Architettiverona 109

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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

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ISSN 2239-6365

Terza edizione — Anno XXV — n. 2 Aprile/Giugno 2017 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona

Sotto copertura — Un anello e un ventaglio — L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti — Il mostrar negando — Ricchi & Poveri — Per un pelo — Del Giardino e del palazzo — Con Ordine — Per imparare Verona — E la Nave va? — Territorio: Città mercato — Un rifugio per le pietre — Itinerario: Luoghi della street art a Verona.

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l’ìdentità

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lo showroom

Nuovi progetti, evoluzione e immagine portano la firma di protagonisti della scena internazionale del design, della comunicazione e dell’architettura. MODO+, uno showroom moderno nel concept, nella costruzione, nella presentazione e nella capacità di venire incontro alle esigenze di un’ampio segmento di clienti.

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MODO+ si propone per creare stili e ambienti diversi, mantenendo come filo conduttore la qualità, non solo nei prodotti ma anche nei servizi offerti al cliente. L’obiettivo principale è quello di soddisfare le esigenze dell’acquirente con proposte personalizzate e progetti concreti; soluzioni pensate per una dimensione abitativa esclusiva. Migliorare la qualità della vita di privati e aziende, traducendo necessità e desideri della clientela in progetti e prodotti di altissimo profilo. Offrire al pubblico la prima scelta delle migliori aziende del settore. Garantire un servizio su misura dalla progettazione al montaggio. MODO+, la sicurezza di rendere l’ambiente domestico e di lavoro più confortevole, più elegante, piu bello. Una scelta di valore, destinata a rinnovarsi nel tempo.

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Un anello e un ventaglio di Martin Glass, Knut Stockhusen

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progetto

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Per un pelo di Giulia Bernini

E la Nave va? di Stefania Marini

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progetto

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Il mostrar negando di Alberto Vignolo

Con Ordine di Nicola Brunelli

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Del Giardino e del palazzo di Luisella Zeri

Di brand in brand di Laura De Stefano

PROGETTO

editoriale

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Sotto copertura di Alberto Vignolo

saggio

L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti di Giovanni Castiglioni, Marco Cofani

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Per imparare Verona di Alberto Vignolo

progetto

Ricchi & Poveri di Matilde Tessari e Alberto Vignolo

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collezione privata

Pino Castagna (1932-2017) a Costermano di Angela Lion

Reliquiae di Francesco Bletzo

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itinerario

Luoghi della street art a Verona di Michele De Mori

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXV n. 2 • Aprile/Giugno 2017

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona

Redazione Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it

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Città Mercato di Federica Guerra

Direttore responsabile Arnaldo Toffali Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it

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Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Un rifugio per le pietre di Irene Meneghelli

Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

professione

La tradizionale rubrica tornerà nel prossimo numero con il saluto del nuovo presidente dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona.

copertina Foto: Nicolò Galeazzi

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Paolo Pavan T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

Redazione Nicola Brunelli, Laura De Stefano, Federica Guerra, Angela Lion, Matilde Tessari, Luisella Zeri collaboratori Giulia Bernini, Michele De Mori, Alessio Fasoli, Stefania Marini, Irene Meneghelli, Federica Provoli, Chiara Tenca, Nicola Tommasini Fotografia Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni, Simone Sala, Marco Toté contributi a questo numero Francesco Bletzo, Giovanni Castiglioni, Marco Cofani, Martin Glass, Knut Stockhusen Si ringraziano Sveva Castagna, Clemens Kusch, Cristina Lanaro, Valter Rossetto

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Sotto copertura

L’Arena di Verona: icona da valorizzare o monumento da salvaguardare?

Testo: Alberto Vignolo

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Alla fine l’hanno fatto davvero, il famoso concorso per la copertura dell’Arena. Si può (anzi si deve) ragionare a fondo sulle motivazioni dichiarate e su quelle “sotto copertura” poste a fondamento di tale iniziativa: sull’unicità del monumento tra archeologia e architettura, sulla forza evocativa del suo catino ma anche sulle sue criticità croniche, quelle già affrontate e quelle da affrontare. Sul suo ruolo urbano, sull’uso-abuso che se ne fa quotidianamente, sulla lirica oramai storicizzata e sull’extra lirica ben più ghiotta, su scenografie e spettacoli, su gradonate e arcovoli, sigillature e percolature tra pioggia e sole, stelloni

e presepi, sorrisi e canzoni... Ognuno di questi argomenti richiederebbe un trattamento a sé, che non si può liquidare in poche parole, e in questo numero ne iniziamo a dar conto a partire dalla “riscoperta” da parte degli architetti veronesi del loro anfiteatro. Ma intanto, comunque la si pensi, ben ottantaquattro gruppi di progettazione provenienti da tutto il mondo si sono cimentati in un’impresa ardua, affrontando un bando dalle richieste apparentemente impossibili tra rispetto del monumento e del contesto e requisiti prestazionali non di poco conto (una copertura apribile, reversibilità della proposta, sicurezza degli spettatori, impianti e allestimenti scenici, eccetera). Da qui la sfida progettuale, che evidentemente ha sedotto più delle remore iniziali sul tema, che non sono certo mancate. Ed è così che ora, alla prova dei fatti, gli esiti del concorso valgono come una cartina tornasole degli assunti di partenza, tra apertura e chiusura, forma e struttura, storia e contemporaneità, rispetto e sberleffo, realismo e provocazione. Cosa ne è uscito? La mostra dei progetti, allestita secondo un malcelato senso del pittoresco, ha permesso solo

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una ricognizione sommaria tra i “quadretti” di ciascun partecipante, rendendo impossibile comprendere lo sforzo progettuale di ciascun partecipante e fare valutazioni che vadano al di là dello stupore per i nomi e per le trovate. Non mancano bizzarrie come palloncini e mongolfiere, mega strutture improponibili (e imbarazzanti), bei nomi qua e là e, probabilmente, anche spunti, soluzioni e idee che appena si intuiscono. Alla giuria è toccato il lavoro di fino nel vagliare e ponderare i materiali pervenuti e, come di prassi, i perdenti si lamentano e si stracciano le vesti. Quello che risulta evidente è il dilemma tra il rispetto della materialità del monumento e l’integrità della sua immagine in relazione al contesto urbano. Non sfiorare ‘nemmeno con una carezza’ il monumento-feticcio ha presupposto per molti la formazione di strutture di sostegno più o meno invasive verso la piazza, a compromettere irrimediabilmente l’immagine esterna dell’Arena. Rappresentativo di questa tendenza no touch è il terzo classificato, la cui teoria di pilastrini esterni, rispetto ad altri progetti dalla mano ben più pesante, non manca di eleganza (ma l’effetto ‘terzo anello di stadio’ è lì in agguato).


Progetto 3° classificato Roberto Ventura Piacenza Roberto Ventura, Alfonso Ventura, Roberto Pagani, Marc Mogas, Jorge Roig Navarro, Fernando Alvarez Prozorovich, Miquel Angel Sala, David Truque Tuset, Marta Piana motivazione La proposta progettuale poggia la copertura su un sistema di alti pali posti all’esterno dell’anello, evitando quindi ogni contatto e impatto diretto con l’Arena. La soluzione architettonica e strutturale appare coerente con la struttura formale dell’Arena. Relativamente snelli e radi, i pali/sostegni si accostano ai fronti esterni formando l’immagine architettonica di una protezione di segno nitido e non invadente, pur costituendo un filtro costantemente presente all’immagine esterna dell’Arena. La copertura è costituita da teli, sostenuti da cavi riavvolgibili in un anello centrale che, pur se latamente ispirata ai velari degli anfiteatri romani, rappresenta una forte presenza visiva nello spazio aereo della cavea.

01. Veduta della mostra Arena da (S) Coprire (foto di Diego Martini). 02-04. Progetto 3° classificato: veduta esterna, la copertura dall’interno e spaccato prospettico. 05-08. Progetto 2° classificato: la copertura semi aperta e completamente chiusa, sezione e veduta di uno spettacolo con l’intradosso della copertura che diventa parte dell’allestimento scenico.

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Chi invece ha scelto la via dell’appoggio alla sommità del catino si è fatto carico del difficile bilanciamento tra soluzione architettonica e soluzione strutturale: come il secondo classificato, gravato in parte dalla non evanescente bolla del sistema di chiusura pneumatica. Il progetto vincitore spicca sugli altri per originalità della soluzione ed equilibrio, tanto da sorprendere per una fattibilità del tutto inattesa (e adesso che si fa?). I tedeschi di gmp e sbp hanno messo in campo uno squadrone da campionato del mondo. La perseveranza di Volkwin Marg (fondatore di gmp) nel tornare a Verona nonostante le delusioni del progetto per la fiera, finito in qualche cassetto, e di quello per l’ospedale di Borgo Trento, incompleto e incompreso, è stata premiata. La paritetica compartecipazione di architetti e ingegneri ha dato forma alla soluzione vincente, l’unica capace di preservare il senso dello spettacolo all’aperto senza alcun ingombro visivo al momento fatidico di E lucevan le stelle, grazie al meccanismo

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Progetto 2° classificato Vincenzo Latina (Siracusa) arch. Vincenzo Latina, ing. Stefano Saffirio, arch. Andrea Ruggeri, arch. Federica Maffioli motivazione Il progetto propone una soluzione, descritta con chiarezza ed efficacemente argomentata, che risponde in buona misura ai diversi requisiti posti dal bando di gara. La copertura non altera i caratteri architettonici del monumento e l’anello strutturale posto in sommità richiama, verso l’interno un’idea di “portico sommitale”. Presenta una soluzione architettonica coerente con le strutture dell’Arena e definisce uno spazio appropriato nel rispetto della sua forma. Sostenuta da un anello reticolare poggiato sul margine superiore dell’Arena, attraverso un sistema di cavi metallici distanziati tra loro in verticale nella zona centrale, permette la chiusura e la protezione con segmenti gonfiabili accostati. Il profilo del sistema di copertura è visibile dall’esterno, ma interagisce in modo discreto e complementare con l’immagine e il profilo dell’Arena. All’interno la presenza di strutture è maggiore al perimetro e, in condizione di copertura aperta, i cavi aerei sono costantemente presenti al di sopra della cavea. La proposta appare presentare margini di miglioramento per quanto riguarda la soluzione strutturale e architettonica del traliccio perimetrale.

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di avvolgimento dei cavi a sostegno della membrana di copertura nell’anello perimetrale ellittico. Ora che l’intimissimo concorso ha avuto luogo, occorre tornare al punto di flesso semantico riguardo l’Arena: monumento o icona? Perché se parliamo di icona, dunque di immagine, allora nell’immaginario ci sta senza problemi anche la copertura, soprattutto se chic e sexy come quella vincente. Mentre se torniamo a parlare di monumento, il famoso concorso può almeno essere servito a sottolineare criticità e problemi dell’anfiteatro, che però non possono essere affrontati senza una organica progettualità sulle strutture storiche, sugli usi e sull’intorno urbano. Solo così si potrà verificare se la fattibilità tecnica che i colleghi germanici ci hanno dimostrato possa farsi strada in riva all’Adige.

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arena da (s)coprire i progetti in mostra

Foto: Diego Martini

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01-09. Le immagini di Arena da (S)coprire, esposizione dei progetti premiati e di tutti i partecipanti al concorso, allestita negli spazi di AMO – Arena Museo Opera a Palazzo Forti (5 maggio – 11 giugno 2017). Art direction: Pier Paolo Pitacco.

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concorso internazionale di idee per la copertura dell’anfiteatro “arena di verona” ente banditore Comune di Verona sponsor: Gruppo Calzedonia commissione giudicatrice dott. Marco Mastroianni (presidente) Direttore Generale - Comune di Verona ing. Sergio Menon Conservatore Arena - Comune di Verona arch. Francesco Doglioni Federazione regionale degli Ordini degli Architetti del Veneto - già IUAV

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dott.ssa Elena Francesca Ghidini già Università degli Studi di Padova arch. Gino Malacarne Università di Bologna ing. Pier Giorgio Malerba Politecnico di Milano ing. Luca Scappini Ordine degli Ingegneri di Verona e provincia - CNI

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PROGETTO

Un anello e un ventaglio

Il progetto vincitore del concorso internazionale propone per l’Arena un anello cavo, staccato dalla struttura esistente, che funge da sostegno e ricovero di una copertura mobile a membrana

Testo di: Martin Glass - gmp

Verona

Knut Stockhusen - sbp

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Progetto 1° classificato von Gerkan, Marg and Partners (gmp) e schlaich bergermann partner (sbp) gmp: prof. Volkwin Marg e Hubert Nienhoff con Martin Glass e Nikolai Reich sbp: Knut Stockhusen e Knut Göppert con Daniel Gebreiter e Chih-Bin Tseng motivazione La soluzione prevede un anello perimetrale poggiato sul bordo superiore dell’Arena e permette di raccogliere i teli di copertura, disposti su un solo ordine di cavi, consentendo un rapido mutamento di assetto da aperto a chiuso. Significativo appare il sistema di riavvolgimento dei cavi che può permettere di mantenere quasi completamente libero lo spazio aereo soprastante. Il riavvolgimento dei teli verso l’emiciclo a sud est genera una parte ad anello sempre coperta, la cui configurazione tuttavia interagisce in modo misurato con l’ellisse dell’Arena. La soluzione proposta, a copertura aperta, lascia quasi per intero visibile dalla cavea il tratto superstite svettante dell’anello esterno. L’anello sospeso che appoggia sul perimetro superiore dell’anfiteatro, nel risolvere il problema tecnico di sostenere e alloggiare i teli di copertura, offre una figura architettonica all’esterno e all’interno coerente e appropriata. La proposta appare presentare margini di miglioramento per quanto attiene i collegamenti della copertura con le strutture in sommità dell’Arena, collegamenti che nella configurazione attuale incidono sulle strutture dell’Anfiteatro.

01. Veduta dall’alto con la copertura distesa che appare come una conchiglia protettrice disposta sulla costruzione storica (GoogleEarth–gmp). 02. Uno spettacolo in Arena con la copertura distesa (gmp–a-promise).

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L’Arena di Verona è uno straordinario monumento Berlino o il Museo di Storia di Amburgo, nonché noto in tutto il mondo, oltre che un simbolo della per grandi strutture di copertura a scomparsa come città, della sua storia e una delle massime espres- quelle per gli stadi di Varsavia, Francoforte e Busioni del patrimonio culturale italiano. L’Arena è, carest. inoltre, un’incredibile testimonianza della sapienza La particolarità di questo concorso era la richietecnica e costruttiva di chi l’ha realizzata più di due- sta, sostanzialmente contraddittoria, di pensare ad mila anni fa. una copertura per l’A« Questa soluzione progettuale Quando abbiamo saputo rena senza toccare in alconsente di mantenere che era stato bandito un cun modo – idealmente concorso di idee per una – il monumento storiuna vista libera e senza ostacoli copertura mobile a proco. L’intero progetto per sul cielo e quindi preservare tezione dell’Arena, siaquesta icona architettola sensazione classica e mo stati immediatamennica, inserita in un sito te affascinati dall’idea di dichiarato patrimonio l’atmosfera dell’Arena » partecipare, e abbiamo UNESCO, doveva esseformato un team tra gli studi Schlaich Bergermann re affrontato con la massima sensibilità e con l’utipartner e von Gerkan Marg e partners. lizzo di una tecnologia che fosse il meno invasiva Ci siamo convinti di poter avere gli strumenti giusti possibile, per minimizzare al massimo grado l’imper una simile sfida grazie ad una lunga e proficua patto sull’imponente struttura e per salvaguardare collaborazione tra i nostri due studi, che ha porta- le caratteristiche spaziali e visive dell’anfiteatro. to a moltissimi progetti realizzati congiuntamente, Il programma del concorso richiedeva non solo una diversi dei quali in contesti simili a quello dell’A- nuova copertura per migliorare lo stato di conserrena. I due studi hanno lavorato assieme con sod- vazione dei vari elementi architettonici dell’edificio disfazione a più di cento progetti, tra cui quelli per – in particolare la cavea, le volte sottostanti, gli aredifici storici complessi come lo Stadio Olimpico di covoli e gli ambulacri, la cui principale criticità è do-

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PROGETTO

Un anello e un ventaglio

03. Prospetto esterno con l’anello sommitale cavo, staccato dalla struttura esistente, che funge da sostegno e ricovero di una copertura mobile a membrana (sbp-gmp). 04-07. Il meccanismo di chiusura prevede in una prima fase l’uscita dei cavi di acciaio dalla posizione di ricovero all’interno dell’anello disponendosi progressivamente a ventaglio mentre, in una seconda fase, la membrana viene estesa lungo i cavi a coprire tutta l’Arena (sbp).

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gmp sbp Gli studi gmp e sbp vantano svariate esperienze comuni sia nel campo di strutture mobili che nella riqualificazione in contesti storici. Gmp, la cui sede principale è ad Amburgo, opera in Italia in collaborazione con l’architetto Clemens Kusch a partire dal 1997 con la realizzazione della Fiera e del Centro Congressi di Rimini, a cui hanno fatto seguito i progetti a Verona per la Fiera (cfr. «AV» 78) e per l’Ospedale di Borgo Trento (cfr. «AV» 87, pp. 92-97). Attualmente è in corso di realizzazione il progetto per il Tecnopolo di Bologna. Sbp, studio basato a Stoccarda, ha realizzato coperture mobili per edifici storici come la Plaza de Toros a Saragozza e il Palacio Vista Alegre a Madrid, in Spagna, e l’Arena di Nîmes in Francia. In Italia ha contribuito alla realizzazione delle coperture vetrate della Fiera di Milano a Rho-Pero, ed è nel team che si è aggiudicato il concorso per la nuova factory San Pellegrino, in provincia di Bergamo. www.gmp-architekten.de www.sbp.de

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vuta al dilavamento e all’erosione causate dalla percolazione dell’acqua piovana –, ma anche di offrire migliori condizioni di comfort per gli spettatori, affidabilità nella programmazione degli spettacoli oltre che nuove modalità di progettazione scenica e una grande flessibilità negli allestimenti di tutti i tipi di spettacolo in cartellone, garantendo l’accesso della gru al palcoscenico. Inserire forme e materiali moderni in un contesto fortemente storicizzato richiede esperienza, creatività, una tecnica eccellente, sensibilità, comprensione dello stato di fatto e una dedizione assoluta, per spingersi oltre i limiti del consueto e creare così le basi per un’innovazione tecnologica. Abbiamo capito fin dall’inizio, infatti, che le soluzioni che avevamo già sperimentato per altri progetti non avrebbero portato all’esito desiderato. Dovevamo pensare a una combinazione rivoluzionaria di tecnologie collaudate, in modo da rispettare perfettamente le richieste del bando e le nostre aspettative di progettisti. Il risultato è una soluzione unica, bella perché rispettosa dell’incantevole contesto storico e dell’immediato intorno dell’anfiteatro. Così gli innumerevoli eventi che si tengono in Arena potranno trarre beneficio da questa copertura tessile leggera, apribile in maniera elastica, realizzata con elementi il meno invasivi possibile, studiata per resistere agli agenti atmosferici; quasi invisibile quando non è necessaria e maestosa quando è dispiegata sopra le gradinate. Questa soluzione progettuale consente di mantenere una vista libera e senza ostacoli verso il cielo,

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senza cavi, e quindi preservare la sensazione classica e l’atmosfera dell’Arena; al tempo stesso, consente una grande flessibilità per le gru nelle operazioni di allestimento, sia considerando le scenografie per la lirica che la preparazione degli spettacoli extra-lirica. Inoltre, il progetto non interferisce con la facciata storica dell’Arena, che da secoli è sempre stata un elemento dominante all’interno della trama urbana della città, ed è uno dei luoghi più caratteristici e fotografati in Italia. Crediamo fortemente nel dialogo, rispettoso e armonico, tra il monumento storico e la moderna copertura minimale: un dialogo tra passato e presente – e anche futuro – che sia anche espressione dell’u-

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08. Sezione longitudinale: l’anello sommitale è ispessito in una delle estremità lungo l’asse maggiore, in corrispondenza del palco, per contenere i meccanismi di avvolgimento della copertura (sbp–gmp). 09. L’anfiteatro dall’esterno secondo il progetto vincitore (gmp–a-promise).


PROGETTO

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tilizzo contemporaneo dell’edificio. Con la sua lunga storia, l’Arena continua a ospitare numerosissimi eventi, per gli abitanti di Verona e per le migliaia di turisti che la visitano ogni anno. Quando eravamo piccoli, abbiamo visitato Verona guardando con soggezione gli antichi monumenti, pensando agli eventi che avevano avuto luogo all’interno di quelle maestose mura nei secoli passati, e a coloro che avevano le conoscenze e le competenze per progettare e costruire qualcosa che sopravvivesse a migliaia di anni: molto più a lungo di qualsiasi edificio moderno, cosa che come progettisti moderni possiamo soltanto sognare. Avere avuto oggi la fortuna di partecipare a questo concorso, sfidando i migliori progettisti del mondo, è stato per noi un grande onore e una gioia. Essere riusciti a sviluppare un progetto che ha soddisfatto tutti i parametri richiesti ed essere risultati i vincitori è un’esperienza unica, un traguardo che arricchisce la nostra vita professionale e le nostre personali esperienze. Non vediamo l’ora di poter discutere del progetto con la committenza, con le autorità e con gli enti di tutela per approfondire le scelte e dimostrare la fattibilità della costruzione e la sua reversibilità. Con la nostra disponibilità e dedizione, assieme alle comprovate capacità tecniche, siamo in grado di sviluppare questo incredibile progetto, realizzarlo e dargli finalmente vita.

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10-11. Dall’alto, quando la copertura è nella posizione di ricovero la vista del cielo rimane completamente libera e garantisce la piena percezione dell’atmosfera dello spettacolo all’aperto, mentre la copertura distesa appare dall’alto come una conchiglia (gmp–a-promise).


SAGGIO

L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti

Il dibattito sul monumento dall’epoca rinascimentale alle odierne questioni sollevate dal concorso

Testo: Giovanni Castiglioni, Marco Cofani

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01. Plastico dell’Anfiteatro custodito presso il Museo Archeologico di Verona, 1780 circa. 02. Fra’ Giovanni da Verona, Tarsia lignea nel coro di S. Maria in Organo, Verona, inizio XVI secolo. 03. Giovanni Caroto, Amphitheatrum vetus, 1540.

