è suddiviso in due parti, la prima riguarda la costruzione romana e le attività teatrali che vi si svolgevano, fino alla sua trasformazione in cimitero, mentre la seconda racconta le vicissitudini del complesso attraverso il Medioevo e il Rinascimento, fino alla sua riscoperta nel XIX secolo. In questa parte viene raccontata anche la storia degli altri monumenti presenti nel teatro, la chiesa dei Santi Siro e Libera e il convento di San Girolamo, oltre alle informazioni riguardanti il Museo Archeologico e le sue collezioni.
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ture dei lungadige. Questa sezione è preceduta da Il percorso del museo, così ampliato, conferisce quella della scultura in bronzo, dove i frammenti ora maggiore unità al racconto della città romana sono contenuti nelle vetrine realizzate in quello che e del suo Teatro. Il progetto ha saputo dare a tutti era il cortile aperto. gli ambienti una nuova immagine senza però straSeguono i reperti provenienti dalle collezioni delle volgerne la natura architettonica. Il refettorio ad famiglie nobili veronesi, come i Monga, i Giusti, gli esempio, non solo è stato dotato di nuovi impianti, Alessandri e i Verità, costituite principalmente da ma è stato trasformato nel contenitore ideale delsculture in marmo e busti di imperatori romani. Al le statue romane di grandi dimensioni. Allo stestermine di questa sezione è ospitata invece la parte so modo Palazzo Fontana, attestato sul lungadige, del museo che potrà ospitare le mostre temporanee; non solo ha mantenuto il suo ruolo di ingresso del in occasione della riapertura del Museo è stata alle- Teatro e del Museo, ma ora accoglie anche nuovi stita la mostra “L’Egitspazi per la didattica, to a Verona”, nella quale « Il risultato assolutamente positivo ospitati nei piani supesono mostrati i reperti riori precedentemente è stato raggiunto senza quegli egizi delle collezioni cinon accessibili. ‘effetti speciali’ che sempre più viche. Fulcro di quest’ultimo Nelle tre cellette mointervento è stato l’insevengono utilizzati per avvicinare nastiche, dove l’allerimento dell’ascensore e il pubblico ai musei» stimento preesistente è della nuova scala metalstato integrato nel nuolica che, come nel caso vo, sono esposte una serie di vetrine con reperti di della corte coperta, regala un tocco discreto di mopiccole dimensioni: nella prima i vetri soffiati (re- dernità anche a Palazzo Fontana. Rimane invece perti di bottiglie, bicchieri, piatti, vasi, anfore), nel- tuttora irrisolto, a fronte di una condizione archela seconda i bronzetti di epoca romana, mentre nel- ologica assai complicata, il percorso dall’ingresso la terza si trovano i bronzetti preromani. Il percorso verso l’ascensore che porta negli spazi del convenespositivo si ricollega infine a quello esistente all’a- to: un percorso che, pur rappresentando uno straperto sulla Grande Terrazza, dopo aver attraversa- ordinario exploit attraverso le gradinate del teatro, to la chiesa di San Girolamo che ospita la sezione non consente una accessibilità per tutti e con tutte dei mosaici. le condizioni atmosferiche.
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committente Comune di Verona Dirigente Area Lavori Pubblici: ing. L. Ortolani Dirigente Edilizia Monumentale: ing. S. Menon Collaboratori: geom. Viviana Tagetto, geom. Serenella Bianchi progetto scientifico Comune di Verona: dott.ssa Margherita Bolla progetto museologico Comune di Verona: dott.ssa Paola Marini, dott.ssa Margherita Bolla, arch. Alba Di Lieto progetto museografico GRISDAINESE Srl progetto strutture e sicurezza SM ingegneria Srl: ing. Claudio Modena 07
progetto impianti Termotecnici Associati Studio Giunone: p.i. Maurizio Albi, p.i. Fabio Crivellente Comune di Verona: p.i. Oscar Scattolo realizzazione lavori Restauro Architettonico: Operes Srl Allestimento: Bawer Spa direzione lavori Fase di restauro: Comune di Verona, arch. Costanzo Tovo, arch. Guido Paloschi Fase di allestimento: GRISDAINESE Srl
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Proprio il delicato rapporto tra le esigenze contemporanee e il rispetto dell’esistente ha determinato le scelte progettuali dell’allestimento negli spazi espositivi, che ha saputo mediare tra il nuovo e l’antico attraverso le scelte cromatiche uniformi, la chiarezza degli apparati grafici e un appropriato sistema illuminotecnico. Solo l’aspetto materico dei supporti, a volte un po’ troppo “neutri”, non sempre riesce a diventare lo sfondo ideale per evidenziare i reperti. Quello che stupisce di più è che il risultato assolutamente positivo è stato raggiunto senza quegli ‘effetti speciali’ che sempre più vengono utilizzati
per avvicinare il pubblico ai musei. Invece di ricostruzioni virtuali, immersioni multimediali visive e sonore, si è deciso di valorizzare i reperti originali, aiutando il visitatore a comprenderne il significato e la collocazione all’interno del Teatro Romano e della cultura cittadina, attraverso i vecchi strumenti, come una grafica efficace e il percorso stesso che diventa un racconto. Una scelta forse inattuale, quella della Direzione, ma coraggiosa che ha tuttavia il merito di riportare l’attenzione sulla materialità e la concretezza dell’eredità romana, piuttosto che sulla sua fugace immagine virtuale.
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1 Il parco è stato pubblicato sul numero 87 di «AV», mentre il pro-
getto che comprende il Teatro Romano, il Museo Archeologico, la Caserma di San Pietro e il Parco Archeologico del Castello vi-
sconteo è in «AV» 94. 2 Tra il 1931 e il 1939 Antonio Avena curò la completa liberazione
dell’area occidentale del teatro, la sistemazione della fossa scenica e l’esposizione dei reperti della collezione Monga. 3 Cfr. Il cantiere al teatro Romano, in «AV» 100, pp. 74-77.
Alfonso Bonetti a Verona
Testo: Angela Lion
Scriveva Mies Van der Rohe che “l’architettura è la volontà di un’epoca tradotta nello spazio”. Questo sintetico pensiero riassume in sé la filosofia di un modus operandi professato da uno storico architetto di Verona che ha fatto del tempo in cui si è calato, e tuttora si confronta, il suo caposaldo. Alfonso Bonetti, classe 1946, veronese di nascita, ritrova se stesso e la passione di ragazzo nell’architettura. Il suo impegno è massimo fin dalla giovane età: a partire dalla scuola media, non potendo viaggiare, acquista numerosi libri di architettura. Diplomatosi geometra, frequenta poi il biennio della facoltà di Ingegneria Civile all’Università di Padova, lavorando contemporaneamente come insegnante e collaborando allo studio dell’ingegner Apostoli. Successivamente entra a far parte dello studio di Rosario Firullo, architetto veronese del quale parla come il Maestro che gli ha infuso grande conoscenza, partecipando alla progettazione e alla realizzazione di numerosi interventi, tra cui la torre Bauli e l’hotel Leopardi. Negli stessi anni si iscrive ad Architettura a Venezia, dove si laurea nel 1984 con la professoressa Nani Valle Bellavitis, presentando un progetto di recupero e riconversione della Caserma Mastino (ora tribunale della città). Dopo la laurea apre il suo
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studio in via Marconi insieme ad un collega ingegnere, fino al 1988 quando si trasferisce in maniera indipendente nell’attuale spazio di Lungadige Panvinio, dove oggi è affiancato dal figlio Tobia. Si considera un artigiano della progettazione. “Il progetto – precisa – è come un abito sartoriale. Le case vanno plasmate per le persone che vi
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Prospetto sud-est
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01. Alfonso Bonetti al tecnigrafo e, in basso, veduta prospettica del progetto per tre case in Valdonega, Verona (2014). 02. Casa a San Massimo, Verona (1985): prospetto sud-est. 03. Casa P. a Zevio (1993): prospetto nord. 04. Casa D.V. in via Trieste, Verona (1990). 05. Complesso residenziale in località Laste, Trento (1990): prospetto est. 06-07. Casa F. ad Avesa, Verona (2013): pianta del piamo primo e prospetto, REGESTO e veduta esterna.
