Architettiverona 114

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Terza edizione — Anno XXVI RIVISTA TRIMESTRALE n. 3 Luglio/Settembre 2018 DI ARCHITETTURA EdelCULTURA DEL PROGETTO Autorizzazione Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 FONDATA NEL 1959

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR

ISSN 2239-6365

2018 #03

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ISSN 2239-6365

Terza edizione — Anno XXV — n. 4 Ottobre/Dicembre 2017 — Autorizzazione del tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane spa — spedizione in abb. postale d.i. 353/2003 (conv. in I.27/02/2004) — art. 1, comma 1, dcb verona

Senza credito — Bettola Saggio: conviviale — Fronte del Porto Spazio libero La Una vertigine L'Ossario Territorio:— Spazio Un Pilastro — dello sguardo Il triangolo s(ni) racconta Paesaggi sociali per le arti aperto (alle possibilità) — Una casa sui colli — La dignità La casa bianca — — — — del lavoro — — — Libertà La storia e Modus Cantieri: Itinerario: Lo zio soprintendente — Per iun archivio del progettoCostruire urbano — Scalerò — Ospiti per due controllata luoghi in rebus per Oltre il bancone A misura di museo — Sic et simpliciter — Torri che nonvincere lo erano — Il suo nome era Bogoni Gino — Itinerario: i quartieri INA-Casa a Verona.

WWW.ARCHITETTIVERONAWEB.IT

2017 #04


New Multimedia Showroom


New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever al servizio dei progettisti Si è aperto il nuovo spazio interattivo multimediale sviluppato da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. 01

Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini, video, progetti e clip multimediali.

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L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in 4K su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani. All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break. SEVER mette a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. SEVER è partner e fornitore ufficiale AMG, AUDI, MERCEDES, PORSCHE, SMART, VOLVO E VOLKSWAGEN. 02 01-02. Vedute dello Showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo dell’allestimento.

Sever Viale del Commercio, 10 37135 Verona T 045 8250033 sever@sever.it www.sever.it

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l’ìdentità

MODO+, prima di essere uno showroom, è un’insieme di competenze, di esperienze, di apporti creativi e di capacità interpretative. Un team di professionisti che si arricchisce di continuo per aggiungere, a elevati standart di qualità e innovazione, una visione del prodotto e del design proiettata in avanti. Un’identità esclusiva, un punto di riferimento nel settore. la realtà di MODO+ va molto oltre i confini di Verona, lo dimostrano i lavori realizzati in ogni parte del mondo grazie alla capillare distribuzione e le importanti partnership internazionali.

lo showroom

Nuovi progetti, evoluzione e immagine portano la firma di protagonisti della scena internazionale del design, della comunicazione e dell’architettura. MODO+, uno showroom moderno nel concept, nella costruzione, nella presentazione e nella capacità di venire incontro alle esigenze di un’ampio segmento di clienti.

l’obiettivo

MODO+ si propone per creare stili e ambienti diversi, mantenendo come filo conduttore la qualità, non solo nei prodotti ma anche nei servizi offerti al cliente. L’obiettivo principale è quello di soddisfare le esigenze dell’acquirente con proposte personalizzate e progetti concreti; soluzioni pensate per una dimensione abitativa esclusiva. Migliorare la qualità della vita di privati e aziende, traducendo necessità e desideri della clientela in progetti e prodotti di altissimo profilo. Offrire al pubblico la prima scelta delle migliori aziende del settore. Garantire un servizio su misura dalla progettazione al montaggio. MODO+, la sicurezza di rendere l’ambiente domestico e di lavoro più confortevole, più elegante, piu bello. Una scelta di valore, destinata a rinnovarsi nel tempo.

la filosofia

Nasce l’esigenza di definire modalità alternative a certi stereotipi abitativi, all’interno di questo concetto si colloca MODO+, uno showroom alternativo, dove lo spazio è libero, libero di interpretare ogni volta le espressioni dei prodotti, del design e della tecnologia.

la strategia

Un posizionamento chiaro: il mercato di fascia alta. Una mission precisa: dare ai professionisti del settore una collocazione strategica. MODO+ ha scelto di costruire la propria identità puntando su argomenti importanti, la concretezza, il design, l’immagine, la progettazione, l’attenzione al dettaglio e al servizio completo e personalizzato.

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Dal Congresso al Manifesto Testo: Amedeo Margotto

Condensare quanto fatto nel percorso precongressuale e quanto emerso in termini disciplinari e politici durante le tre giornate romane del 5, 6 e 7 luglio scorsi non darebbe adeguato conto del cospicuo lavoro svolto, e giusto merito a quanti hanno a diverso titolo contribuito alla buona riuscita dell’VIII° Congresso Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori. Il condensare si accompagnerebbe inevitabilmente a tagli, omissioni e imprecisioni che, seppur obbligati, risulterebbero perlomeno ingenerosi nei confronti di quanti hanno lavorato per il bene comune degli architetti; ingeneroso risulterebbe dimenticare anche uno solo dei tanti, tantissimi contributi prodotti da un singolo iscritto, da un singolo Ordine Provinciale o dalle Federazioni o Consulte Regionali; in molti, mi piace pensare tutti, hanno lavorato con generosità per la buona riuscita di questo congresso. Non nascondo che, a congresso ultimato, ho sentito il dovere di avvicinare Giuseppe Cappochin, il nostro “Pino nazionale”, e ringraziarlo per la generosità con la quale lui e il

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Consiglio Nazionale hanno saputo compattare una categoria professionale che solo unita può ambire al concreto riposizionamento dell’architetto nella società civile. Finalmente è stata intrapresa un’azione strategica, direi politica, partica con ben quattordici tappe precongressuali, approdata al congresso, pronta a proseguire già con la prossima conferenza nazionale degli ordini che si terrà nel prossimo ottobre a Matera, Capitale Europea della Cultura per il 2019. Da troppo tempo la categoria si rivolgeva ai nostri governanti con istanze terribilmente concrete e vere; chi le ha ricevute, bollandole come mere istanze di casta, ha provveduto nel migliore dei casi ad ignorarle, e nei restanti casi non ha esitato nel respingerle al mittente con fare velenifero. Nel concreto le “lenzuolate” di Bersani e le liberalizzazioni di Monti, promulgate in nome della salvaguardia del libero mercato e della tutela del consumatore, unitamente alla crisi economica che ci attanaglia, hanno spinto la categoria verso un punto di non ritorno, o meglio una linea di non ritorno varcata la quale la sopravvivenza delle professioni regolamentate è tutt’altro che scontata. Chi detiene il capitale può disporre a

suo piacimento di professionisti qualificati, ma fiaccati da insostenibili tendenze al ribasso del mercato libero, che l’antitrust da primo dovrebbe combattere per non favorire il nascere di monopoli (fenomeno del predatory pricing). Nell’VIII Congresso ho colto la volontà di alzare la testa, di guardare avanti, di risvegliarsi dal torpore indotto dai veleni ingeriti, di porre in essere un’azione strategica e politica, che ha rinunciato consapevolmente (e con sofferenza) a tutto ciò che poteva avere connotazione di parte. Si è preso coscienza che azioni ormai ventennali, bollate dal mondo politico come azioni di casta, non hanno portato alcun beneficio alla categoria; si è pertanto scelto di evidenziare a tutti, e quindi anche al mondo politico, che la società civile ha necessità, pena un irreversibile degrado, di preservare il paesaggio, di riqualificare e rigenerare le città, di mettere in sicurezza il territorio e l’edificato, di prodigarsi per realizzare una qualità diffusa dei centri urbani, sottolineando, che tra le professioni regolamentate esiste quella dell’Architetto Pianificatore Paesaggista Conservatore, che per formazione e capacità professionale – direi per specifica peculiarità – può e deve assumere un ruolo guida.

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VIII congresso nazionale architetti ppc Roma, 5-7 luglio 2018 abitare il paese. città e territori del futuro prossimo Circa tremila architetti in rappresentanza di oltre tre milioni di professionisti del settore si sono riuniti a Roma presso l’Auditorium Parco della Musica per l’ottavo congresso nazionale del Consiglio Nazionale degli Architetti PPC. La discussione sul ruolo dell’architetto per il futuro del paese e per la qualità di vitaVersione dei suoi abitanti ha 02 luglio 2018 portato all’approvazione di un Manifesto al quale1 si rimanda per una lettura integrale. LINK http://www.vr.archiworld.it/news/ dettaglio_informativa.php?id=915

Leggendomi si potrebbe pensare che entusiasmo e incapacità di cogliere le istanze che derivano dal fare quotidiano dell’architetto mi inducano a vedere la “botte piena e la moglie ubriaca”; mi limito a sottolineare che gli interventi congressuali fuori dal coro, su tutti quelli dei presidenti degli ordini di Torino e di Avellino, hanno posto l’accento su problematiche reali quali la mancanza di lavoro e la scarsa remunerazione dell’architetto, imponendo il potenziamento di azioni specifiche che ci risparmino nel futuro sentenze quali la n. 4614/2017 del Consiglio di Stato, che ci ha lasciato basiti e profondamente offesi. A riprova della consapevolezza di quanto sia necessario contrastare tale atteggiamento dello Stato nei confronti dell’architetto – ma direi più in generale nei confronti del mondo delle libere professioni – riporto il commento alla citata sentenza da parte del presidente Cappochin: “Credevamo che, dopo la bocciatura del bando da parte del TAR della Calabria, finalmente la giustizia sarebbe riuscita a fermare una iniziativa immorale e scandalosa come quella del bando lanciato l’ottobre scorso dal Comune di Catanzaro per affidare la redazione del Piano Strutturale al compenso simbolico di un Euro, manifestazione di un vero e proprio caporalato intellettuale e professionale. Sconcerta, dunque, la Sentenza del Consiglio di Stato, pubblicata lo scorso 3 ottobre, che, ribaltando quanto stabilito dallo stesso TAR, ha considerato legittimo quel bando”. In estrema sintesi, credo che il Congresso di Roma si sia orientato verso un’azione di mediolungo periodo, consapevole che in parallelo vada perseguita nelle sedi appropriate una politica di breve (immediato!) periodo anche di contrasto, quale ad esempio il ricorsoinoltrato presso la Corte Europea dal nostro CNAPPC avverso la suddetta sentenza del Consiglio di Stato. Chiudo reindirizzando i colleghi, per non rischiare una pessima emulazione del “Bignami”, alla versione integrale di tutto quanto detto, fatto e prodotto nelle varie fasi congressuali; a chi non disponesse del necessario tempo (ed è molto), suggerisco la semplice lettura del programma lavori congressuale e del Manifesto finale approvato per acclamazione.

Consiglio dell’ordine • Presidente Amedeo Margotto • VicePresidenti Laura De Stefano Matteo Faustini • Segretario Enrico Savoia • Tesoriere Daniel Mantovani • Consiglieri Cesare Benedetti, Michele De Mori, Stefania Marini, Diego Martini, Leonardo Modenese, Michele Moserle, Francesca Piantavigna, Chiara Tenca, Morena Zamperi, Ilaria Zampini

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2018 #03


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odeon

Le vite di San Lorenzo di Maria Ajroldi

013

030

professione

progetto

Dal Congresso al Manifesto di Amedeo Margotto

Ospiti per due di Alberto Vignolo

056 saggi

Il triangolo s(n)i di Tomàs Bonazzo

017

editoriale

Spazio libero di Alberto Vignolo

080

STUDIO VISIT

094

Il favoloso mondo di Martino di Luigi Marastoni

Maurizio Cossato a Verona di Angela Lion

067

i sepolcri

Giuseppe Barbieri di Federica Guerra

068 odeon

042

collezione privata

L’Ossario racconta di Eleonora Principe

084

territorio

Paesaggi sociali di Giampiero Lupatelli

100

progetto

La vertigine dello sguardo di Damiano Capuzzo

diverse architetture Le Sezioni di Censimento e i Paesaggi Sociali | 2011 5

060 odeon

050

La storia e i luoghi di Federica Guerra

PROGETTO

022

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odeon

Modus in rebus di Stefania Marini

076

interiors

Libertà controllata di Giulia Bernini

Un due tre Stelle di Nicola Brunelli

PROGETTO

La casa bianca di Marco Campolongo

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Un Pilastro per le arti di Irene Meneghelli

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cantieri

Costruire per vincere di Piero Vantini

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itinerario

Oltre il bancone di Leopoldo Tinazzi e Filippo Romano

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Ci mette il becco LC di Luciano Cenna

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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXVI n. 3 • Luglio/Settembre 2018

Direttore responsabile Amedeo Margotto

Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architettiverona@archiworld.it

Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Laura De Stefano, Stefania Marini, Matilde Tessari, Tomàs Bonazzo, Giulia Bernini, Daniela Tacconi, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Irene Meneghelli redazione@architettiveronaweb.it

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Paolo Pavan T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it

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contributi a questo numero Maria Ajroldi, Nicola Brunelli, Marco Campolongo, Luciano Cenna, Giampiero Lupatelli, Luigi Marastoni, Eleonora Principe, Piero Vantini

Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

contributi Fotografici Lorenzo Linthout, Michele Mascalzoni, Marco Toté Andrea Avezzù, Ben Turpin Studio, Mario Bertani, Francesco Galli, Italo Rondinella, Gustav Willeit

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

Si ringraziano Andrea Castelletti, Marco Righetti, Federica Provoli

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Spazio libero

A partire dalla rituale suggestione proposta dall’edizione corrente della Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia

Testo: Alberto Vignolo

01. La facciata del Padiglione Centrale ai Giardini nel corso della 16. Mostra Internazionale di Architettura, Freespace. 02. Un serramento scarpiano rimesso in luce all’interno del Padiglione Centrale della Biennale. Foto di Italo Rondinella, Courtesy La Biennale di Venezia.

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Sia pure nella necessaria declinazione anglofila che il respiro internazionale della veneranda manifestazione richiede, il Freespace a cui è intitolata la 16ma Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia sollecita alcune riflessioni sul senso letterale di questo spazio libero: sulle sue forme e declinazioni, sulla sua presenza o piuttosto sulla necessità di crearlo. Accogliamo dunque, a esposizione ancora aperta, l’invito delle generose curatrici biennalesche a tradurre questo termine-manifesto, cercandone i segni e le ragioni attraverso una mappatura che “ci permetta di sondare le aspirazioni, le ambizioni e la generosità dell’architettura”. Dove trovare dunque questi “esempi di generosità e di sollecitudine nell’architettura”? Una bella sfida. Sulla mostra in sé sospendiamo il giudizio per lasciar modo a ciascuno di visitarla senza spoilerare alcunché: ma sono segreti di Pulcinella (o di Arlecchino, per restare sulla maschera veneziana per antonomasia). Come sempre, viste le dimensioni ciclopiche dell’esposizione, c’è il bello e il buono ma anche il cattivo tempo. Facile prendersela con la direzione, in questo caso le due direttrici d’orchestra, e girovagando tra

Giardini e Arsenale si sente nell’aria l’immancabile giudizio che “quella prima era meglio”: ma alla fin fine torniamo tutti lì, “perché la Biennale è la Biennale” (o era Sanremo?). Il grande e festoso caravanserraglio lagunare rimane un appuntamento rituale, uno spazio libero a prescindere, aperto all’incontro e al confronto: ma appare sempre più evidente la difficoltà e lo stridente contrasto tra la velleità di rappresentare lo stato dell’arte al presente e la diffusione planetaria di ogni architettura attraverso le sue immagini ubiquitarie, tanto che si finisce per ritrovare in

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mostra il già visto grazie a siti, portali, Instagram e compagnia bella. Lo stato presente pare già un passato prossimo, rinnovando nell’accelerazione turbinosa del nostro tempo quella “presenza del passato” che segnò proprio da Venezia il trionfo della stagione Post-Modern (avvertenza ai lettori: dopo anni di oblio e dannazione, sta arrivando la rivalutazione critica del Po-Mo: rispolverate facciate a cremino, timpani e colonne oversize, assieme alle giacche con le spalline imbottite!). L’idea curatoriale della mostra diviene pertanto sempre più determinante: tanto è più lasca e generica e onnicomprensiva, tanto più rischia di lasciare poco il segno. Una considerazione, questa, che dall’occasione biennalesca può essere fatta valere a maggior ragione per il ruolo dell’editoria specializzata, e diventa quindi una sorta di autocoscienza in pubblico del senso di una rivista. Proviamo a fare un ciclico punto ombelicale: nel suo piccolo ambito di riferimento, «AV» ambisce a sua volta ad essere uno spazio libero, che con perseveranza

si sforza di includere temi e luoghi, autori e progettisti, contributi e sguardi, rifuggendo dall’idea di un impossibile taglio critico ‘di tendenza’ e correndo il rischio dell’eclettismo nel rappresentare nel bene e nel male – anzi nel benissimo e nel benino, il male cerchiamo di escluderlo – ciò che il nostro territorio offre. Aspirazioni, ambizioni e generosità, suggeriscono

« Il grande e festoso caravanserraglio lagunare rimane un appuntamento rituale, uno spazio libero a prescindere, aperto all’incontro e al confronto » di mettere in evidenza le dublinesi architette Grafton nel loro passaggio per Venezia: vogliamo pensare che siano le qualità degli esempi concreti che mostriamo, senza la pretesa che siano capolavori né prodotti di archistelline. Vorremmo trovare il modo di dare libero spazio

all’architettura civile, quella nella quale una comunità si riconosce in quanto tale: ma da tempo si fatica a trovarne le tracce. Nel contesto urbano, una libertà vigilata tende a prendere il posto dello spazio pubblico, che per definizione è libero e condiviso, o quanto meno dovrebbe esserlo: come le strade (salvo i pedaggi), i parchi (salvo cancellate e recinti) e le piazze (salvo dissuasori e controlli diventati ahinoi necessari). Ma l’ideale di libertà si manifesta soprattutto come libertà di espressione. Il 1° gennaio 1941, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt rivolse ai suoi cittadini il celebre discorso delle “Quattro libertà”: libertà di parola e di espressione, libertà di culto, libertà dal bisogno e libertà dalla paura. Fatte le dovute similitudini e differenze, possiamo trarne questo auspicio: al di là della rispondenza agli usi e alle prestazioni, ogni spazio è libero quando è libera la sua espressione, ed è frutto di un pensiero autentico e generoso attento alla qualità dello spazio che genera, ai modi di vita che determina, al

riverbero che ogni architettura trasmette sul contesto in cui è posta, infine all’eredità che lasciamo con ogni trasformazione del territorio. Un obiettivo che riassume entro una dimensione esistenziale quello che i due termini apparentemente antitetici di spazio (concreto) e libertà (astratta) sottendono. Un traguardo che anche l’occasione di una mostra come il rituale appuntamento veneziano può portare a galla, non solo per vedere quanto alcuni dei protagonisti sono stati bravi – ciascuno sceglierà i propri eroi e modelli - ma per rinnovare quella scommessa, o speranza (o illusione?) che l’architettura possa cambiare il mondo, contribuendo a generare un pezzetto di spazio più libero. Intanto, ci proviamo con qualche pezzetto di carta.

03. Vol de Jour, la partecipazione di Eduardo Souto de Moura a Freespace premiata con il Leone d’Oro (foto di Francesco Galli). 04. Le Corderie dell’Arsenale con l’installazione di Case Design sulla sinistra (foto di Francesco Galli). 05. Un altro esempio del Freespace: il progetto di Inês Lobo per Piazale Marconi a Bergamo (foto di Andrea Avezzù). Courtesy La Biennale di Venezia.

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06-07. La partecipazione italiana curata da Mario Cucinella: Arcipelago Italia in due vedute dell’allestimento (foto di Francesco Galli). 08. La sala dedicata ai modelli dell’Atelier Peter Zumthor nel Padiglione Centrale ai Giardini (foto di Italo Rondinella). Courtesy La Biennale di Venezia

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PROGETTO

La casa bianca Una piccola abitazione di vacanza sul Garda è l’occasione per una interpretazione del tema architettonico improntata a un controllato rigore formale e materiale

Progetto: Pedevilla Architects

Testo: Marco Campolongo Foto: Gustav Willeit 01

Bardolino

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La visita a questa casa di vacanza nel basso Garda prende avvio dall’appuntamento con i committenti, una famiglia sudtirolese che qui ha scelto di trascorre il proprio tempo libero. I progettisti, gli architetti Pedevilla di Brunico (BZ) – già coinvolti in passato per l’abitazione principale della famiglia – hanno terminato il loro compito, dunque approfittiamo di un weekend per godere della casa nel pieno della sua funzione. Cerchiamo di arrivare con le indicazioni ricevute, districandoci nelle tortuose strade di lottizzazione sulla collina appena sopra in centro di Bardolino: una zona costruita d’assalto a cavallo degli anni ‘6070 come altre tante parti del territorio gardesano, dove oggi gli interventi di riqualificazione edilizia avanzano a macchia d’olio. Arrivati al numero civico indicato, scopriamo di trovarci di fronte a un’enclave residenziale, un “residence” con tanto di cancello principale e poi tanti cancelletti e recinzioni per ogni singola casetta. Risalendo la via da cui si staccano sottili strade cieche a pettine, abbiamo l’occasione di comprendere il contesto nel quale si inserisce l’intervento. Un

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« È suggestivo l’effetto creato attraverso gli schermi traforati dalla luce, che disegna su pareti e pavimenti delle circonferenze distorte come in un gioco ottico » tessuto a bassa densità ma fitto, composto da casette a un unico piano con tetto a falde poco inclinate, ciascuna contornata da piccole strisce di giardino delimitate da muretti e siepi che fingono di non far vedere nulla: ma le distanze sono così ridotte che il senso della privacy nei confronti dei vicini (troppo vicini?) è forse solo un auspicio. Finalmente raggiungiamo la nostra meta, l’ultima della serie di casette della via. Il verde a confine si rivela in realtà molto efficace, e l’unica parte visibile dell’abitazione è la copertura: si coglie la linea

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01, 04. Il piano di calpestio ribassato si estende all’esterno creando uno spazio aperto in continuità con la zona giorno. 02. L’edificio visto dalla strada oltre la recinzione. 03. In rosso, l’edificio all’interno del contesto insediativo di cui è parte.

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La casa bianca

PROGETTO 05. Pianta della copertura con la terrazza ad andamento curvilineo. 06. Pianta del piano terra e del giardino. 07. La sezione longitudinale evidenzia la quota ribassata della zona giorno. 08. Nel soggiorno il gradone diventa elemento di seduta e contenitore con ampi cassetti alla base. 09-10. Campo e controcampo sulla zona giorno con la cucina ad isola.

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tesa della gronda e si capisce che riserva qualcosa da scoprire. Una volta entrati veniamo invitati a passeggiare nel giardino, osservando così la casa dall’esterno. L’impianto planimetrico è molto semplice, una forma rettangolare caratterizzata dalla rigorosa separazione tra l’ampia zona giorno e la zona notte. Da subito si coglie l’intenzione da parte dei progettisti Dachaufsicht di trasmettere un senso forte di rigore e matericità, forse per contrasto rispetto alle piccole dimensioni – la superficie utile non arriva ai 60 metri quadri nonostante l’ampliamento rispetto all’edificio preesistente – e per cogliere un carattere del luogo nobilitando in maniera colta una finitura grezza molto Seventies e geometrile. Tutte le superfici esterne sono rivestite da un intonaco bianco ruvido con inseriti dei frammenti di Rosso Verona, che conferiscono delle sfumature rosate a seconda dell’incidenza della luce. Il rivestimento avvolge anche le “gelosie” con i fori circolari, elemento sicuramente caratterizzante di questa architettura, utilizzate per le aperture delle camere e del bagno. La zona giorno è completa-

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Erdgeschoss

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pedevilla architects Pedevilla Architects è lo studio fondato nel 2005 dai fratelli Alexander e Armin Pedevilla, con sede a Brunico. Si occupa di progetti architettonici in ambito pubblico e privato e di design di interni, con un vocabolario stilistico chiaro e rigoroso. I lavori dello studio sono pubblicati in numerosi articoli e cataloghi e hanno meritato molti premi e segnalazioni. www.pedevilla.info 09

mente aperta su due lati grazie alla facciata vetrata ad angolo; il controllo dell’irraggiamento è affidato a tende a rullo esterne integrate nella gronda del solaio di copertura. La prospettiva d’angolo svela una caratteristica architettonica che incide in maniera sostanziale sul concetto spaziale. Il piano di calpestio della zona giorno si trova ad una quota inferiore, circa quaranta centimetri, rispetto a quella del giardino, creando una relazione interessante fra interno ed esterno e fungendo da divisione virtuale con la zona notte, allineata alla quota zero. Entrare in casa diventa “scendere in casa”, come nel pozzetto di una imbarcazione attraverso il piano di coperta del giardino; il riferimento marinaresco è coerente con il modo di vita dell’abitazione improntato a un carattere informale e quasi spartano, come espresso dai committenti agli architetti nell’esprimere i loro desideri per questa casa Lo sconfinamento verso l’esterno del piano ribassato e della copertura crea una estensione diretta all’aperto della zona giorno. Lo scalino, evidenziato dalla sagomatura della vetrata che ne segue il

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La casa bianca

PROGETTO

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11-12. Due immagini dello spazio di soggiorno, vissuto con slancio ed irrefrenabile energia (foto di M. Campolongo). 13-14. Disegno del fronte posteriore e veduta della scala che porta alla terrazza in copertura (foto di M. Campolongo). 15. Il fronte a sud-ovest: in alto la linea curva del parapetto lascia intuire lo spazio fruibile in copertura. 16-17. Due vedute della terrazza posta sulla copertura piana.

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Ansicht Osten

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profilo, funge da seduta sia all’esterno che in interno, dove diventa un arredo fisso utilizzato alla base come contenitore alla base della vetrata del soggiorno; la quota ritorna a zero nella zona notte, allineata al piano del giardino, posta oltre una parete di legno a tutta altezza che comprende le porte delle stanze e armadi a muro. Sul fronte interno opposto a quello vetrato, la parete attrezzata della cucina fronteggia il piano a isola; pochi altri selezionati elementi – un tavolo da pranzo, delle lampade a sospensione e una piantana – completano l’arredo. Con la stessa logica adottato per l’esterno, anche l’interno si presenta monocromatico: intonaco bianco per pareti e soffitto, legno laccato bianco, cemento lisciato chiaro per il pavimento. L’unica misurata licenza decorativa che gli architetti si sono concessi questa casa si può cogliere entrando nelle camere o nel bagno: l’effetto di filtro e protezione delle schermature esterne delle aperture ricorda in parte le griglie dei confessionali e in parte le mashrabiye, elementi tipici dell’architettura islamica che aiutano a mantenere gli spazi interni

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PROGETTO

La casa bianca

18-19. Veduta interna e dall’esterno delle schermature fisse per le aperture delle camere e del bagno.