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Sin dall’epoca rinascimentale diversi fra i più grandi architetti e progettisti veronesi si cimentarono in quello che, per complessità tecnica e prospettiva storica, sarebbe poi risultato essere l’intervento in grado di ricollegare non solo idealmente ma anche nella materia architettonica e nel tessuto urbanistico la città romana con quella moderna: stiamo chiaramente trattando del lungo percorso di rinascita di cui, fra Cinquecento e Novecento, fu assoluto protagonista l’Anfiteatro Arena – icona della città – e con esso l’ambito della Bra, ideale porta d’ingresso per tutti coloro che si recano a Verona. Per capire l’importanza del tema basti sapere che, nell’intero e sconfinato territorio di quello che fu l’Impero Romano, Verona fu la prima città, già nel Cinquecento, a dar avvio a tutta una serie di operazioni in grado di porre al centro la tutela e il restauro dell’antico. Nell’ambiente culturale veronese del Quattrocento, oltre ai poeti e ai letterati, furono proprio due artisti e architetti come Giovanni Maria Falconetto e Fra’ Giovanni da Verona i primi

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a “riscoprire” l’importanza anche co- stato di avanzata rovina ma offriva costruttiva dell’Arena, contribuendo in munque dettagli costruttivi e stilistici maniera decisiva a modificarne la per- di straordinario interesse, nell’ottica cezione negativa legata nell’immagi- della generale riscoperta del classico. nario arcaico medievale alla figura del Gli architetti non solo ne rilevarono “labirinto”. Furono tuttavia i disegni le vestigia ma furono anche in grado architettonici di un pittore come Gio- di ipotizzarne gli elementi mancanti, vanni Caroto che, nel volume di To- in parte o in toto, come nel caso delrello Sarayna De origine e amplitudine le gradinate della cavea, delle scale incivitatis Veronae del 1540, rivelarono terne e del loggiato superiore. A Pallaforse per la pridio in particolare « Gli architetti non solo ma volta alla città va riconosciuto la “consistenza” questo merito, ne rilevarono le vestigia del monumenma furono anche in grado tradotto in alcuni to, attraverso una disegni di partidi ipotizzarne gli grande campacolare interesse e elementi mancanti » gna di indagini e precisione. rilievi connotati Il gigante indida un rilevante e inedito interesse ar- scusso dell’architettura veronese, Micheologico, poi ulteriormente miglio- chele Sanmicheli, oltre a permeare rata nel 1560. gran parte delle sue opere dell’influsNello stesso periodo, tra il 1530 e il so stilistico del monumento romano, 1560, giunsero in riva all’Adige al- ebbe sicuramente il merito di porre le cuni fra i più celebri e colti architetti basi della grande trasformazione urdell’epoca (fra cui Sebastiano Serlio, banistica della Bra con la ridefinizione Andrea Palladio, Giovanni Battista a sud della cinta cittadina e la costrue Antonio da Sangallo, Baldassarre zione di Porta Nuova con cui la piazza Peruzzi) per visitare e rilevare l’anti- e l’Arena divennero baricentriche rica fabbrica, che si presentava in uno spetto al nuovo assetto urbano avvian-

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do il lungo iter che, fra alti e bassi, alla metà dell’Ottocento vedrà il completamento della cornice monumentale della piazza. In questo clima di grande coinvolgimento rispetto al destino della città e del suo principale monumento, la decisione più significativa fu adottata dalle autorità comunali il 24 maggio 1568, che con la delibera intitolata “Pro instaurando Amphiteatro” approvarono e finanziarono parzialmente la ricostruzione delle gradinate della cavea e la riparazione di altri “guasti” dell’edificio, sulla base di una “peritorum sententia”, ovvero di un progetto basato sugli studi fino ad allora realizzati dai “periti” architetti, in particolare – si pensa – da Caroto e Palladio. I lavori presero il via nel 1569 con la ricostruzione di alcuni vomitori d’accesso alla cavea, mentre al 1570 appartiene la “prima pietra” della nuova cavea, ricostruita seppur in un assetto diverso da quello romano nel corso di un lunghissimo cantiere che si protrarrà sino agli inizi del Settecento. Nel corso del Seicento, mentre sulla cavea il cantiere proseguiva, gli arcovoli esterni inizia-


SAGGIO

L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti

04. Giovanni Caroto, pianta dell’Anfiteatro, 1560. 05. Andrea Palladio, sezione dell’Anfiteatro, metà XVI sec. 06. P. Ligozzi, Veduta di Verona, particolare, 1620. 07. “La piazza della Bra’ di Verona”, incisione di T. Majeroni, 1747 (particolare), con lo scorcio dei tetti inseriti al di sotto dei voltati del secondo livello per proteggere botteghe e abitazioni dalle infiltrazioni. 08. A. Cristofali, Anfiteatro detto l’Arena di Verona, 1744.

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rono ad accogliere nuove funzioni, in particolare botteghe, laboratori artigianali e osterie che, nell’arco di alcuni decenni, occuparono quasi tutti gli spazi interni del monumento, aggiungendo all’uso commerciale collocato al piano terra quello residenziale, al di sotto delle arcate del primo piano. Nel XVIII secolo una figura su tutte contribuì in maniera decisiva agli studi e ai restauri dell’Anfiteatro: il marchese Scipione Maffei. Il suo trattato “Degli Anfiteatri e singolarmente del Veronese”, pubblicato nel 1728 e coadiuvato dai disegni dell’ingegnere e architetto Saverio Avesani, rappresenta una svolta fondamentale verso un rinnovato approccio scientifico e archeologico al monumento, preoccupandosi prima di tutto della sua tutela. Ma il Settecento fu anche il secolo del Gran Tour, in cui Verona divenne una delle principali “porte d’ingresso” alla romanità del bel paese per i viaggiatori provenienti da tutta Europa. L’Arena rappresentava chiaramente il centro di questa grande celebrazione

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dell’antico volto di Verona e fu degnamente ritratta in numerose stampe ed incisioni, con intenti non solo artistici e divulgativi ma anche, in qualche caso, scientifici: così fu, ad esempio, nella celebre tavola composta nel 1744 dall’architetto Adriano Cristofali, che spicca sulle altre per l’originalità e l’accuratezza nel riprodurre fedelmente molti dettagli costruttivi, inclusi gli interrati per come si conoscevano allora. Lo stesso Cristofali dopo la morte di Maffei (1755), guidò i successivi sforzi per la salvaguardia dell’anfiteatro. Più tardi, nel 1801, di fronte alla scarsa efficacia dei provvedimenti sino ad allora adottati per impedire lo stillicidio delle acque dalla cavea, il Governo Provvisorio della città incaricò l’allora Accademia di Agricoltura Commercio e Arti di trovare una soluzione a tali problematiche. L’idea fu quella di bandire un concorso, incredibilmente innovativo: «Qual cemento, per sicura e ben applicata esperienza, resistendo all’umido e al secco, potrà perfettamente impedire la filtrazione delle piogge tra le pietre, i muri, e le volte dell’Anfiteatro, non trascurando, se può combinarsi, l’economia?». Il concorso dell’Accademia inaugurerà una straordinaria e proficua stagione di studi, perizie, esperimenti e innovazioni tecnologiche – sovrintesi dai principali architetti della città – che nell’arco di tre decenni porteranno a rivoluzionare sia i metodi sia i materiali per il restauro e la costante manutenzione dell’Arena, richiamando tutte le più significative e avanzate ricerche sulla chimica dei materiali a livello europeo. All’inizio dell’Ottocento l’Arena divenne per Verona una questione civica di primaria importanza, al punto che, al di là degli interventi diretti sul monumento, l’interesse finirà inevi-

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tabilmente per coinvolgere un ambito urbano ben più ampio. Nel caso specifico della Bra, è da notare come tra coloro che a diverso titolo (architetti, cultori d’arte, amministratori) concorsero a presentare proposte per la definizione urbana e architettonica della piazza, vi furono anche i principali fautori del restauro dell’Anfiteatro: tra questi gli architetti Bartolomeo Giuliari, Luigi Trezza, Giuseppe Barbieri, che erano direttamente coinvolti negli scavi e nelle manutenzioni dell’Arena, ma anche Saverio Dalla Rosa e Gaetano Pinali. Si rileva inoltre un altro aspetto interessante: le principali funzioni – pubbliche e private – accolte negli edifici di progetto che in alcune proposte dovevano rimodellare drasticamente l’importante spazio urbano, sono le stesse che gli architetti-archeologi volevano pervicacemente “estirpare” dalla cavea e dagli arcovoli dell’Arena. Mentre il nuovo livello da dare allo spazio urbano e alle vie limitrofe era ovviamente impostato a partire dai lavori di sterro, attuati in quegli anni per recuperare l’originale piano di spiccato delle murature romane. Esiste quindi un chiarissimo legame causale tra l’intervento diretto sul monumento, per la rimozione delle strutture aggiunte e liberazione dalle funzioni considerate incongrue, e quello di respiro urbano destinato a riconfigurare l’intera piazza e le sue adiacenze anche al fine di alloggiarvi le attività rimosse dall’Arena in nuovi edifici progettati ad hoc per questo scopo: in primis il teatro diurno e le funzioni mercantili. Bisogna infatti ricordare che l’Anfiteatro nei primi anni dell’Ottocento era ancora quasi completamente occupato da abitazioni e botteghe, mentre la piazza risultava caratterizzata dalla presenza monca del seicentesco palaz-

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zo della Gran Guardia e da quella del “nuovo” ospedale della Misericordia, la cui facciata colonnata – da poco realizzata – ne aveva reso ancor più ingombrante la mole e aveva subito suscitato molte polemiche. Nel 1816, in occasione del soggiorno veronese dell’Imperatore Francesco I e della consorte Maria Teresa Carolina di Borbone-Napoli, Bartolomeo Giuliari, incaricato nella sua veste di architetto della direzione degli spettacoli, attuava i primi importanti lavori di liberazione dell’Arena al fine di «vedere il principale vestibolo appianato sino all’originaria sua base e tutto sgombro de’ materiali cui era sepolto, e tolte affatto le deformi abitazioni che l’occupavano». Furono proprio i concreti risultati di quei lavori a incoraggiare Giuliari e il municipio a proseguire negli scavi interni ed esterni al monumento, puntualmente registrati tra il 1817 e il 1842.

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SAGGIO

L’Anfiteatro Arena: una questione da architetti

09. G. Pinali, Spaccato e prospetto del Teatro diurno e Mercato, tavola incisa dall’architetto Francesco Ronzani nel 1822. è evidente la volontà di riprodurre nel nuovo edificio la stesse condizioni esistenti nell’anfiteatro: una cavea a cielo aperto e un porticato sottostante ad uso mercantile. 10. G. Masieri, rappresentazione di uno spettacolo nell’Anfiteatro, 1772.

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Se già nel 1819 il conte Giuliari aveva poi dimostrato fastidio nel dover forzosamente interrompere gli scavi nel centro dell’ellisse a causa della presenza dell’importuna struttura lignea del palcoscenico di un teatrino diurno, l’anno seguente – definito da Bartolomeo «il più favorevole al nostro Anfiteatro» – e in contemporanea con la proposta di riassetto della piazza da parte di Pinali, il podestà Giovanbattista da Persico avviava la prima «liberazione» degli interni del monumento dalle abitazioni e botteghe che fino ad allora vi avevano trovato sede sulla base di un decreto governativo che imponeva che tutte le imposte dei portoni delle case delle città dovessero aprirsi esclusivamente verso l’interno. Il nuovo assetto della Bra contestualmente proposto al fine di liberare l’Arena dalle «deturpanti» funzioni interne e dal tessuto edilizio circostante che ne occludeva in parte la visuale, assumerà per i decenni a seguire il valore di piano-guida per gli interventi di ridefinizione del disegno urbano del nuovo polo cittadino. E anche se l’edificio realizzato da Barbieri – pur richiamandone esplicitamente le forme – non ospiterà le funzioni previste da quello proposto da Pinali, le contestuali polemiche di Giuliari e degli altri eruditi contro «l’indecente baracca» posta al centro della cavea, sortiranno l’effetto di allontanare – almeno provvisoriamente – il teatrino diurno dall’anfiteatro, spostandolo nella vicina piazza Cittadella. Nel 1873 inoltre, «l’atterramento delle case che circondano l’Anfiteatro», sarà visto da Antonio Pompei – l’ultimo studioso dell’Arena, a cui si dovrà il “ragionato ristauro” che riformerà quasi la metà della cavea fra il 1880 e il 1885 – come una occasione irrinunciabile per verificare la sua teoria sull’e-

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satta localizzazione delle cosiddette mura di Gallieno, introducendo così il tema che invece caratterizzerà i rapporti tra archeologia e pianificazione nelle elaborazioni presentate in occasione del concorso per il piano regolatore del 1931. Il rapporto tra i tecnici e gli intellettuali della città con il loro anfiteatro non si fermerà nemmeno alle soglie del Novecento, e le vere e proprie battaglie dell’ingegnere Alessandro Da Lisca prima e dell’architetto Piero Gazzola poi, contro le menomazioni, le manomissioni e gli abbruttimenti inferti all’anfiteatro allo scopo di adattarlo a luogo di spettacoli, ne sono testimonianza nel momento in cui il monumento si stava inesorabilmente trasformando in “contenitore” di spettacoli, se non in una umiliante scenografia di eventi vari. Gli interessi economici stavano infatti prevalendo

« Il vero tema progettuale è quello di una seconda liberazione dell’anfiteatro dalle strutture necessarie all’uso teatrale che lo infestano » definitivamente su quelli conservativi e a fronte di continue manomissioni della materia perpetrate per l’inserimento dei servizi necessari alla stagione lirica, si stava assistendo inoltre ad una significativa contrazione degli studi. Gli architetti veronesi dalla seconda metà del XX secolo non si occuperanno più del loro anfiteatro, se non per sterili esercizi pindarici e proposte bizzarre che sono culminati oggi nella tragicomica occasione del concorso per la copertura, un’ipotesi la cui sola idea avrebbe in passato portato al ludibrio

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giovanni castiglioni marco cofani

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generale – se non allo sdegno da parte di quell’élite intellettuale che abbiamo sopra tratteggiato che – non ci sono dubbi – si sarebbe levata all’unisono contro un tal volgare scempio. Al di là degli interventi previsti dal progetto Art-Bonus – appannaggio soprattutto di ingegneri, in apparente contrasto con la normativa (sic!) – il vero tema progettuale da affrontare è invece oggi quello di una seconda liberazione dell’anfiteatro dalle strutture necessarie all’uso teatrale che lo infestano, sia all’interno che all’esterno, tanto che durante la stagione estiva pare essere un grande e disordinato cantiere edile, con tanto di gru a torre... Sarebbe qui sì necessario un progetto – questo davvero utile, concepito non per escludere ma per rendere più compatibili le attuali funzioni – che potrebbe coinvolgere gli spazi del vicino edificio che ospita la sede della circoscrizione e le scuole, il quale opportunamente ripensato con un progetto ambizioso sarebbe destinato all’alloggiamento temporaneo delle ingombranti scenografie e degli altri servizi necessari a un grande teatro, degno di questo nome. Pur da convinti conservatori, pensiamo infatti che quella architettura di Ettore Fagiuoli – delle più trascurabili del grande architetto –

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Architetti, entrambi Dottori di Ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici e diplomati presso la Scuola di Specializzazione in Restauro Architettonico del Politecnico di Milano; hanno partecipato a vario titolo ai progetti di ricerca che il Politecnico ha messo in campo sull’anfiteatro di Verona dal 2000, approfondendo la storia dei restauri condotti sul monumento a partire dal XV secolo e le tecniche impiegate nel corso dei secoli. Sono autori di pubblicazioni, saggi e interventi su argomenti relativi ai caratteri costruttivi dell’edilizia storica, all’intervento di conservazione e alla storia dell’architettura, con particolare attenzione all’ambito veronese. Una loro monografia sull’Arena è in preparazione presso Scripta Edizioni.

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possa cedere il posto a qualcosa di più interessante e potenzialmente rigenerante per l’intero settore urbano e per la città, che magari possa prevedere anche un sistema per lo spostamento degli apparati scenici appositamente pensato per l’Arena, in sostituzione dell’attuale incongrua gru: una sorta di grande e innovativa macchina scenica. Altro tema importante sarebbe poi quello di una seria musealizzazione di almeno una parte degli arcovoli interni e degli interrati – facilmente attuabile con l’ausilio delle tecnologie più avanzate, nel totale rispetto dell’esistente – per mettere in mostra una mole di ricostruzioni, documenti e iconografie oggi in gran parte inedite assieme alle molte “storie dell’Arena”, per una fruizione di visita all’altezza di quello che è il terzo sito archeologico più visitato d’Italia, dopo i circuiti del Colosseo e dei Fori a Roma e quello di Pompei e Ercolano in Campania. Dopo i grandiosi interventi ottocenteschi, sarebbero questi oggi i temi per dei veri concorsi di architettura – degni di una città europea – su cui discutere e dibattere e non quello d’una copertura, su cui ci auguriamo vivamente possa essere steso “un velario pietoso” nel più breve tempo possibile.

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11. G. Pinali, «Pianta della Piazza della Brà e degli edifici ivi esistenti e progettati». Oltre al progetto di un palazzo reale e di un loggiato ad uso fiera, si nota un edificio destinato a teatro diurno e mercato che ispirerà il successivo progetto di palazzo Barbieri. 12-14. Condizioni attuali dell’anfiteatro.


PROGETTO

Il mostrar negando

Un nuovo innesto negli spazi del Museo di Castelvecchio in un dialogo tra archeologia, restauro e arte del mostrare

Progetto: arch. Filippo Bricolo / BFA Testo: Alberto Vignolo

Verona

Foto: Nicolò Galeazzi

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Cosa ci fa un mosaico romano a Castelvecchio, museo d’arte antica, in una città che di musei archeologici ne ha già due e mezzo, quelli civici al Teatro Romano e al Lapidario Maffeiano, e il futuro statale che verrà ad aprirsi, chissà quando, a San Tomaso? Le ragioni che danno conto del progetto mostrato in queste pagine vanno ricercate da una parte nelle vicende relative al ritrovamento di questo reperto, dall’altra nella storia mirabile, eppure di fatto “non finita”, dell’allestimento scarpiano della magione scaligera. Ma andiamo con ordine. Durante i lavori condotti dal 2011 finalizzati alla protezione dell’Arco dei Gavi che era stato ricostruito a lato del castello scaligero nel 1932 (cfr. «AV» 96, pp. 52-59), sono emerse stratificate testimonianze archeologiche databili dall’età romana sino all’epoca medioevale. Immediatamente a lato dell’Arco, oltre due metri al di sotto del piano stradale e in prossi-

ritrovamento nelle condizioni più favorevoli e di renderlo visibile alla cittadinanza, si è optato per il suo spostamento in una sede museale. La scelta dell’ala orientale del Museo di Castelvecchio è apparsa la più opportuna per la vicinanza (pochi metri tra l’ambito di rinvenimento e l’ambiente in cui è oggi custodito) e per le potenzialità del luogo. Il progetto per la collocazione del reperto è stato affidato a Filippo Bricolo che, dopo alcune prove temporanee – le mostre in Sala Boggian dedicate a Caccia Dominioni (2002-03) e Paolo Farinati (2005-06), e quella allestita nel cortile su Pietro Consagra (200708) – arriva a mettere a punto un dispositivo spaziale permanente (quel tanto che può esserlo un allestimento) nel museo cittadino. Occorre a questo punto un flashback sulla storia del Museo. L’ala orientale della costruzione napoleonica, pesantemente danneggiata dai bombarda-

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« La collocazione del mosaico non solo risolve il tema della prossimità col luogo di ritrovamento, ma dà un nuovo senso a questo ambito del museo » mità del muro di contenimento del vallo, è stato rinvenuto un ampio brano di mosaico (metri 5.10x3.10) che si presentava in buone condizioni di conservazione. Il tema del mosaico è descritto come un “motivo decorativo di tipo geometrico, a cerchi secanti componenti quadripetali bianchi con rettangoli iscritti all’interno, bordato da una cornice con fasce bianche, nere e gialle”. Con l’obiettivo di conservare questo

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01. Il mosaico allestito nella nuova sala e, sul fondo, la bussola pensata da Scarpa per l’accesso dalla piazzetta dell’Arco dei Gavi. 02. Veduta dal cortile del museo verso l’ingresso a Sala Boggian e alla Sala del Mosaico. 03. Planimetria generale di Castelvecchio e delle aree adiacenti, con la zona di ritrovamento del mosaico e la sua attuale collocazione.

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04-05. Pianta e sezione della Sala del Mosaico. 06. Il portale in ferro tra l’ingresso dal cortile e la nuova sala.

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07. La grande “L” in ferro divide tra l’accesso a Sala Boggian al piano superiore e alla Sala del Mosaico. 08. Studi sui font scarpiani per ricavare le lettere mancanti funzionali alla nuova segnaletica.

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menti, venne adibita con la ricostruzione post bellica a sala per concerti, in funzione dei quali era previsto un ingresso indipendente dall’esterno del castello, di fronte all’Arco dei Gavi. È per questo utilizzo che Scarpa disegnerà l’elaborata bussola, in asse col percorso interno al cortile tra le due siepi parallele, divenuta però superflua con la decisione di realizzare l’ultima sala del percorso espositivo – la Sala Avena, quella col soffitto in stucco blu cobalto, aperta nel 1976 – in luogo del palcoscenico della sala per la musica. L’ala est è da allora destinata a esposizioni temporanee e conferenze; l’inserimento della “scatola” della Sala Avena nel volume di Sala Boggian ha generato un non finito tuttora irrisolto – fantastico tema progettuale, quando lo si potrà

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affrontare – e l’androne ai piedi della scalinata che ne garantisce l’accesso è rimasto sostanzialmente sottoutilizzato. È così che la collocazione del mosaico risolve non solo il tema della prossimità col luogo di ritrovamento, ma dà un nuovo senso a questo ambito spaziale. Dalla piazzetta dell’Arco dei Gavi, il serramento scarpiano riacquista luce e senso come ‘macchina ottica’ che inquadra dall’esterno il reperto musealizzato. Dall’altro versante, dal cortile, un portale in ferro crea una soglia che distingue l’ingresso a Sala Boggian dalla nuova Sala del Mosaico. Vedo, non vedo: il primo sguardo, indirizzato dalla macchina espositiva, cela il mosaico lasciando intatti gli elementi progettati dal Maestro. Una

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09. Sezione attraverso il luogo del ritrovamento e la sala dove è stato traslato il mosaico. 10. Dalla piazzetta dell’Arco dei Gavi, il mosaico è riconoscibile inquadrato nella bussola scarpiana. 11. Veduta di taglio della lama in ferro che separa gli spazi al piano terra dell’ala orientale del museo.

