Architettiverona 108

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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

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ISSN 2239-6365

Terza edizione — Anno XXV — n. 1 Gennaio/Marzo 2017 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona

Cantine — La punta dell’iceberg — Sovrapporre con leggerezza — Brivido rosso — La biblioteca del vino — Dal tecnigrafo alla vigna — Progetto di vigneto progetto di paesaggio — Ossimori di pianura — Calabi: Tutti pazzi per l’architettura — Studiovisit: Gianni Perbellini — Itinerario: Ricognizioni su Francesco Banterle.

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Meno efficiente

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ha affidato il progetto di recupero dei fabbricati esistenti. Con la nuova sede arriva anche la fine del mandato di questo Consiglio dell’Ordine, che ho presieduto, con diverse composizioni, per tre mandati consecutivi. Colgo quindi l’occasione per salutare tutti gli iscritti dopo un lungo periodo – sicuramente troppo lungo – di rappresentanza istituzionale iniziata nel 1997. In tutti questi anni ho cercato di svolgere il mio compito con impegno e passione mettendomi al servizio dei colleghi e delle istituzioni con l’obiettivo di dare visibilità alla nostra professione e autorevolezza all’Ordine professionale. Ringrazio tutte le colleghe e i colleghi che con altrettanta passione e spirito di servizio hanno collaborato con il Consiglio dell’Ordine nello svolgere i compiti istituzionali e di rappresentanza in tutte le sue forme, consiglieri, revisori dei conti, componenti di commissioni interne ed esterne, presso la Federazione regionale e il CNAPPC, e un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato alla redazione di «Architettiverona», la nostra bellissima rivista, rinnovata da Filippo Bricolo e Alberto Vignolo.


30° Consiglio dell’ordine dal 07.10.2005 al 07.10.2009 • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Paola Bonuzzi • Segretario Enrico Savoia • Tesoriere Giancarlo Franchini • Consiglieri Daniela Bevilacqua (dimessa il 30.10.2006 subentra Paola Severoni), Filippo Bricolo, Vittorio Cecchini, Leonardo Clementi (dimesso il 05.03.2006 subentra Gianmaria Colognese), Stefania Emiliani (dimessa il 15.09.2008 subentra Mario Lonardi), Susanna Grego, Raffaele Malvaso, Andrea Mantovani, Stefano Olivieri (dimesso il 17.03.2008 subentra Michele Moserle), Paola Ravanello, Paola Tosi

31° Consiglio dell’ordine dal 12.10.2009 al 11.09.2013 • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Raffaele Malvaso • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Berto Bertaso, Sonia Braggio (dimessa il 30.10.2006 subentra Nicola Brunelli), Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Stefania Emiliani, Federico Ferrarini, Susanna Grego, Daniel Mantovani, Donatella Martelletto, Elena Patruno, Alberto Zanardi

Un particolare ringraziamento va al Centro Studi Tecnojus di Romolo Balasso, che dal 2008 ha portato consapevolezza dell’importanza degli aspetti tecnico-giuridici della nostra professione, sempre più chiamata a rispondere a requisiti di tipo prestazionale imposti, nell’interesse pubblico, da tutta la normativa tecnica di nuova generazione e dalla giurisprudenza dominante. Sento infine il dovere di fare questo saluto e ringraziamento anche a nome delle colleghe e dei colleghi del Consiglio uscente, con i quali ho condiviso molte sfide, anche difficili, tra le quali la riorganizzazione della segreteria, l’implementazione della strumentazione informatica, la razionalizzazione e la riduzione dei costi di gestione mantenendo inalterata la quota

di iscrizione, l’organizzazione e la gestione della formazione obbligatoria e continua a partire dal 2014, e in particolare la realizzazione della nuova sede degli Ordini. Al prossimo Consiglio entrante e al futuro presidente va il nostro sincero augurio di buon lavoro con l’auspicio che, per tutto l’impegno profuso in questi lunghi anni, possano trovare ancora più passione e entusiasmo nell’affrontare il momento particolarmente difficile della nostra professione senza timore del futuro, per essere sempre più protagonisti del cambiamento in corso nella società.

32° Consiglio dell’ordine dal 19.06.2013 al 19.06.2017 • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Raffaele Malvaso, Daniel Mantovani, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini

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Un fine mandato come inizio di Arnaldo Toffali

Brivido rosso di Michelangelo Pivetta

professione

progetto

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progetto

La punta dell’iceberg di Lorenzo Marconato

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048 SAGGIO

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storia & progetto

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Progetto di vigneto progetto di paesaggio di Paola Muscari

Tutti pazzi per l’architettura di Adele Simioli

Crossroads of collaboration di Stefania Marini

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progetto

editoriale

A volte ritornano di Alberto Vignolo

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progetto

Sovrapporre con leggerezza di Nicola Tommasini

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odeon

La biblioteca del vino di Chiara Tenca

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Un cinema incompiuto per Borgo Trento di Michele De Mori

PROGETTO

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Ossimori di pianura di Giulia Bressan

Urbano & Sonoro di Francesco Ronzon

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odeon


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Aprirsi alla Chiusa Veneta di Marco Cofani

Dal tecnigrafo alla vigna di Luisella Zeri

odeon

diversearchitetture

082

collezione privata

Supernatural: una storia per elementi di Luigi Marastoni

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odeon

Il bosco in movimento di Irene Meneghelli

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studiovisit

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Gianni Perbellini a Verona di Angela Lion

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itinerario

Ricognizioni su Francesco Banterle di Stefano Lodi e Alberto Vignolo

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXV n. 1 • Gennaio/Marzo 2017

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona

Redazione Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it

Direttore responsabile Arnaldo Toffali Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

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Alessandra Chemollo

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Redazione Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Federica Guerra, Angela Lion, Michelangelo Pivetta, Matilde Tessari, Chiara Tenca, Luisella Zeri collaboratori Giulia Bernini, Michele De Mori, Alessio Fasoli, Dalila Mantovani, Lorenzo Marconato, Stefania Marini, Lorenzo Piccinini, Federica Provoli, Nicola Tommasini Fotografia Cristina Lanaro, Diego Martini, Lorenzo Linthout, Marco Toté, Michele Mascalzoni contributi a questo numero Giulia Bressan, Marco Cofani, Stefano Lodi, Irene Meneghelli, Paola Muscari, Francesco Ronzon, Adele Simioli Si ringraziano Massimo Babbi, Lorenza Roverato, Vincenzo Pavan

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A volte ritornano

Attese che finalmente giungono a compimento, come per i dipinti a Castelvecchio, e altre attese come auspici

Testo: Alberto Vignolo Foto: Marco Toté

A volte ritornano, ed è davvero una bella notizia: l’installazione sulla presenza-assenza dei quadri di Castelvecchio (vedi «AV» 103, pp. 9-13) ha avuto finalmente conclusione, con la restituzione delle legittime pupille a quelle orbite vuote e un po’ inquietanti sui muri del museo. Un brutto sogno da dimenticare. Ora un bel make-up alle tele e alle tavole – al fanciullo emaciato del Caroto anche un po’ di fitness non farebbe male – et voilà, tutto come prima. Proprio tutto? Se prendiamo atto che un museo è l’espressione di una società civile, del suo sentire e rappresentarsi, del patrimonio della sua storia che si fa memoria e testimonianza, allora quei “buchi” sono stati – e purtroppo continuano ad essere – assai eloquenti da un punto di vista simbolico. E dal momento che viviamo in un’epoca di post-verità, in cui sembrano credibili solo le notizie che non lo sono, proviamo a raccontare di altri attesi e auspicabili ritorni. Per esempio: a visitare Verona e a goderne la bellezza ritornano i suoi cittadini, fieri di esserne parte; i

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turisti tornano a scoprire i tesori nascosti, perché “c’è un mondo fuori dal cortile di Giulietta”. Le mostre tornano ad essere il frutto più elevato di studi e ricerche, piuttosto che pacchetti Blockbuster d’importazione; i musei la manifestazione dell’orgoglio civico, e non ammassi di vecchiumi dentro qualche polveroso contenitore. Ritorna il rispetto per la storia e le sue tracce, i “quattro sassi” sono una meravigliosa ed emozionante scoperta. Il restauro torna a conservare le tracce e i segni della memoria per immetterli nel presente,

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e non per imbalsamarli come in un frigidaire fuori dal tempo. Ritornano gli urbanisti – chi se li ricorda più – a pensare un disegno organico per la città e le sue trasformazioni, in cui si fanno i piani per progettare un futuro possibile e non per avere tonnellate di elaborati di cui fare varianti on demand. I pianificatori perdono una “i”, si sporcano le mani di farina e tornano a sfornare ottime pagnottelle. Gli studiosi del traffico ritornano a pensare forme di mobilità sostenibile, e non solo rotonde in cambio di supermercati. Le canne, forse una forse due, tornano ad essere un trastullo più o meno lecito di alcuni, e non buchi senza fondo nelle colline traforate. Ritorna la condivisione delle scelte strategiche, i comitati fanno proposte e non ricorsi, le immobiliari producono ricchezza e bellezza. Gli amministratori di istituzioni ed enti tornano a governare per il bene comune e non per sé o per le proprie consorterie, confraternite, morosette. Ritorna il paesaggio come bene e

01-05. Museo di Castelvecchio, Verona: frammenti dall’esposizione inaugurata a dicembre 2016, in occasione del rientro delle opere trafugate il 19 novembre 2015.

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non come merce, le città come luoghi da abitare e dove lavorare e non solo come contenitori usa e getta e mordi e fuggi. Il turismo torna ad essere una delle potenzialità, e non l’unica risorsa possibile. Torna il verde per godere dell’ombra e dell’ossigeno. Tornano i filari di alberi lungo le strade e nei campi a disegnar paesaggi, quelli belli di una volta. Tornano i parchi invece dei parcheggi. Ritornano i committenti lungimiranti a cercare professionisti competenti e qualificati con cui

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dialogare e costruire assieme, e non solo poveracci costretti a svendersi. Gli architetti ritornano a pensare creativamente e a sognare, lasciando perdere cavilli, contenziosi e crediti formativi, immaginando spazi felici per i bisogni del vivere, luoghi urbani accoglienti e inclusivi invece di recinti, cancellate e reti da pollaio. Disegnare uno spazio interno torna ad essere una competenza dei più raffinati tra i progettisti, e non un passatempo da casalinga. Ritorna la competizione sulla bravura e non sul ribasso, ritornano le imprese competenti non solo nello scaricabarile, gli amici ingegneri tornano ad essere complici, piuttosto che concorrenti, di un progetto azzeccato. Studiare architettura torna ad essere una meravigliosa opportunità, e non un viaggio verso l’incertezza. Entrare nel mondo della professione ritorna il punto di incontro tra entusiasmi giovanili da una parte ed esperienze della maturità dall’altra. Ritornano, a breve, anche le scadenze amministrative cittadine e le tornate elettorali, a più livelli, in cui ciascuno torna ad essere decisivo nel progettare il futuro per sé e per chi gli sta accanto.

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PROGETTO

La punta dell’iceberg Una eloquente facciata-manifesto posta a dialogare con i vigneti della Valpolicella svela solo in parte l’ampio sviluppo ipogeo di questa moderna ‘fabbrica del vino’

Progetto: A.c.M.e. studio

Testo: Lorenzo Marconato

San Pietro in Cariano

Foto: Jurgen Eheim - Stefano Gasparato

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Proprio così: ciò che è in principio percepibile alla vista del visitatore, proprio come lo siamo stati noi in una rapida corsa all’interno della nuova cantina Zymé di San Pietro in Cariano, non è che una parte piuttosto contenuta dell’organismo edilizio ideato da Moreno Zurlo dello studio A.c.M.e. D’altra parte non potrebbe essere che questo, visto da che mondo è mondo le cantine stanno sottoterra, perché è lì che si riescono più facilmente a produrre le condizioni ambientali in cui matura il vino migliore. Quindi perché pensare di cambiare strategia? Al di là di quello che impongono gli standard urbanistici, i regolamenti edilizi e le norme di tutela ambientale, vincoli cogenti, ma non unici genitori dell’architettura contemporanea, la funzione, il luogo e la tradizione, dovrebbero, come in questo caso, costituire alcuni dei cardini su cui il progettista fonda il proprio progetto. Ad onor del vero, visto che la scomoda domanda è stata posta a chi di dovere, avere il privilegio di confrontarsi con un committente incline al dialogo e con una importantissima disponibilità economica da dedicare alla nuova cantina, sono fattori di non trascurabile valore nel percorso di realizzazione di una buona architettura, che, badate bene, non potrebbe essere ritenuta tale, se non vi fosse di mezzo una altrettanto buona matita. Ma queste sono solo ovvietà per addetti ai lavori. Veniamo però al racconto del percorso, come strumento di conoscenza che spesso si utilizza per descrivere un’architettura. L’impatto visivo della parte della costruzione fuori terra, arretrata di qualche metro rispetto al ciglio della strada provinciale per creare una curata area di sosta e manovra degli automezzi, è gradevole nel

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proprio equilibrio tra la mitezza delle cromie e la forza delle forme piuttosto spigolose e pregne di significato del basamento. Esso ospita centralmente un ingresso-wine shop e lateralmente lascia respirare la cantina vera e propria, ed è sovrastato dal blocco pentagonale degli uffici, intrappolato dal dedalo di venature della foglia di vite stilizzate nel rivestimento esterno in acciaio corten. Non me ne vogliate se leggo in queste ragionatissime morfologie, un’operazione puramente commerciale di promozione del “marchio”, che correttamente racchiude in sé tutta la filosofia del produttore-committente, ma pur

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01, 04. L’immagine esterna della cantina è affidata ai muri rivestiti con la pietra derivante dallo scavo dell’interrato, e alla facciata-schermo a “tralcio di vite”. 02. Studio della volumetria fuori terra della cantina. 03. Particolare dal basso del volume in aggetto rivestito in corten.

« Il materiale estratto durante lo scavo è stato recuperato e lavorato per rivestire internamente ed esternamente buona parte del fabbricato » 03

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PROGETTO

La punta dell’iceberg

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sempre ottimamente integrata con l’ambiente circostante. Questa, non a caso, è la punta dell’iceberg. Nemmeno il tempo di riuscire ad apprezzare questo dualismo, che si viene inghiottiti nella cava, prima e più anziana porzione ipogea del complesso. Il percorso interno comincia dalle origini del luogo. La cava di pietra calcarea da costruzione entro la quale è stato ricavato uno dei luoghi di affinamento delle botti, è per lo più rimasta intonsa, poiché perfettamente adatta alla funzione di cantina. Tenue l’intervento del progettista che, con poche mosse, ha valorizzato questo luogo nascosto, avvolgendolo in un

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nastro di vino rosso, che accompagna il visitatore tra le botti ed i massicci pilastri di pietra naturale che sorreggono le volte della cava. Terminato il viaggio nella cantina antica, il passaggio a quella interamente nuova, è segnato efficacemente da un ampio portale: una sorta di grande giunto, che al contempo stacca e collega due ambienti molto differenti tra loro. Il percorso rosso a terra continua. Le luci, anche rosse, sono come il trucco carico sul viso di una bella signorina. Lo scavo che contiene la nuova cantina, porzione assai più articolata della fabbrica, ha dimensioni importanti, circa 15.000 metri cubi,

e tale ampiezza, se pur ipogea, la si percepisce tutta nella rapida discesa verso la cella-archivio dei vini della cantina. Il percorrere la passerella che qui conduce, molto alta rispetto al livello inferiore, offre un punto di vista davvero suggestivo sulla vita che si svolge al di sotto. Alcune delle pareti di pietra dello scavo sono state lasciate sapientemente a nudo, per ricordare la cava, ma ora entrano in positiva competizione con il calcestruzzo e l’acciaio utilizzati per la composizione della nuova struttura. Una parentesi in questo percorso la merita senza dubbio l’utilizzo dei materiali da costruzione: su tutti la pietra

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05-07. Dall’alto, piante dei livelli primo, terreno e interrato. 08. L’archivio delle bottiglie (wine cellar), cuore fisico e simbolico della cantina. 09-10. Nell’interrato, lo stoccaggio delle barriques e l’area destinata a magazzino dell’imbottigliato. 11. La sezione evidenzia la preponderanza del volume interrato rispetto ai corpi fuori terra. 12. La lunga rampa del percorso a scendere nella cantina, enfatizzata dal rosso delle luci.


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La punta dell’iceberg

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13-14. Il corpo scala-ascensore centrale con i sostegni verticali “rampicanti” e il nastro continuo del parapetto in ferro che suggerisce la metafora del cavatappi. 15. L’area della cava preesistente allestita per lo stoccaggio delle barriques.

locale. Il materiale estratto durante lo scavo è stato recuperato e lavorato per rivestire internamente ed esternamente buona parte del fabbricato, in modo tale da risultare sostenibile da più punti di vista. Si tratta innanzitutto di materiale di alta qualità, tipico della tradizione costruttiva locale, estratto e lavorato in prossimità, quindi a basso costo e basso impatto ambientale, per di più perfettamente idoneo cromaticamente a rafforzare la relazione tra interno ed esterno, non solo inteso come pelle dell’edificio, ma anche come luogo più ampiamente concepito: come intorno. Questa, a

mio parere, è un’operazione che conferisce grande valore al progetto e, ad esser sinceri, la si vorrebbe vedere ripetuta ogni qualvolta ve ne fosse occasione. Giunti al livello inferiore, si corre accanto alla zona archivio delle bottiglie di vino, completamente visibile dall’esterno poiché divisa dagli altri ambienti per lo più da pareti vetrate. I temi sono ancora quelli della forma pentagonale, della trama complessa e modulare, della pietra tagliata. Il risultato, di sicuro effetto, garantisce grande valore e visibilità a questa parte della cantina. Non so se la mia

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sensazione sia giusta, ma ho percepito questo come se fosse il cuore della costruzione. Un piacevole rumore d’acqua in caduta però distrae ed attira benevolo. Formidabile sorpresa della natura che non vuole lasciare il passo alla mano dell’uomo, è una profonda cavità carsica emersa durante gli scavi: ben illuminata segna l’ampia area di stoccaggio delle botti, rompendone la geometria ed il silenzio, raccogliendo in sé tutte le acque naturali che filtrano attraverso le pareti dello scavo. In questi amplissimi saloni ipogei, fondamentalmente concepiti come un

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a.c.m.e. studio Fondato a Verona da un gruppo di architetti provenienti da varie città – Raffaela Braggio, Giovanni Castiglioni, Filippo Legnaghi e Moreno Zurlo – formatisi presso le più importanti università italiane, A.c.M.e. studio ha recentemente aperto una sede anche a Parigi. I loro progetti comuni hanno toccato ambiti diversi: l’edilizia residenziale e il social housing, l’interior design, il restauro monumentale e il recupero dell’edilizia storica, ma anche le realtà produttive e agricole in cui negli anni si sono distinte le cantine vinicole, tra cui la cantina Valentina Cubi (cfr. «AV» 82, pp. 18-25). Con l’edificio “Come Ca’ Tua” a San Martino Buon Albergo si aggiudicano l’edizione 2013 del Premio Architettiverona. www.acme-studio.it

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unico corpo in cui le zone si distinguono per lo più dalla loro funzione e dalle loro dotazioni d’impianto, lasciate efficacemente in vista, le forme sono lineari e le cromie moderne, ma ben assestate. L’ambiente è partito ed arricchito dalle botti, dai silos in acciaio inox, dai grandi cesti di stoccaggio del prodotto finito. Terminato il percorso sotterraneo è la volta di riemergere in superficie; lo si fa grazie ad un blocco scala-ascensore completamente a vista. Ricorda, senza volerlo, la vite di un cavatappi. Un oggetto indipendente nello spazio della cantina, ricco, forse troppo, che salendo diventa il fulcro del corpo di fabbrica pentagonale che ospita la zona amministrativa. Al piano intermedio è collocato il wine shop, unico ambiente pubblico frapposto tra cantina ed uffici. Gli ambienti contenuti nel pentagono

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seguono il movimento impresso dalla vite della scala e si distribuiscono lungo tutti i lati, aprendo da ciascuno un punto di vista diverso, grazie anche alla visione dall’interno dei frangisole in acciaio corten innanzi menzionati. Tra questi spazi uno soltanto – la sala riunioni e degustazione – apre fisicamente verso l’esterno, dove si trova un’ampia terrazza che planimetricamente satura un interstizio, ma riesce a farlo, grazie anche al fatto che si tratta di un punto di vista privilegiato sull’intorno, in maniera mirabile, in armonia con la natura, parzialmente antropizzata, che lambisce. Una quercia abbarbicata sul crinale ai margini della terrazza, ringrazia serena.

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16. La figura geometrica del pentagono che caratterizza il logo aziendale si concretizza nella forma planimetrica del volume al primo piano. 17-18. Dall’interno la facciata in corten sagomato a tralci di vite rivela la funzione di frangisole, lasciando filtrare lo sguardo sui vigneti circostanti.

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Committente Cantina Zymè di Celestino Gaspari Progetto architettonico e direzione lavori A.c.M.e. studio (Raffaela Braggio, Giovanni Castiglioni, Filippo Legnaghi, Moreno Zurlo) collaboratori ing. Marco Montresor (strutture) geom. Daniele Salvador arch. Andrea Malesani (sicurezza) ing. Ivan Travaglini (acustica) Dario Bettiol, Zumtobel group (illuminotecnica) fornitori Valpolicella Costruzioni Lavarini (lavorazione pietre) Premetal (facciate) Progress spa (strutture) Auroport (portoni e infissi) Harpogroup (verde pensile) Iscom Riverclack (coperture) Zumtobel Group (illuminazione) Grassi Pietre (Archivio Bottiglie) Cronologia Progetto: 2010-2012 Realizzazione: 2012-2014 Dati dimensionali Superficie costruita: 3.090 mq Volume costruito: 17.300 mc Importo delle opere: 6 milioni €

19. Le forme spigolose della parte fuori terra della cantina, arretrata di qualche metro rispetto al ciglio della strada, con l’ingresso centrale al wine shop sovrastato dal blocco pentagonale degli uffici.