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committente Privato Progetto architettonico e direzione lavori Pedevilla Architects arch. Alexander Pedevilla arch. Armin Pedevilla consulenti arch. Marcello Bragantini (local architect) Cronologia Progetto e Realizzazione: 2014-2015 Dati dimensionali Superficie utile: 58 mq Costo di costruzione: 0,2 mil. Euro

freschi ed aerati. È suggestivo l’effetto creato dalla luce che attraversa questi schermi traforati, che disegna su pareti e pavimenti delle circonferenze distorte come in un gioco ottico. Dall’interno, si acuisce la percezione di come l’abitazione occupi buona parte del lotto e di come sia in effetti compresso lo spazio aperto. Ma rimane la “scoperta” della copertura: una scala esterna sul fronte posteriore rende accessibile una terrazza panoramica, con un profilo curvilineo disegnato dal deck della pavimentazione in legno e dagli esili parapetti metallici. Da qui il punto di vista si eleva dai confini serrati dell’insediamento residenziale e si apre a una vista sconfinata sul Lago di Garda. Ed è in questo punto della casa che la nostra visita termina, fermandoci a contemplare il paesaggio circostante e immaginandoci quanto potrebbe essere suggestiva una serata con gli amici su questa terrazza.

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PROGETTO

Ospiti per due Due interventi alberghieri sul lago di Garda propongono il duplice tema della sostituzione edilizia e dell’ampliamento con riforma dell’esistente Progetto MaisonMe, Maximilian: arch. Michele Irlandini Interior Design MaisonMe: Rocchi Piubello architettura Testo: Alberto Vignolo Foto: Marco Totè

Bardolino

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L’architettura per l’ospitalità ha negli ultimi anni articolato la propria offerta in maniera vertiginosa, tra residenze turistiche, case e villaggi vacanze, bed and breakfast e affini. In principio, però, era l’albergo: una tipologia ben codificata con le sue regole, classificazioni e articolazioni, che ha segnato per molto tempo l’unica forma di residenza temporanea nel tempo libero o di vacanza. Fatte salve alcune strutture storiche in contesti di pregio, lo stock edilizio alberghiero si è formato in buona parte negli anni Sessanta-Settanta, consegnando ad oggi un patrimonio spesso obsolescente. È così che, accanto alle strutture ricettive costruite ex novo e improntate alla ricerca di una grande dimensione che consenta economie di scala, anche le piccole realtà sono sempre più soggette a interventi di rinnovo, ampliamento o sostituzione, complici la domanda crescente in maniera esponenziale e i non trascurabili incentivi volumetrici (Piano Casa in primis). A Bardolino, località sulla costa veronese del Garda capofila di un rinnovamento del linguaggio architettonico a cui assistiamo da alcuni anni a questa parte, interventi in questo settore non mancano. Di seguito presentiamo due interventi che hanno posto il progettista, Michele Irlandini, a confronto con il duplice tema della sostituzione edilizia e dell’ampliamento e riforma di un albergo preesistente. In comune ai due casi, va sottolineato un approccio progettuale e costruttivo basato sulla metodologia BIM, con l’obiettivo, imprescindibile per una struttura ricettiva, di tempi di cantiere serrati: compatibilmente con imprevisti&probabilità nel Monopoli di normative, autorizzazioni, corsi e ricorsi e quant’altro. Siamo all’inizio del lungolago di Bardolino, una posizione da MaisonMe poltronissima in prima fila dove la presenza alberghiera è già nutrita a testimonianza della prima ondata di hôtellerie sul basso Garda (ma ora è uno tsunami). L’edificio preesistente per anni ha assolto con modestia al compito richiestogli dal luogo, all’incrocio con la via Mirabello che che mira perpendicolare alla costa dalla strada principale. La sfida per il progettista è stata duplice: da una parte

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una costruzione quasi acrobatica in un lotto fortemente vincolato per il sedime ridottissimo, la strada su due lati e alcuni edifici massicci a confine, dall’altra l’obiettivo di elevare il livello qualitativo della struttura ricettiva attraverso il rinnovamento dell’architettura. Se può capitare infatti di imbattersi in edifici che adottano un modernismo di maniera in qualsiasi contesto, in questo caso i volumi

01. MaisonMe. Il punto di vista isometrico esalta il gioco dei volumi tra il fronte su strada e quello posteriore. 02. Planimetria generale a livello delle coperture. 03. Avvicinandosi verso il lungolago l’aggetto del volume bianco ha un forte valore segnaletico. 04. L’inserimento della nuova architettura nel contesto.

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Ospiti per due

PROGETTO 05. Dal basso, piante dei piani terreno, primosecondo e del terzo. 06. In primo piano, dissimulata nella pavimentazione esterna, la piattaforma elevatrice per l’accesso all’autorimessa interrata.

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stereometrici, l’intonaco bianco, i rivestimenti in listelli di legno e le trasparenze vitree conferiscono a questa architettura un carattere “mediterraneo” che si presta, nel suo piccolo, all’oceano lago. L’esatto contrario di un malaccorto contestualismo di tempi non lontani, fatto di gronde in abete e tetti in coppi: ma, come dicevamo, lo standard a Bardolino è cambiato, anche grazie a una azione mirata da parte degli uffici comunali, e questo esempio rappresenta uno dei frutti più maturi. È proprio il punto di vista dalla strada il primo approccio all’edificio: se il fronte posteriore è necessariamente sottotono, l’attenzione è catturata dallo sbalzo del volume in aggetto dall’affusto del corpo principale, rivestito in sottili doghe di legno chiaro: un volume bianco e immacolato, con un unico profondo taglio in corrispondenza del corpo scale.

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na delle suites si riverbera nell’ampiezza della terrazza: sempre più in alto, sempre più vista lago... Sul lato interno del lotto, alcune perturbazioni – l’ascensore, la scala di sicurezza – determinano una non pedissequa ripetizione dello schema, contribuendo alla definizione di una morfologia conchiusa ed equilibrata. Rimane ancora da completare, in una prossima fase di rifinitura, il parterre antistante l’albergo, dove le dimensioni davvero ridottissime pongono una sfida micrometrica a progettista e committenza. Anche per quanto riguarda il progetto degli interni, averlo affidato ad una progettista diversa dal responsabile del progetto generale non ha generato alcuna discrasia, e il risultato appare frutto di una comune armonia di intenti. Ci piace attribuire questo merito al timone fermo del committente, orgoglioso padrone di casa che, nell’accogliere gli ospiti, ha arricchito la mobilia del foyer con la biblioteca del padre architetto, Gianni Lonardelli (numero 47 dell’Albo di Verona): un omaggio a colui che continuò l’attività ricettiva della famiglia della moglie Lisy, pioniera del turismo bardolinese, costruendo nel 1967 il vicino Hotel Kriss Internazionale. Ecco il perché delle annate storiche di Casabella fianco a fianco con alcuni numeri della

Senza bisogno di insegne né artifici posticci, questo elemento funge da eloquente elemento segnaletico; e risvoltando sul fronte principale a lago dipana di contro un fitto ordine gigante, su due piani, di membrature verticali che ordiscono la superficie finestrata delle camere, appena perturbata dagli aggetti delle solette dei balconi. I parapetti in cristallo enfatizzano l’effetto acquario – pesci rigorosamente d’acqua dolce – e forse anche l’esibizionismo degli ospiti, che auspichiamo di bella presenza per essere in sintonia con l’edificio... In una tripartizione compositiva di stampo classico, il corpo dell’edificio così definito poggia sul basamento destinato agli spazi di accoglienza e servizio, con un parallelepipedo estroflesso completamente vetrato a delimitare il piccolo giardino, ed è sormontato dal piano attico dove l’articolazione inter-

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Michele irlandini Michele Irlandini nasce a Bussolengo nel 1982. Si laurea in architettura presso il Politecnico di Milano nel 2006. L’attività professionale si sviluppa attraverso la realizzazione di residenze private e spazi ricettivi, nelle quali il rapporto e il confronto con l’ambiente, la volumetria essenziale e l’organizzazione dei contenuti sono l’essenza dell’espressione progettuale. Cresciuto in una famiglia di costruttori, coltiva da sempre la passione per l’architettura.

07. Sezione trasversale dell’edificio: al piano attico l’arretramento del volume corrisponde alle suites dotate di ampi terrazzi.

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Ospiti per due

PROGETTO

Scossalina su muro 8/10 in lamiera preverniciata (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

1.051

1.100

parapetto in doppia lastra di vetro (vedi scheda tecnica)

56

supporto per parapetti in alluminio con fissaggio a parete (art. SIRIO b NUOVA OXIDAL)

Fissaggio da concordarsi

ABACHI

1:5

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PARAPETTO IN VETRO QUINTO IMPALCATO

1:5

Corrimano profilo a L 45x5 40

parapetto in doppia lastra di vetro (vedi scheda tecnica)

1.051

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Scossalina su muro 8/10 in lamiera preverniciata (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

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VAR.

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1.100

1.100

Parapetto in doppia lastra di vetro (vedi scheda tecnica)

Tubolare 40X40 mm sp. 6 mm

supporto per parapetti in alluminio con fissaggio a parete (art. SIRIO b NUOVA OXIDAL)

Fissaggio da concordarsi Lamiera microforata imbullonata/rivettata al profilo di supporto (DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI) 56

Scossalina 8/10 in lamiera preverniciata con gocciolatoio su 3 lati del balcone (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

saldatura telaio alla piastra di ancoraggio

Piastra di ancoraggio 110X110 mm (da verificare) 340

supporto per parapetti in alluminio con fissaggio a parete (art. SIRIO b NUOVA OXIDAL)

Pannello aquapanel/eraclit tassellato e rasato/intonacato

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Scossalina 8/10 in lamiera preverniciata con gocciolatoio su 3 lati del balcone (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

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1:5

DT04

Piastra di ancoraggio 150X150 mm (da verificare) Pannello aquapanel/eraclit tassellato e rasato/intonacato

DETTAGLIO PARAPETTO LAMIERA VEDI SEZIONI E ABACHI DT01

1:5

DETTAGLIO PARAPETTO IN VETRO VEDI SEZIONI E ABACHI Consulenti Consultants

Localizzazione Location

Progetto Project

Comune di Bardolino (Vr) Committente Client

MEP - Elettrico SERVIZI TECNICI B&G snc Via Ugo Foscolo, 52/A - 25016 Ghedi (BS) Tel. e Fax 0309958056 - E info@studiotecnicobeg.eu

Irlandini Costruzioni sas

Titolo Documento Document Title

Controllato da Checked by

NG

1:5

arch. Marco Merigo

P.Iva, CF & Reg. Imp 03720860984 T: +39 0365 1590217 _ E: info@dvastudio.eu _ W - www.dvastudio.eu

Data di prima emissione Date of first emission

Approvato da Approved by

EM Data Date

16.09.2016 Documento no Document no.

MM Scala A0 Scale A0

30/03/17

1:5

Corrimano profilo a L 45x5 40

Revisione no. Revision no.

DVA038_F04_ARC_DT_404

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1.100

1.110

PARAPETTO IN VETRO QUINTO IMPALCATO

04_Esecutivo

Via Einaudi n. 4 - 37010, Affi (VR) CF - P.IVA: 02744740230

d.Vision Architecture s.r.l. Sede Legale Via XXIV Maggio, 18 25016 - Ghedi (BS), Italy Sede Operativa Via Arnoldo Bellini, 9 25077 - Roè Volciano (BS), Italy

Topografia e Sicurezza di cantiere Studio Tecnico Geom. Ettore Siverio Via Statale, 206 - 25011 Calcinato (BS) Tel/Fax 030 998 0991 | E studiosiverio@libero.it

DT03

DVA038

Fase Status

Dettaglio parapetti

Disegnato da Drawn by

MEP - Termoidraulica Ing. Mattia Tomasoni Piazzetta Postumia, 6 - 46040 Gazoldo degli Ippoliti (MN) Tel/Fax: 0376-657470 | E info@tres-progetti.com

1:5

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Progetto no. Project no.

Albergo AIDA Coordinamento del Progetto Esecutivo

Strutture ZANARDI INGEGNERIA S.R.L. Socio Unico Via Carpen, 39 - 25089 Villanuova sul Clisi (BS) Tel. e Fax 0365 373508 - E info@zanardiingegneria.it

VAR.

1.100

parapetto in doppia lastra di vetro (vedi scheda tecnica)

Tubolare 40X40 mm sp. 6 mm

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Lamiera microforata imbullonata/rivettata al profilo di supporto (DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

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supporto per parapetti in alluminio

+9,70 Piano Terzo 13

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+9,70 Piano Terzo

Scossalina 8/10 in lamiera preverniciata con gocciolatoio su 3 lati del balcone (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI) saldatura telaio alla piastra di ancoraggio

Piastra di ancoraggio 110X110 mm (da verificare)

Cappotto con pannello aquapanel/eraclit

DT02

Avvertenze Disclaimer

-

-

Non scalare il disegno Tutte le misure devono essere verificate in cantiere Le misure sono in millimetri La presente tavola rappresenta la configurazione architettonica; le dimensioni, quote e annotazioni strutturali ed impiantistiche devono essere desunte dalle tavole denominate rispettivamente STR e IMP. Difformità o mancanze devono essere segnalate tempestivamente alla D.Vision Architecture srl Dotazioni e finiture interne ai singoli ambienti sono puramente indicativi. Ulteriori approfondimenti saranno necessari e forniti da professionisti esterni

PARAPETTO IN VETRO QUARTO IMPALCATO

Revisione Revision

REV

Data Date

Data

1:5

Note Generali General Notes

Note Notes

Modificato da

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Scossalina 8/10 in lamiera preverniciata con gocciolatoio su 3 lati del balcone (FINITURA E RAL DA CONCORDARE CON ARCH. MICHELE IRLANDINI)

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Pannello aquapanel/eraclit tassellato e rasato/intonacato

DT04

DETTAGLIO PARAPETTO LAMIERA VEDI SEZIONI E ABACHI

Consulenti Consultants

1:5

Localizzazione Location

Progetto Project

Comune di Bardolino (Vr) MEP - Elettrico SERVIZI TECNICI B&G snc Via Ugo Foscolo, 52/A - 25016 Ghedi (BS) Tel. e Fax 0309958056 - E info@studiotecnicobeg.eu

Progetto no. Project no.

Albergo AIDA Coordinamento del Progetto Esecutivo

Strutture ZANARDI INGEGNERIA S.R.L. Socio Unico Via Carpen, 39 - 25089 Villanuova sul Clisi (BS) Tel. e Fax 0365 373508 - E info@zanardiingegneria.it

Change Name

Committente Client

Irlandini Costruzioni sas

Titolo Documento Document Title

Disegnato da Drawn by

04_Esecutivo

Controllato da Checked by

NG MEP - Termoidraulica Ing. Mattia Tomasoni Piazzetta Postumia, 6 - 46040 Gazoldo degli Ippoliti (MN) Tel/Fax: 0376-657470 | E info@tres-progetti.com

@ Copyright A termine delle vigenti norme sui diritti d’autore, questo disegno non potrà essere copiato, riprodotto o comunicato ad altre persone o ditte senza l’autorizzazione della società D.Vision Architecture s.r.l. #ChangeID

Topografia e Sicurezza di cantiere Studio Tecnico Geom. Ettore Siverio Via Statale, 206 - 25011 Calcinato (BS) Tel/Fax 030 998 0991 | E studiosiverio@libero.it

Modifiche apportate rispetto all'emissione precedente

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DVA038

Fase Status

Dettaglio parapetti

Via Einaudi n. 4 - 37010, Affi (VR) CF - P.IVA: 02744740230

arch. Marco Merigo d.Vision Architecture s.r.l. Sede Legale Via XXIV Maggio, 18 25016 - Ghedi (BS), Italy Sede Operativa Via Arnoldo Bellini, 9 25077 - Roè Volciano (BS), Italy P.Iva, CF & Reg. Imp 03720860984 T: +39 0365 1590217 _ E: info@dvastudio.eu _ W - www.dvastudio.eu

Data di prima emissione Date of first emission

Approvato da Approved by

EM Data Date

16.09.2016 Documento no Document no.

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MM Scala A0 Scale A0

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MAisonME boutique hotel Progetto architettonico e direzione lavori arch. Michele Irlandini Collaboratori arch. Stefano De Rossi, arch. Gianluca Pressi, geom. Elisa Reali interior design arch. Alice Piubello Rocchi Piubello architettura Consulenti D.VA Studio: ing. Andrea Zanardi (strutture), ing. Emanuele Faltracco (BIM modeling), P.I. Roberto Belloni (imp. elettrici), ing. Mattia Tomasoni (imp. meccanici) Imprese Irlandini Costruzioni (contractor) Italswiss (serramenti), Diesse Electra (impianti), Svai Service (cartongessi), IdealPark (piattaforma elevatrice), Morelato e Bonfante Contract (elementi di arredo), Forme di Luce (corpi illuminanti), EkoDesign (pavimenti e rivestimenti) Cronologia Progetto e realizzazione: 2016-2018

08. Particolari costruttivi relativi a due nodi di ancoraggio dei parapetti in cristallo. 09. Il tratto meridionale della costa di Bardolino visto dal terrazzo delle suites. 10. Il fronte a lago è ritmato da un ordine gigante di sottili elementi perpendicolari alla facciata con funzione anche di frangisole.

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PROGETTO

Ospiti per due

11. Il corpo scale: sulla sinistra il taglio di luce ricavato nel volume bianco in aggetto sulla strada. 12. Particolare della zona delle colazioni con il lungo tavolo conviviale in ferro sagomato a doppia C. 13. Ricordi di famiglia. 14. Lo spazio di accoglienza al piano terra rifugge dai canoni degli spazi alberghieri per rifarsi a un comfortevole modello domestico.

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prima felice stagione della nostra rivista. Le scelte per l’architettura degli interni, affidata ad Alice Piubello, sono improntate a un modello lontano dagli stereotipi dell’accoglienza alberghiera: siamo per l’appunto in una Maison e non in un semplice hotel, dunque niente reception ma una semplice scrivania tra librerie free standing, armadiature a parete come contenitori, salottini e angoli relax. La zona delle colazioni è un mix tra il conviviale, l’aziendale e il collettivistico: no, non siamo in un kibbutz, ma la vita da hotel è pur sempre quella di una piccola temporanea comunità, dunque tutti sugli sgabelli vis-à-vis lungo il tavolone in lamiera di ferro a doppia C per assistere alla preparazione della continental breaksfast in forma di show cooking. Aver ridotto al minimo gli spazi di servizio nel backstage contribuisce a massimizzare le dimensioni dello

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spazio utile, cosa che il gioco di specchi a sua volta contribuisce a dilatare, riuscendoci con generosità. La ricercata palette di materiali e colori, arredi e corpi illuminanti si ritrova anche nelle camere. L’uso coraggioso del nero – il tavolo delle colazioni e il controsoffitto, i parapetti della scala, i corridoi, i soffitti in legno delle camere, parte dei rivestimenti dei bagni, i sanitari – è l’esatto contraltare del bianco delle superfici architettoniche. Al trionfo del black&white (con ghiaccio, please) si affianca la calda essenza del rovere e l’accensione cromatica dell’ottone spazzolato. Sicuramente una caratterizzazione degli spazi che distingue questo boutique hotel per ricercatezza e gusto, al di là delle classificazioni alberghiere che paiono talvolta tanto desuete come certe moquette lise e tendaggi polverosi degli alberghetti “da incubo”.

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15-16. Accostamenti materici entro la selezionata palette adottata negli spazi interni. 17-18. Una camera e un bagno, dove ritroviamo la predominanza del bianco e nero assieme ai toni caldi del rovere e dell’ottone spazzolato.

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PROGETTO

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Ospiti per due

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Di poco precedente, il progetto di Michele Irlandini per l’HoMaximilian tel Maximilian si è dovuto confrontare con differenti vincoli e disponibilità di budget, pur con il comune obiettivo di ricalibrare ex novo la disponibilità di spazi e, contestualmente, l’immagine architettonica della struttura ricettiva. Posto in una posizione di grande visibilità a monte della strada Gardesana che collega Cisano con il capoluogo, il sito risente comunque dell’inevitabile tensione “a lago”, verso il quale mira l’allungato volume in ampliamento. Leggermente disassato dal corpo principale, questo corpo di fabbrica dalla sezione elementare – camere sui lati e corridoio al centro – è in parte sollevato da terra su pilotis, cosa che ne accentua lo slancio, mentre il corpo scale di testa rivestito in lamelle di legno lo riporta alla realtà (terrestre). Concorre ad accentuare la forma allungata il lungo nastro continuo del parapetto vetrato su entrambi i prospetti, come se le camere fossero le cabine di una nave da crociera pronta a salpare. Ma il nuovo edificio, comprendente 28 ca-

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« Anche le piccole realtà ricettive sono soggette a interventi di rinnovo, ampliamento o sostituzione, complici la domanda crescente e i non trascurabili incentivi volumetrici » mere al piano terra e 16 al primo, è ben ancorato a quello preesistente, cui è collegato da uno snodo con ingresso e corpo scale-ascensore, e che è stato però completamente riconfigurato: via il tetto a falde e via gli archetti ribassati del portico, il progettista ha lavorato con materiali e figure del vocabolario progettuale utilizzato per l’ampliamento, con l’obiettivo di dare forma a un insieme unitario sia pur con i condizionamenti dovuti allo stato di fatto (volumi e strutture) del vecchio edifico). Il camouflage è perfettamente riuscito, tanto che i due corpi di fabbrica giustapposti ad L riescono a dar forma ad un parterre chiuso su due lati ma percorribile e attraversabile, mentre sono i tre grandi Pinus Pinea verso la strada a fare da quinta verde.

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19-20. Maximilian. Piante dei piani primo e terreno. 21. Lo slancio verso la strada del volume in ampliamento, svuotato nella parte bassa. 22. L’edificio esistente è stato integralmente riconfigurato in coerenza al progetto di insieme. 23. Sezione trasversale dell’ampliamento. 24. La sistemazione a verde dell’attacco a terra e del parterre tra i due edifici. 25. Posa in cantiere dei pilastri metallici. 24

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Ospiti per due

PROGETTO

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25. Le alberature esistenti inquadrano l’edificio riconfigurato e sulla destra l’ampliamento. 26. Il fabbricato prima dell’intervento. 27. La piscina costruita in aderenza al fronte posteriore. 28. La forma allungata del nuovo volume deriva dalla sequenza delle camere. 26

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maximilian hotel Progetto architettonico e direzione lavori arch. Michele Irlandini Collaboratori arch. Stefano De Rossi, geom. Elisa Reali Consulenti D.VA Studio: ing. Andrea Zanardi (strutture), ing. Emanuele Faltracco (BIM modeling), P.I. Roberto Belloni (imp. elettrici), ing. Stefano Lorenzi (imp. meccanici) Imprese Irlandini Costruzioni (contractor) Elettrotermica Dall’Ora, ZC Ambientazioni Cronologia Progetto e realizzazione: 2015-2016

Rimane una considerazione generale su questo tipo di interventi: per ottenere il massimo dei bonus volumetrici occorre garantire prestazioni energetiche degli involucri elevate (classe A): il che è certamente cosa buona e giusta, salvo che per una struttura alberghiera verosimilmente chiusa nei mesi più freddi è al limite dell’imbarazzante. Passi che ogni singola lampadina a basso consumo contribuisce a ridurre lo spreco di risorse, ma forse il salvifico Piano Casa, nato come deroga temporanea e via via ampliato sia come temporalità che come premialità, ha fatto il suo tempo e il suo spazio. Forse ci vorrebbe un Piano e Basta, anzi “il” Piano (regolatore: ma che parola antica!) per far sì che interventi di modernizzazione edilizia, dell’offerta ricettiva e non ultimo dell’architettura del luogo come i due alberghi qui presentati possano continuare ad offrire occasioni di progetto: quelle che ha saputo brillantemente cogliere Michele Irlandini.

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PROGETTO

La vertigine dello sguardo Un’ampia dimora costruita tra le pieghe del paesaggio lacustre è declinata come un esercizio progettuale attento al luogo e al modo dell’architettura

Progetto: Arteco

Testo: Damiano Capuzzo Foto: Marco Toté

Torri del Benaco

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L’incontrollabile desiderio di percorrere una scalinata per giungere al punto più alto è frutto dell’innata volontà, fin da bambini, di scoprire tutto quanto vada oltre le conoscenze acquisite. Il percorso di crescita induce però la conquista di un raziocinio che sovente limita la capacità di lasciarci coinvolgere dalla bellezza delle cose, perdendo quella naturale voglia di ambire a nuovi orizzonti. La figura dell’architetto può assumere il ruolo di abile traghettatore lungo un percorso di scoperta potenzialmente rivelatore di qualcosa di sorprendente, non tanto in quelle caratteristiche tecnico-funzionali che le regole del buon costruire e le tecnologie odierne dovrebbero garantire, ma certamente nelle qualità emozionali di un progetto, capaci di restituire il privilegio e l’orgoglio per un luogo, una veduta e per tutti gli elementi che

« Chi tende continuamente “verso l’alto” deve aspettarsi prima o poi d’essere colto dalla vertigine (M. Kundera) » concorrono a sentirsi partecipi di una suggestione armoniosa o dinamica. Ecco dunque descritto il primo obiettivo che la casa presentata in queste pagine riesce a centrare. Facciamo un passo indietro. Siamo a Torri del Benaco, e poco prima dell’abitato ci avventuriamo per una stretta stradina sterrata che sale lungo il rigoglioso e ripido pendio. Il lago non si vede; è l’attesa più bella. Improvvisamente, uno scorcio della

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01. La villa vista all’imbrunire dall’area della piscina con l’abitato di Torri sullo sfondo. 02. Planimetria generale. 03. Il livello inferiore dell’edificio è riservato a residenza per ospiti.

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casa; è sfuggente, ma ne riconosciamo le linee protese verso l’orizzonte, e mentre raggiungiamo l’ingresso a valle dell’abitazione, ecco la vertigine: è la tensione del ripido fronte collinare e quindi del lago, ma anche dell’abitato di Torri poco a nord, mentre l’intera costa ovest ci appare drammaticamente vicina. La casa è disposta su questo pendio impervio, e la scelta di scoprirla dal basso, oltre ad accrescere l’aspettativa gradino dopo gradino, rivela un esercizio progettuale non facile. Quando la proprietaria scende ad accoglierci con la palese volontà di accompagnarci lungo i gradini (non soltanto metaforici) di quella scala fino alla cima, si manifesta la convinzione che quanto incontreremo lungo il percorso saprà incantarci. Dal livello inferiore è difficile individuare i quattro piani che definiscono la sezione, il cui impatto viene minimizzato in primo luogo inglobando l’accesso al piano interrato entro il preesistente muro di contenimento in pietra, e poi attraverso una composizione dinamica, dove le linee che

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La vertigine dello sguardo

PROGETTO

04. Pianta del livello destinato all’abitazione principale e di quello sovrastante con lo studio. 05. Veduta dalla piscina a sfioro verso il lago. 06. Il volume contenente lo studio all’ultimo livello superiore.

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definiscono il perimetro dei diversi livelli, si piegano e si allungano in maniera quasi autonoma, smaterializzando un volume non irrisorio. L’idea alla base del progetto lavora su ripetute sovrapposizioni tra l’allineamento principale del sedime di costruzione –­ basato su un edificio preesistente demolito e ricostruito con tutti i bonus del Piano Casa – e l’andamento del confine di valle, assestato lungo la strada pertinenziale con murature in sasso. È il preludio ad una composizione a carattere orizzontale, la quale enfatizza l’indipendenza dei singoli livelli attraverso il ricorso alle linee sfuggenti dei solai che fuoriescono dai volumi costruiti come pensiline ombreggianti, definendo una complessità che nel riverberarsi dei diversi allineamenti, rende fluido il dialogo con l’ardua topografia torresana.