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forma di devozione e rispetto. Solo una volta varcato il portale in ferro si manifesta la nuova, “ingombrante” presenza. Le dimensioni notevoli del reperto hanno posto il tema della sua disposizione. L’invenzione del progetto di Filippo Bricolo è di negare il suo ingombro apparentemente ingestibile, disponendo il mosaico sospeso a parete in posizione inclinata con il lato lungo verso la base, su un piano a sua volta non ortogonale alle pareti, per porlo in favore di vista dall’esterno e per agevolare la fruizione da parte di gruppi e scolaresche dall’interno. Non vi è ambiguità che induca a pensare che l’esposizione rispetti la collocazione originaria: negando il principio, teoricamente basilare, che un’opera d’arte musealizzata debba essere collocata in modo da farne comprendere le condizioni per cui è stata creata. Sarà che il mosaico è fondamentalmente un tappeto, che pare volato via con una folata di vento dall’adiacente collocazione originaria per finire appeso come un prezioso arazzo, grazie al dispositivo di supporto che dissimula il suo peso e lo fa galleggia-

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Committente Comune di Verona Sergio Menon (RUP) Viviana Tagetto (collaboratore RUP) Progetto e direzione lavori Filippo Bricolo Bricolo Falsarella Associati: Francesca Falsarella, Simone Sala, Elisa Bettinazzi, Giacomo Scabbio fase di progetto Paola Marini Dirigente Musei d’Arte Monumenti Alba Di Lieto Responsabile Ufficio Tecnico Direzione Musei d’Arte Monumenti Ketty Bertolaso, Margherita Bolla, studio Bricolo Falsarella Associati didascalie fase di esecuzione Margherita Bolla Dirigente Musei d’Arte Monumenti Andrea Malesani Coordinatore della Sicurezza Maurizio Cossato Consulenza strutturale fornitori Avesani Assistenza di Avesani Stefano (opere di allestimentofabbro), Bernabé e Ballarin (opere edili), Lares Lavori di restauro (opere di posizionamento e restauro mosaico), Franco Vassanelli (opere da idraulico), Termosanitaria Pasinato (opere impiantistiche), Guardini Pietre (lavandini in pietra) Cronologia Realizzazione: maggio-dicembre 2016

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12-16. I nuovi bagni a margine della Sala del Mosaico: il bacile-lavamano in pietra, le quinte in pitch-pine e i lavabi all’interno dei servizi. 17. Veduta dai bagni, ambito di passaggio, verso la Sala del Mosaico. 18. Il serramento in ferro tra i bagni e gli uffici del museo.

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re – complice l’attenta illuminazione – nella penombra. È l’ostensione nella cornice della macchina espositiva a sacralizzare il reperto come reliquia, e dunque pezzo da museo, indipendentemente dal suo valore intrinseco. In questo senso si comprende l’appellativo di Sala del Mosaico per un ambito che rimane comunque estraneo al percorso museale, sia fisicamente sia come contenuto. Appellativo che viene iscritto nero su nero – ferro su ferro – sul portale di ingresso alla sala, con la citazione “letterale” dei font scarpiani, studiati e integrati per l’occasione dei caratteri mancanti: una colta falsificazione, che ascrive il nuovo intervento entro l’aura dell’evocatissimo Maestro. A completamento della nuova sala sono stati riattati gli adiacenti bagni per il personale del museo, posti in un punto di passaggio nevralgico e ‘segreto’ negli anditi del castello. Negando il carattere meramente utilitaristico di questi spazi, l’intervento progettuale ha reso leggibile la spazialità originale della sala – il grande arco e l’altezza interna – eliminando le superfetazioni e rifinendo le pareti con una sagramatura in intonaco di calce in modo da porre in evidenza la materialità delle superfici. Una quinta in legno di pitch-pine bruciato, come la bussola realizzata da Carlo Scarpa nella sala a fianco, delimita i bagni nella nuova distribuzione. Un lavabo a conci in pietra rosa, ove compiere i gesti della purificazione, sembra sacralizzare in maniera quasi eretica questi spazi; gli sguardi incrociati tra la sala dei bagni e la sala del mosaico, tra lavabo e pavimentazione musiva, creano un’atmosfera da raffinatissimo showroom di sanitari ab antiquo. In questi traguardi mirati attraverso fessure e tagli c’è qualcosa di vo-

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yeuristico, complice l’ammiccamento alla fessura-mirino della bussola scarpiana nella lamiera di ferro posta di fronte all’ingresso dal giardino. Ma non è forse puro voyeurismo la contemplazione di un’opera d’arte posta in un museo, in presenza di un gesto che però si è già compiuto e secolarizzato? Nel passaggio dall’una all’altra sala o negli sguardi dall’esterno, le fotografie di quest’opera svelano a tratti un riflesso, un’ombra, una figura che progressivamente si materializza: è il progettista, in un processo di autoiconizzazione che mette a fuoco il personaggio dell’architetto di (Somma) campagna. Tanto di cappello.

filippo bricolo

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Laureato allo IUAV dove consegue il Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica, dal 2012 insegna presso il Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano. Nel 2003 fonda con Francesca Falsarella lo studio BFA, concentrato prevalentemente sul tema del riuso e degli interventi sul patrimonio esistente. Nel 2015 si aggiudica il Premio AV con il recupero dei rustici di Villa Saccomani a Sommacampagna. www.bricolofalsarella.it

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Ricchi & Poveri

Uffici per una societĂ finanziaria e uffici per un sindacato: gli spazi di lavoro e le loro interpretazioni

Progetto 1: Modourbano Foto: Simone Bossi

Progetto 2: Moovdesign Foto: Simone Sala

Testo: Matilde Tessari e Alberto Vignolo

Verona, Legnago

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Si fa presto a dire uffici: gli spazi del lavoro, a parità di funzione e di elementi – una reception, uffici singoli o multipli, sale e salette riunioni, archivi, servizi igienici, angolo caffè ed è fatta – possono assumere le declinazioni più diverse, a seconda del tema da sviluppare, e necessariamente del budget a disposizione. Più che la funzione conta la rappresentazione, più che l’uso il significato: da cui scaturiscono le forme e i materiali di ciascun progetto. Volutamente mettiamo in contrapposizione gli estremi di questa scala, presentando un raffinato intervento nel centro di Verona per una società finanziaria, e sull’altro versante un esempio a Legnago evidentemente improntato al basso costo, che deve far forza su pochissimi gesti per caratterizzare l’utilizzo degli spazi a disposizione.

mODOURBANO Fondato all’inizio del 2010 da Alessandro Costa e Marco Zuttioni, Modourbano è un collettivo di professionisti con un’ampia esperienza internazionale, impegnato nello sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili per l’architettura contemporanea e il design, anche attraverso l’organizzazione di eventi culturali ed una produzione diversificata di saggi, articoli e reportage. Nel 2014 Marco Zuttioni e Luca Romagnoli fondano MU Associati Milano, studio associato di architettura dedicato alle attività progettuali e design di Modourbano.

1. Azimut Verona La sede veronese di Azimut, società che si occupa di mediazione finanziaria, si trova nello stesso fabbricato che al piano terra ospita gli sportelli di Che Banca!, realizzati sul progetto di Modourbano all’inizio del 2014 (cfr. «AV» 100, pp. 66-69). La continuità tra i due interventi, consequenziali nel tempo e contigui nello spazio anche se indipendenti, esprime l’attenzione che lo studio milanese ha per lo sviluppo di soluzioni innovative e la ricerca di un modo nuovo di utilizzare gli spazi nell’architettura contemporanea. Gli uffici che presentiamo occupano l’intero primo piano del fabbricato attestato su Corso Porta Nuova, con tre affacci liberi. Giunti al piano dalla scala esistente, l’ingresso è uno spazio ampio, con la parete dietro il bancone di accoglienza in legno scuro e vetro rivestita da un foglio di metallo con uno squarcio al centro: un elemento gestuale, mesh-up Fontana più Burri. Alle spalle della zona accoglienza sono distribuite ad open space le postazioni destinate alle funzioni di segreteria e amministrazione. Gli uffici di consulenza sono diversi per tagli, e sono distribuiti da una parte e dall’altra del corridoio centrale, in cui per evitare una lunga infilata continua gli architetti hanno operato per arretramenti

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www.modourbano.it 02

01. L’infilata sul corridoio centrale con, sulla destra, la parete metallica dietro il bancone di accoglienza. 02. Planimetria generale degli uffici Azimut a Verona. 03. Le pareti vetrate degli uffici sono rese percepibili da pellicole opacizzate satinate con tema geometrico.

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PROGETTO

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04. Sezione trasversale. 05. Il bancone dell’accoglienza in prossimità dell’ingresso. 06. La sala riunioni. 07. Sezione sulla sala riunioni.

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08-09. Apparecchi illuminanti lineari sottolineano il corridoio centrale. 10. Uno degli uffici personalizzati dai promotori finanziari.

Committente Azimut Progetto architettonico Modourbano Consulenti STEG Studio Tecnico Enrico Grendene (progetto impianti) forniture Alifor (impresa generale) GBR (arredi fissi) Estel Group (sedute e mobilio) Artemide (illuminazione ) Cronologia Progetto: marzo 2014 realizzazione: settembre 2014 Dati dimensionali Uffici: 483 mq

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e avanzamenti dei moduli ufficio. Il movimento che ne è conseguito ha arricchito lo spazio distributivo di aree di sosta, utilizzabile anche per eventi, e come conseguenza indiretta mitiga l’effetto della personalizzazione degli uffici da parte dei singoli utilizzatori: uno stratagemma necessario, visti i divisori interamente vetrati, resi percepibili da pellicole opacizzate satinate con tema geometrico. La base neutra di ogni ufficio è minimale e controllata, sono invece incontrollate – inevitabilmente – le personalizzazioni dei promotori finanziari che utilizzano gli uffici, con superfetazioni di tappeti persiani o divani Chester, foto di famiglia e quadri a tema nautico. I moduli lavorativi accolgono una o due scrivanie e hanno tutti un affaccio verso l’esterno, con un contromuro addossato alle pareti perimetrali che consente il passaggio delle reti impiantistiche. Anche gli impianti di raffreddamento sono alloggiati in un controsoffitto, modellato per accogliere anche fasce a led per l’illuminazione diretta.

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I pilastri quadrati del corridoio sono foderati con cartongesso circolare; una parete armadiata cela l’archivio, la zona caffè e gli accessi ai locali di servizio. I bagni, sia quelli per il personale che quelli per i visitatori sono rivestiti in resina e attrezzati con elementi di arredo in rovere. Il pavimento in resina si ritrova come un tappeto nella sala riunioni dove è collocato un grande tavolo, mentre il resto dello spazio ha una pavimentazione di legno chiaro, come in tutti gli uffici. Una parte rilevante del progetto – tutto risolto nell’allestimento degli spazi interni visti i limiti strutturali – è affidata all’illuminazione: apparecchi illuminanti lineari segnano e fanno strada lungo il corridoio centrale, mentre apparecchi a sospensione forniscono la luce indiretta negli spazi di lavoro e lampadari circolari danno carattere alle sale riunioni. 10

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PROGETTO

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2. CGIL Legnago

tinteggiatura in rosso dei muri di spina sugli arretramenti in corrispondenza degli accessi agli uffici. Un’analoga cesura sottoline con il colore i bordi a vista del controsoffitto che più basic non si può (quadrotti di fibra), mentre le pavimentazioni sono Gli uffici di uno dei quattro ambiti territoriali in in laminato. cui è suddivisa la provincia per la Confederazio- Al colore è affidato un ruolo fondamentale nella ne Sindacale trovano posto al piano terreno di un caratterizzazione degli spazi. CGIL è il sindacato fabbricato prevalentemente residenziale, nei pres- rosso, dunque la scelta è d’obbligo. Il bianco e il rossi dell’ospedale della città di Legnago. Uno spazio so di questi spazi hanno la semplicità e genuinità libero di circa 250 metri quadrati, vetrine lungo la di un buon piatto di spaghetti al pomodoro. Nienstrada e l’ingresso da un portico sulla testa dell’e- te chef stellati, per il Cipputi della bassa: la classe dificio, dove allestire gli spazi operaia va (o andava?) in paraaperti per i vari servizi offerti diso, e non da Perbellini... « Più che la funzione “alle lavoratrici e ai lavoratori”: conta la rappresentazione, Su questo substrato la grafiquesto il tema che si è posto ai ca ambientale interviene con i progettisti di Moovdesign, as- più che l’uso il significato: grandi numeri degli uffici dida cui scaturiscono sieme alla consapevolezza anpinti a caratteri Stencil sulla che morale di un lavoro che dosuperficie muraria. Anche gli le forme e i materiali veva compiersi al risparmio. arredi, ove possibile, partecidi ciascun progetto » L’organizzazione degli spapano a questo gioco di cromie: zi è improntata a una semplice assieme a mobilia qualunque di chiarezza distributiva: l’accoglienza in corrispon- recupero – ma c’è anche una bella cassettiera da ufdenza dell’ingresso, un corridoio centrale e la se- ficio anni trenta – , le sedute sono organizzate per quenza degli uffici ricavati da pareti in cartongesso, gruppi semi-assortiti, tutti rigorosamente accomucon tagli differenti a seconda dei vincoli presenti nati dall’immancabile rosso: quelle in resina mo(aperture e pilastri). Le porte in vetro senza telaio noblocco, quelle con la scocca stampata e le gambe con i sopraluce disposti ad L compongono nell’in- metallliche, e quelle un filino più lussuose coll’imfilata del corridoio una sequenza enfatizzata dalla bottitura in panno.

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Committente CGIL – sede di Legnago Progetto e direzione lavori Moovdesign arch. Emanuele Miliani arch. Emanuele Bugli Collaboratrice arch. Martina Rigoni Imprese Costruzioni Guerra, Roverè Veronese Peloso infissi, San Martino Buon Albergo

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Cronologia Progetto e realizzazione: settembre 2013-luglio 2014 Dati dimensionali Superficie interna: 220 mq

11. Lo sportello di accoglienza in corrispondenza dell’ingresso. 12-13. Manifesti e grafiche storiche della confederazione arricchiscono gli spazi. 14. Planimetria generale degli uffici CGIL di Legnago. 15. Tra gli arredi di recupero spunta qualche pezzo dal sapore vintage.

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MOOVDESIGN Moovdesign è un gruppo di professionisti di formazione eterogenea, laureati tra Venezia e Mantova, che nasce nel 2013 dall’incontro tra gli architetti Emanuele Bugli e Martina Rigoni, ai quali si sono uniti l’architetto Emanuele Miliani e di seguito gli altri componenti del team. La filosofia dell’interazione tra diverse professionalità è alla base del lavoro dello studio, che ha portato alla realizzazione di vari progetti principalmente a Verona e provincia, in particolare sui temi del comfort abitativo e della residenza. www.moovdesign.it 17

Strepitoso infine il repertorio delle testimonianze appese a parete: bandiere, stendardi e una serie di affiches storiche della confederazione, da cui vediamo affiorare volti e nomi quasi dimenticati – Sandro, Luciano, Enrico... – e una raffinatezza grafica nella comunicazione politica che da tempo è scomparsa dall’agone mediatico. I tempi cambiano, e dagli ovattati tweed di Lama, Trentin e financo di Cofferati siamo arrivati ai tailleurini in simil-Terital di Camusso; gli spazi non sono che l’espressione di questo cambiamento, all’insegna di una rude schiettezza. Avanti, popolo degli architetti.

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16. La sequenza degli uffici si apre lungo il corridoio centrale. 17. Rosso, sempre rosso, fortissimamente rosso. 18. La ‘galleria espositiva’ lungo il corridoio.


PROGETTO

Per un pelo

Due allestimenti di interni accomunati dall’intento di nobilitare gli spazi verso un comune ideale di bellezza

Progetto: arch. Mario Bellavite /Arcade Progettazione Integrata Testo: Giulia Bernini

Verona Sommacampagna

Foto: Lorenzo Linthout

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Se fosse una favola, questo articolo inizierebbe così: c’era una volta, nella terra di mezzo tra Mantova e Verona, un giovane molto dedito al suo lavoro, incentrato su uno strumento molto particolare – il laser elimina-peli – concesso in prestito a chi lo utilizzasse per aprire un’attività improntata al brand del Nostro. Restava però il problema di un luogo dove insegnare alle giovani estetiste come utilizzare quel potente mezzo: ed ecco che, come in ogni favola che si rispetti, entra in scena un Mago che, con la sua bacchetta magica, crea uno spazio per formare le sue apprendiste. Ci perdonerà Mario Bellavite se lo abbiamo introdotto in queste vesti prodigiose: in realtà, a dare forma ad Epìlo è un progetto di allestimento di un ambiente commerciale che si è scontrato con alcuni temi complessi: la necessità creare una forte identità, l’adattabilità a diversi spazi per fu-

fine di portare luce naturale fino alla sala lezioni, anch’essa vetrata: il locale è infatti privo di finestrature, ad esclusione delle vetrine prospicienti vicolo Cittadella. Le due stanze, di forma irregolare e convergente verso l’aula formativa, sono completamente bianche per aumentarne la luminosità, eccezion fatta per i pavimenti in laminato, e corredate da scrivanie e scaffalature su misura. L’aula mantiene le stesse caratteristiche cromatiche e materiche, dotata anch’essa di arredi su misura e di una parete attrezzata a libreria. Una grande porta a bilico conduce al centro estetico vero e proprio: un perno, fissato a pavimento, la apre facendola ruotare su se stessa cosicché, staccandosi dalla parete ed essendo a tutta altezza, riveli una continuità tra gli ambienti. Epìlo, però, doveva avere anche una

01. Beauty Experience. Dettaglio della scala. 02. Epìlo. Prospettiva dall’ingresso. 03. Il bancone di accoglienza e l’esterno della casetta-cabina trattamenti.

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« Come creare un ambiente caldo e accogliente per le cabine trattamenti? Dando loro la forma del riparo per eccellenza: la casa » turi franchising, il budget modesto (che nessuna magia riesce a moltiplicare...). Il risultato è quanto mostrato in queste pagine. Lo spazio a disposizione, 200 metri quadrati a due passi da piazza Cittadella, è suddiviso in due ambiti: uno dedicato all’insegnamento, con uffici annessi, e uno destinato alla pratica. Sulla strada si aprono due ingressi distinti, a sottolineare la bipartizione. L’ufficio e la direzione sono racchiusi da pareti vetrate, al

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mario bellavite (Verona, 1964) Laureato in architettura a Venezia, ha dato vita allo studio Arcade progettazione integrata, che opera nel campo dell’architettura e del design, forte di una consolidata esperienza in tutti i settori principali dell’edilizia pubblica e privata, con una particolare attenzione al retail design. «AV» ha presentato nel numero 99 i cimiteri di Cerro Veronese e Caprino Veronese. www.progettazioneintegrata.com 03

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PROGETTO

Per un pelo

04. Pianta dello spazio di Epìlo. 05. Area di attesa e accoglienza e scorcio del corridoio. 06. Interno della cabina per i trattamenti.

STATO DI PROGETTO - PIANTA PIANO TERRA - scala 1:50

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Progetto architettonico e direzione lavori arch. Mario Bellavite Collaboratori Epìlo: arch. Francesca Boninsegna, ing. Irene Cartolari Beauty Experience: arch. Francesca Boninsegna, arch. Francesca Rapisarda, ing. Irene Cartolari; ing. Alessandro Bacciconi (imp. meccanici), p.e. Cristiano Zanella (imp. elettrici), ing. Fabio Giannici (strutture pensilina)

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zona a servizio del pubblico, con uno stile di forte impatto tale da garantire la riconoscibilità del brand, e invogliare altre giovani ad aprire un loro franchising. Vengono quindi scelti materiali di basso costo, così da essere più accessibili: il pavimento dell’ingresso è rivestito semplicemente con una pittura ad alta resistenza, di una tonalità che richiama gli ambienti medici. L’illuminazione è differenziata secondo le esigenze: una sottile vena scenica contraddistingue il profilo circolare in alluminio all’entrata, luci led sottolineano i perimetri parietali e faretti puntuali individuano il bancone. Come creare infine un ambiente caldo, dando una sensazione di accoglienza e un’idea di protezione alle cabine predisposte per i trattamenti estetici? Dando loro la forma del riparo per eccellenza: la casa. Due casette stilizzate, dunque, aperte sulla cima per garantirne l’areazione e fatte di un materiale naturale come

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le costruzioni più ancestrali: il legno, lasciato a vista nelle parti strutturali e in forma di pannelli di truciolato grezzo, liscissimo al tatto, a tamponare le pareti. Non molto tempo dopo l’apertura di Epìlo, lo spazio si è rivelato non più sufficiente per il successo crescente dell’iniziativa. È necessario un ambiente più ampio per effettuare un salto di qualità, con l’apertura di un centro di formazione anche con l’intento di nobilitare l’attività delle estetiste, facendone una sorta di ‘polo culturale’. Il centro doveva sì essere luogo di apprendimento, ma anche trasmettere un’idea della bellezza, trascendendo l’aspetto meramente epilatorio. La localizzazione per il nuovo centro viene individuata in un preesistente capannone a Sommacampagna: come nella favola dei tre porcellini, che passarono dalla casetta in legno a quella in muratura. Ancora una volta, all’architetto Bellavite viene richiesta una magia, trasformare gli spazi di un

07. Disegni costruttivi della cabina per i trattamenti. 08. Prospettiva dall'ingresso secondario sul corridoio ad "Y”. 09. Interno dell'aula per la formazione.

imprese Epìlo: Tradelek (opere edili e impianti), Sever (forniture arredi), Arredoluce (illuminazione) Beauty Experience: Benati (opere edili), Twins Service (impianti), Corten Essedi (opere da fabbro), Falegnameria Fasoli, Segala Arredamenti, Arredoluce, Stab luce (illuminazione), Sever (forniture arredi), Megaborg - Giovanni Motta (grafica e comunicazione) Cronologia Progetto e realizzazione: Epìlo 2015, Beauty Experience 2016

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10-11. Beauty Experience. Veduta notturna e gli spazi esterni verso l’accesso. 12. Lo sbarco della scala al primo piano. 13. Pianta del piano terreno.