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PROGETTO

Sovrapporre con leggerezza

L’ampliamento della Cantina Valetti a Calmasino allude a due elementi tipici della campagna coltivata, i muri dei terrazzamenti e i pali delle vigne

Progetto: arch. Carlo Ferrari, arch. Alberto Pontiroli / Archingegno Testo: Nicola Tommasini

Foto: Alessandra Chemollo

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Terminato alla fine del 2016 dallo studio Archingegno, l’ampliamento della cantina Valetti, poco fuori Calmasino, è un intervento riuscito sotto diversi punti di vista. Non solo, evidentemente, dal punto di vista architettonico o urbano – l’idea insediativa, il linguaggio, i materiali – ma anche per quel che riguarda aspetti in questo caso tutt’altro che secondari, e cioè l’importanza della razionalizzazione degli spazi destinati al ciclo produttivo dell’azienda vitivinicola e del rinnovamento della sua immagine, in una rappresentazione di sé e della propria recente trasformazione-evoluzione. Il programma funzionale prevedeva l’ampliamento degli spazi della cantina esistente (per l’affinamento dei vini in legno, l’imbottigliamento e lo stoccaggio del vino imbottigliato e sfuso) e la realizzazione di nuovi ambienti destinati alla commercializzazione dei prodotti, attraverso uno schema di progetto in

la vegetazione esistente (un uliveto). Dal punto di vista funzionale, poi, la cantina si estende sotto la corte per collegarsi con gli spazi di cantina esistenti, con la possibilità quindi di razionalizzare i percorsi, dividendo quelli inerenti le attività produttive da quelli dei visitatori. La composizione del nuovo volume fuori terra è tutta giocata sul rapporto tra un esile esoscheletro in acciaio assemblato sopra a dei setti rivestiti in pietra, in una allusione formale e cromatica a due elementi tipici della campagna, i pali di sostegno delle viti e le marogne dei terrazzamenti. Vista complessivamente, la cantina mette quindi assieme due diverse idee del costruire: il paradigma murario e massivo della pietra e l’assemblaggio tettonico della struttura in acciaio. A ben vedere, però, la cantina non è solo ciò che emerge dalla corte ma

« Di giorno le ombre dei sostegni disegnano segni grafici sui muri bianchi, di notte l’illuminazione interna inverte il rapporto, dando all’edificio un carattere fortemente iconico » questi casi spesso obbligato: spazi produttivi ipogei e vetrina commerciale fuori terra. Carlo Ferrari e Alberto Pontiroli ci raccontano come questo progetto abbia avuto uno sviluppo abbastanza spedito, risultato di una prima chiara idea rimasta coerente dai primi schizzi alla realizzazione. La prima mossa del progetto è evidente: anziché studiare improbabili e difficili ampliamenti in aderenza al complesso esistente, Archingegno ha optato per staccare il nuovo volume fuori terra e realizzarlo più a ovest, saturando (al netto delle distanze minime) i lati verso la strada e i terreni confinanti. Questo movimento sortisce due effetti: disegna una nuova corte – o aia – compresa tra i due volumi e libera le possibilità compositive del nuovo volume, chiarendo il rapporto di forza tra il vecchio e il nuovo. Non solo, lo spazio a ovest è anche quello che risulta di minor impatto ambientale, con la possibilità di rispettare visuali panoramiche e parte del-

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01. Al primo piano, lo sbarco della scala che porta alla sala degustazione-eventi. 02. Schizzi di studio. 03. Particolare del prospetto est. 04. La teca si “accende” all’imbrunire.

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05. Dall’alto, pianta dei livelli superiore, terreno e interrato. 06. Il prospetto est verso la corte. 07. La sovrapposizione tra il volume vetrato con il basamento in pietra e l’esoscheletro metallico è esaltata nella veduta serale. 08-09. La scala al primo piano è sovrapposta a quella che conduce al livello interrato. 06

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anche – e soprattutto, è il caso di dire – lo spazio scavato al di sotto del piano di campagna: la terza modalità di costruire. Il rischio di una sovrapposizione di questi tre modi di costruire (muro, scheletro e scavo) era forse quello di amplificare un certo carattere aulico e monumentale, di certo poco adatto al carattere atteso dell’edificio, più schietto e pragmatico. Rischio evitato grazie ad un approccio che sfrutta l’ironia – intesa come dissimulazione – nella composizione complessiva. Archingegno mette infatti in atto

tutta una serie di azioni per togliere peso ai diversi elementi. La struttura in acciaio viene alleggerita grazie alla piega data agli esili sostegni esterni, che non seguono una scansione regolare e rigida, ma sono inclinati con una logica “organica” per richiamare appunto la libera e naturale disposizione dei pali di sostegno delle vigne. L’arretramento del filo della scatola di vetro interna rispetto alla struttura esterna chiarisce poi ulteriormente lo schema costruttivo. Il medesimo intento del togliere peso si ritrova anche nel muro in pietra del piano terra e in particolare nella soluzione d’angolo verso la corte, dove un taglio permette di varcare il perimetro murario e la maglia dei sostegni metallici dando luogo all’ingresso. Da questo punto parte, sul lato est, un lungo scalone che, salendo in diagonale sopra il paramento di pietra, giunge al piano primo attraverso un percorso che permette di scoprire visivamente la corte dall’alto e gli spazi superiori del nuovo volume, facendo leggere grazie alla doppia altezza la compenetrazione della teca in vetro dentro i muri di pietra. Terzo momento è lo spazio interrato, cuore fonda-

Committente Azienda vinicola Valetti Luigi Progetto e direz. lavori Carlo Ferrari, Alberto Pontiroli Collaboratori Andrea Chelidonio, Alessandro Martini, Francesca Rapisarda, Marco Rizzi Giovanni Montresor, Mattia Gaspari (progetto strutture) Idroemme: Massimo Padovan, Davide Piacentini (progetto impianti) Imprese esecutrici Gianfranceschi Costruzioni, Luigi Lavezzari (impianti tecnologici), Luma (impianti elettrici), Massignani & C. (serramenti e carpenterie metalliche), Bertolani (finiture d’interni) Performance in Lighting (impianto di illuminazione) Cronologia Progetto e realizzazione: 2013-2016 Dati dimensionali Superficie complessiva 1.100 mq Importo lavori € 1.300.000

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10. Il fronte della cantina tra gli adiacenti ulivi. 11. Il wine shop in corrispondenza dell’ingresso. 12-13. Gli spazi produttivi e la barricaia nell’interrato. 14. Il paesaggio lacustre visto dalla loggia al primo piano.

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mentale della costruzione. Qui la cantina non poteva vantare e sfruttare nessuna preesistenza d’epoca e nessuna reale possibilità di “scavare” nella roccia. Gli spazi ipogei sono infatti inevitabilmente tutti costruiti, e sono quelli in cui il progetto mette insieme tradizione e contemporaneità ed usa di più l’ironia, visibile soprattutto nella sala destinata alle barriques dove il trattamento delle pareti interne si fa allo stesso tempo fortemente materico ma anche sorprendentemente brillante (con l’utilizzo di piccoli frammenti di specchio nell’impasto degli intonaci), oppure nel controsoffitto, che allude ad una tipicissima volta a botte senza scaricarne il peso sulle pareti perimetrali, staccate. Dal punto di vista distributivo, oltre allo stoccaggio del vino nell’interrato, dove trova umidità e temperatura costante, al piano terra sono collocati il pun-

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to vendita e la zona di imbottigliamento e al piano primo gli uffici, i laboratori e lo spazio più riuscito del complesso: una sala degustazione ed eventi contenuta e protetta all’interno del perimetro della teca, che gode verso ovest della vista lago. Dalla sala, a sud, si può raggiungere la grande loggia ricavata dal profondo arretramento della parete in vetro, forte ombra che chiarisce, ancora di più, la doppia natura di pesantezza-leggerezza dei due livelli, con un disegno del fronte che diviene immediatamente molto grafico ed iconico. Uscendo dalla scatola vetrata al piano primo si può poi proseguire su una scala aperta e raggiungere la grande copertura piana accessibile, completando una promenade interno-esterno molto dinamica (che “monta” in successione le scene della corte, dell’ingresso a doppia altezza nella teca e della loggia del piano primo)

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15. Il volume della nuova cantina definisce una corte-aia assieme all’edificio esistente. 16. Uno scorcio dal basso dell’angolo svuotato in corrispondenza dell’ingresso.

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dove protagonista torna ad essere la vista sul Garda. La geometria apparentemente incerta degli elementi costruttivi esterni diventa all’interno della teca ordine che regola le boiserie, i dettagli ed i vari apparati di illuminazione interna. La luce, sia naturale che artificiale, diventa nel volume in vetro il vero ingrediente principale dello spazio. Di giorno le ombre dei sostegni disegnano segni grafici sui muri bianchi, di notte le linee luminose dell’illuminazione invertono il rapporto, dando all’edificio quel carattere fortemente iconico e comunicativo della nuova immagine dell’azienda. Dal punto di vista materico il progetto resta coerente. Il basamento è completamente rivestito in pietra gialla che vibra e risalta in contrasto con l’acciaio color ruggine della teca. Anche le altre parti secondarie dell’edificio rimangono coerenti; una pensilina aggettante protegge due grandi aperture ritagliando una pausa nel settore centrale in pietra mentre al piano primo le parti non vetrate sono rivestite con un intonaco che riprende la stessa colorazione dei sostegni esterni. La colorazione ruggine rende la struttura in acciaio il principale dispositivo che permette l’integrazione

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Lo studio ha progettato e realizzato negli anni edifici pubblici, residenziali e terziari, con particolare esperienza nella progettazione di spazi per il lavoro. I soci fondatori Carlo Ferrari e Alberto Pontiroli considerano l’architettura come intreccio di elementi storici e contemporanei in grado di produrre qualcosa di molto speciale fornendo soluzioni personalizzate e mai convenzionali. La sede della ditta Kairos a San Martino Buon Albergo è l’ultimo lavoro di Archingegno presentato su «AV» nel numero 101 (pp. 28-31). www.archingegno.info

del volume con il paesaggio, stagliandosi sopra le chiome degli ulivi che dalla strada mitigano la vista dei setti in pietra e segnano l’ingresso alla proprietà. E forse è proprio l’integrazione con il paesaggio l’aspetto più complesso e riuscito della nuova cantina, sia nell’allusione agli elementi e alle geometrie del paesaggio circostante e sia nell’approccio che non cerca la mitigazione, ma che al contrario impone la sua presenza, trovando, però, equilibrio.


PROGETTO

Brivido rosso

Il recupero come cantina vinicola di un antico edificio rurale, il Fenilon di Preabocco, è compiuto attraverso l’introduzione di pochi misurati elementi

Progetto: arch. Michele Bertagnolli

Brentino Belluno

Testo: Michelangelo Pivetta

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Percorrendo la mitica A22 da Verona in direzione nord, quella lingua d’asfalto di cui molti di noi conoscono ogni singola cavillatura del manto, si può notare come da poco sia ricomparso un edificio che solo fino a poco tempo prima pareva inesistente. L’edificio chiaramente antico ha ripreso forma, con il suo fronte tripartito da grandi arcate a chiudere un grande portico, è un fuoriscala nel tessuto di piccole case che lo contornano, secondo quel gusto che solo certi edifici del passato sanno proporre. Era lì dal 1600 circa, ma prima di un paio di anni fa, per vent’anni e forse più, non si notava, divorato dalle superfetazioni e dalla vegetazione. è incastrato alla base del possente monte che sostiene Spiazzi e si propone come una sorta di zeppa che ne blocca la massa rivolta verso l’Adige. La roccia sembra incombere ma il suo volume la contrasta efficacemente e forse quello è uno dei segreti che hanno liberato l’ignoto costruttore nell’ecce-

cantina e luogo di accoglienza per una fortunata azienda vinicola, ieri annesso agricolo, magazzino, stalla, prima ancora forse stazione di posta e dogana in questa terra eternamente di confine. Un continuo divenire è quello che il suo silente costruttore ha programmato, ma oggi è altrettanto importante ciò che ha fatto il suo restauratore. Michele Bertagnolli in effetti ha saputo, con rarissima perizia, restaurare prima che ristrutturare, nel senso più stretto ed originale del termine, nel senso cioè di restituire questo edificio alla sua dignità, al suo essere. Come un archeologo, non solo ha saputo diligentemente scegliere attraverso una puntigliosa ricerca filologica, tanto teorica quanto operativa, ma ha saputo anche far emergere l’edificio ad uno stato d’arte tale che probabilmente nemmeno all’origine ha potuto avere. I pochi lacerti dell’operato del Bertagnolli si palesano come fossero loro stessi archeologie da recuperare, e

« La cantina, che produce ottimo vino, è senza dubbio il movente migliore per ridare vita a questo oggetto d’Architettura » dere nelle misure. Il parallelepipedo, con il suo tetto a falde, è compiuto da proporzioni che l’occhio fa sue immediatamente. Si può misurare, entrare in contatto, dialogarci con la docile amichevolezza di un’anziana zia di campagna. Eppure vi è qualcosa di escatologico nel suo porsi. Il suo destino nel palesarsi come strumento asservito all’uomo è sospeso, indefinito. Oggi

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01-02. Il monolite antico del Fenilon nel suo rapporto scalare con il paesaggio circostante (foto di Flavio Rudari). 03-04. Prospetto e veduta della facciata principale con il mainstream dei tre fornici.

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05. Le condizioni d’uso e di conservazione dell’edificio prima dell’intervento di recupero. 06. Piante piano terreno e primo. 07. Il portico con l’inserimento della scala e dell’elevatore.

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non come se l’oggetto del lavoro fosse l’edificio nel complesso. Una scala in ferro, alcuni tiranti in acciaio, una ringhiera, il tutto eseguito con la minuziosa competenza dell’artigiano. Oggetti contemporanei ma che con la loro perfezione metrica possono ambire a non avere età. Distinguerli è ben successivo alla loro ricerca, e questo è già buona parte dell’esperienza cognitiva. Nella processione degli elementi costitutivi dell’intervento vi è qualcosa di programmatico che va oltre la sottile interpretazione dell’attività necessaria nel progetto. Forse qualcosa che sta proprio nel nome dello studio, altisonante ma a questo punto meno scontato di quel che può sembrare: “Gestalt”. Una concessione alla lingua tedesca che se subito può apparire ammiccante ad una notazione geografica, in sé contiene invece il nocciolo della verità nascosta in questo progetto fatto di scientifica misurazione dell’elemento percettivo.

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Senza scomodare Gropius nel campo della percezione, possiamo dire che l’indagine compiuta sembra radicare la propria origine nell’efficacia calvinista di molte realizzazioni che avvicinandosi al Brennero paiono essere in grado di liberarsi di tutto il superfluo fino a incedere nel campo della poetica della rinuncia. Dal punto di vista critico è proprio questo il sapore persistente di questa prova di Michele Bertagnolli: selezione, sintesi, accuratezza, astensione, rinuncia a qualsiasi inutilità. L’impianto di questo processo è noto e piuttosto emergente nella contemporaneità ed è la risposta, anzi la reazione, alla vanità della forma come risultato e alla comunicazione come fine. In una condizione, ormai, di persistente Post- questo modo di agire ed interloquire con i problemi dell’Architettura può sembrare una facile scelta che in realtà racchiude in sé la più difficile: il dramma dell’autocoscienza di appartenere ad un’epoca

08. Sezione trasversale. 09. Veduta di scorcio dell’edifico che si confronta con il fondale roccioso del monte.

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Nato a Rovereto (TN) nel 1965, nel 1993 si laurea in Architettura presso lo IUAV di Venezia. Inizia da subito un’attività professionale in proprio aprendo, nel 1995, lo Studio Gestalt. In seguito entra a far parte come socio in Eng Group s.r.l. – società di ingegneria – dove si occupa di coordinare il settore Architettura. www.enggroup.it


PROGETTO

Brivido rosso

10. Una fase del montaggio in opera della scala in ferro. 11. Uno dei grandi pilastri del piano terra in pietra della Lessinia che sorreggono le volte a crociera. 12. Il grande spazio al primo piano destinato all’appassimento delle uve.

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Committente Società Agricola Fenilon

COLLEGAMENTO UPN 180 - IPE 100

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Progetto architettonico e direzione lavori arch. Michele Bertagnolli

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progetto strutture e impianti Eng Group - Società di Ingegneria COLLEGAMENTO UPN 180 - HEA 160

impresa esecutrice Tecnobase s.r.l. 16000 8314.4

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dati dimensionali Superficie intervento: 700 mq

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Cronologia Progetto e realizzazione: 2010-2012

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effimera e di rispondere ad essa con la solidità di principi usata come base strumentale per operare tanto sulla tabula rasa quanto in contesti già definiti. Ampliando il ragionamento, è evidente che le poche righe di cui questo progetto è costituito sono la manifestazione di un pensiero autonomo e maturo nel campo della restituzione e dell’Architettura realizzata, ben lontano dai teoremi di un’arte ormai in preda alla propria esteriorità, un’Architettura rappresentata prima di tutto, che dall’immaginario fake del render, che più fotorealistico è meglio è, trae il suo essere e non il contrario. Costantino Dardi, che di rappresentazione se ne intendeva, parecchio, non ebbe dubbi nell’affermare sempre che “l’Architettura non si rappresenta: l’Architettura si presenta, l’Architettura è.” Forse su questo dovremmo soffermarci. La cantina, che produce ottimo vino, solido e robusto come i muri entro i

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quali nasce, è senza dubbio il movente migliore per ridare vita a questo oggetto d’Architettura e, senza timore di apparire quel che non sono, è da encomiare la volontà di queste persone che hanno creduto e investito nel valore della memoria e della tradizione piuttosto che indulgere in manifestazioni d’autocelebrazione aziendale. In fondo quel che serve è tutto lì: le pigiatrici, i fermentini, i tini, le barriques, un portico profondo, un tavolo, un bicchiere, il paesaggio dell’Adige che si incunea tra filari geometrici di viti vigilate da vicino dai monti. Ecco la cantina del Fenilon, i suoi vini, il segreto che ne rende infinito il piacere. Di qui parte una via in roccia, Brivido Rosso, che ripida come poche altre porta in cima al monte che da lassù tutto domina, ripida ed ardua come le scelte di committenti ed architetto che, sagaci, hanno saputo ri-donarci la testimonianza secolare di questo edificio.

13. Dettagli costruttivi dei parapetti metallici. 14. Una delle coppie di tiranti metallici che aumentando la compressione delle travature in legno originali ne garantiscono la tenuta antisismica. 15. Veduta notturna dal vigneto (foto di Flavio Rudari).

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PROGETTO

La biblioteca del vino

Parole, colori, luci ed elementi segnaletici accompagnano i visitatori nei luoghi di una delle piĂš note cantine veronesi

Progetto: arch. Francesca Rapisarda Testo: Chiara Tenca

Grezzana Negrar

Foto: Simone Sala (Grezzana), Alvise Barsanti (Negrar)

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01. Vista di dettaglio della zona di vinificazione della cantina di Grezzana, la “biblioteca del vino”. 02-03. Totem segnaletici in corten realizzati presso la tenuta Novare. 04-05. Fotoinserimento e studio della grafica (a cura di Fulvio Ariani) dei totem e delle targhe segnaletiche per Novare.

L’universo vino è, oggi più che mai, un settore con risvolti culturali e sociali notevoli. Le ragioni per le quali il vino assume un appeal così forte e trasversale sono anche di carattere emozionale; l’amore per il vino racchiude una ritualità articolata, dietro ad un sorso si schiude un mondo intero la cui scoperta coinvolge i cinque sensi e forse anche un sesto, la sensibilità. Ed in questo il vino è molto democratico. La ritualità comincia nel calice, punto di arrivo del processo produttivo ma punto di partenza per l’esperienza sensoriale. Il vino va avvicinato, osservato, annusato, degustato: in una parola, interpretato. In ognuno di questi passaggi cristallizziamo la nostra sensibilità in una dimensione fatta di lentezza, di attesa, di amore per la terra; l’olfatto ci comunica la piacevolezza di sensazioni legate al frutto ed il sapore della sapienza manuale. L’esperienza del vino ci ricorda l’avvicendarsi delle stagioni, la fatica nella cura della terra, la solidità dei legami generazionali; ed è una sensazione quasi magica, perché legata a dinamiche che avvengono secondo natura. Le cantine vitivinicole sono le “cattedrali” che custodiscono l’ancestralità del legame con il territorio; e quando schiudono le loro porte aprono lo scrigno

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« I due progetti entrano nel tema in maniera puntuale ma diffusa, segni che marcano il luogo in maniera discreta per creare un filo conduttore nel percorso » delle meraviglie. Fino a qualche anno fa si avvertiva forse un po’ di reticenza nella condivisione di questo patrimonio, come se la nascita e la produzione del vino potesse essere capita ed apprezzata veramente solo da chi ne è attore protagonista: una sorta di agri-snobismo. Con il passare degli anni, per esigenze di comunicazione, marketing ed imprenditorialità le aziende vinicole hanno sempre più aperto i loro spazi, offrendosi a un pubblico eterogeneo, composto da intenditori e appassionati secondo modalità un tempo forse sconosciute.

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PROGETTO

La biblioteca del vino

06-07. L’edificio di ingresso alla tenuta Novare e il “fruttaio al ponte” con l’inserimento delle targhe segnaletiche. 08. Scorcio panoramico sui vigneti di Novare con in primo piano il totem segnaletico. 09. Grezzana: veduta della zona di ingresso, con i cerchi delle botti appesi a soffitto e la grafica sulle cisterne che riprende la forma circolare.

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In un’epoca dominata dall’immagine anche le “case del vino” si cimentano e si confrontano, sperimentando programmi di rinnovamento o di totale rifacimento dei loro spazi. Reinterpretare la propria storia, forte di una tradizione ben radicata, è la scelta operata da Bertani, un’azienda che nasce nel 1857 a Quinto di Valpantena, ed è segnata da alcune intuizioni che ne testimoniano lo spirito innovativo: dalla comprensione dell’importanza del vino in bottiglia agli investimenti fatti a favore della diffusione all’estero in un’epoca in cui la prassi dell’esportazione era rarissima. Giorgio VI d’Inghilterra brindò alla propria incoronazione con un Soave Bertani! I progetti che presentiamo intervengono su due delle sedi storiche dell’azienda: la tenuta Novare di Arbizzano di Negrar e la cantina di Grezzana, considerata il fulcro dell’azienda, dove si svolgono le attività di vinificazione, imbottigliamento e spedizione. Entrambi sono interventi che entrano nel tema in maniera puntuale ma diffusa; segni che marcano il luogo in maniera discreta per creare un filo conduttore nel percorso.