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07. Sezione trasversale: il livello più basso, sfalsato rispetto a quelli superiori, ospita il garage. 08. Le ombre ritagliate dalla passerella che conduce dall’accesso a monte all’abitazione.

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Nel descrivere quest’edificio, ancor più che lo studio delle piante è l’osservazione in loco a rivelare come l’approccio al disegno sia rivolto ad un’attenta analisi percettiva di ogni singola parte, tessuta con forte segno architettonico ma capace di declinare il medesimo tema di relazione mediante plurime specificità rivolte ai repentini mutamenti di orografia, di visuale e di irraggiamento. Potremmo definirla un’architettura “di modo”, diciamo assunta dall’esperienza dello studio Arteco (la quale gioca un ruolo importante), che pare averne risolto i nodi non tanto in riferimento al disegno, quanto alla vera percezione di quei singoli scorci la cui vista è resa obbligata dalla conformazione del terreno circostante; è così che le porzioni ora visibili e subito celate, amplificano la tensione degli sbalzi che caratterizzano il prospetto, ancor più

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quando la pendenza del terreno, che si impenna di fronte a noi, impedisce di cogliere i punti focali di quelle linee sospese, rendendole evanescenti. La sezione rende chiaro l’intento di assecondare la morfologia del terreno con un’operazione di slittamento

« L’esperienza dello studio emerge maggiormente dal grande impegno richiesto per giungere a dettagli minimali ma di elevata prestazione » dei singoli piani verso monte, ad eccezione dell’ultimo, il più piccolo ed esclusivo. Ma ripartiamo dal basso. Raggiungendo il piano primo attraverso una scala in pietra bianca locale nascosta

tra i colori della rigogliosa vegetazione, ritroviamo la muratura in pietra a spacco, massivo elemento della casa, sopra cui poggia una struttura leggera in legno a vista. L’interno del basamento svela un appartamento per gli ospiti, dove ad ogni stanza (bagni compresi) è riservato uno scorcio all’esterno, ora sul lago, ora sullo stretto giardino prospiciente che concede pochi passi sull’erba prima che il pendio naturale arrivi a reclamarne il bordo. Saliamo ancora, mentre la scala si addentra nel basamento rivelando una prima porta di accesso al piano, e una seconda che conduce al cuore tecnologico interrato. L’ampio spazio al quale ci eravamo abituati, si comprime tra i due muri in intonaco di sabbia color ocra che avvolgono i gradini, ma l’impatto è fortissimo quando sbuchiamo al livello del piano principale:

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PROGETTO

La vertigine dello sguardo

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Committente Privato Progetto architettonico Arteco Architecture Engineering Consulting arch. Maurizio Zerbato arch. Luciano Cenna arch. Luigi Calcagni arch. Antonella Milani direzione lavori arch. Maurizio Zerbato consulenti arch. Antonella Milani (sicurezza) ing. Massimo Comencini (strutture) ing. Alessandro Bacciconi (impianti) arch. Cristina Signorini (grafica)

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il lago alle spalle, la casa alla nostra sinistra e la piscina ai nostri piedi. Voltandoci, interpretiamo come attori un preciso copione, e mentre la luce di metà mattina irradia i profili ad ovest, restiamo in contemplazione di qualcosa che in quel momento appartiene anche a noi: vertigine. La percezione si rivela qui più calma, e quel gioco di linee svettanti che scenograficamente enfatizzava la visione dal basso, appartiene ora ad un disegno chiaro: un rigoroso modo di proiettarsi in avanti, verso l’intero panorama del lago. La bipartizione del prospetto, solo percepita precedentemente, rivela una casa la cui parte superiore, interamente rivestita in legno di Jatobà del Brasile e ritmata dalla presenza delle grandi aperture vetrate, poggia su un basamento in pietra che funge da autentico supporto. La struttura è anch’essa in legno portante, con l’aggiunta di pilastri collaboranti in acciaio, esterni alla facciata e di poco staccati, che fungono da ancoraggio sia per i solai che per le pensiline a sbalzo.

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Nei dettagli, la casa è un concerto ben diretto (e disegnato), dove le variazioni e gli accostamenti scorrono fluidi; i cambi di trama nelle pavimentazioni, gli allineamenti tra il rivestimento delle pareti e le imbotti in alluminio dei serramenti sono precisi. I parapetti in acciaio divengono un tutt’uno con i canali incassati per lo scolo dell’acqua che, essendo inglobati nel massetto, permettono di realizzare un nodo di estrema pulizia formale. L’esperienza dello studio Arteco, qui condotta dall’architetto Maurizio Zerbato, emerge maggiormente da ciò che non si vede: consapevoli del grande impegno richiesto per giungere a dettagli minimali ma di elevata prestazione. Giochiamo qualche secondo con l’inganno prospettico di una piscina che, combaciante con il bordo estremo della pavimentazione sul salto di quota, sembra fondere la propria acqua con quella del lago. Poi, sfilando il grande scorrevole vetrato, entriamo in casa. È istintiva una riflessione sulla fortuna di progettare in ambienti di pregio

imprese e fornitori Forcellini (impianti elettrici) Guardini (impianti meccanici) Ceramiche Benedetti (pavimenti e rivestimenti) Gianni Albasini Perbellini Arredamenti Cronologia Progetto e Realizzazione: 2013-2016 dati dimensionali Superficie lotto mq 1.490 Superficie utile mq 530

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09. L’ampia prospettiva godibile dal livello più alto in corrispondenza dello studio. 10. Disegno del fronte a lago: in basso il preesistente muro di sostegno in pietra. 11. Veduta attraverso la scala interna sul taglio vetrato in direzione della piscina.

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PROGETTO

La vertigine dello sguardo

12. L’andamento a risega dei balconi deriva dalla sovrapposizione delle maglie insediative sulle quali è impostato il progetto. 13-15. Le vedute notturne evidenziano gli ambienti interni attraverso le grandi vetrate del fronte a lago. 16. Particolare della pensilinafrangisole che indirizza lo sguardo verso la piscina.

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ma dalle caratteristiche morfologiche complesse, la quale nasconde sovente l’insidia di una spasmodica cura delle proporzioni esterne e del migliore inserimento paesaggistico, rischiando di declassare lo studio della dimensionalità interna come strettamente riferita alla proporzione dell’uomo. Essenziale quindi notare come, in questo edificio, il rapporto con il lago sia la vera costante del progetto, soprattutto dall’interno; il racconto dell’architetto Zerbato rafforza l’idea che niente sia lasciato al caso in un’abitazione che trova la sua essenza proprio nella percezione dell’esterno dall’interno. Il fondo del salone è delimitato da una libreria free standing che nasconde la scala di collegamento dei tre livelli principali; la piacevole sorpresa è che le pedate, appoggiate ad una leggerissima struttura autoportante in

acciaio, sono semplici lastre di vetro extra chiaro (nel caso la vertigine fosse passata…). La scala conduce all’ultimo livello, un piccolo studio in una sorta di torretta moderna, con arredi semplici, un pavimento caldo in legno di teak e grandi porzioni di paesaggio incorniciate dai serramenti in alluminio con lamelle orientabili a completa scomparsa, in grado di personalizzare l’intensità della luce naturale fino al black-out totale. Anche a questo livello, esternamente esiste sempre uno spazio di terrazza, di ballatoio o di giardino, ed è divertente percorrerne brevi tratti e subito voltarsi a coglierne l’esatta forma. Scopriamo qui un secondo ingresso pedonale a monte, nascosto tra la vegetazione e un piccolo orto di erbe officinali organizzato in piccole vasche di cemento, collegato alla terrazza dello studio da una passerella con struttura metallica.

Una casa fatta di episodi; impossibile infatti coglierla nell’interezza a causa della conformazione del terreno, ma è un po’ come camminare su un sentiero di montagna, ora esposti, ora al riparo, nell’attesa che il paesaggio si schiuda al prossimo sguardo concedendosi a quel ritmo che rende briosa l’intera composizione. Una casa da percorrere, i cui angoli migliori vanno ricercati, desiderati ed accuratamente scelti tra le sfumature che ognuno offre, nel tentativo ben riuscito di riproporre di volta in volta una nuova e diversa relazione con il paesaggio.

ARTECO Luigi Calcagni, Luciano Cenna, Antonella Milani e Maurizio Zerbato sono i soci di Arteco Architecture Engineering Consulting, studio che prosegue l’attività progettuale avviata nel 1957 (cfr. «AV» 111, p. 79) L’elenco dei lavori e delle opere realizzate pone di fronte a una ricerca progettuale incessante su temi che vanno dalla residenza al restauro, dalla sanità agli spazi pubblici, dal direzionale agli spazi per lo sport e la cultura. www.arteco-architetti.it

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PROGETTO

Libertà controllata Il controllo dei volumi per ridurre l’impatto esterno, il controllo delle vedute verso il lago e la massima libertà espressiva negli spazi interni: questi gli ingredienti di progetto per una villa lacustre Progetto: arch. Albino Finotti, arch. Francesca Bagnani Testo: Giulia Bernini

Foto: Mario Bertani (notturne), Giulia Bernini (interni)

Torri del Benaco

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Sull’area interessata dal progetto qui presentato, posta a metà strada tra Torri del Benaco e San Zeno di Montagna, sorgeva già una casa unifamiliare, demolita per far posto alla nuova architettura. L’occasione: la palese obsolescenza dell’edificio, la necessità di una nuova struttura che fosse adeguata agli odierni standard strutturali e tecnologici, e non ultimo la possibilità di un generoso ampliamento grazie al salvifico bonus volumetrico del Piano Casa. Puntando al massimo incremento possibile (+70% rispetto alla casa preesistente), è stata perseguita una strategia progettuale caratterizzata da alte prestazioni energetiche: a fronte di un significativo impegno economico, il risultato ottenuto è stato quello di un edificio quasi completamente autosufficiente. Non solo pannelli solari e fotovoltaici integrati nella copertura, ma anche vetri bassoemissivi che consentono di filtrare l’irraggiamento, evitando il surriscaldamento degli ambienti interni

01. Il fronte a lago della villa con le vetrate completamente apribili. 02. Dei due volumi, quello col tetto piano è in parte rivestito in pietra locale. 03. La scala dell’accesso con la lama controterra e le alzate in corten. 04. Il “cannocchiale” sul lago visibile scendendo all’ingresso dell’abitazione. 02

« Obiettivo principe dell’intervento è di valorizzare la vista panoramica sfruttando la pendenza del terreno e al contempo garantire il massimo della privacy » nella stagione calda. I vetri sono coadiuvati in questo compito di regolazione termica da un sistema motorizzato di tende esterne poste lungo tutto il fronte prospiciente il lago e integrato nella gronda. L’aumento volumetrico ha inciso notevolmente sull’assetto insediativo: l’altezza di colmo è stata abbassata di circa due metri rispetto all’edificio preesistente, e il sedime è stato fatto scivolare di dieci metri verso valle per ridurne l’impatto visivo dalla strada, creando lo spazio per inserire delle schermature vegetali. Il terreno roccioso è stato in parte scavato per accogliere la nuova struttura: il materiale di risulta dagli scavi è stato utilizzato per le pavimentazioni esterne e la sistemazione del giardino, in consonanza con il rivestimento di parte delle facciate in pietra locale ad opus incertum, alternato all’intonaco di colore grigio scuro.

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Viene così raggiunto l’obiettivo principe dell’intervento, quello di valorizzare la vista panoramica sfruttando la pendenza del terreno e al contempo garantire il massimo della privacy. Dall’ingresso alla proprietà lungo la strada di accesso a monte, infatti, non si scorge nemmeno la presenza dell’abitazione, visibile solo dal fronte a lago. I committenti, una coppia di coniugi tedeschi, desideravano una casa in cui regnasse la tranquillità, che fosse vivibile e al tempo stesso dotata degli spazi necessari a mettere in pratica la loro convivialità. La morfologia dell’edificio è articolata in due distinti volumi di pianta irregolare leggermente

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PROGETTO

Libertà controllata

05-06. Pianta del piano primo e del piano terreno. 07. La linea tesa della falda del tetto di uno dei due volumi segue l’andamento del terreno. 08. Particolare della balconata in corrispondenza dello stacco tra i due volumi. 09. Il fronte a lago visto dal basso al livello della piscina. 10. La sezione trasversale evidenzia i due distinti volumi.

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web site:www.studioÞnotti.net

Studio di Architettura e Progettazione d'interni

F i n o t t i

A r c h i t e tt o

A l b i n o

Via Navasa, 13 - 37138 Verona tel./fax. 045/6000275 e-mail: Þnotti.albino@studioÞnotti.net

PIANTA PIANO TERRA - scala 1:100

sfalsati tra di loro, l’uno con una copertura piana e l’altro sul quale è posata un’unica grande falda. La presenza di pilastri doppi inclinati, l’assenza di angoli retti e il ricorso a forme non convenzionali sono invece il timbro dello studio di progettazione, che ha però comportato delle criticità statiche – ci troviamo in zona sismica 2 - risolte tramite l’utilizzo di una struttura portante in acciaio con setti in cemento armato. Tra i due volumi, al livello superiore rimane un cannocchiale ottico aperto verso il lago, visibile dalla scala dell’accesso pedonale prima di scendere all’ingresso posto al livello inferiore. Questo percorso dall’andamento spezzato è realizzato con una lama controterra e le alzate in corten con le pedate riempite di ghiaia, ed è parte di un minuzioso disegno degli spazi esterni che si è spinto fino alla scelta delle varietà arbustive e floreali prediligendo quelle a fioritura viola, il colore preferito della committente. Varcato l’ingresso, è possibile cogliere la scomposizione dei due volumi posti a quote diverse in aderenza dell’andamento del terreno roccioso sottostante; la scala in cemento armato, unico elemento di collegamento, è totalmente rivestita in resina bianca a manifestare la sua singolarità. Lo sguardo è però subito catturata dalla vista verso l’esterno: le ampie vetrate hanno infissi completamente occultati a pavimento e a soffitto, e una vol-

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ta aperte gli angoli si dissolvono grazie all’assenza Committente di montanti. La continuità tra interno ed esterno è Privato accentuata dalla continuità della pavimentazione in resina cementizia estesa alla zona pranzo esterna, la Progetto architettonico quale è riparata dal vento da un’ala sporgente dele direzione lavori la muratura perimetrale dell’edificio, ed è affacciata arch. Albino Finotti sulla piscina a sfioro posta a una quota inferiore del arch. Francesca Bagnani terreno. Negli spazi interni l’impatto cromatico è predomiCollaboratori nante: un viola vivo e fortemente caratterizzante riCaroline Strazzabosco veste il soffitto di tutti gli ambienti, risaltando di (interior design) volta in volta nelle diverse sfaccettature che assume ing. Giorgio Lavezzari (strutture) a seconda dei diversi accostamenti caratterizzanti Progetto Energia: ing. Luigi Dall’Agnola, P.I. Luca Lonardi i rivestimenti delle pareti. Questi infatti si diffe(termotecnica), geom. Alessandro renziano sia dal punto di vista materico – carte da Chincarini (sicurezza), dott. parati, pitture biocomAnnapaola Gradizzi (geologia) patibili, resine colorate e pellicole viniliche Imprese e fornitori idrorepellenti nei bagni Costruzioni Bellè – sia dal punto di vista Lovato (strutture in legno), Sider cromatico, ma sempre Color Veneta (strutture in ferro), contraddistinguendosi Dal Bosco (serramenti), Officine per le sgargianti cromie. Sant’Andrea (resine), Tecnovetro Gli arredi e gli apparec(parapetti in vetro), Edisal Floor (rivestimenti murali), Sime Vignuda chi illuminanti di de(corpi illuminanti) sign sono scelti a loro volta con particolare cura, risultando ancoCronologia ra una volta un effettoF i n o Progetto t t i A r c hei realizzazione: t e t t o A l b i n 2014-2016 o di stupore per la libertà negli A-A accostamenti. SEZIONE - scala 1:100

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Libertà controllata

PROGETTO

11. Una veduta del cantiere mette in evidenza la struttura mista acciaio-ca. 12. Sezione di dettaglio in corrispondenza del balcone. 13. Invidiabile vista lago dalla camera. 14-15. Due immagini della zona giorno al piano inferiore.

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A l b i n o

DETTAGLIO SERRAMENTO 9 - scala 1:20 TETTO PIANO - Lamiera aggraffata preverniciata - Telo 3d - Tavolato grezzo - Moraletto di ventilazione (10x8 cm) - Telo microforato permastrong Klober - Listelli incrociati con interposti pannelli di isolamento in Þbra di vetro tot. 20cm - Telo Klober T3 - Trave legno lamellare 12xh28cm - Rivestimento cartongesso 1,5cm

ARCARECCIO PER APPOGGIO LAMIERA 10X12 (FISSATO CON ANGOLARI) METOPE DI CHIUSURA 8X25,8

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AGGANCIO DEL SERRAMENTO TRAMITE SALDATURA (voce ...)

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SCOSSALINA RAME 8/10 (voce 9.1)

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TRAVE LEGNO LAMELLARE 20Xh28cm

TRAVETTI 12Xh25,8cm

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PANNELLO FIBROCEMENTO TRAVE ACCIAIO HEB260 PILASTRO INTERNO HEB180

CAMERA PADRONALE

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SOLAIO PIANO PRIMO (54 cm) - Pavimentazione in resina - Massetto 4cm - Pavim riscaldato 6cm - Fonostop 1cm - Alleggerito impianti 10cm - cappa (con rete) 6cm - Assito 2cm - Travetti in legno lamellare 12xh20cm - Rivestimento cartongesso 1,5cm

PILASTRO TUBO 120X120X10 SOLAIO BALCONE

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- Pavimentazione in resina - Massetto e rivestimento in resina 6cm - Lamiera grecata+ getto cls 13cm 100 PENDENZA 1%

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PANNELLO ISOLANTE XPS 5CM (voce 4.12)

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PANNELLO IN FIBROCEMENTO 24,10°

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TRAVE TUBOLARE 25X25cm

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CUCINA

0,00 di cantiere

SOLAIO TERRAZZA (43cm)

- Pavimentazione in resina - Massetto 4cm - Pavim riscaldato 6cm - Alleggerito impianti 7cm - cls (con rete) 5cm - Isolante XPS 6cm - cls 10cm

- Pavimento in resina - Guaina - Termobase 6cm - Guaina - cls 6cm - solaio predalles 4+16+5cm

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I progettisti hanno dedicato allo studio dell’illuminazione una particolare attenzione, necessaria in parallelo alla scelta dei toni scuri delle varie tinte. Negli interni i punti luce, così come i sistemi di climatizzazione, sono mascherati nelle nicchie in cartongesso tra le travi: ne risultano dei tagli a soffitto che creano dei motivi geometrici. All’esterno la disposizione dei punti luce ha un valore sia funzionale che estetico, sottolineando le forme decise di quest’architettura. Tutti gli apparati impiantistici, sia luminosi che termoigrometrici – ogni singolo ambiente è dotato di un sistema di ricambio dell’aria – sono regolabili in remoto tramite un sistema domotico, che ne permette il costante controllo riducendo così al minimo i consumi energetici. Il risultato è un’opera di sartoria, elaborato e seguito in ogni piccola cucitura con un notevole impegno da parte dei progettisti, ai quali sono indubbiamente valsi tutti gli azzardi e i contrasti messi in opera.

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SOLAIO TERRA (38cm)

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albino finotti francesca bagnani

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Albino Finotti (Verona, 1964) si laurea in Architettura allo IUAV con una tesi sulle costruzioni in legno; dal 1999 svolge la libera professione occupandosi di ristrutturazioni edilizie e nuove costruzioni. Francesca Bagnani (Verona, 1989) si laurea in Architettura Civile al Politecnico di Milano con una tesi in Restauro Architettonico e Museografia. Dal 2014 lavorano insieme occupandosi di ristrutturazioni e nuove costruzioni in ambito residenziale, direzionale e commerciale e di progettazione di interni.

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www.studiofinotti.net

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16. L’interno del bagno padronale. 17. L’ora del tramonto esalta la veduta sul paesaggio lacustre in funzione della quale sono organizzati gli spazi della villa. 18. La cucina a vista con la finestra a nastro che riflette il panorama sul piano di lavoro. 15

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SAGGIO

Il triangolo s(n)i Congetture pitagoriche a partire da una recente architettura “ferro da stiro� veronese tra antecedenti locali e illustri modelli di riferimento

Testo: TomĂ s Bonazzo

Foto: Michele Mascalzoni

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La tradizione religiosa egizia era solita nel progettare una culla per i morti, la necropoli, verso occidente. Un’ermeneusi posticcia legge nell’intenzione progettuale l’ennesima dritta ignorata di Cassandra: la decadenza e la caduta dell’ultimo grande impero occidentale, il motivo per cui geniali e integriti e individualisti architetti, quali Howard Roark (The Fointainhead) sono e resteranno incompresi; per Edward Gibbon l’impero si sgretolò a causa del cristianesimo, per Ayn Rand a causa del collettivismo – ovvero: “se non è zuppa, è pan bagnato”. Oltre l’allegoria pretestuosa, tutti gli architetti si dovrebbero inchinare agli egizi, in rispetto quasi preternaturale, poiché consegnatari di un antico scritto, al secolo noto come il papiro di Rhind, dal nome di un giovane, purtroppo avvocato, che lo acquistò nel 1858 al mercato di Luxor. In esso, per

morì Gesù detto Cristo, ma Alessandro, detto Magno, che, a differenza del primo, non designò alcun successore. Nel marasma politico fu assegnato il governo dell’Egitto ad un satrapo, Tolomeo, il quale per sua velleità edificò il celebre Museo di Alessandria con biblioteca annessa. Similemente, o forse ancor più celebre, fu un matematico che vi lavorò, Euclide, a cui si connette il paradigmatico Elementi, costantemente edito e tradotto in lingue diverse, pur’anche da Abelardo, tra una poesia d’amore e le paturnie che ne derivarono. Agli Elementi appartiene la definizione di triangolo, “la figura rettilinea contenuta da tre rette”, assieme ad altre ricchezze capitali delle astrazioni umane, come il misconosciuto teorema di Pitagora di cui Elisha Loomis ne raccolse ben 370 dimostrazioni nel suo La proposizione pitagorica! 1

« In un curioso caso di isometria col Flatiron Building di Daniel Burnham, seppur ammezzato, riscoviamo invece un “ferro da stiro” tipico e topico veronese » sbrogliare problemi di agrimensura, si espongono diverse formule geometriche di cui una, al numero 51, è proprio quell’oscuro oggetto del desiderio. Il triangolo è il divo di una siffatta saga millenaria (dal greco τρία, cioè “tre” e γωνία, ovvero “angolo”), di cui ne viene calcolata l’area per un caso particolare, quello isoscele (con “gambe uguali”), cioè come il prodotto tra la base e l’altezza del rettangolo in cui è iscritto, poi diviso per due. Tanti quanti i trentini che trottano verso Trento, a trentatré anni non

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01. Il nuovo Hotel Ark aperto a dicembre 2017 sulle ceneri del vecchio Albergo Lux a ridosso della cinta magistrale tra Porta Nuova e Porta Palio. Progetto: ing. Paolo Ragno. 02. L’edificio di piazza Cittadella costruito come sede della FRO (Fabbriche Riunite Ossigeno). Progetto: arch. Francesco Banterle, 1935-37. 03. L’edificio sede dell’Agenzia delle Entrate “Verona 2” in via delle Coste a Verona. Progetto: Anonimo Postmoderno, anni ‘80.

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SAGGIO

04. L’edificio realizzato negli anni ‘50 dall’ing. Italo Avanzini su piazza Cittadella replica l’angolo stondato della ex FRO. 05. Il “naso” della ex FRO. 06. Effetto cuneo dell’Hotel Ark sulla circonvallazione. 07. Il fronte laterale con l’ordine gigante di facciate a specchio dell’Agenzia delle Entrate. 08-10. I tre esempi – ex FRO, Hotel Ark, Agenzia Entrate – in una rappresentazione assonometrica che evidenzia la forma triangolare (disegni di T. Bonazzo). 04

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1 Wells D., Personaggi e paradossi della matematica, Mondadori, 2002. 2 Tafuri M., Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, 1982. 3 Brugnoli P. (a cura di), Urbanistica a Verona 1880-1960, Ordine degli Architetti della Provincia di Verona, 1996.

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4 Attribuito a J. Otis, politico statunitense (1725-1783). Fu il motto della Rivoluzione Americana. 5 Il riferimento è alla pellicola del 1958 Vertigo (in Italia La donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock con James Stewart e Kim Novak.

