Architettiverona 115

Page 1

Terza edizione — Anno XXVI n. 4 Ottobre/Dicembre 2018 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

Passaggio ponte — La natura (vera) del paesaggio

Frammenti in giardino — Una vita da palude

ISSN 2239-6365

Un foro urbano — Onore delle armi — Imparando dal pandoro

Le eredità di Turri — Uno spazio sdoganato

2018 #04 Fantasie amichevoli — Territorio: Veronaclip

115 Studiovisit: Italo Donadelli a Dossobuono — Itinerario: Italo Mutinelli


New Multimedia Showroom Sever Digital Visions


alivar.com

Sever Digital Visions: un incontro per far conoscere gli innovativi spazi multimediali L’evento che si è svolto il 15 novembre 2018 presso lo showroom Sever ha rappresentato un’occasione celebrativa per i 55 anni di storia dell’azienda aprendo le porte della sede di Verona. Il nuovo spazio interattivo multimediale sviluppato da Sever ha fatto da scenario all’incontro che ha visto la presenza di un numeroso pubblico di professionisti. Le nuove tecnologie e gli strumenti a disposizione dei designer per gli edifici del futuro e per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto sono state l’oggetto della presentazione a cura di Moreno Stornelli, “Building automation & Smart Office”.

01

A seguire è intervenuto l’ing. Carlo Molteni, Direttore Generale di UniFor (Molteni Group), che ha presentato l’azienda.

03

Nic Bewick, architetto londinese e Project Director presso aMDL (Studio Michele De Lucchi), è intervenuto presentando “l’ufficio in movimento” (The office keeps moving).

01-02. Due momenti dell’incontro Sever Digital Vision in all’interno dello showroom multimediale nella sede Sever a Verona.

L’architetto Vittorio Veggetti, Amministratore Delegato di Citterio spa (Molteni Group), ha infine presentato i nuovi sistemi parete in legno e CSS sound system.

03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo dell’allestimento. 04

SEVER è un General Contractor. Il nostro ruolo permette di far riferimento ad un unico interlocutore responsabile dell’intera gestione progettuale, esecutiva e realizzativa di uno spazio. Automotive, Ambienti di Lavoro, Hotel, Retail e Casa sono gli ambiti di nostro interesse. L’obiettivo è di offrire un servizio coordinato e completo, dinamico e veloce, efficiente ed efficace.- Design Giuseppe Bavuso - HOME PROJECT collection CLOUD_divano / T-GONG_tavolino / PADY_poltrona / TRATTO_libreria Zeus Arreda s.r.l. Via Lussemburgo, 4/a, Verona Tel 045/509670 Fax 045/509755 www.zeusad.it 02 E-mail: info@zeusad.it ZEUS_cloud.indd 1

Sever Viale del Commercio, 10 - 37135 Verona T 045 8250033 sever@sever.it www.sever.it

ITALIAN CONTEMPORARY LIVING 21/03/2014 10:02:18


l’ìdentità

MODO+, prima prima di di essere essere uno uno showroom, showroom, èè un’insieme un’insieme di di competenze, competenze, di di MODO+, esperienze, di di apporti apporti creativi creativi ee di di capacità capacità interpretative. interpretative. esperienze, Un team team di di professionisti professionisti che che sisi arricchisce arricchisce di di continuo continuo per per aggiungere, aggiungere, aa Un elevati standart standart di di qualità qualità ee innovazione, innovazione, una una visione visione del del prodotto prodotto ee del del elevati design proiettata proiettata in in avanti. avanti. design Un’identità esclusiva, esclusiva, un un punto punto di di riferimento riferimento nel nel settore. settore. la la realtà realtà di di MODO+ MODO+ Un’identità va molto molto oltre oltre ii confini confini di di Verona, Verona, lo lo dimostrano dimostrano ii lavori lavori realizzati realizzati in in ogni ogni parte parte va del mondo mondo grazie grazie alla alla capillare capillare distribuzione distribuzione ee le le importanti importanti partnership partnership del internazionali. internazionali.