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committente Bertani Domains Progetto architettonico arch. Francesca Rapisarda collaboratori Alessandro Martini (viste 3D) ing. Pigozzi (strutture Grezzana) Fulvio Ariani (grafica Novare) fornitori Ironex Kalikos (Novare) Forme di Luce (Grezzana) Falegnameria Zanchi Gabriele Zanolli fabbro Cronologia Cantina Grezzana: 2012-2015 Tenuta Novare: 2014-2015

La progettista, Francesca Rapisarda, si è approcciata al tema con atteggiamento delicato, senza turbare l’imponenza di una tradizione storica che la Committenza ha voluto gelosamente evitare di scalfire. Tuttavia, il lavoro ha dimostrato di sapersi mantenere rispettoso e profondo allo stesso tempo, con l’obbiettivo della riscoperta del territorio e degli spazi della sede storica. E sulla scia di questo intento, i materiali impiegati sono quelli propri della tradizione vitivinicola, rivisti e reinventati. Nell’intervento a Novare, l’esigenza era di ridefinire i marcatori più significativi dell’azienda; nel viale di ingresso della tenuta si è pensato al riutilizzo dei tipici pali inclinati usati come testata nei vigneti, con il progetto (non realizzato) di una infilata di elementi in corten per segnare lateralmente i margini del percorso. Il medesimo materiale viene utilizzato sulle facciate degli edifici principali per apporre le targhe che segnano, rispettivamente, l’ingresso della tenuta e il fruttaio. Il materiale, che ben si integra con il contesto anche sotto il profilo cromatico, diventa una fascia collocata a cavallo dell’angolo degli edifici, mimando una delle princi-

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PROGETTO

La biblioteca del vino

10. Sequenza delle cisterne storiche al piano terra della cantina di Grezzana. 11. Il “museo Bertani”. 12. Pianta e sezioni della zona dedicata alle annate storiche. 13. Lo spazio dedicato alle annate storiche con la “volta di barriques”.

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pali tecniche di consolidamento degli edifici storici che prevede l’apposizione di chiavi metalliche in facciata a chiusura delle catene interne. Le lamiere in acciaio corten piegate vengono intagliate con le scritte segnaletiche evidenziate da lastre in policarbonato opalino retroposte. Le stesse lamiere intagliate vengono utilizzate sotto forma di totem a pianta quadrata, alti circa due metri, inseriti in punti strategici e significativi della tenuta, per individuare vigneti ed architetture degne di nota. Elementi modulari che in futuro potranno essere riproposti per sottolineare altri punti di interesse. Spostandoci nella cantina di Grezzana, ritroviamo i medesimi intenti progettuali trasposti negli ambienti interni. L’intervento nasce dall’esigenza di aprire la sede storica alle visite: non si tratta di un riuso – la funzione produttiva rimane vitale –, bensì della sovrascrittura di un diverso livello di fruizione degli spazi, attraverso l’individuazione di un percorso capace di accompagnare i visitatori in questi luoghi di lavoro. La visita è un percorso di esplorazione, e il progetto “somministra” di volta in volta

con dettagli diversi la storia della cantina. Alla schiettezza dell’assetto architettonico della fabbrica, caratterizzata dall’essenzialità di pilastri e travi ribassate, il restyling risponde con altrettanta semplicità, utilizzando anche in questo caso come materiali di progetto alcuni elementi della tradizione vinicola (botti, bottiglie...). Il percorso prende avvio dal cortile principale, dal quale si accede al salone delle degustazioni ricavato in un ambiente già adibito a magazzino. Un controsoffitto a quadrotti, ottenuto dalla scomposizione e ricomposizione delle assi di legno recuperate da botti dismesse, “sorveglia” dall’alto lo spazio ampio e regolare. L’espediente risulta scenografico, ed è molto interessante il movimento dato dalla curvatura delle assi accostate a disegnare un’orditura tessile; inoltre la retroilluminazione di questa quinta orizzontale disegna una sorta di tatuaggio di ombre sul pavimento. Altri frammenti di botti – questa volta i coperchi circolari – sono sospesi nella zona dell’atrio, come dei “dischi volanti” illuminati puntualmente dal basso. La forma circolare viene poi ripresa nel-

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14, 16. Veduta d’assieme del “salone dei fondatori” e dettaglio del controsoffitto in assi di barriques (foto di Alvise Barsanti). 15, 17. Schema assonometrico dell’elemento modulare del controsoffitto, pianta e sezione del “salone dei fondatori”.

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PROGETTO

La biblioteca del vino

18. Una delle cisterne della “biblioteca del vino”. 19-21. Il passaggio alla zona imbottigliamento: particolare dell’installazione fatta con bottiglie appese a soffitto, veduta d’assieme, pianta e sezioni. 22. La bottaia Bertani.

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FRANCESCA RAPISARDA

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la grafica, con maxi bolli apposti sulle cisterne di cemento. In modo ancora diverso vengono nuovamente reimpiegate le assi ricurve delle barriques per creare un soffitto voltato nello spazio dedicato alle annate storiche, cuore e “tesoro” della cantina-cattedrale. Qui i pigmenti argentei (tartrati), depositati sulla superficie interna delle barriques nel corso del processo di invecchiamento del vino, conferiscono scintillanti riflessi naturali alle doghe appese a soffitto. La forza del progetto risiede nel fatto che, con ingredienti potenzialmente semplici, vengono regalate immagini architettoniche ed archetipiche degne di valore. L’utilizzo del colore è elegante, in sintonia con una strategia comunicativa sobria ed efficace. Il colore scuro accompagna il visitatore nel percorso come un fil rouge, dalla zona produttiva allo spazio “museale” che accoglie strumentazioni e testimonianze d’epoca, con l’inserimento di suggestioni visive, fotografie contemporanee e storiche. Parole chiave e intere frasi compongono quella che la progettista, in sintonia con la committenza, ama

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definire la “biblioteca del vino”. Ci troviamo nella zona di affinamento, di fronte a una ritmica successione di vasche dalle quali gli enologi attingono per la composizione dei vini Bertani: una lunga scaffalatura di “libri” ordinati da una maxi grafica segnaletica. Il tema del riuso-riciclo di materiali presenti in azienda trova nuovamente espressione in un’altra zona di passaggio, nel corridoio che conduce alla zona imbottigliamento dove, al posto delle assi delle botti, troviamo vecchie ma preziose bottiglie di vetro appese in modo compatto a formare un’onda che, riflettendo la luce, diventa color smeraldo acceso e proietta cerchi luminosi sul pavimento. Nel complesso, i dettagli sono in sintonia ed equilibrio, ed esaltano la “solennità” che connota questo tipo di prodotto: il tutto senza gestualità formalistiche o calligrafismi retorici, ma attraverso piccoli segni che hanno una grande forza nel cucire le trame di un progetto. Tradizione e contemporaneità posso esaltarsi a vicenda quando il gesto è equilibrato e rispettoso.

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Nata a Verona, si laurea in Architettura nel 2001 al Politecnico di Milano, dopo un anno di studi all’Ecole d’architecture Paris Belleville. Consegue il dottorato di ricerca in Architettura degli interni e allestimento al Politecnico di Milano, dove dal 2007 è docente a contratto. Negli anni ha collaborato con importanti studi, tra i quali i milanesi Cerri&Associati e, più di recente, Migliore+Servetto, e Archingegno a Verona. Nel 2008 è tutor nel Master in “Exhibition Design, l’architettura dell’Esporre”, e nel 2012 nel workshop “Cluster Coffee”, da cui riceverà un incarico di consulenza per il Cluster tematico “Caffè” per EXPO 2015. Dal 2007 vive a Verona, dove svolge attività di libera professione.

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SAGGIO

Progetto di vigneto progetto di paesaggio Come progettare vigneti moderni ecosostenibili e rispettosi della tradizione

Testo: Paola Muscari

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01. Disegno di studio: vigneti e alberature lungo una canalizzazione. 02. Alberto Ballestriero, progetto di un vigneto misto a frutteto nella tenuta Musella. 03. Un paesaggio dove gli elementi identitari permettono un prezioso senso di appartenenza (foto di A. Ballestriero). 04. Vigneti terrazzati vecchi e nuovi (foto di Claudio Oliboni). 02

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Fabris, proprietario e coltivatore del vigneto durante un interessante convegno che si è svolto nell’ambito di Fiera Agricola 2016 (cfr. box). Ma non più di rastrello né di tridente, e spesso ancor meno di attaccamento alla propria terra si può parlare oggi. Tutto sta cambiando a grande velocità, e non sempre in meglio.

Le trasformazioni

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Il vigneto tradizionale In provincia di Treviso, a Baver, c’è un vigneto storico, un vero e proprio museo vivente della viticoltura veneta: quattordicimila metri quadrati dove le viti non sono impiantate su pali, ma “maritate” ad aceri e gelsi con legacci in vimini. I trattamenti sono a base di rame, calce e zolfo, senza uso di prodotti chimici; intorno ai filari siepi e fasce boscate e in mezzo alberi da frutto. Questo vigneto è protetto da un decreto di tutela del Ministero come uno degli ultimi residui di un’antica forma di conduzione agricola. “La-

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vorare questo vigneto non è facile. Non solo perché queste antiche conoscenze sento di doverle trasmettere ai miei figli, cercando di appassionarli in qualcosa oggi molto lontano dal loro mondo, ma anche perché tanta è la fatica… impossibilitato ad usare tutte le macchine: eh sì, in questo vigneto non si può far a meno del rastrello, del tridente, della falce! Questo terreno lo lavoravano i miei genitori, a mezzadria; io ero appena nato e loro mi lasciavano dormire nella carrozzina all’ombra dei gelsi. Ed ecco che anno dopo anno si crea un legame con quella terra, quasi senza accorgersene…”. Così ha raccontato il professor

Negli ultimi anni nel mondo dei vigneti sono avvenute importanti trasformazioni a vari livelli: innanzi tutto trasformazione delle tecniche colturali, da quelle più antiche tuttora impiegate a quelle iper-meccanizzate, e poi il mutamento dei soggetti coltivatori, che da abitanti del luogo si sono spesso trasformati in investitori stranieri, e infine la veloce trasformazione del paesaggio nel suo complesso. C’è stato, nel nostro territorio e non solo, un grande aumento di nuovi impianti viticoli, sulla spinta del grande successo commerciale dei vini DOC. Ciò ha avuto alcuni

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risvolti positivi, come il recupero di terreni incolti e abbandonati e l’insediamento di nuove realtà produttive, una maggiore occupazione, la sostituzione delle colture agrarie poco redditizie con la vite; ma contemporaneamente molte sono state le conseguenze negative. Oggi vengono piantati nuovi vigneti anche in aree marginali, storicamente occupate da prati, incolti e pascoli, in terreni un tempo considerati inadatti. Perfino ampie aree boschive possono oggi in alcune realtà regionali essere trasformate in vigneti, e questo spesso provoca dissesti idrogeologici e erosione del suolo, perdita di fertilità a causa delle grandi movimentazioni e del conseguente riporto di terreni dagli strati inferiori, riduzione della biodiversità e rottura dell’equilibrio biologico esistente, alla ricerca di produzioni sempre più specializzate, fino ad arrivare, in larghissime aree, alla monocoltura. Da quando, intorno agli anni ’90, si è affermata ‘l’industria’ del vino, inteso come prodotto da collocare sul mercato globale secondo le leggi del


Progetto di vigneto progetto di paesaggio

SAGGIO

05. Il tradizionale paesaggio collinare di vigne e ulivi (foto di Claudio Oliboni). 06-07. L’impatto di reti, paletti e fili d’acciaio nei nuovi vigneti (foto di Alberto Ballestriero). 08. La trama delle curve di livello preservate (foto di Claudio Oliboni).

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marketing, i nuovi vigneti assomi- rale del paesaggio, tipico invece della gliano sempre più a delle macchine pianura. Spariscono terrazzamenti, da produzione. La sistemazione a ter- oliveti, ciliegeti, siepi e fasce boschirazzamenti – sostenuti da muri a sec- ve, casolari isolati, contrade. Sono co secondo la tecnica di coltivazione entrati in campo gruppi industriali ‘a girapoggio’ – che ha caratterizza- veri e propri, gruppi finanziari. Si into il paesaggio collinare nei secoli, terviene con le ruspe modificando in e permette di coltivare intercettan- maniera pesante la conformazione dei do il flusso delle acque meteoriche e terreni e delle colline, distruggendo rallentandone la discesa verso valle sorgenti, prati aridi, capitelli, alberi – oggi sempre più spesso è sostituita monumentali, siti monumentali, stradalla disposizione dei vigneti ‘a ritto- de e sentieri e sterrati che un tempo chino’, con i filari tutti paralleli lungo attraversavano le proprietà permetle linee di massima pendenza dei pen- tendo a tutti di godere dell’uso colletdii. Questo tipo di sistemazione agra- tivo del territorio. ria facilitare l’uso delle macchine, ma Ovunque si comprano appezzamenti, in tal modo viene facilitata verso val- che poi vengono facilmente trasforle anche la corsa dell’acqua che erode mati in vigneti: il valore di molti terterreno fertile. reni agrari è divenuto sproporzionato. Inoltre questa tecnica modifica total- Perché così tanti nuovi vigneti? Permente le linee tradizionali dei vigneti ché è stato forzato il paesaggio agra12 | PAESAGGIO E VIGNETI del convegno che assecondano la topografia naturio, anche senza| atti vocazione del terriatti del convegno | PAESAGGIO E VIGNETI | 21 rale, portando a un ridisegno innatu- torio?

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atti del convegno | PAESAGGIO E VIGNETI | 21

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Vigneti e paesaggio come mercato La richiesta di vino pregiato è esplosa, il rendimento economico è molto alto, e le regole dei consorzi di tutela dei marchi faticano a mantenere la loro coerenza. Un esempio di quali conseguenze le attuali leggi di mercato abbiano sul paesaggio e sulla qualità del vino è il recentissimo caso di uno dei più famosi vini del mondo, il Barolo, su cui 09 indaga la Procura. È il confine che delimita i 1.984 ettari di nebbiolo da Barolo. Se una cantina è dentro quei La prima fase del lavoro è l’acquisizione del rilievo topografico con schedatura delle principali confini e fa parte degli undici comuni alberature esistenti. nei quali il disciplinare di produzione della DOCG (denominazione di origine controllata e garantita) consente di produrre il barolo, allora quelle vigne valgono una fortuna. Ma basta fare un piccolo passo oltre quella linea e il valore di terreni e vini crolla, perché sulle bottiglie non si può più scrivere il nome Barolo. Un altro significativo esempio più vicino a noi è quello dell’Amarone di 10 Valpolicella. Negli ultimi anni la nascita di moltissimi nuovi produttori cui una: darsi un limite. ha condizionato l’identità di questo Tutte queste scelte incidono pesantevino e la sua reputazione. Il discipli- mente e velocissimamente sul paesagnare di produzione dell’Amarone da gio. In pianura lungo l’autostrada tra molti anni è al centro di un acceso Verona e Vicenza, ad esempio, è semdibattito perché si continuano ad al- pre più difficile riconoscere i contorni largare i confini della zona dove que- dei luoghi noti. Era ieri o comunque sto vino può essere prodotto. Al pun- pochissimi anni fa che c’era il grato che si è voluto includere anche le no, poi gli ortaggi, poi la terra nuda zone di pianura più umide e meno vo- a riposo, l’alternanza dei coltivi. Oggi cate, consentendo di piantare vigneti c’è la vigna ovunque, il territorio ne ovunque. Gli esperti parlano di una è quasi interamente ricoperto. Il paesorta di ‘paradosso Valpolicella’, del- saggio è mutato. Non c’è più la varietà la difficoltà di ‘gestire un successo’. e le sfumature di verde determinato Quando si ha una ricchezza di questo dal diverso uso del suolo. Il mosaico attiredel convegno | PAESAGGIO E VIGNETI | 13 genere – dicono – ci sono alcune dei campi e dei colori è diventato unigole fondamentali per preservarla, tra forme. 11

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09-11. Progetto per la sistemazione a vigneto di un appezzamento di terreno in Valpolicella, arch. Fabio Pasqualini. A partire dal rilievo topografico con la schedatura delle principali alberature esistenti, viene rimarcata la frammistione tra vigneto e altre specie arboree come elemento di arricchimento del paesaggio agrario. L’uso di diversi tipi di impianto (a guyot, a vite maritata) corrisponde ai diversi punti di vista da cui è percepibile il vigneto.


SAGGIO

Progetto di vigneto progetto di paesaggio

Molti incontri e convegni vengono organizzati in questo periodo su agricoltura e paesaggio sostenibili, ma si tratta quasi sempre di un punto di vista ‘sanitario’, volto alla limitazione nell’uso dei fitofarmaci, e per produrre possibilmente un vino ‘biologico’; quasi mai si parla di paesaggio, e di quella malattia dell’anima che è lo ‘spaesamento’ dal proprio territorio. Paesaggi che cambiano!

12-14. Recupero a vigneto di una ex cava, Tregnago, arch. Guido Pigozzi. A seguito di una complessa vicenda legata alla richiesta di realizzazione di una discarica per rifiuti speciali industriali, l’area della cava dell’ex cementificio di Tregnago è stata oggetto nel 2007 di un intervento di riqualificazione, con la sistemazione agraria e l’impianto di un vigneto sul sedime della cava e nelle zone limitrofe.

Il paesaggio 12

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Il paesaggio è un concetto molto di moda ma purtroppo non vi corrisponde una consuetudine nella pratica quotidiana di progettazione di nuove opere sul territorio, durante la quale quasi sempre si presta attenzione a tutti gli aspetti ambientali agronomici e ingegneristici, ma raramente si affermano convinti argomenti paesaggistici. Il paesaggio rimane quindi ai margini della riflessione tecnica e quasi sempre viene considerato come un ‘in più’ da inserire al termine del progetto già pensato e strutturato, una delle tante richieste che si aggiungono alle procedure burocratiche. La consapevolezza che il Paesaggio sia un valore che va salvaguardato è oramai nella coscienza della maggioranza dell’opinione pubblica. Così come il fatto che contemporaneamente bisogna prendere atto delle sue trasformazioni nel tempo. Proprio sulla qualità delle trasformazioni si può giudicare una comunità e sperare nel futuro delle prossime generazioni, che oggi già ne vivono il malessere. Vale la pena ricordare che di questa nuova e accentuata sensibilità al Paesaggio e al rapporto tra paesaggio e

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produzione di beni agricoli, ne sono testimonianza i temi di Expo Milano 2015 (Nutrire il Pianeta) e di Ifla Torino 2016 (Tasting the Landscape) e, per i vigneti, la recente iscrizione di alcuni Paesaggi del vino nella Lista del Patrimonio culturale dell’Unesco. Paesaggio e Vigneti sono due temi di grande attualità che si intrecciano. Soprattutto in Italia il vino è sempre stato associato all’ameno paesaggio che lo produceva. Il vigneto non è solo la sede della produzione, ma dovrebbe avere una funzione e un ruolo molto più articolati: sostenere la biodiversità, difendere il suolo dall’erosione, e infine costruire una forte alleanza con il turismo nella quale il paesaggio è certamente forza e motore trainante. Proprio per questo il paesaggio viticolo richiede un’evoluzione guidata in modo interdisciplinare, volta alla tutela e alla valorizzazione delle specifiche componenti che ne formano l’identità.

Progetto di vigneto, progetto di paesaggio Il rapporto tra i nuovi vigneti ed il territorio non può essere solo materia agronomica o di produzione agricola, e non si può parlare di progetto di vigneto se non inserendolo nelle tematiche sul paesaggio, la salute, i cambiamenti climatici. Si potrebbe dire che la vigna in sé (quali varietà, quale distanza tra le file, quale densità d’impianto) è piuttosto competenza degli agronomi, dei tecnici agrari, degli stessi agricoltori, ed è bene che nei progetti vi sia la collaborazione tra loro e il paesaggista. I vigneti – è da ribadire – sono una

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grande opportunità di sviluppo economico per molti territori, ma poiché la loro espansione spesso avviene in luoghi di grande pregio storico ed ambientale la loro realizzazione deve essere affiancata da una ancor più attenta analisi di inserimento paesaggistico. Non progetto di vigneto, ma progetto di paesaggio. Come progettare vigneti moderni ecosostenibili e rispettosi della tradizione? La prima attenzione deve essere rivolta a conoscere l’esistente, cioè a conoscere ciò che si andrà a modificare o addirittura a volte a distruggere del tutto. Si tratta cioè di leggere il paesaggio, farne comunicazione e intervenire per tutelarlo e valorizzarlo, compatibilmente con la sostenibilità economica dell’intervento. È questo il ruolo del paesaggista. Di ogni nuovo vigneto bisogna prevedere la gestione dell’acqua: non solo il risparmio d’acqua, ma anche dove attingerla e come captare il mancato assorbimento del terreno e il ruscellamento superficiale per contenere i fenomeni erosivi e evitare problemi a valle. Esempi virtuosi ce ne sono. In Franciacorta la vigna non viene mai irrigata artificialmente, pena l’esclusione dal marchio che la rende famosa. In Chianti il consorzio non concede il prestigioso e ben vendibile marchio del Gallo Nero se i vigneti non sono costruiti in modo rispettoso del paesaggio. Anche la conoscenza e la scelta delle piante è fondamentale, dalle erbe spontanee lasciate crescere tra i filari, alle rose che anticipano i pericoli, agli alberi e le siepi di completamento o, volendo agli alberi di sostegno delle viti come a Baver. Nei progetti di moderni vigneti –

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di cui qui vengono riportati alcuni esempi – è evidente che non è facile proporre il connubio tra le nuove tecniche di coltivazione meccanizzata e i muretti a secco, ma in realtà si è visto che è possibile coltivare il vigneto a ‘girapoggio’ con i nuovi mezzi meccanici. I muretti a secco aumentano la superficie coltivabile, mantengono l’acqua piovana, aiutano la creazione di corridoi ecologici e filtrano le sostanze chimiche usate nelle coltivazioni. Del ‘rittochino’ – che modifica totalmente le linee della topografia naturale e porta a un ridisegno innaturale del paesaggio – si hanno invece decise esperienze negative, e alcune aziende che lo hanno adottato dichiarano che in alcuni casi il dilavamento ha eroso lo strato di terreno vegetale, portando a valle grandi quantitativi di terra. Nei progetti è anche importante prestare la debita attenzione al momento della raccolta dell’uva, e all’integrazione e collegamento con le cantine, che spesso vengono realizzate interrate. Progetti per permettere la percorribilità, il passaggio di umani, animali e acque, che abbiano cura di evidenziare i punti panoramici, le emergenze naturalistiche, gli ecosistemi, gli antichi manufatti; progetti che possano generare una generale valorizzazione paesaggistica, senza alterare il valore agronomico del vigneto. Cambiamento sì, indispensabile, ma sempre in sintonia con i ‘segni’ del paesaggio tradizionale.