E in architettura? Come il triangolo si rivelò agli architetti dopo l’abusata triade hegeliana? Evitando un travisamento nella procedura, si precisa che la geometria indagata non è in assoluto né temporale, ma esclusivamente planimetrica; ciò esclude esempi iconici come “l’espressionismo tardivo”2 del Triangolo pistoiese, partorito “con dolore” dal trittico Savioli, Santi e Saraceni, perché elaborato su pianta rettangolare, com’anche le mitiche piramidi egizie, perché ancora su base quadrata. In un curioso caso di isometria col Flatiron Building di Daniel Burnham, seppur ammezzato, riscoviamo invece un “ferro da stiro” tipico e topico veronese; non in appendice tra la 5th Avenue e Broadway di Manhattan ma tra un vicolo, un chiasso e una piazza ormai non più Cittadella. In tempi non sospetti infatti ella era uno dei fuochi

della “Fiera di Marzo”, con un padiglione del Fagioli sì a “ferro di cavallo” (1924), ma espositore per le trinità moderne: gli auto-moto-cicli. Dopo alcune lagne sulla scarsità del verde che cucinarono disegni a losanga o a lasagna (arch. Rossi De Paoli), si riservò un isolato a triangolo rettangolo attorno alla stessa, “un segmento del progetto di rettificazione della piazza”, per innalzare la sede delle Fabbriche Riunite Ossigeno 3. Il cantiere si consumò in un biennio, tra il 1935 e il 1937, tra icnografie varie e le attenzioni di un architetto iscritto all’ordine, casualmente, col n. 3: Francesco Banterle. Ancor più casualmente è l’indirizzo di rappresentanza: è ora il civico 6 nel prospetto su vicolo Volto Cittadella e il n. 9 in quello rivolto sulla piazza. Grazie ai “trucchi dietro l’angolo” o, meglio, sugli angoli, due vertici del triangolo variano di genere, addolcendosi in curve, una concava e una convessa, mentre un secondo triangolo, minorato nelle proporzioni, appoggia l’ipotenusa sulla sorella maggiore partorendo un vuoto, una chiostrina libera su un lato dal primo sino all’ultimo piano. Insinuando una falsa-cronaca in ricordo dello screzio baroccheggiante attorno la fontana dei quattro fiumi di Roma, l’oggetto di Banterle mira volutamente contro il vertice stondato di un suo pari, un condominio dirimpettaio del progettista Italo Avanzini (anni ‘50), accresciuto nei livelli e dirozzato da balconcini arcuati. Una seconda variazione, purtroppo mai di Bach, ma sul medesimo tema, è un catecumeno alberghiero in prossimità della stazione ferroviaria, l’Ark Hotel; cuspide tra il canale voluto dal sindaco Camuzzoni e il viale in onore del partigiano Dal Cero che si consacra ad asse di simmetria per un’al-

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tra cuspide, patrimonialmente di tutti, cioè dell’UNESCO, il bastione di Santo Spirito. Dopo una peripezia decenne, 25° libro dell’Odissea, i suoi freddi e taglienti prospetti, prosecuo minuzioso di una base a rigore quasi isoscele, s’inzuppano di lastre di pietra di Prun al punto che in Lessinia si paventa una località balneare. Nella prua del volume, una colonna impietrita e per nulla traianea, ospita una scala coclide in emergenza e s’impernia sollevando parte del piano terra sulle orme dei “cinque punti” ma con uno sconto astronomico per numero di pilotis. Un fratello adottivo dell’Ark è la succursale per i “funzionari di Dio” (Romani, 13), che affonda la sua estetica liberatoria sul margine invalicabile del tracciato rotaio; poiché ogni “tassazione senza rappresentanza è tirannia” 4, l’illiberale Agenzia delle Entrate di via Enrico Fermi si autolegittima con un prisma triangolare imperfetto, un fetta di torta beccolata sull’angolo alla base. Quello al vertice, invece, con miscellaneo proposito, impalma un colonnato esastilo con vetrate specchianti, protégé per le teorie postmoderne e in coda ai trionfi

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di C. Moore; l’architetto, non l’atleta. Tale laconica e incompiuta rassegna architetturofila, che non arrischia, né rischia, la vertigine della lista propria di Eco, né quella impropria di Hitchcock 5, nacque dalla speranza di rinfiorare l’iscrizione apposta all’entrata dell’accademia platonica: Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω (“non entri chi non conosce la geometria”). Emarginati altri fondamentali poligoni, si è intentata allora un’umile ma capitolare beatificazione del triangolo che, in generale, ma innanzitutto in architettura, sì dimostra null’altro che un atto di fede; infatti, tra l’Idea di triangolo e una sua concretizzazione, in mezzo c’è un oceano. O un architetto.

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La storia e i luoghi

L’edizione 2018 della rassegna Mantovarchitettura ha fatto tappa nuovamente a Verona con la presenza di Eduardo Souto de Moura, Guido Canali e Elias Torres a Castelvecchio Testo: Federica Guerra

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01. Ritratto di Eduardo Souto de Moura nel cortile di Castelvecchio (foto di Alberto Scorsin). 02-03. Due momenti della conferenza di Souto de Moura. 04. Foto di gruppo con l’ospite portoghese al centro, con Francesca Rossi, Alba Di Lieto, Francesca Briani, Nicola Brunelli, Filippo Bricolo.

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ome oramai tradizione, anche quest’anno la rassegna Mantovarchitettura ha scelto di de-localizzare alcuni appuntamenti fuori sede rispetto al già decentrato Polo territoriale del Politecnico di Milano, grazie al collaudato rapporto con il nostro Ordine e con i Musei Civici. E non è un caso che le tappe veronesi del Festival si siano svolte nella prestigiosa sede della Sala Boggian a Castelvecchio, perché questo era il tema che i tre relatori – Eduardo Souto de Moura, Guido Canali e Elias Torres – erano stati invitati a trattare: il progetto di architettura nel suo rapporto con la storia degli edifici e dei luoghi, quasi che contenuto (delle relazioni) e contenitore (del numerosissimo pubblico che vi ha assistito) potessero in qualche modo tributare un

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« Souto de Moura, Canali, Torres: tre testimoni del progetto di architettura nel suo rapporto con la storia degli edifici e dei luoghi » 03

omaggio rispettoso e sentito dei relatori al Maestro Carlo Scarpa. Ha aperto la rassegna il 12 maggio l’architetto portoghese Eduardo Souto de Moura, ancora inconsapevole vincitore, di lì a qualche giorno, del Leone d’Oro alla Biennale di Architettura 2018 ma già Pritzker Prize nel 2011, fra i più corteggiati e ammirati architetti contemporanei. Introdotto da Filippo Bricolo, Souto de Moura ci ha parlato della capacità che l’architetto deve coltivare di ascoltare le “domande” che l’edificio

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storico pone e di saper dare ogni volta una risposta pertinente al contesto, fuori da teorie del restauro preconfezionate, sempre attinente al rapporto che l’edificio ha instaurato, nella storia, col proprio territorio. Rinnegando quindi gli atteggiamenti autoreferenziali da archistar dei suoi colleghi contemporanei, ha presentato una serie di interventi in cui la mano ferma del progettista ha saputo reinterpretare la storia degli edifici senza esasperare l’intenzionalità del gesto progettuale (chiosando con simpatica ironia

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“…l’inferno è pieno di buone intenzioni…”), compiendo anche gesti apparentemente arbitrari, come la ricostruzione di alcune parti di edifici, ma sempre nella logica di restituire all’edificio una nuova possibilità di vita, un nuovo inizio che si inserisca nello scorrere della storia e nell’evoluzione della società. Dal progetto per la Ruina de Geres (1979), esordio della sua poetica di rispettoso approccio alle testimonianze, passando, in ordine sparso, per il restauro del Monastero di Santa Maria do Bouro ad Amares

(1989/1997), per il progetto, in collaborazione con Alvaro Siza, del Complesso museale a Santo Tirso (2012), per il recupero dell’Alfandega Nova a Porto (1993/2002), per il grandioso intervento sul Monastero des Bernardas a Tavira (2006/2008), fino alla paradossale vicenda del restauro del Mercado de Carandà a Braga, realizzato dallo stesso Souto de Moura nel 1980-84 e poi da lui ri-progettato tra il 1997 e il 2001, tutto il suo racconto ci ha restituito la cifra di un’architettura attenta al contesto, ma fondata nella funzione e

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mantovarchitettura 2018 Politecnico di Milano Polo territoriale di Mantova in collaborazione con Ordine Architetti P.P.C. di Verona Comune di Verona Musei d’Arte e Monumenti

M A N T O VA R C H I T E T T U R A 12 maggio eduardo souto de moura 19 maggio guido canali 26 maggio elias torres Video interviste a cura di: Nicola Brunelli, Alberto Scorsin video http://www.architettiveronaweb.it/ category/video-architettura-verona/

05. Guido Canali assieme a Filippo Bricolo visitando la galleria delle sculture di Castevecchio (foto di Mattia Conato). 06. Carlo Scarpa ritratto da Ugo Mulas mentre osserva la statua di Santa Cecilia, e Guido Canali nella medesima posizione.

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nella contemporaneità. Ed è questo il filo rosso che, attraversando le relazioni dei protagonisti di Mantovarchitettura, passa il testimone a Guido Canali: come ben precisato dall’introduzione di Marco Borsotti, anche Canali instaura con l’esistente un paziente dialogo alla scoperta delle stratificazioni che, nel suo caso, non possono prescindere dal rapporto contenitore-contenuto, elemento forse debole nel racconto di Souto de Moura. Ma quello che ha più del racconto di Canali, 2 0incantato 18 al di là della raffinatezza dei suoi interventi, è l’atteggiamento di estrema “modestia” (una parola che è stata più volte ripetuta dallo stesso progettista) con cui si è saputo avvicinare agli innumerevoli edifici storici oggetto di interventi sempre molto complessi, come il Museo della Pilotta a Parma, il complesso museale di Santa Maria della Scala a Siena, il Museo del Duomo a Milano, il Museo delle Statue Stele nel Castello del Piagnaro a Pontremoli. Un atteggiamento di modestia che si esemplifica nell’attenta scoperta dell’edificio, portata avanti con grande accuratezza e rispetto e, contemporaneamente, nel grande ‘mestiere’ dimostrato nel plasmare la materia, per restituire quella sensazione di meraviglia che forse lo stesso Canali ha provato nello svelare gli edifici oggetto dei propri progetti. Perché insieme a “modestia” l’altro termine ricorrente nell’esposizione di Canali è stato proprio “emozione”: i restauri e gli allestimenti di Canali toccano sempre le corde profonde delle emozioni del visitatore, in un crescendo teatrale di “drammatizzazione” dell’esperienza di visita, un susseguirsi di colpi di

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teatro cui Canali espressamente mira. Questo “rigore emozionante”, come l’ha definito Borsotti, non può prescindere dalla rigida impostazione dei percorsi di visita, perché solo così “…si possono dosare le sorprese, dilatare o contrarre lo spazio, insomma progettare le emozioni!...”, ci racconta Canali, dimostrando in questo una profonda diversità con

Souto de Moura che ci aveva parlato di musei neutri, fatti di mostre temporanee in rapida successione che coinvolgano e interessino il visitatore ogni volta con contenuti diversi, perché “nessuno torna a vedere due volte lo stesso museo!”, aveva detto. Nei musei di Canali, al contrario, viene voglia di ritornare per provare ogni volta un’emozione strabiliante.

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incontro con Carlo Scarpa, che inaspettatamente chiude il cerchio di questo ciclo di conferenze: di qui eravamo partiti, dall’omaggio dell’architettura contemporanea al Maestro, e qui torniamo, all’eredità ancora viva che egli ci ha lasciato. Un episodio marginale in parte già conosciuto, che parla di uno Scarpa arrivato in Spagna su una Rolls Royce argentata accompagnato dall’inseparabile Aldo Businaro per allestire, nel 1978, una mostra dei propri disegni alla Galleria BD di Madrid. E qui, di fronte a un giovane Elias Torres, Scarpa dà testimonianza del proprio talento allestendo con pochi mezzi una straordinaria esposizione della propria opera. Quell’incontro, suggellato dal dono di un prezioso disegno (un prospetto della villa a Riyad, progetto che Scarpa stava elaborando in quel momento), diventerà a posteriori indelebile perché di lì a poco, partito da Madrid, Scarpa si recherà in Giappone incontro al proprio

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07. Il dopo-conferenza con visita al Museo: Elias Torres con Filippo Bricolo di nuovo accanto alla Santa Cecilia (foto di Marco Santini). 08-09. Due immagini mostrate nel corso della conferenza: Torres accanto a Carlo Scarpa intento ad allestire la mostra alla Galleria BD di Madrid nel ‘78, e nella stessa occasione il brindisi di Scarpa con Rafael Moneo e Alejandro de la Sota (archivio studio Martinez Lapeña&Torres).

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E così, parlando di emozione, ci sembra di poter introdurre, infine, l’intervento di Elias Torres che più che di emozione-sentimento ci ha parlato di emozione nell’accezione di “stupore”. Lo stupore che, come ha detto Alba di Lieto che lo ha introdotto, coglie chi visita gli spazi inaspettati e mai canonici progettati da Torres. Lo stupore che coglie lo stesso progettista, come lui ci ha raccontato, nel vedere il risultato del proprio lavoro, perché pur nel rispetto delle preesistenze (a volte maniacale, come nella ricostruzione del mosaico ceramico del Parc Güell) l’architetto “…non può rinunciare alla propria indipendenza, con il rispetto che l’esistente merita, ma senza paura…”. E allora ecco il recente progetto di ristrutturazione del Museo Casa Vicens di Gaudì (2017), esito fino a questo momento di un percorso le cui tappe, perlomeno quelle raccontate a Verona, sono iniziate nel 1984 con il progetto per la chiesetta dell’Hospitalet a Ibiza, proseguendo con il progetto del giardino di Villa Cecilia a Barcellona (1986), e poi via via con i progetti degli anni Novanta per il Castello di Ibiza o per il Sant Pere de Rodes a Girona, e poi con un ‘affondo’ all’opera di Gaudì con gli interventi nel Parc Güell, stadi di un ragionamento intorno al tema del gioco creativo, della ricerca libera e stimolante di un intenso rapporto con le preesistenze, di una relazione con la storia non spregiudicata ne’ disinvolta, come potrebbe semplicisticamente apparire, ma intensa al punto da diventare parte più intima dell’operato dell’architetto. E nella logica di questo approccio prende particolare intensità il racconto di Torres sul suo

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destino. Quel disegno troneggia tutt’oggi nello studio di Elias Torres&Josè Antonio Martinez Lapeña, e anche nella memoria del pubblico di questa edizione veronese di Mantovarchitettura.

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Ci mette il becco LC Contestualizzare con il Bernini: una provocazione intellettuale a proposito delle relazioni tra architettura e luogo, dal caso di Verona ad alcuni esempi europei

Testo: Luciano Cenna

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n uno scambio di impressioni sul nostro mestiere con un collega, finimmo col parlare soprattutto della qualità delle architetture veronesi degli ultimi decenni, riassumendone le due caratteristiche negative in: il loro atteggiarsi alla moda e la poca attenzione al contesto. A proposito di quest’ultima, il collega ha visualizzato sullo schermo del suo smartphone l’immagine del Forno da pane austriaco, da poco restaurato in modo esemplare, con a lato nello stesso riquadro, il volume di un nuovo edificio residenziale, evidentemente sorto nelle vicinanze con altri simili. Né brutto, né bello, certamente modesto e soprattutto fuori contesto. In seguito, andai sul posto per meglio capire come e dove fossero inseriti quei nuovi volumi residenziali; mi sono così reso conto della loro mancata connessione con il contesto, dovuta anche ad una non rilevabile assonanza architettonica con quanto gli sta intorno, ma soprattutto conseguenza della loro separazione dal tessuto edilizio abitativo che sta al di là del muro che ancora recinge l’ex area militare.

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L’anacronismo della situazione è aggravato dal cambio di destinazione d’uso dell’area, un tempo militare, ma oggi pienamente rientrata nella disponibilità della società civile a soddisfacimento delle esigenze di espansione abitativa e dell’Università. In questo come in altri casi simili, si è forse pensato che la giusta volontà di mantenere la memoria di un sito debba sempre comportare la conservazione di quegli aspetti che il cambio d’uso ha di fatto negati. Mentre sono dell’avviso che il corretto recupero di un sito che ha perduta la sua funzione originaria, si raggiunga solo se si riesce a ricollegarlo al contesto, non lasciandolo al di là di un muro. E qui mi pare inutile cercare di approfondire se la responsabilità di questo impianto rigido, che ha di fatto causata la mancanza di contestualizzazione dell’architettura residenziale con il quartiere, sia del progettista o di chi altro. Mi chiedo però cosa voglia dire essere fuori contesto, e cosa sia il contesto. Del contesto, credo di averne sentito parlare in modo esplicito per la prima volta da Samonà nel suo corso di Composizione architettonica IV del 1955 allo IUAV. Non ricordo quali fossero gli esempi usati nell’esporre l’argomento, ma avevano a che fare più con la dimensione urbanistica – a lui congeniale – che con quella architettonica. Investivano quindi un ambito molto vasto, in cui la progettazione del nuovo cerca relazioni con gli elementi esistenti e con lo spazio che li circonda; e più la scala in cui si opera aumenta, più ci si allontana dalle problematiche formali per avvicinarsi a quelle spaziali-territoriali. Nel vasto panorama dell’architettura europea di questi ultimi decenni, ben rappresentata da alcune ottime riviste non solo italiane, è facile imbattersi in interessati opere nelle quali si

percepisce che l’aspetto del contesto è stato alla base dell’impianto, tanto da trasmetterci la qualità sottile delle architetture di sostanza. Al di là delle realizzazioni di quella decina di maestri che operano oggi nel mondo, vi sono numerosi buoni architetti in tutti i paesi europei, in modo particolare in Spagna, Inghilterra, Portogallo, Francia, Belgio e Germania. A tale proposito citerò solo tre lavori tra i molti che possono esemplificare la questione del contesto: l’ampliamento del Palazzo Reale di Madrid di Mansilla e Tuñón; il Crematorio di Hofheide in Belgio di RCR Architects, e gli interventi di Chipperfield nell’Isola dei Musei di Berlino. Sono tre opere importanti di architetti di grande qualità , dei quali Chipperfield è il più noto, che dimostrano cosa significhi operare in armonia con il contesto, paesaggistico o edilizio che sia. Approfittando dell’argomento e di questi pensieri esposti senza la pretesa di convincervi, anche perché mi muovo in un campo certamente ambiguo nel quale girano giudizi personali e principi più o meno oggettivi, lasciatemi esporre per paradosso una provocazione. Se si dovesse immaginare un’architettura da inserire nel colonnato del Bernini a San Pietro, direi che l’unica cosa che mi sembrerebbe contestualizzata sarebbe un enorme uovo di m 25x17 posato sul selciato con il suo arco maggiore. E con ciò forse sono uscito dal contesto, ma il tema, come dicevo, è vasto e ambiguo: e forse potremo riprenderlo.

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Le vite di San Lorenzo ODEON

Un approfondito studio sulla costruzione e sui restauri ottocenteschi e novecenteschi della chiesa veronese è suffragato da un’indagine puntuale della materialità della fabbrica Testo: Maria Ajroldi

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a chiesa veronese di San Lorenzo appare contrassegnata da alcune caratteristiche singolari: da una parte una vicenda storica complessa, non sempre chiara e in alcuni momenti particolarmente tormentata; da un’altra parte la capacità di suscitare una forte suggestione e la passione del bello, tanto da provocare lavori di grande impegno, da quelli rivolti alla materialità dell’edificio a quelli orientati invece a una sua conoscenza più approfondita. A quest’ultima categoria appartiene il volume recentemente edito da Cierre, frutto di un impegno pluriennale di studio da parte di Angelo Passuello e arricchito dagli apporti delle più attuali tecniche di indagine sui manufatti architettonici. Il percorso suggerito dai vari capitoli è caratterizzato da un rigoroso ordine logico e da una grande ricchezza di documentazione che include tutti i possibili campi di indagine. Per la parte storica quindi sono stati presi in considerazione documenti d’archivio accuratamente rintracciati e ordinati, che fanno risalire il periodo costruttivo dell’attuale edificio al grande momento di fioritura dell’architettura romanica europea, cioè il secolo immediatamente successivo al compimento del primo millennio dell’era cristiana. La vita dell’edificio sacro è documentata da fonti scritte nel suo procedere attraverso i secoli, con due importanti approfondimenti relativi alle sue vicende più significative, cioè il restauro ottocentesco e gli interventi di consolidamento e rifacimento resi necessari dai danni subiti nell’ultima guerra. L’aspetto più significativo del volume è comunque il fatto che la documentazione scritta è continuamente confrontata con ogni parte dell’edificio, che risulta indagato punto per punto, misurato, fotografato, analizzato nelle sue caratteristiche chimiche e petrografiche e

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01. Interno della chiesa: volte della navatella meridionale (foto di Michele Mascalzoni).

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praticamente radiografato con un avanzato rilievo laser-scanner in 3D. Questa metodologia ha permesso di selezionare in modo scientifico le ipotesi avanzate dai vari studiosi circa l’aspetto originario dell’edificio e le sue successive trasformazioni. Anche San Lorenzo, infatti, ha subito nel tempo mutamenti più o meno importanti, alcuni motivati da un desiderio di arricchimento e adeguamento alle esigenze del culto, altri, come appunto il restauro ottocentesco, indirizzati invece a riproporre un possibile aspetto originario della costruzione: due tendenze contrastanti e in parte sfavorite dalle conoscenze e dalle caratteristiche culturali dei rispettivi

periodi di attuazione. Risulta molto significativa quindi la verifica operata nel corso dello studio, che ci restituisce per San Lorenzo un’immagine in parte inedita, e una nuova consapevolezza circa l’autonomia e la capacità di sperimentazione della architettura veronese nella formazione del linguaggio romanico. È stata ricordata più volte l’importanza di Verona come punto d’incrocio di vari percorsi strategici: il collegamento fra le coste tirrene e quelle adriatiche mediante la via Postumia che fiancheggia la nostra chiesa, ma anche le vie di accesso all’Europa centrale e le percorribilità consentite dalla navigazione fluviale: un nodo di scambi che

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lungo il medioevo si infittisce in relazione alle strade dei pellegrinaggi e alle successive rotte commerciali. Di conseguenza la costruzione di San Lorenzo risente di apporti diversi riconducibili ad esperienze europee coeve: la particolarità della pianta che presenta un capocroce triabsidato, come in altri esempi, anche italiani, di ispirazione cluniacense; le torri rotonde di accesso alla galleria superiore di influenza ravennate che delimitano la facciata; i contrafforti esterni pentagonali presenti a Verona anche a San Fermo, che sembra opera delle stesse maestranze, e così via. Proprio di San Lorenzo invece è lo slancio verticale dell’interno, che costituisce anche oggi uno degli elementi

Angelo Passuello san lorenzo in verona. storia e restauri Cierre Edizioni, 2018, pp. 272.

« Lo studio ci restituisce una nuova consapevolezza circa l’autonomia e la capacità di sperimentazione dell’ architettura veronese nella formazione del linguaggio romanico »

Posta sull’antica via Postumia, San Lorenzo è una delle più antiche chiese di Verona, indagata nel volume prendendo le mosse da un’accurata analisi delle vicende storico-architettoniche del complesso, dalla fondazione altomedievale all’età moderna, con l’ausilio di documenti inediti e di un accorto studio dei materiali.

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02. Pianta della chiesa. 03. Rilievo laser-scanner 3D del complesso architettonico: veduta assonometrica dell’esterno, prospetti nord e ovest (F. Dalle Pezze).

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di maggiore suggestione. E caratterizzano San Lorenzo anche alcuni accorgimenti di particolare raffinatezza nelle tessiture murarie: ad esempio la disposizione alternata di filari di conci squadrati, di mattoni e di ciottoli di fiume disposti a spina di pesce presenta sulle pareti esterne andamenti diversi a seconda della ripartizione in altezza degli spazi interni della chiesa. Nelle successive costruzioni romaniche veronesi rimarrà come partito caratteristico il motivo della bicromia pietra-mattone, con sicuro effetto coloristico, ma non si avrà più la proiezione degli spazi interni sulle pareti perimetrali. Così pure gli archetti pensili delle fiancate risultano realizzati originariamente in un unico blocco di pietra calcarea e non con elementi in cotto come nei restauri successivi. Per questi e per altri motivi la primitiva costruzione di San Lorenzo, ricostruita nel IV capitolo del volume come risultato di tutta la trattazione precedente, si presenta come una espressione avanzata della cultura architettonica del periodo e non un semplice adattamento locale di suggestioni d’oltralpe.

Lo studio effettuato dal Passuello diventa quindi un ulteriore motivo per riconsiderare l’attuale condizione della chiesa. Infatti se è vero che la parte interna, nonostante i vari rifacimenti e le approssimazioni relative, fornisce un’idea abbastanza fedele del progetto originario, lo stesso non si può dire degli esterni, compressi e soffocati dalle costruzioni adiacenti, tanto da rendere l’approccio alla chiesa un percorso tortuoso e sicuramente non gratificante. Ben venga allora l’occasione di un generale ripensamento su questo edificio, che merita di essere valorizzato a livello conoscitivo ma anche nella sua fruibilità da parte delle attuali generazioni.

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I SEPOLCRI a r b i e r i

Testo: Federica Guerra

Solo una sobria lapide all’interno del Pantheon Ingenio Claris del Monumentale ricorda la figura di Giuseppe Barbieri (1777-1838), un nome che molti collegano solo alla titolazione del palazzo municipale di Verona, la cui attività come ingegnere e architetto ha invece segnato profondamente il volto neoclassico della città. Una figura controversa, la sua, formatosi all’ombra di Luigi Trezza e Bartolomeo Giuliari con cui collaborerà in varie occasioni, ma il cui operato sarà oggetto anche di aspre critiche da parte di figure di spicco dell’epoca, come ad esempio, Gaetano Pinali. Barbieri è dunque al centro del dibattito architettonico che si svolge tra ‘700 e ‘800 a Verona intorno ai temi del rinnovo urbano, prima che la città si trasformi irrimediabilmente in una piazzaforte militare. Barbieri rivestirà ruoli di responsabilità in tal senso, dapprima come membro della prima Commissione di Ornato (1807) e poi come Ingegnere Municipale (1810), incarico che ricoprirà per 28 anni fino alla morte, pur affiancando sempre al ruolo pubblico quello di privato professionista. Vastissima infatti la sua produzione, che si concentrerà intorno ai tre grandi temi della ri-progettazione complessiva della Bra, della vicenda del Cimitero Monumentale e della costruzione di innumerevoli palazzi per la nascente borghesia cittadina, segnando via via il definitivo ammodernamento ottocentesco del linguaggio architettonico. Tra questi, per comprendere appieno il ruolo di spicco di Barbieri, basti ricordare il Palazzo Gemma-Beretta in via Cappello (angolo via Stella), la Loggia Arvedi in via Mazzini alle Due Campane, Palazzo Palmarini in Stradone San Fermo, il Palazzo Zeni in Piazzetta Santo Stefano, Palazzo Sega-

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la-Fedrigoni in Corso Porta Nuova e molti altri. Ma la vicenda che lo terrà più a lungo impegnato, dal 1815 al 1835, sarà quella che riguarderà l’assetto complessivo della Piazza Bra, con la realizzazione della Gran Guardia Nuova attraverso l’abbattimento dell’Ospedale della Misericordia e della Chiesa di Sant’Agnese, il completamento della Gran Guardia seicentesca del Curtoni e il livellamento della piazza, ma soprattutto attraverso la selva di proposte progettuali che verranno fatte da tutti gli architetti contemporanei (Dalla Rosa, Giuliari, Trezza, Pinali) tra cui emergerà il progetto di Barbieri, cui verrà conferito l’incarico definitivo. Di pari passo la vicenda del Cimitero Monumentale. Anche qui si succedono le innumerevoli proposte di localizzazione e di soluzioni distributive e progettuali (Giuliari, Trezza, solo per citarne alcune) ma su tutte prevale il progetto di Barbieri che ormai detiene un solido “monopolio del gusto” nella Verona ottocentesca. Il progetto del Monumentale è unanimemente riconosciuto come la sua opera più riuscita, il luogo dove coerentemente si riconoscono le gerarchie sociali e i meriti etici dei cittadini illustri, divenendo lo specchio più limpido della società del tempo. Eppure lo stesso cimitero sembra segnare il passaggio da un linguaggio puramente neoclassico ad un apparato decorativo simbolico (le urne, i leoni che posano mesti, le statue velate) in un’accezione ormai già fortemente romantica. Per questo la sua sepoltura nel Pantheon, da lui fortemente voluto, celebra il crepuscolo non solo di un grande personaggio ma di tutta una cultura settecentesca che egli accompagna al tramonto, e guida verso la nuova epoca dell’eclettismo ottocentesco.