Prospetto nord
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risiedono”. Appassionato di paesaggio, quando affronta un progetto il primo elemento che osserva è il contesto in cui va inserito. Bonetti ritiene, infatti, che un’abitazione, come ad esempio una villa, debba far dialogare gli spazi interni con l’esterno, considerando i due elementi un tutt’uno. Questo principio lo ritroviamo in tutte le residenze monofamiliari da lui realizzate: nella casa a San Massimo del 1985, nelle residenze di Lazise e di Zevio risalenti al 1992, fino a quella di Avesa del 2013. In ognuna si percepisce la volontà di dare identità al manufatto attraverso la scelta dei materiali e l’attenta lettura del contesto. Il nuovo, non a caso, è il suo interesse progettuale più grande. Si definisce un razionalista, riponendo grande affinità verso autori come Terragni e Le Corbusier, ma anche al “postmoderno” Khan, definendosi al contempo un minimalista. “Una casa deve essere tale, non mera estetica”, sostiene con vigore. Di qualsiasi lavoro si tratti, il suo motto è 2
Casa Fiscale Loc.Avesa - VERONA Commitente: Fiscale Anno: 2013 Superficie: 300mq
erra
Pianta piano interrato 04
Pianta piano 06primo - Prospetto
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Prospetto Est
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Prospetto nord
Sezioni AA - BB
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08-10. Complesso parrocchiale del Pozzo, San Giovanni Lupatoto (1990): prospetto nord, la cupola vetrata dal basso e veduta esterna. Progetto in collaborazione con arch. Carlo Meneghelli. 11-13. Centro direzionale E33, Verona (2003-05): la corte interna di distribuzione, veduta esterna e particolare.
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affrontarlo in tutte le sue sfumature, e poi dimenticarlo per non portarsi addosso il ricordo di qualcosa che nasce con precise ragioni che non si ripeteranno. Vantando un percorso di ben 35 anni di attività, sono numerosi i lavori di rilevanza. Nel complesso residenziale a Trento in località Laste del 1990, la cultura del territorio si appropria del progetto inserendo elementi tipici della civiltà pre-montana, quali ballatoi in legno, coperture a falda e grandi aperture sul paesaggio. Intraprende così un
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14-17. Restauro del complesso di Villa Peverelli Cavalli Mascotto a Colognola ai Colli (2000-2010): il fronte su strada prima e dopo i lavori, la villa padronale e veduta del parco.
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percorso progettuale sulle tipologie da proporre in questi contesti collinari. Nello stesso anno di Laste realizza, assieme all’architetto Carlo Meneghelli, uno tra i suoi progetti più significativi dal punto di vista introspettivo. È il complesso parrocchiale di Pozzo a San Giovanni Lupatoto. Il progetto ha una lunga storia; non è una chiesa collettiva, ma è la rappresentazione di una spiritualità individuale. Lo studio dell’articolato intervento è avvenuto
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approfondendo e facendo propri i canoni delle chiese locali. L’ingresso, caratterizzato da un ampio protiro, accompagna il fedele nell’aula ottagonale dove è posto il fonte battesimale, illuminato dall’ampio fascio di luce che dall’alto si cala al suo interno. La copertura della chiesa è sostenuta da un tiburio alto sei metri: la luce richiama quella del Redentore a Venezia. Bonetti alterna lavori importanti ad altri, minori come scala ed entità. Le proporzioni – interne ed esterne – devono sempre dialogare con il contesto; pensare all’inserimento di ogni manufatto,
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nel rispetto delle norme, è volto a nuove forme espressive. La bellezza sta essenzialmente nella differenza. È alla continua ricerca dell’armonia, non solo negli spazi ampi, ma nei dettagli di tutto ciò che caratterizza un ambiente. La lettura dell’epoca in cui realizziamo – sostiene – è fondamentale, così come il rapporto con il committente: bisogna interfacciarsi per capirne le necessità ma, in parallelo, bisogna immedesimarsi nel contesto in cui si andrà ad intervenire. Nel 2005 realizza l’imponente centro direzionale presso lo svincolo autostradale di Verona Est denominato E.33: un complesso di 28.000 metri quadrati di acciaio, pietra e vetro. La struttura si presenta come un’oasi in un deserto cementificato nella zona industriale ad est della città. Colpisce
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la forma faraonica che, pur nella sua maestosa fisicità, dimostra grande raffinatezza ed eleganza nel saper equilibrare forme e materiali. Lo studio dell’illuminazione rende l’edificio ancora più suggestivo nella visione notturna, quasi a volerne rafforzare l’immaterialità . Appassionato di restauro, Bonetti ritiene che la conoscenza costruttiva dei manufatti sia una delle tappe fondamentali per un buon architetto. A partire dal 2000 prende avvio il restauro di Villa Peverelli Cavalli Mascotto a Colognola ai Colli, un intervento particolarmente articolato che lo terrà impegnato per ben undici anni. L’epoca dei fabbricati costituenti il complesso è variegata: un nucleo originale del 1100, il casale REGESTO con le barchesse risalente al ‘500, poi diventato villa padronale nel ‘700 fino alla filanda dell’800. Ed è proprio nel corpo principale che ritrova Casa Stevanella testimonianze medievali. La villa è tripartita: Zevio - VERONA una sala centrale abbracciata da due ali; nel ‘700 Commitente: Stevanella purtroppo viene tolta la scala interna per inserire Anno: 2005-2010 Superficie: un nuovo 1000mq elemento di collegamento, deturpandola irreparabilmente. I soffitti lignei sono stati
fortunatamente preservati così come i solai. Il recupero effettuato da Bonetti è di tipo filologico: ogni elemento viene preservato e messo in luce per garantire una corretta lettura stratigrafica dell’evoluzione del sistema architettonico. Deve, pertanto, ritrovare la sua giusta collocazione, garantendo così dignità e l’originale essenza dei manufatti, pur garantendone una fruizione diversa da quella iniziale, come in questo caso (una parte è adibita a foresteria, ristorante e SPA). Non è da meno il complesso Le Colombare a Marcellise, nel comune di San Martino Buon Albergo, complesso risalente a un periodo compreso tra il ‘200 e il ‘500 e ricco di ritrovamenti che presumibilmente indicava la presenza di una cappella. Anche in questo caso, la ricomposizione è di tipo conservativo, riqualificando fabbricati in forte degrado e ridonando loro una dignità architettonica. La recente ipotesi progettuale per tre case in via Zenari in Valdonega rappresenta, sul fronte del nuovo, il segno distintivo di un’architettura
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18-19. Restauro del complesso Le Colombare a Marcellise, San Martino Buon Albergo (2010): l’accesso dalla strada e veduta dal giardino. 20. Casa S a Zevio (2005-2010): veduta dalla cinta con gli accessi pedonale e carraio.