lo showroom

Nuovi progetti, progetti, evoluzione evoluzione ee immagine immagine portano portano la la firma firma di di protagonisti protagonisti della della Nuovi scena internazionale internazionale del del design, design, della della comunicazione comunicazione ee dell’architettura. dell’architettura. scena MODO+, uno uno showroom showroom moderno moderno nel nel concept, concept, nella nella costruzione, costruzione, nella nella MODO+, presentazione ee nella nella capacità capacità di di venire venire incontro incontro alle alle esigenze esigenze di di un’ampio un’ampio presentazione segmento di di clienti. clienti. segmento

l’obiettivo

MODO+ sisi propone propone per per creare creare stili stili ee ambienti ambienti diversi, diversi, mantenendo mantenendo come come MODO+ filo conduttore conduttore la la qualità, qualità, non non solo solo nei nei prodotti prodotti ma ma anche anche nei nei servizi servizi offerti offerti al al filo cliente. cliente. L’obiettivo principale principale èè quello quello di di soddisfare soddisfare le le esigenze esigenze dell’acquirente dell’acquirente L’obiettivo con proposte proposte personalizzate personalizzate ee progetti progetti concreti; concreti; soluzioni soluzioni pensate pensate per per una una con dimensione abitativa abitativa esclusiva. esclusiva. dimensione Migliorare la la qualità qualità della della vita vita di di privati privati ee aziende, aziende, traducendo traducendo necessità necessità ee Migliorare desideri della della clientela clientela in in progetti progetti ee prodotti prodotti di di altissimo altissimo profilo. profilo. desideri Offrire al al pubblico pubblico la la prima prima scelta scelta delle delle migliori migliori aziende aziende del del settore. settore. Offrire Garantire un un servizio servizio su su misura misura dalla dalla progettazione progettazione al al montaggio. montaggio. Garantire MODO+, la la sicurezza sicurezza di di rendere rendere l’ambiente l’ambiente domestico domestico ee di di lavoro lavoro più più MODO+, confortevole, più più elegante, elegante, piu piu bello. bello. Una Una scelta scelta di di valore, valore, destinata destinata aa confortevole, rinnovarsi nel nel tempo. tempo. rinnovarsi

la filosofia

Nasce l’esigenza l’esigenza di di definire definire modalità modalità alternative alternative aa certi certi stereotipi stereotipi abitativi, abitativi, Nasce all’interno di di questo questo concetto concetto sisi colloca colloca MODO+, MODO+, uno uno showroom showroom all’interno alternativo, dove dove lo lo spazio spazio èè libero, libero, libero libero di di interpretare interpretare ogni ogni volta volta le le alternativo, espressioni dei dei prodotti, prodotti, del del design design ee della della tecnologia. tecnologia. espressioni

la strategia

Un posizionamento posizionamento chiaro: chiaro: ilil mercato mercato di di fascia fascia alta. alta. Una Una mission mission precisa: precisa: Un dare ai ai professionisti professionisti del del settore settore una una collocazione collocazione strategica. strategica. MODO+ MODO+ ha ha dare scelto di di costruire costruire la la propria propria identità identità puntando puntando su su argomenti argomenti importanti, importanti, la la scelto concretezza, ilil design, design, l’immagine, l’immagine, la la progettazione, progettazione, l’attenzione l’attenzione al al dettaglio dettaglio concretezza, al servizio servizio completo completo ee personalizzato. personalizzato. ee al

G NN DD EE SS I I G

O NN AA VV EE RR O


Via Fontego, 10 San Pietro in Cariano (VR) T. 045 683 15 68 modopiu.it


B A G N O

Come raggiungerci Via Gesso 20 37010 Sega di Cavaion Verona info@eera.it Tel: +39 045 6864326 Fax: +39 045 6864326 orario store da lunedi a venerdi 9.00 - 18.00 sabato su appuntamento LIFE DESIGN







EVOLUZIONE DELLa SPECIE

Gentili Progettisti, Marastoni Tende Vi invita a scoprire markant , l’esclusiva struttura in alluminio autoportante che possiede da sola tutte le caratteristiche e le qualità di una PERGOLA, di una BIOCLIMATICA e di una TENDA da sole evoluta, combinate in un’unica soluzione. La struttura markant è perfettamente «piana» Le tende da sole superiori fungono da tettoia impermeabile, e si muovono in apposite guide in modo orizzontale. Totalmente a scomparsa, anch’esse non hanno pendenza. Un esclusivo brevetto permette di raccogliere l’acqua e di farla defluire all’interno dei montanti.

makant è un prodotto markilux Made in Germany Chiedete informazioni presso l’esclusivista Marastoni Tende

NON E’ UNA PERGOLA NON E’ UNA BIOCLIMATICA NON E’ UNA TENDA

E’ UNA MARKANT!