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L’Ossario racconta Il “risorgimento” museografico dell’Ossario di Custoza grazie alla riorganizzazione degli spazi storici e a una nuova esposizione permanente Testo: Eleonora Principe Foto: Ben Turpin Studio

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come l’Ossario di Custoza alla presenza del Principe Amedeo, il Duca d’Aosta. Un secolo dopo, per il centenario dell’inaugurazione, venne aggiunto il parco circostante con le targhette che riportano i nomi dei combattenti di Custoza della Prima e Seconda Guerra Mondiale, trasformando così tutto il sito storico in un parco della rimembranza. Il Comune di Sommacampagna dal 2012 ne ha avviato un virtuoso processo di valorizzazione, che ha compreso anche la rivisitazione della struttura museale. Gli obiettivi: realizzare un sito che potesse parlare un linguaggio moderno, di facile fruizione e immediato impatto; garantire quell’accessibilità che la struttura dell’obelisco non consente; offrire un luogo aperto alla didattica della storia in un territorio che è stato teatro della costruzione militare della nazione italiana; arricchire l’offerta culturale in un’area strategica per il turismo europeo nel nostro Paese. Grazie al progetto ideato dallo storico Carlo Saletti (cfr. Paesaggio dopo la battaglia, «AV» 99, pp. 52-53) e dal

OSSARIO

CASA DEL CUSTODE

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opo la battaglia i campi della valle tra Custoza, Sommacampagna e il Mondatore presentavano l’aspetto desolato e allucinante di una recente bufera. Era una scena terrificante ideata da un artista demoniaco, un Goya redivivo e pieno di veleni demolitori. Gli alberi apparivano stroncati da enormi accette, i rami spezzati, i festoni delle viti rotti e penzolanti, i poderi calpestati e dappertutto, come un regno di morte e di sventura, spoglie dell’esercito, zaini, armi, caschetti, carri rovesciati o con le ruote stroncate, cavalli abbattuti e stecchiti sul trifoglio, cadaveri a braccia aperte come croci impressionanti (Sandro Bevilacqua, Piccolo atlante provinciale, Società editrice Arena, Verona 1950). Così si presentavano all’indomani della battaglia del 24 giugno 1866 le verdi colline che oggi siamo abituati ad ammirare, e che conferiscono al borgo di Custoza quel carattere di luogo ameno. Luoghi abitati da una popolazione contadina, che conduceva una vita spesso di stenti. Una campagna che continuava a restituire la memoria di quello che avvenne in quella sciagurata data: cadaveri, ossa, effetti personali. È in questo contesto che l’allora parroco di Custoza, Don Gaetano Pivatelli, chiese al Re Vittorio Emanuele II e all’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe la realizzazione di un luogo di sepoltura degno, che potesse contenere indistintamente i resti dei soldati caduti, di entrambi gli schieramenti. Venne costituito un Comitato, scelto su concorso il progetto dell’architetto Giacomo Franco (cfr. «AV» 112, p. 113), e il 24 giugno 1879 fu solennemente inaugurato quello che conosciamo

Sala

24 GIUGNO 1879

Sala

MOSTRE TEMPORANEE

Architetto

GIACOMO FRANCO

PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA

Vista interna dell’obelisco

Sala

TOPOGRAFICA

BALLATOIO indicazioni topografiche

SALA GAZOLA (esposizione archeologica)

Sala

24 GIUGNO 1866

Installazione

NEI VOLTI E NELLE VOCI

Museo CASA DEL CUSTODE

CAPPELLA

CRIPTA

(esposizione antropologica)

Monumento OSSARIO DI CUSTOZA

Mappa del sito monumentale

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INGRESSO

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01. All’interno della casa del custode, veduta della Sala dedicata al 24 giugno 1879 con il modello in scala 1:25 del monumento. 02. Mappa del sito monumentale (grafica di Roberto Solieri). 03. Prima tappa del percorso di visita: inquadramento del colle Belvedere.

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04. Pianta e alzato del mausoleo, rilievo. 05. Prospetto interno della Sala dedicata al 24 giugno 1879. 06. L’ossario di Custoza prima dell’inaugurazione in una foto di Moritz Lotze (1809-1890). 07. Camillo Boito: scorcio sull’allestimento video.

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Su questi campi dove l’urto della battaglia fu più terribile, dove l’urto dei combattenti fu più accanito, e più formidabile la voragine di fuoco che ingojò tante vite, l’Angelo della pietà distende oggi le sue grandi ali per raccogliere in un solo e sacro asilo gli avanzi dei combattenti

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grafico Roberto Solieri, dal mese di maggio 2018 i visitatori possono apprezzare una riorganizzazione degli spazi storici presenti nel monumento funerario e una nuova esposizione permanente nell’edificio adiacente, un tempo abitazione del custode del complesso. Il Belvedere: trasformazioni di un luogo

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Punto di partenza della visita è l’inquadramento territoriale e storico con un focus sul Belvedere, il colle su cui è sito l’Ossario. Qui un pannello ci racconta la sua trasformazione da luogo di

avvistamento a teatro di battaglia, poi area monumentale e luogo di pellegrinaggio devozionale, che con il venir meno delle generazioni che hanno vissuto quei fatti ha perso la sua valenza patriottica e pedagogica, divenendo meta del nascente turismo di massa, attirato dalla sua posizione panoramica. La cripta dell’ossario

curato dal veronese Carlo Gazola, che aveva preso parte alla battaglia del 1866. Qui sono stati realizzati alcuni pannelli esplicativi, rendendo più comprensibile il percorso. Inoltre, osservando le cartoline postali dei primi del Novecento, si è potuto ripristinare il sistema originario con cui venivano attribuite le identità di alcuni teschi. La cappella

Sono qui collocate le ossa rinvenute nei territori in cui si svolsero gli scontri del 1848, 1859 e 1866. Sulle mensole di pietra sono posizionati in ordine i crani, e nel centro del seminterrato sono razionalmente accatastale le restanti ossa. Una “doppia sepoltura”, che ha conferito ai resti una durevole persistenza memoriale e un valore pedagogico. L’allestimento venne

All’interno dell’Ossario è presente una piccola cappella interamente decorata, il cui altare è sovrastato dal ritratto di don Gaetano Pivatelli. Su due lapidi bronzee sono riportati i nomi di ufficiali italiani caduti nelle battaglie di Custoza del 1848 e del 1866, e su altre due in marmo nero i nomi degli austro-ungarici. Il recente intervento ha previsto

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Dilettissima mia, sto bene, o almeno meglio, non ostante disagi incredibili: non ho tempo di scrivere, ma ho voluto darti quest’assicurazione. L’anniversario di San Martino [24 giugno 1859] è stato sanguinosissimo e sventurato per l’Esercito e per il Paese: colpa di imprudenza, assoluta e inconcepibile imprudenza. È stata una sventura

GIUSEPPE S. PIANELL comandante della 1 a divisione del Regio Esercito italiano, scrive alla moglie Eleonora Pianell Ludolf, il 26 giugno 1866, da Volta Mantovana.

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08. Prospetto interno della Sala topografica. 09. Vista della Sala Gazola, contenente l’esposizione archeologica. 10. La casa del custode che oggi ospita l’esposizione permanente. 11. Vista sul paesaggio circostante l’Ossario, ieri campo di battaglia, dal ballatoio del mausoleo.

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la rimozione di tutti gli orpelli stratificati nel tempo. il ballatoio e l’esposizione archeologica

È il punto culminante della visita, dove si può ritrovare la geografia delle battaglie. Delle tacche di mira incise sul suo davanzale, a 14 metri d’altezza, indicano le località interessate dai combattimenti. Da qui si accede alla Sala Gazola, in cui si trova l’esposizione archeologica: equipaggiamenti militari, armi ed effetti personali utilizzati nella vita quotidiana dai soldati, riemersi assieme ai resti dei loro proprietari. Sono state collocate nuove teche simili alle originali, in cui sono presenti pochi e significativi oggetti, suddivisi per tema. Nel corso dei lavori sono qui riemerse le firme autografe che i visitatori dell’Ossario hanno lasciato sulle pareti a cavallo del XIX e XX secolo. Dei fari posti a soffitto, illuminano l’interno del soprastante obelisco. La casa del custode: le nuove sale espositive

Questa modesta costruzione civile, coeva alla costruzione del monumento, ha svolto la funzione

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di residenza del custode del complesso sino al 2010 ed ospita ora le nuove sale espositive. All’ingresso si è accolti dall’installazione I volti e i nomi della battaglia, dedicata a quanti hanno combattuto in questi luoghi. Una selezione di ritratti fotografici a tema militare, qui portati negli anni dai familiari dei caduti, è accompagnata da una registrazione sonora che diffonde nell’ambiente i nomi dei militari che si trovano incisi sulle lapidi austriache e italiane conservate nella cappella. A destra si trova la sala topografica, dove sono scanditi i tempi e i luoghi della battaglia del 1866. Al centro del locale è proiettata una mappa in cui è rappresentato lo svolgersi del confronto armato. È qui possibile, inoltre, visitare virtualmente l’intero complesso grazie ad un filmato che consente in un certo senso di superarne le barriere architettoniche. Sulla sinistra la sala dedicata al 24 giugno 1866. Chi meglio di chi c’era in quella giornata può raccontarne la storia, le sensazioni, i punti di vista? Su tre schermi Edmondo de Amicis, che aveva combattuto proprio a Custoza, il generale italiano Giuseppe Govone e il comandante austriaco Karl Möring accolgono il visitatore narrando il proprio vissuto. Don Pivatelli e Camillo Boito

parlano invece della costruzione dell’Ossario, al piano superiore. Al centro della sala dedicata al mausoleo, un plastico in scala 1:25 consente di apprezzarne ogni particolare. Infografiche, riproduzioni di litografie a tutta parete, foto di particolari, rendono unico il percorso di visita, favorendo, assieme al controllo artificiale della luce e alla particolare palette colori l’immersione del visitatore nella storia che qui viene raccontata.

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Modus in rebus Imprenditorialità sociale, cittadinanza e istituzioni pubbliche abilitano la rigenerazione urbana e l’innovazione culturale dando luogo ad una nuova realtà teatrale Testo: Stefania Marini

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i parla sempre più spesso di beni comuni urbani rigenerati con modalità “imprenditive”, ma non è facile trovare all’interno del territorio veronese esperienze concrete a cui fare riferimento, e ancora meno facile è trovare esempi nell’ambito della cultura. Modus è forse uno di questi: si tratta di un piccolo centro culturale nato a gennaio 2018 nel cuore degli Orti di Spagna a San Zeno dal recupero di alcuni locali commerciali sfitti di proprietà Agec. La determinazione del direttore Andrea Castelletti, il sostegno della cittadinanza e le agevolazioni delle istituzioni pubbliche sono stati i principali ingredienti che ne hanno favorito la nascita. Castelletti, persona dinamica e tenace, è impegnato come attore e regista teatrale all’interno di Teatro Impiria, associazione attiva da più di dieci anni nella produzione e nell’organizzazione di rassegne teatrali. L’esito positivo del processo di recupero dello spazio e la nascita di Modus si devono in gran parte alla sua volontà di “mettere radici” per dare continuità e maggiore qualità all’offerta culturale proposta dall’associazione. Teatro Impiria, realtà oggi affiancata dalla nuova impresa sociale Modus (nata con il compito di gestire lo spazio e di creare nuovi posti di lavoro in campo culturale), è inoltre riuscita abilmente a coinvolgere la cittadinanza e le imprese locali tramite la campagna di fundraising “Città in movimento”, che ha coperto parte delle spese dei lavori di ristrutturazione. Singoli individui e organizzazioni hanno potuto partecipare economicamente con donazioni tramite l’utilizzo di una piattaforma online di crowfonding, che ha favorito la conoscenza del progetto. Anche imprese e professionisti del territorio hanno contribuito alla ristrutturazione, mettendo a disposizione

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01. Il palco visto dalla platea. 02-04. La sala allestita in diverse configurazioni d’uso. 05. L’edifico (in rosso) nel contesto degli Orti di Spagna. 06. L’ingresso posto nella rientranza tra i due corpi di fabbrica dell’edificio. 07. Pianta (01. Ingresso, 02. Cortile, 03. Foyer, 04. Camerino, 05. Platea, 06. Palco).

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risorse intellettuali, servizi e materiali: la lista degli sponsor fondatori conta più di venti soggetti. Infine, l’ultimo ingrediente determinante per abilitare la proposta culturale e riconvertire lo spazio è stato la disponibilità di Agec, che ha colto l’opportunità di valorizzare l’immobile inutilizzato concedendolo ad un affitto agevolato e ridotto dei costi di rinnovo dei locali. A livello architettonico, il recupero dello spazio colpisce per la sua semplicità e contemporaneamente per la sua ingegnosità. L’approccio low cost e incrementale ha permesso di contenere i costi (circa 100.000 euro l’importo complessivo dei lavori), e le opere eseguite sono state minime: alcuni interventi strutturali, gli adeguamenti impiantistici, il rinnovo delle finiture, gli arredi e gli allestimenti. Gli ambienti interni risultano caldi e accoglienti con uno stile vagamente rétro: una zona bar

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con un piccolo bookshop accoglie i visitatori all’ingresso, prima di accedere alla sala principale che contiene poco meno di cento posti a sedere. L’allestimento di questa sala è più complesso, e sembra essere congegnato come una scena teatrale che rapidamente deve cambiare tra un atto e un altro, senza imperfezioni. A seconda delle molteplici esigenze d’uso (teatro, cinema, musica, moda, incontri, corsi, etc.) lo spazio assume conformazioni differenti grazie agli arredi mobili, al sistema di gradinate retrattili e al palco smontabile a moduli. Tutti questi elementi sono pensati per essere velocemente e facilmente spostati e immagazzinati all’interno di vani ricavati ai lati della sala; in questo modo l’ambiente risulta sempre molto ordinato. L’utilizzo diversificato degli spazi è una strategia che permette a Modus di programmare un’offerta

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culturale articolata per attrarre pubblici eterogenei e per migliorare quindi la sostenibilità economica. L’ideazione degli allestimenti è frutto del coinvolgimento diretto e appassionato del direttore che, oltre ad essere attore e regista, dice anche di essersi formato come ingegnere (finzione teatrale o verità?): ciò spiega forse la maestria con cui ha saputo rapportarsi con tecnici e artigiani per ottenere il risultato immaginato e voluto. All’esterno gli interventi realizzati sono pochissimi, anche per la scarsità di risorse finanziarie e per privilegiare la funzionalità e l’atmosfera degli interni. L’insegna Modus, posta su un rivestimento che nasconde gli impianti, mette in evidenza il cambiamento architettonico più significativo, l’accesso allo spazio. L’entrata è infatti collocata dove un tempo c’era l’uscita di servizio del precedente locale di ristorazione, mentre le originali vetrine di ingresso sono ora le uscite di emergenza della sala per gli spettacoli. In origine, lo spazio recuperato era una porzione del mercato costruito all’interno dell’esemplare

« Modus ha innescato anche un processo di ripensamento del contesto in cui è inserito confrontandosi con la scala urbana e sociale della propria azione » 08

08. Il foyer con l’angolo bar e la corposa biblioteca. 09. Le gradinate retrattili mentre vengono raccolte nel fondo della sala. 10. Un’assemblea del comitato di quartiere Orti di Spagna nella sala di Modus. 11. Veduta della platea dal palco.

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quartiere INA-Casa tra il 1952 e il 1955 dall’architetto Alviero Puccioni e dall’ingegnere Pompeo Coltellacci (cfr. «AV» 111, pp. 95-97). Con il passare del tempo, tra i servizi previsti al centro del quartiere dal piano urbanistico – asili, scuola elementare, centro sociale e mercato rionale – gli spazi commerciali hanno perso la loro importanza rimanendo inutilizzati e in degrado (tranne un piccolo locale dove rimane la parrucchiera di quartiere). Modus ha saputo cogliere l’opportunità data dallo spazio dismesso, e si inserisce ora all’interno del circuito dell’offerta culturale cittadina distinguendosi per la molteplicità di eventi proposti e per la ricchezza di relazioni che ha saputo tessere.

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committente Associazione Teatro Impiria Modus impresa sociale srl

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progetto arch. Francesco Meurisse (progetto architettonico e direzione lavori), ing. Enrico Magagna (strutture), ing. Fabrizio Plamintesta (impianti elettrici), ing. Francesco Gori (impianti termo-idraulici) imprese e cronologia SF Costruzioni, CMD Bendazzoli (strutture metalliche) Inizio lavori: 18-09-2017 Fine lavori: 23-01-2018

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Pioniere di un metodo, Modus ha visto nascere contemporaneamente un comitato di quartiere che ha iniziato un processo partecipativo per la ri-funzionalizzazione per usi civici della rimanente porzione dell’ex mercato coperto (l’ex supermercato Dico, sempre di proprietà Agec). Modus ha accolto alcune assemblee del comitato, dando spazio alla cittadinanza e rimarcando la volontà di essere identificato anche come nuova centralità di quartiere, luogo aperto e di socialità. Il fertile intervento ha innescato quindi anche un processo di ripensamento del contesto cittadino in cui è inserito, confrontandosi con la scala urbana e sociale della propria azione, proprio come nelle migliori esperienze di innovazione culturale che stanno nascendo in altri contesti regionali in cui il patrimonio pubblico è reso realmente accessibile e vissuto. La speranza è che questo innesco culturale non rimanga un caso isolato, ma costituisca un esempio per i tanti spazi abbandonati e sottoutilizzati di proprietà pubblica. La mappatura di tali immobili, assieme ad agevolazioni economiche sui costi di affitto o

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delle utenze, potrebbe facilitare la nascita di nuove progettualità dal basso. L’auspicio è che Modus sia fonte di ispirazione per gli amministratori locali, che hanno il compito di favorire le autonome iniziative di cittadini e associazioni per lo svolgimento di attività di interesse generale – e la cultura rientra tra queste – sul principio della sussidiarietà, come indicato dall’articolo 118 della nostra Costituzione e come recepito da molti Comuni con l’adozione di appositi regolamenti.

contributi Manni Group, Global Power/Global Power Service, Maya Lighting Project, Clab Comunicazione e Marketing, Fondazione Cattolica Assicurazioni, Consorzio ZAI, Banca Popolare di Verona - Banco BPM, Mag- Economia Sociale e Finanza Etica, LASA Studio, Martinello Articoli Tecnici, CMD Bendazzoli Carpenteria Metallica, Proposte d’Arredamento-Interior Decoration, SF Costruzioni, Termoidraulica DKM, Francesco Meurisse Architetto, Studio Tecnico Gori, Studio Tecnico Palmitesta, Musical Box, Lavanderia PuliArt, Ing. Gianni Romano, LABstories Comunicazione www.modusverona.it

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Interiors: Progetto: arch. Fabio Faoro Testo: Nicola Brunelli

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’edificio oggetto dell’intervento qui descritto si trova a Santa Maria in Stelle, storico borghetto adagiato sulle panoramiche colline ai limiti amministrativi tra il Comune di Verona e la sua provincia, che si sviluppa a nord-est salendo verso l’altipiano delle Lessinia. Un luogo periferico rispetto alla città, quindi, caratterizzato da un paesaggio naturale di qualità, ancora fortemente legato all’ambiente, all’agricoltura e alle sue regole, il cui tessuto insediativo è caratterizzato da edifici di matrice storica raggruppati

01. Sezione prospettica sull’intero fabbricato ristrutturato. 02. La scala posta al centro dell’edificio attraversa i tre livelli dell’abitazione.

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Un due tre Stelle La ristrutturazione di un edificio residenziale nel borgo di Santa Maria in Stelle è frutto di un lavoro “dall’interno” visibile attraverso la sezione in corti rurali, e da edifici di varie epoche banalmente disposti in linea e addossati l’uno all’altro, lungo le strade di collegamento principali. Edifici per lo più di origine contadina “uniformati” da una tipologia edilizia rurale, realizzati con materiali locali, poveri e semplici. Nel progetto di ristrutturazione proposto dall’architetto Fabio Faoro per un fabbricato posto in tale contesto, il rapporto tra vuoto e pieno assume un carattere determinante nel riorganizzare gli ambienti residenziali interni

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all’edificio: un progetto che si svela soprattutto in sezione verticale. Lo svuotamento di alcune parti della precedente distribuzione planimetrica ha determinato una diversa spazialità negli ambienti interni; a questo scopo ha contribuito molto anche la realizzazione di una sorta di seconda facciata, più interna e scollegata dalle pareti perimetrali, libera essenzialmente dal vincolo delle finestre esterne originali che sono quindi rimaste inalterate. In questo vuoto si genera un pozzo di luce zenitale che generosamente illumina i livelli dell’abitazione, in particolare il primo piano dove è posta la zona giorno (al secondo piano si trova la zona notte, mentre

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03, 04. Gli spazi dell’ingresso al piano terra enfatizzano l’irregolarità planimetrica delle murature perimetrali. 05. Particolare dell’attacco al piano del corpo scale con la giustapposizione tra ferro bianco e legno chiaro.

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al piano terra oltre all’ingresso è ricavato lo studio professionale del proprietario dell’abitazione). Questo pozzo di luce tra facciata esterna e nuova facciata interna, assieme a quello centrale in cui è inserita la scala, sono funzionali a un miglioramento delle condizioni di benessere interno: grazie alle ampie aperture in sommità si favorisce la ventilazione e di conseguenza un accurato ricambio dell’aria calda, funzionando da sistema di rinfrescamento naturale per i mesi caldi. Un impianto di ricambio

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dell’aria puntuale è stato installato in ogni singolo piano dell’edificio La riorganizzazione planimetrica degli ambienti interni ruota palesemente attorno al fulcro della scenografica scala che connette i tre livelli dell’abitazione, tutti interessati da modifiche distributive. Realizzata con struttura in ferro dipinto di bianco e pedate in legno chiaro, è ritmata da un leggero parapetto in sottili aste metalliche verticali che, poste a distanze variabili l’una dall’altra, formano un nastro continuo che sale lungo l’edificio,

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06. Schema del concept di progetto con evidenziati i tagli luminosi. 07-08. Il pozzo di luce perimetrale in corrispondenza della cucina è assimilato a un giardino interno. 09. veduta della zona cucina-pranzo verso il camino di luce.

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restituendo alla vista una vibrazione che ne aumenta il senso di dinamica leggerezza. La ristrutturazione dell’edificio ha comportato anche degli interventi di miglioramento strutturale, sia a livello delle murature in pietrame e mattoni, che sono state consolidate,

« Il rapporto tra vuoto e pieno assume un carattere determinante nel riorganizzare gli ambienti residenziali interni all’edificio » 07

sia con il rifacimento dei solai interpiano e della copertura, mantenendo sia le orditure originali che i materiali. Un considerevole sforzo progettuale è stato infine indirizzato alla scelta delle finiture interne. L’abbondante utilizzo del legno, di tonalità naturale chiara per le pavimentazioni e sbiancato per gli intradossi dei solai, assieme a un accurato studio dell’illuminazione, contribuiscono notevolmente alla buona riuscita del restyling degli ambienti interni dell’edificio, che appaiono oggi indubbiamente più luminosi e confortevoli. Una scelta stilistica

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spiccatamente contemporanea quindi, che per materiali e colori ammicca a un generico modernismo nordico: quello che venne diffuso anche in Italia da storiche riviste come «Abitare», e che oggi è veicolato più banalmente dai cataloghi Ikea. Sulla medesima linea la scelta degli arredi, un gioioso mix di funzionalità essenziale, tradizione e ironici elementi pop.

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Progetto architettonico e direzione lavori Viabrenneroarchitettura arch. Fabio Faoro

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committente Privato

collaboratori arch. Davide Iembo ing. Davide Caiani (progetto e direzione lavori strutture) Tec srl - Mauro Madinelli (impianti termici ed elettrici) impresa esecutrice Caiani Costruzioni srl

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CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: marzo 2014-novembre 2015

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10. Piante dei piani interrato, terra, primo e secondo. 11-12. Due vedute del corpo scale attraverso gli ambienti della zona giorno al primo piano. 11

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CO LLE Z I O N E—PR I VATA Il favoloso mondo di Martino Dalla natura agli oggetti semplici della quotidianità: l’universo incantato di Martino Zulian Testo: Luigi Marastoni

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01. Una sala del Red Zone Art Bar di San Giorgio di Valpollicella allestita per la personale di Martino Zulian Brave new world, luglio-agosto 2016. 02. Drawing this drawing, 2012. 03. Senza titolo, 2017. 04. Il viaggio, 2014. 05. Uomo e scimmia, 2015.

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artino Zulian vive in famiglia, vicino a Rovereto, nella casa che era del nonno. Marco, il paese dove abita, ha una caratteristica che lo rende unico: al tramonto è ancora baciato dal sole pur essendo nella piana della val d’Adige. Ed è in un momento come questo, dopo aver risalito la valle nell’ombra preserale che conosco l’autore; il sole incastonato nella valle che

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porta al lago di Garda illumina quotidiane che si trovano perlopiù ancora e solamente le Ilabitazioni in natura. “Nei prati in quei giorni viaggio n.2, 2014, oard sagomato, 100x200 della piccola frazione che sembrano fioriva il tarassaco. I fiori si aprivano dovere la loro esistenza a questo tutti insieme la mattina presto, e sforzo. Una situazione fantastica, allora una mano di giallo acceso una “costruzione” da favola: la valle passava sulla montagna, come se totalmente in ombra, grigia come ad inondarla fosse il sole stesso. le rocce che compongono le vette Le mucche adoravano quei fiori delle cime circostanti, si apriva come dolci: quando arrivammo su si uno squarcio al sole calante di una sparpagliarono per il pascolo come sera di estate. Ero già entrato nel davanti ad un banchetto” (Paolo suo mondo, fatto di cose semplici e Cognetti, Le Otto Montagne, 2016).

Trasformazioni basiche che non stravolgono l’identità degli elementi rappresentati, costruiscono scenari, Uomo e scimmia, tecnica mista si carta, 122x145 cm fondali, paesaggi che danno al fruitore una serie di sicurezze. Funghi, asteroidi, pesci, foglie meduse subiscono al massimo una variazione di scala – sono più grandi – o hanno un punto di vista diverso – un fungo visto dal basso appare nuovo e, generando uno “stupore semplice”, dà alla natura più forza.

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06-07. Senza titolo, 2017. 08-11. Particolari delle “metope” realizzate in occasione della mostra personale Brave new world, 2016.

Ma chi vive quegli spazi? Chi è che si muove in questi paesaggi? Omini felici vestiti casual stanno seduti, giocano, fanno sport dentro questo nuovo mondo: si divertono... “stanno tutti bene”. Ridotti di scala, non si percepisce alcuno stupore nelle loro movenze per questo universo trasformato. Sono solamente felici di esserci e di poter vivere questo mondo. Il semplice gioco di scala tra gli omini e gli oggetti, racchiusi in queste nuove metope, diventa complesso quando viene esperito. Brave New World, titolo dell’opera

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che qui presento diffusamente, è una risposta nuova, coraggiosa, forse anestetizzata che impone paesaggi oggetti persone felici: life is beautiful. Martino non è un produttore seriale, ma sicuramente in questa giustificabile apatia il suo operare non conosce tentennamenti: il suo primo lavoro, Drawing this drawing, è già paradigmatico. Un omino piccolo (ma molto rotondo) usa delle matite come trampoli per scrivere su di un foglio di carta: felice di poter scrivere, lui, e con il sorriso sulle labbra noi.