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fondamentalmente razionalista, dove pieni e vuoti Vista versione A dialogano con una natura ricca, che non si impone ma si integra nel contesto. Una linea di ricerca progettuale già affrontata nel 2005 con la villa a Zevio, in cui l’elemento purista è il filo conduttore di quel dialogo tanto determinante tra esterno e interno. Il colore bianco dalle linee nette e decise si alterna al colore scuro del metallo e alle tonalità naturali della pietra, celando al suo interno una corte su cui prospetta una grande vetrata, espressione di raffinatezza stilistica e formale. È un po’ quanto ritroviamo nel condominio alla Bassona di recente costruzione, del 2012: linee pure in cui gli aggetti volumetrici fungono da elementi funzionali, non semplici decori. Il Pianta versione A bianco, il metallo e lo zoccolo in cemento donano al manufatto un equilibrio dinamico. Se gli anni novanta sono caratterizzati dall’uso del mattone faccia a vista, del cemento e degli elementi in acciaio brunito, gli anni più recenti vedono un processo di modernizzazione ed adeguamento al fattore tempo, a cui l’architetto Bonetti è molto legato. Interessante anche la progettazione urbanistica, che non tralascia questo aspetto minimale nella riqualificazione di aree come quella Garonzi a Borgo Milano, in cui l’elemento residenziale si unisce a quello commerciale senza tralasciare l’aspetto concreto delle proporzioni e del giusto relazionarsi contestuale, alla ricerca delle modalità per rendere vivibili contesti polifuzionali. “L’architettura oggi è l’essenziale: il guardare è fatto per imparare, non per capire né tanto meno per stimolare la propria fantasia. La casa è sacra, la trasparenza determinante: l’interno è legato
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all’esterno e la luce è l’elemento preponderante. Ricordatevi che quello che fate rimarrà per sempre: la casa deve essere vista nella storia, bisogna dare testimonianza del proprio tempo”.
Vista versione A
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Vista versione B
Vista versione B
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21. Progetto per tre case 23 in Valdonega, Verona (2014): vista prospettica. 22-23. Progetto di riqualificazione area Garonzi in Borgo Milano, Verona (2012): render e planimetria generale. 24. Edificio residenziale in località Bassona, Verona (2012). Foto di Michele Mascalzoni.
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{DiverseArchitetture}
C’è gusto nel progetto
Una piattaforma per far conoscere, raccontare conoscere e valorizzare il cibo del territorio veronese, il contesto e le persone che ne coltivano la tradizione
Testo: Luisella Zeri
Foto: Marco Campolongo
Nome VeRONAGUSTO Luogo web Attività Piattaforma on-line di diffusione gastronomica Contatto www. VERONAGUSTO.it
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L’incontro con Marco avviene un sabato
al tavolo di un locale di Piazza Isolo. Ed è un po’ un caso, ma anche una coincidenza
profetica, ritrovarci con lui in una mattina
italiani e, in particolare, quelli veronesi: il desiderio è quello di far conoscere il territorio in modo sorprendente ”.
Il progetto mette in atto, infatti, un
assolata di luglio, in una parte di città
processo finalizzato a raccontare Verona
trasformazione. Piazza Isolo in questi anni
dell’eccellenza, con la consapevolezza che
costantemente in bilico fra tradizione e è oggetto di una rivoluzione economica e architettonica che vede affiancarsi alle
botteghe storiche radicate nel suo tessuto, negozi e locali antichi presi in mano da
giovani volenterosi e intelligenti. Le nuove attività che popolano la piazza e le vie
circostanti sono il ritratto di un mercato
che vive un cambiamento epocale dal punto di vista sociologico, ambientale ed economico. Questi esercizi offrono ai loro clienti
merceologie particolari e ricercate, attente all’ambiente, alle realtà locale e alla
tradizione a cui esse fanno riferimento. Dalla stessa attenzione ad un mercato
attraverso il cibo, in una continua ricerca tali valori sono quelli che permettono di diffondere e risvegliare le qualità del nostro territorio troppo spesso
sottovalutate. Veronagusto è sostanzialmente un contenitore che si propone come
amplificatore di relazioni fra produttori, consumatori, negozianti, ristoratori e
più in generale tutti coloro che lavorano nell’ambito del cibo, affinché possano,
attraverso la loro professionalità e i loro
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interessi, farsi promotori delle eccellenze gastronomiche del nostro territorio.
Concretamente il progetto si esplica come
in cambiamento, come risposta ad una
domanda sempre più interessata a ciò che si consuma e alla sua tracciabilità, è nato il progetto Veronagusto, una piattaforma tesa a valorizzare, raccontare e far conoscere la qualità dei prodotti e del territorio veronese.
Marco Campolongo ha trentaquattro anni
ed è architetto, ha creato questo progetto insieme a Francesco Dellino, agente di
commercio, Giorgio Bittante commercialista e Andrea Melotti programmatore libero
professionista, dando vita a un marchio
sotto il quale si declinano diversi tipi di attività. Esplicativo è l’incipit con cui il progetto si presenta: “Crediamo che il cibo sia in grado di raccontare
storie straordinarie rivelatrici di un popolo e dei suoi gusti peculiari, di una società e il suo contesto, di una
storia che infine è un’identità comune.
Il progetto di Veronagusto è nato con lo
scopo di salvaguardare le tradizioni che
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01-02. La confezione in cartone e l’interno di un kit con i prodotti selezionati dal portale. 03-04. Il team di Veronagusto in azione per riprese sul campo. 05. Semina del Broccoletto di Custoza con Filippo Bresaola Presidente dell’Associazione Broccoletto di Custoza (Presidio Slow Food).
ancora oggi sopravvivono grazie ai nostri artigiani locali. L’intenzione è quella
di rivalorizzare la qualità dei prodotti
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{DiverseArchitetture} una ramificazione di canali integrati e
complementari fra loro. Vi è innanzitutto il sito internet, una sorta di database dove vengono raccolte le esperienze di
imprenditori veronesi che lavorano nel
campo gastronomico, ricercando eccellenza e qualità nella produzione artigianale di alimenti tipici. Attraverso questo
canale ciascuno può raccontare le proprie peculiarità, i propri prodotti e i propri
sogni, evidenziando le caratteristiche che
rendono le specialità realizzate uniche nel loro genere.
Al sito internet si affiancano i kit
degustazione, elementi di punta del progetto. Essi non sono altro che valigette in cartone tematiche, al cui interno sono custodite e combinate fra loro, le prelibatezze realizzate dalle aziende aderenti al progetto. Ogni contenitore
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rappresenta una particolare
ricetta o esperienza: si spazia dal kit “Amorone”, dedicato al
risotto con l’Amarone e contenente tutti i prodotti previsti dalla preparazione, fino al kit prima colazione, riempito con succo di mela, marmellate e fette
biscottate. Ma vi sono anche i kit
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aperitivo, quello composto da soli presidi Slow Food e ancora quello per la preparazione di un piatto
di tagliatelle di prima qualità. Le valigette sono corredate da dettagliate istruzioni e qrcode, che se inquadrati con
lo smartphone, permettono di
approfondire la storia e la filiera
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06. Apicultura Zaghi: durante la smielatura. 07-08. La Pecora Brogna e la Gallina Grisa della Lessinia, due razze autoctone veronesi. 09. Raccolta delle pesche presso l’Azienda Agricola Fontana Bio di Pescantina. 10. Piccola lezione di botanica con Bibiana Fasoli, produttrice di Pero Misso della Lessina (Presidio Slow Food).
di ciascun prodotto, di seguire le video ricette collegate e, se particolarmente
soddisfatti, di riacquistare i prodotti.
Accanto ai kit degustazione, infatti, è nato come naturale prosecuzione l’e-commerce
Gricolo. Uno spazio virtuale attraverso il
quale possono essere acquistati i kit stessi, ma soprattutto, i singoli alimenti che li compongono.