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capannone in un luogo dedicato alla tamponate da teli Barrisol in tensiobellezza. ne, per garantire un’uniforme diffuL’esterno della struttura viene dipinto sione della luce. in grigio scuro per mitigarne l’appa- All’angolo, due piccole sale riunioni, renza industriale. Una pensilina, ri- perfettamente speculari tra loro, acvestita da doghe di rovere al naturale, colgono i clienti. Un’illuminazione demarca l’ingresso, dando al contem- importante riempie l’ambiente compo un senso di accoglienza: si snoda pletamente nero, all’interno del quale dal fronte principale estendendosi sul risalta il giallo del tavolo composto da laterale, creando l’illusione ottica di sottili doghe metalliche. una rientranza all’interno del paral- Se il lungo corridoio si erge a piccola lelepipedo, altrimenti anonimo. Dal galleria d’arte, tra tele rappresentancancello, un pati statue classiche vimento in plastic « Il centro doveva sì essere e vani incassawood si estende luogo di apprendimento, ti predisposti per fino alla porta, esporre piccoma anche trasmettere sollevandosi lunli oggetti, la vera un’idea della bellezza, go il tragitto e sorpresa è il bar, trasformandosi in che ne rompe la trascendendo l’aspetto panche illuminate successione vertimeramente epilatorio » dal basso. cale. Il grigio scuMa è negli sparo e il legno zezi interni che si svela l’incantesimo. brano sono enfatizzati dalle luci led Non importa se fuori il meteo sia av- che ne delineano l’architettura; l’atverso, il cielo grigio e l’aria nevosa: tenzione al dettaglio nella progettavarcata la soglia del Beauty Experien- zione degli arredi porta ad un deciso ce, si entra in una SPA tropicale. contrasto con l’ampia dimensione inLe finestre dissimulano la visua- dustriale di partenza. La parete vegele esterna, tamponate da fasce velate tale, i banconi con piani di appoggio di vetri scorrevoli nelle tenui tonalità dell’azzurro, del verde acqua e del rosa. Una cornice in legno le racchiude piegandosi a davanzale, lambita dal rivestimento in gres color grafite delle pareti, il quale prosegue distendendosi a pavimento. Due bianche poltroncine Barcelona indirizzano lo sguardo verso il bancone in legno zebrano, circondato da due pareti vegetali: la base in strati di feltro e il sistema automatico d’irrigazione, nascosto nelle cornici metalliche, permettono l’impiego di vere piante tropicali ed orchidee. L’effetto scenografico del foyer è completato da grandi luci led RGB a soffitto, dal diametro variabile e forma circolare,

14. Il foyer al piano terra con il bancone di accoglienza e la parete vegetale. 15. Il passaggio verso i bagni al piano terra. 16. Il bancone di accoglienza nel foyer.

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Per un pelo

17-18. Disegni esecutivi e veduta dell’area per il coffee break. 19. La scala in una veduta dall’alto. 20. Veduta della sala conferenze. 21. Una sala riunioni al piano superiore.

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vetrati e gli sgabelli dell’area ristorazione completano la zona, coadiuvati da un impianto stereo e luci colorate: a star seduti lì ci si scorda di essere in un ambiente di lavoro, ritrovandosi a sorseggiare un caffè in un locale da sabato sera. Alle spalle del bar si trova la sala grande per le lezioni di pratica, supportata da servizi igienici e docce dedicate. Proseguendo, si giunge infine alla sala conferenze dove, tra una morbida moquette nera e grandi fotografie retroilluminate incastonate nelle pareti, il soffitto inclinato crea un effetto ottico amplificandone la dimensione e proiettando l’attenzione verso la cattedra. Una porta scorrevole dietro al bancone del foyer, conduce al piano superiore. La scala, racchiusa in un vano stretto e basso, funge da filtro tra i due piani. Su ogni gradino si susseguono pannelli di legno disposti a cornice, ulteriormente accentuati da un profilo led che separa gli uni dagli altri. L’effetto, seppur un po’ abbagliante, è quello di attraversare una lunga serie di portali di luce che conducono in un’altra dimensione. Una moquette verde prato porta alla sommità, allargandosi nel piano tra zone d’ombra e punti di luce, a voler richiamare il contrasto diurno di piccole radure erbose, sparse tra le chiome boschive. Il vano che racchiude il corpo scala ha dato le linee direzionali della distribuzione interna. La scala sbocca davanti ad una sala riunioni vetrata che risolve il problema dell’illuminazione interna: il piano presenta infatti un lato completamente cieco con piccole aperture preesistenti che si affacciano sull’interno del capannone. Su di esse sono state applicate fotografie traslucide per mascherarne la visuale.

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Si chiude così il ‘cerchio magico’ che dall’allestimento di Epìlo ha portato a Beauty Experience: un insieme di esperienze progettuali certo inusuali se pensiamo in senso stretto alla funzione d’uso, ma ben più universale considerando il fine ultimo di nobilitare gli spazi, indirizzandoli verso un ideale della bellezza cui l’architettura sempre mira, grazie agli sforzi congiunti del committente, dell’architetto e dei suoi collaboratori, e degli esecutori delle opere.

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PROGETTO

Del Giardino e del palazzo

Una serie di interventi conservativi estesi alle architetture e agli elementi decorativi garantisce la continua fruizione di questo imprescindibile monumento veronese

Progetto: ing. Claudio Sandri, arch. Simona Manara (M+S Architetti) Testo: Luisella Zeri

Verona

Foto: Simone Sala

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Nell’ampio panorama che raccoglie le bellezze del patrimonio veronese, il Giardino Giusti e il palazzo di cui esso fa parte sono forse i luoghi meno frequentati da cittadini e visitatori. Complice il decentramento rispetto al classico percorso turistico e l’alta struttura che ne cinta l’area di pertinenza, chi si appresta al tentativo di superare il limite che li nasconde, scopre con stupore che l’avventura è valsa lo sforzo: al di là della cortina di edifici di Veronetta, ecco il Giardino segreto per eccellenza della nostra città. Provolo Giusti, cardatore di lana di origini toscane, appare sul palcoscenico della storia cittadina tra il 1300 e il 1400. Proprietario di un vasto terreno alle pendici di San Zeno in Monte, vi installa un attività per la tintura delle stoffe. Nel 1404 l’avvento di Venezia al comando della politica Veronese e la consistente ricchezza accumulata dai Giusti attraverso la propria attività, rende necessario un mutamento dell’originale economia familiare e degli spazi ad essa dedicati. Gli opifici per la lavorazione dei tessuti vengono così trasformati in beni fondiari per l’agricoltura. Nel corso del Cinquecento poi, i terre-

01. Il portico e il cortile d’ingresso al Giardino Giusti. 02-05. Il palazzo Giusti.

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« Un giardino all’italiana sottoposto a vincolo monumentale è un brano di città in cui la conservazione di ogni elemento rappresenta un pezzo di storia al pari di monumenti e opere d’arte » ni sul lato sinistro dell’Adige divennero oggetto di vivo interesse da parte dei Signori benestanti della città che convertirono vaste aree urbane in dimore nobiliari e giardini per il buon vivere. È infatti di Agostino Giusti nella seconda metà del 1500 l’idea di trasformare la casa di famiglia in un palazzo signorile, dando forma contestualmente alle aree esterne occupate da vigne ed orti. Nel 1581 quando è presidente dell’Accademia dei Filarmonici, la cui sede è stabilita nel palazzo, concede l’allestimento dell’”Aminta” di Torquato Tasso all’interno del cortile della sua abitazione. Il soggetto della mise en scène è una evocativa fiaba pastorale che sembra costruita quasi appositamente per essere rappresenta-

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Del Giardino e del palazzo

PROGETTO

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06. Elaborati di progetto finalizzati all’analisi del degrado e alla definizione degli interventi di recupero. 07. Planimetria generale. 08. Il viale centrale di cipressi che converge lo sguardo verso il muro di fondo che divide il giardino fra parte bassa e parte alta. 09. L’imponente mascherone posto sul muro di fondo.

ta in un paesaggio disegnato e rigoroso come quello del giardino all’Italiana. Da questo atto prende il via la trasformazione degli edifici e dell’area esterna delle proprietà Giusti nel cuore di Verona. L’aspetto odierno della villa e del giardino, nonostante rimaneggiamenti successivi e alcune opere di manutenzione, ricalca sostanzialmente l’impianto impostato nel 1500. Oggi come un tempo il giardino è un hortus conclusus, un’isola felice atta ad accogliere chi, all’occorrenza, avesse bisogno di ristorarsi con le bellezze della natura e dell’uomo che è riuscito ad addomesticarle. Il tutto viene configurato come un simbolico percorso di ascesa dal tripudio degli eccessi della vita terrena verso l’onore e la virtù della vita spirituale. Questa raffigurazione è stata espressa nel progetto di realizzazione del giardino dividendo figurativamente gli spazi in una parte bassa e in una parte alta. La prima, più antica, è organizzata con il rigore, le siepi geometriche, il labirinto e le fontane tipiche del giardino formale. I vizi mondani sono raffigurati dalle statue di Venere, Adone, Apollo Diana e Giunone scolpite dell’artista Lorenzo Muttoni. Di lato, lungo il tratto di mura comunali che perimetra parte della proprietà si trovano le limonaie, con le nicchie che accoglievano le statue volute da Giangiacomo Giusti, figlio di Agostino, che consacrò il Giardino “al Genio della giocondità, alle Muse ed a Flora”. La parte più alta, invece, più selvag-

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committenti Alessandra e Niccolò Giusti del Giardino Progetto architettonico restauro e dir. lavori Studio ing. Claudio Sandri Studio M+S Architetti: arch. Simona Manara, arch. Marco Semprebon consulenti ing. Francesco Cetti Serbelloni ing. Domenico Fusani imprese Decorart di Luciano e Osvaldo Maggi (restauro manufatti lapidei e fronte “grotta del genius Loci”) Arlango restauro e conservazione beni culturali di Egidio Arlango (restauro opere pittoriche) Calabrese Guido e Franco (opere murarie) 08

gia e romantica, lascia parlare la natura: sul terreno dolcemente ondulato si adagiano i vialetti che percorrono un boschetto, il quale terminava un tempo presso un tempietto monoptero ora andato perduto. La simbolica divisione di cui abbiamo parlato poco più sopra è tracciata dal muro roccioso di fondo su cui termina l’asse visivo centrale. Sulla parete si trovano le strutture architettoniche che traghettano dalla terra allo spirito: la grotta del Genius Loci con il portale classicheggiante, il grande mascherone, il belvedere e lateralmente la torretta in muratura. All’interno di quest’ultima una cappella votiva e una ripida ascesa di cinquantuno gradini a rappresentare la fatica del cammino umano dal vizio alla virtù. Il Giardino Giusti è uno spazio che riveste nello spirito identitario collettivo e familiare una grande importanza, tanto da evocare un’atmosfera così forte che a tratti esce dai confini cittadini. Basti pensare che per i turisti inglesi, assolutamente eruditi in materia di verde e giardini, la proprietà Giusti è una meta imprescindibile nei tour di visita e il giardino, all’interno delle guide anglosassoni, è decan-

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tato come un tesoro di inestimabile valore. Il ramo della famiglia Giusti del Giardino ha da sempre con orgoglio e determinazione conservato la proprietà nella linea di discendenza, tanto da assumerne il nome fin dalle origini e da sostenerne l’opera conservativa portata avanti attraverso un intenso programma a stralci iniziato nel 2009. I lavori si sono resi necessari soprattutto in seguito al terremoto del 2011 e a una successiva stagione di forti piogge, al fine di fronteggiare le emergenze conservative e di stabilità dei vari manufatti ivi ricompresi. Ad occuparsi dell’intervento di recupero lo studio di progettazione dell’ingegnere Claudio Sandri e dell’architetto Simona Manara, sotto l’egida di ben tre Soprintendenze (solo oggi riunificate). La questione conservativa è stata sviluppata su diversi livelli di intervento ciascuno con tempi e caratteristiche particolari. Innanzitutto è stato affrontato l’aspetto conservativo del palazzo, nello specifico la parte riguardante le coperture. L’edificio, come evidenziato nell’excursus storico iniziale, è risalente agli ultimi anni del 1500, quindi si

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Cronologia progetto sinottico: 2009 opere per sralci ancora in atto

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Del Giardino e del palazzo

PROGETTO 10-12. L’ascesa alla parte alta del giardino attraverso la torretta. 13. Elaborati di progetto relativi al recupero degli elementi architettonici del giardino e dei fronti rocciosi.

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Annamaria Conforti Calcagni il giardino giusti Cierre Edizioni, 2016, pp. 84, 80 illustrazioni a colori e in bianco e nero. Foto di Pino Dal Gal.

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è supposto che anche la struttura di copertura sia originaria dell’epoca. È stato evidenziato però che, nonostante nel corso dei secoli l’involucro abbia subito riparazioni, puntellamenti e rafforzamenti, alcuni interventi finalizzati a risanare i danni dovuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e operazioni atte a sistemare alcuni ammaloramenti riguardanti i correnti che sostengono lo sporto di gronda, un integrale ed organico intervento di recupero della chiusura orizzontale non è mai stato messo in atto. A tal fine, quindi, gli interventi portati avanti sulle coperture sono stati finalizzati all’intero consolidamento e ripristino della capacità portante della struttura, con un adeguata coibentazione termica e un sistema di ventilazione naturale atto ad evitare le infiltrazioni d’acqua. Quest’ultima infatti ha causato nel tempo i maggiori danni sulle strutture e sull’apparato pittorico relativo agli affreschi che decorano le sale interne del palazzo. Anche la parte ornamentale quindi necessiterebbe di un intervento di recupero, ma per ora, essendo stati messi in pratica soli interventi di emergenza, l’unico dipinto su cui si è intervenuti è quello dello scalone centrale.

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Se il lavoro sul palazzo si è focalizzato sulla copertura, l’operazione di recupero più ampia è stata condotta per il restauro del giardino. Il progetto di manutenzione straordinaria che lo ha riguardato affianca l’opera di manutenzione ordinaria messa in atto quasi quotidianamente da una squadra interna di giardinieri. Questi interventi più comuni sono di fondamentale importanza, quasi al pari di quelli relativi al progetto di restauro sui manufatti lapidei e sulle strutture architettoniche. Un giardino all’italiana sottoposto a vincolo monumentale quale è il Giardino Giusti, non rappresenta solo uno spazio in cui l’ars topiaria va esaltata con costanza, ma è anche un brano di città in cui la demolizione o sostituzione di un singolo arbusto è sottoposta a vigilanza e controlli, perché quell’elemento rappresenta un pezzo di storia al pari di monumenti e opere d’arte. Per quanto riguarda il vasto apparato scultoreo e di manufatti architettonici distribuiti lungo il percorso di visita, l’intervento di recupero ha previsto il consolidamento statico del Mascherone e di tutti gli elementi scollati e pericolanti rispetto alla loro sede, tramite l’utilizzo delle terre rinforzate. Lo

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è dedicato al Giardino Giusti anche l’ultimo volume della collana “I quaderni delle Regaste” di Cierre Edizioni. Si tratta di un’agile chiave di lettura per apprezzare lo splendido esempio di giardino all’italiana, vivo ed eloquente segno della cultura di fine Cinquecento. Ne è autrice Annamaria Conforti Calcagni, che si occupa da anni di arte veronese, in particolare del XVI secolo. Sulla storia del giardino ha pubblicato per Il Saggiatore Bellissima è dunque la rosa (2003), Bei sentieri lente acque (2007) e Una grande casa cui sia di tetto il cielo (2011).

14. Una suggestiva immagine del giardino all’italiana con le caratteristiche statue e le siepi di bosso.


PROGETTO

Del Giardino e del palazzo

15. Uno scorsio sul giardino. 16-17. Le statue di Apollo e di Giunone dopo il restauro. 18. Un altro sguardo sul giardino tra elementi vegetali e apparati scultorei. 19. Le statue in un confronto tra lo stato da recuperare e quello dopo l’intervento.

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il restauro delle statue Il team di progettazione è stato integrato, per gli interventi relativi al recupero delle statue e degli apparati lapidei degli elementi architettonici, dalla collaborazione con la ditta Decorart di Sant’Ambrogio di Valpolicella di Osvaldo e Luciano Maggi. Gli interventi realizzati da Decorart, che a Verona è intervenuta tra l’altro nel recupero dell’ala e degli arcovoli dell’Arena e nel complesso del Duomo, hanno interessato le statue delle divinità poste nel Giardino all’Italiana e la ricostruzione di alcune porzioni di manufatti architettonici, questi ultimi come meglio specificato nel corpo dell’articolo. Per quanto riguarda le statue le operazioni messe in atto sono state quelle tipiche degli elementi lapidei: pulitura, riadesione, consolidamento statico e strutturale, sigillatura e stuccatura e infine tassellatura per ridare consistenza alle basi delle statue. Le operazioni sono state condotte con attenzione in quanto lo stato di degrado in cui versavano i vari elementi, era tale da ritenere l’operazione non certa nei risultati.

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stesso muro roccioso di fondo è stato consolidato tramite l’abbattimento controllato degli elementi instabili previa puntellatura del fronte e successiva ricostruzione effettuata con materiali adeguati allo stato dei luoghi. Contestualmente anche la torre e la sua scala a chiocciola interna sono state sistemate con la perniatura dei gradini lesionati e il restauro della struttura generale della costruzione. Particolare attenzione è stata dedicata alle cinque statue dell’artista Lorenzo Muttoni e più in generale a tutti gli interventi che hanno riguardato le superfici esterne, lapidee e murarie, e la raccolta di epigrafi romane facenti parte della collezione di Agostino Giusti. Lo stato di degrado era in condizione tale da ritenere l’operazione non certa nei risultati. Gli interventi di restauro hanno riguardato anche la ricostruzione di alcune porzioni di manufatti architettonici, come per esempio il portale della grotta del Genius loci. In questo caso sono stati riposizionati e sostituiti gli elementi in laterizio, il lavoro è stato rifinito con una successiva velatura di intonaco messa in opera in modo tale da non inserirsi nello stato dei luoghi come un nuovo elemento, ma

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colorazione e metodologie di applicazione sono state curate in modo tale da adeguarsi all’aspetto generale già segnato dal passare del tempo. Il risultato finale è quello che oggi possiamo godere visitando il giardino. Un’opera che, nonostante nel corso dei restauro sia sempre rimasta aperta ai visitatori, oggi si mostra al meglio degli ultimi anni, avendo ritrovato smalto e splendore. E allora vale la pena di compiere lo sforzo, uscire dal percorso abitudinario e tracciato, deviando la via dello shopping e allungando il passo fin oltre Ponte Pietra e il Teatro Romano. E allora ai nostri occhi non si aprirà solo lo spettacolo di un architettura progettata lungo i secoli, ma anche il valore aggiunto di una intensa opera di restauro corale.

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Con Ordine

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Una inaugurazione lunga (quasi) un anno per il Magazzino delle professioni dove ha trovato posto la nuova sede dell’Ordine degli Architetti di Verona

Testo: Nicola Brunelli Foto: Alberto Scorsin

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« Il progetto culturale doveva dimostrare i processi virtuosi che determinano la rigenerazione urbana » che proprio gli architetti, designati per competenza professionale e inclinazione naturale alle strategie della pianificazione del territorio, indicassero con un esempio tangibile la strada che conduce alla rigenerazione di un edificio dismesso e di un’area degradata, rifunzionalizzandone i caratteri architettonici ed urbanistici e rivitalizzandole dal punto di vista sociale e culturale. Ho quindi sostenuto con entusiasmo, dedicandomi in in prima persona, la necessità di accompagnare

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Lo scorso 6 aprile 2017 è stato ufficialmente inaugurato a Verona M15, il Magazzino delle professioni, nuova sede per tre ordini professionali provinciali tra i quali il nostro Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. Una data importante quindi, che ha concluso un percorso che ci ha visto impegnati in prima linea nella realizzazione di questa “casa delle professioni”: percorso iniziato molti anni fa – era il 2006 – e portato avanti con caparbietà e tenacia dal Consiglio direttivo dell’Ordine, nonostante il logorio delle proverbiali mille difficoltà. Chi scrive è entrato a far parte del Consiglio nel 2010, quando l’idea del trasferimento della sede agli ex Magazzini Generali era già in itinere. Da subito ho condiviso il significato esemplare e l’opportunità

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l’operazione architettonica con un progetto culturale che ne integrasse e illustrasse il significato anche sociale: un vasto programma, eclettico e articolato, di manifestazioni, inizialmente propedeutico al progetto architettonico – che ne guidasse quindi anche le scelte – divenendo successivamente, durante i lavori, una sorta di finestra formativa aperta sulle complesse fasi del cantiere e sulle varie scelte tecniche che lo riguardavano. Il progetto culturale, coinvolgendo anche i quartieri limitrofi, le associazioni sociali e culturali cittadine e le scuole, doveva opportunamente trasformarsi, doveva rappresentare una sorta di manifesto per l’informazione, la sensibilizzazione e la dimostrazione dei processi virtuosi che determinano la rigenerazione urbana sostenibile,

via Tombetta

gate/ showcase

presentation

piazza

stage exhibition area

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oro

PROGETTO PER UN’INSTALLAZIONE PENSATA PER L’INAUGURAZIONE DELLA SEDE DEGLI ARCHIETETTI DI VERONA REVERSE ARCH. NICOLA GASTALDO

info@reverselab.it 9 novembre 2015

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01-02. Lo spazio antistante M15 - il Magazzino delle professioni nelle giornate inaugurali, aprile 2017. 03. Pianta dell’installazione Macaco realizzata in occasione dell’inaugurazione di M15. Progetto: Reverse – arch. Nicola Gastaldo.

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04. L’edificio ove ha sede M15 Magazzino delle professioni. 05-06. Alcuni esiti dei laboratori didattici tenuti da Moving School.

m15 opening Il timelapse dei lavori e le testimonianze di Arnaldo Toffali e degli altri protagonisti della “operazione Magazzini” che ha portato all’apertura di M15Magazzino delle professioni con la nuova sede dell’Ordine degli Architetti di Verona. 04

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anche attraverso la progettazione partecipata e il riuso temporaneo. Un insieme di scelte architettoniche e di attività culturali condivise per contrastare il degrado urbano e sociale, sull’esempio del lavoro del gruppo “G124” di Renzo Piano nelle varie esperienze di Catania, Milano, Marghera e delle attività svolte da alcune associazioni quali “Tempo e Riuso” a Milano. Da queste appassionanti premesse e con obiettivi altrettanto ambiziosi e lungimiranti, nasce “C’è vita nello

spazio”, un complesso progetto culturale composto da workshop progettuali, convegni e conferenze, laboratori artistici e didattici, seminari tecnici e corsi formativi professionali, mostre, installazioni e performances. Dopo l’iniziale workshop con gli studenti delle scuole di architettura di Barcellona e Torino, guidati dai docenti Carles Llop e Pierre Alain Croset, che hanno indagato l’area dei Magazzini Generali e il contesto in cui essi si sono

sviluppati, le potenzialità sostenibili e le possibili strategie progettuali per la loro trasformazione, si sono svolti i corsi della formazione in cantiere. In contemporanea si sono tenuti i laboratori didattici con le scuole primarie che hanno aderito all’iniziativa, coadiuvati da Mooving School, e i laboratori fotografici “Racconti Urbani”, con la partecipazione dell’Officina delle Nuvole. Sono stati molti i protagonisti che, coordinati dalla regia dell’Ordine degli Architetti, hanno offerto lo spunto per vivere lo scorso giugno, nello spazio antistante l’ex cinema Astra in via Oberdan, una dimostrazione palese dell’uso temporaneo di un luogo, regalandoci vari spunti e preziosi stimoli per riflettere sul tema del riuso con una serie di eventi realizzati ad hoc per l’occasione (cfr. «AV» 106, pp. 60-62). A partire dal mix di proiezioni e luci e l’esibizione dell’artista Biljana Bosnjakovic, a cura di LAC, alla performance video a cura di Bridge Film Festival con

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video www.architettiveronaweb.it/videoarchitettura-verona/m15-opening/

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07, 09. Simone Sfriso e Roberto Cremascoli con Nicolò Galeazzi in occasione degli incontri della rassegna C’è vita nello spazio presso M15. 08, 10. Due immagini della mostra del laboratorio fotografico Racconti urbani.