Progetto e paesaggio: Il rapporto tra i nuovi vigneti ed il territorio. :

venerdì 05 febbraio 14.00 - 18.00 Sala Vivaldi Fiera di Verona Viale del Lavoro 8 Verona

ore 14.00 Saluti dagli Ordini professionali ed organizzatori. ore 14.10

Luca Crema

presidente Ordine Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Verona

Gestione e condivisione sociale dei nuovi vigneti ore 14.40

Alberto Ballestriero socio AIAPP

Vigneti o fabbriche del vino?

ore 15.10 Diego

Tomasi direttore CREA - VIT

Elementi paesaggistici da tutelare nella futura gestione del vigneto.

ore 15.40

Claudio Oliboni Perito Agrario – Tecnico di campagna di

Cantina Valpolicella Negrar.

Costruire consapevolezza per una nuova sensibilità alla terra. ore 16.00 Marina

Valenti relazioni Esterne Cantina Valpolicella Negrar

La Scuola nel vigneto, fra conoscenza, creatività e solidarietà.

ore 16.20

Roberto Netto presidente Associazione Culturale Borgo Baver onlus

L’esperienza di tutela dei vigneti di Borgo Baver ore 16.50

Michele Cappelletti funzionario del Settore Forestale

Regionale, responsabile dell’Ufficio vincolo Idrogeologico

Il Servizio Forestale in rapporto alle nuove richieste di insediamenti di vigneti.

Per maggiori informazioni collegarsi al link

http://www.ordinearchitetti.vr.it/ "Elenco corsi" "Organizzati dall'Ordine Architetti PPC Verona".

ore 17.20

Fabio Pasqualini architetto, presidente AIAPP Triveneto Emilia Romagna

Esperienze nel progetto di vigneti

segue dibattito moderatore Paola

Muscari

Socio AIAPP

Sarà inoltrata richiesta di attribuzione dei seguenti crediti formativi: - 4 dall'Ordine degli Architetti PPC - 0,5 dall'Ordine degli Agronomi e Forestali - 4 dal Collegio dei Periti Agrari PAL

Convegno Progetto e paesaggio. IL RAPPORTO TRA I NUOVI VIGNETI ED IL TERRITORIO Verona, 5 febbraio 2016 Organizzato dalla locale Sezione di AIAPP Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio con il patrocinio degli Ordini degli Architetti P.P.C., dei Dottori Agronomi e Forestali e del Collegio Periti Agrari della Provincia di Verona, il convegno ha trattato del concetto di sostenibilità, di vincoli idrogeologici e direttive comunitarie, di problematiche poste da nuovi vigneti in siti inadatti, di conoscenza e divulgazione di sagge tecniche di coltivazione, di esempio di antica piantata, e infine di progettazione paesaggistica, a partire dal rilievo e dalla valutazione dell’esistente. richiedi gli atti del convegno in pdf all’indirizzo: segreteria.trivenemiliaromagna@aiapp.net

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14. Progetto per un vigneto in Valpolicella, arch. Fabio Pasqualini. La realizzazione di muri a secco che rispettano l’andamento dei declivi e che marcano lo sviluppo dei pendii, favorisce la gestione delle acque e nello stesso tempo adegua il vigneto alle moderne tecniche agrarie meccanizzate.


PROGETTO

Ossimori di pianura

La baita degli Alpini di Legnago: racconto di una mediazione che diventa progetto

Progetto: arch. Andrea Ambroso, arch. Enrico Dusi, arch. Saverio Panata Testo: Giulia Bressan

Foto: Michele Mascalzoni

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01. Vista complessiva della sede degli Alpini di San Pietro di Legnago. In primo piano la baita, ampliamento della storica sede. 02. L’ingresso alla baita. 03. Vista complessiva dell’intero complesso dal parco. 04. L’ingresso alla sede storica: sullo sfondo la baita, il parco e la ex sede delle scuole elementari della frazione di San Pietro.

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All’interno della copiosa produzio- colo nel grande» – ma anche quello di ne scritta del maestro di architettura andare a costruire i primi edifici il più Frank Lloyd Wright i giovani studen- possibile lontano da casa. ti di architettura e i giovani profes- Se del primo avvertimento ne appasionisti possono trovare alcune parole iono evidenti le finalità, sul secondo di suggerimento – nonché conforto – possono sorgere alcuni dubbi internel brano “To the young man in Ar- pretativi. Dubbi che, forse, possono chitecture”, indirizzato inizialmente trovare una possibile risposta dalproprio agli studenti e in seguito pub- le vicende di un piccolo edificio delblicato in Two Lectures on Architectu- la pianura veronese, progettato da un re insieme a “In gruppo di giovathe Realms of Ideni architetti che « La ricerca di una as” (Chicago, Art seppur “emigrato” mediazione, continua e Institute of Chilontano da casa è articolata, costituisce uno stato richiamato cago, 1931). degli elementi peculiari Tra i preziosi sugper ragioni famigerimenti che il liari a progettadella storia del piccolo maestro americare l’ampliamento edificio legnaghese » no si proponeva di della sede degli dare ai suoi allievi Alpini di Legnavi era quello di approcciarsi, in prima go, con tutte le difficoltà e le impliistanza, alle cosiddette architetture cazioni connesse al dover lavorare in minori – da intendersi in senso pura- contesti e con persone a loro familiari. mente dimensionale, in quanto «per Il progetto per l’ampliamento della l’arte le dimensioni del progetto non storica sede della frazione di San Piehanno importanza, come le questio- tro, redatto inizialmente dal Comune, ni di denaro. Ciò che conta veramente venne infatti affidato in una secondo è la qualità del carattere. Il carattere momento a Spedstudio, con sede a può essere grande nel piccolo e pic- Venezia e fondato dagli architetti le-

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Ossimori di pianura

PROGETTO 05. L’ingresso alla sede storica: particolare. 06. Pianta del piano terra dell’intero complesso con evidenziata la porzione oggetto di ampliamento. 07. Particolare dell’ingresso alla baita. La pronunciata inclinazione della copertura evoca gli edifici di montagna.

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gnaghesi Andrea Ambroso ed Enrico Dusi insieme a Saverio Panata, dando così avvio ad una nuova lunga fase di affollati incontri e accesi dibattiti che ha fortemente connotato l’intero iter progettuale e di realizzazione dell’edificio. Fin dalle fasi preliminari alla redazione del progetto della nuova sede – configurata nell’immaginario collettivo dei soci come una baita, in linea con quel legame alla montagna sancito nello stesso Statuto dell’Associazione Alpini – apparve evidente come ogni singolo socio rivendicava il diritto/dovere di fornire la migliore soluzione, volendosi affiancare o talvolta sostituire alla figura del progettista. Il fulcro del rapporto venutosi così a creare tra committente – da intendersi in questo caso come una plu-

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ralità eterogenea di committenti – e progettisti è stata quindi la ricerca di una mediazione tra le svariate richieste dei primi e le soluzioni avanzate dai secondi, anche a fronte delle specificità che un edificio dedicato all’associazionismo e destinato alla ristorazione richiede da un punto di vista normativo. Ed è proprio la ricerca di questa mediazione, continua e articolata, che ad oggi costituisce uno degli elementi peculiari della storia del piccolo edificio legnaghese, interessante quindi non solo per le soluzioni architettoniche e tecniche impiegate quanto piuttosto per l’iter processuale che ha portato al suo recente compimento. Un iter che, iniziato nel 2009 con la redazione delle prime soluzioni progettuali e concluso nel 2015 con una

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SPEDstudio

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gremita cerimonia di inaugurazione, ha avuto una durata piuttosto lunga se rapportata all’edificio, nel pieno rispetto di quella relazione di proporzionalità inversa – ben nota agli architetti – tra dimensione del progetto e tempistiche di realizzazione. Percorrendo insieme ai progettisti la baita – la sala polivalente, la cucina, le aree esterne coperte – tutto diviene racconto, narrazione di quegli incontri/scontri con i numerosi soci che, sempre più immedesimati nei ruoli di progettisti, non agivano tanto per velleità di protagonismo ma forse più per ottemperare a quella disposizione statutaria dell’Associazione che prevede che la stessa si avvalga “in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri soci”. Diviene così un racconto l’accesa questione della copertura, dell’unanime avversione nei confronti del tetto piano a favore invece di una pronunciata

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inclinazione capace di evocare gli edifici di montagna; ma anche il problema della scelta della tonalità di verde da impiegare per le tinteggiature e gli infissi; la stessa scelta degli infissi e di ogni altra finitura, dalle pavimentazioni alle pensiline al manto di copertura. Molto appassionante il racconto di come si è riusciti ad ottenere il consenso alle grandi vetrate del prospetto sud, evidentemente tese a creare una continuità con l’esterno – e quindi con il grande tendone allestito nella stagione estiva –, e forse ancora di più di come si è riusciti ad evitare, all’ultimo minuto e non senza perplessità, la posa di tende interne lavorate all’uncinetto. Il ruolo di moderatori dei progettisti ma anche la loro capacità di trovare degli sponsor – per camini, pensiline, pavimentazioni esterne in legno – così da ridurre l’impegno economico dell’Associazione, costituivano di fatto le uniche garanzie per una tacita, ma probabil-

08-09. La sala polivalente all’interno della baita.

Spedstudio è stato fondato nel 2008 a Venezia da Andrea Ambroso, Enrico Dusi e Saverio Panata. Lo studio ha progettato edifici e piani urbani per una committenza sia pubblica che privata, ed è risultato vincitore dei concorsi per la nuova piazza Albarola a Lodi e per il Masterplan dell’area dell’Immerzeeldreef ad Aalst, in Belgio, per la realizzazione di 800 nuove abitazioni e un parco di 20 ettari. Dopo un’intensa collaborazione durata fino al dicembre del 2013 i tre soci hanno deciso di continuare l’attività in maniera indipendente. «AV» ha presentato nel numero 101 (pp. 12-17) un altro loro intervento a Legnago.

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PROGETTO

Ossimori di pianura

10. Un momento della cerimonia di inaugurazione. 11. Sezione trasversale del complesso. 12. Veduta notturna.

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mente sofferta, accettazione delle soluzioni proposte. A conclusione di questo singolare iter progettuale, l’esito della lunga fase di contraddittorio sopra descritta ha avuto quale risultato finale un edificio contemporaneo e funzionale, così come nelle intenzioni dei progettisti, vissuto in modo quasi inconsapevole dai suoi fruitori, certi di essere riusciti finalmente a realizzare una propria baita nella pianura veronese. La baita degli Alpini di Legnago si presenta quindi oggi come un edificio connotato da forme semplici e linee pulite, fortemente caratterizzato dalla copertura a due falde asimmetriche e in continuità fisica con l’edificio esistente per mezzo di un elemento di raccordo avente anche funzione di ingresso. Cardine del progetto di ampliamento, avente superficie complessiva di circa 120 mq, è la sala polifunzionale, in rapporto con l’esterno mediante ampie vetrate apribili a libro, ma anche con la cucina e con il blocco servizi, orientato a nord e planimetricamente conformato alla forma del lotto. Particolare attenzione è stata rivolta anche alle soluzioni tecniche e alla scelta dei materiali dell’involucro esterno (copertura, pareti, infissi) al fine di cercare di ridurre quanto più possibile i costi di gestione, coperti quasi interamente dai ricavi derivanti dalle attività dell’Associazione. Il maestro americano Wright aveva sicuramente ragione quando consigliava ai suoi giovani studenti e ai giovani architetti di andare a costruire i primi edifici il più lontano possibile da casa. Ma, a fronte del racconto legnaghese, il suo suggerimento non era tanto riferito agli esiti che questi potevano raggiungere – esito definito dagli architetti della baita «più soddisfacente di quando un committente

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Committente Associazione “Gruppo Alpini San Pietro di Legnago” Progetto architettonico e direzione lavori Andrea Ambroso, Enrico Dusi, Saverio Panata (Spedstudio) progetto strutture ing. Filippo Aio progetto impianti ing. Filippo Aio (impianti meccanici) Studio Rosa (impianti elettrici)

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ti lascia carta bianca, perché qui siamo riusciti a realizzare ciò che volevamo nonostante tutto e tutti» –, ma a quella tenacia che serve per fare valere le proprie qualità anche in contesti familiari, solitamente più problematici e ostili rispetto a contesti estranei, tanto da costituire una delle prove più difficili della professione di architetto che forse si matura solo con l’esperienza. E che, i nostri giovani architetti della baita, possono ora affermare di aver superato.

13. Il prospetto est con la grande vetrata della cucina. 14. Prospetti dell’intero complesso. Uno dei temi cardine dell’iter progettuale fu la scelta della tonalità di verde da impiegare per le tinteggiature esterne.

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dati dimensionali Superficie intervento: 210 mq Importo delle opere: 120.000 € Cronologia Progetto e Realizzazione: 2009-2015


STORIA & PROGETTO

Tutti pazzi per l’architettura Sorto come ospedale psichiatrico, il complesso di Marzana conserva le testimonianze del progetto di Daniele Calabi, figura di rilievo nell’architettura italiana del dopoguerra

Testo: Adele Simioli

Foto: Michele De Mori

Verona

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L’Ospedale psichiatrico di Marzana, fu eretto in sostituzione del più antico manicomio veronese di San Giacomo in Tomba (in funzione dal 1880 al 1962) all’interno di un ampio piano di riordino provinciale, secondo il progetto affidato nel 1963 ad un architetto prestigioso come Daniele Calabi (Verona 1906-Padova 1964), già docente presso l’Università di Venezia, in collaborazione con il medicoalienista Cherubino Trabucchi 1. Rimasto in attività per breve tempo, dal 1969 al 1980, l’istituto manicomiale è stato in seguito convertito in presidio ospedaliero ed è attualmente di competenza dell’Unità locale socio sanitaria di Verona (ora Azienda ULSS 9). La legge 180, nota anche come legge Basaglia dal nome dello psichiatra suo promotore, nel 1978 ha infatti riformato l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica in Italia proponendo un superamento della logica 02 manicomiale e causando di conseguenza la dismissione e la chiusura degli ospedali tipologia manicomiale. Tratto caratterizzante psichiatrici, un ingente patrimonio immobiliare dei progetti di Calabi già nel dopoguerra diffuso su tutto il territorio nazionale e è l’attenzione agli aspetti psico-affettivi comprensivo di preesistenze monumentali dell’assistito – si veda, per rimanere in Veneto, ed eccellenze storico-architettoniche la cui la Clinica pediatrica dell’Università di Padova damnatio memoriae ha condotto nella grande (1952-56) dotata di piccoli appartamenti per maggioranza dei casi a madri e bambini –, fenomeni di abbandono, e lo diviene ancor « Rimangono oggi percepibili sotto-utilizzo, violenta più intorno agli sia gli elementi planimetrici trasformazione. anni Sessanta essenziali del progetto che Sulla base di queste quando l’architetto i particolari architettonici che considerazioni un contesta la tipologia recente progetto di ospedaliera allora mostrano la pregevole qualità ricerca in ambito si è più diffusa, il del complesso » proposto di indagare lo monoblocco, per stato attuale degli ex i suoi spazi ampi, ospedali psichiatrici sulla penisola anche al indifferenziati, stranianti, e trova nella fine di offrire una base per eventuali interventi progettazione di istituti psichiatrici il terreno di salvaguardia e riuso 2 . Tra i circa ottanta ideale dove sperimentare schemi tipologici innovativi che favoriscano lo scambio sociale. complessi schedati è stata evidenziata Nella relazione tecnica allegata al progetto la rilevante qualità architettonica nonché per il manicomio di Verona è difficile non l’originalità dell’impianto veronese. sentire l’eco di idee circolanti in quegli anni, Il complesso costituisce una delle realizzazioni dall’antipsichiatria statunitense ad autori maggiori in ambito ospedaliero dell’architetto come Erving Goffmann e Michel Foucault, che Calabi, che si inserisce in maniera aggiornata denunciavano duramente l’aspetto segregante, nel processo di revisione che investiva la

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01. Veduta attuale di un volume ad un piano affacciato su una corte. 02-03. Due immagini del plastico di progetto in cui si evidenzia il principio insediativo, con i reparti disposti attorno ad un cuore verde.


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04-06. Alcune immagini d’epoca di poco successive all’entrata in funzione dell’ospedale, avvenuta nel 1969 (tratte da “Quaderni della Provincia”, fascicoli speciali Provincia di Verona. Un quinquiennio di attività 1965-1970, 1970).

complice anche l’architettura, delle cosidette “istituzioni totali”, carceri, manicomi, conventi, ovvero i luoghi di reclusione totale. Scrive infatti Calabi: “se è chiaro in tutti il concetto che l’ospedale psichiatrico non è più ‘luogo di custodia’, bensì ‘luogo di cura’, che l’assistito non è uomo ‘da segregare’, bensì ‘da reinserire’ nella società avviene tuttavia che i nostri ospedali psichiatrici corrispondono per la maggior parte ancora ad ambienti, che sono di per sé luoghi di segregazione. Dagli antichi conventi, ai più recenti lazzaretti o padiglioni distaccati, molti degli ospedali esistenti

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denunciano per la loro stessa origine i concetti con cui vennero organizzati e concorrono a determinare la psicologia dell’alienato” (Archivio Provinciale di Verona, b. 2378, fasc. “Progetto generale”, 1963). Una scelta decisamente anti-gerarchica è dunque la caratteristica più evidente dello schema ospedaliero veronese, l’aver collocato al centro del complesso non gli edifici direzionali e amministrativi come di consueto ma una grande area verde dedicata alla socializzazione e occupata in parte da campi da gioco. Un cuore verde da cui si snodano percorsi attentamente studiati che conducono alle varie aree del complesso. I reparti, di altezza ridotta, sono disposti nel lotto in maniera asimmetrica e assecondando le diverse quote del terreno, distanziati e riparati da fasce alberate e cortili, privi delle tradizionali recinzioni. Gli edifici tutti distinti per dimensioni e finiture trovano unità in alcuni motivi ricorrenti come le sequenze di corridoi vetrati con un effetto di trasparenza da e verso il parco. Come specificato nella relazione tecnica il complesso mira a ricreare per gli assistiti un ambiente di normale vita domestica, non “un’organizzazione di cure e servizi, pensata in funzione dei medici e degli amministratori”. Per quanto riguarda il dimensionamento dell’ospedale, il complesso è progettato secondo una suddivisione in cinque divisioni da 120 posti letto ciascuna per un ammontare di 600 posti letto complessivi, ogni divisione è a sua volta, anche costruttivamente, articolata in quattro sezioni da 30 letti; la superficie edificata è di 19.319 mq su un complessivo di 100.483 mq. Alla periferia del complesso, trovano invece posto i servizi generali e tecnologici (cucina, lavanderia, centrale termica), e, raccolti in una villa preesistente in precedenza utilizzata come Scuola Agraria, le funzioni di direzione, accettazione, studi dei medici, ambulatori e consultori. Anche quello che Calabi definisce “il centro del paese” ovvero una piazzetta porticata attorno alla quale si trovano la chiesa, il “centro

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07. Ospedale psichiatrico di Verona Marzana. Progetto di massima. Abitazioni 1a , 2a divisione, 1° piano. Arch. Daniele Calabi, febbraio 1963 (originale in scala 1:200) 08. Abitazioni 3 a , 4a divisione, 1 piano. 09. In un’immagine d’epoca, lo spazio verde centrale attrezzato per il “giuoco di bocce”. 10. Un padiglione residenziale nello stato attuale.

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sociale”, ed altri luoghi per la vita associata, si trova in prossimità dell’uscita in modo da rendere facilmente accessibile il luogo ad eventuali visitatori: il centro sociale prevedeva infatti l’inserimento di laboratori artigiani, botteghe, officine, a cui dovevano partecipare gli assistiti insieme a lavoratori esterni. Altro concetto cardine del progetto, in linea con le posizioni di Basaglia che iniziava il suo percorso riformatore nel Manicomio di Gorizia di cui è direttore dal 1961, è infatti la volontà di avviare una comunicazione tra interno e esterno dell’istituzione che si presenta perciò priva di alti muri perimetrali e dotata di un cancello che doveva rimanere aperto, in modo da consentire agli assistiti di uscire ma anche agli abitanti del paese di entrare e partecipare alle attività organizzate all’interno. Le relazioni che legano il manicomio al contesto territoriale, l’adiacente nucleo urbano di Marzana, sito in Valpantena a 6,5 Km dal capoluogo, non sono solo di natura urbanistica e riguardano oltre che l’assetto viario anche il repertorio decorativo, un’affinità di colori, altezze, finiture con le semplici case del paese ottenuta con materiali moderni. Nella citata relazione tecnica apprendiamo infatti che per Calabi la creazione per l’assistito di un ambiente non troppo difforme “da quello a lui familiare della sua contrada” rientra tra le

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esigenze rieducative, motivo per cui l’ospedale vuole inserirsi nel paesaggio non alterando l’ambiente ma divenendo parte integrante della città anche per quanto riguarda “la scala dei volumi e degli elementi della costruzione”, “il tipo e le caratteristiche figurative dei materiali e del sistema di lavorazione”. Il progetto di massima fu approvato nel 1963 dal consiglio provinciale di Verona nonostante le critiche che alcuni consiglieri opposero ad aspetti da cui si temeva sarebbero derivati disordini: la collocazione del campo da gioco al centro, la disposizione periferica di chiesa e centro sociale, l’accessibilità del parco al pubblico. Il prematuro decesso di Calabi nel 1964 non concesse all’architetto di seguire anche la fase costruttiva (l’ospedale entra pienamente in funzione solo nel 1969) durante la quale saranno apportate alcune modifiche nella planimetria e nella disposizione delle unità, i fabbricati si presentano più isolati e l’area centrale appare ridotta. Vista la breve vita del complesso come manicomio le 12

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1 Sui principali protagonisti della vicenda si vedano G. Zucconi (a cura di), Daniele Calabi architetture e progetti 1932-1964, Marsilio, Venezia 1992, e L. Trabucchi, Cherubino Trabucchi e l’ospedale psichiatrico di Verona. Un percorso verso la medicina della persona, Cierre, Verona 2016. 2 Gli esiti del progetto di ricerca I complessi manicomiali in Italia tra Ottocento e Novecento. Atlante del Patrimonio storico-architettonico ai fini della conoscenza e della valorizzazione, finanziato dal MIUR nell’ambito del Programma Prin 2008 (coordinatore scientifico nazionale Prof. ssa C. Lenza; responsabile dell’unità di ricerca Italia nord-orientale Prof. ssa M. A. Crippa, Politecnico di Milano) sono consultabili tramite il portale tematico interno al SAN - Sistema

Archivistico Nazionale: “Spazi della follia”: http:// www.spazidellafollia.eu/ it, e la pubblicazione I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento a cura di C. Ajroldi, M. A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M. L. Neri, Electa, Milano 2013. In particolare per approfondimenti sull’edificio veronese si rimanda ad A. Simioli, Ospedale Psichiatrico di Verona a Marzana, ibidem, pp. 180-181 e della stessa autrice: L’ipotesi di ospedale psichiatrico di Daniele Calabi: progetti e realizzazioni, in “Territorio” n. 65, 2013, pp. 85-88.