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Questa stratificazione di
elementi, fortemente integrati sotto un unico marchio,
riconducono in qualche modo
ai processi che caratterizzano l’architettura e infatti,
l’esperienza di Marco nella
professione è particolarmente percepibile dall’attenzione al dettaglio che sottende tutto
ciò che riguarda Veronagusto,
presentandolo come un progetto di buona architettura traslato in ambito gastronomico. è
architettura il forte legame con il territorio in una
ricerca continua di tradizioni e radici, ma anche più
semplicemente nei nomi dei kit
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e nelle illustrazioni che li
accompagnano. è architettura l’accurata
ricerca grafica e di messa a punto: i kit sono
studiati partendo da una base comune, quella della valigetta in cartone, personalizzata poi attraverso grandi timbri in gomma che definiscono con una specifica grafica il
filo conduttore di ciò che è contenuto al loro interno. E ancora, tutti i depliant
illustrativi che corredano le confezioni sono studiati come delle vere e proprie info-grafiche, che da sole esplicano le
ricette e le preparazioni. Veronagusto infine è architettura perché, proprio come nella
costruzione e progettazione dei luoghi per la
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vita e il lavoro, la piattaforma non è altro che uno spazio, seppur virtuale, dove far
“accadere” relazioni, contatti e scambi, dove raccontare la storia delle persone attraverso la loro esperienza, dove creare un ponte
culturale tra arte, storia e cibo. In questo senso Veronagusto potrebbe essere davvero
un modello da riproporre a scala nazionale, per la scoperta di un nuovo turismo, per
creare fitte reti di relazioni, ma soprattutto per una nuova e sorprendente comunicazione gastronomica a cavallo tra tradizione e modernità.
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11. Il formaggio Monte di Malga di Dario Gugole, prodotto a San Giovanni Ilarione. 12. Pasta in lavorazione al Pastificio Passilongo di Bovolone. 13. L’accompagnamento ideale per la marmellata di pesche bio. 14. Una degustazione nel corso di un evento organizzato presso il ristorante 12 Apostoli a Verona.
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Stalle con arco in Lessinia
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Sant’Anna d’Alfaedo Erbezzo Bosco Chiesanuova Roverè Veronese Velo Veronese San Mauro di Saline
Frutto di una sapiente cultura costruttiva montanara, gli archi strutturali delle stalla-fienile della Lessinia costituiscono un aspetto assai poco conosciuto ma di grande originalità dell’architettura vernacolare alpina. Nel saggio introduttivo pubblicato alle pagine precedenti (pp. 52-59) si è cercato di delineare i tratti principali di tale vicenda, sfiorandone gli aspetti funzionali e tecnici pur senza entrare nel contesto socioeconomico che li ha prodotti. Dalla ricognizione, non esaustiva, sul territorio si definisce una caratterizzazione topografica delle tipologie ad arco strutturale, estesa intorno a quota 1000-1300 m per una fascia di territorio che va dal Vajo dei Falconi, che separa i comuni di Sant’Anna d’Alfaedo e Erbezzo, all’alta valle di Illasi in comune di Velo Veronese, configurando un percorso trasversale della Lessinia centroorientale, che corrisponde per buona parte all’arteria stradale trans-lessinica. Su questo tracciato si riscontra una prevalenza delle tipologie suddette nei comuni di Roverè e Velo Veronese, ossia nella parte orientale dell’area di interesse. In una seconda fascia a quota più alta, tra i 1400 e i 1600 metri, si colloca la variante tipologica degli stalloni di malga con arco strutturale, lungo un percorso di elevata qualità paesaggistica che riserva sorprendenti soluzioni tecnico-costruttive. Testo: Vincenzo Pavan Foto: Archivio Pavan
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Recenti interventi di recupero edilizio nella contrada hanno alterato lo “stallone”, trasformandolo per metà in abitazione estiva.
1 Stalla-fienile di contrada Selvavecchia Sant’Anna d’Alfaedo Inserito nella schiera della contrada omonima lo “stallone” presenta uno dei rari casi di arco strutturale a sesto acuto fino ad ora classificati della area lessinica occidentale. Analogo a quelli delle limitrofe aree orientali lo stallone è probabilmente a questi coevo, si distingue però per la parte a terra adibita a stalla. Si tratta infatti di due stalle gemelle che usufruiscono dello stesso fienile, coperte entrambe con volta a botte, secondo una soluzione tipica delle stalle di contrada della Lessinia occidentale.
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2 STALLA-FIENILE DI contrada MAINI Erbezzo
Stalla-fienile di malga campedel Erbezzo
Piccola contrada, oggi abbandonata, Maini è caratterizzata dalla grande stalla - fienile, parzialmente crollata, con arco a tutto sesto, costruita probabilmente nel tardo Ottocento. Il solaio ligneo della stalla è retto da una trave “maestra” appoggiata su due colonne che dividono lo spazio delle due poste.
Di difficile ricostruzione per le modifiche intervenute tra XVIII e XIX secolo, il complesso di Campedel è oggi classificato come malga. Differisce tuttavia da questo tipo di insediamenti perché in passato era abitato permanentemente, come testimonia la presenza di una grande stalla dotata di ampio fienile oltre che di qualche annesso abitativo. Una data, 1757, all’ingresso della stalla, ne documenta la parte originaria, ma assai probabilmente la forma attuale è frutto di ampliamenti ottocenteschi. La struttura interna a triplice arco a sesto lievemente acuto richiama la stalla di Roste, anche se in questo caso la struttura si
ripete raddoppiata, creando uno spazio interno a tre navate, percepibile solo al livello del fienile. L’unicità dell’edificio lo rende assai interessante e richiederebbe approfondimenti di ricerca sia sul campo che in archivio.
4 Stalla-fienile di contrada brutti Bosco Chiesanuova Separato dagli altri edifici della schiera, lo “stallone” di contrada Brutti è orientato assialmente nel senso della pendenza del terreno per ottenere l’accesso del fienile dalla quota dell’aia, dove è possibile leggere incisa su pietra la data di costruzione, 1835. La linea rompitratta della stalla e la corda dell’arco hanno assialità incrociate. Nella stalla tre pilastri sono allineati in senso longitudinale e l’arco è disposto trasversalmente. Questa costruzione però sembrerebbe staticamente non riuscita perché, per evitare il cedimento e un possibile crollo dell’arco, è stato necessario sostenerlo con un pilastro che partendo dalla stalla giunge fin quasi alla chiave di volta sostenuta da una trave “a cristo”. La ragione di questo fallimento va probabilmente ricercata nella forma dell’arco troppo vicina al “tutto sesto”, con conseguente spinta sui contrafforti maggiore del previsto, o forse in un cedimento del terreno.
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5 Stalla-fienile di contrada falz Roverè Veronese
Stalla-fienile di contrada la ba Velo Veronese
Inserito nella schiera di stalle e abitazioni della piccola contrada di alta quota di Falz, lo “stallone” è datato 1850. Oltre che per la dimensione, si caratterizza per la qualità costruttiva e per la conformazione strutturale. Al livello della stalla lo spazio è ripartito dall’allineamento di tre colonne di pietra modellate con leggera entasi, le quali anziché reggere un’unica trave rompitratta portano tre distinte travi in senso ortogonale che si appoggiano su delle mensole alle pareti laterali. Sullo stesso asse delle colonne si sviluppa al piano superiore il grande arco strutturale ogivale impostato con un’apertura insolitamente acuta per questo tipo di edifici. La sequenza dei conci in Rosso Ammonitico è molto accurata e rivela una particolare perizia costruttiva ed esecutiva delle maestranze che hanno realizzato l’edificio.