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accompagnamento musicale Live dei Rakunesh, e con le animazioni dell’illustratore Giacomo Trivellini. Da “Ah!”, spettacolo e connubio di delicatezza e divertimento, ad opera del mimo Sergio Bonometti diretto da Andrea Castelletti della compagnia Teatro Impiria, alla proiezione del film “Verona 1956” di Tano Zoccatelli e di altri preziosi cortometraggi che documentano l’evoluzione urbana della nostra città a partire dal secondo dopoguerra, a cura del CineClub Verona, su gentile concessione di Ugo Brusaporco. Dalla proiezione delle fasi del cantiere e delle immagini dell’edificio M15 quasi ultimato, e delle video interviste sul tema fondamentale della rigenerazione degli spazi urbani – queste ultime realizzate dai redattori de «Il Giornale dell’Architettura.com» ad alcuni celebri architetti e critici presenti al vernissage della passata edizione della Biennale di Architettura di Venezia e concesse in esclusiva all’Ordine di Verona, in virtù di una consolidata partnership – per terminare con il prezioso momento di riflessione sul riuso degli spazi e il ruolo del verde come elemento generatore di socialità in ambito urbano, proposto dall’associazione culturale Interzona. L’evento “Relife. Verso i nuovi Magazzini”, organizzato successivamente sotto il cavalcavia di viale Piave dall’Ordine degli Architetti P.P.C., in collaborazione con M15, Reverse, Associazione A.G.I.L.E., M28, Verona Risuona, Officina delle Nuvole e Spoon, ha fatto rivivere almeno per un giorno un altro luogo suggestivo e ricco di fascino, quando e se adeguatamente utilizzato (cfr. «AV» 106, pp. 63-64). Anche in questo caso la scelta del

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luogo non è stata casuale: in questo spazio periferico simbolo del degrado si è svolto un appassionante dibattito sul tema delle periferie e delle città del futuro, sapientemente condotto da Luca Gibello (direttore de «Il Giornale dell’Architettura.com») e che ha visto la partecipazione dell’architetto Mario Cucinella, già collaboratore di Renzo Piano e del gruppo G124 – fresco di nomina a curatore del Padiglione Italia alla prossima Biennale di Architettura di Venezia – e degli architetti Roberto Corbia e Anna Merci, entrambi impegnati con il G124, gruppo di studio sulle periferie italiane voluto e finanziato dall’architetto-senatore Renzo Piano. Il riutilizzo del suono,

grazie ad un originale intervento dell’antropologo Francesco Ronzon, docente alla Accademia di Belle Arti di Verona e promotore del festival VeronaRisuona” (cfr. «AV» 108, pp. 72-73), è stata la chiave provocatoria che, come un nuovo linguaggio, porterà in futuro ad interrogarsi sul contesto di questo rinnovamento in corso. Inoltre, una serie di convegni e conferenze, questa primavera, hanno descritto alcune testimonianze positive di rigenerazione urbana sia nazionali che internazionali (non possiamo non citare l’esperienza del Matadero di Madrid, di cui si è ampiamente dibattuto in un convegno con l’architetto spagnolo

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11. Foto di gruppo al termine degli incontri del 6 aprile. Da sinistra, si riconoscono Roberto Cremascoli, Anna Merci, Arnaldo Toffali, Giulia De Appolonia, Paola Ravanello, Marco Campolongo, Nicolò Galeazzi e Nicola Brunelli. In basso, Olivia.

c’è vita nello spazio Le video testimonianze degli incontri nella rassegna C’è vita nello spazio: Carlos Baztàn Lacasa con Serafina Amoroso per Fabbriche d’arte e cultura (11 febbraio), Simone Sfriso per Taking care (1 aprile) e Roberto Cremascoli con Nicolò Galeazzi per Luogo condiviso (6 aprile). video www.architettiveronaweb.it/category/ video-architettura-verona/

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Carlos Baztàn Lacasa e l’architetto Serafina Amoroso) e le riflessioni sul tema esercitate da molti illustri progettisti, quali ad esempio Simone Sfriso dello studio TamAssociati (co-curatore del Padiglione Italia all’ultima Biennale di Architettura di Venezia), Roberto Cremascoli, cocuratore del Padiglione del Portogallo alla medesima Biennale e Nicolò Galeazzi, emergente fotografo di architettura, questi ultimi entrambi collaboratori dello studio Siza. Infine una installazione (“Macaco”, una sorta di seduta sociale che ricalca uno dei tracciati dei binari che solcavano l’interno del recinto dei Magazzini Generali), completa di pannelli informativi sull’evoluzione storica della Zai e sul progetto di recupero dei Magazzini 15-16-17, la mostra fotografica con i lavori del laboratorio Racconti Urbani allestita all’interno di M15 e l’esibizione dei modelli e dei progetti degli alunni delle classi che hanno aderito al progetto scuole con Mooving School, dedicato al tema del riuso. Da questo percorso scandito dai molti eventi culturali proposti è scaturito un dibattito di riflessione e confronto sul tema dell’architettura, che si interroga sulla rigenerazione degli insediamenti urbani e sulla riscoperta delle periferie. Un percorso che non solo ha dato al nostro Ordine una sede degna anche dal punto di vista stilistico, ma che ne ha testimoniato un impegno tangibile nella direzione della Rigenerazione Urbana Sostenibile, un esempio concreto che seppur con qualche innegabile lacuna rimane indubbiamente un caso guida da seguire e una importante esperienza – auspichiamo ancora per poco – unica a Verona nel suo genere.

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Per imparare Verona

La figura di intellettuale di Renzo Chiarelli e il suo amore per la città attraverso gli scritti, le interviste e un memorabile volume Testo: Alberto Vignolo

Foto: Michele Mascalzoni

Un incontro organizzato dall’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona assieme ai Civici Musei d’Arte di Verona ha ricordato la figura e l’opera di Renzo Chiarelli, tratteggiando i molti interessi interessi di questo intellettuale veronese e il ruolo che egli ha avuto per la città. A meno di vent’anni dalla sua scomparsa (2000), forse non è inutile richiamare alla memoria che egli ha ricoperto dal 1977 al 1981 la carica di Soprintendente ai Beni Artistici e Storici del Veneto, dopo trent’anni di attività nei ranghi ministeriali svolta prevalentemente a Firenze, dove si era trasferito in tenera età assieme alla famiglia. Il ritorno nella città natale riannodò un filo mai spezzato e una continuità di “affetto intellettuale”, alimentata dagli studi, dalle ricerche e dall’attività istituzionale. Su questi aspetti si sono incentrati, nella giornata di studi veronese, gli interventi di Fabrizio Pietropoli, Giovanni Padovani, Alba Di Lieto, Loredana Olivato, Daniela Zumiani, Anna Chiara Tommasi e Claudio Gallo, coordinati da Vasco Senatore Gondola e da Margherita Bolla. Quello che vogliamo qui evidenziare è il ruolo di Chiarelli come intellettuale appassionato e polemico nelle sue sferzate piene di amore per la città, espresse negli articoli,i saggi, le interviste e gli interventi pubblici. Ne aveva dato conto anche «Architettiverona» in un colloquio intitolato La città offesa, comparso sul numero 3 del 1992 (pp. 14-17), in cui Chiarelli passando in rassegna alcuni esempi – Piazza Erbe, Castel San Pietro, l’Adige, l’Arsenale (!) –

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in ricordo di renzo chiarelli Giornata di studio Palazzo Erbisti, Verona 6 marzo 2017 promossa da Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona Civici Musei d’Arte di Verona contributi di Chiara Rigoni, Fabrizio Pietropoli, Giovanni Padovani, Alba Di Lieto coordinati da Vasco Senatore Gondola

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sottolineava il venir meno di un senso di attaccamento alla città come patrimonio collettivo. Ancora più plateale si levava nel 1993 il suo J’accuse. Quello che si doveva fare (e non si è fatto); quello che non si doveva fare (e si è fatto o si fa), in forma di contributo al volume curato da Luciano Cenna Ahimè, l’arredo urbano (Società LetterariaCierre Edizioni, pp. 15-23). In questa occasione, Chiarelli affrontava il degrado dell’aspetto estetico della città, dell’esteriore e del visibile, avocando a sé il ruolo di defensor urbis di fronte all’inerzia e indifferenza dell’opinione pubblica: con forza ed eloquenza, ma senza nessuna di quelle volgarità alle quali ci hanno oramai assuefatto altri giullareschi storici dell’arte. Piazza Bra, che fare?, verrebbe da chiedersi rileggendo queste note oggi, di fronte al perdurante e cronico assedio di baracche e baracconate d’ogni sorta nella “amplissima, ariosa, monumentale Bra”. Accanto alle grida di dolore e alle azioni incisive che ne sono derivate – una sua battaglia fu quella per il rifacimento delle facciate del centro, che erano allora per lo più in condizioni pietose – , l’esempio più singolare della sua dedizione alla

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città è racchiuso in un volume che forse alcuni ricorderanno come una lontana strenna bancaria. Si tratta de Il Pierino. Un libro per imparare Verona, che diede alle stampe la Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno nel 1979 con testo, didascalie e note storico-critiche di Renzo Chiarelli. Una chicca editoriale, che varrebbe la pena riscoprire, per la grazia con la quale “il papà” Chiarelli racconta la città accompagnando il figlioletto passo dopo passo attraverso undici itinerari che prendono avvio dall’alto di Castel San Pietro per terminare, dopo aver attraversato tutto il centro, a Veronetta. Il figlio assume il nome di Pierino, per antonomasia bambino un po’ discolo ma curioso, innocente e aperto alla scoperta, dissacrante e genuino. Con questi occhi lo storico dell’arte e profondo conoscitore della città riesce a mettere da parte l’erudizione, adottando un linguaggio colloquiale che sa farsi divulgativo e alla portata di tutti senza scadere nel banale, e senza omettere fatti, storie, descrizioni e curiosità inesauribili. A Pierino toccano i commenti sagaci e le battute, contrappunto spesso infarcito di parole e motti dialettali alle spieghe del papà.

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Loredana Olivato, Daniela Zumiani, Anna Chiara Tommasi, Claudio Gallo coordinati da Margherita Bolla

Col Pierino sotto gli occhi, sfogliando le sue pagine con le bellissime immagini in bianco e nero accanto a disegni e stampe in colore seppiato, non possiamo che accodarci al sintetico giudizio “critico” del fanciullo sulla città, al termine delle passeggiate urbane. – Allora, Pierino, sei d’accordo? Che ne dici? – Che l’è bèla!

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01. Composizione di volumi contenenti alcuni degli scritti di Chiarelli sulla città.


E la Nave va?

Gli interventi sul grande complesso di edilizia residenziale pubblica di Borgo Nuovo come occasione mancata di una riqualificazione non solo energetica Testo: Stefania Marini

Foto: Michele Mascalzoni

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il concorso di idee nel 2008

“La Nave” è un complesso di edilizia residenziale popolare progettato su iniziativa IACP e realizzato in tre fasi tra il 1969 e il 1973. Quando venne costruito si collocava ai margini del quartiere di Borgo Nuovo, un contesto complesso ben descritto in uno storico numero di «AV» 1 e nel reportage fotografico di Enzo e Raffaello Bassotto 2 . L’imponente intervento edilizio ospita circa 200 appartamenti suddivisi in tre blocchi di altezza variabile dai 5 ai 7 piani, disposti in modo lineare all’interno del lotto stretto e lungo. La forte impronta unitaria dell’impianto richiama, anche se con una minore ampiezza, i grandi progetti realizzati negli stessi anni nelle periferie romane, napoletane e palermitane. Erano gli anni in cui Mario Fiorentino, Vittorio Gregotti, Franz Di Salvo (solo per citarne alcuni) sperimentavano nuove forme dell’abitare con interventi volti a soddisfare il deficit abitativo della popolazione a basso reddito. L’intento di tali piani era ricucire il rapporto con la campagna ai margini delle periferie urbane, e al contempo riallocare la popolazione che si ammassava in aree sviluppate in modo informale e con bassi standard edilizi. In questo quadro storico venne realizzato anche l’esempio veronese che, come tanti progetti di edilizia popolare della stessa epoca, ha subito nel corso degli anni un processo di stigmatizzazione e degrado, legato alla presenza di disagio sociale, alla mancanza di politiche urbane integrate e di risorse finanziarie per le manutenzioni e gli adeguamenti edilizi necessari.

La porzione di quartiere in cui si colloca La Nave (rimasta esclusa dal programma sperimentale di recupero urbano del Contratto di Quartiere II di Borgo Nuovo 3) è stata oggetto di un concorso di idee promosso nel 2008 da Ater, principale proprietario dei fabbricati (solo circa un 10% degli appartamenti è infatti di proprietà privata). L’intento era quello di stimolare la proposizione di progetti di riqualificazione ambientale integrale dei fabbricati e dell’area di pertinenza, con specifico riferimento alle problematiche di risparmio energetico e alla riqualificazione architettonica degli immobili. L’ente raccolse circa una trentina di progetti integrati di rigenerazione urbana che rimasero però sulla carta e archiviati, e La Nave ha continuato a navigare avanzando nel degrado fisico.

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l’approdo della nave

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il progetto di riqualificazione energetica

A partire dal 2013 la manutenzione straordinaria della Nave è tornata in agenda, riuscendo a far convogliare alcuni finanziamenti europei tramite il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione relativo alla programmazione 2007/2013. Ater ha così beneficiato di circa 1,5 milioni di euro per la sostituzione dei serramenti e circa 4 milioni di euro per la coibentazione dell’involucro4, soddisfacendo il duplice obiettivo di riqualificare energeticamente i fabbricati e di recuperare il decoro delle facciate. L’azienda ha affidato un incarico diretto per la progettazione allo Studio Sauro, consulente e

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progettista di impianti tecnologici, mentre la direzione lavori è stata condotta dall’ufficio tecnico interno. L’intera operazione non è stata banale sia per l’entità delle superfici coinvolte, sia per la gestione delle superfetazioni edilizie stratificate nel tempo (presenza di elementi incongrui, verande, doppi vetri, elementi impiantistici estranei, sistemi di ombreggiamento differenziati, eccetera). Le opere più

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01, 03. Due vedute dello stato attuale del complesso dopo gli interventi di riqualificazione. 02. Planimetria di insieme dell’impianto originario della Nave.


rilevanti sono state la realizzazione di un nuovo isolamento a cappotto con pannelli in EPS da 12 cm (in facciata e in copertura) e la sostituzione dei serramenti, con nuovi infissi in PVC con doppio vetro basso emissivo con interposto gas argon. Il cantiere è stato pianificato per fasi successive, analizzando e tentando di gestire le interferenze e gli impatti delle opere sulla vita degli abitanti. la gestione dei conflitti e la partecipazione

Il progetto e l’organizzazione del cantiere hanno richiesto un approccio integrato, sviluppato con il supporto dello Studio Guglielma – un gruppo multidisciplinare specializzato in mediazione e facilitazione dei processi partecipativi, già attivo nel contesto di Borgo Nuovo durante il Contratto di Quartiere II –, chiamato a negoziare i conflitti con i proprietari privati degli appartamenti, per la mediazione degli impatti sugli abitanti durante le fasi di implementazione del progetto, e per attivare il contesto sociale attraverso processi partecipativi.

L’aspetto più problematico affrontato è stato il coinvolgimento dei proprietari degli alloggi per la ripartizione delle spese dei lavori. Sono stati creati specifici tavoli tra gli attori interessati (proprietari privati, staff tecnico Ater, amministratore condominiale, esperto legale e di contrattualistica, mediatrici sociali) per discutere del progetto e procedere in modo unitario con i lavori. Il cantiere è stato accompagnato dell’apertura di un punto di ascolto che è servito da stimolo per creare un legame di fiducia tra gli abitanti e l’ente proprietario. In fase sperimentale, l’azione dello Studio Guglielma si è spinta anche nell’attivazione locale partecipata di processi di rigenerazione delle aree verdi condominiali: alcuni inquilini sono stati coinvolti in attività di formazione, e assieme agli allievi del corso di giardinaggio dell’Istituto Gresner hanno contribuito alla sistemazione del giardino condominiale di una delle palazzine. Un’altra strategia messa in atto per stimolare il valore comunitario degli abitanti della ‘Nave’ è stato il loro coinvolgimento per la scelta del nuovo colore per la tinteggiatura delle facciate.

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un’opera incompiuta

Passeggiando per via Zancle, in questa porzione del Borgo trascurata da troppo tempo, soffia oggi una leggera brezza di cambiamento: guardando verso La Nave si rimane colpiti dai corpi scale tinteggiati di rosso che scandiscono la verticalità

dell’edificato e spezzano l’impatto visivo del complesso. Lo sguardo si ferma all’apice dove svetta il numero civico di ogni accesso, simbolo forte di identità e appartenenza per gli abitanti dei singoli vani scala. In generale si rimane rassicurati dalla sobrietà dei colori che diversificano le superfici delle facciate e che ci

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committente ATER Azienda Territoriale di Edilizia Residenziale della Provincia di Verona RUP: ing. Marco Bondi progettazione Studio Sauro (termotecnica) geom. Marco Bellé-ATER (sicurezza) gestione dei conflitti e partecipazione Studio Guglielma dott.ssa Lucia Bertell (responsabile progetto) dott.ssa Antonia De Vita (supervisione) 05

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04-06. Gli interventi di riqualificazione hanno interessato solo gli involucri degli edifici, lasciando gli spazi aperti in condizioni di degrado. 07-08. Prospetto e sezione trasversale del progetto originale IACP.

riportano ad una dimensione sicura e vivibile di città. Se non si entra troppo nel dettaglio, tutto appare ordinato e ritornato al decoro; se si abbassa lo sguardo, però, si riconoscono i segni di un progetto incompleto e se si oltrepassa l’edificio a ponte si scorge una palazzina ancora da ultimare. Per mancanza di risorse e per l’assenza di una azione progettuale integrata, l’intervento rischia di non garantire quella rinascita del tessuto sociale auspicata. Le aree condominiali rimangono nel degrado: nessun rinnovamento è stato previsto per gli spazi aperti, per i porticati inutilizzati e per i parcheggi, costituiti da posti auto a raso e box adagiati su una spianata di asfalto ormai deteriorato. I giardini condominiali, le pavimentazioni e in generale il sistema degli spazi aperti esterni attendono un intervento di sistemazione e messa in sicurezza. Nonostante gli sforzi profusi, si notano i segni di un progetto non finito, soprattutto se ci si sofferma sulla palazzina in cui non è stato

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realizzato alcun tipo di intervento (se non per inserire in alto il numero civico e per sostituire qualche serramento in corrispondenza degli appartamenti di proprietà Ater). Qui la mediazione non è stata sufficiente: forse la mancanza di un politica di sostegno sociale integrata, la scarsa comprensione culturale dei benefici a lungo termine o l’insufficienza di aiuti economici e di finanziamenti agevolati non hanno permesso ai privati di condividere l’intervento proposto da Ater. Nel suo complesso l’intervento di rigenerazione risulta ad ogni modo efficace ai fini di una riqualificazione estetica (di facciata) e del miglioramento energetico dei fabbricati, ora si attende un intervento integrato per rigenerare qualitativamente anche gli spazi collettivi di pertinenza (magari rispolverando qualche progetto architettonico chiuso inutilmente in un cassetto), per recuperare la dimensione sociale dell’abitare, per completare i lavori sospesi e per rinnovare gli impianti.

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imprese Cosbe (cappotto e opere edili) Spallina Lucio (serramenti) cronologia Progetto e realizzazione: 2014-2016

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1 Inchiesta a Borgo Nuovo, in «AV» 16 (prima serie), 1962, pp. 29-48. 2 Enzo e Raffaello Bassotto, Borgo Nuovo, Ed. Centro Rinascita, 1980, Verona. 3 Parteciperò, in «AV» 89, 2011, pp. 46-53. 4 Www.opencoesione.com.


#DESIGN_VR:

Di brand in brand

Lampade, sistemi bagno e cucina, mosaici e pavimentazioni: le mille facce dell’industrial design Testo: Laura De Stefano

01. Ritratto di Marco Taietta. 02-03. Al lavoro in studio (foto di Marco Toninelli). www.marcotaietta.com 01

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Nato a Verona nel 1979, Marco Taietta si laurea in disegno industriale presso lo IUAV nel 2004, ma già durante gli studi inizia il suo percorso lavorativo in un ambiente creativo e stimolante, collaborando come junior nello studio di Patricia Urquiola. Qui ha la possibilità di partecipare a progetti di valenza nazionale e internazionale, come una lampada per Foscarini e uno showroom di moda a Madrid, esperienze importanti per allargare gli orizzonti di uno studente di design. Nel 2003 approda allo studio Palomba Serafini Associati, interessante realtà che gli permette di sviluppare e consolidare le proprie competenze in molteplici settori – interior, exhibit, product design – collaborando a una serie di progetti per importanti aziende come Crassevig, Iris Ceramica, Schiffini, Tubes, Zanotta e Zucchetti. Il 2006 è un anno di svolta e, forte delle esperienze maturate, fonda lo Studio Marco Taietta, che svolge la sua attività in tre aree: architettura, design e comunicazione. L’offerta dei servizi spazia dal product design e design management alla progettazione dello spazio per abitazioni private e non solo, fino ai servizi di comunicazione, grafica e brand identity. Da dieci anni collabora allo studio l’architetto Nicoletta Rossetto. Creativo e versatile, Marco Taietta mette la sua professionalità al servi-

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zio di molteplici ambiti: direttore artistico per Aquileia Mosaics (azienda italiana di mosaico in grés porcellanato) e per Il Riflesso di Narciso, che gli affida il progetto di una collezione di mobili per il bagno. Nel tempo il curriculum si arricchisce di nuove e significative esperienze, come quelle che si consolidano nel design di prodotto per diversi marchi di light design e product design. Con il brand PoshSea partecipa allo sviluppo di elementi e arredi dedicati allo yacht design, e accessori progettati per il mondo dell’auto; nel 2010 inizia la collaborazione con Makro Bathroom Concept, azienda di arredo bagno di cui è tuttora consulente; nel 2011 disegna la lampada Sunshade per Axo-Light; nel 2014 sviluppa con Smalvic Less, un cucinotto free-standing. Non manca un’incursione nel mondo della moda, al fianco della maison Etro, con cui collabora per l’evento “Poli-etrico” e dell’azienda fiorentina Romeo 1931 con il progetto di Emmanuelle Bag, prototipo di una borsa in pregiato cuoio. Come free-lance inoltre è stato interiors trend consultant per la Logos Edizioni. A Euroluce 2017 ha presentato Nausicaa 2.0, re-design di una storica collezione di lampade ora prodotte da Lalu Lights. I suoi progetti sono stati pubblicati da numerose riviste di settore: Domus, Progetto Cucina, DDN e Wallpaper.