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modifiche maggiori sono tuttavia da riferire alla fase della deistituzionalizzazione, dopo il 1980, in particolare la costruzione di un nuovo edificio destinato ad Hospice (entrato in funzione nel 2007 e gestito in convenzione con l’Istituto Assistenza Anziani), ubicato al centro del lotto, in quelle aree verdi tanto importanti nella definizione del progetto ma che attualmente risultano di più difficile manutenzione visto il loro uso limitato. Nonostante il differente stato di conservazione e utilizzo delle strutture, rimangono oggi chiaramente percepibili sia gli elementi planimetrici essenziali del progetto che i particolari architettonici che mostrano la pregevole qualità del complesso, meritevole di essere conosciuto e salvaguardato, oltre che come documento di una stagione della psichiatria ormai fortunatamente conclusa, in quanto notevole architettura moderna.

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11-12. Ospedale psichiatrico di Verona Marzana. Progetto di massima. Centro sociale con la cappella, il teatro, il teatro all’aperto. Facciate e sezioni e pianta primo piano. Arch. Daniele Calabi, febbraio 1963 (originale in scala 1:200) 13. La corte del teatro all’aperto. 14-16. Alcuni particolari di elementi riconoscibili all’interno del complesso allo stato attuale.

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Un cinema incompiuto per Borgo Trento Testo: Michele De Mori

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01. Studi insediativi con alcune ipotesi alternative per la morfologia della sala cinematografica. 02. Il contesto del progetto in un fotopiano allo stato attuale. 03. Planimetria generale della soluzione finale. 04-05. Facciata su via Quattro Novembre, sezione trasversale e pianta piano terreno (originali in scala 1:100). Sul cartiglio “Calabi arch. Ruffo e Tammanini ing”, settembre 1955.

Nella metà degli anni ’50 del Novecento il Quartiere Trento, così come l’intera Verona, si trovava in pieno sviluppo edilizio. L’espansione residenziale era velocemente mutata dalle prime esperienze Liberty ai moderni condomini, passando per gli interventi del Ventennio. La densità abitativa era radicalmente cambiata e gli spazi vuoti iniziavano a scarseggiare. Il lato ovest di via Quattro Novembre, compreso tra via del Risorgimento e via Tonale, si trovava in quegli anni ancora quasi completamente inedificato; a nord della sede del “Gruppo Rionale Cesare Battisti” vi era un solo edificio. Nella porzione meridionale del terreno, presto diviso dal nuovo prolungamento di via Abba, e ulteriormente sezionato da via Ceriotto, l’Amministrazione Acquarone – artefice 02 dello sviluppo del quartiere – commissionò nel 1955 all’architetto Daniele Calabi, con la partecipazione degli ingegneri Ruffo e Tammanini, la progettazione di un complesso residenziale a funzione mista che potesse ospitare anche un grande cinematografo della capienza di oltre 1.000 spettatori. La particolare struttura ricreativa dalla forma planimetrica esagonale, preferita alle prime ipotesi ovali e pentagonali, era posta nel retro di due alti edifici (sette piani fuori terra) nei quali convivevano residenze, uffici e attività

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commerciali. Parallelamente a via Quattro Novembre era situato il corpo principale dalla forma esagonale allungata (circa 13x50 metri); arretrato e rasente via Abba si trovava il corpo minore (circa 13x25 metri). Un ampio portico connetteva i piani terreni a destinazione commerciale dei diversi edifici, fungendo da protezione anche per il bar posto ad angolo tra le citate strade e limitrofo a un giardino, quest’ultimo risultante da un’operazione di sottrazione nella copertura. La struttura a telaio dei due blocchi abitativi – concepiti con ampi appartamenti a doppio affaccio – permetteva la massima libertà di movimento per le facciate. I prospetti erano, infatti, organizzati per moduli determinati dai diversi materiali: al piano primo, dedicato ad uffici, vi erano grandi vetrate continue; ai piani superiori i vetri erano intervallati da pannelli fissi in mattoni forati e mosaico vetroso oppure da pannelli scorrevoli in legno. Le pareti laterali, rivestite in lastre di Broccatello e Biancone bocciardate, si estendevano fino a coprire lo sbalzo dei terrazzi. La presenza di soli parcheggi pertinenziali, porta a pensare che il cinema fosse stato ideato come un servizio diretto al quartiere più che all’intera città. I residenti del quartiere erano infatti in continua ascesa, passando

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nell’arco di un solo decennio dai 10.644 del 1951 ai 18.027 del 1961. La struttura non venne però mai realizzata, e la stessa area, già dieci anni più tardi si presentava completamente saturata da un ampio complesso residenziale con forme e finiture sicuramente più anonime. La riscoperta di questo progetto incompiuto di Calabi è conseguente alla stesura di un primo indice di consistenza dell’Archivio TrezzaD’Acquarone, recentemente giunto all’Archivio di Stato di Verona. L’importante Archivio, una volta catalogato, permetterà di ricostruire buona parte della storia edilizia, ed economica, dell’area della Campagnola, proprietà dei Trezza sin dalla metà dell’Ottocento.

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Crossroads of collaboration

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Le relazioni tra istituzioni e realtà culturali indipendenti nei processi di rigenerazione urbana in un incontro pubblico promosso dall’Associazione Interzona

Testo: Stefania Marini

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01-04. Centro comunitario Rojc, Pula: attività negli spazi aperti, veduta nel contesto urbano e alcuni spazi interni.

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La lungimirante amministrazione di Aarnhus ha saputo ascoltare le esigenze e l’area è stata ufficialmente designata a diventare il nuovo hub culturale cittadino. I progettisti dell’area stanno ora collaborando con il gruppo di gestione di Institut for (X) per inserire organicamente nella pianificazione spazi per le attività culturali e per il coworking, laboratori, sale prove e di registrazione per musicisti, centri per riunioni, spazi per eventi temporanei, eccetera. Il secondo caso presentato è il centro comunitario Rojc a Pola in Croazia. L’edificio è un imponente edificio di impostazione austroungarica, che ha cambiato più volte destinazione con il susseguirsi delle vicende storiche e politiche della Croazia: scuola militare fino agli anni ‘70, caserma fino agli inizi del 1990, ricovero per rifugiati di guerra fino alla metà degli novanta e infine centro sociale occupato fino al 1999 quando il centro viene ufficialmente concesso in comodato d’uso dal Comune di Pola. Il Rojc è il più grande edificio della città di Pola e attualmente ospita circa 100 organizzazioni sociali, sportive e culturali che occupano spazi per una superficie interna di circa 16.800 mq, oltre agli spazi aperti dedicati allo sport, al verde e ai parcheggi. Le associazioni hanno riqualificato per fasi gli spazi interni dell’edificio con processi di autorganizzazione e autofinanziamento accompagnati

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Società civile, mondo economico e istituzioni pubbliche possono lavorare insieme per lo sviluppo sostenibile della città nonostante ciò che li differenzia? Che cosa può facilitare una collaborazione? Quale contributo può offrire il mondo dell’arte per attivare questo dialogo? Questi sono alcune delle questioni di partenza di un dibattito pubblico portato a Verona dall’Associazione Interzona il 29 ottobre, svolto nell’ambito del 82° meeting internazionale del network europeo Trans Europe Halles (di cui l’associazione è membra dal 2008) e che ha visto la partecipazione di circa 150 operatori di centri culturali indipendenti europei. L’incontro Cross roads of collaboration ha discusso degli ostacoli e dei risultati raggiunti con l’attivazione di processi di collaborazione tra i centri culturali indipendenti e le istituzioni attraverso quattro testimonianze provenienti da contesti e aree geografiche diverse. La prima esperienza presentata è quella dell’Institut for (X), sorto nel 2009 in un magazzino abbandonato nell’ex scalo ferroviario della periferia di Aarhus in Danimarca. Dato inizialmente in concessione temporanea ad un collettivo di giovani artisti e progettisti (Bureau Detours), il magazzino recuperato è diventato in breve tempo una piattaforma culturale e imprenditoriale che è stata capace di attirare e attivare processi di riqualificazione bottom-up anche nelle zone limitrofe. L’area ha ripreso vita con la semplice riappropriazione spontanea dei luoghi da parte della cittadinanza attiva stimolata da giovani, artisti, artigiani, designer, imprenditori, musicisti e progettisti. Il racconto però non si è limitato a narrare la nascita del centro, ma ha descritto con efficacia le sfide affrontate e le strategie di negoziazione adottate per superare i conflitti nati da un progetto di riqualificazione immobiliare per l’intera area, che non prevedeva la permanenza di funzioni culturali. Il gruppo dell’Institut for (X) non si è infatti arreso al progetto ‘calato dall’alto’ e alla scadenza della concessione ha cercato con perseveranza alleati all’interno delle istituzioni per poter continuare ad essere attore attivo nel processo di rigenerazione urbana.


05-07. Institute for (X), Aarus: schema grafico, veduta generale nel contesto urbano, spazi aperti e attività di progettazione partecipata. 08. Ex Asilo Filangieri, Napoli: veduta di uno spazio interno.

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dall’amministrazione, e hanno ora a disposizione spazi dedicati e spazi condivisi con servizi comuni, aree ricreative, sale per conferenze, incontri ed esposizioni. Il Comune contribuisce finanziariamente ogni anno per i servizi e le opere di manutenzione edili e impiantistiche dell’intero edificio; un nucleo di coordinamento composto da un tavolo di rappresentanti delle associazioni e della municipalità gestisce il budget e gli spazi pubblici del centro. Attraverso procedure democratiche, il coordinamento garantisce la trasparenza nella gestione dei fondi pubblici e dell’assegnazione degli spazi senza sottostare alle logiche speculative e commerciali private. Tale modello gestionale ibrido pubblicocivile rappresenta un esempio di successo della collaborazione tra istituzioni cittadine e associazioni della cittadinanza attiva.

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Il terzo esempio è il caso italiano dell’Asilo di Napoli, ex sede del Forum delle Culture, che dal 2012 è uno spazio aperto dove si va consolidando una pratica di gestione condivisa e partecipata di uno spazio pubblico dedicato all’arte, alla cultura e allo spettacolo. Anche la storia dell’ex asilo Filangieri, splendido palazzo del XVI secolo di circa 4.000 mq localizzato nel centro storico di Napoli, è legata ad una iniziale occupazione di un gruppo informale di artisti e attivisti, ma dal 2015 il centro è stato riconosciuto a livello istituzionale con la dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano. La dichiarazione rappresenta lo strumento legale per realizzare una nuova forma di gestione partecipata di un bene pubblico e ne garantisce le finalità civiche e comunitarie sulla base di principi di libera accessibilità e di inclusività. Il bene pubblico in questione è ora amministrato attraverso forme decisionali e di organizzazione fondate su modelli di democrazia partecipativa, con un’assemblea pubblica di gestione e specifici tavoli di lavoro tematici aperti a tutti, che tendono a favorire l’incontro e lo scambio tra artisti. L’ultima esperienza presentata durante l’incontro è il caso veronese dell’Associazione Interzona. L’associazione, basata sul lavoro volontario dei soci, è stata fondata nel 1992 a Verona da un gruppo di giovani appassionati di musica e cultura

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creativa e della qualità della vita”. L’incontro dello scorso ottobre, affollato più dai partecipanti al meeting europeo che da cittadini veronesi e amministratori locali, ha portato esempi concreti di come sia possibile rigenerare il tessuto urbano e valorizzare i beni pubblici in stato di degrado e abbandono proprio attraverso la promozione della cultura e la partecipazione della cittadinanza attiva. I metodi gestionali adottati, le pratiche partecipative e le negoziazioni messe in atto e presentate potrebbero essere calate nel contesto cittadino per dare impulso ai tanti progetti sospesi e attesi: e allora l’Istitut for (X) potrebbe essere – avrebbe potuto essere? – un esempio per la progettazione dei Magazzini generali, il Rojc per il recupero e la gestione dell’Arsenale e di Palazzo Bocca Trezza, l’Asilo per altri casi ancora tra i tanti spazi pubblici sottoutilizzati.

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alternativa; ha iniziato la propria attività nell’area degli ex Magazzini generali,prima nella Stazione Frigorifera e, dal 2007, nel Magazzino 22. Interzona rappresenta un punto di riferimento per la ricercata programmazione artistica di livello internazionale, ed è un importante luogo di aggregazione e sperimentazione. Da novembre scorso, però, l’associazione non ha più una sede ed è stata costretta al blocco delle attività in programmazione. Sono passati solo tre mesi da quando all’interno del Magazzini 22 si respirava un’aria internazionale parlando di progetti ed esperienze a scala europea: collaborazione, networking, cooperazione, riuso, rigenerazione, condivisione, beni comuni sono solo alcune delle tematiche discusse durante tutto il meeting. Per cinque giorni il magazzino 22 è stato un vero Polo Culturale Europeo, ma le ruspe in questi giorni hanno iniziato a lavorare in quegli spazi rimasti ormai vuoti. Da mesi è in atto una negoziazione con gli attori interessati alla riqualificazione degli ex Magazzini generali per ottenere un riconoscimento istituzionale del lavoro svolto negli anni da Interzona a favore della promozione della cultura e della socialità, e per mantenere uno spazio all’interno dell’area, ma senza risultati concreti. Ad oggi, quello che sarebbe dovuto diventare il nuovo polo culturale di Verona non prevede più uno spazio per la cultura indipendente. I progetti della proprietà (Fondazione Cariverona), approvati dall’amministrazione comunale, procedono senza sosta e senza troppo soffermarsi sugli impatti sociali ed ambientali degli interventi messi in atto, sulla partecipazione e la condivisione delle scelte pianificatorie con la cittadinanza. Parole d’ordine che, a dire il vero, non sembrano avere grande riscontro, sia in generale sia a livello locale, nella pratica urbanistica. Eppure un interessante report dell’Unesco (Global Report on Culture For Sustainable Urban Development, 2016) sottolinea il ruolo centrale della cultura per uno sviluppo sostenibile delle città : “la cultura è lo strumento chiave per la promozione dello sviluppo sostenibile, in quanto favorisce l’identità urbana, attrae eventi e visitatori, incentiva lo sviluppo di un’economia

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crossroads of collaboration Verona, 29 ottobre 2016 interventi: - Christian Juul Wendell, Institut for (X), Godsbanen, Aarhus (DK) - Irena Boljunčić Gracin, Rojc (Pula, HR) - Gabriella Riccio, l’Asilo (Napoli) - Davide Pizzoli, Interzona (Verona) - Fabio Tenore, Comune di Genova, project manager del progetto Forget Heritage (Genova) - Birgitta Persson, Secretary General of Trans Europe Hallesin (moderatrice) network europeo: www.teh.net

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09. Le attività dell’Associazione Interzona in una illustrazione di Anna Rodighiero. 10. Il Magazzino 22 e alcuni soci dell’Associazione Interzona. 11. Il Magazzino 22, illustrazione di Rossella Terragnoli.

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Urbano & Sonoro “VeronaRisuona” è una rassegna che da dodici anni mette in gioco espressioni artistiche musicali (ma non solo) con i luoghi della città (ma non solo) Testo: Francesco Ronzon

4,33. I Zimbra. Acqua e respiro. Quartetti d’archi che escono da un tombino. Una chitarra elettrica appesa al soffitto che rimbomba come una campana. Dato il carattere esoterico della Sound Art, ogni invito a parlare di “VeronaRisuona” è una occasione lieta e gradita. Inoltre, essendo ormai giunti alla dodicesima edizione, oggi è anche possibile provare ad avanzare alcune riflessioni generali su quanto emerso nel corso di questa lunga camminata sonora. Ma andiamo per ordine. “VeronaRisuona” è una rassegna di Sound Art promossa dall’Accademia di Belle Arti di Verona, dal Conservatorio di Verona e dalla University of Music and Drama di Göteborg (Svezia). Con Sound Art si intende, invece, l’uso di suoni a fini artistici. Erede dell’arte dei rumori futurista e delle riflessioni di John Cage, la Sound Art non si limita quindi alla “musica”scritta in senso tradizionale (pop, rock o classica che sia) ma concerne tutto ciò che fa uso di materiali acustici: video, performance, installazioni, improvvisazione radicale ecc. ecc. L’iniziativa nasce da un incontro tra chi scrive, Hugh Perkins del Conservatorio e Staffan Mossenmark dell’Università di Goteborg. Per ognuno di noi la Sound Art risultava

un’area di ricerca stimolante perché permetteva di toccare vari temi al centro dei nostri interessi teorici ed artistici come il legame tra arte e quotidiano, tra espressione artistica e partecipazione sociale, tra estetica e spazi urbani. In seguito, nel 2009, lo sviluppo europeo della rassegna è stato anche insignito dal Ministero della Cultura italiano come “miglior progetto per l’anno europeo della creatività e dell’innovazione”, e ha prodotto un insieme nutrito di relazioni con Accademie, Conservatori e Università a Cork, Porto, Izmir, Vienna, Berlino, Vilnius e in altre città europee. Come si può intuire, lo spirito della rassegna è stato dunque sin dagli inizi quello della sperimentazione. Da intendere in almeno due sensi. Da un lato, come mix di arti. Spesso gli interventi hanno mischiato suoni, performance ed installazioni senza curarsi troppo se quello che si stava facendo era una cosa o l’altra. Ad esempio, un concerto per arpa e trattore. Dall’altro, come mix di alto e basso. All’interno di “VeronaRisuona” il rap ha infatti sempre convissuto con Stockhausen, l’indie-rock si è alternato al gregoriano e i computer si sono spesso affiancati alla poesia fonetica dadaista. Come si può intuire, già questa impostazione rappresenta un’anomala internazionalità rispetto ad una scena

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veronarisuona 2017 Verona, 22 maggio-7 giugno 2017 promossa da Accademia di Belle Arti di Verona Conservatorio dall’Abaco di Verona Accademia di Musica e Teatro di Göteborg (Svezia) Oltre a vari ospiti italiani e internazionali, la rassegna includerà numerosi eventi e collaborazioni, tra cui esempio, la sperimentazione teatrale con l’associazione Are We Human, un convegno su temi urbani con gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri di Verona, alcune presenze all’interno del Festival Biblico, live set con mapping in sedi come l’Accademia di Belle Arti, la zona dei Graffiti restaurati in via Pallone, gli spazi di Forte San Briccio, e altre location veronesi di interesse sociale ed artistico

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www.veronarisuona.org 04

di vari attori presenti sul territorio. Nel corso degli anni questo esperimento organizzativo reticolare ha dunque incluso imprese (Fnac, Galleria d’arte L’Arena), associazioni culturali (FuoriScala, DiplomArt, Darkmoto, Opificio dei Sensi, Interzona, Reverse), gemellaggi con altre iniziative artistiche locali e regionali (Tocatì, Festival Biblico, Mantova Creativa) sino a costruire una ragnatela in grado di supportare quella che ad oggi risulta una delle più longeve rassegne artistiche cittadine. In sintesi, se penso ad una lezione generale che si può trarre dai dodici anni di esistenza della rassegna, mi sembra che l’esperienza di “VeronaRisuona” evidenzi come

l’arte non sia (e non sia mai stata) un affare di esperti e di regole ferree, ma un’area sociale di gioco, di pratica e di espressione largamente poroso, nebuloso e diffuso negli interstizi del vivere quotidiano. Per il 2017 il tema scelto ruoterà attorno ai molti significati della parola limina (confini). Dove inizia un suono e ne finisce un altro? Di che materia è fatta la linea dell’orizzonte ? Cosa cambia quando si passa dal centro alle periferie urbane? Il concept vuole far riflettere su come il nostro mondo sensibile sia attraversato da linee di confine di ogni tipo (muri, forme visibili, paesaggi sonori), e sottolineare anche come la vita quotidiana ruoti attorno a limiti e separazioni.

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01-04. Alcuni momenti dalle varie edizioni nel corso degli anni di “VeronaRisuona”. 05. Il logo della rassegna.