Lo “stallone”, di base m. 12.30 x 9.30, è incorporato negli edifici della piccola contrada La Ba, poco lontana da Camposilvano di Velo. La data dipinta sulla parete settentrionale, 1814, la attesta come una delle più antiche della Lessinia dotata di arco strutturale. Il solaio che divide la stalla dal fienile, “teda”, è retto da una antica trave rompitratta posta sull’asse longitudinale e sostenuta da tre “colonne” in pietra che ripartiscono le due poste. Il capiente fienile è chiuso da un tetto a due falde coperto di laste di calcare Rosso Ammonitico. La fitta sequenza lignea delle travi che lo reggono è sostenuta da un grande arco a sesto acuto disposto sulla mezzeria della scatola muraria, con conci di pietra apparecchiati a mattoni. L’edificio è stato restaurato in modo eccellente negli
6 Stalla-fienile di contrada roste Roverè Veronese Inserito in una delle contrade più alte della Lessinia (1302 m.), con una datazione del XVI secolo su uno degli edifici abitativi, lo “stallone” di Roste ripropone la tipologia analoga a quella di Corte Grossuli di S. Francesco, ossia la struttura ad arco disposta sul lato lungo dell’edificio, una soluzione che da luogo ad una grande estensione del tetto interamente coperto di laste. La sua datazione, in base alle cartografie catastali, andrebbe collocata nella seconda metà dell’Ottocento. Diversamente però da Corte Grossuli, la parete mediana di 15 metri della stalla è stata svuotata con un triplice arco di cui quello centrale è più grande dei due laterali. Tutti gli archi, a sesto acuto, sono molto aperti e si avvicinano al “tutto sesto”. A rendere più monumentale l’interno della stalla sono i grandi e tozzi pilastri a base circolare che reggevano, oltre all’arco, anche il solaio ligneo del fienile, oggi completamente scomparso.
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anni ’70 del Novecento, quando la contrada fu oggetto di un intervento di recupero da parte dell’editore Giorgio Zusi, con l’ausilio di maestranze del luogo che utilizzarono tecniche costruttive tradizionali.
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8 stalla-fienile corte grossuli San Francesco di Roverè Veronese Facilmente confondibile con una moderna abitazione, a causa degli interventi subiti nel corso del ‘900, l’edificio, datato 1830, rappresenta in realtà uno dei casi più “estremi” di costruzione ad arco della Lessinia. Posto al margine della contrada l’ex “stallone” chiude a meridione l’antica Corte Grossuli. La sua pianta di m 18x11 farebbe pensare ad una disposizione dell’arco strutturale interno in senso ortogonale al lato lungo. Invece stranamente è stato costruito parallelo a questo con una luce di ben 16 metri, costituendo l’arco più grande della Lessinia. La sua forma a sesto acuto risulta molto ribassata e richiede una ricostruzione intuitiva. Infatti la vista di
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questo grandioso manufatto ci è impedita dalle modificazioni interne, essendo stato l’edificio trasformato in tre unità abitative. Ciò nonostante l’arco è ancora settorialmente rintracciabile all’interno degli appartamenti. Anche la facciata orientale è assai alterata ma lascia percepire i sei “barcaroi” di sfiato dell’originario fienile.
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Stalla-fienile di contrada comerlati Velo Veronese
Stalla-fienile di val sguerza Velo Veronese Nata come aggregazione in schiera di tre stalle-fienile di piccole dimensioni, Val Sguerza è diventata contrada nel ‘900 in seguito all’accorpamento di un complesso abitativo privo di caratteristiche locali. La struttura ad arco a sesto acuto consente in questo caso di riunire in un unico spazio due fienili aperti sul lato a valle e coperti con manto vegetale, testimoniando il prevalente scopo di svuotamento della parete di spina degli edifici aggregati e la funzione sostitutiva della capriata lignea.
L’edificio, accorpato a una schiera di rustici della contrada Comerlati, è datato 1852. In questo caso l’arco a sesto acuto, di raffinata fattura, non sostiene le strutture di un tetto interamente di lastre ma regge le falde a doppia pendenza prevalentemente coperte in paglia. I molti rimaneggiamenti hanno alterato la struttura interna originaria e rendono un po’difficile la comprensione dell’edificio. In particolare la facciata rivolta a valle è
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caratterizzata da due grandi archi a portico, in seguito parzialmente tamponati per ricavare i due livelli di stalla e fienile.
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Stalla-fienile di contrada foi Azzarino, Velo Veronese
Stalla-fienile di contrada bebisti San Mauro di Saline
Inserita in una schiera mista di abitazioni e rustici la “teda” di Foi, datata 1861, ha un arco con luce di quasi 15 metri. La recente suddivisione interna sia della stalla sia del fienile ne ha parzialmente compromesso la visione unitaria. In particolare i cinque pilastri che reggevano la trave rompitratta della stalla sono oggi incorporati nel muro che divide lo spazio in due proprietà. Ma l’aspetto interessante è che quest’opera tecnicamente e dimensionalmente considerevole, non era destinata a reggere il pesante tetto di lastre, ma a creare un unico grande spazio per il fienile, come ci indica la doppia pendenza della copertura in cui è ampiamente prevalente il manto vegetale, oggi coperto di lamiera metallica.
Accorpato nella schiera della piccola contrada di Bebisti, lo “stallone” è stato ristrutturato al piano terreno, trasformandone la grande stalla in deposito, con sostituzione dell’originale solaio ligneo con latero-cemento. Perfettamente conservato è il tetto del fienile con grande arco a sesto acuto particolarmente aperto. Analogamente a quella di Comerlati questa stalla ha il tetto a doppia pendenza con la parte cuspidale coperta di paglia, ancora conservata sotto il rivestimento di lamiera. L’edificio sembra ottenuto dal rimaneggiamento di un preesistente rustico porticato con due archi, successivamente tamponati.
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13 13 Stallone di malga roccopiano Erbezzo Edificio particolarmente enigmatico, la cui originaria funzione è di difficile classificazione per le evidenti modificazioni costruttive. È probabile comunque che la sua odierna funzione di “stallone” di malga fosse anche quella originale, nonostante sembri sia stato anche adattato a baito e forse a casara. Particolarmente interessante la sequenza dei quattro archi ogivali realizzati con conci lunghi di pietra tagliati a settore di arco, caratteristici delle casare di malga sei-settecenteschi. La sua costruzione sembrerebbe collocabile, dalle cartografie storiche, alla metà dell’Ottocento.
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Stallone di malga camporetratto Erbezzo
Stallone di malga lessinia Erbezzo
Probabilmente uno dei primi “stalloni” di malga della Lessinia databile, secondo la cartografia, agli anni ’30 o ’40 dell’Ottocento. La sua caratteristica, come quella degli altri edifici di questo tipo costruiti sull’altipiano settentrionale, è di essere una stalla occasionale per riparare il bestiame in periodo di alpeggio, durante episodi eccezionali di maltempo. Essendo gli animali tenuti al pascolo anche di notte, la stalla non necessitava di fienile e pertanto lo spazio interno si presenta ad un solo livello aperto fino al soffitto. Lo “stallone” di Camporetratto rappresenta un esempio di grande qualità costruttiva e architettonica, concepito come sistema di coppie di archi a sesto acuto forniti di contrafforti esterni poggianti sui muri e forniti di base e capitello. La loro
Costruita verso la fine degli anni ’40 del Novecento, insieme allo Stallone di Scortigara di Cima, di cui ripete l’impianto e lo schema costruttivo, la grande stalla di malga Lessinia rappresenta un adeguamento ai modelli proposti dai manuali di edilizia rurale dell’epoca, ossia una costruzione a doppia navata con due poste ciascuna, capaci quindi di ospitare per la mungitura un numero doppio di animali rispetto alle stalle tradizionali. Sorprendente, rispetto ai modelli con capriate in ferro e in calcestruzzo armato offerte dal mercato dell’epoca, è l’uso del duplice arco in pietra, in questo caso a tutto sesto con centro leggermente più basso del livello del pavimento. Un’opera di particolare perizia tecnica e progettuale, motivata in quegli anni
sequenza di sei coppie disposte lungo l’asse longitudinale dell’edificio trasforma l’interno a doppia navata in un suggestivo spazio basilicale.