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SUNSHADE

Makro

Axo-light

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2011

Manhattan è un Sistema lineare Vasca-Lavabo, un segno geometrico netto e rigo-

Nella collezione di lampade da terra e a sospensione il tessuto crea un effetto moi-

roso in ecocemento grigio con un inedito piano lavabo in rovere affumicato, la cui

ré vedo-non-vedo, che regala alla lampada un tocco di raffinata sensualità. I micro

forma morbida e fluida si integra in un equilibrato contrasto cromatico e materico.

fori che caratterizzano il morbido tessuto a rete di Sunshade lasciano intravedere la

Le linee e le geometrie sono accentuate dallo specchio verticale double face, dalla

sorgente luminosa, mentre nella parte interna del diffusore il tessuto, divenuto bril-

rubinetteria OX in acciaio inox e da un calibrato rincorrersi di linee dei rivestimenti

lante, regala un inaspettato luccichio. Il paralume è caratterizzato da una sinuosa

o di pieni e vuoti dei contenitori.

forma troncoconica con le pareti leggermente incurvate verso l’interno.

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MANHATTAN


Nausicaa 2.0

LESS

Lalu Lights

Smalvic

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La collezione è la rilettura in chiave contemporanea di una lampada disegnata negli

Il cucinotto deve nome e imprinting all’emblematica figura di Richard Arthur

anni ’90 da Paolo Mescalchin. Il restyling mantiene lo spirito del progetto originario

Wollheim, il filosofo che ha concepito la definizione di minimal art. LESS/ si pre-

conservando inalterato il corno di vetro inferiore. Tutto il resto si trasforma, lieve-

senta quindi con un disegno razionale, definito dall’innovazione della maniglia a

mente per quanto riguarda il paralume superiore e più incisivamente per quanto ri-

gola per i due forni elettrici e per la griglia dei fuochi a filo top. Le manopole per

guarda base e struttura delle parti in cristallo realizzate dai mastri vetrai di Murano.

l’erogazione dei fuochi sono risolte con geometrie basiche che esaltano la totalità del progetto.

NUOVI MOSAICI Aquileia Mosaics 2006/09 Tra le collezioni sviluppate nell’ambito della direzione artistica di questo brand del gruppo Fincuoghi, ricordiamo: Pyper, dove il grés porcellanato sfida il vetro con analoghi effetti lucidi in contrasto con le parti opache; Smoking, collezione fatta di sottili contrasti e texture superficiali; I Forgiati, in cui il mosaico che si traveste per diventare metallo.

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NAGEL ODEON

Berti Pavimenti 2013 Il decoro Nagel è frutto di una ricerca sul parquet decorativo, che l’azienda ha chiesto di indagare. Riprende il tema dell’esagono, elemento grafico realizzato con un singolo pannello di rovere sul quale vengono stampati dei retini che virano la cromia e la natura stessa delle singole essenze di legno.

EMMANUELEL BAG

sedile per barche a motore

Romeo 1931

Posh-sea

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Questo prototipo è stato disegnato per il nuovo corso del brand fiorentino di alta

Concept di un sedile per la nautica, in particolare per barche a motore. Le caratte-

pelletteria fondato nel 1931. La borsa è realizzata in cuoio vegetale pieno fiore e

ristiche principali sono la scocca alleggerita con elementi in carbonio, la struttura

verniciata con tinture naturali. Le cuciture sulla parte frontale diventano particola-

in acciaio e alluminio con inserti in teak nautico. La seduta è ripiegabile e il tessuto

re grafico, incrociandosi in un piccolo fiocco, unico vero dettaglio a evidenziare la

utilizzato è idrorepellente.

raffinata femminilità di quest’oggetto. L’interno ha una fodera in tessuto stampato raffigurante la Primavera di Botticelli, chiaro omaggio al Rinascimento Italiano.

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Collezione Privata

Reliquiae

Nella sua ultima ricerca Raffaello Bassotto svela nelle penombre di alcune chiese veronesi un repertorio di oggetti di culto compresi tra il sacro, il prezioso e il macabro

Testo: Francesco Bletzo

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Piccole ossa, cartilagini, frammenti di abiti, capelli, oggetti della passione, chiodi, corde, unghie, ciglia, organi interni, braccia, dita, arti: sono i reliquia: le parti rimaste di un più vasto corpo fisico; frammenti di un insieme disperso, corrotto, avanzi di vite estinte sul piano biologico ma ancora vive nella dimensione simbolica e apotropaica del culto, della richiesta di cura, di aiuto, di intercessione con il registro umano. Questi, tra religio e magia, gli oggetti fotografati da Raffaello Bassotto:

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parti, spesso minime di corpi umani, montati artisticamente in scatole, reliquiari in argento o oro e esposti, spesso in date simboliche del culto, alla vista dei fedeli, quali frammenti del divino in terra. Cose quasi misteriose per noi oggi, se lette appunto al di fuori dell’ambito culturale e fideistico, che tuttavia, attraverso il nostro armamentario culturale si connettono da vicino a certe esperienze surrealiste, ai rituali linguistici del cadavre exquis, agli accostamenti macabri e provocatorii delle avanguardie.

Ma, oltre a questa assonanza, le reliquie e il loro culto ci pongono di fronte ad un fenomeno storico e antropologico molto complesso, che sovrintende addirittura alla nascita del museo moderno. Infatti, sin dalla loro apparizione nel mondo antico quali tesoro mitologico-aureo dei templi, e successivamente nella forma medievale nella quale oggi noi sostanzialmente li conosciamo, questi frammenti corporali, simbolo della forza e dei poteri dell’eroe-santo che dovevano essere trasmessi ai fedeli, furono oggetto di una raccolta

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01. Chiesa di San Fermo Maggiore. 02. Chiesa di Sant’Anastasia. 03. Chiesa dei Filippini (Santi Fermo e Rustico). 04-05. Santa Maria del Paradiso.


Collezione Privata 06. Chiesa di Santa Maria in Organo. 07. Chiesa di San Giovanni in Valle. 08. Basilica di San Zeno. 09-10. Chiesa di Sant’Anastasia. 11. Chiesa di Santo Stefano.

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molto spinta, tanto da arrivare in certe epoche ad una vera e propria incetta, spietata e competitiva, tra maggiorenti sia laici che ecclesiastici. Il possesso delle reliquie, oltre alla brama puramente collezionistica di possedere un oggetto raro, era un processo magico-scaramantico, una tutela della vita, una protezione della fortuna personale e della casata, uno scudo ai rovesci politici e agli avvenimenti infausti. Questi oggetti erano spesso minuti o minutissimi, e necessitavano perciò di una montatura in piccole scatole, urne, vasi, piedestalli ostensori; una necessità espositiva che sviluppò l’oreficeria e diede luogo a vere e proprie manifatture artistiche specializzate. E furono, come detto, oggetto di campagne di acquisti, cessioni, e anche furti organizzati in modo clamoroso. Disposte su credenze o impalcature,

nella cappella palaziale o nell’aula (o già in una stanza privata, antesignana dello studiolo rinascimentale), questi oggetti preziosi testimoniavano la vibrante, protettiva presenza del sacro nella vita quotidiana, oltre alla bellezza dei manufatti che le contenevano, a loro volta tesori d’arte. Il loro valore monetario era alto, sia per la supposta rarità, sia appunto per le complesse montature in metalli preziosi nella quali erano contenute: necessitavano quindi di una certificazione ecclesiastica scritta, un cartiglio con sigillo, che confermasse la loro autenticità e provenienza, proprio come oggi noi facciamo con le opere d’arte. E come queste venivano esposte, confrontate, selezionate alla ricerca di una completezza dei nomi dei santi, di caratteristiche protettive legate alle loro opere in vita. Sono oggetti

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dove il contiguo agisce sul contiguo, ovvero il vero chiodo della croce del Cristo trasmette per contatto i suoi poteri ad un chiodo neutro, che si carica così delle stesse caratteristiche protettive dell’originale, trasmettendo gli stessi effetti sacrali, secondo i dettami della magia simpatica. Queste caratteristiche di autenticità, rarità, acquistabilità e monetizzazione, insieme alla loro esponibilità in privato e in pubblico (in chiese e santuari) fanno delle reliquie il nucleo del museo moderno. [...] Molto del fascino misterioso e fortemente suggestivo di questi luoghi, diffusi in tutta l’Europa del tempo, ha la sua scaturigine proprio in quegli oggetti magici che sono le

reliquie, primo nucleo del concetto di raccolta e di esposizione, di acquisto e di accumulo, di scambio e di desiderio, di serialità e di tensione alla completezza, che sono i segni del collezionismo. Mettere in forma il mondo esistente, immaginare un mondo altro interno, costruirlo, indicarlo, proporlo in un insieme visibile che si autorappresenta in una sequenza di opere, sono i temi eterni del fare arte, del raccoglierla in collezione e sistema e in ultima analisi, di conferire un senso vero alla vita.

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La versione integrale di questo testo è

pubblicata con il titolo Avanzi dei Corpi Santi nel volume Reliquiae di Raffaello Bassotto, 2015.

raffaello bassotto Nato a Verona nel 1946, inizia la sua storia fotografica nel 1978. L’intensa attività fotografica ed editoriale, insieme al fratello Enzo, è in questa fase rivolta principalmente agli aspetti sociali e antropologici della realtà quotidiana. Le fotografie di Architettura e di Archeologia Industriale sono invece il cuore dei progetti negli anni successivi. Il grande impegno sulla documentazione del territorio e del paesaggio sarà alla base della costituzione di una delle più importanti collezioni private di fotografie storiche e contemporanee del territorio veronese, “Archivio Bassotto Verona”. Le ultime ricerche dedicate agli oggetti trasformano in visioni reali cose che possiamo caricare ad libitum di significati autobiografici o surreali.

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Territorio Città Mercato

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Come la “grande distribuzione” ha influito negli anni sul cambiamento della città e del territorio

Testo: Federica Guerra

Foto: Michele Mascalzoni

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È una giornata fredda e bigia, il 27 novembre 1975, quando a Bussolengo si inaugura il primo ipermercato del Veneto, La Città Mercato, un nome che leggiamo oggi come oscuro presagio di quello che di lì a poco si sarebbe delineato come il futuro predestinato della città. Il Gruppo Rinascente sperimenta a Bussolengo un format caratterizzato non solo dalle ampie dimensioni di vendita ma soprattutto dalla varietà dell’assortimento a self-service, dalla decentralizzazione urbana e dagli ampi spazi di parcheggio. L’apertura è accompagnata da un coro di proteste dei commercianti della zona che vedono messi in pericolo i propri interessi, ma anche dagli strali dell’amministra-

« La prossimità alla città, il basso costo dei terreni e la spregiudicatezza degli amministratori locali innescano la prima miccia di un esplosione a catena che ancora oggi non cessa di impensierire » zione comunale che sottolinea come la calmierizzazione dei prezzi portata dalla grande distribuzione possa essere elemento trainante del processo di modernizzazione del commercio. Le logiche localizzative sono oggi difficilmente ricostruibili, ma certo la prossimità alla città, il basso costo dei terreni e la spregiudicatezza degli amministratori locali innescano la prima miccia di un esplosione a catena che ancora oggi non cessa di lasciar segni. Mentre il primo edificio, su progetto dell’ufficio tecnico del Gruppo Rinascente, si configura come un mero contenitore senza

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Per il nuovo Centro Commerciale Auchan Porte dell’Adige di Bussolengo L22 ha sviluppato il concept per il restyling della galleria preesistente e la caratterizzazione dell’ampliamento del Centro. La continuità visiva, progettuale e percettiva tra esistente e ampliamento è garantita dal concept sviluppato da L22 basato su un forte legame col territorio, che si esprime nell’identità globale del Centro e della sua architettura. Questo stesso principio ispiratore si ritrova nel disegno dell’esterno, nelle grafiche e nei colori dei portali di ingresso, insieme ai concetti di domesticità e accoglienza.

Centro commerciale Auchan Porte dell’Adige | 3

Anche la caratterizzazione delle quattro gallerie interne, dedicate all’eccellenza di questa terra – Limoni, Peschi, Vigne e Ulivi –, richiama il legame con il territorio attraverso i colori e i materiali del lago di Garda. La comunicazione grafica insieme al progetto di Wayfinding che guida i visitatori dai parcheggi fino all’interno del Centro ricuce interno ed esterno coerentemente con lo spirito del luogo e con la vocazione turistica che lo caratterizza. L’intero progetto ha previsto nel 2015 un primo intervento di restyling dell’esistente, seguito da altri 12 mesi di lavori di ampliamento per raddoppiare la superficie, che è passata da circa 8.000 mq a circa 18.000 mq di superficie (GLA), rendendo la galleria più bella, accogliente, funzionale e a basso impatto ambientale.

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nessuna pretesa estetica, una “scatola” con una superficie complessiva di 15.000 mq, di cui 8.000 per la vendita e i rimanenti per la Galleria commerciale e i depositi, quello che all’epoca fu sicuramente sottostimato CREDITI fu il ruolo che questo nuovo modello di vendita andava a rappresentare, e L22 l’idea di un galleria territorioesistente bersagliaConcept design percioè il restyling della e ampliamento in uniformità con l’esistente to da “frammenti” non solo fisici, ma anche economici e sociali, specializProject zati nella distribuzione commerciale. Adolfo Suarez con Cristian Catania e Irma Lupica Infatti, se da un lato ci si posero allora poche domande sulle questioni Cliente e di accessibilità, si inGallerie Commercialiviabilistiche Italia Spa, Antirion SGR e Auchan trodusse per la prima volta l’idea che Retail Italia il commercio non fosse parte dell’orLuogo ganismo città, ma che fossero la città Bussolengo, Verona e i suoi cittadini a piegarsi alle logiArea 36.000 mq Fine lavori 2016

01. Il recente restyling del centro commerciale “Le Porte dell’Adige” (già Città Mercato) a Bussolengo. 02. La “Città Mercato” nel 1975, primo centro commerciale del Veneto. 03-04. Schizzi di studio per il restyling de “Le Porte dell’Adige”. Progetto: L22, Milano (Adolfo Suarez con Cristina Catania e Irma Lupica). Fine lavori: 2016.


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che della distribuzione: come recitava la pubblicità sui quotidiani locali di quel 27 novembre, “se vuoi un loden per bambini a metà prezzo, vieni alla Città Mercato!” È l’inizio di un percorso che farà strada: il cittadino subisce i disagi della delocalizzazione in cambio di un vantaggio economico, e quindi si trasforma per la prima volta da “soggetto civile” a “fruitore”. La stortura viene immediatamente percepita, e già nel 1987 la nascita del Centro Commerciale Verona Est proverà ad aggiustare il tiro. Il Verona Est occupa una superficie di circa 17.000 mq di cui 12.200 di GLA (Gross Leasable Area, superficie commerciale utile), e si differenzia dal suo predecessore per una maggior accuratezza progettuale, per la distribuzione su due piani e, soprattutto, per l’aumento di funzioni connesse, non solo il commercio ma anche l’uso turistico, con un albergo, e terziario, con due elementi a torre per uffici. Persiste tuttavia l’idea che il territorio esterno alla città sia terreno di naturale collocazione di questi grandi contenitori, dando inizio in quegli anni a quella che sarebbe stata definita la “città diffusa”, una visione del territorio, cioè, che rinnega il confine interno/esterno e il confine tra funzioni, che polverizza l’abitato e segna il territorio con pesanti fasci di infrastrutture della mobilità, energetiche, idrauliche. È sulla scia di questa immagine che nasce nel 1996 il terzo grande centro dell’hinterland veronese, La Grande Mela. Ormai Verona è avvezza alla frequentazione di queste strutture, e tuttavia il nuovo caso segna un ulteriore scarto con i predecessori: si percepisce che il moltiplicarsi del modello pone il rischio della competizione, e quindi ogni nuovo edificio deve

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essere più “appetibile” dei precedenti, più “bello” (!), più grande, più visibile, più comodo, più articolato nelle funzioni, più invitante, più mirabolante nel décor. Non solo pubblici esercizi, supermercati, sportelli bancari, ma anche cinema e ristoranti, una città alle porte della città, perseguendo l’idea di trasformare il cittadino in fruitore di un enjoyment regimentato dall’obbiettivo della vendita. E i cittadini abboccano: all’inaugurazione dell’11 luglio 1996 ci sono migliaia di persone e moltissime personalità, dal parroco di Lugagnano al Sindaco di Sona, tutti a brindare all’insediamento di questo nuovo “maniero fortificato” di 38.400 mq, oltre ai 55.000 mq di parcheggio esterno, costituito da un unico massiccio corpo di fabbrica interrotto da “torri di guardia” che sottolineano gli ingressi. Ma i competitors sono alle porte, e nessuna parte di territorio può

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05-06. Il “Verona Est”, secondo in ordine di apparizione tra i centri commerciali veronesi, sorto nel comune di San Martino Buon Albergo. 07-08. Il salto di scala degli anni ‘90: il “Verona Uno” a San Giovanni Lupatoto.

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essere risparmiata da questa frenesia ronese A.70-Michele Segala Roberta che ha, evidentemente, un carattere Corradini. E qui il gioco si fa duro, metropolitano nel collocare i suoi og- perché la localizzazione del nuovo getti nei nodi intermodali di accesso centro fa tremare le vene ai polsi alla alla città: nello stesso anno 1996 apre GDO veronese: collocato esattamenle porte anche il Centro Commercia- te all’uscita del casello di Verona Est, le Verona Uno che, con i suoi 38.000 bello e roboante quanto basta per far mq, è la risposta dei comuni della par- sfigurare la mise di tutti i suoi rivali, te sud (San Giovanni Lupatoto) agli con una GLA di 31.200 mq, allarga insediamenti a est e a ovest della città. realmente il suo bacino di influenza Lo scarto con i progetti precedenti si a dimensioni extra provinciali colloha anche sul fronte dei progettisti: se candosi ai primi posti regionali per il progetto della Città Mercato era re- affluenza. datto dall’Ufficio Tecnico interno alla Il panico serpeggia tra gli opesocietà Rinascente, e quello del Vero- ratori, e inizia la gara a rifarsi il look na Est dagli studi veronesi dell’archi- di tutti gli altri. Comincia il Verona tetto Otto Tognetti (prima piastra) e Uno che nel 2008 amplia gli spazi dell’ingegnere Fiorenzo Righetti (se- commerciali con un progetto, sempre conda piastra e firmato Gabbiani « Tema comune è completamento), & Associati, che la sbandierata attenzione porta la superfiper i due nuovi centri degli anni all’ecosostenibilità, cavallo cie di vendita fino ’90 ci si affida a di battaglia di politiche a 55.000 mq. Lo figure di tecnici La Grande speculative che si lavano segue più complesse, a Mela che, su prola coscienza tra studi che si vangetto dello Studio no specializzando pannelli solari e recupero di Architettura nella progettazioIglis Zorzi, attua dell’acqua piovana » ne commerciaun rinnovamento le a grande scala: il milanese Grup- in tre fasi a partire dal 2015 interespo Policentro Engineering & Service sando dapprima le gallerie commerper La Grande Mela, e lo studio vi- ciali interne, poi la realizzazione di centino Gabbiani & Associati per il una “pelle” esterna sagomata in acciaVerona Uno, perché il progetto di un io zincato a doppia lama, e infine un centro commerciale ormai non è che nuovo sistema di illuminazione a led marginalmente un progetto di archi- che prevede il montaggio di centinatettura ma molto di più un progetto ia di corpi illuminanti per creare difdi marketing, di visual strategy, di ferenti effetti luminosi sulla facciata. business planning e, al limite, di inge- Infine anche la ‘vecchia’ Città Mercagneria strutturale. to, entrata nel frattempo nel gruppo La tempestiva regolarità cicli- francese Auchan e già rimaneggiaca che vede sorgere un nuovo centro ta a metà degli anni ’90 per stare al commerciale a Verona ogni dieci anni passo coi tempi e con le mode, si rifà non si fa minimamente lambire dal- il maquillage su progetto dello studio la crisi degli anni 2000, ed ecco che, milanese L22, ampliando nel 2016 puntuale, nel 2005 sorgono Le Corti le superfici di vendita da 8.000mq a Venete, su progetto dello studio ve- 18.000 mq, riprogettando completa-

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09. Cartello di cantiere in vista della costruzione della futura “La Grande Mela” a Lugagnano di Sona. 10-11. “La Grande Mela” by night dopo il restyling condotto a partire dal 2015 dall’architetto Iglis Zorzi. 12. “Le Corti Venete” a San Martino Buon Albergo nei pressi del casello di Verona Est dell’autostrada Milano–Venezia. 13-14. Vedute attuali di “Casa Mercato” a Vago di Lavagno, primo caso veronese di demalling.

mente l’immagine del punto vendita e, soprattutto, abbandonando definitivamente il vecchio nome per trasformarlo in un più sciovinista Porte dell’Adige. Il tema comune a questi interventi è la sbandierata attenzione all’ecosostenibilità, cavallo di battaglia di numerose politiche speculative che si lavano la coscienza tra pannelli solari, recupero dell’acqua piovana e colonnine per la ricarica delle auto elettriche. Nemmeno la “piantumazione di 300 alberi autoctoni” può far perdere di vista il fatto che ormai Verona è irrimediabilmente diventata una