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artistica come quella italiana, ancora ferocemente attaccata alle vecchie gerarchie e specializzazioni estetiche ottocentesche. Un ulteriore aspetto importante della filosofia di “VeronaRisuona” è stato quello di voler operare “dal basso”. Come è stato spesso fatto notare, è sin troppo facile organizzare eventi prendendo gli usuali e costosi pacchetti pre-confezionati di artisti professionisti. Questo modus operandi ha il limite infatti di non rischiare, di non dare mai ossigeno al nuovo, all’emergente, a ciò che accade per le strade (e non solo nei luoghi protetti dei mercati e delle istituzioni). Facendo perno sui “margini”, invece, “VeronaRisuona” ha sempre cercato di mischiare ciò che è maturo con ciò che è ancora acerbo, ciò che è strutturato con ciò che non è ancora rifinito. Ad esempio, le improvvisazioni collettive con docenti di musica barocca a fianco di ragazzini grunge, o la macchina ad acqua degli studenti dell’Accademia a fianco della performance del visual artist professionista. Infine, in ragione della sua filosofia (e del suo budget minimale), la rassegna ha interamente basato la sua ormai lunga esistenza sulla scommessa che esistesse un network sociale di supporto. Di contro a quei settori artistici che sopravvivono in modo artificiale solo grazie a finanziamenti esterni, “VeronaRisuona” vive e continua ad andare in scena grazie sopratutto all’esistenza di una comunità che si prende cura della sua esistenza. Una rassegna che non propone stili di mercato e volti mainstream ha infatti ovvie difficoltà a trovare sponsor. Di qui il ruolo centrale svolto dall’aiuto materiale, gestionale e organizzativo


Aprirsi alla Chiusa Veneta

Una scrupolosa ricerca storica e archivistica come auspicio di una concreta salvaguardia, conservazione e ri-utilizzo del patrimonio di architettura militare della nostra provincia Testo: Marco Cofani

Foto: Lorenzo Linthout

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l’architettura militare, in quanto essa è portata per la sua stessa funzione ad insediarsi in luoghi di per sé singolari, come alture, vie di comunicazione, sbarramenti naturali, ecc, prendendo forma grazie all’uso di materiali locali seppur attraverso la messa a punto di specifiche tecniche costruttive. Da qui la sua importanza paesaggistica e per la pianificazione del territorio, soprattutto sotto il fondamentale aspetto della sicurezza che, nel caso delle fortificazioni della Chiusa, non si limita al pur essenziale contributo fornito dalle difese militari ma si estende anche a quello della gestione agricola e idrogeologica

« Forte Rivoli è anche detto Werk Wohlgemuth dal nome del luogotenente feld-maresciallo absburgico a cui fu intitolato al termine della sua costruzione nel 1854 » del territorio con le opere di regolazione del fiume Adige. Il rapporto col mondo germanico è invece parte essenziale del genius loci di Rivoli e delle sue fortificazioni, il cui assetto conclusivo fu attuato dagli ingegneri militari absburgici intorno alla metà dell’Ottocento. Alzando lo sguardo sul territorio della nostra provincia, si percepisce poi come questo rapporto con l’architettura fortificata absburgica sia fortemente radicato in svariati ambiti, dal lago alla città alla pianura, ma anche come esso, al momento attuale, trovi maggior fortuna sulle pubblicazioni e nelle iniziative culturali piuttosto che nella concreta attuazione di progetti di restauro o

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Curato da Gino Banterla e Lino Vittorio Bozzetto, con i contributi di Alfonso Magro e Umberto Pelosio, il ricco volume presentato a Rivoli il 15 ottobre 2016 fa parte della collana “Storia e storie di Rivoli Veronese” e propone per la prima volta un ampio e articolato studio incentrato sul più significativo e conosciuto monumento del piccolo centro atesino, il Forte Rivoli o Werk Wohlgemuth, dal nome del luogotenente feldmaresciallo absburgico a cui fu intitolato l’edificio al termine della sua costruzione, nel 1854. La scrupolosa ricerca storica e archivistica redatta dall’architetto Bozzetto, dotata di un magnifico apparato iconografico composto da numerose mappe, disegni, dipinti e fotografie accuratamente descritti, illustra la lunga vicenda fortificatoria che riguarda l’ambito territoriale della Chiusa atesina, dal Medioevo (XII sec.) al Novecento. Il testo è centrato su due temi cardine: il primo, più generale, illustra l’arte ormai estinta delle fortificazioni come una fonte di inesauribile ricchezza e originalità, per molti versi quindi attualissima, per quanto riguarda il rapporto fra architettura e natura, in cui l’opera dell’uomo diviene elemento qualificante del paesaggio costruito, sia sotto l’aspetto estetico-percettivo sia sotto quello storico; il secondo tema, che inquadra più da vicino il caso di Rivoli, è il collegamento fra il mondo latino e quello germanico, che proprio sulla Chiusa atesina hanno storicamente trovato un fortissimo punto di contatto, in particolare per il ruolo nevralgico da essa ricoperto sulla via di comunicazione fra il Veneto e il Tirolo. Il rapporto con il paesaggio è certamente peculiare per

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riuso di quelle antiche strutture. Da oggi anche per il Forte Rivoli vale questa constatazione, alimentata oltretutto dal capitolo conclusivo del libro dove Gino Banterla, prima di prospettare un futuro, si spera non troppo lontano, in cui il Forte potrà assumere il ruolo di polo culturale regionale, presenta un lungo elenco di “occasioni perdute” per il recupero del monumento. Sarebbe quindi giunto il momento di inaugurare una nuova stagione per passare “dalle carte alle malte”, dove la maturazione delle conoscenze storiche possa tradursi in operazione concrete per la salvaguardia, la conservazione e il ri-utilizzo dell’antico patrimonio di architettura militare della nostra provincia, che però non può più passare per iniziative singole ma attraverso una pianificazione corale delle azioni sull’intero territorio.

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a cura di Gino Banterla e Lino Vittorio Bozzetto Forte Rivoli Il sistema di difesa della chiusa veneta e un progetto culturale per il xxi secolo 2016, Comune di Rivoli Veronese Comitato Rivoli ‘97

01-02. Le immagini fanno parte di una campagna fotografica attualmente in corso per il Comune di Rivoli.


Il bosco in movimento

Ai piedi dell’argine dell’Adige, nella bassa veronese, l’impianto di circa settecento nuove piante con uno scopo insieme paesaggistico e sociale

Testo: Irene Meneghelli Foto: artcamvideo.com

La bassa veronese è un territorio fortemente dominato dal paesaggio agrario, una landa sconfinata in cui la linea d’orizzonte è interrotta solo dal rilievo dell’argine dell’Adige, dai capannoni industriali e dalla sporadica presenza di alberature. Ai piedi dell’argine dell’Adige, nel comune di Roverchiara, l’Associazione culturale “Radici in Movimento” è nata dalla volontà di riappropriarsi di un luogo e di dare vita a un nuovo paesaggio. In un contesto di ottica puramente produttiva, in cui l’agricoltura intensiva monocolturale ha omologato il paesaggio e ha eliminato quella che Gilles Clement chiama friche, l’incolto, il verde spontaneo, un gruppo di persone ha voluto creare uno spazio per la diversità. Per dare vita al Bosco di Albarella – nome derivante dall’antico nominativo presente nel Catasto Austriaco – sono state piantate circa settecento piante di diverse specie, tra piante ad alto e basso fusto e arbusti: piante autoctone, inserite nel proprio habitat, che diventeranno dimora per numerose specie animali. Una visione clementiana del paesaggio, la volontà di veder

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crescere il bosco nelle sue varie fasi, in quanto “il processo attraverso cui il giardino si trasforma è più importante di uno dei suoi stati”. è stato scelto di piantare piante molto giovani, ci vorranno circa vent’anni per raggiungere uno stato definibile come vero e proprio bosco, tra le settecento piante alcune prenderanno il sopravvento e altre non sopravvivranno, è una scommessa sul futuro che dovrà essere portata avanti dalle prossime generazioni. Il progetto di paesaggio, a differenza di quello architettonico, è solo in parte dominabile e non è mai compiuto, continua a evolvere seguendo i fenomeni naturali, caratterizzandosi di un aspetto di

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imprevedibilità, non è un prodotto finito ma in continua trasformazione e movimento. Lo scopo, oltre che paesaggistico, è anche sociale, il bosco è luogo di aggregazione per eventi: nel progetto gli alberi sono stati disposti seguendo linee curve, non a filari, per lasciare al centro una radura, che diventerà una sorta di piazza nel verde e ospiterà concerti e altre manifestazioni. Il luogo strategico, nei pressi del fiume, è stato scelto per creare una connessione con la ciclovia esistente lungo gli argini, per creare un luogo di sosta e di appoggio per il turismo ciclabile, avendo l’Adige un percorso quasi interamente percorribile dalla sorgente alla foce e collegato a molti altre reti ciclabili. Il passo ulteriore che vuole fare l’Associazione è costruire un bici-grill con materiali di riciclo e successivamente quello di restaurare l’antica casa colonica che si trova all’interno del terreno per renderla un bivacco a disposizione dei ciclisti. Il progetto di recupero della casa è in fase di elaborazione, ma il

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committente Associazione culturale Radici in Movimento progetto paesaggistico arch. Umberta Fiorini, ing. Umberto Patuzzo (Associazione Radici in Movimento) dott. forestale Antonio Comunian dati dimensionali Dimensioni lotto: 9.000 mq ca. Alberi piantati: 700 ca. (tra alberi ad alto fusto e arbusti) cronologia Impianto bosco: 23 ottobre 2016

01. L’area del Bosco di Albarella evidenziata dal colore nell’ortofoto. 02. Mappa del catasto austriaco, 1847. 03. Planimetria con annotazioni di progetto della disposizione di alberi ad alto fusto e arbusti nel bosco. 04-06. Il bosco e la casa allo stato attuale.

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principio di fondo è mantenere il più possibile l’esistente, salvaguardare i materiali antichi e mantenere l’originaria conformazione della casa. L’architettura rurale è testimonianza di una società agricola che è profondamente cambiata, le cascine, le stalle, i fienili, le barchesse sono un patrimonio che va preservato in quanto simbolo di un modo di abitare il territorio legato a un’agricoltura domestica, oggi quasi scomparsa. La maggior parte delle architetture rurali nella bassa veronese è in stato di abbandono, parzialmente crollate o inaccessibili: il momento di recuperarle è adesso, alcune hanno un alto valore artisticoarchitettonico, potrebbero essere rese punti di attrazione per il territorio. La bassa veronese potrebbe diventare un luogo di attrazione per il turismo rurale, come il parco agricolo sud di Milano o la pianura olandese. L’associazione Radici in Movimento ha svolto un passo molto importante in questo senso, ha voluto valorizzare il proprio territorio e dargli un valore culturale, dando vita a un paesaggio inedito, uno nuovo scenario di naturalità.


#DESIGN_VR:

Lava Spazza Asciuga

Non solo arredi e oggetti da contemplare: l’industrial design nella sua accezione più letterale Testo: Laura De Stefano

01. Un ritratto di Valerio Facchin. 02-04. Disegno tecnico e due vedute renderizzate di apparecchiature per la pulizia. www.valeriofacchin.it 01

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Valerio Facchin è un architetto: quando ha iniziato il suo percorso universitario non esistevano ancora corsi di laurea in design, ma solo poche e costose scuole private. Già durante gli studi ha iniziato a svolgere alcuni incarichi di consulenza per un’azienda che produce macchine per la pulizia industriale, e da questa esperienza è nata una proficua collaborazione, durata sedici anni, e una “specializzazione” nel floor cleaning design. Dopo una parentesi imprenditoriale durata dieci anni come socio fondatore di un’azienda sempre in questo settore, Facchin è tornato alla libera professione, impegnandosi come progettista in diversi campi e tenendo corsi di Design Management. È inoltre membro da alcuni anni dell’Osservatorio Permanente del design di ADI - Associazione per il Disegno Industriale, di cui è stato Presidente della Delegazione Veneto e Trentino Alto Adige nel 2015. Dall’inizio della sua attività negli anni Ottanta ad oggi, il mondo del design è molto cambiato: si è passati dal disegno a matita e china con il tecnigrafo ai software in 3D, ma anche la produzione ha avuto una grande svolta grazie alla tecnologia a stampaggio con tecnica rotazionale, che ha permesso una grande libertà nella progettazione. La peculiarità del suo approccio come designer è quella di curare l’aspetto

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formale di prodotti “tecnici”, per migliorare la funzionalità operativa e facilitare l’interfaccia uomo-macchina. Il rispetto di tutte le norme tecniche, pur necessario, non garantisce di per sé che il prodotto sia non solo bello, ma confortevole e facile da utilizzare. Ma come nasce un prodotto? La fase di briefing iniziale con l’azienda è necessaria a fissare gli input del progetto: si considerano i vincoli meccanici e dimensionali, i requisiti tecnici e funzionali, gli aspetti costruttivi e i materiali da impiegare, a seconda dei requisiti estetici, del posizionamento sul mercato e dei costi di produzione. Da qui le idee prendono forma, abbozzando le soluzioni costruttive e di assemblaggio. La verifica ergonomica, quella funzionale e l’analisi costruttiva ed economica permettono di dare validità al concept. Il passaggio al disegno tridimensionale dei componenti permette poi in tempi molto rapidi la realizzazione dei prototipi e successivamente, mediante macchine a controllo numerico, degli stampi. Ma il percorso per far arrivare il prodotto su un mercato sempre più esigente è ancora lungo. Il dialogo con l’azienda resta comunque fondamentale per cogliere e approfondire le esigenze di prodotti ben concepiti e con costi ridotti di gestione e manutenzione, e trasformarle poi in nuove opportunità progettuali.

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lavapadelle

Brema

AT-OS

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Il progetto ha definito le caratteristiche formali e costruttive di un contenitore in po-

Di fronte ad una funzione non certo aulica – il lavaggio e la disinfezione di conte-

lietilene, idoneo al contatto con gli alimenti e altamente isolato, da utilizzare come

nitori sanitari per rifiuti organici – le caratteristiche richieste per questa apparec-

supporto per diversi modelli di macchine per la produzione del ghiaccio; una volta

chiatura da utilizzare in ambito sanitario erano improntate alla compattezza, alla

prodotti, i cubetti di ghiaccio cadono direttamente nel contenitore, per poi essere

facilità di installazione e alla chiarezza e pulizia durante l’utilizzo, attraverso un’in-

prelevati aprendo il cofano in plastica.

terfaccia intuitiva. Al suo interno, il sistema di disinfezione termica si avvale di un generatore di vapore.

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bin 240


FLUSSIMETRO

CARRELLO BIKE

Adam Pumps

Cliente privato

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La relazione tra il display digitale, compatto e dall’ingombro dettato dall’ergonomia

Nel concept per un rimorchio da bicicletta, lo studio progettuale si è incentrato sul-

del lettore, e il dispositivo meccanico del contalitri digitale (basato su ingranaggi

la possibilità di ridurre l’ingombro del carrello, ripiegandolo se non usato, e sulla

ovali per misurare i flussi di olii e gasolio) definisce le caratteristiche formali di que-

leggerezza garantita dai componenti plastici, per consentire di sfruttare la biciclet-

sta apparecchiatura.

ta come mezzo di carico oltre che di trasporto.

LAVASCIUGA PAVIMENTI Adiatek 2013 Una ampia famiglia di prodotti (Opal, Amber, Diamond...) racchiude l’esperienza nel settore di Facchin, che in particolare per questa azienza ha messo a punto diversi modelli di macchine lavasciuga pavimenti per usi professionali, con una gamma personalizzabile a seconda della tipologia, delle dimensioni e dell’autonomia di lavoro, in parallelo all’evoluzione delle componenti tecnologiche e produttive.

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aspiratori industriali ODEON

Fimap 2016 Per questa gamma di aspiratori professionali di fascia alta, concepiti completamente in polipropilene termoplastico per essere di facile manutenzione e dotati di un’ampia possibilità di sistemi diversi di filtrazione di tipo dry e wet and dry, le immagini mostrano il passaggio dal disegno 3D al prototipo dell’involucro al prodotto finito.

TECH TANK BLUE

TEAM

Adam Pumps

Tmb srl

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La configurazione dell’involucro-scocca stampato in polietilene rotazionale defini-

Per questa linea di aspiratori professionali, dotati di due tipi di testata con tre o con

sce l’aspetto e le modalità d’uso di questi serbatoi per lo stoccaggio e il trasporto

un solo motore di aspirazione e sistema di inversione del flusso per la pulizia del

di carburante – per il rifornimento di mezzi d’opera in cantiere o in ambito agricolo,

filtro, il progetto ha messo a punto le varianti del sistema, che prevede la possibi-

o in banchina per barche e natanti –, proteggendo tutti i componenti tecnologici nel

lità di scegliere la capacità del fusto, il materiale del fusto (acciaio inox o plastica)

volume del serbatoio stesso. Selezionato all’ADi Design Index 2016.

e il tipo di carrello.

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Collezione Privata

Supernatural: una storia per elementi

Nel suo studio a San Giorgio di Valpolicella Tiziano Olivieri raccoglie ed elabora uno sbalorditivo catalogo di oggetti

Testo: Luigi Marastoni

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« [...] Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? perché sono qui, e perché non sono lì? quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? la vita sotto il sole è forse solo un sogno? non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro? c’è veramente il male e gente veramente cattiva? [...] »

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(Peter Handke, Elogio dell’infanzia 1 La citazione in apertura permette di esprimere l’aspetto fondamentale del lavoro di Tiziano Olivieri: lo stupore infantile che pervade l’intera sua opera, la continua ricerca di porre domande semplici e abituali, che qualsiasi individuo potrebbe porsi, ma “per sempre”; come se gli oggetti che di continuo egli crea aiutassero ad alleggerire di significato queste domande, a renderle più vicine all’uomo senza divenire banali.

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Ma se l’angelo di Wim Wenders era un angelo urbano, tutto teso – nel mostrare l’anomalia di Berlino – a raccontare l’uomo di fine Novecento nel proprio habitat underground, Olivieri affronta temi “per sempre”: l’Uomo e il suo rapporto con la Natura. Ed è nel raccontare cos’è oggi la natura che la sua opera si fa interessante: egli frequenta abitualmente il bosco che diventa per lui risorsa infinita, ma

01. Lo studio dell’artista a San Giorgio di Valpolicella. 02-03. Supernatural. Una storia per elementi, installazione (2010). 04. Campo visivo, 2016.

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Collezione Privata 05. Il mio giardino, 2004. 06. Particolare dell’installazione Supernatural.Una storia per elementi (2010).

quotidianamente vive la realtà del mondo del lavoro contemporaneo in un’azienda del settore lapideo. Qui non opera come artigiano, non usa la sua abilità manuale, bensì organizza il personale e le relative lavorazioni: una catena infinita che lo porta di continuo a ricevere camion, smistare grandi lastre di marmo tutte dello stesso formato, applicare finiture richieste, consegnare nuovamente le lastre all’azienda proprietaria del materiale. Un uomo che vive la serialità del mondo del lavoro, la ripetitività della catena di montaggio, consapevole che “la catena del meccanismo causale messa in moto dalla tecnologia prometeica, stringe il cittadino di Macropoli,cui sempre più angusto si fa l’orizzonte di libertà” 2 . Il suo studio a San Giorgio di Valpolicella è il luogo dove “raccoglie” gli oggetti a reazione poetica e dove sedimenta le proprie esperienze; in questo laboratorio in continuo divenire – esso stesso

una delle sue opere – avviene la trasformazione: un’operazione lenta che permette all’autore di stratificare per arrivare alla meraviglia delle sue opere sempre diverse ma sempre costruite con gli stessi principi: “È la storia di un flâneur capace di attraversare il mondo visionario, di attingere dalla memoria, dalla natura e dal tempo. Il fantastico e il mondo dei giochi sono il suo paradigma” 3. Ma torniamo al rapporto con la Natura: ho sempre pensato che il suo incessante, lento, eterno lavoro di poter creare e trasformare elementi presi per lo più dal mondo naturale fosse una risposta all’idea della Natura che l’uomo occidentale continua a sostenere. “In questi stessi giardini facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o più tardi della stagione in cui esse nascerebbero naturalmente e li facciamo fiorire e fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado di ottenere piante molto più grandi delle normali e i frutti di queste

piante sono più grandi, più dolci e differenti di gusto, colore e forma degli altri della specie originaria… Disponiamo anche di parchi e di recinti per animali e uccelli di ogni tipo… riusciamo a renderli artificialmente più grossi o più alti degli altri membri della specie originaria…” 4. Il recupero di materiali che provengono da ogni dove, la loro successiva trasformazione,

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07. Un’altra veduta dello studio. 08. Riflessi di infanzia (2005) incorniciata a parete nello studio. 09. La giostra della memoria (2008) allestita negli spazi di Red Zone Art Bar.

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tiziano olivieri

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raccontano una maniera di fare che non ha simili nell’era moderna: una attenzione alle cose della Natura che rimanda alla civiltà contadina e/o alle “osservazioni sulla natura” di tipo ottocentesco. Nidi di uccelli, sassi, pezzi di legno, calci naturali recuperate in cava, nel loro insieme risultano disarmanti. Ma quando “il Cala” applica agli object trouvé la trasformazione, è sbalorditivo: resina, materiali di discarica, biglie di vetro, paccottiglia si sommano ai precedenti e, di volta

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in volta, danno risposte semplici e mai banali: il nido ricoperto di resina non ha più nessun afflato naturalistico né di vita altra, ma porta dentro le nostre case un oggetto d’arredo che rimanda profondamente alla vita che non pratichiamo più: alla Natura nel senso più elevato del termine.

1 Le parole di Peter Handke ricorrono nei

dialoghi del film di Win Wenders Il cielo sopra Berlino, 1987. 2 Rosario Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo. 3 Luigi Marastoni, dalla presentazione

della mostra Supernatural. Una storia per

elementi, Red Zone Art Bar, San Giorgio di Valpolicella, maggio 2010. 4 Francesco Bacone, La nuova Atlantide.

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Tiziano Olivieri, “il Cala”, nasce a San Giorgio di Valpolicella nel 1958. è l’ultimo figlio nato in casa e, pur non abitando più in Valpolicella, la sua vita ruota ancora attorno a quel paesino abbarbicato sulle colline veronesi: il suo studio è nella casa natale, e il suo ricercare elementi ha come base di partenza quel borgo. Da sempre dedica all’arte una parte preponderante della sua vita, a partire dall’insegnamento di maestri come Ernesto Bussola, Luigi Brazzarola e Giovanni Cavassori.


Gianni Perbellini a Verona

Testo: Angela Lion

Immaginate per un momento di avere tra le mani una matrioska: invertitene il sistema di funzionamento ed otterrete un piccolo uscio, celato dal brusio urbano alle pendici della collina, che conduce in un eden dal silenzio surreale dentro il quale si apre, quasi per magia, un antro vasto e densissimo di memoria: è lo studio Perbellini, che disegna come in uno squarcio la storia architettonica della nostra città, e non solo. Gianni Perbellini (Giovanni all’anagrafe) nasce nel 1936 a Verona dove frequenta il liceo scientifico. Si trasferisce a Milano per gli studi universitari, durante i quali continua a dedicarsi, per diletto e non solo, alla pittura, sua grande passione, che gli rende una buona manualità nel disegno e gli consente di vincere svariati premi. L’ambiente del Politecnico, frequentato dalla buona borghesia ambrosiana, era culturalmente molto stimolante, occasione di incontri importanti. Con Ernesto Nathan Rogers prepara una tesina su Verona, un lavoro interessante, denso di fotografie e riprese filmate. Dopo la laurea conseguita nel 1962 con una tesi in edilizia alberghiera, mantiene relazioni con architetti del calibro di Gio Ponti o Antonio Cassio Ramelli, per citarne alcuni. Sarà Milano la sua “chioccia” lavorativa, cimentandosi all’inizio della carriera come assistente al corso di Urbanistica. “Insegnare era

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bello allora – confida – ogni cattedra aveva un assistente di ruolo e il lavoro era indubbiamente semplificato”. Questo gli consentì di avviare in parallelo la libera professione. I primi incarichi riguardano le aree di servizio delle allora nascenti autostrade: il Bauli grill a Sommacampagna, realizzato tra il 1965 ed il 1966, caratterizzato dal rivestimento color grano, e la proposta per le aree di servizio dell’Autobrennero, basata su un sistema di prefabbricazione pesante in cui gli

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elementi urbanistici e costruttivi diventano unità di paesaggio attrezzate con le cellule funzionali dai servizi al ristoro alla polizia stradale. Il fuoco della conoscenza è alimentato da continui stimoli, dagli inviti a convegni e concorsi e da un periodo di ricerche con Europa Nostra a L’Aia. Lascerà la metropoli solo quando otterrà la cattedra di Elementi di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti, ritornando nella sua città natale. A Verona Piero Gazzola, che era stato suo docente di restauro al Politecnico, lo introduce nell’ambiente culturale locale. Chiamato per un incontro presso la Soprintendenza nell’allora sede di Palazzo Orti Manara, entra in relazione con un gruppo di tecnici tra i quali era presente anche Scarpa; si ritrovano poi ad un convegno ad Asolo e da allora nasce un’amicizia esterna alla professione. In seguito Gazzola gli propone un incarico di collaborazione relativo alla tutela del patrimonio architettonico di Cremona, allora sotto la giurisdizione della Soprintendenza veronese. Vi rimane per cinque anni, operando notevoli interventi grazie alle sovvenzioni garantite dalla Regione Lombardia, e al sistema virtuoso messo a punto da Gazzola: per poter sostenere recuperi di una certa portata faceva sì che lo Stato ne coprisse economicamente un terzo, mentre il rimanente veniva sovvenzionato dagli enti locali, triplicando così i progetti.