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Stallone di malga cornesel Bosco Chiesanuova
Stallone di malga Scortigara di Cima Ala di Trento
Composto da un unico grande vano longitudinale coperto a lastre, rappresenta una tipologia diffusa nelle malghe lessiniche nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento. Tuttavia, rispetto alla maggioranza dei casi, in cui sono state adottate grandi capriate lignee, quello di Cornesel è scandito da una sequenza di 5 archi a sesto leggermente acuto. Probabilmente, proprio a causa di un imperfetto tracciamento delle curve che li compongono, gli archi hanno rivelato segni di instabilità e sono stati rinforzati da una fasciatura in calcestruzzo armato.
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probabilmente da una convenienza di costi delle tecnologie e dei materiali tradizionali rispetto a quelli moderni.
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Costruito poco lontano da quello di malga Lessinia, lo Stallone di Malga Scortigara di Cima, come è topograficamente denominato, è stato costruito nel 1950. Anch’esso a doppia navata è coperto da un grande tetto a lastre retto da una sequenza di 5 archi a tutto sesto con una lavorazione a ‘bugnato’ che denota una ricerca di voluta rusticità. Anche in questa costruzione il centro degli archi si trova sotto la quota del pavimento; ciò determina un suggestiva percezione di un ambiente sotterraneo formato da archi ribassati come sostruzioni di una costruzione soprastante.
Tempo libero nel fienile
LA BACHECA DI AV
LA BACHECA DI AV
Arredi su misura e finiture interne materiche restituiscono naturalezza e luce agli spazi ritrovati
Un grande spazio per il tempo libero è stato ricavato dal recupero di un fienile a fianco di una villa in Valpantena. Grandi armadiature a parete a tutta altezza (4,5 m) sono impiallacciate in Rovere europeo con finitura spazzolata e trattamento protettivo effetto grezzo. Le armadiature si integrano con la boiserie in cui si celano due porte a scomparsa. Tutto l’arredo è stato realizzato con il disegno della venatura “a macchia aperta”. I due tavoli (2x2 m e 2x1 m) hanno il basamento in Palissandro India e i piani in Ziricote. Il progetto dell’architetto Leonardo Borchia di Padova ha trovato concretezza grazie al rapporto diretto con la falegnameria, giunta alla quarta generazione dopo più di cent’anni di esperienza nel settore dell’arredamento.
mobilificio zinelli via sottocastello 60 37142 poiano di valpantena (verona) tel-fax 045 551133 www.mobilificiozinelli.it info@mobilificiozinelli.it
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Il pregio di vivere tra storia e tecnologia: Antonianum Residenze, Padova
Il Collegio Antonianum di Padova, con una superficie di circa 11.500 mq e un giardino storico di circa 3000 mq, è un complesso edilizio di grande pregio costituito da un corpo monumentale in stile Liberty edificato nel primo decennio del Novecento e tre ulteriori corpi laterali più recenti, di cui uno opera degli architetti Miozzo e Mansutti. L’attento intervento di ristrutturazione ha avuto come obiettivo principale quello di creare spazi unici dotati di finiture di pregio e servizi esclusivi, nel rispetto dell’originale stile architettonico. Il progetto ha previsto il frazionamento degli edifici in 51 unità di cui 46 eleganti appartamenti e 5 uffici di rappresentanza. La realizzazione di una palestra/area wellness e di un’autorimessa con 68 posti auto coperti hanno completato l’intervento. Le residenze possono contare, oltre che sull’uso riservato del giardino monumentale, anche su una serie di servizi quali: concierge, valet parking, palestra e area wellness per una gestione completa dell’accoglienza e dell’abitare. L’idea originale per lo spazio di parcheggio era di includere un sistema di parcheggio completamente automatico all’interno della
grande area del garage che permetteva di ricavare un totale di 53 posti auto indipendenti. Questo primo progetto fu poi scartato per diversi motivi: un singolo accesso avrebbe reso l’impianto troppo lento in quanto utilizzabile solo da un utente alla volta; inoltre l’ascensore usato per trasportare le vetture al livello superiore richiedeva una fossa, ma scavare sotto il livello della strada non era possibile per la presenza di reperti archeologici. IdealPark ha quindi proposto un nuovo layout che comprendeva un totale di 6 sistemi Combilift, divisi in tre blocchi distinti e indipendenti, ciascuno con due file di parcheggio su due livelli, Questo progetto è stato accettato, realizzato e sono stati ottenuti in totale 54 posti auto nei 440 mq del garage. L’accesso al garage avviene attraverso 15 porte scorrevoli laterali, che sono indipendenti in gruppi di cinque, garantendo agli utenti un accesso più rapido al sistema (i tre sistemi possono essere utilizzati contemporaneamente, se necessario). A causa della leggera pendenza della strada dove i sistemi sono installati le porte hanno
un’altezza differente, in modo che siano tutte allineate. Il cliente ha rivestito la facciata esterna delle porte con pannelli di alluminio leggeri per integrarli il più possibile con l’estetica dell’edificio. Ogni piattaforma può essere chiamata tramite telecomando. Le porte possono essere chiuse dall’utente con un telecomando a raggi infrarossi nel momento in cui esce dal sistema.
L’Antonianum fu progettato e costruito dall’architetto Gino Peressutti, appena ventunenne, tra il 1905 e il 1907 per i Padri Gesuiti. L’edifico doveva ospitare la sede dell’Ordine e il relativo collegio per studenti universitari. Peressutti convinse i committenti ad adottare il nuovo stile floreale in luogo della precedente idea progettuale, redatta in stile neoclassico.
idealpark srl via e. fermi 9 37026 Settimo di pescantina (VR) Tel +39 045 6750125 Fax +39 045 6750263 www.idealpark.it
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LA BACHECA DI AV
All’interno del recupero di un edificio storico, l’utilizzo del sistema Combilift di IdealPark ha consentito la realizzazione di un’ampia autorimessa
New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever-Sever Maison al servizio dei progettisti Apre entro l’anno il nuovo spazio interattivo multimediale messo a punto da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto
LA BACHECA DI AV
01
La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER e SEVER Maison, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini , progetti e clip multimediali. L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in super HD a 4K su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani.
All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break.
SEVER potrà mettere a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. Sever Maison è partner dei più importanti marchi di arredamento e complementi d’arredo nazionali ed internazionali.