Via Verona, 1 - 37060 Buttapietra - VR Tel. 045/6661208-09 - Fax 045/6661191 info@marastonitende.it www.marastonitende.it

www.marastonitende.it



NOVITÀ 2018 NADIA OLIVIERI

IL LANIFICIO TIBERGHIEN fra storia e memoria Nel 1907 alcuni membri della famiglia Tiberghien avviarono a San Michele Extra la lavorazione di tessuti in lana in una delle prime grandi fabbriche accentrate sorte nel Veronese. Iniziava così la storia di un’azienda che, con le sue numerose istituzioni “paternalistiche” (case operaie, convitto, cooperativa di consumo, dopolavoro), per quasi cent’anni avrebbe fatto storia nell’industria veronese e sarebbe stata il perno di numerose storie di vita e di lavoro nei quartieri accresciutisi con e grazie ad essa.

NUOVA EDIZIONE

Il libro corre su un doppio binario. Da un lato ricostruisce le vicende del lanificio seguendone le sorti dall’avvio, attraverso i successivi momenti di crisi – che videro per un periodo perfino il coinvolgimento dell’amministrazione comunale di Verona nella sua gestione diretta – sino alla chiusura, avvenuta nel 2004, e alla successiva demolizione del 2016. Dall’altro lato, attraverso le voci dei suoi lavoratori e – soprattutto – delle sue lavoratrici, racconta che cosa abbia significato, per quasi un secolo, lavorarvi dentro e viverci accanto.

cierre edizioni

via Ciro Ferrari, 5 - 37066 Caselle di Sommacampagna (VR) - tel. 045 8581572 - edizioni@cierrenet.it - edizioni.cierrenet.it

320 pp. 15 x 21 cm fotografie in b/n isbn 9788883149733

€ 16.00


Cafarelli & Cafarelli si è trasformato. Un nuovo spazio ospita le nostre e le vostre idee. Via Dietro Anfiteatro, 4, Verona T. +39 045 8012345 info@gal-leria.it

gal-leria.it



Ordine in formazione Testo: Laura De Stefano

115

Al fine di garantire la qualità e l’efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse del committente e della collettività e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo delle proprie conoscenze, ogni professionista ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale. La professione di architetto è sempre più complessa, e non solo per la complicata macchina normativa che caratterizza il lavoro nell’architettura, nelle costruzioni e nell’urbanistica, ma anche per le recenti norme della riforma delle professioni. Si rendono così necessarie politiche di aggiornamento in un processo di costante riqualificazione. Per migliorare e modernizzare la professione e adeguarsi alla maggioranza dei colleghi europei, il CNAPPC ha approntato il “Regolamento per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale continuo” in attuazione dell’art.7 del D.P.R. 7 agosto 2012 n.137. Ottenuta l’approvazione dal Ministero della Giustizia sul Regolamento, si sono predisposte, con gli Ordini provinciali, le Linee guida e di coordinamento attuative al regolamento per l’aggiornamento e lo sviluppo professionale continuo e dal 1° gennaio 2014 è entrato in vigore l’articolo 7 della Riforma degli Ordinamenti Professionali che disciplina la formazione continua degli Architetti e di tutti i professionisti iscritti agli Ordini. Le Linee Guida, dopo il primo triennio 2014/2016, sono state modificate per far fronte alle

inevitabili problematiche che si sono presentate, cercando di sistemare alcune incongruenze e adattandosi alle situazioni che si sono evidenziate. Per quanto riguarda il nostro Ordine, la Commissione Formazione che ha operato nel triennio sperimentale ha avuto il merito di affrontare questo nuovo spinoso adempimento con grande impegno e serietà, avviando una macchina efficiente. L’aggiornamento e sviluppo professionale continuo è stato promosso nel rispetto del Regolamento e delle Linee Guida, in piena autonomia da parte del CNAPPC, ricercando le massime sinergie e il contenimento dei costi, limitando quanto più possibile la contribuzione richiesta ai partecipanti pur cercando di fornire un servizio appropriato e un’offerta articolata. Il contenimento dei costi è un problema non indifferente: in un periodo di crisi e di calo del fatturato, non è pensabile di gravare sulle spese già molto elevate che devono sostenere i liberi professionisti. Tutti vorremmo un aggiornamento di qualità, con relatori preparati e specializzati: società ed enti formativi presentano decine di corsi ed eventi molto interessanti, generalmente però a fronte di costi piuttosto elevati. Tra questi, l’Ordine veicola solo quelli che sembrano di maggiore interesse o che soddisfano richieste specifiche degli iscritti, con la consapevolezza che saranno recepiti solo da una minima parte dei colleghi.