“città mercato”. Premono alle porte della città la realizzazione del superstore Bricoman, del Tosano a Forte Tomba, il progetto di un nuovo centro commerciale a San Martino Buon Albergo, ma anche, a pochi caselli di distanza, il Grand’Affi di Affi per non parlare degli ormai innumerevoli centri commerciali e ipermercati della provincia. Ma intanto sono passati i fatidici dieci anni e Verona è pronta (?) per un nuovo centro commerciale. E questa volta la scelta della localizzazione spiazza veramente tutta la cittadinanza. La scelta delle ex officine Adige per l’apertura di Adigeo lascia ancora attoniti per una molteplicità di ragioni. Non vogliamo addentrarci sulle questioni di accessibilità viabilistica, sulla ricaduta sociale-economica-urbana di interventi di questo tipo su tessuti urbani fragili come il quartiere di Borgo Roma o ancora sull’opportunità di concentrare sull’asse di

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accesso alla città quattro strutture di grandi dimensioni, e cioè lo sfavillante Adigeo, il supermercato Esselunga fresco di cantiere, il nascituro Eataly agli ex Magazzini Generali, e, last but not least, il progetto approvato da tempo ma rimasto al palo per una grande struttura commerciale nell’area delle ex Cartiere, in un crescendo di criticità che incalza il comparto storico della città. Quello che più fa riflettere, invece, è come sia cambiato totalmente il rapporto tra cittadini e offerta commerciale: nel 1975 andare alla Città Mercato era un viaggio un po’ avventuroso e “favoloso” che il cittadino era disposto a fare alla ricerca di “un loden per bambini a metà prezzo”, oggi il consumatore, detentore di un diritto incommensurabile, va lusingato con nuove attrattività, prima fra tutte, a sorpresa, la vicinanza al centro cittadino calando nel tessuto della prima periferia un oggetto “fa-

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voloso” proprio per il suo essere fuori scala, persino nel confronto con gli altri edifici della ZAI storica. E anche se il mercato immobiliare suggerisce come unica attività redditizia la destinazione commerciale, è utile riflettere anche su un’altra questione. In Europa il modello dei centri commerciali sta, in realtà, già entrando in crisi per una serie di ragioni, dal moltiplicarsi di strutture molto simili e quindi per fenomeni di saturazione commerciale, al mutare del gusto dei consumatori che preferiscono tipologie diverse (da un lato i lifestyle center di stampo americano, dall’altro gli outlet) dall’espansione dello shopping digitale, al massiccio affermarsi della socializzazione telematica che non necessita di luoghi fisici di aggregazione (ammesso che i centri commerciali fossero luoghi di aggregazione e non, piuttosto, luoghi di assembramento). Quello che più impensierisce è il residuo che questo fenomeno lascia nel tessuto extra urbano, e a Verona a questo punto anche urbano, delle nostre città. In Italia già vengono documentati casi di mega strutture abbandonate all’obsolescenza e all’incuria, i cosiddetti deadmall o ghostbox, come

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cicatrici di una passata ferita che fatica a rimarginarsi (ne abbiamo un esempio nell’est veronese con CasaMercato). In questa temperie storica ogni intervento sulla città deve fare i conti anche col tema della reversibilità e della convertibilità, così già si parla di interventi di recupero a posteriori o di azioni preventive volte a ridurre l’impatto delle nuove strutture sul contesto e a favorire futuri interventi di trasformazione o demolizione delle stesse. Si è persino coniato il termine di demalling per riferirsi alla nuova vita che devono prepararsi a vivere questi grandi contenitori. Insomma, sono passati vent’anni da quando «ArchitettiVerona» si occupò approfonditamente della questione dei centri commerciali (n. 29-30/1997), eppure dobbiamo ancora chiederci se le questioni allora sollevate abbiano trovato una qualche risposta o se, piuttosto, la matassa si faccia sempre più ingarbugliata.

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Pino Castagna (1932-2017) a Costermano

Testo: Angela Lion

Foto: Michele Mascalzoni

È nel silenzio che risiede la virtù di un artista. Con questo spunto ha preso avvio uno StudioVisit diverso dal solito, protagonista non un architetto ma un artista che ha lavorato intensamente con lo spazio architettonico, urbano e con il paesaggio (e con molti architetti). Per questo avevamo incontrato parecchi mesi fa Pino Castagna nel suo studio di Costermano, un luogo inconfondibile percorrendo i tornanti che da Garda risalgono verso Affi, segnato dallo svettare delle sue figure scultoree: non sapendo che questo articolo avrebbe preso la forma del ricordo, dopo la sua recente scomparsa avvenuta nel febbraio 2017. Ritorniamo al momento della visita. Lo scenario che si presenta varcando la soglia dello studio è quello di un rifugio e di una fucina al tempo stesso. Pino Castagna, veronese di adozione – era nato nel 1932 a Castelgomberto, in provincia di Vicenza e si era trasferito giovanissimo con la famiglia a Verona – dopo gli studi alle Accademie di Belle Arti di Verona e Venezia affronta le prime esperienze lavorative in una bottega di restauro pittorico ed affresco, nonché laboratorio di vetrate artistiche. Nel 1959 insieme a Michael Noble apre a Garda una manifattura di ceramica con scuola annessa, denominata “P.C. e N.”, dedicandosi alla decorazione pittorica e alla cottura delle

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01. In alto: il Maestro Pino Castagna ritratto nel suo studio-laboratorio (aprile 2015); in basso, sullo sfondo delle ‘Vele’, i volumi sovrapposti dello studio-laboratorio verso il giardino. 02, 03, 05. Vedute esterne del suo laboratorio in cui il giardino diventa dimora a cielo aperto di numerose e maestose sculture. 04. Il Canneto e Le Foglie all’interno del laboratorio. 06. Public Matters, scultura di cemento di piccola scala frutto di interazione tra arte e spazio urbano, e una Madonna su vetro sullo sfondo.

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opere disegnate dal collega e maestro. Col tempo fa proprie le molteplici esperienze acquisite attraverso la scultura e la lavorazione dei materiali. Ceramica, vetro, fibre tessili per arazzi e tappeti, marmo, legno, bronzo, alluminio, ghisa, cemento, acciaio, diventeranno il suo pane; la genialità sta nel saperle rinnovare continuamente, inventando metodologie realizzative consone al suo “fare”. Lo studio-laboratorio di Costermano è il luogo dove queste materie prendono forma, una fucina di idee che ha inizio con l’acquisto nel 1969 di un terreno affacciato verso il golfo di Garda. Questo luogo è a sua volta un’opera aperta cresciuta nel tempo e fatta di continue aggiunte: dal 1976 al 1979 interviene l’amico Arrigo Rudi per realizzare le parti verso la strada che dovevano diventare la sua abitazione, ma anche questi spazi sono stati occupati dalla debordante presenza del suo fare artistico. Più tardi sarà un altro amico, l’ingegnere Giovanni Meneghini, a realizzare un ulteriore ampliamento interrato. Ne risulta un articolato spazio su più livelli, dove svolgere il proprio lavoro e tutta la filiera del processo artistico e produttivo.

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07-09. La ‘fabbrica’ delle ceramiche: stampi, colori, semi lavorati, il forno, gli attrezzi e le idee del Maestro.

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La stratificazione verticale degli spazi sembra il laboratorio si fa fucina. Uscendo nel giardino, corrispondere al “peso” dei materiali ospitati. una sorta di museo en plen air, ecco il cemento e Entrando dall’alto, al livello della strada, la fa da le grandi, ariose vele incamiciate dai pannelli di padrona la carta dei libri, dei disegni e dei molti ferro che svettano come se fossero di cartapesta, progetti accumulatisi nel tempo. Qui Castagna in un’ariosità d’insieme che non lascia spazio alla ci ricorda, immerso tra le sue carte, come nulla pesantezza del materiale ma al garbo del concetto nasca dal caso: lo studio di tessuto: un segno fortemente « La forma è approfondito della storia è architettonico, che ritroviamo una costruzione della fondamentale per approcciarsi anche in alcuni luoghi del all’arte. L’affinamento culturale territorio veronese, al fianco di nostra società, una ha sensibilizzato l’animo spazi produttivi (a Rivoli e alla sovrastruttura; dell’artista portandolo nella sua Bassona con la complicità di sperimentazione a confrontarsi, la materia è la vera essenza Valter Rossetto, ad esempio), attraverso la scultura, alla o in progetti rimasti sulla carta del costrutto formale» simbologia contemporanea. come quello per la piazza di Continuando un percorso in discesa negli ambienti Isola della Scala (con Fiorenzo Meneghelli). Il suo che si svelano, incontriamo i vetri policromi e poi lavoro a fianco di alcuni esponenti dell’architettura l’amata ceramica, con la quale ha continuato anche veronese è spesso comparso sulle pagine della una produzione di oggettistica per uso quotidiano rivista, come gli interventi per la sede della e di arredo. La materia via via si addensa, e Masi Agricola a Gargagnago condotti assieme assieme alle maquette e ai frammenti di opere a Pierluigi Negrini (cfr. «AV» 102, pp. 43-45) – realizzate e altre rimaste allo stadio di progetto si dall’inamidata cascata di foglie ceramiche che apre il mondo dei metalli, dei ferri e dei bronzi: appare leggiadra, quasi pronta per essere spostata

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dal vento, fino al bronzo e marmo dell’“Arcadia Veneta” realizzata nel 2011 – o quello più privato per l’accesso a una villa disegnata da Italo Donadelli («AV» 97, pp. 14-19). Tra gli interventi pubblici, ricordiamo nell’atrio del Polo Chirurgico Confortini di Verona un’altra figura ricorrente nella sua opera, i “Canneti”, segno di una conoscenza tecnica che si accorda alla libertà creativa e riesce a forzare i limiti estremi di resistenza dei materiali, ideati ed esposti per la prima volta a Tokyo nel 1977. E poi ancora un nucleo consistente di opere nella collezione di Fondazione Cariverona, come le “nuvole” in acciaio inox del 2012 a cingere l’ingresso del restaurato Teatro Ristori. Monumentale e possente è infine lo “Spino del filo spinato”, collocato nel 2009 in Piazza Isolo a memoria delle vittime della Shoah, su un basamento di pietre disegnato da Luciano Cenna. Sono solo alcune delle numerose realizzazione del Maestro: le sue opere, di dimensioni talora gigantesche, sono sparse nel mondo, in contesti pubblici o privati. Dal confronto con gli spazi urbani è nata nel 1979 la serie delle “Piazze”, originali scenografie di ispirazione metafisica, che svelano una tensione progettuale pienamente consapevole, avvalorata, all’inizio del 1980 dalla realizzazione del “Muro” in acciaio cor-ten e cemento, cardine imprescindibile del percorso artistico di Castagna, concepito nel 1961 quando fu eretto il muro di Berlino. Sarà tuttavia il 1986

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l’anno in cui si riconosce al Maestro un ruolo di primo piano nel contesto artistico internazionale, con la partecipazione alla XLII Biennale di Venezia con il memorabile allestimento delle “Vele” in ghisa del 1981 (poi esposte al MART di Rovereto) sulla riva del bacino di San Marco. Impossibile non ricordare, però, la personale del 1975 nel cortile del Museo di Castelvecchio a Verona, su iniziativa di Licisco Magagnato e con l’allestimento di Arrigo Rudi. Un’opera di Castagna è andata a suggellare anche la recente apertura della nuova sede UniCredit agli ex Magazzini Generali: si tratta di “Stalattite”, scultura pensile che risale agli anni 1982-83 e

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10-11. Cemento, ferro, vetro e materia: alcune prove d’autore nel suo giardino-museo a Costermano. 12. Pino Castagna nel suo studio raccontando il suo operato. 13. Sculture di Pino Castagna, esposizione al Museo di Castelvecchio, allestimento di Arrigo Rudi, 1975 (foto Archivio Castagna).

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14-16. Declinazioni delle vele: i prototipi nel laboratorio, una fase di posa in cantiere alla Bassona e una proposta per la piazza di Isola della Scala. 17. Il Maestro mette in azione il movimento rotante della sua grande scultura. 18. La scultura sospesa all’interno della galleria Unicredit ai Magazzini Generali di Verona.

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19. Lo ‘Spino del filo spinato’ a Verona in Piazza Isolo. 20. Il ‘Canneto’ all’interno del Polo chirurgico Confortini di Borgo Trento a Verona (foto di Dario Aio). 21. Una scultura passante nello studiolaboratorio di Costermano.

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che solo ora, installata nel vuoto del passage che riempie per la luce data dal bronzo, trova una collocazione definitiva. Nell’insieme delle opere di Castagna prevalgono gli aspetti ideativi e insieme fattuali, che gli hanno permesso di passare da un materiale all’altro, da una tecnica all’altra, da una dimensione all’altra fino a quella spiccatamente monumentale. Questi passaggi, che prevedono anche un’accentuata vocazione al disegno – non quale vero e proprio progetto come nel design, ma quale impulso emozionale ed insieme fantastico, poetico, che si traduce poi magistralmente in più concrete e solide costruzioni – usufruiscono di una singolarissima vocazione artigianale e di una capacità astrattiva nell’assunzione plastica, strutturale, tettonica che richiede un atto critico finale di sintesi. Il momento artigianale è per Castagna sempre fortemente contestuale all’opera: ne è la premessa, lo svolgimento e infine il contributo alla sintesi. I vari materiali, dal bronzo al cemento, dalla ceramica al vetro, dal ferro al marmo, dal legno all’acciaio, dall’alluminio alla ghisa, dal granito

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alla carta variamente utilizzata col disegno, sono indagati con una totale passione rivolta alla scoperta. Di ogni materiale individua le caratteristiche, piegandole al proprio linguaggio ma piegando anch’esso alle indicazioni che emergono dai materiali stessi, contaminandoli negli assemblaggi senza mascherarli l’uno con l’altro. La forma è una costruzione della nostra società, una sovrastruttura; la materia è la vera essenza del costrutto formale. Pino Castagna con le sue ceramiche ha contribuito alla realizzazione di infinite architetture d’interni, con le sue cromie, i suoi giochi di colore come se il contenuto fosse il gioco stesso che andavano creando. La maestria che va oltre la presenza fisica sta nella sua sconfinata poesia che oltrepassa ogni spazio temporale e si insinua nelle nostre esistenze. Grazie, Maestro!

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{DiverseArchitetture}

Un rifugio per le pietre

Luigi Lineri e la sua collezione sono il frutto della frequentazione assidua di un luogo e di una profonda passione per le forme prodotte dall’uomo

Testo: Irene Meneghelli Foto: artcamvideo.com

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Nome luigi lineri Luogo via Vincenzo zucchi zevio Attività artista collezionista

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A Zevio, camminando tra le case, ci si

può imbattere in un portone particolare,

dipinto di figure che si ripetono, alcune che richiamano la natura, altre più astratte. Se

ci si lascia trascinare dalla curiosità e dal desiderio di entrare, appena oltrepassata la soglia si prova la sensazione di trovarsi in una cattedrale di pietre. è qui, nell’antico granaio della sua abitazione, che Luigi

Lineri ha costruito la sua opera: un’immensa collezione di sassi raccolti nel fiume Adige.

Lineri è nato ad Albaro di Ronco all’Adige

e sin dall’infanzia ha vissuto il rapporto con l’Adige, che è rimasto dentro di lui fino a quando ha dato inizio alla sua

“grande ricerca”. Mentre l’uomo moderno si

è progressivamente allontanato dal fiume, lo osserva dall’esterno ma non lo vive, Lineri

opera. Dopo gli strumenti, la sua intuizione interpretativa si è rivolta verso forme

animali e antropomorfe: il muso di pecora,

la testa di pesce, l’uccello acquatico e poi i simboli sessuali maschili e femminili. I passaggi da una forma all’altra sono stati consequenziali, frutto di un’osservazione prolungata e di una forte sensibilità

artistica. Dal simbolo della femminilità è passato al busto di donna, la grande

madre, la donna gravida venerata sin dalla preistoria. E poi di nuovo gli strumenti, i levigatoi, le prime forme in cui si era

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imbattuto, sono tornate a chiudere il cerchio.

Tutte queste pietre, oggi migliaia, sono

esposte in pannelli appesi alle pareti,

ha scovato nel fiume sempre più vita, la sua vita. Poeta dialettale e artista-scultore

già da giovanissimo, ha cercato inizialmente lungo il greto del torrente della Valle di Mezzane gli strumenti di selce che l’uomo

primitivo utilizzava come armi, affascinato

dalla capacità di manipolare e plasmare gli oggetti.

Nel 1968 lo sbarramento della diga

sull’Adige a San Giovanni Lupatoto ha fatto sì che il letto del fiume nel tratto zeviano

rimanesse asciutto: da allora Lineri è sceso ogni giorno per anni – che sono diventati decenni – nell’alveo del fiume, attratto

dalla percezione di alcune forme note, a raccogliere i sassi, possibili reperti

di civiltà passate, testimonianza di una

manualità antica. Ha iniziato a raccoglierli e a suddividerli, catalogarli e impaginarli in pannelli. La prima forma che ha attirato la sua curiosità è stata quella che lui

chiama “chiavi” e doveva essere usata come levigatore: una forma con un taglio nitido

ad angolo retto, troppo definita per essere

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01. Il piano superiore dell’antico granaio con l’installazione artistica. 02. Luigi Lineri. 03. Esempi di “teste di pesce”. 04. Il portone di ingresso dell’abitazione-museo. 05. Particolare dell’installazione. 06. Il giardino con l’installazione di pietre di fiume e altre opere di Lineri in ceramica sul muro di cinta.

opera naturale del fiume. La sua teoria non

è provata scientificamente, ma è il mistero che si cela dietro queste forme che si

ripetono sempre uguali, che ha colpito Lineri e colpisce chiunque vada a visitare la sua

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{DiverseArchitetture}

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alle travi e ai pilastri, altre a terra

o disposte a formare dei volumi. Non ha

senso guardare le pietre isolate, come dice Daniela Rosi: “[…] questi singoli amuleti

ancora non ci parlano dell’opera complessiva,

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Né ci rimandano all’idea di una gigantesca

che le persone sensibili possono ora ammirare

un’opera fatta prima di tutto di necessità”1.

hanno trovato rifugio.” 2

costruito che spiega il senso della sua

di forme, l’importanza stessa della forma

versi:

maestosa, non ancora finita, che è in continua

del suo monumentale impianto scenografico.

hanno ricomposto quel poema tridimensionale

scultura, o a quella di un tempio votivo […]

presso la mia abitazione dove le opere

è la monumentalità di ciò che Lineri ha

Ricerca. Lo dice lui stesso in alcuni suoi “I silenzi che hanno circondato e circondano queste reliquie non mi hanno impedito di osservarle e riabbracciarle. Per decenni sono sceso nell’alveo dell’Adige a raccogliere, scegliere, portare in salvo. Per decenni ho ripulito, impaginato, esposto. Scopo delle mie fatiche è stato quello di rendere meno pesanti i debiti di riconoscenza accumulati nei confronti di chi ci ha preceduto e onorare i luoghi che mi hanno visto nascere. Intuizioni, circostanze e tenacia

Davanti alla solennità di questo rifugio

scompare. Egli ha voluto creare questa opera evoluzione: le pietre si spostano da terra alle pareti, da cumuli al soffitto, come un

fiume che si muove senza sosta nel suo letto.

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rurale ottocentesca, composta di barchessa

divinità in questo caso sono le pietre,

Lineri ha valorizzato un’architettura

e granaio, e ha dato origine a una nuova

architettura, in cui convivono vari tempi: il passato più recente, nello spazio

architettonico in sé, la modernità, nella sua

in una cattedrale o in un tempio, dove la che contengono in sé il tempo, hanno visto

l’acqua trascorrere su di loro e giungere fino alla mano di Lineri.

Anche nel giardino Lineri ha continuato la

installazione e interpretazione, e il passato

sua opera, costruendo una sorta di mausoleo

oltrepassato il portone, si ha la sensazione

piedistalli, come vere e proprie sculture,

più antico, nelle pietre stesse. Per questo, i essere stati trasportati in un luogo

privo di un tempo preciso: è una sensazione

evocativa, simile a quella che si ha entrando

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per le pietre, in cui alcune sono poste su altre vanno a formare una sorta di altare contro il muro di cinta.

Sorge spontaneo pensare al problema della

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il video L’incredibile storia di Luigi Lineri e della sua opera d’arte (“La Ricerca”) ci permette di esplorare l’evoluzione del pensiero umano. Una ricerca di senso che ha dato forma alla nostra millenaria storia, dagli strumenti in pietra alle navicelle spaziali. “la ricerca” Prodotto da: Eie Film, Alysia, Linèria Producers: Alessandro Carroli, Diego Volpi Location Manager: Lisa Fierro trailer www.youtube.com/ watch?v=WaO2PnwaNSE&t=7s

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conservazione dell’opera: non potrebbe mai stare all’interno di un museo, in una teca di vetro, come nei musei archeologici.

Sradicata dal suo contesto perderebbe tutto

il suo significato e il suo potere evocativo. Per preservare questa antica barchessa

c’è bisogno di un intervento di restauro

conservativo, soprattutto per il tetto, da

cui ormai la pioggia filtra in numerosi punti,

ma molto accorto a non modificare la struttura né i materiali esistenti. Discernere

l’architettura dall’opera risulta difficile, si fondono l’una con l’altra: si è creata

un’opera unica che comprende allo stesso tempo arte, architettura e scultura.

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1 In Gabriele Mina (a cura di), Costruttori

07-09. Simbologie implicite nei sassi: i “levigatoi”, “femminilità” (busto di donna) e le “chiavi”. 10. Un’altra veduta dell’allestimento. 11-12. Simboli sessuali maschilli e femminili.

di Babele, Elèuthera,2011. 2

Daniela Rosi (a cura di), Luigi Lineri.

Forme solitarie per un’armonia collettiva,

libro redatto in occasione dell’esposizione

presso il Palazzo dei Mutilati, Verona, 2010.