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Se in Uomo e Scimmia egli pesca nel mondo circense per mantenere questo effetto, con Il viaggio l’autore inizia a costruire bassorilievi, tableaux vivants, teatrini. Materiali adeguati rafforzano l’utilizzo della profondità prospettica, della costruzione dei piani. Soggetti adeguati ci raccontano una profondità narrativa; il paesaggio che compone la scena è già risolto, e... “stanno tutti bene”: la città odierna con il suo skyline, la natura naturale, gli asteroidi, il treno e la lumaca. Anche l’omino è felice, fosse anche solo per la matita che porta con sé in groppa alla lumaca come un’arma, forse come ultima difesa. Il pesce mosaico inverte le questioni: non c’è più lo spazio metopico dei teatrini, c’è un oggetto scultoreo, il pesce in ceramica colorata, ma l’opera vive con i disegni preparatori che, come un fumetto, raccontano le varie fasi di costruzione, scandendo tempi modi materiali e strumenti; eros la forma scultorea, logos i disegni preparatori . Prati verdi, mele rosse, fronde lussureggianti e textures alpine hanno spazi propri anche nelle ultime opere del 2017, e continuano ad essere felici e vivide nel pieno della loro vigoria; pesci con le ombre convivono con un emisfero geofisico che induce ad una qualche riflessione, ma parti di figure ceramicate, una scala a mano infinita o le porte aperte verso l’oscurità oscurano un cielo ad ora sereno, forse perché semplicemente esiste anche la parte oscura della luna.

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12-13. Pesce mosaico, 2016: disegni preparatori e scultura in ceramica colorata.

martino zulian Martino Zulian, classe 1993, si forma all’Accademia di Belle Arti di Verona diplomandosi in pittura con Daniele Nalin. Il suo percorso artistico matura già in parallelo agli studi partecipando a numerose collettive, tra cui First Step (2014-2016) e Contemporary Art presso la Galleria Spazio 6 di Verona. Dopo la mostra Brave new world presso il Red Zone Art Bar di San Giorgio di Valpollicella (luglio-agosto 2016), un’altra personale è allestita nuovamente alla Galleria Spazio 6 nel marzo 2017. Nel maggio 2018 partecipa all’esposizione collettiva al Forte di San Briccio di Lavagno (VR).

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Pesce, gesso e mosaico, 65x50x59, 2015

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A cura di: Giampiero Lupatelli - CAIRE

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Paesaggi sociali Un’indagine effettuata sulla base dei risultati dei censimenti mette in evidenza per Verona sei “città” distinte per caratteristiche sociali, culturali, economiche e strutturali

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Da qualche tempo sono disponibili informazioni che descrivono i risultati dei censimenti ad una grana territoriale molto fine, quella della sezione di censimento, sezioni che per le città corrispondo agli isolati urbani. Le tecniche della analisi multivariata a questo punto consentono di operare letture sofisticate per interpretare le trasformazioni dell’insediamento sociale conosciute nel primo decennio del nuovo secolo. Un periodo controverso per l’intensità e la direzione dei cambiamenti della base economica e sociale, entro i grandi cicli segnati dall’esplosione delle migrazioni di lungo raggio e della prolungata crisi economica. La lettura della città di Verona che la ricerca propone, sulla scorta di sperimentazioni che CAIRE aveva già condotto per diverse città medie italiane, analizza il processo di costruzione della città nella sua duplice dimensione di territorio costruito (l’urbs) e di organismo sociale (la civitas) caratterizzato da un intenso ed incessante mutamento della sua organizzazione spaziale e dei modi di uso del territorio. L’ampio spettro di variabili considerate consente di evidenziare i caratteri distintivi delle diverse parti di città, condensandole in alcuni tipi. Tipi che chiamiamo paesaggi sociali perché del paesaggio presentano la fisionomia e della società (e delle sue dinamiche) recano l’impronta. Come i tipi umani, i paesaggi sociali sono caratterizzazioni utili ma di definizione arbitraria, per quanta sapienza matematica e statistica ci sia negli algoritmi che ci hanno aiutati a farli emergere dal corpo indistinto della città. La CISL di Verona ha promosso questa ricerca con la consapevolez-

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za che “i paesaggi sociali” sono ambiti in cui le persone vivono, lavorano, si spostano. Ambienti urbani che mutano e si trasformano contestualmente ai cambiamenti culturali, economici, religiosi di una società. Conoscere i cambiamenti sociali di un territorio e interpretare le sue mutazioni urbanistiche aiuta il sindacato a capire il contesto in cui è chiamato a svolgere il proprio ruolo. Quello che segue è lo schizzo che ritrae le sei città nella città che si sono profilate nell’analisi, volta a descrivere una realtà sempre più multiforme e a interrogare gli obiettivi con cui governarne le trasformazioni, talvolta dirompenti altre volte sfuggenti. La città delle frazioni e delle periferie di qualità è il più contemporaneo tra i paesaggi sociali della città. Un giudizio forse snobistico e sicuramente un po’ superficiale potrebbe farla battezzare come “villettopoli”, a metà strada tra l’uniformità senza anima dello stile internazionale e lo strapaese della campagna urbanizzata. Sicuramente è il luogo verso cui si è rivolta con preferenza la domanda abitativa delle famiglie di classe media e di recente formazione negli ultimi decenni. Bassa densità, prevalenza di edifici unifamiliari di dimensioni generose e di proprietà, totale dipendenza dall’automobile per lo scambio pendolare e per la fruizione dei servizi. È il campo di una prossimità incerta, di una socialità comunitaria difficile non per le differenze che contiene ma per le distanze e la rarità delle occasioni di incontro che separano le persone. La città dell’obsolescenza è il nuovo protagonista della scena urbana veronese di questo decennio. È la parte di più antica formazione della città contemporanea, costruita ne-

sezioni non classificabili (*) città di qualità delle periferie e città dell’osbolescenza città storica

città residenziale ad elevata de

città della produzione e dei ser città delle periferie popolari spazio rurale

2011 2001 02

gli anni immediatamente dopo il secondo dopoguerra, posta alla corona della città storica e caratterizzata da altissime densità. Qui la presenza di popolazione straniera è particolarmente rilevante e altri segnali evidenziano condizioni sociali più critiche: dal livello di istruzione più modesto alla disoccupazione più elevata. Le abitazioni sono più anguste e peggio conservate ma vengono utilizzate intensamente da una popolazione più giovane e meno radicata. È la città che più richiede azioni di rigenerazione urbana, rese più difficili dall’al-

01. Le Sezioni di Censimento, unità territoriali minime sulle quali vengono effettuate le rilevazioni ISTAT, e i Paesaggi Sociali al 2011. 02. Confronto diacronico 2001-2011: mappa relativa alla Città delle periferie popolari.

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Territorio

03. Verona e i suoi paesaggi sociali al 2011.

Territorio

sezioni non classificabili (*) città di qualità delle periferie e delle frazioni città dell’osbolescenza città storica città residenziale ad elevata densità città della produzione e dei servizi città delle periferie popolari spazio rurale

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ta densità e dall’uso intenso del patrimonio edilizio che non agevolano la sostituzione. La centralità dei luoghi in cui queste condizioni sono presenti, propone tuttavia spazi di manovra interessanti per politiche urbane integrate che facciano leva sui servizi e sulla partecipazione. La città storica, ben riconoscibile entro lo spazio racchiuso nella cinta muraria asburgica, presenta caratteri sociali interessanti e peculiari che registrano trasformazioni profonde nel corpo centrale della città. L’elevato livello di istruzione conferma la città storica come sede della popolazione di condizione sociale più elevata. La presenza di molte persone che vivono sole – ma che non sono più vecchie della media cittadina – suggerisce una funzione decisiva della città storica nel ricambio demografico e sociale della popolazione urbana; favorito anche dalla minore presenza di abitazioni in proprietà. Preoccupa piuttosto la presenza estesa di abitazioni non occupate destinate probabilmente ad ospitare in modo diffuso una parte crescente delle correnti di visita e soggiorno turistico che si rivolgono alla città. Il rischio è che i turisti finiscano per determinare un uso specializzato di quella parte della città che più di ogni altra ha caratteri di riconoscibilità e fruizione universale. La città residenziale ad alta densità, assomiglia nella sua consistenza fisica, alla città dell’obsolescenza: per la localizzazione “di prima cintura”, per l’elevata densità e per la marcata specializzazione residenziale che presenta. A differenza della città obsolescente, non presenta però criticità sociali e ospita una popolazione istruita in abitazioni ben conservate. Il suo tratto critico è l’elevato invec-

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1 LA CITTA’ DI QUALITA’ DELLE FRAZIONI 2 LA CITTÀ DELL’OBSOLESCENZA 2 LA CITTÀ DELL’OBSOLESCENZA i paesaggi sociali

i paesaggi sociali

La città dell’obsolescenza è il protagonista della scena urbana veronese di questo de04-05. Esemplificazione delle cennio. È la parte di più antica formazione categorie interpretative della città contemporanea, costruita negli elaboratedopo peril Verona: anni immediatamente secondo do-la Città di qualità frazioni poguerra, posta alla corona delladelle città storica e caratterizzata da altissime densità. e la Città dell’obsolescenza.

La città delle frazioni e delle periferie di qualità è il più contemporaneo tra i paesaggi sociali della città. Un giudizio forse snobistico e sicuramente un po’ superficiale potrebbe farlo battezzare come villettopoli, a metà strada tra l’uniformità senza anima dello stile internazionale e lo strapaese della campagna urbanizzata.

Qui la presenza di popolazione straniera è particolarmente rilevante e altri segnali evidenziano condizioni sociali più critiche: dal livello di istruzione più modesto alla disoccupazione più elevata. Le abitazioni sono più anguste e peggio conservate ma vengono utilizzate intensamente da una popolazione più giovane e meno radicata.

Sicuramente è il luogo (molto distribuito e diffuso in tutti i quadranti dell’insediamento comunale) verso cui si è rivolta con preferenza la domanda abitativa delle famiglie di classe media e di recente formazione negli ultimi decenni. Bassa densità, prevalenza di edifici unifamiliari di dimensioni generose e di proprietà, totale dipendenza dall’automobile per lo scambio pendolare e per la fruizione dei servizi.

È la città che richiede azioni di rigenerazione urbana, rese più complesse dall’alta densità e dall’uso intenso del patrimonio edilizio che non agevolano la sostituzione.

?

pendolari

8,8%

edifici in ottimo stato

5,4%

proprietari residenti sul totale abitazioni

75,8%

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superficie media abitazioni

118,4mq

È il campo di una prossimità incerta, di una socialità comunitaria difficile non per le difdisoccupati ferenze che contiene ma per lestranieri distanze e la rarità delle occasioni di incontro che separano le persone.

7,7%

29,2%

edifici epoca 1946-1961

39,0%

edifici da riqualificare

22,3%

densità popolazione

17.168,3

La centralità dei luoghi in cui queste condizioni sono presenti, propone tuttavia spazi di manovra interessanti per politiche urbane integrate che facciano leva sui servizi e sulla partecipazione.

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Paesaggi sociali di VERONA

chiamento, esito di modelli abitativi non apprezzati dalle nuove famiglie che hanno preferito collocazioni sub-urbane. Cosa succederà nel tempo, quando nella popolazione invecchiata si apriranno varchi e nuove correnti di domanda abitativa potranno rivolgersi a questo patrimonio? Diventerà una città dell’obsolescenza? La rigenerazione si propone qui come opera di prevenzione, con l’esigenza di innovare la presenza e la articolazione dei servizi urbani, scolastici, commerciali, culturali, per rigenerare condizioni di interesse e di attrattività. La città della produzione e dei servizi interessa parti diverse della città di Verona, prevalentemente collocate a sud della ferrovia; parti di città dove gli insediamenti nascono dalla presenza di attività produttive, prevalentemente industriali. Questo tessuto ha conosciuto e conosce trasformazioni rilevanti, con una presenza residenziale non più marginale e la maggiore concentrazione degli edifici più recenti. Paradossalmente abitazioni nuove per ospitare una popolazione molto più vecchia della media, soprattutto perché mancano i bambini.

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È la parte forse più “plastica” e confini comunali. Le trasformazioni trasformabile della città, dove si gio- avvenute in questa parte di città non cano partite importanti perché la tra- sono trascurabili e se talvolta hanno sformazione in corso, spinta dal mu- assunto i caratteri della gentrification, tamento economico globale e dalle con il riuso da parte di gruppi sociadinamiche immobiliari locali, rilasci li più agiati, altre volte presentano una città competitiva nelle sue fun- i caratteri del declino, verso la città zioni e apprezdell’obsolescenza. zabile per la sua Sei “città” « Le sei città nella città vivibilità. che ci disegnano profilate dall’analisi La città un quadro artidelle periferie pocolato di probledescrivono una realtà polari interessa la mi e di criticità sempre più multiforme e seconda corona da affrontare in interrogano gli obiettivi urbana di Verouna nuova stacon cui governarne na, meno densa gione di politiche della prima anurbane. Una stale trasformazioni » che perché già gione che, a difcostruita come ferenza delle pre“città dell’automobile”. Abitazioni di cedenti non potrà limitarsi a regolare taglio più contenuto, di costruzione la spinta dirompente di dinamiche abbastanza recente ma con qualche espansive suscitate da una intensa doproblema di conservazione, abitate da manda di spazi urbani per la residenuna popolazione di condizione socia- za, il commercio ed il lavoro; dinamile modesta con una presenza straniera che sospinte dalla rendita urbana, di poco più accentuata della media; con cui di rendere sostenibili gli impatti e un pendolarismo elevato che si rivolge di piegare le energie a soddisfare i bianche fuori dal comune, espressione sogni della “città pubblica”. evidente della condizione metropoliLa cognizione del cambiamentana della città, dove lo spazio delle to non è sufficiente se a far seguito relazioni quotidiane si estende oltre i non avvengono scelte adeguate, par-

tecipate e condivise. Il tema che si prospetta ai policy maker della città di Verona, non meno che a quelli di tutte le città medie che aspirano a mantenere e rafforzare uno standing europeo, è quello di costruire, condividere e sostenere nuove ragioni di investimento privato e pubblico in una stagione economica più incerta e rischiosa. Nella quale però rigenerare la città esistente e innovare le sue funzioni è condizione vitale per essere competitivi e attrattivi. Compito arduo che richiede, molto più che nel passato, la convergenza di intenti ed energie di una platea estesa di attori economici e sociali per mettere a punto una strategia urbana vincente. Compito impegnativo cui la iniziativa della CISL ha voluto concorrere offrendo questo lavoro alla città scaligera, per sviluppare un impegno concorde delle istituzioni cittadine e degli attori locali e dare corso al progetto, ambizioso ma indispensabile, affinché la Verona del futuro sia la rappresentazione delle volontà, degli interessi, dei valori di tutti i cittadini che ci vivono.

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CANTIERI

COSTRUIRE PER VINCERE Le vicende di due storici cantieri gardesani, Galetti e Dal Ferro, e l’evoluzione delle tecniche progettuali ed esecutive delle imbarcazioni da diporto e da regata

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Testo: Piero Vantini

La vela sul Benaco vede nascere le prime competizioni nel 1929, quando a Riva del Garda per la prima volta si sfidano i barconi da trasporto merci. Ma è nel dopoguerra che vengono organizzate le prime importanti manifestazioni come la “Centomiglia“, una sorta di maratona velica che si svolge sull’intero lago, corsa per la prima volta nel 1951. A quest’ultima manifestazione, che si disputa tuttora ai primi di settembre, partecipano imbarcazioni pensate e realizzate per andare in crociera e prendere parte a qualche regata. Nel tempo, però, il concetto si inverte e prendono vita le barche da regata con le quali si possono fare anche spartanamente le crociere. È in questo momento di grande attività che nascono e si sviluppano i primi cantieri nautici gardesani. Sono aziende di modeste dimensioni che trovano spazio in un unico capannone, composte da pochi ed abili artigiani specializzati nella costruzione in legno. Per dar forma agli scafi ci si affida a pochi e semplici disegni, e spesso i titolari dei cantieri progettano in prima persona. La figura dell’artigiano progettista-costruttore delle barche

| MONOTIPI 16 | LA STORIA A DERIVA E CL ASSI OLIMPICHE gardesani, e che avrà molto successo fino almeno alla metà degli annidi’80 quando viene soppiantauno scafo Galetti, ottengono un ottimo terzo posto nella classifica finale. to dalle costruzioni in materiale composito – fibre di carbonio, nomex eNeltermanto – che rappresenta1964 il Campionato Nazionale classe Flying Junior si disputa a Mondello, la spiaggia no una vera rivoluzione tecnica. Di pari passodelcon di Palermo, con l’organizzazione Club Roggero Di Lauria. Alla vittoria questo cambiamentoCanottieri epocale, prende piede anche di “Italo” di Gian Battista Ziliani con Cesare Turla di a prua si contrappone il secondocon posto una nuova generazione progettisti nautici, di “Favonius” con Arrivabene e Sambo. È la studi formazione in prevalenza all’estero madelanche consacrazione della supremazia Cantiere arilicense. Il nome della barca vincitrice in alcune facoltà di architettura e ingegneria italiaè certamente un omaggio a Italo, il suo costruttore. questo momento racconta ne dove vengono istituiti corsi“Inspecifici sullo- yacht Tonoli - non c’è accoppiata migliore di barca design. Galetti e vele Santarelli; è come essere su una Ferrari ai tempi d’oro”. A proposito di dediche, Un precedente singolare: la finesi presenta degli inanni sempre inverso questo periodo regata un altro scafo, molto veloce, il cui nome è ‘60 Mauro Stefini, anche giovane ingegnere veronelegato alla storia del Cantiere: Zelindo. Zelindo

è un operaio da sempre uomo di fiducia della famiglia Galetti e Bruno Fezzardi racconta che “proprio per riconoscenza alla sua dedizione al lavoro e al Cantiere, viene deciso di dare il nome di Zelindo a questa barca che viene realizzata per partecipare a regate importanti; Zelindo, infatti, è un lavoratore simpatico, dalla battuta sempre pronta… un personaggio”. Bruno Fezzardi porta questo scafo al quarto posto nel Campionato Nazionale Flying Junior nelle acque di Trieste.

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(16) 04 Capio e Sartori su “Aldebaran VII” ai Giochi Olimpici del 1964.

01. “Kicker”, realizzato dal cantiere Dal Ferro, dominatore della stagione agonistica 1995-96. 02-03. Lo scafo di un Flying Junior Galetti e un altro esemplare in costruzione nel cantiere di Peschiera del Garda. 04. L’equipaggio CapioSartori ai Giochi Olimpici di Tokyo del 1964 con un Flying Dutchman Galetti.

« Due storie parallele che dimostrano la grande capacità dei cantieri nautici gardesani di inserirsi con inventiva e abilità realizzativa in un mondo dove regna l’alta tecnologia » da lui ideate è molto frequente. È vero che la tecnica di progettazione a volte lascia un po’ a desiderare, ma l’esecuzione è sempre di qualità. Vediamo barche come i Dinghy costruite a “scandola”, cioè con assi di legno in parte sovrapposte (analogamente ai tetti), oppure in lastre di compensato marino solitamente per barche a spigolo. Ma la vera rivoluzione è la costruzione in lamellare di mogano a fasciame incrociato a più strati, metodo costruttivo di derivazione militare che detterà legge tra gli scafi con velleità “corsaiole”. È questo un metodo costruttivo utilizzato anche dai migliori cantieri

Ma torniamo alla classe Flying Dutchman. Capio ha già vinto l’importante titolo iridato dei Flying Dutchman nel 1959 a Whitstable in Inghilterra e quindi è uno dei favoriti della Olimpiade del 1964 che per la vela si disputa nella baia di Enoschima. Le barche di Italo in questo periodo vanno forte e spesso Vittorio Porta, che è in possesso di uno scafo Galetti ed è il principale avversario di Capio, si dimostra

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CANTIERI 05. Linee d’acqua di “Zeffiro”, un classe “U” su progetto Fontana-Maletto (cantiere Galetti, 1991). 06. Pianta e sezione longitudinale degli interni di “Aura”, progetto Giovanni Ceccarelli (cantiere Galetti, 1993). 07. Piano dei legni per “LSD”, progetto Andrea Vallicelli (cantiere Galetti, 1982).

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08. Fasi di orientamento del fasciame in lamellare nel progetto Sciomachen per “Kismet” (cantiere Galetti, 1979). 09-12. Fasi di lavorazione all’interno del cantiere Dal Ferro: creazione del modello, posa del fasciame, scafo completato all’esterno, posa delle dorsali interne allo scafo.

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se proveniente dalla IBM azienda allora ai vertici dell’informatica – è tra i primi in assoluto a disegnare una imbarcazione con l’ausilio del computer. Stefini imposta come fattore primario della progettazione il rating – fattore di compensazione dettato dalle regole internazionali per consentire a imbarcazioni a vela con caratteristiche e potenzialità velocistiche diverse di regatare ad armi pari – attorno al quale definisce le linee della barca. Ne viene fuori “Olimpia”, una barca che per le sue forme inusuali (prua affilata, larghezza massima molto arretrata, grande stabilità di forma) viene definita la barca “incinta”: ma è assai veloce e grazie al suo rating favorevole, particolarmente studiato, vince molto. Sul lago di Garda, la tradizione della cantieristica è ben radicata. Sulla costa veronese, in passato era molto conosciuto il cantiere Guarnati di Bardolino per le sue costruzioni di piccoli motoscafi e Dinghy. Ma è a partire dagli anni ‘60 che emergono anche a livello internazionale due cantieri dalla storia particolare e vincente: Galetti a Peschiera del Garda e Dal Ferro a Garda.

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LE BARCHE DA REGATA-CROCIERA: I.O.R. E I.M.S. Galetti inizia nel 1954 con la costruzione in lamellare di mogaCantiere no di piccoli scafi a deriva quali Galetti il Flying Dutchman (lungo 6,05 metri) e il Flying Junior (lungo 4,20 metri). Il progetto di queste imbarcazioni viene dalla lontana Olanda, ma Italo Galetti, il titolare, non è un semplice costruttore: cerca di sfruttare le tolleranze ammesse dal regolamento di stazza di queste barche – che devono essere simili tra loro con piccoli margini di modifica – per porre mano, spesso con l’aiuto dell’amico Mario Vignolo, alle migliorie che ritiene importanti per aumentare le prestazioni velocistiche. Galetti studia nuovi metodi costruttivi, e spesso modifica e mette a punto utensili e attrezzature in commercio per altri usi per adattarle alle sue necessità di lavoro. Riesce a costruire in legno lamellare con la metodologia del “sottovuoto”, sistema allora pressoché sconosciuto, diminuendo notevolmente i tempi di esecuzione rispetto a quei costruttori che ancora incollano i vari strati di legno che compongono lo scafo, facendoli aderire con dei punti metallici. È questa una lavorazione molto onerosa perché i punti, dopo il temporaneo utilizzo, devono essere tolti uno ad uno manualmente impiegando molta mano d’opera. Inoltre i suoi scafi hanno una rigidezza migliore rispetto ad altri, e questo contribuisce assieme alla leggerezza a creare barche da regata con prestazioni straordinarie e vincenti. “Aldebaran VII”, un Flying Dutchman costruito 08 da Galetti con al timone il genovese Mario Capio, Il disegno rappresenta le varie fasi di orientamento del fasciame in lamellare suddiviso in cinque strati adottate per costruire Kismet. Nel cantiere gardesano arrivano e collaborano tutti partecipa ai Giochi Olimpici di Tokio nel 1964. Ma la supremazia del cantiere arilicense è nella i nomi migliori della progettazione nautica internaclasse Flying Junior, dove i suoi scafi vincono per zionale: nomi come Sciomachen, Fontana-Maletanni tutti i titoli nazionali in palio e anche qualche to-Navone e Andrea Vallicelli, il progettista della titolo iridato. Dagli anni ‘60 alla fine degli anni ‘70, mitica “Azzurra”. Alla fine degli anni ’80, per poter stare al passo vince solo chi ha un Galetti. Nel 1974 entra nel cantiere Carlo, figlio di Italo, con le nuove tecnologie che si stanno affermando e negli anni successivi l’attività si apre alla costru- sempre più rapidamente il cantiere cambia sede e si zione di scafi di dimensioni maggiori: a partire dai trasferisce in un fabbricato più idoneo, dove viene 7,50 metri di “Robin” del 1975 fino ad arrivare ai messa a punto la produzione con i nuovi materia13,50 metri di “Stella filante” del 2000. In questa li compositi. Tutto il ciclo produttivo cambia, e si fase troviamo ancora la costruzione in lamellare, e deve ricorrere al metodo costruttivo del sottovuoquasi tutte le imbarcazioni, diversamente dalle de- to unitamente alla tecnologia che prevede alla fine rive realizzate in serie, sono degli esemplari unici della applicazione dei materiali che compongono scafo e coperta una sorta di “cottura” degli scafi a su progetto dei migliori specialisti in attività.

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| LA STORIA |

onda e a bordo l’atmosfera è decisamente deficitaria perché il mal di mare colpisce alcuni componenti l’equipaggio. Jerome si arrangia da solo in pozzetto e quando arriva alla boa di fine bolina per cominciare il lato di poppa, incurante di quello che gli succede intorno, tra lo stupore dei pochi compagni d’avventura ancora indenni, lancia l’ordine “avant le spi” (issare lo spi), che cerca addirittura di portare da solo tenendo il timone tra le gambe e le scotte in mano, anche se il risultato non è dei migliori. Il 1980 viene ricordato come l’anno dell’importante Campionato Mondiale della classe One Tonner a Napoli, 09

(47) L’affilata poppa di Kismet. 10

che tanto interesse sta creando sia nei progettisti che nella cantieristica da regata. Il produttore discografico Carlo Bixio è un appassionato velista e proviene agonisticamente dalla classe Strale. È figlio di Cesare Andrea, autore negli anni ’30 della celebre canzone “Parlami d’amore Mariù”. Ma è conosciuto dal grande pubblico della televisione soprattutto come produttore della famosa serie de “Un medico in famiglia” e de “I Cesaroni”. Bixio per questo importante evento affida il progetto del suo nuovo “LSD”, allo studio di Andrea Vallicelli, che nel 1976, all’età di 24 anni, con gli amici Nicola Sironi e Vittorio Mariani si è messo in luce al Campionato Mondiale Half Tonner nelle

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CANTIERI

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13-14. Fasi di lavorazione di “Stavaganza” all’interno del cantiere Galetti: il sottovuoto dello scafo e la coperta in nomex e carbonio preimpegnato. 15. “Stavaganza” in navigazione sul lago di Garda. 16. Linee d’acqua di “Stella filante”, progetto Luca Brenta (cantiere Galetti, 2000).