15


Resta comunque il problema di fornire un’offerta accessibile gratuitamente a tutti. Si cercano collaborazioni con istituzioni ed enti presenti e operanti sul territorio: il Comune di Verona, le Università, il Museo di Castelvecchio, l’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, Veronafiere, le associazioni e gli altri ordini professionali. Poi ci sono le aziende di prodotti e servizi che sono disponibili a supportarci organizzando congiuntamente convegni, laboratori, visite in loco, corsi eccetera: fatta salva una valutazione preventiva di fattori quali l’autorevolezza dei relatori, l’interesse degli argomenti trattati, il materiale didattico distribuito, mirando insomma a un rapporto equilibrato tra valore e opportunità. All’inizio del 2018 è stato inviato agli iscritti al nostro Ordine un questionario a risposta multipla per la definizione dell’offerta formativa da proporre, al fine di identificare meglio la domanda e venire incontro alle diverse esigenze espresse. Come obiettivo da porsi per il futuro, la formazione dovrebbe essere personalizzata secondo le competenze di ciascuno, in modo da creare una vera specializzazione in un determinato settore: i professionisti più consapevoli e seri sono già impegnati a far sì che questo processo virtuoso si dipani lungo tutta la loro carriera. Su un versante opposto, però, ci sono non pochi architetti che una volta conseguita la laurea pensano di essere formati per sempre, senza tener conto che al giorno d’oggi le conoscenze acquisite, nell’arco di pochi anni, sono superate e necessitano di aggiornamento continuo. Rispetto a quanto fatto in questi anni, qualche dato: da settembre 2017 a dicembre 2017 sono stati organizzati dall’Ordine di Verona, in autonomia o in collaborazione con soggetti terzi, 56 eventi, dando possibilità di accedere a più di 270 crediti; da gennaio a ottobre 2018, 132 eventi con oltre 700 crediti. Molti i temi trattati: materie ordinistiche, deontologia, legislazione, paesaggio, territorio, urbanistica, arte, concorsi, tecnologie, materiali, presentazione di libri o di opere di architettura, illuminotecnica, design, software, catasto ecc. (ma si accettano volentieri altre proposte). Ricordiamo che ognuno può farsi promotore e tutor di iniziative con il sostegno della

16

Commissione Formazione, aperta al contributo di tutti, e si auspica la diffusione ed il proliferare delle iniziative su tutto il territorio provinciale. E infine, vorremmo fare un appello ai colleghi di iscriversi solo agli eventi a cui si è sicuri di partecipare, perché purtroppo è diffuso il malcostume prenotare e poi non presentarsi, togliendo così la possibilità ad altri di partecipare. Un contrattempo può succedere a tutti, ma è sufficiente telefonare o inviare una mail con la cancellazione per liberare il posto. E scorrendo l’elenco delle assenze si evidenziano spesso gli stessi nominativi, quindi si richiede solo un piccolo gesto di cortesia per porre fine a una situazione che crea notevoli disagi agli organizzatori e ai fruitori. La macchina per funzionare meglio ha bisogno del supporto e dell’aiuto di tutti; appurato quindi che la formazione continua è imprescindibile dalla condizione di professionista, cerchiamo di considerarla non un obbligo imposto dall’alto, ma un’opportunità di crescita personale.

Consiglio dell’ordine • Presidente Amedeo Margotto • VicePresidenti Laura De Stefano Matteo Faustini • Segretario Enrico Savoia • Tesoriere Daniel Mantovani • Consiglieri Cesare Benedetti, Michele De Mori, Stefania Marini, Diego Martini, Leonardo Modenese, Michele Moserle, Francesca Piantavigna, Chiara Tenca, Morena Zamperi, Ilaria Zampini