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Luoghi della street art a Verona

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Verona

Il “caso Verona” nel mondo della street art è sicuramente particolare. Nonostante non sia uno degli epicentri dell’arte urbana come possono esserlo Milano, Roma, Torino o Bologna, è stata la prima città in Italia dove si è effettuato lo stacco delle opere dai muri: un’operazione, iniziata nel 2009 all’interno degli ex Magazzini Generali, che ha permesso la conservazione di decine di disegni murali. Verona è anche una delle poche città ad aver approfondito, in maniera unica nel suo genere, la storia dell’aerosol art locale con una ricerca (vedi nota) che ha dato la possibilità di capire a fondo questo movimento. Inoltre a partire dal 2011, a seguito della vasta operazione “Valpantena writers”, l’Amministrazione Comunale ha avviato un concorso, rinnovato annualmente, rivolto proprio ai writers. Nonostante le buone intenzioni però, la città fatica ancora a comprendere a pieno i graffiti urbani, la street art e la loro filosofia. Lo stesso concorso, in particolare nelle prime edizioni, ha privilegiato soluzioni il più possibile figurative e vicine all’iconografia della tradizione locale, diversamente dalle proposte del 2006-2007 regolate nella massima libertà dagli stessi artisti. Questo rende più difficile approcciare quel respiro internazionale ben rappresentato nei casi esemplari di Picturin a Torino e Frontier a Bologna, che hanno visto premiata la personalità dell’artista, il suo modo di vedere e riproporre la realtà, previlegiando un linguaggio non convenzionale frutto di una attenta ricerca, che può portare a quel giusto contrasto, fonte primaria di discussione sulla città. Testi: Michele De Mori Foto: Marco Toté

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1 WILD URBAN I 17 giugno 2006 La prima grande Graffiti Jam organizzata all’interno del centro storico di Verona ha avuto luogo nell’ambito del Festival VRBAN, un evento nato per iniziativa dell’amministrazione cittadina diretto a tutte le associazioni giovanili veronesi. Sul muro del terrapieno che delimita a sud i giardini Escrivá de Balaguer, compresi tra le mura di via Pallone e i palazzi degli uffici finanziari, sono intervenuti più di una trentina di writers provenienti da diverse città del nord Italia. La manifestazione, gestita dall’associazione Veronaflava, essendo la prima realizzata su iniziativa pubblica

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innescò diverse polemiche, dettate per lo più dalla scarsa conoscenza del fenomeno. Alcuni dei graffiti sono stati recuperati nel 2016 da parte degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Verona grazie al progetto “Re: Ambient, Start, Play”, in particolare il disegno di Peeta, uno dei più conosciuti writers italiani.

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WILD VRBAN II - PERCORSO CICLOPEDONALE GINO BARTALI 30 aprile 2007 – 8 maggio 2016

COLORIAMO VERONA 2011–2012

Con la seconda edizione del festival VRBAN è stata proposta, sempre dall’associazione Veronaflava, una ulteriore parete da dipingere, coinvolgendo più di quaranta writers veronesi e non. In questa occasione si è preferito intervenire non in centro storico ma in un’area periferica, in un punto nodale di Borgo Venezia. Nel 2016, dopo quasi dieci anni dalla realizzazione, il passaggio è stato intitolato a Gino Bartali. In questa occasione l’intero muro è stato rinnovato – in collaborazione con il Comune di Verona e con il contributo della ditta S.I.O.F. – con uno sfondo legato al grande ciclista, realizzato da Pier Paolo Spinazzè e Michele De Mori, sul quale sono poi intervenuti una decina di writers italiani e tedeschi.

Dopo l’indagine “Valpantena writers”, che aveva portato all’individuazione di 47 ragazzi accusati di aver imbrattato proprietà pubbliche e private tra le quali l’Arco dei Gavi e villa Pullè, l’amministrazione comunale ha deciso di individuare alcuni spazi da mettere a disposizione di quanti volessero esprimere la propria vena creativa. è nata così la prima edizione del concorso “Writers Street Art - Coloriamo

Verona”. Le attività sono state indirizzate nel sud della città, precisamente sulla recinzione del campo di calcio Avanzi, all’incrocio tra via Copernico e via Flavio Gioia, il muro interno del parco di via Brioni e la cinta dietro la scuola materna Aporti di via Scuderlando. Il concorso, però, mancando dei concetti base dell’arte urbana, ha proposto temi alquanto scontati (Luoghi e scenari di Verona; Verona e il suo fiume; Natura e paesaggio; Immaginando la mia città). Dei quattro vincitori (Michela Meneguzzi, Marco Manzini, Sonia Furgeri, Maddalena Bonetti) solo uno era riferibile al mondo della street art veronese.

3 BLU, WALLS AROUND 24 marzo 2007 La galleria Arte e Ricambi ospitò nel 2007 a Verona uno dei più rinomati street artist a livello internazionale, il bolognese Blu. L’artista in concomitanza con la mostra “walls around” dipinse l’intera facciata di uno stabile all’angolo tra via Cesari e via Fiumicello, in Borgo Venezia. L’opera, che rappresentava un gigante monocromo composto da elementi appuntiti che stringeva un cappio giallo, suscitò diverse polemiche: secondo alcune signore, infatti, “turbava i loro figli”. Venne quindi coperta da una mano di colore grigio. Il dipinto murale è così andato perduto, e Verona ha perso l’occasione di ospitare un’opera di Blu, ed essere posta sullo stesso piano di città come Berlino, Londra e Città del Messico.

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5 HALL OF FAME viale piave dal 2013 Si tratta del primo spazio autorizzato dall’amministrazione cittadina dove poter realizzare liberamente disegni sui muri senza dover seguire alcun obbligo tematico o direttiva (se non il buongusto ed il rispetto). L’iniziativa ha preso vita a partire da una manifestazione (Verso i Magazzini, 20 settembre 2012) organizzata dall’Ordine degli Architetti di Verona e dall’Associazione AGILE nel sottocavalcavia di viale Piave nell’ambito del più ampio progetto di recupero degli ex Magazzini Generali, con l’intendo di evidenziare la relazione con l’infrastruttura degli anni ’70. Attualmente il muro è gestito dall’Associazione AGILE.

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6 COLORIAMO VERONA II 2013-2014 La seconda edizione del concorso, organizzata con il supporto di Fedrigoni e Hotel Leon d’Oro, ha proposto come location i due sottopassi pedonali del rilevato ferroviario tra Porta Nuova e viale Piave. I vincitori hanno proposto due soggetti molto diversi tra loro. Il passaggio sul lato della stazione è stato realizzato da Tommaso Righetto, writer veronese attivo dagli anni ’90, con il tema “Views of Verona” proponendo alcune classiche vedute della città; mentre il versante nei pressi degli uffici Fedrigoni ha visto all’opera il vicentino Daniele Vanzo con “Sottopasso in movimento”, nel quale si ritrovano una fila di uomini che si dirigono verso la città, mentre dall’altro lato del sottopassaggio una lunga fila di formiche che esce dal centro. Il duo veronese di Eye Lab Design (Manzini e Righetto) ha inoltre decorato i prospetti esterni del ponte.

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HALL OF FAME CANALE CAMUZZONI 2015

COLORIAMO VERONA III 2015-2016

Il duo Eye Lab Design, attivo dal 1996 nella realizzazione di graffiti, ha trasformato una lunga parte della ciclabile lungo il canale industriale, sul muro del vecchio stabilimento Antonelli & Orlandi, nel tratto compreso tra corso Milano e via San Marco, in un laboratorio dove poter creare i propri lavori e renderli fruibili al pubblico. Il lungo muro, sul quale si alternano writers locali e non, è gestito dal medesimo gruppo.

La terza edizione del concorso ha visto il coinvolgimento diretto di AGEC e RFI, con l’obiettivo di diversificare la localizzazione degli interventi. Sono stati così proposti tre siti molto diversi tra loro: due nuovamente a Verona Sud – parte del lungo muro dello scalo merci su stradone Santa Lucia e un edificio AGEC in piazza Brodolini alle

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Golosine – e un terzo nella parte terminale di Corso Milano, in corrispondenza del cavalcavia ferroviario. Già vincitori dei primi due concorsi, Marco Manzini ha realizzato “Apollo e Dafne” lungo Stradone Santa Lucia, mentre Tommaso Righetto si è occupato di corso Milano con “Omaggio a Shakespeare”. La new entry al concorso, Pier Paolo Spinazzè – writer attivo a Verona dagli anni ’90 – è intervenuto in piazza Brodolini con “Api Sociali”.

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9 CABINART 2016-2017 Sicuramente la più vasta e coordinata iniziativa di street art realizzata a Verona. Il progetto, nato dall’incontro tra AGSM e il duo Eye Lab Design con l’importante collaborazione di STC Team, ha previsto la ricolorazione di otto cabine elettriche seguendo sia il tema delle energie rinnovabili, associate alle relative divinità classiche, sia rappresentando i personaggi più importanti dell’evoluzione tecnica e scientifica in questo campo. Cabina 1, Apollo, via Basso Acquar Cabina 2, Nikola Tesla, via Dalla Chiesa Cabina 3, Alessandro Volta, via Leonardo Cabina 4, Luigi Galvani, Via Quarto Ponte Cabina 5, Nettuno, viale del Lavoro Cabina 6, Thomas Alva Edison, via Scopoli Cabina 7, Eolo, via Boccioni Cabina 8, Zeus, via Stazione Vecchia

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MARMOMACC 2016

COLORIAMO VERONA IV 2016-2017

Dopo AGSM anche la Fiera di Verona ha deciso di interessarsi alla Street art veronese. L’occasione si è presentata con la 51esima edizione di Marmomacc, per la quale è stato selezionato il writer veronese Pier Paolo Spinazzè, uno dei vincitori del concorso indetto nel 2015, per la realizzazione di un ampio disegno sui muri interni vicino all’entrata da viale dell’Industria. Già nel 2006 la Fiera, in occasione di Abitare il Tempo, aveva ospitato per qualche giorno l’installazione temporanea “The Design Wall” del milanese Bros.

Stabilizzatosi sul lungo muro dell’ex scalo merci di stradone Santa Lucia, il concorso Coloriamo Verona, giunto alla quarta edizione, ha visto come vincitori, oltre agli ormai collaudati Eye Lab Design con il tema “il Futurismo e Boccioni”, il veronese Gianni Tomazzoni con “Percorso della Musica” e Davide D’Angelo, proveniente da Colli del Tronto (AP) con il disegno “Pausa pranzo”.

12 OMAGGIO A CARLO ZINELLI 2016 Di ampio respiro l’opera realizzata da Ericailcane (Italia) e Bastardilla (Colombia), che dopo le presenze di Blu nel 2007 e di Peeta nel 2006 rappresenta una delle più importanti espressioni artistiche a Verona legate alla street art. Organizzato dalla veronese Moduli d’Arte in stretta collaborazione con l’Azienda Ospedaliera, l’intervento celebra il centenario della nascita di Carlo Zinelli (1916-1974), importante esponente dell’Art Brut. I muralisti hanno preso spunto da quanto disegnava Zinelli affezionato sia ai cavalli che agli uccelli, quasi sempre riprodotti a moduli di quattro. Per approfondire si veda il volume Verona writers. Aerosol art scaligera dal 1984 al 2014, a cura di Ugo Soragni, testi di Michele De Mori e Sebastiano Zanetti, Unicredit-Fondazione Cariverona, 2014.

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LA BACHECA DI AV

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LA BACHECA DI AV

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In un impianto di raffreddamento a liquido ha il compito di trasportare il calore dal componente che richiede di essere raffreddato, al liquido.

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Pensiero visibile è la prima agenzia veronese di comunicazione e formazione specializzata in storytelling per le imprese del Nord Est che vogliono emergere con autenticità nell’era digitale. Ciò che la differenzia da tutto il panorama del settore è la leva culturale, il sostrato umanistico che, abbinato alla competenza tecnologica, diventa moderno strumento per stimolare la creatività e la visione a lungo termine. Di qui, la strenua fiducia nel valore della formazione e della comunicazione aziendale attraverso lo storytelling, la scienza della narrazione

nota e praticata da secoli che oggi trova solide basi scientifiche e strategiche. Dal 2016 Pensiero visibile ha trasferito la sua sede in un ampio spazio polifunzionale lungo le anse dell’Adige alle porte di Verona e da qui si rivolge alle imprese desiderose di crescere e di comunicare con voce autentica per venire riconosciute in un mercato sempre più allargato e omologato. I servizi offerti comprendono strategie di comunicazione, storytelling e formazione, social media marketing, copywriting, comunicazione tradizionale e immagine coordinata, listening (analisi del mercato on line), personal branding, progetti e iniziative culturali.

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New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever-Sever Maison al servizio dei progettisti Apre nel 2017 il nuovo spazio interattivo multimediale messo a punto da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto

LA BACHECA DI AV

La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER e SEVER Maison, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini , progetti e clip multimediali.

L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in super HD a 4K su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani. All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break.

02

SEVER potrà mettere a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. SEVER Maison è partner dei più importanti marchi di arredamento e complementi d’arredo nazionali ed internazionali.

01

04

— 104

2017 #02


H. 269

pannello laccato colore grigio , colore a campione portali in profili metallici sezione 6x6 cm rimozione porta e chiusura in cartongesso

monitor 40'' inserito in pannello porta scorrevole rivestito in specchio box acustico pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata scuretto perimetrale

pannello laccato colore grigio , colore a campione per mascherare tubazioni - apribile

I

rimozione ventil-convettore e impianti volume con rivestimento interno in legno e nelle parti a vista esterne in lamiera

pannelli laterali con fresate tipo topakustik Fantoni pannello centrale rivestito in specchio largo 120 cm

parte rivestimento (lungh 260 cm) in legno con fresate tipo topakustik Fantoni

D

sezione C-C

monitor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm (telaio perimetrale arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)

H. 281

H. 230 zona cataloghi

F

nuova parete in cartongesso veletta in cartongesso prosecuzione parete in cartongesso arredo con pannello scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato all'interno sistemi per domotica controllo apparecchiature rete di zona controllo, amplificatori interno armadio colore grigio scuro

proiezione ingombro cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate

*

1.65 1.22

lamiera risvoltata in battuta al pannello laccato

C

zona cataloghi

E

pannello scorrevole lunghezza 220 cm

binario esterno per scorrimento pannello di chiusura ingresso box acustico binario posto su tutta la lunghezza parete

bancone cucina predisposizione corrente cappa e piano cottura e prese

102.5 220

po

controsoffitto colore bianco con tagli 10 cm con tagli verniciati 10x10 cm verniciati neri per inserimento faretti led dimmerabili

D

1.65 1.22

ripiano con frontale laccato RAL 7043 posta alla stessa altezza a terra del piano cucina

1.03

*

G

box acustico Citterio rimuovere controsoffittatura in pannelli fonoassorbenti in tessuto blu e inserimento di nuovo controsoffitto in barrisol serigrafato con luci led sovrapposte (cfr. dettaglio M - tav. 04) pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata con strip led per illuminazione grafica

H. 281

H. 281 102.5 220

1.65 1.22

corpi luce dimmerabili accensione/spegnimento personalizzato - domotica tamponamento sopra box acustico

pannello laccato colore grigio , colore a campione lamiera risvoltata in battuta al panello laccato H. 230

*

pannello scorrevole lunghezza 220 cm

1.65 1.22

lampada a sospensione mod. Otylight Pop Brooklyn ARC-CUP 120+120 cm tavolo MDFItalia modello Tense, dimensione 280x120 cm

C

pavimento in legno

RIPOSTIGLIO

N

prese corrente incassate nel risvolto in lamiera placca e frutti nere o grigio scuro di colore analogo alla lamiera

H

parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte e rinforzi per sostegno libreria perfettamente rasata senza giunzioni finitura colore grigio scuro

0.90 2.10

nuova parete in cartongesso con inserimento isolamento tra la struttura interna

pannello laccato colore a campione con fessura per ottiche kinect tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 220 cm rilevatore ottico di presenza appoggiato su mensola e nascosto da pannello laccato colore a campione, dotato di fessura per lasciare a vista l'ottica mensola 480x50/30 cm sp. 5 cm laccata del colore della cucina posta alla stessa altezza a terra del piano cucina h. 85 cm

pannelli fonoassorbenti in tessuto grigio perla porta a filo rivestimento per accesso zo con specchio di finitura e inserimento video fianco arredo rivestito in vetro retro-laccato

monitor 65'' appeso a parete con distanziale di 3 cm (telaio perimetrale di sostegmo arretrato 10 cm rispetto ingombro schermo)

armadio mod. su misura a tre ante scorrevoli di cui la centrale rivestita in specchio ante laterali con fresate tipo top topakustik Fantoni interno armadio colore grigio scuro

cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate pannello laccato colore a campione

D

barrisol posto a soffitto nel box acustico

prese dati e corrente a terra - torretta a scomparsa con coperchio rivestito in legno come pavimento

pannello a parete sotto la mensola laccato colore a campione

sezione D-D

videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con rivestimento superiore in legno diffusore acustico messo in orizzontale

libreria MDF Italia, modello Minima 3.0

H. 270

F

controsoffitto con tagli per inserimento faretti led

E

tamponamento sopra parte del box acustico divisione rispetto zona consultazione cataloghi

prese corrente mascherate da pannellino in legno apribile, inserito nel rivestimento in legno

1.03

arredo con pannello scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato all'interno sistemi dispenser presa corrente

videoproiettori inseriti in scatolare di lamiera microforata staccato da pavimento di 2 cm con lastra in vetro colorato opalino soprastante staccato di 2 cm

struttura per reggere pavimento in legno

tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio H. 268

nuova porta U.S. - tipo rasomuro inserita in parete esistente

* sezione E-E

pavimento in smalto colore grigio scuro 1.03

L

po

D

lampada Ø130 cm - luce up/down - a luce diretta bianca 3000K luce indiretta - RGB dimmerabile

E

*

h. 40 cm risvolto alla sommità volume zona cataloghi

pannelli laterali con tipo topakustik Fantoni e pannello centrale rivestito in specchio largo 120 cm

tenda avvolgibile comandata elettricamente lunghezza 230 cm, colore grigio

diffusore acustico n.b.: valutare posizionemento sopra tessuto barrisol

cassonetto 50x80 cm - h. 230 cm da terra N.B. misura da verificare in base sporgenze e posizioni tubazioni cassonetto realizzato per mascherare tubazioni a soffitto nel lato inferiore di tale cassonetto sarà realizzata una fresata per inserimento guide per pannelli scorrevoli e guide per tende avvolgibili motorizzate

luci led poste sopra copertura

pannello laccato colore grigio , colore a campione

H. 269 CPU

nuova parete in cartongesso realizzata a filo trave presente a soffitto con inserimento isolamento tra la struttura interna nuova porta rasomuro

03

07

luci led poste sopra copertura volumi

01-03, 06. Vedute dello showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 04-05. Pianta e sezioni dello showroom. 07. Particolari del progetto * esecutivo dell’allestimento.

stripled

U.S.

1.28 2.15

tamponamento arretrato

cielino libreria posto 10 cm più in alto rispetto risvolto lamiera di chiusura box espositivo

A

A

**

parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni per proiezione

libreria Minima 3.0 colore bianco

pannelli con fresate tipo topakustik Fantoni e pannello centrale con specchio

armadio su misura a tre ante scorrevoli di cui la centrale rivestita in specchio larga 120 cm e pannelli laterali con fresate tipo topakustik Fantoni

A

B

PIANTA

*

è da prevedere la verniciatura del lato interno dei serramenti del colore dato alle pareti, e l'oscuramento del vetro dei serramenti con applicazione di pellicola adesiva opale

basamento libreria piano inclinato in lamiera retto da strutture retropostre basamento apribile per accesso cablaggi casse acustiche poste in orizzontale passaggio cavi

mobile per contenimento dispenser con anta scorrevole e fianco a vista in vetro retro-laccato

B

sul retro: passaggio cavi casse acustiche poste in orizzontale

B

* sezione B-B

**

video-proiettore

pannello composto da tre lastre in vetro con grafica serigrafata

il cielino di chiusura posto sopra la libreria dovrà proseguire ai lati, fino ad incontrare il muro perimetrale e la nuova parete in cantongesso

luci led poste sopra copertura

portali in profili metallici sezione 6x6 cm

stripled pannello laccato colore grigio, colore a campione

binario esterno posto su tutta la lunghezza della parete verniciato colore a campione

A

schermo appeso 65''

05

piano inclinato in lamiera passaggio cavi

piatto verniciato colore a campione di chiusura dello spessore a vista dei pannelli di rivestimento pareti box acustico

* *

video-proiettore

sezione F-F

sezione A-A

* * *

cielino libreria posto 10 cm più in alto rispetto risvolto lamiera di chiusura box espositivo con incassato luce lineare led

SEVER ACADEMY NUOVA AREA POLIFUNZIONALE, VIALE DEL COMMERCIO 10, 37135 - VR - SEVER@SEVER.IT - WWW.SEVER.IT RINGRAZIAMO L’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI PAESAGGISTI CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI VERONA

volume con rivestimento interno in legno con inserte parti con fresate tipo topakustik Fantoni ingresso schowroom passaggio dal box acustico

A

evento inaugurale

parete per proiezione

Il nuovo showroom multimediale Sever verrà inaugurato con un * evento di presentazione aperto a progettisti, clienti e a quanti interessati a verificare dal vivo le potenzialità tecnologiche della struttura. Per informazioni e per registrarsi all’evento, collegarsi all’indirizzo sotto indicato. B

schermo appeso 65'' libreria Minimal profondità 5 cm schineale 35 cm mensola struttura di sostegno retroposta parete in cartongesso basamento libreria piano inclinato in lamiera retto da strutture retropostre basamento apribile per accesso cablaggi

B

*

parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni finitura colore grigio scuro

N.B. tale piano inclinato non deve venire illuminato dal fascio luminoso della video proiezione N.B. rinforzare pavimento per evitare trasmissione di vibrazioni dal pavimento ai videoproiettori. Sarà necessaria un accurato fissaggio dei videoproiettori N.B. inserire adeguato materiale sotto il pavimento (tipo sacchetti di lana imbustata), per evitare rumore da calpestio

LINK http://www.sever.it/it/eventi/ iscrizioni-agli-eventi/

pannello laccato colore a campione da porre a parete sotto la mensola

sever viale del commercio 10 37135 verona Tel +39 045825 0033 www.sever.it sever@sever.it www.severmaison.it

06

109

— 105

LA BACHECA DI AV

nuova parete in cartongesso / chiusura parete ove rimosso box acustico con inserimento isolamento tra la struttura interna ripiani per esposizione materiali e cataloghi

1.03

D

barrisol serigrafato posto a soffitto nel box di Citterio comprendere cablaggi e passaggi impianti

parete in cartongesso con strutture di sostegno retroposte perfettamente rasata senza giunzioni per proiezione con verniciatura finale adatta alla proiezione subwoofer a terra

0.90 2.10

E

colorato opalino per possibile appoggio di cassa acustica a goccia della Garvan - staccato di 2 cm dal filo superiore scatolare in lamiera macchina trattamento aria a soffitto h. 250 da terra resta al di sopra nuovo volume

spostamento quadro elettrico da portare nel locale "zona cataloghi"


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