02
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2016 #03
H. 269
pannello laccato colore grigio , colore a campione portali in profili metallici sezione 6x6 cm rimozione porta e chiusura in cartongesso
monitor 40'' inserito in pannello porta scorrevole rivestito in specchio box acustico pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata scuretto perimetrale
pannello laccato colore grigio , colore a campione per mascherare tubazioni - apribile
I
rimozione ventil-convettore e impianti volume con rivestimento interno in legno e nelle parti a vista esterne in lamiera
pannelli laterali con fresate tipo topakustik Fantoni pannello centrale rivestito in specchio largo 120 cm
parte rivestimento (lungh 260 cm) in legno con fresate tipo topakustik Fantoni
D
sezione C-C
monitor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm (telaio perimetrale arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)
H. 281
H. 230 zona cataloghi
F
nuova parete in cartongesso veletta in cartongesso prosecuzione parete in cartongesso arredo con pannello scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato all'interno sistemi per domotica controllo apparecchiature rete di zona controllo, amplificatori interno armadio colore grigio scuro
proiezione ingombro cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate
*
1.65 1.22
lamiera risvoltata in battuta al pannello laccato
C
zona cataloghi
E
pannello scorrevole lunghezza 220 cm
binario esterno per scorrimento pannello di chiusura ingresso box acustico binario posto su tutta la lunghezza parete
bancone cucina predisposizione corrente cappa e piano cottura e prese
102.5 220
po
controsoffitto colore bianco con tagli 10 cm con tagli verniciati 10x10 cm verniciati neri per inserimento faretti led dimmerabili
D
1.65 1.22
ripiano con frontale laccato RAL 7043 posta alla stessa altezza a terra del piano cucina
1.03
*
G
box acustico Citterio rimuovere controsoffittatura in pannelli fonoassorbenti in tessuto blu e inserimento di nuovo controsoffitto in barrisol serigrafato con luci led sovrapposte (cfr. dettaglio M - tav. 04) pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata con strip led per illuminazione grafica
H. 281
H. 281 102.5 220
1.65 1.22
corpi luce dimmerabili accensione/spegnimento personalizzato - domotica tamponamento sopra box acustico
pannello laccato colore grigio , colore a campione lamiera risvoltata in battuta al panello laccato H. 230
*
pannello scorrevole lunghezza 220 cm
1.65 1.22
lampada a sospensione mod. Otylight Pop Brooklyn ARC-CUP 120+120 cm tavolo MDFItalia modello Tense, dimensione 280x120 cm
C
pavimento in legno
RIPOSTIGLIO
N
prese corrente incassate nel risvolto in lamiera placca e frutti nere o grigio scuro di colore analogo alla lamiera
H
parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte e rinforzi per sostegno libreria perfettamente rasata senza giunzioni finitura colore grigio scuro
0.90 2.10
nuova parete in cartongesso con inserimento isolamento tra la struttura interna
pannello laccato colore a campione con fessura per ottiche kinect tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 220 cm rilevatore ottico di presenza appoggiato su mensola e nascosto da pannello laccato colore a campione, dotato di fessura per lasciare a vista l'ottica mensola 480x50/30 cm sp. 5 cm laccata del colore della cucina posta alla stessa altezza a terra del piano cucina h. 85 cm
pannelli fonoassorbenti in tessuto grigio perla porta a filo rivestimento per accesso zo con specchio di finitura e inserimento video fianco arredo rivestito in vetro retro-laccato
monitor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm (telaio perimetrale di sostegmo arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)
armadio mod. su misura a tre ante scorrevoli di cui la centrale rivestita in specchio ante laterali con fresate tipo top topakustik Fantoni interno armadio colore grigio scuro
cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate pannello laccato colore a campione
D
barrisol posto a soffitto nel box acustico
prese dati e corrente a terra - torretta a scomparsa con coperchio rivestito in legno come pavimento
pannello a parete sotto la mensola laccato colore a campione
sezione D-D
videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con rivestimento superiore in legno diffusore acustico messo in orizzontale
libreria MDF Italia, modello Minima 3.0
H. 270
F
controsoffitto con tagli per inserimento faretti led
E
tamponamento sopra parte del box acustico divisione rispetto zona consultazione cataloghi
prese corrente mascherate da pannellino in legno apribile, inserito nel rivestimento in legno
1.03
arredo con pannello scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato all'interno sistemi dispenser presa corrente
videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con lastra in vetro colorato opalino soprastante staccato di 2 cm
struttura per reggere pavimento in legno
tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio H. 268
nuova porta U.S. - tipo rasomuro inserita in parete esistente
* sezione E-E
pavimento in smalto colore grigio scuro 1.03
L
po
D
lampada Ø130 cm - luce up/down - a luce diretta bianca 3000K luce indiretta - RGB dimmerabile
E
*
h. 40 cm risvolto alla sommità volume zona cataloghi
pannelli laterali con tipo topakustik Fantoni e pannello centrale rivestito in specchio largo 120 cm
tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio
diffusore acustico n.b.: valutare posizionemento sopra tessuto barrisol
cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate
luci led poste sopra copertura
pannello laccato colore grigio , colore a campione
H. 269 CPU
nuova parete in cartongesso realizzata a filo trave presente a soffitto con inserimento isolamento tra la struttura interna nuova porta rasomuro
03
06
luci led poste sopra copertura volumi
01, 03, 05. Vedute dello showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 02. Pianta dello showroom. 04, 06. Sezioni e particolari del progetto esecutivo * dell’allestimento.
stripled
U.S.
1.28 2.15
tamponamento arretrato
cielino libreria posto 10 cm più in alto rispetto risvolto lamiera di chiusura box espositivo
A
A
**
parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni per proiezione
libreria Minima 3.0 colore bianco
pannelli con fresate tipo topakustik Fantoni e pannello centrale con specchio
armadio su misura a tre ante scorrevoli di cui la centrale rivestita in specchio larga 120 cm e pannelli laterali con fresate tipo topakustik Fantoni
A
B
PIANTA
*
è da prevedere la verniciatura del lato interno dei serramenti del colore dato alle pareti, e l'oscuramento del vetro dei serramenti con applicazione di pellicola adesiva opale
basamento libreria piano inclinato in lamiera retto da strutture retropostre basamento apribile per accesso cablaggi casse acustiche poste in orizzontale passaggio cavi
mobile per contenimento dispenser con anta scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato
B
sul retro: passaggio cavi casse acustiche poste in orizzontale
B
* sezione B-B
**
video-proiettore
pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata
il cielino di chiusura posto sopra la libreria dovrà proseguire ai lati, fino ad incontrare il muro perimetrale e la nuova parete in cantongesso
luci led poste sopra copertura
portali in profili metallici sezione 6x6 cm
stripled pannello laccato colore grigio, colore a campione
binario esterno posto su tutta la lunghezza della parete verniciato colore a campione
A
schermo appeso 65''
04
piano inclinato in lamiera passaggio cavi
piatto verniciato colore a campione di chiusura dello spessore a vista dei pannelli di rivestimento pareti box acustico
* *
video-proiettore
sezione F-F
sezione A-A
* * *
cielino libreria posto 10 cm più in alto rispetto risvolto lamiera di chiusura box espositivo con incassato luce lineare led
SEVER ACADEMY NUOVA AREA POLIFUNZIONALE, VIALE DEL COMMERCIO 10, 37135 - VR - SEVER@SEVER.IT - WWW.SEVER.IT RINGRAZIAMO L’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI PAESAGGISTI CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI VERONA
volume con rivestimento interno in legno con inserte parti con fresate tipo topakustik Fantoni ingresso schowroom passaggio dal box acustico
A
evento inaugurale
parete per proiezione
Il nuovo showroom multimediale Sever verrà inaugurato con un * evento di presentazione aperto a progettisti, clienti e a quanti interessati a verificare dal vivo le potenzialità tecnologiche della struttura. Per informazioni e per registrarsi all’evento, collegarsi all’indirizzo sotto indicato. B
schermo appeso 65'' libreria Minimal profondità 5 cm schineale 35 cm mensola struttura di sostegno retroposta parete in cartongesso basamento libreria piano inclinato in lamiera retto da strutture retropostre basamento apribile per accesso cablaggi
B
*
parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni finitura colore grigio scuro
N.B. tale piano inclinato non deve venire illuminato dal fascio luminoso della video proiezione N.B. rinforzare pavimento per evitare trasmissione di vibrazioni dal pavimento ai videoproiettori. Sarà necessaria un accurato fissaggio dei videoproiettori N.B. inserire adeguato materiale sotto il pavimento (tipo sacchetti di lana imbustata), per evitare rumore da calpestio
LINK http://www.sever.it/it/Eventi/ Iscrizioni-agli-eventi/
pannello laccato colore a campione da porre a parete sotto la mensola
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05
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LA BACHECA DI AV
nuova parete in cartongesso / chiusura parete ove rimosso box acustico con inserimento isolamento tra la struttura interna ripiani per esposizione materiali e cataloghi
1.03
D
barrisol serigrafato posto a soffitto nel box di Citterio comprendere cablaggi e passaggi impianti
parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni per proiezione con verniciatura finale adatta alla proiezione subwoofer a terra
0.90 2.10
E
colorato opalino per possibile appoggio di cassa acustica a goccia della Garvan - staccato di 2 cm dal filo superiore scatolare in lamiera macchina trattamento aria a soffitto h. 250 da terra resta al di sopra nuovo volume
spostamento quadro elettrico da portare nel locale "zona cataloghi"
LA BACHECA DI AV
Un supporto a fianco del progettista
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La luce si fonde con l’architettura attraverso semplici geometrie
Aspetti fondamentali, oltre a quello architettonico, nella progettazione e ristrutturazione degli edifici sono l’efficienza energetica e il comfort abitativo. Progettare e costruire eliminando gli sprechi, utilizzare al meglio l’energia prodotta da fonti rinnovabili e assicurare un ambiente confortevole a costo energetico vicino allo zero sono obiettivi di grande attualità ed interesse. Dimensionare opportunamente l’impianto fotovoltaico, l’accumulatore di energia prodotta e non auto consumata, l’impianto di ventilazione meccanica controllata, il riscaldamento elettrico a pavimento o parete eccetera, è compito dell’energy manager. L’energy manager ha le competenze necessarie per porsi come consulente del settore energia nella progettazione dell’immobile. Affianca l’architetto assicurando lamigliore soluzione di efficientamento energetico garantendo il contenimento dei costi e l’aria pulita dentro e fuori casa. Il monitoraggio e la gestione di ogni impianto per 3 anni garantisce il conseguimento delle prestazioni definite in fase di progetto.