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temperatura controllata in appositi locali: una metodologia che porta subito al cantiere buonissimi risultati agonistici. Infatti nel 1991 Galetti raggiunge l’apice del successo quando tre suoi scafi progettati dall’ingegnere ravennate Giovanni Ceccarelli – che sarà uno dei protagonisti del recupero della “Costa Concordia” – conquistano tutto il podio nel campionato mondiale in Grecia. La carriera di Galetti è ricca di successi agonistici, e prosegue con la produzione in serie di barche da regata progettate dagli architetti Umberto Felci e da Luca Brenta, figure importanti nel mondo della nautica. L’ultima sua costruzione nautica è “Stravaganza”, una avveniristica imbarcazione dell’inglese Jo Richards con bulbo (contrappeso antiribaltamento) ruotante, costruttivamente molto impegnativa e difficile da mettere a punto, nata con l’obiettivo di vincere la “Centomiglia”: unico traguardo, però, che verrà precluso alle barche di Galetti. Ora in cantiere ci sono Carlo e la figlia Silvia: non si producono più imbarcazioni ma componenti per l’industria sempre in materiale composito, tecnologia della quale ha raggiunto una grande padronanza ed è tuttora uno specialista.

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Leggermente diversa è la formazione di Gianni Dal Ferro, Cantiere che comincia con la costruzioDal Ferro ne di imbarcazioni in lamellare di mogano di circa 7,50 metri progettate all’interno del cantiere per poi passare a progettisti esterni come gli architetti bolognesi Franco ed Ernesto Sciomachen e l’ingegnere Giulio Cesare Carcano, padre delle moto da corsa Guzzi successivamente convertitosi alla progettazione di scafi a vela. Ma è dai prototipi ancora in lamellare che il piccolo cantiere di Garda ottiene i risultati migliori, con imbarcazioni ai primi due posti nel mondiale 1984 in Grecia. Nel 1986 Gianni Dal Ferro capisce – ed è la sua intuizione migliore in analogia con quanto sta succedendo a Galetti – che nel mondo delle regate ad alto livello il suo modo di costruire tradizionale in legno non sta più al passo con l’evoluzione tecnica, e si mette completamente in gioco sino a cambiare radicalmente la propria tecnologia costruttiva. Nel giro di pochi mesi riesce a passare con ugual successo, se non di più, dal legno lamellare ai materiali compositi, mettendo in acqua barche vincenti come “Ligulé H.T.”, un progetto degli architetti comaschi Fontana–Maletto-Navone che nel 1987 è secondo al mondiale in Olanda dietro “Mannaggia” costruito dall’altro veronese Galetti: salvo poi rifarsi nel 1989 vincendo il titolo iridato in Portogallo. Nelle imbarcazioni in materiale composito, lo scafo e la coperta sono realizzati in sandwich con tessuti di kevlar-carbonio per la pelle esterna e carbonio per la pelle interna. I tessuti ibridi kevlar-carbonio sono utilizzati per le differenti caratteristiche delle fibre: mentre il kevlar offre una migliore resistenza all’impatto, il carbonio conferisce rigidità al fasciame. La pelle esterna è composta da tre strati a cui sono associati rinforzi locali sempre in tessuto kevlar-carbonio. L’anima del sandwich è un nido d’ape sintetico, e la pelle (faccia) interna è realizzata con tessuti unidirezionali di carbonio; tutti gli strati sono resi solidali con resine epossidiche. Ma è del 1988 la vicenda che fa conoscere il cantiere Dal Ferro al grande pubblico della nautica e non solo. Il re di Spagna Juan Carlos, da sempre appassionato velista, durante la disputa del campionato del mondo nelle acque di Marciana Marina rimane

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17-18. “Legnetto” e “Ligulé HT”, imbarcazioni vincenti costruite dal cantiere Dal Ferro impegnate in regata. 19. Il “Bribon” di Juan Carlos, allora re di Spagna, alla prima uscita sulle acque del Garda dopo il varo dal cantiere Dal Ferro.

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colpito dalla bellezza e dalle prestazioni in gara di “Tomahawk”, uno scafo costruito da Dal Ferro. Il re prende le necessarie informazioni e commissiona al piccolo cantiere gardesano la costruzione del suo nuovo “Bribon” con il quale intende partecipare al successivo campionato mondiale. L’importante incarico mette in agitazione il cantiere, e il re promette che sarà presente al varo e proverà la sua nuova barca nelle acque del Garda. La cosa succede puntualmente, anche se il Garda accoglie Juan Carlos in una delle sue tipiche giornate di burrasca mettendo alla prova l’esperto equipaggio del “Bribon”. Ai festeggiamenti della sera con tutti gli uomini del cantiere Juan Carlos si rende come sua abitudine molto disponibile, e prima di accomiatarsi si dichiara encantado dell’ospitalità. L’avventura reale gardesana non termina qui: nel 1996 l’infanta Cristina torna da Gianni Dal Ferro per farsi costruire la sua nuova barca da regata. Due storie importanti quelle di Galetti e Dal Ferro, per certi versi parallele, che dimostrano la grande capacità dei nostri cantieri nautici artigiani – ed anche dei nostri progettisti – in un mondo dove regna l’alta tecnologia, nel quale sono riusciti a inserirsi pienamente pur avendo a disposizione risorse minori ma dimostrando grande inventiva e capacità realizzativa. Una storia che ci mette a confronto con un mondo diverso dall’edilizia, ma dove l’arte del costruire è ugualmente importante.

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Maurizio Cossato a Verona 94

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Testo di: Angela Lion

Un diagramma, due figure: l’architecte e l’ingenieur. Se Le Corbusier ne La Maison des Hommes schematizzava questa apparente contrapposizione come uno stato di tensione tra due poli – l’homme spirituel e l’homme économique – di un medesimo sistema, ci sono figure che pur gravitando su uno di questi pianeti hanno risentito di una attitudine progettuale sempre improntata a una visione globale. Maurizio Cossato, ingegnere, figura qui proprio per questa attitudine, che ha lasciato il segno nella sua lunga, prolifica e ancora operativa carriera. Figlio d’arte – il nonno era pittore – risente del fermento culturale che pervadeva in famiglia. La sua formazione sembra avere già una strada prefissata: nel 1957, una volta ottenuta la laurea

in ingegneria, effettua i primi passi all’interno dello studio del padre Aldo, anch’egli ingegnere. Decide in seguito di fare un passo in avanti per ampliare la propria esperienza collaborando presso lo studio dell’ingegner Galletti, tecnico incaricato alla progettazione dell’autostrada Brescia-Padova, fino a ricercare una propria autonomia rivolta alle grandi opere. S’insedia così presso gli uffici nel settore ‘opere d’arte’ dell’autostrada Brescia-VeronaVicenza-Padova. Sono gli anni degli incontri con i luminari della materia come Morandi, Santarella, Mattiazzo e Krall. Questa operosità lo fa approdare ad una consapevolezza delle conoscenze acquisite che nel 1962 porta all’apertura, assieme all’amico e socio Gianni Meneghini, di uno studio, quello che alla fine degli anni Settanta diventerà Contec, oggi

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una tra le primarie società d’ingegneria. Uomo attento alle vicende politiche e culturali, viene segnato da due episodi importanti che ne delineano il carattere professionale. L’assassinio di Aldo Moro nel 1978 accadeva in una mattina particolare per Verona, in quel momento rimasta senza sindaco. Quel giorno Cossato si trovava a Palazzo Barbieri come segretario provinciale del Partito Repubblicano – allora un piccolo partito con un forte impegno culturale, che aveva una linea moderata filo occidentale ma progressista – per risolvere con la nomina di Renato Gozzi la crisi di giunta. Fu un episodio di grande turbamento a livello collettivo. Il secondo episodio fu il sequestro del generale Dozier nell’autunno del 1982: pochi giorni dopoil sequestro Cossato era in piazza Bra seduto a parlare con l’allora Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini e con Licisco Magagnato. In quell’incontro si discusse sulle strategie da impostare per risolvere lo stato di crisi. La vicinanza a queste due figure, Spadolini e Magagnato, fu determinante per Cossato e in particolare per quell’interesse rivolto all’architettura che sempre lo ha accompagnato. Il Ministero dei Beni Culturali, voluto proprio da Spadolini a partire dal 1974, fu costituito con un grande contributo di impostazione da parte di Licisco Magagnato, che nel 1956, poco tempo dopo il suo insediamento a Verona nel ruolo di direttore dei Musei Civici, aveva dato vita alla

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01. Maurizio Cossato all’inaugurazione del restauro della torre di nord-est di Castelvecchio su iniziativa degli Amici del Museo (1994); sulla destra, studi per il recupero del mastio (2015-2018). 02-03. Opere stradali: viadotto Magrola sull’Autocamionale della Cisa (1972) e viadotto sull’Astico a Piovene Rocchette, Vicenza (1972). 04. Stabilimento Dagnino a Palermo: montaggio delle travi precompresse prefabbricate (1966). 05. Stabilimento Abital a Parona (1968).

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“Consulta”, circolo veronese dell’Associazione Italiana per la Libertà della Cultura. È stato grazie a Magagnato, sottolinea Cossato, che “da giovane ho frequentato con molto interesse le attività del circolo. La Consulta, devo dire, è stata per me motivo di incontri molto stimolanti e formativi, ed è per questo che poco dopo che Licisco ci ha lasciato con alcuni amici abbiamo cercato di mantenere vivo quello spirito attivando l’Associazione Culturale Licisco Magagnato, che per un po’ di tempo ci ha consentito di sognare ancora un passato ormai concluso”. L’impegno con questa associazione, della quale Cossato è stato vicepresidente dal 1988 fino alla fine delle attività nel 1999, ha rappresentato

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06. Cavalcavia di viale Piave a Verona (1973). 07. Stabilimento per scaldabagni Merloni Elettrodomestici a Borgo Tufico, Fabriano (1972). 08. Case a Borgo Roma (1972). 09. Consorzio Ispei per l’industrializzazione dell’edilizia abitativa, con L. Cecchini, L. Calcagni, L. Cenna (1978).

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una parte dell’impegno nella parte più nobile della professione, ovvero quella culturale. Molto rilevante anche l’impegno nelle associazioni professionali: consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Verona e provincia per oltre quarant’anni e presidente per dieci; presidente della Federazione degli Ordini del veneto per oltre sette anni; nel 1966 è tra i promotori del Collegio degli Ingegneri di Verona; fonda il «Notiziario» del medesimo Ordine nel 1983 e ne resta direttore responsabile per ben venticinque anni. In occasione di questa ricorrenza, scrive sull’ultimo numero da lui diretto la storia dell’ingegneria in Italia, nell’area lombardo-veneta e nello specifico a Verona, trattando il tema del dibattito culturale per la formazione delle università di ingegneria e dei rapporti tra le figure professionali degli ingegneri e degli architetti. A questo proposito ricorda il nome del ministro Luigi Rossi, avvocato e giurista veronese esponente del partito radicale storico, che il 24 giugno 1923 fece approvare la legge sulla ‘Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri ed architetti’. Sempre attento alle dinamiche sociali, ricorda tra gli altri episodi come negli anni Ottanta il giornale «L’Arena» di Verona insieme a «Il Giornale di Vicenza» avessero portato in risalto il tema della rivoluzione in Etiopia, evidenziandone le morti per fame e per sete.

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2018 #03


10. Mangimificio Veronesi a San Pietro in Gù, Padova (1974). 11. Molino Valente a Felizzano, Alessandria (1998). 12. Mangimificio Veronesi a Fossano, Cuneo (1993).

Venne formato un comitato presieduto dal professor Barbieri, rettore dell’Università di Verona, per inviare sostegni umanitari; Cossato dopo essersi recato a Roma presso il Ministero degli Esteri per conoscere i metodi di tali operazioni di volontariato ha progettato assieme a Paolo Grazioli, presidente degli ingegneri di Vicenza, un ospedale a Macallè che è stato realizzato gratuitamente. Degna di evidenza un’altra attività culturale nella quale Cossato è sempre non solo presente, ma figura trascinante. La partecipazione al direttivo degli Amici di Castelvecchio – in seguito Amici dei Musei Civici di Verona – prosegue fin dalle

« Io credo che nel confronto tra le culture un ruolo ed uno spazio restino ancora oggi per coloro che hanno fede nel principio di tolleranza, nella critica che continuamente ripropone il dubbio sulle verità acquisite » 10

origini nel 1991; rientra in questo ambito il progetto, con la collaborazione dell’architetto Alba Di Lieto, e la direzione lavori del restauro della torre nord-est del museo (1992-1993), che l’allora presidente degli Amici Giacomo Galtarossa finanziò interamente affidando a Cossato la gestione economica e tecnica del progetto. Da quell’esperienza Cossato ha chiamato a raccolta un gruppo di lavoro composto da una ventina di figure di elevata professionalità – storici dell’arte, storici, studiosi di economia, architetti e ingegneri – per formulare una proposta progettuale sulla ex caserma austriaca di Castel San Pietro, con l’obiettivo di realizzare un Museo della città. Il gruppo ha collaborato attivamente tra il 2001 e il 2002 fornendo a Verona una proposta di massima ma concreta e puntuale, “con tanto di preventivo di spesa”. Inteso come un servizio civile, l’intervento prevedeva anche la sistemazione dell’area a verde prospiciente il Castello, che ha visto Cossato cercare con i suoi collaboratori un dialogo con la Diocesi, proprietaria delle

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aree limitrofe. Nel 2005 questo progetto è stato presentato pubblicamente in un convegno alla Gran Guardia; il tema è stato poi ripreso da varie riviste, non ultima «AV» (nel numero 94, pp. 3839), con la speranza di essere in parte recuperato come stimolo per individuare contenuti oggi inseribili nell’ex caserma austriaca. Più di recente (2015-2018), Cossato ha nuovamente costituito un gruppo di progettazione a prestazione gratuita per il restauro della torre del mastio di Castelvecchio: il team comprende diversi architetti e ingegneri con l’obiettivo di stendere un progetto in tempi serrati necessario per accedere a un bando di finanziamento: obiettivo pienamente raggiunto. In parallelo, un gruppo analogo promosso da Cossato ha lavorato sul tema delle Fantasie per Castelvecchio, che spera di concretizzare un completo sviluppo del museo all’interno del castello: un progetto che attende futuri sviluppi. Ma nel frattempo, l’attività professionale di ingegnere con lo staff dello studio Contec Ingegneria ha compiuto un ricco percorso, segnato da molti cambiamenti: a partire dall’evoluzione del modo di lavorare, con l’informatizzazione delle procedure di calcolo e l’evoluzione del disegno dal tecnigrafo al plotter, fino all’introduzione dei sistemi di qualità e della certificazione. Le ‘opere d’arte’ stradali degli inizi, i ponti e i viadotti, sono

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state affiancate dalla progettazione di edilizia industriale, di strutture prefabbricate sperimentate in cantiere e degli stabilimenti di prefabbricazione, con una ricerca costante sull’industrializzazione dei processi produttivi edilizi. A tal fine sono valsi i numerosi viaggi professionali all’estero, dagli Stati Uniti a Belgio, Olanda, Germania, Svezia, Francia, Polonia, Ungheria. Da queste esperienze nascono progetti come quello per gli stabilimenti Dagnino in Sicilia e Merloni a Fabriano, o come quello delle case di edilizia sovvenzionata a Verona per le quali Cossato si fa promotore di un consorzio con le imprese Mazzi, Marani e Lonardi e comprendente sul fronte progettuale Calcagni, Cenna e Cecchini. Un’energia operativa sempre

13-14. Magazzini Generali nel Quadrante Europa, Verona, con archh. Franco Franchini e Gustavo De Landerset (1989). 15. Proposte costruttive per una scala. 16. MART, Rovereto: progetto strutturale e direzione generale dei lavori. Progetto architettonico: Mario Botta, Giulio Andreolli (1996-2003).

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17. Interventi di consolidamento strutturale per il restauro del Palazzo del Podestà, Mantova (in corso). 18-19. Consorzio RFX Padova, laboratorio sperimentale per iniettori di neutroni, con Arteco (2009): render dell’edificio e il giorno dell’inaugurazione assieme ai nipoti. 20. Interventi sulle murature nella Sala del Mosaico di Castelvecchio, con Filippo Bricolo (2016).

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finalizzata a una ricerca per il miglioramento della qualità di vita, sia alle prese con grandi opere come i nuovi Magazzini Generali di Verona al Quadrante Europa, o come le fabbriche e le opere portate a termine per gli industriali del nostro territorio e non solo, sia quando si trova a lavorare a contatto con progettisti di fama internazionale come per la progettazione strutturale e la direzione lavori del MART di Rovereto, compreso il restauro delle residenze storiche limitrofe. Il fiore all’occhiello: la gara vinta assieme ad Arteco per il laboratorio sperimentale per la realizzazione del primo reattore nucleare a fusione, inaugurato a Padova a giugno 2018. È il risultato del lavoro del consorzio RFX che riunisce CNR, ENEA, Università degli Studi di Padova, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Acciaierie Venete

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impiegati nelle attività di ricerca nel campo dei plasma da usare per la fusione; anche in questo caso, Maurizio Cossato ha dato prova di mettere continuamente in discussione le proprie attitudini, scandagliando percorsi professionali in continuo divenire. Lasciamo spazio in conclusione alle sue stesse parole, pronunciate qualche anno fa: “Un dilemma di ciò che è alla base di ogni scelta nel campo delle azioni che promuovono la scienza, la ricerca, lo studio. […] Io credo che nel confronto tra le culture che si ispirano ai grandi messaggi ideologici, alle visioni religiose, ai sistemi unitari, un ruolo ed uno spazio restino ancora oggi per coloro che hanno fede nel principio di tolleranza, nella critica che continuamente ripropone il dubbio sulle verità acquisite”.

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UN PILASTRO PER LE ARTI

{DiverseArchitetture}

Artfarm è un evento giunto alla diciassettesima edizione che unisce architettura, paesaggio e arte in una corte rurale immersa nella bassa veronese

Testo e Foto: Irene Meneghelli

Nome artfarm pilastro Luogo pilastro di bonavigo (verona) AttivitĂ laboratorio artistico Contatto www.artfarmpilastro.com

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01. La villa padronale: sul fronte la scultura Luce dall’universo di Beni Altmüller. 02. Esposizione fotografica negli annessi della casa padronale. 03. Opera in bambù di Marco Polazzo. 04. Pochi gradi di separazione quadrato di mare, installazione di Meri Tancredi e Piero Chiariello.

Quale luogo può essere più suggestivo

di un’antica corte rurale per ospitare

una residenza per artisti? Lontana dai

centri urbani, una terra la cui desolazione può giovare alla creatività: ci troviamo a Pilastro di Bonavigo, frazione del

piccolo centro abitato che nasce sulle

anse dell’Adige, 40 km a sud di Verona.

La disposizione isolata del nucleo di Ca’ Ottolina è rappresentativa dell’antico

utilizzo delle corti di campagna, piccoli

“villaggi” abitati dai proprietari terrieri e dai loro lavoratori per dedicarsi all’agricoltura. L’accesso avviene

attraversando un lungo viale alberato di

pioppi cipressini che lascia intravedere i

campi circostanti, prevalentemente coltivati a mais: l’orizzonte è basso e lontano, tipico

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per chi è abituato a vivere in pianura. La casa

docente e critico d’arte: “La sfocatura è

si presenta immersa nelle alte alberature,

dell’immagine. Diminuzione generata tra

padronale seicentesca, con i suoi annessi,

che formano una cornice rendendola isolata

dall’intorno. Le antiche stalle, il granaio, il fienile, racchiudono in una “C” il grande spiazzo dove si giunge dal viale alberato: saltano subito all’occhio le prime opere, reduci dalle scorse edizioni di Artfarm

Pilastro. Una scultura in corten si scopre essere un’opera nata per essere abitata, una “residenza d’arte” per una gallina;

diminuzione della nitidezza, della chiarezza troppa lontananza o eccessiva vicinanza. È perdita di cornice per opacità delle forme

che rinunciano ai loro confini definitori per

farsi tutto integrato nel tempo e nello spazio dell’altro. Sfocatura non è solo spazio di una

condivisione incerta che vibra di impalpabile tremore esistenziale ma è anche rischio

di oblio, passaggio dal presente alla memoria.

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una composizione in bambù gialla, Luce

dall’universo di Beni Altmüller, irrompe

nell’ampio proscenio come un vero e proprio meteorite, illuminando la facciata.

L’artefice di questa iniziativa fu nel 2002

Umberto Polazzo, proprietario della corte, che si occupò del restauro di parte degli

edifici e ospitò alcuni artisti provenienti dall’Austria: da allora la manifestazione si ripete ogni anno per alcuni giorni, in procinto dell’estate. Polazzo, anch’egli

artista, si è trovato a ricoprire il ruolo di mecenate incrementando ogni anno il numero di partecipanti e le loro provenienze. Il

tema su cui sono stati invitati a riflettere gli artisti di quest’ultima edizione è

“SFOCARE”, con la curatela di Simone Azzoni,

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{DiverseArchitetture} Sfocare è allontanare nel tempo generando

la distanza che non visualizza ma ottunde le oggettive condizioni di esistenza. Sempre più la sfocatura si dà come condizione di

sopravvivenza poetica in un presente dinamico che oscilla tra il non esser più e il non sapere dove”.

Un tema molto vasto, adatto ad essere

declinato da varie forme di espressione:

arte, scultura, fotografia, scrittura. Gli

artisti, quest’anno trentasei, sono chiamati a interagire con i vari spazi della corte:

molte delle opere sono site specific, mentre le esposizioni di quadri e fotografie avvengono nei locali della villa e negli annessi. La

serata inaugurale è ricca di performance e

opere pensate per essere viste con l’oscurità. Tale è il buio che è quasi disorientante,

ma al tempo stesso necessario per aumentare la suggestione: le persone si riconoscono a

fatica, sono sagome anch’esse sfocate, mentre l’incontro con le opere diviene rivelazione. Tra gli alberi sul retro della villa,

la voce narrante di Margherita

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Sciarretta, accompagnata dalle note di Alberto Brignoli, si

fonde con la musica sperimentale di Alberto Gaio, circondati da sculture illuminate tra

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le quali la struttura quasi

geodetica in bambù di Marco

Polazzo. Uno scorcio tra le masse d’alberi accoglie Pochi gradi di separazione quadrato di mare,

installazione di Meri Tancredi

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e Piero Chiariello: l’orizzonte

è improvvisamente azzurro, reso

ancor più luminoso dal cielo nero. L’unico punto luce, in lontananza,

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il timpano bianco di Villa Brena, sembra una

Linthout, fotografo della nostra rivista.

Una connessione visiva tra gli esterni

edificio anticamente adibito a stalla: il

luna in procinto di sorgere.

avviene attraverso le aperture disposte

linearmente del salone della villa, che, come le sale laterali, ospita numerosi

quadri e fotografie: tra queste ultime il

progetto Le città del silenzio di Lorenzo

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Proseguendo all’esterno si giunge al grande porticato anticipa un’ampia sala vuota

scandita dalla ripetizione di piccole finestre e dalla travatura lignea del solaio. Tiziano Bellomi, accanto a una sua opera dell’anno

precedente, la grande scritta su muro Plan

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a revolution, crea l’installazione Tutte le frasi sono celebri: una serie di acrilici a

parete simulano dei manifesti che ripetono, diventando quasi provocatori, “Mettere a

ferro e fuoco”, “Una vita sfocata”, “Non me ne

frega un cazzo”, “Brucia la casa”, “Nebbia nel cervello”.

Nell’avanzare in questo percorso ritmato

da buio e luce si intravedono gli essiccatoi

del tabacco: due grandi manufatti in laterizio si ergono di fronte ai silos adibiti a

depositi, in cui vengono proiettati dei video. Grazie all’olfatto affinato per l’oscurità, si percepisce subito il profumo del tabacco: nonostante essiccare le foglie appese in

mazzi accendendo piccoli fuochi non sia più una pratica diffusa, Ca’ Ottolina mantiene viva l’antica tradizione. Le alte scatole affumicate ospitano alcune performance:

Maurizio Zanolli, pittore e scenografo,

dipinge in diretta, mentre Jhafis Quintero e Cecilia Peire in Asfixia diventano due corpi che arrancano dentro un lenzuolo bianco, in cerca di ossigeno; Lawren Spera

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in Nosociation (Nessun nesso)

costruisce un grande alone di

luce dai bordi sfocati, lasciando

intravedere alle pareti i mattoni anneriti per la fuliggine. La

cupola rossa di Umberto Polazzo è Omaggio a Hieronymus BoschIl Giardino delle Delizie: la struttura metallica esterna

riprende il disegno della cupola interna mantenendo il vuoto

concentrico, simulando quasi un tempietto rinascimentale.

La concentrazione di arte è

tale che accresce nel visitatore la voglia di partecipare alle

opere e continuare a cercarne,

così come un fotografo potrebbe

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impazzire nel voler catturare le numerose

inquadrature che si vanno a creare: ad Artfarm tutto si trasforma in arte, le opere si

fondono con l’architettura e con il paesaggio, la vegetazione, la notte.

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05. Proiezione dei video selezionati da Ugo Brusaporco negli spazi dei silos. 06. Spazi espositivi negli annessi della villa: sul fondo un quadro di Iolanda Martini. 07. Asfixia,performance di Jhafis Quintero e Cecilia Peire all’interno di uno dei due essicatoi.

08. Omaggio a Hieronymus Bosch-Il Giardino delle Delizie” di Umberto Polazzo. 09. Tutte le frasi sono celebri di Tiziano Bellomi all’interno delle stalle. 10. Stalle, granaio e fienile sul retro della corte. 11. Il manifesto della XVII edizione di Artfarm Pilastro.

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Oltre il bancone

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Verona Testi: Leopoldo Tinazzi e Filippo Romano

“Mobile chiuso dal lato anteriore usato nei pubblici locali per servire i clienti”: questa la definizione da dizionario del bancone, oltre il quale c’è molto altro a caratterizzare bar e ritrovi gastronomici. Ne diamo conto in questo itinerario incentrato in buona parte sulla città antica e su Veronetta, dove la densità di locali è in costante crescita. Realizzati tutti negli ultimi tre anni, sono stati selezionati sulla base di un criterio qualitativo e con l’obiettivo di mostrare locali diversi per anima e ispirazione. L’incontro con i gestori ha rivelato come la ricerca di atmosfere e ambientazioni sia stata stata in tutti i casi un punto di partenza imprescindibile dall’offerta eno-gastronomica. In alcuni interventi la mano dell’architetto è evidente, in altri ha assunto solo un ruolo di consulenza soprattutto per gli aspetti strettamente tecnici e burocratici.

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L’architettura di questi interni mostra una tendenza al recupero delle strutture esistenti, soprattutto per quanto riguarda murature a vista e pavimenti. Questo atteggiamento è sicuramente comprensibile in una città come Verona ricca di stratificazioni, ma è anche sintomatico di un generale cambio di approccio e di gusto rispetto ai primi anni Duemila (e di una probabile riduzione dei budget). Numerose sono le influenze da esempi posti in città come Parigi, Londra, Los Angeles o Copenaghen; di questo internazionalismo l’aspetto più evidente è la disinvoltura con cui vengono accostati grezzo e finito, oltre che la sprovincializzazione di materiali ed elementi accessori. Ognuno di questi locali rappresenta comunque un microcosmo a sé, in cui l’avventore troverà una storia nella quale sarà difficile non immedesimarsi.