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01. Gianni Perbellini nel suo studio e, in basso, studio di fattibilità per Castel San Pietro e Teatro Romano, planimetria relativa allo studio dei percorsi (19881990, con A. Bruno e A. Rudi). 02-03. Plastico di uno dei nodi per i servizi autostradali e schizzi di alcune stazioni dell’Autobrennero (1967, con S. Delsante, T. Badano e inizialmente A. Cambruzzi). 05-07. Planimetria generale, foto e sezione di progetto della nuova copertura della corte centrale di Palazzo Vimercati (1973-1975).

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08-09. Casa Malaspina in piazza Duomo: vista dopo il restauro, prospetto principale e sezione di progetto (1990-1994). 10. Planimetria generale della villa Algarotti-Francescatti. 11. L’edificio principale della villa Algarotti-Francescatti: piante e sezione principale. 12-15. Villa Algarotti-Francescatti. L’edificio principale durante il cantiere; dettaglio del rafforzamento delle volte in mattoni della scuderia delle carrozze. Vista del fronte esterno. Foresterie. Il pozzo nella corte della portineria.

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Una volta – sottolinea Perbellini – il nostro patrimonio culturale era tutelato in modo contingente: le figure presenti in Soprintendenza erano il falegname, il muratore e lo scalpellino, una squadra dedicata all’immediato intervento, fortemente sostenuta da Gazzola. Il destino fece però sì che Perbellini non sostenne mai il concorso in Soprintendenza, preferendo intraprendere altre strade, sebbene con Gazzola fosse nata una stretta amicizia. Fu, per lui, una figura determinante per gli insegnamenti ricevuti e per averlo introdotto nel mondo dell’associativismo, soprattutto quello internazionale: collabora con I.C.O.M.O.S. a Parigi, di cui diventa associato nel 1975, e in seguito diverrà anche presidente per circa un ventennio del Consiglio Scientifico dell’Internationales Burgen Institut e poi di quello di Europa Nostra. Studi e ricerche sul patrimonio culturale sono alla base della sua professione. Egli sostiene vivamente che “è tutto ciò che serve per dare consistenza ad un progetto prima e dopo”. Principio che applica con ottimi esiti anche nella pubblica amministrazione, quando tra gli anni Sessanta e Settanta è coinvolto per un decennio nel vaglio dei piani urbanistici, passati dallo Stato alle Regioni con un arretrato non calcolabile. Un’esperienza,

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questa, che ha aperto la strada a un nuovo modo di operare, ponendo le basi per i regolamenti edilizi attraverso l’analisi del territorio, durata fino a quando la competenza è passata alle Provincie. Nel frattempo, l’attività progettuale nel veronese si concentra sul restauro di numerosi immobili di pregio. Tra questi, nel 1973 interviene su palazzo Vimercati, nel cuore dell’urbe veronese comprendente l’isolato tra via San Cosimo lungo via Fabio Filzi fino a via Frattini. Quest’area si trova in un complesso monumentale a ridosso del tratto delle mura di Gallieno-Teodorico, di epoca romana, che lo stesso Perbellini aveva restaurato. Rimette in luce un compendio interrato, posto al di sotto della quota stradale e poco sopra il ritrovamento di una casa romana decorata con mosaici, servendosi di grandi finestrature che creano un filtro coperto. Degli anni Settanta sono gli interventi sulla cinquecentesca Villa Della Torre a Fumane e su Palazzo Paglieri del XVIII secolo in Piazza Cittadella (sede dell’Associazione Industriali), mentre risale agli anni Novanta il restauro di casa Malaspina in piazza Duomo, sempre a Verona. Di particolare rilevanza è il recupero di Villa Francescatti ai piedi del Colle San Pietro, adibito a ostello della gioventù, su cui ha lavorato per un arco temporale amplissimo, dal 1979 concludendo nel 2000. Per la sua configurazione articolata, il complesso è stato ripartito in sottoaree legate da un filo comune per garantire l’unità storica. Il recupero ha inizio dal cuore, l’edificio

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16. Schizzo per lo studio di fattibilità per Castel San Pietro e le mura (con A. Bruno e A.Rudi, 1988-1989). 17. Masterplan di Colle San Pietro e relativa analisi del paesaggio, Piano Particolareggiato della Zona 22 (2006). 18-19. Studio del sistema ambientale ed elaborati (planimetria, pianta, prospetto, assonometria) del pontediga nel compendio di Valeggio (1976-1996, con S. Casali). 20. Veduta interna della cappella dell’Istituto Leonardi a San Zeno di Montagna (1975).

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principale, dove ogni singolo elemento decorativo e costruttivo è stato studiato in modo maniacale, come si evince dall’abaco dei serramenti, frutto di un sapere artigianale dove la mano della cultura storico-architettonica ha dato i sui frutti migliori, guadagnando il Premio Europa della Toefler Foundation di Amburgo. La foresteria, il parco, la portineria e il belvedere sono gli step successivi dell’intervento. Non troppo lontano da questo luogo si trova l’isolato di via Case Rotte, un complesso di edifici del sedicesimo secolo recuperato da Perbellini, che vi ha collocato anche il suo studio (la “matrioska all’incontrario” dell’incipit). Siamo ancora nell’ambito del Colle San Pietro, oggetto negli

anni 1988-1990 di un approfondito studio per il sistema degli accessi (redatto assieme a Andrea Bruno e Arrigo Rudi) comprendente il Teatro Romano, la Chiesa di Santa Libera, il Convento dei Gesuati, la caserma austriaca, il Castello comunale visconteo e le Mura magistrali dalla Bacola a San Zeno in Monte. Nel 2006 per la medesima area arriverà il masterplan all’interno del Piano degli Interventi. Altri interventi hanno riguardato parti della cinta magistrale e sistemi monumentali, come il progetto con Sandro Casali per il castello di Valeggio, il ponte-diga visconteo e il ricetto di Borghetto (1977-1996). Una vita – dice Perbellini – passata a recuperare edifici storici: ma poi ecco le

scuole Catullo davanti alla chiesa di San Giorgio, esempio di estrema modernità. Un intervento ex novo in un contesto urbano particolare, rispetto al quale lo stacco è deciso. Il volume a sbalzo della palestra rappresenta il il ribaltamento in orizzontale del prospiciente campanile di San Giorgio. Il progetto, redatto assieme a Libero Cecchini e Lauro D’Alberto, è datato 1968. Il suo contributo nei confronti della città continua anche in tempi più recenti: nella didattica – dal 2002 al 2010 insegna restauro architettonico all’Università di Verona nei corsi di Scienza dei Beni Culturali – e in altre occasioni progettuali. Da ricordare il progetto per il restauro-recupero della Gran Guardia, condotto insieme all’amico

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21-22. Scuola Valerio Catullo a Verona: prospetti nord e sud (1968-1973, con L. Cecchini e L. D’Alberto). 23-25. Grezzana, la facciata di Villa Arrighi verso il parco; la loggia superiore prima e dopo l’intervento di restauro (19891993).

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architetto Luigi Calcagni, che abbraccia un lungo arco temporale dal 1982 al 1998; Villa Arrighi a Grezzana (1993) con la sua imponente loggia e i delicati affreschi, e Villa Maggi a Nogara (1997, premio Europa Nostra per il restauro), dove l’aspetto ingegneristico occupa un peso determinante al pari di quello architettonico. Un lavoro in cui la cultura architettonica e l’attenta critica dei processi storici hanno permesso un’accurata valorizzazione. E ancora a Verona l’ex convento (1998-2000) e la chiesa di Santa Chiara (2002), alle spalle di piazza Isolo ai piedi della salita di San Giovanni in Valle, sono oggetto di un lavoro estremamente complesso, a partire da più elementi manipolati nel corso del tempo ma incompiuti. Nel rispetto del passato, il progetto ha mirato alla conservazione integrale delle parti ammalorate così come venivano ritrovate e ad un loro risanamento estetico, mentre le nuove strutture hanno il sapore, volutamente, di installazioni provvisorie ed intercambiabili. Nella parte laterale della chiesa, precedentemente spogliata del suo volume addossato all’abbazia del 1600, ricostruisce un portico aperto e una parte di muro, ripristinando il rapporto tra interno ed esterno dell’edificio conventuale. Tasselli di un portfolio architettonico inesauribile e tuttora in progress: questa è la mano attenta e sapiente del mastro-restauratore.

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26. Veduta delle scuole medie Valerio Catullo da Porta San Giorgio, prima delle arbitrarie modifiche del decennio scorso, (1968-1973). 27-28. Restauro di Palazzo Maggi a Nogara (1984-1997): vista aerea e particolare di un interno della biblioteca comunale. 29-30. Vista del cortile interno prospiciente la chiesa di Santa Chiara e abaco dei serramenti dell’ostello della Gioventù realizzato nel convento detto anche ‘Casa del 1000’ (1998-2002). 31. Sezione longitudinale della Chiesa di Santa Chiara, progetto del 2002-2004. 29

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{DiverseArchitetture}

Dal tecnigrafo alla vigna

Il passaggio inizialmente casuale dall’architettura alla vinificazione come espressione di una esemplare passione per il paesaggio veronese

Testo: Luisella Zeri

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Nome cecilia trucchi Luogo azienda agricola villa bellini castelrotto san pietro Incariano (Vr) AttivitĂ architetto e coltivatrice vitivinicola

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SAN PIETRO IN CARIANO SAN PIETRO IN CARIANO Veduta di scorcio della villa (Archivio IRVV) IRVV) Il fronte su strada (Archivio Veduta di scorcio della villa (Archivio IRVV) Se Particolare negli occhi trasparenti di CeciliaIRVV) degli annessi rurali Il fronte su strada (Archivio IRVV(Archivio ) Trucchi è possibile vedere il (Archivio cielo della Il prospetto della casa colonica (Archivio IRVV Particolare degli annessi rurali IRVV )) IRVV agli annessi rurali Valpolicella, questo è un (Archivio caso. Formatasi IRVV)) Il L’ingresso prospetto della casanon colonica (Archivio L’ingressoe agli ruralicoltivatrice (Archivio IRVV) architetto perannessi vocazione

e ambientali che coniugano le passioni più grandi di Cecilia. Ad affiancare la dimora antica il Brolo, viali alberati, annessi

rustici del Seicento, marogne, una grotta con

vitivinicola è riuscita a sviluppare la

una sorgente e un laghetto nel bosco.

passione per il paesaggio in un mestiere dove

Gli inizi dell’avventura vitivinicola

il tavolo da lavoro è stata la terra e lo

presso Villa Bellini prevedono il minimo

Verona. La sua storia professionale conferma

Con l’aiuto del marito Marco Zamarchi, anche

studio tecnico le colline che incorniciano

dei lavori necessari all’avvio dell’impresa.

quanto è vero che una volta incontrata

lui architetto, Cecilia sistema la vigna,

l’architettura si è architetti per sempre,

le cantine e alcuni spazi per ospitare la

ma anche che trasformare il territorio, per

famiglia. La produzione è caratterizzata

alcuni vuol dire disegnare allo schermo del

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inizialmente dai vini DOC tipici del

computer mentre per altri significa lavorare

Territorio, Valpolicella e Amarone. Solo dopo

il suolo con le proprie mani.

alcuni anni di esperienza arriva il Taso,

La storia di Cecilia Trucchi profuma

come un figlio portato nel grembo per un lento

di paesaggio nel senso più vero del

periodo di gestazione.

termine, si coniuga con il racconto che

traccia i contorni del suo vino, il Taso

e con il percorso fatto fino al 2016 presso Villa Bellini a Castelrotto di San Pietro 

Incariano. Qui approda quasi per caso, Villa Bellini alla fine degli anni ottanta, quando con

il padre albergatore acquista Comune: l’immobile San

Carnesali

Pietro in Cariano

Frazione: Castelrotto e le sue pertinenze al fine di realizzarvi Via deirisulta Fraccaroli, un relais fra le colline. L’impresa

da subito complicata perché la dimora,

Irvv 

originaria del 1600 e sottoposta vincolo Ctra 

VILLABELLINI

monumentale in quanto Villa Veneta, non Biologica Azienda Agricola

Via Dei Vincolo: .Fraccaroli, 6⁄ può vedere trasformata la destinazione Loc. Castelrotto di Negrarine

A mezza costa sul versante orientale del monte Perez, lungo la strada che parte dal centro05di Castelrotto, si incontra sulla destra il retro della villa che interrompe l’alto muro di cinta di tufo, costeggiato fino a quel momento e preceduto dallo slargo della cancellata d’ingresso, fiancheggiata da cipressi secolari. Il lungo parallelepipedo lievemente concavo del corpo di residenza padronale, edificato dalla famiglia Bellini non prima del  secolo e giunto a noi in pessimo stato di conservazione (solo da poco sembra si proceda ad alcuni lavori di restauro), si risolve su questo fronte con la semplicità delle adiacenze

 Decreto:  ⁄  ⁄  03 Verona · Italia Dati catastali: . , .01. Villa ⁄ Bellini ⁄  ⁄  ⁄ e le⁄  sue dalla  ⁄ Tel. 0039.045.77.25.630 ⁄frase  ⁄  di ⁄  ⁄  pertinenze al centro Fax 0039.045.77.25.400

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37029 Persa San Pietro in Cariano d’uso da residenziale a ricettiva.

questa occasione e stimolata

un amico 456

“Qui devi proprio fare vino”, E-mail: il villabellini@villabellini.com

di una veduta aerea del 2010. 02. nario Ceciliache Trucchi. Il linguaggio semplificato di questi elementi non è ancora ne segna senza interruzione i confi456architettura e specializzata attraverso un Una mappa storica esente da una qualche rustica enfasi, connotando in 03. ni. corso di paesaggio, non può resistere alla inquadra il territorio Il modo linguaggio semplificato questi è nario che ancora ne segna i confimarcato la facciata,diche peròelementi trova la non sua peSi segnala, all’interno dellasenza villa,interruzione la presenza di alcudi Castelrotto. tentazione provare arustica ricavare quella esente da di una qualche enfasi,daconnotando in 04-05. ni. culiarità nella tripartizione raggiunta con l’uso non ni soffitti decorati con gusto ottocentesco e un picIl fronte su strada terra qualcosa da si sente da trova sempre modo marcato la cui facciata, che però la sua pe-ri- Sicolo segnala, della villa, la presenza di ealcuscontato al piano terra degli archi leggermente teatro che, nei momenti di maggior fasto attidella Villa eall’interno particolare culiarità nella tripartizione raggiunta con l’uso non nività, soffitti decorati con locale, gusto ottocentesco un picattratta. Il terreno ha da caratteristiche degli annessi rurali. bassati, caratterizzati conci d’imposta sporgenti, seppur in ambito ha conosciutoe una cerIl rapporto tra la nei Villamomenti di maggior fasto e attiscontato al piano degli archi ri- 06.colo teatro che, archivolto liscio eterra ampio, chiave di leggermente volta raddoppiata fama. assolutamente favorevoli alla coltivazione e il terreno bassati, caratterizzati da conci d’imposta sporgenti,ri- vità, seppurdigradante in ambito locale, ha conosciuto una certa. Uno di essi, daplasmato solo, segna l’assediscesa di simmetria, della vite, perché dalla il brolo cintato. archivolto liscio e ampio, chiavefinestra di voltasovrapposta raddoppia-al 07.taIlentro fama. badito dall’unica più ampia fronte interno della prima dei ghiacciai e poi delle piogge un frontone curvo. ta.primo Uno dipiano essi, edacommentata solo, segnada l’asse di simmetria, ri-A residenza padronale. ed è inoltre costituito da terrazzamenti www.villabellini.com

Cecilia, laureata da qualche tempo in

delimitare questa porzione centrale,sovrapposta due aperturealsi badito dall’unica più ampia finestra

naturali ricoperti da un sottile strato curvo. prolungano al solaio, cuifrontone balcone èdiprotetto primo piano e fino commentata dail un A terra. Bellini non è centrale, solo un due tesoro daVilla una leggera ed elegante ringhiera metallica. delimitare questa porzione aperture

si

Due sequenze stessi tre per ciascuna, soprolungano fino degli alun solaio, ilarchi, cui balcone è protetto agricolo, ma anche meraviglioso scrigno

estremi ringhiera opposti, quasi inglobando dano unainserite leggeranegli ed elegante metallica. di scenografiche ricchezze architettoniche

nelsequenze paramento murario dell’edificio padronalesoun Due degli stessi archi, tre per ciascuna, Un nooggetto inseritearchitettonico negli estremi proprio opposti,delle quasibarchesse. inglobando arco, dimurario proporzioni diverse epadronale meno elaboranelquarto paramento dell’edificio un to nellaarchitettonico finitura, segnaproprio l’accessodelle al passaggio porticaoggetto barchesse. Un 108 to verso retro dove si trovano annessielaborarurali, e quarto arco,il di proporzioni diverseglie meno la residenza con il corpo di fabbrica più to connette nella finitura, segna l’accesso al passaggio portica-

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rurali, vivacizzata dalla dipintura dell’intonaco a corsi orizzontali, in colori di terre rosse e gialle ormai stinte. La definizione della superficie muraria con elementi di orditura architettonica si nota dapprima sul prospetto laterale, dove compaiono i rilievi delle fasce di collegamento dei davanzali e la modanatura su cui poggiano le alte mensole del cornicione. Questi proseguono con continuità sulla facciata principale esposta a sud-est, su cui sono riproposte, con scansione regolare, le medesime finestre incorniciate in tufo, con davanzale su piccole mensole e protette superiormente da una cimasa.


{DiverseArchitetture} Il Taso è unico nel suo genere. Se

volessimo inquadrarlo in una categoria

conosciuta sarebbe quella del Valpolicella Classico Superiore, ma in realtà di questa

tipologia di vino serba solamente gli echi della sua origine territoriale. Quando

Cecilia decide di staccarsi da una tradizione vitivinicola culturale ben precisa, lo fa per intraprendere un percorso di affermazione del

proprio pensiero e delle proprie idee. Inizia da un tipo di coltivazione biologica prima e poi, sempre più coscientemente abbraccia un

percorso biodinamico in un sistema unico fra

il suolo e la vita che si sviluppa su di esso. Questo tipo di scelta andrà a permeare tutta la filiera, richiedendo a coloro che se ne

occuperanno un alto senso di responsabilità e di coerenza consegnando interamente alla

natura i processi di produzione, dalla pianta fino alle reazioni chimiche in cantina.

Cecilia è un architetto che si occupa di

vino perché ha concepito la vigna come un

progetto unitario rispettoso di una natura che deve essere buona e anche bella. Con

la propria esperienza di progettista ha

disegnato un paesaggio armonico, dove le

viti sono coltivate con dimensioni contenute ad alberello, i pali di sostegno sono in castagno e non in cemento e i viali di

cipressi sono stati conservati mentre nelle

vigne dei coltivatori vicini venivano via via

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08. Una vista sulle vigne dell’azienda agricola. 09-10. Le etichette del Recioto Uva Passa e di due annate del Taso, disegnate personalmente da Cecilia Trucchi.

eliminati per guadagnare più spazio. Tutto è uno. Dalla terra alla bottiglia di cui

Cecilia ha disegnato con passione persino le etichette.

In questo percorso la presenza dell’uomo è

stata costante nelle scelte, nella ricerca, nei tentavi e nelle prove, ma in parallelo ci si è affidati alla natura per i processi più intimi della realizzazione del vino.

Il risultato di questa presa di posizione è

stato ogni anno differente per profumi, sapori ed aromi ed ha reso praticamente impossibile

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il fatto di decidere di volere inquadrarsi in disciplinari precisi come sono quelli delle DOC della Valpolicella.

Il Taso è un vino ribelle, fatto da

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11. Una bottiglia di Taso, vino d’elezione dell’Azienda agricola Villa Bellini. 12. Pampini acerbi sotto il sole della Valpolicella.

intellettuali che non hanno paura di

vecchi ne subentrano di nuovi più consapevoli

stessa terra amano il profumo e i frequenti

vigna, intraprenderanno percorsi biologici e

sporcarsi le mani con la terra, che della

sbalzi d’umore. Il Taso afferma un pensiero quasi controcorrente ed è per questo che

ed attenti, mentre gli stessi vicini di

biodinamici simili a quelli di Villa Bellini. Nel 2016 Villa Bellini è stata venduta

fatica a farsi classificare.

ad una nuova proprietà perché il ciclo di

virtuoso in un ottica di sviluppo sostenibile

i propri terreni è anche quello di sapere

Per quanto tutto ciò appaia profondamente

e di sfruttamento delle risorse, il percorso intrapreso a Villa Bellini non ha certo

rappresentato una facile sfida all’interno

di un entourage vitivinicolo profondamente legato ad una specifica tradizione di

coltivazione e di realizzazione del vino.

Quando Cecilia Trucchi comincia a produrre il Taso attorno a lei si crea il vuoto di

clienti ma anche di colleghi coltivatori che guardano alle sue prese di posizione con disapprovazione.

Come in tutte le imprese virtuose è il

tempo a indicare quanto una scelta possa

essere stata fatta con giudizio: ai clienti

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un agricoltore che coltiva con coscienza

quando è giunto il momento di ritirarsi per

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donare alla terra il continuo della propria

storia. Questo è il più grande gesto d’amore che Cecilia Trucchi ha potuto fare per le

sue vigne, scegliendo con attenzione i nuovi

proprietari e assicurandosi che quanto fatto fin ora venga portato avanti con le giuste

cure. Resta comunque il fatto che nei quasi

trent’anni di lavoro in Valpolicella Cecilia Trucchi ha rappresentato una rivoluzione culturale ancor prima che agricola,

tracciando un solco che come insegna la sua storia, di certo la terra non potrà dimenticare. Cin-cin.