Un apparecchio tanto semplice e sobrio nella forma quanto seducente nella sua emissione luminosa. È possibile ottenere varie scene luminose, combinando modelli con diametri differenti. Disponibile nelle versioni con emissione di
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2016 #03
Atelier Mk: un laboratorio progettuale per la cucina
Con il nuovo showroom monomarca a Verona, Mk cucine intende definire un nuovo standard che reinterpreta il concetto di punto vendita legato al mondo della cucina di fascia alta. Si tratta di un format innovativo che intende rispecchiare la vocazione “sartoriale” del brand votato da sempre alla personalizzazione totale del prodotto cucina, che da semplice oggetto d’arredo si trasforma in elemento architettonico vero e proprio, integrandosi sempre più con l’ambiente domestico. Da semplice monomarca lo showroom si trasformerà in Atelier. L’Atelier Mk sarà un laboratorio progettuale ed estetico dedicato ai professionisti, nel quale la cucina verrà cucita sulle specifiche richieste e aspettative del cliente finale e nel quale il supporto alla progettazione, fornito da personale specializzato, permetterà di coordinare al meglio il progetto d’arredo al progetto architettonico, attraverso l’infinita gamma di finiture e combinazioni offerte dal catalogo Mk. In quest’ottica Mk ha pensato di dare spazio non solo al prodotto ma anche all’esposizione della sua ampia gamma
di finiture e materiali. All’interno del punto vendita sarà infatti presente una Material Gallery nella quale architetti e designers potranno visionare l’intero campionario Mk e verranno accompagnati nella scelta delle finiture e degli abbinamenti più adatti a soddisfare le specifiche progettuali. Uno spazio innovativo dedicato alla ricerca che si propone come strumento attraverso il quale professionisti e addetti ai lavori potranno rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità in fatto di finiture e materiali dedicati all’arredo e all’interior design. L’Atelier Mk è stato progettato per essere un format fortemente iconico e rappresentativo del brand e, come tale, incarnerà a pieno la filosofia Mk attraverso un design rigoroso, innovativo e senza tempo. Un ambiente unico nel suo genere nel quale le cucine e le soluzioni d’arredo proposte si integrano perfettamente con l’architettura circostante a favore di uno spazio puro, in cui i materiali naturali vengono sapientemente abbinati e accostati a superfici funzionali e contemporanee. La purezza delle forme, il rigore dei volumi, la qualità assoluta, la cura dei dettagli, l’artigianalità, il rispetto della natura dei
evento inaugurale In occasione di Marmomacc 2016 dal 30 settembre al 1 ottobre inaugura a Verona in viale Piave 7 il nuovo spazio Atelier Mk. In programma degustazioni dei prestigiosi vini della cantina Masi e showcooking proposti da chef stellati in collaborazione con AEG.
materiali e la tecnologia a misura d’uomo sono tutti elementi che descrivono il nuovo Atelier e che siamo sicuri contribuiranno a trasportare i nostri clienti nel mondo Mk. Mk cucine nasce da una realtà produttiva totalmente italiana nella quale l’esperienza artigianale, l’innovazione tecnologica ed il design dialogano da quarant’anni alla continua ricerca dell’eccellenza. L’approccio umanistico ed etico al progetto contraddistingue da sempre l’azienda portando Mk a identificare la propria missione con la ricerca della bellezza, intesa come autenticità e miglioramento della qualità di vita delle persone. Ogni cucina Mk racconta una storia unica che racchiude sapienza artigiana e progresso industriale. Prodotti unici che sanno coniugare il linguaggio essenziale e sofisticato dei materiali naturali lavorati manualmente ad un’anima tecnologica e performante in grado di migliorare la quotidianità di ogni cliente.
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LA BACHECA DI AV
Inaugura il 30 settembre 2016 a Verona in viale Piave 7
Design your future: la nuova offerta IUAV per l’alta formazione universitaria
ARCHITECTURE IMAGE AND COMMUNICATION ARCHITETTURA IMMAGINE COMUNICAZIONE CONSERVATION AND CULTURAL SUSTAINABILITY SOSTENIBILITÀ E CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO COSTRUITO
LA BACHECA DI AV
8 Master di primo livello, 12 Master di secondo livello, 3 Corsi di perfezionamento a Venezia PERCHÉ UN MASTER IUAV L’Università Iuav di Venezia si distingue in quanto ateneo che opera attraverso un tema: l’idea del progetto è il cuore del suo programma formativo e della sua attività di ricerca. L’offerta formativa si distingue per la presenza di percorsi fortemente caratterizzanti nel settore della progettazione e dello sviluppo di spazi abitati dall’uomo (edifici, città, paesaggi, territorio), di oggetti di uso quotidiano e di eventi, nel settore della multimedialità e della grafica. In tutti questi ambiti, I’Università Iuav di Venezia possiede una tradizione e un ruolo riconosciuti nel mondo della formazione. La vasta e consolidata rete di relazioni dei responsabili scientifici garantisce la presenza di professionisti italiani e stranieri, affermati sia a livello nazionale che
DIGITAL ARCHITECTURE INTERNATIONAL EDITION www.masterad.it DIGITAL EXHIBIT ALLESTIMENTI DIGITALI www.m-ia.it/mde
internazionale. L’offerta dei master di primo e secondo livello si appoggia saldamente a una tradizione affermata, definita nel progetto e nella sua trasversalità applicativa. La programmazione dei master include un’ampia proposta di seminari e un rivoluzionario sistema di corsi, articolato in distinti moduli mutuabili da un ambito all’altro che permettono di costruire un proprio percorso formativo, flessibile e personalizzabile. I piani didattici sono strutturati sulle reali esigenze di aziende private, fondazioni, enti pubblici e organizzazioni internazionali che collaborano fin dall’inizio alla pianificazione dell’intero progetto di formazione. Durante il tirocinio previsto nel percorso di formazione, gli studenti potranno confrontarsi con il mondo del lavoro, così da acquisire consapevolezze utili a orientare le proprie ambizioni professionali.
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VENEZIA La città di Venezia rappresenta un sicuro punto di riferimento architettonico che affascina, coinvolge e non può certo lasciare indifferente chi si appresa a compiere studi nell’ambito del progetto. Frequentare un master Iuav dà la possibilità di compiere un’esperienza formativa in una città culturalmente viva e unica nel suo genere, per stile di vita, bellezza, offerta culturale e respiro internazionale. INTERNAZIONALIZZAZIONE Iuav è la prima università italiana per rapporti internazionali e tra le università europee in assoluto più connesse. Attualmente gli atenei europei convenzionati con Iuav sono novanta. Negli ultimi anni sono inoltre stati firmati protocolli di intesa
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