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1 SCIO RUM arch. Matteo Maria Savoia Masaii studio

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San Giorgio, un bar che fa quartiere a sé. Un locale dall’anima forte, rinnovato in occasione del passaggio di consegne tra i genitori e la figlia Margherita. è difficile stabilire se la volta in mattoni tra sala d’ingresso e saletta interna fosse un approdo per barche o un normale portone su strada, ma si coglie la profonda stratificazione del luogo che Savoia ha voluto mettere in evidenza. Oltre questo lavoro di ripristino, che ha riguardato anche il bel pavimento in seminato, lo spirito dell’intervento è stato quello di creare una galleria di ambientazioni. Allo scenografico bancone modanato in legno laccato nero sono affiancati arredi e lampade di modernariato mentre nella saletta inferiore la replica di appliques ottonate di Stilnovo illumina la carta da parati jungle ripresa da un hotel di Beverly Hills degli anni ‘50. Si continua a respirare l’aria internazionale che ha sempre caratterizzato questo bar, con un po’ di storia in più.

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2 ZIGA arch. Mario Bellavite - Arcade Montmartre, Parigi, fine ‘800. André Gill, celebre caricaturista, dipinge l’insegna di un cabaret famoso per le foto segnaletiche di pericolosi killer sulle pareti: un coniglio che scappa da una pentola, da cui il soprannome del locale, Lapin Agile. è a quelle atmosfere che Giovanni Motta, il gestore, ha chiesto allo studio Arcade di ispirarsi. Il coniglio è finito nel logo del locale ed è la sola forma in si può trovarlo

(la cucina è vegetariana). A fargli compagnia ci sono gli altri animali che banchettano nel grande dipinto posto a fianco del bancone. Il progetto ricrea la sensazione di essere all’interno di un mercato, dove la frutta e la verdura sono esposte. Il legno e le piastrelle azzurre, che dal banco si estendono anche ad alcune pareti, richiamano un immaginario perfettamente aderente alla proposta culinaria. Gli arredi “trovati” e i tubolari in ferro nero si adattano perfettamente all’atmosfera di un laboratorio: di cucina e d’arte.

3 Così è arch. Roberto Nicolis Nato dall’idea degli imprenditori Fabio Foroni e Nicola Tapparini, si trova in una zona centralissima ma defilata. Da qui la sorpresa per chi ne varca la soglia: un dinner club su due piani ricavato all’interno di un’ex chiesa. Un altro mondo, fuori dal tempo e dalle mode. Ma non sono tanto le preesistenze a determinare questa sospensione: una composizione onnivora le ingloba assieme ad ingredienti di magia e stupore presi da ogni epoca, in una fusione tra arredi di modernariato e interventi su misura per ogni elemento fisso – i banchi bar del primo e del secondo livello, la grande libreria del primo piano, l’illuminotecnica, i rivestimenti a parete, il pavimento e le tappezzerie – in una scenografia in cui è impossibile distinguere il nuovo dall’antico. Tutto sembra esserci sempre stato e pare che questi ambienti siano stati frequentati da una popolazione di bohémien nella quale è naturale immedesimarsi.

4 BLOOM arch. Enrico Pasti Piazza Erbe, un must della vita notturna veronese. Gli affitti sono alti, e infatti l’allestimento del locale è stato completato in soli 22 giorni. Un palazzo storico in cui l’esistente poteva dire molto e che l’architetto ha fatto parlare non solo rimuovendo i precedenti strati di ristrutturazioni, ma abbinandogli scelte che dialogano fluentemente con il (rinnovato) stato di fatto. Pasti parla di déco industriale, riferendosi all’aspetto decorativo (tendaggi, rivestimenti e parte degli arredi) e a un carattere più essenziale (murature e impianti a vista, cemento). In contrasto con lo sfondo genericamente grigio o materico, le accensioni cromatiche sono concentrate su precisi elementi a cui danno un effetto di rilievo tridimensionale. Da segnalare due

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intuizioni spaziali: il recupero del corridoio retrostante il bar come saletta privé e il rivestimento del bancone esteso sul muro d’appoggio.

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ZOO’E arch. Mirko Scaratti

THE SODA JERK arch. Nico Sandri

Un approccio ironico è alla base di questo progetto: tutti siamo animali - chi è muto come un pesce, chi è un leone o una pecora, chi è lento come un elefante, chi gufa e chi si pavoneggia... - quindi il posto adatto a contenerci è uno zoo. Da qui il tema delle fotografie esposte in tutto il locale, composto da una sala a livello strada e con il bar e altre tre sale interne su livelli diversi. Nella zona bar il bancone è senza pedana, per porre sullo stesso livello avventori e baristi; sulle scaffalature modulari sono esposte centinaia di bottiglie. Il tema zoologiconaturalistico è stato sviluppato anche per l’arredo: solo materiali puri come il legno di quercia massello dei tavoli, la pelle di bufalo delle sedute, la terra delle nicchie e l’acquacoltura che tiene in vita le piante di potus aggrappate alle pareti. Il contesto, un ex cantina con murature faccia a vista, è valorizzato da queste scelte, che creano un ambiente lussuoso ma informale.

Entrare al Soda Jerk è come entrare in una casa: bisogna suonare. Lo speakeasy è tornato di moda negli ultimi anni ed è stato portato a Verona dai gestori Claudio Perinelli e Thomas White, che hanno scommesso sull’unicità della proposta e sulla ricerca nei cocktails. Il locale ha due sale, una con il bancone e l’altra con i tavoli. Il progetto è nato dalla pianta e solo successivamente, a saggi effettuati, ha preso forma in termini di finiture e arredi. La scelta è stata quella di fare un passo indietro rispetto alle preesistenze e di lasciare muri e pavimenti originali dove possibile, con innesti di intonaci cementizi e resine. L’attenzione è stata indirizzata sul bancone gioiello, con fronte in foglia d’oro e top in marmo Verde Alpi, lo stesso dei tavoli. Tutto il resto è nero. L’atmosfera è enfatizzata dall’illuminazione, incentrata sui muri a vista, le bottiglie, l’oro del bancone. Un esempio dell’attenzione al dettaglio: gli sgabelli che circondano il bancone sono fissati a terra con lo scopo di tenere i faretti centrati sui cocktail serviti. Il Soda Jerk è un interno dall’approccio maturo e oggettivo, affidato ai chiaroscuri di luci ed ombre.

7 GRANDE GIOVE arch. Sara Marini, Giovanni Marini Un bar piccolo, gestibile con semplicità, con una vetrina e un’insegna su strada. Questi i requisiti dello spazio che Giovanni Marini cercava per aprire la sua attività. Aveva le idee molto chiare: dopo aver vissuto qualche anno a Copenaghen, voleva ricrearne le calde atmosfere degli interni. Oltre all’impostazione di colori e arredi anche il layout è stato curato personalmente dal gestore. Due nicchie esistenti suggerivano la distribuzione degli spazi, con il bancone sul fondo e due salottini divisi tra una nicchia con la parete dipinta color bordeaux e l’altra dietro al bancone, nella quale le bottiglie con i loro riflessi emergono dal muro completamente nero. Questo è l’elemento più forte del locale: un fondale oscuro che sembra aprirsi su una notte perenne, amplificando notevolmente il piccolo spazio. La sera, oltre ai colori delle pareti, a scaldare l’atmosfera sono le luci pendenti moltiplicate dagli specchi di una strobosfera.

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8 DOLCIARIA CANTONUCCI arch. Andrea Masciantonio, arch. Luisa Masciantonio L’atmosfera del Cantonucci ricorda l’immaginario dei bar di quartiere degli anni ‘50-60: un posto in cui bere, mangiare e acquistare prodotti gastronomici. Il locale è composto da una sala con un lungo bancone disposto longitudinalmente e da due salette interne. Fin dall’ingresso lo sguardo viene catturato dai ripiani con ampolle in vetro che contengono caramelle, cioccolatini e pastiglie, oltre che dalla vetrina con le preparazioni della piccola cucina a vista. Una coloratissima serie di immagini a cui si aggiungono i colori del bancone, il cui rivestimento è una composizione di laminati apparentemente astratta: se infatti la si guarda dalla soglia d’ingresso si ricompone l’immagine in anamorfosi di tre coppe da cocktail. Il tutto è completato da arredi basic, lampade pendenti di varia tipologia e oggetti vintage. Un ambiente che potrebbe ispirare un interno cinematografico di Wes Anderson, grazie al suo spirito rétro ma autentico.

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6 DUCHI CAFè Porta leoni arch. Enrico Pasti Duchi Café è una catena di bar presente in tutta Verona. Questa location rappresenta però un caso particolare per l’alto contenuto di storicità del contesto, in un palazzo storico incastrato tra l’Adige, San Fermo e Porta Leoni. Sulla soglia si nota subito come la pavimentazione in pietra di Prun del marciapiede entri nel locale senza interruzioni. Una volta entrati, lo sguardo è catturato dal colore azzurro delle pareti, scelto da Enrico Pasti – progettista di tutti i Duchi – per incorniciare e far risaltare le tracce di affresco presenti. Anche questo lavoro riprende l’approccio déco industriale di Pasti, con un ricco pattern vintage sul fronte del bancone, a sua volta finito da un top in legno chiaro listellato in diagonale. A questi elementi decorativi si affiancano oggetti più grezzi come le due bocche di areazione in lamiera che spuntano dal retrobanco. Nella sala secondaria sono accostati arredi e tendaggi in velluto ai muri in sasso a vista, continuando il gioco di contrasti della sala principale.

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SPEZIALE arch. Massimo De Boni, arch. Martina Ferrari

ALBACARO arch. Andrea Grigoletti Albacaro nasce dal sogno di esportare la tipica forma veneziana dell’ombra e del cicchetto: qualcosa che necessitava una forte caratterizzazione. La sfida principale è stata quella di ricreare Venezia senza cedere al souvenir e alla caricatura ma con molti essenziali elementi, avvalendosi di qualche fortunata presenza come la cancellata in ferro battuto che divide la sala al piano superiore, la colonna centrale e il soffitto a travi. Decisive sono state due idee: avere un rapporto diretto con la strada, grazie ad ampie vetrine apribili, e soprattutto il trattamento delle pareti, scrostate e trattate a intonaco grezzo. Queste sono state corredate di indicazioni (linzioi) e massime in dialetto veneziano. L’atmosfera che si crea è quella di un esterno tra i muri di un campo o di una calle. Questo effetto è sottolineato anche dall’illuminazione, che attraverso preziosi elementi bronzati e appliques a bulbo, crea un ambiente di luci ed ombre, seducente e piacevolmente disorientante. Il locale comprende anche una sala nel piano sotterraneo, dove si tengono concerti jazz.

Viaggiare e riscoprire antiche ricette da ogni tradizione: questo è lo Speziale. E la storia dei lavori che hanno portato questo bar al suo stato attuale è la storia di una riscoperta. Tant’è che il reperto più antico trovato durante i lavori è stato incorniciato ed esposto: una prima pagina de L’Adige (quotidiano veronese storico) del 21 Settembre 1919. Gli architetti hanno guidato i gestori, Ilaria Beltrami e Roberto Nicolino, nell’unire tre unità immobiliari separate, spogliarle dalle precedenti stratificazioni e riportare alla luce lo stato originario degli ambienti. A legarli assieme è proprio questo aspetto sfaccettato e spontaneo, oltre che la presenza di o di recupero. Addirittura nella sala interna si trovano delle cremagliere con espositori da supermercato, in un efficace dialogo tra opposti con le travature in legno del soffitto e le raffinate terre colorate delle pareti.

12 ACCADEMIA arch. Elia Perbellini, Enrico Girotti Perbellini e Girotti, rispettivamente architetto e designer, hanno passato anni a suonare in un gruppo hardcore-punk, con numerosi concerti in tutta Europa. Non potevano trovare un committente migliore che Davide Zambelli, barista appassionato di rock e skate. Pur rimanendo un ambiente sobrio con un chiaro design, l’Accademia ha in sé l’essenza dello street bar underground, che emerge da tre elementi: il tema cantieristico (bancone e illuminotecnica sono realizzati con elementi di edilizia comune), il contenitore neutro (essenziale come un garage vuoto) e l’apertura totale degli infissi su fronte strada (come la saracinesca di un magazzino). In particolare il bancone è pensato come un monolite, composto da un paramento di mattoni pieni che creano un pattern grafico di ispirazione bizantina e un forte senso materico. Attorno ad esso, in un contenitore ridotto all’osso, sono

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disposte alcune sedute della serie “Piega”, progettate da Girotti a partire da uno studio sulle potenzialità del filo metallico.

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13 ONGARINE CAFFè arch. Francesca Castagnini, arch. Andrea Grigoletti

gesso sulla parete finestrata, predisposte per esposizioni d’arte e fotografia. Il coloratissimo seminato del pavimento è stato mantenuto e recuperato.

Il monte Ongarine divide Avesa da Quinzano. Qui, in un passaggio a gomito tra la piazza e la Chiesa si trova questo caffè, dove seduti a un tavolino Francesca Castagnini ci racconta che il progetto si è posto l’obbiettivo di ricreare un ambiente domestico. Da qui la scelta ad esempio del tavolo da pranzo rotondo al centro della sala, che divide zona bar e zona salotto, in cui sono presenti vari elementi di arredamento domestico. Il legno chiaro naturale del tavolo richiama un’estetica scandinava, impostata sulla sobrietà e sulla luce, così come il morbido pattern geometrico del banco e le cornici in

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I vantaggi delle case in legno

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Edil Rapid: professionisti delle case ben fatte ad alta efficienza energetica Da più di vent’anni Edil Rapid è l’impresa che dà forma ai sogni di chi desidera una casa a propria misura. Da oltre un decennio, Edil Rapid si è specializzata nella costruzione di case in legno. Mirco Perina, fondatore e titolare dell’azienda, è artigiano CasaClima e costruisce secondo i principi di questo metodo. Il punto di partenza della filosofia Edil Rapid è che la Natura sa fornire la migliore protezione e che il legno, utilizzato in modo intelligente, sa proteggere la salute di chi ci abita. Edil Rapid costruisce case in legno massiccio. Una casa in legno garantisce una maggiore sicurezza sismica perché una struttura in legno è più leggera ed elastica di una in muratura, quindi più resistente alle scosse.

Una costruzione in legno offre anche un miglior isolamento termico, protegge meglio sia dal caldo in estate, che dal freddo in inverno. Ma un’abitazione in legno di Edil Rapid sa fornire anche un miglior isolamento acustico perché il legno massiccio trasmette pochissimo le onde sonore rispetto alle costruzioni tradizionali in muratura. Nel complesso, le case in legno garantiscono un ambiente sano e anallergico ed Edil Rapid assicura tempi di costruzione certi. Non ci sono sorprese per il committente perché ogni materiale è testato e la squadra di cantiere è esperta e qualificata.

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Una storia incisa nel legno si misura con il futuro Nuovo centro pavimenti Serugeri: uno spazio al servizio di chi progetta impianto di riscaldamento a pavimento. C’è poi la proposta di pavimento di ultima generazione, l’LVT, con una composizione innovativa, dallo spessore minimo e la massima resa: è particolarmente resistente all’abrasione, all’elevato calpestio ed è consigliato in ambienti umidi. Si possono poi trovare tutti i complementi (battiscopa, profili, materassini sottopavimento) in abbinamento. Il tutto sempre con un occhio puntato al fattore ecologia: tutti i prodotti sono composti da materiali provenienti da foreste certificate e sono ad emissioni zero. Serugeri incoraggia un’ottica di scambio reciproco: architetti e interior designer possono utilizzare questo spazio per visionare e abbinare i materiali insieme ai propri clienti. Ma possono anche prenotare lo spazio (dotato di zona proiezione) per esporre tematiche legate al proprio lavoro o proposte culturali e artistiche in una cornice di continuo dialogo per costruire insieme un futuro proficuo.

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Serugeri, realtà primaria del panorama imprenditoriale veronese, dal 1952 ha fatto del legno il cardine e il cuore del proprio lavoro. L’attenta selezione dei prodotti porta l’azienda ad evolversi e ad ampliare continuamente l’offerta tradizionale, integrandola di anno in anno con materiali all’avanguardia (ad esempio gres porcellanato o solid surfaces). Da qui l’esigenza di creare il nuovo showroom in cui il cliente, oltre alle tradizionali superfici in legno, trova materiali sempre più avanzati, tra cui anche i pavimenti. Il personale Serugeri accompagna i clienti nella ricerca consigliando il pavimento dalle caratteristiche più idonee per ciascuna area di applicazione: uso residenziale, commerciale e industriale. I pavimenti vanno dal tradizionale parquet proposto però in chiave sempre attuale e moderna, passando poi per il versatile pavimento melamminico proposto in numerose varianti e spessori posabili in diverse situazioni, ad esempio su pavimenti già esistenti o dove è presente un

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Gios System: modularità semplicità flessibilità

IL SISTEMA GIOS IN TUTTI I SUOI COMPONENTI

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Un canale, giunti angolari ad L e a T, moduli luce autonomi e facilità di incastro e montaggio: questi gli elementi del sistema Gios di Forall CANALE COMPONIBILE La configurazione del sistema Gios parte dal canale, elemento modulare in alluminio che serve da supporto agli altri componenti del sistema. I vari elementi si uniscono tra loro attraverso i giunti lineari che consentono di creare, grazie all’aggiunta dei moduli luce, file luminose potenzialmente infinite. Il sistema è caratterizzato da geometrie pulite ed essenziali e grazie alla possibilità di scegliere tra le finiture bianco opaco, nero opaco e alluminio anodizzato, è in grado di soddisfare ogni esigenza, integrandosi perfettamente in ogni contesto.

IL GIUNTO Il giunto a L ed a T hanno una duplice funzione: quella meccanica di unione tra i due canali e quella elettrica che permette, attraverso morsetti fast, il cablaggio dei moduli luminosi. Grazie a questa tipologia d’innesto rapido viene garantita la continuità di corrente tra un modulo e l’altro riducendo considerevolmente il tempo di installazione.

SNODI E ACCESSORI Il sistema Gios è in grado di soddisfare ogni nuova esigenza di luce. Grazie ai giunti angolari ad “L” e a “T” è possibile seguire sia le esigenze illuminotecniche che quelle architetturali con la massima flessibilità. Ciò che si ottiene è una configurazione perfettamente integrata nell’architettura. SEMPLICITà DI INSTALLAZIONE La carta vincente del sistema d’illuminazione Gios è la praticità di installazione. Una volta installato il canale e fissate le sospensioni di sicurezza basterà inserire il modulo luce esercitando una semplice pressione. Il canale e il modulo luce si uniscono con rapidità, senza l’utilizzo d’ utensili e in maniera sicura, il corretto fissaggio si vede e si sente, basta un click! POTENZA E SEMPLICITà D’USO La potenzialità d’impiego del sistema Gios, parallelamente al modulo luminoso si amplia con il modulo faretto: elemento compatto e minimale che si integra in continuità con gli altri componenti. È composto da tre faretti con snodo orientabile che consente la rotazione sia sull’asse verticale che su quella

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L L

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orizzontale. Il modulo si presenta completo d’ alimentatore e cablaggio, pronto per l’installazione su canale.

CONNESSIONE La velocità di installazione dei moduli senza l’utilizzo di strumenti va di pari passo con la rapidità di connessione. Ad un’estremità del profilo è installata una schedina elettronica che semplifica la fase di cabloaggio ed offre la possibilità di tre accensioni oltre alal linea DALI ed una di emergenza. Ogni fase ha una capacità massima di 4,5 A. PRESTAZIONI TECNICHE I moduli luce sono stati progettati per rispondere alle più svariate esigenze illuminotecniche: grazie alle diverse ottiche è possibile scegliere quella più adatta al contesto, che sia di vendita, ad uffici, industriale o privato.

GIUNTO LINEARE accessorio di collegamento

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INNOVAZIONE DEL SISTEMA Il plus innovativo di Gios System è la sua matrice luminosa, concepita per dare semplicità e modularità all’intero sistema. Si presenta come elemento autonomo e modulare dalle dimensioni compatte. L’opera di innovazione si è concretizzata nella facilità d’incastro sul canale, nell’intercambiabilità delle lenti lineari a seconda della luce desiderata e nella presenza di una scheda elettronica per facilitare la selezione della linea elettrica. Disponibile in tre misure (224, 168 e 112 cm) per adattarsi alle varie esigenze progettuali.

GIUNTO A T

GIUNTO AD L

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House of cars IdealPark ha installato nel nuovo hotel di Bardolino un ascensore per auto che ottimizza lo spazio di parcheggio eliminando l’ingombro della rampa

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Il luogo Bardolino è una delle principali destinazioni turistiche sul Lago di Garda: un villaggio affascinante e pittoresco in un contesto paesaggistico unico a soli 30 km da Verona, dove il rinnovamento dell’architettura è un valore condiviso e riconoscibile. Un fenomeno esteso dagli spazi pubblici, come il lungolago, alle residenze private ma soprattutto alle strutture turistiche e ricettive, motore trainante dell’economia del luogo.

L’architettura L’hotel MaisonMe si trova sul Lungolago Cipriani. è il racconto di un luogo ai piedi di colline tappezzate di vigneti e uliveti, sospeso tra vicoli storici e panorami tra il cielo e la riva del lago di Garda. MaisonMe: due parole unite – una francese e una inglese – per indicare una rottura rispetto agli schemi di ospitalità tradizionali. Un unico concetto: una casa (Maison) calda e accogliente per offrire un’esperienza il più possibile personalizzata (Me). Questo boutique hotel, un gioiello che fonde arte e design, esprime la quintessenza dell’ospitalità: sentirsi a casa, liberi di servirsi o essere serviti. Liberi di condividere, o godere della massima privacy. Il progetto architettonico è stato realizzato dall’architetto Michele Irlandini, il progetto di interior design è dell’architetto Alice Piubello.

L’ascensore per auto IdealPark ha realizzato per l’hotel l’ascensore per auto Mod IP1-CM FF42: un elevatore invisibile, con il tetto di copertura rivestito nei toni e materiali della pavimentazione interna ed esterna dell’hotel. L’impianto garantisce la sicurezza e la privacy delle vetture degli ospiti che vengono trasportate nel garage al piano interrato. Nessuno spazio viene perso per realizzare la rampa, garantendo i posti auto per gli ospiti dell’hotel. Quattro colonne situate agli angoli della piattaforma agevolano l’apertura delle porte

della vettura; le luci a led sul perimetro e il tetto telescopico fanno sì che l’impianto si inserisca armonicamente sia nei confronti dell’architettura che del contesto urbano. Installare un ascensore per auto è una soluzione ideale per hotel e dimore private, dove si desidera risparmiare lo spazio dedicato alla rampa destinandolo a giardini o cortili, ottimizzando lo spazio di parcheggio al piano interrato.

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Pietre naturali per raccontare una storia straordinaria

01. La cucina illuminata dall’ampio bovindo con i piani di lavoro in marmo Paonazzo. 02. Il camino con la cornice in marmo Paonazzo. 03-05. Il bagno con le specchiature a macchia aperta in marmo Panda White.

Un raffinato progetto di interior design abitativo con il contributo di Marmi Regina®

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Marmi Regina® è un’azienda che da sempre accompagna il cliente nella scelta del materiale più adatto, nella progettazione e nel realizzo di opere di prestigio in marmo e pietra naturale. Ogni opera è progettata secondo unicità ed accuratezza del dettaglio indipendentemente dalla scala di realizzazione: si passa da progetti di architettura di grande scala in ambito di edilizia privata e pubblica all’interior design e al design di oggetti con estrema flessibilità. Il marchio Regina® si pone come supporto per architetti e designer per il confronto di idee e nuove strategie per la propria espressione di carattere Made in Italy. In virtù dell’ingegno e delle tecnologie avanzate a disposizione delle migliori realtà del settore, Regina® ha un

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approccio di carattere artigianale e del ‘fatto su misura’: in questo modo lavorazioni avanzate ed elevate capacità produttive possono creare valore aggiunto alla materia che prende forma. Come nell’esempio mostrato in queste

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pagine: si tratta di una delle ultime realizzazioni poste in opera da Marmi Regina® per una prestigiosa abitazione in Francia, portata a termine nel corso del 2018. Il progetto di interior design ha previsto nella zona giorno un nuovo camino definito da una cornice in marmo Paonazzo, una pregiata varietà di Carrara dalle fitte venature utilizzata soprattutto per gli interni. Con il medesimo materiale sono stati eseguiti piani e top della cucina, accostando il marmo ai legni naturali e mordenzati degli arredi. Nei bagni la scelta per i rivestimenti ha privilegiato il Perla White, le cui venature marcate hanno permesso una lavorazione a vena aperta che ne ha esaltato le caratteristiche decorative.

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Modo più modo

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Dopo l’incontro con Patricia Urquiola per l’evento “Cassina: The Other Conversation” lo showroom MODO+ di San Pietro in Cariano si prepara a nuovi eventi Per i molti che vi hanno preso parte lo scorso 10 maggio, è ancora vivo il ricordo dell’incontro affollato e festoso presso lo showroom MODO+ di San Pietro in Cariano alla presenza di un personaggio del calibro di Patricia Urquiola. Alla designer spagnola ma oramai milanese a tutti gli effetti, che all’attività professionale del suo studio ha aggiunto dal 2015 il prestigioso incarico di art director per Cassina, è toccato l’onore di inaugurare questa serie di appuntamenti sulla cultura del progetto di design, imprescindibile corollario della mission commerciale dello showroom. E davvero Patricia Urquiola nel suo percorso formativo ha incontrato alcuni dei “monumenti” del design italiano a partire da Achille Castiglioni, con il quale si è laureata al Politecnico di Milano e del quale è stata assistente, per poi lavorare a fianco di Vico Magistretti per DePadova. Responsabile per il design nello studio di Piero Lissoni per cinque anni, nel 2011 apre la sua “firma” indipendente, collaborando con molte aziende in particolare nel campo del product design.

“Siamo molto soddisfatti di essere riusciti a portare qui a Verona un grande nome del design come Patricia Urquiola e della massiccia partecipazione che abbiamo visto, sia da parte dei professionisti che dei semplici amanti del design” ha dichiarato Federico Conati, comproprietario di MODO+. “Questo evento era solo il primo appuntamento di DESIGN+, una serie di incontri e iniziative dedicate agli appassionati di design che si terranno nel nostro showroom. Il nostro obiettivo è portare la cultura e la passione per questo settore anche qui, in Veneto, lontano dal ‘polo gravitazionale’ di Milano, e di creare un ambiente fertile, occasioni d’incontro e di crescita per architetti e designer dove potersi confrontare, scambiare idee e ricevere stimoli”. MODO+, che il prossimo anno festeggia dieci anni di attività, è uno showroom nato per essere punto di riferimento del settore dell’arredo di alta fascia e si rivolge per vocazione naturale ai professionisti e ai clienti più esigenti. L’esperienza pluriennale sviluppata in Conati Franceschetti, le

partnership con importanti realtà italiane e internazionali e le competenze in continua crescita del team permettono di offrire un know-how e un approccio creativo unico, focalizzato su valori importanti: la concretezza, l’estetica, la progettazione, l’attenzione al dettaglio, la personalizzazione e, naturalmente, il design.

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