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Ricognizioni su Francesco Banterle

Verona

Francesco Banterle è uno dei protagonisti dell’architettura del Novecento a Verona, attivo per circa quattro decenni a partire dal primo dopoguerra. Nasce a Milano nel 1886, si diploma presso il Regio Istituto di Belle Arti di Bologna nel 1916; dal 1928 è iscritto all’Albo degli architetti di Verona. Benchè svolto quasi esclusivamente nel contesto locale (fatta eccezione per l’exploit della cattedrale di Khartoum in Sudan, realizzata al principio degli anni Trenta), in merito all’evoluzione stilistica, alla natura della committenza e all’impatto sulla scena urbana il suo percorso professionale è analogo a quello del più noto collega Ettore Fagiuoli. Il clima dipendente dai secessionisti viennesi già introdotto da quest’ultimo architetto connota le prime opere di Banterle, quali la Palazzina per uffici delle acciaierie Galtarossa (1920, scheda 13) o la sede del Dopolavoro ferroviario (1921, scheda 12). Nel contempo i progetti per edifici residenziali, siano villini o palazzine, guardano al carattere proprio dell’età rinascimentale: in tal modo si configurano gli edifici realizzati negli anni Venti nei quartieri di espansione extramurale (schede 2, 14, 1, 3, 5). Il piano elaborato per l’abbattimento del Ghetto ebraico di Verona (1924-1930) si risolve sia nell’innalzamento di edifici che si inseriscono nel contesto urbano in modo mimetico, sia nella realizzazione del cosiddetto Superpalazzo (1930, scheda 9) opera dal linguaggio eclettico che costituisce la più imponente costruzione fuori scala posta in questi anni all’interno della città romana e altomedievale. Un’adesione alla retorica di regime (esplicitata nel progetto non realizzato per il Palazzo [segue a p. 103] Testi: Stefano Lodi e Alberto Vignolo Foto: Lorenzo Linthout

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1 VILLA TOSADORI Via Coni Zugna 1925 Per la famiglia Tosadori, impresari impegnati in quegli anni nella costruzione dell’ospedale di Borgo Trento, Banterle interviene ampliando la loro villa, di pochi anni precedente, posta a ridosso di via Mameli entro un ampio giardino. In pieno revival neomedievale, l’addizione si configura come la nuova-antica torre di un domestico castello, adorno degli attributi del caso (merlatura) e rifinito nel paramento esterno, come visibile nell’immagine d’epoca, da un’alternanza di finti conci di pietra e mattoni. L’adesione al gusto storicistico locale allontana questo intervento da altre realizzazioni coeve di Banterle, più aggiornate sui linguaggi modernisti di matrice internazionale.

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2 VILLA TRAINOTTI Via Cesare Abba-via Medici 1922-30 Frutto della collaborazione con l’ingegnere Bruno Ridolfi, è la tipica espressione, per tipologia e linguaggio, del nascente quartiere di Borgo Trento, dove sono presenti anche altre realizzazioni dell’autore. La conformazione del lotto all’incrocio delle due vie ha determinato l’articolazione planivolumetrica, con un corpo di fabbrica a più altezze, copertura a terrazza del volume più basso e una torretta con altana su via Abba, e un edificio indipendente su via Medici. Elementi decorativi quali cornici di finestre, fregi marcapiano e sottogronda, espressione di un linguaggio neorinascimentale, spiccano sulle superfici intonacate. La zoccolatura a bugna diamantata è un tratto distintivo di molte opere di Banterle.

4 VILLA GALTAROSSA Lungadige Cangrande 1941-47 Commissionata con ogni probabilità a Banterle dalla famiglia Galtarossa dopo la realizzazione della palazzina uffici in fregio agli stabilimenti siderurgici (cfr. scheda 13), la villa si caratterizza per la grandiosità dovuta al contesto allora di tipo semiurbano, a seguito della sistemazione della riva sinistra del fiume. L’edificio è separato

dal lungadige da uno scenografico giardino, oltre una importante recinzione con pilastri che reggono sfere tufacee. Nel prospetto principale una gradonata semicircolare immette a un avancorpo porticato, al di sopra del quale si apre una teoria di sette finestre ad arco sormontate da una loggia sostenuta da pilastrini a sezione ottagonale. Il lato posteriore della villa, affacciato verso il recinto dell’Arsenale, è caratterizzato dallo sporto semi ottagonale del corpo scale, sormontato da un’aerea loggetta.

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3 Palazzetto brazzaleni Via Prato Santo 1925-26 Anche in questo caso l’edificio è frutto della collaborazione tra Banterle e Ridolfi in qualità di tecnici di fiducia dell’Amministrazione Trezza d’Acquarone, dalla quale la committenza aveva acquistato il terreno edificabile. Articolato su tre piani fuori terra e impostato su una pianta quadrangolare regolare, il palazzetto è riconoscibile per la zoccolatura a bugne diamantate, al di sopra della quale sono impostati sul fronte principale due balconi ai quali si accede da finestre architravate divise da una colonnina. Al piano superiore le finestre binate sono invece racchiuse entro un arco. Fregi, scudi e altri elementi decorativi rimarcano puntualmente il decoro borghese del palazzetto.

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palazzina ragno Viale Colonnello Galliano 1928

CHIESA DI SANTA MARIA IMMACOLATA Via San Marco 1946

Costruito nel 1928 da Luigi Ragno, titolare dell’omonima impresa con la quale Banterle ebbe frequenti rapporti, il palazzetto è a questi riferibile anche per il linguaggio, confrontabile con le sue realizzazioni del medesimo periodo. Dei due corpi di fabbrica congiunti da un portico di accesso al cortile retrostante di cui era composto in origine, rimane oggi il volume di sinistra, un edificio compatto disposto su tre piani. Il

Una prima chiesa era già stata edificata su progetto di Banterle nel 1939 ai margini dell’insediamento di villini che sorgono tra l’asse di corso Milano e quello di via San Marco. Distrutta nel 1944 viene riedificata nel ‘46. La chiarezza formale e spaziale richiama i modelli francescani ben noti a Banterle che professava il terz’ordine. La planimetria a navata unica con presbiterio absidato mostra brevi rientranze laterali con funzione di cappelline. Il vasto invaso spaziale è suddiviso in settori da arconi che emergono leggermente dalla struttura, ed

disegno del prospetto è simmetrico, con un protiro sormontato da un balcone al centro in corrispondenza dell’accesso principale. Ai lati del portone d’ingresso e al secondo piano si aprono finestre architravate, mentre al primo piano sono presenti due trifore ad archi, ripartite da colonnine binate. Due curiosi balconi d’angolo stondati al secondo piano preludono allo stacco-arretramento in corrispondenza degli edifici adiacenti. Al di sopra del basamento in pietra, la superficie intonacata presentava un disegno a finti mattoni.

è caratterizzato dalla continuità verticale delle superifci murarie, ottenuta con pareti che reggono l’ampia volta a botte senza l’interruzione di una cornice sulla quale impostarsi. Le decorazioni pittoriche si devono a Adolfo Mattielli. La facciata a capanna che si eleva tramite un alto zoccolo è connotata dalla presenza di sporti laterali, di una struttura che si dispone intorno all’ingresso come un protiro e di un rosone.

7 casa del mutilato Via dei Mutilati 1933-34 Vincitore del concorso bandito nel 31, nella Casa del Sacrificio Banterle dispiega il tema celebrativo in un razionalismo retorico e monumentale, secondo le tendenze allora espresse dal regime fascista. L’ara per la costruzione dell’edificio è individuata dietro il teatro Filarmonico; la via di accesso da corso Vittorio Emanuele (Porta Nuova) inquadra prospetticamente il grande arco della facciata tripartita, entro il quale è inserito il portale di accesso affiancato da due gruppi scultorei opera di Ruperto Banterle (fratello di Francesco), fusi in bronzo nel 1960 ma originariamente in pietra. Interamente rivestita in pietra, anche negli ambienti interni della Casa si conservano le specchiature marmoree (androne, scala, cripta ai caduti) e gli arredi lignei, anch’essi progettati da Banterle, degli uffici al primo piano e del salone al piano rialzato.

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8 UFFICI fro Piazza Cittadella 1935-37 L’edificio venne realizzato entro una serie di interventi previsti per la sistemazione dell’area della Cittadella, comprendenti il palazzo INA di paolo Rossi De Paoli. La volontà di regolarizzare la forma della piazza dà luogo a un lotto di forma triangolare tra via Cittadella e Vicolo Cittadella, che diventa nel progetto di Banterle per la sede delle Fabbriche Riunite Ossigeno una ragione espressiva attraverso la soluzione dell’angolo arrotondato. Originariamente composto da tre piani fuori terra, è stato in seguito sopralzato in analogia alle parti sottostanti, segnate da fasce marcapiano in pietra entro le superfici ad intonaco.

9 SUPERPALAZZO Via Mazzini 1928-30 Costruito a seguito dell’abbattimento dell’antico Ghetto, per la ricostruzione del quale Banterle ebbe un ruolo di rilievo, il Superpalazzo deve il suo appellativo al volume decisamente fuori scala, che lo distingue dall’attenzione mimetica fino a quel momento adottata nell’intorno. Il prospetto su via Mazzini è definito da un ordine gigante, mentre nelle vie laterali rimangono leggibili alcuni elementi che rimandano all’originaria funzione interna. Disgiungendo completamente il progetto della struttura interna da quella dell’involucro, la Soc. An. Ing. Luigi Bertelè di Torino, proprietaria e costruttrice dello stabile, affidò all’architetto Mario Dezzuti la realizzazione del Supercinema – poi trasformato in grande magazzino – espressione di un aggiornato gusto che gli valse la pubblicazione sulla rivista “Architettura e arti decorative”.

10 CONDOMINIO LONARDI Lungadige Rubele-via Nizza 1954 Nella fase matura di Banterle, nel dopoguerra, la scala degli interventi e il linguaggio cambiano passo. In questo progetto di abbattimento e ricostruzione viene declinata la tipologia del nuovo condominio urbano, che risolve della dimensione edilizia e costruttiva l’afflato urbanistico dell’impianto. L’ampio porticato trova una corrispondenza nell’edificio prospiciente, secondo un disegno basato su un attento studio della veduta prospettica dal ponte Nuovo. Relativamente a questo progetto esiste una elaborazione precedente del disegno dei prospetti improntata a criteri stilistici pre-bellici, con il portico ad archi.

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11 CASA BUONI FANCIULLI San Zeno in Monte 1936

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Il progetto di ampliamento dell’istituto assistenziale fondata da Don Calabria – del quale Banterle realizzerà anche il sepolcro all’interno della chiesa di San Zeno in Monte – è redatto assieme all’architetto Marcello Guarienti. Costruito sul fronte della collina, l’edificio assume l’aspetto di una grande sostruzione ad archi del soprastante piazzale, su cui affacciano gli altri edifici del complesso. Proprio l’aspetto di questo fronte dal rilevante impatto urbano determinò una serie di varianti alla proposta progettuale, nel numero delle campate e nell’interruzione a mezza altezza dell’ordine gigante delle vetrate, nei rapporti con la Commissione Edilizia e la Soprintendenza. A Banterle si deve anche il progetto della grande Croce della Redenzione in ferro,

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alta diciannove metri e inaugurata nel 1934 nei pressi della casa Buoni Fanciulli, illuminata nell’oscurità a rivelare “la sua nuda austerità primitiva”.

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12 DOPOLAVORO FERROVIARIO Via XX Settembre 1921 Costruito per l’Unione Cooperativa Ferrovieri come “ricreatorio e biblioteca” su progetto di Banterle e dell’ingegnere Aleardo De Bonis, si caratterizza per la soluzione degli angoli smussati lungo il lotto di forma pentagonale, libero su quattro lati. Sviluppato su tre piani fuori terra, il prospetto curvilineo è caratterizzato da un ordine gigante, con gli archi che incorniciano finestre binate al piano terra e grandi aperture vetrate al primo. Sotto il pronunciato aggetto della gronda sono disposte a mo’ di fregio le finestre della biblioteca. Nel palinsesto degli elementi ornamentali e decorativi di gusto liberty sono comprese la marquise in ferro e vetro sull’ingresso e le aste reggi bandiera dagli elaborati supporti. Gli apparati decorativi interni, gli arredi e gli affreschi di A. Savini per la sala del caffè, e quelli di Pino Casarini per la biblioteca, sono andati perduti.

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14 VILLA ONGARO Via Santa Teresa 1923

13 PALAZZINA UFFICI GALTAROSSA Lungadige Galtarossa 1920 Si tratta di uno dei primi lavori di Banterle, che risente a pieno di quei riferimenti stilistici e formali ai quali era improntata all’epoca la formazione di un giovane architetto, tramite album e repertori che diffondevano le novità più aggiornate. Questi temi sono applicati a un edificio industriale, la palazzina uffici dell’acciaieria Galtarossa, della quale diventano il portale di accesso dal lungadige; il tema rappresentativo dà conto della ricercatezza formale, espressa nell’articolazione dei volumi tra quello maggiore arretrato dalla strada e la­testata-portineria, e soprattutto del dispiego da parte di Banterle di molti elementi ornamentali e plastici.

sormontata da una terrazza. Una fiitta serie di mensole modanate , intervallate da motivi decorativi geometrici, regge l’ampio sporto di gronda; al di sotto era presente un alto fregio con motivi allegorici e floreali.

La villa unifamiliare con ampio giardino venne costruita, non lontano dalla chiesa di Santa Teresa, qualche anno prima della realizzazione dei Magazzini generali, in un contesto oggi irriconoscibile anche per l’intensiva edificazione circostante. Appartenente alla prima fase della produzione di Banterle, risente del medesimo gusto neo rinascimentale delle coeve realizzazioni a Borgo Trento. Ritorna lo zoccolo a punta di diamante per il basamento, a partire da una pianta pressoché quadrata con sporto semiottagonale sul fronte principale e un’ampia gradinata di accesso, che conduce a tre aperture ad arco. Sul fronte posteriore è ricavata una loggia in aggetto,

[segue da p. 96] Littorio di Roma, 1934) declinata in un asciutto monumentalismo di stampo novecentista si ritrova in opere come la casa del Mutilato (1934, scheda 7), la sede degli uffici FRO in piazza Cittadella (1935-37, scheda 8), la Casa dei Buoni Fanciulli a San Zeno in Monte (1936, scheda 11) o villa Galtarossa (1941-47, scheda 4). Nel secondo dopoguerra l’attività di Banterle si concentra su strutture richieste dalla commitenza religiosa in città e provincia (1946, scheda 6) e soprattutto sull’intensa attività costituita da interventi su contesti residenziali preeesistenti situati nel centro cittadino fino a edifici di nuova costruzione tra i quali il condominio Lonardi (1954, scheda 10). Muore a Verona nel 1972. Banterle è autore di un consistente numero di opere, solo in parte rese note dalla letteratura specialistica, sulle quali, in attesa di un lavoro monografico, va effettuata un’operazione di verifica con la necessità di riconsiderare alcune proposte attributive. La selezione nell’itinerario che si presenta segue un percorso topografico e si affida alle ricerche pubblicate fino ad oggi.

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LA BACHECA DI AV

LA BACHECA DI AV

La storia, la qualità, l’assistenza Nel cuore della Valpolicella uno showroom di 3000 mq al fianco dei progettisti

Un team di persone altamente specializzate, che possono vantare una lunga esperienza nel campo, risponde ad ogni necessità affiancando il progettista nella realizzazione degli interni, proponendo gli articoli più adeguati, i colori e i complementi che più valorizzano il contesto abitativo del cliente finale. Piena assistenza è garantita anche in una fase delicata come quella dell’installazione, in cui una cattiva esecuzione rischia di vanificare anche i migliori progetti.

Conati Franceschetti è l’azienda che da oltre 60 anni offre un panorama completo sui marchi leader del mercato, dalle librerie agli armadi, dai letti agli imbottiti, dalle cucine ai complementi, al “su misura”. Un punto di riferimento irrinunciabile per il design, la progettazione e l’arredamento di casa e ufficio. Ricercatezza nella selezione dei prodotti e dei materiali, creatività delle soluzioni, massima attenzione nei confronti dei marchi.

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New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever-Sever Maison al servizio dei progettisti Si è aperto il nuovo spazio interattivo multimediale messo a punto da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto Maison, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini , progetti e clip multimediali. L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in super HD a 4K su schermi e monitor

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prese corrente incassate nel risvolto in lamiera ere o grigio scuro di colore analogo alla lamiera

anon Xeed WX450 ST dimensione 33.7x41.5x13.5 tolare estraibile realizzato in lamiera microforata staccato 2 cm dal pavimento piano superiore in lamiera con incollato vetro colorato opalino per possibile appoggio di cassa ustica a goccia della Garvan - staccato di 2 cm dal filo superiore scatolare in lamiera

veletta in cartongesso di tamponamento sommità box acustico barrisol serigrafato posto a soffitto nel box di Citterio comprendere cablaggi e passaggi impianti

cchina trattamento aria a soffitto h. 250 da terra resta al di sopra nuovo volume

monitor 40'' inserito in pannello porta scorrevole rivestito in specchio

cartongesso con strutture di sostegno retroposte ettamente rasata senza giunzioni per proiezione con verniciatura finale adatta alla proiezione subwoofer a terra

box acustico pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata scuretto perimetrale

nello laccato colore grigio , colore a campione per mascherare tubazioni - apribile rimozione ventil-convettore e impianti

o in legno e nelle parti a vista esterne in lamiera

cm) in legno con fresate tipo topakustik Fantoni

D

sezione C-C

tor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm ale arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)

ombro cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra erificare in base sporgenze e posizioni tubazioni to realizzato per mascherare tubazioni a soffitto re di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate

E

pannello scorrevole lunghezza 220 cm

amiera risvoltata in battuta al pannello laccato

binario esterno per scorrimento pannello di chiusura ingresso box acustico binario posto su tutta la lunghezza parete

osizione corrente cappa e piano cottura e prese

controsoffitto colore bianco con tagli 10 cm iciati neri per inserimento faretti led dimmerabili

ripiano con frontale laccato RAL 7043 osta alla stessa altezza a terra del piano cucina tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio

pavimento in smalto colore grigio scuro

nello laccato colore grigio , colore a campione lamiera risvoltata in battuta al panello laccato pannello scorrevole lunghezza 220 cm

D

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se dati e corrente a terra - torretta a scomparsa on coperchio rivestito in legno come pavimento

barrisol posto a soffitto nel box acustico

pavimento in legno

prese corrente incassate nel risvolto in lamiera ere o grigio scuro di colore analogo alla lamiera

cartongesso con strutture di sostegno retroposte e rinforzi per sostegno libreria asata senza giunzioni finitura colore grigio scuro

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corpi luce dimmerabili accensione/spegnimento personalizzato - domotica tamponamento sopra box acustico

tamponamento sopra parte del box acustico divisione rispetto zona consultazione cataloghi

tor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm mo arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)

videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con lastra in vetro colorato opalino soprastante staccato di 2 cm

sezione E-E struttura per reggere pavimento in legno

nte mascherate da pannellino in legno apribile, inserito nel rivestimento in legno

od. Otylight Pop Brooklyn ARC-CUP 120+120 cm MDFItalia modello Tense, dimensione 280x120 cm

h. 40 cm risvolto alla sommità volume zona cataloghi

pannelli laterali con tipo topakustik Fantoni e pannello centrale rivestito in specchio largo 120 cm

Ø130 cm - luce up/down - a luce diretta bianca 3000K luce indiretta - RGB dimmerabile

tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio

cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate

luci led poste sopra copertura

nello laccato colore grigio , colore a campione

controsoffitto con tagli per inserimento faretti led

E

cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate pannello laccato colore a campione

D

pannelli fonoassorbenti in tessuto grigio perla porta a filo rivestimento per accesso zo con specchio di finitura e inserimento video fianco arredo rivestito in vetro retro-laccato

videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con rivestimento superiore in legno diffusore acustico messo in orizzontale

libreria MDF Italia, modello Minima 3.0

centrale 0 cm e pannelli akustik Fantoni

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luci led poste sopra copertura volumi

tamponamento arretrato

A

A

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parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni per proiezione

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tto

pannelli con fresate tipo topakustik Fantoni e pannello centrale con specchio

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B

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sul retro: passaggio cavi casse acustiche poste in orizzontale video-proiettore

sever viale del commercio 10 37135 verona

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pannello a parete sotto la mensola laccato colore a campione

sezione D-D

01-02. Vedute dello showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo dell’allestimento.

Tel +39 045825 0033

pannello laccato colore a campione con fessura per ottiche kinect tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 220 cm rilevatore ottico di presenza appoggiato su mensola e nascosto da pannello laccato colore a campione, dotato di fessura per lasciare a vista l'ottica mensola 480x50/30 cm sp. 5 cm laccata del colore della cucina posta alla stessa altezza a terra del piano cucina h. 85 cm

ongesso realizzata a filo trave presente a soffitto on inserimento isolamento tra la struttura interna nuova porta rasomuro

tto risvolto positivo

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ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani. All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break. SEVER potrà mettere a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. SEVER Maison è partner dei più importanti marchi di arredamento e complementi d’arredo nazionali ed internazionali.

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LA BACHECA DI AV

La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER e SEVER


FILLED the flat “LED fill-light”

LA BACHECA DI AV

Flessibilità dimensionale eccezionale e fonti LED bianche, colorate e RGB trasformano questo prodotto in una vera e propria soluzione di luce “su misura”.

FilLED è stato concepito per essere uno strumento progettuale estremamente flessibile in particolare per dimensioni, tonalità, intensità della luce e modalità d’uso, fermo restando l’ampia superficie retroilluminata che caratterizza il sistema. L’omogeneità della luce caratteristica di FilLED è ottenuta tramite l’accoppiamento di due fasce illuminanti costituite da strisce LED montate su dissipatori di calore in alluminio e uno speciale dispositivo ottico in PMMA. Gli illuminatori LED sono posizionati sui lati lunghi del pannello.

La versione “BASE”, caratterizzata da uno spessore estremamente ridotto, si distingue per la massima versatilità d’uso e il massimo contenimento dei costi. Queste caratteristiche unite alla possibilità di realizzare misure ad-hoc rende questa modalità particolarmente adatta per installazioni all’interno di elementi d’arredo, espositori e banchi a temperatura controllata. La modalità BASE deve essere integrata in strutture predisposte per il suo collocamento.

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FilLED è un innovativo sistema completamente personalizzabile caratterizzato da una superficie luminosa ultra-sottile. Le sue possibilità di applicazione sono innumerevoli: oltre a parete, soffitto, incasso e sospensione FilLED può essere perfettamente integrato in strutture architettoniche e arredi.

Ca

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Un innovativo sistema completamente personalizzabile caratterizzato da una superficie luminosa ultra-sottile

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FilLED sviluppa il concetto, inserisce l’idea e assicura la totale libertà espressiva e la pianificazione, sia su nuove creazioni che su interventi di restyling.

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