2018 #04


066 odeon

Uno spazio sdoganato di Federica Pascolutti. M. Grazia Martelletto, Tiziana Armillotta

professione

015

progetto

030

progetto

048

Ordine in formazione di Laura De Stefano

Frammenti in giardino di Federica Guerra

Onore delle armi di Leopoldo Tinazzi

084

graphics

Il profumo della carta di Filippo Romano

102

diverse architetture

La seconda occasione di Luisella Zeri

072

odeon

Fantasie amichevoli di Alberto Vignolo

019

editoriale

Passaggio ponte di Luciano Cenna

074

036

odeon

progetto

Una vita da palude di Irene Meneghelli

056

Al Monte della riscoperta di Angela Lion

115

088

territorio

Veronaclip di Matilde Tessari

storia&progetto

106

itinerario

Italo Mutinelli a Verona di Michele De Mori

Imparando dal pandoro di Alberto Vignolo

077

040

i sepolcri

Rinaldo Olivieri di Federica Guerra

PROGETTO

022

Un foro urbano di Daniela Tacconi

078

PROGETTO

interiors

La natura (vera) del paesaggio di Damiano Capuzzo

Il meno è il Piu di Tomàs Bonazzo

046

PROGETTO

062

096

STUDIO VISIT

Italo Donadelli a Dossobuono di Loretta Sacconelli

odeon

Le eredità di Turri di Alberto Vignolo

I resti del mausoleo di Gianni de Zuccato

115

17


Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXVI n. 4 • Ottobre/Dicembre 2018

Direttore responsabile Amedeo Margotto

Direttore Alberto Vignolo

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architettiverona@archiworld.it

Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Laura De Stefano, Stefania Marini, Tomàs Bonazzo, Matilde Tessari, Damiano Capuzzo, Daniela Tacconi, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Irene Meneghelli redazione@architettiveronaweb.it

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Paolo Pavan T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

18

contributi a questo numero Tiziana Armillotta, Luciano Cenna, Michele De Mori, Maria Grazia Martelletto, Federica Pascolutti, Loretta Sacconelli, Gianni de Zuccato referenze Fotografiche Lorenzo Linthout, Diego Martini, Marco Toté, Michele Mascalzoni, Luca Morandini, Alvise Barsanti, Foto Ennevi, Davide Pretto, Gabriele Salzani, Daniela Tacconi, Accenta, Archivio Eugenio Turri, Valentina Zamboni, Italo Donadelli, Diego Speri, Armando Sutor

Si ringraziano Elisa Smorlesi e Sergio Cutolo, Pietro Nonis, Angelina e Lino Rossignoli, Pierluigi Beghini, Federica Provoli

2018 #04


Passaggio ponte

A proposito del ponte di Genova e altre divagazioni

Testo: Luciano Cenna

Il crollo del ponte Morandi a Genova offre l’occasione per più di una riflessione. Tanti vi si sono cimentati affrontandone gli aspetti tecnici o legali; io lo farò con due considerazioni di altro genere. La prima riguarda il progettista, Morandi. Indubbiamente un grande ingegnere: con Nervi – ma forse un gradino sotto, almeno per quanto riguarda la fama raggiunta in vita – ha rappresentato la punta avanzata della ricerca strutturale del cemento armato nell’Italia del dopoguerra. Dell’ingegnere aveva le doti peculiari: il senso di dove vanno a cadere gli sforzi e quindi il senso dell’equilibrio delle forze;

115

dell’architetto, l’immaginazione, la cultura e la creatività. Dove ha sbagliato (se ha sbagliato)? Forse solo in un’eccessiva fiducia nella qualità esecutiva delle sue realizzazioni, mancandogli, a differenza di Nervi che operava attraverso la sua impresa di costruzioni, un’impresa esecutrice in grado di assecondare la sua ricerca del limite. La seconda considerazione riguarda il tentativo

di cogliere alcune differenze tra le figure professionali dell’ingegnere e dell’architetto, quando non si è né Morandi, né Piano. Un tempo, parlo degli anni ‘50-60 del ‘900, alla figura dell’ingegnere si accompagnavano espressioni di alta considerazione: qualunque ingegnere era il “Sig. ingegnere”. Non così per l’architetto considerato poco più di un compositore di facciate; quando

non uno scenografo – se vestito da artista – o un geometra, se vestito di grigio. Anche io sono stato chiamato “geometra”, benché allora usassi portare il farfallino. Fino a ieri, nonostante gli architetti avessero già fatto parecchia strada al fianco degli ingegneri, poteva capitare si desse per scontato che l’ingegnere avesse il principale ruolo tecnico nel processo edilizio,

01

19


02


e l’architetto quello secondario. solo la diffusa coscienza che la Un architetto poteva andare bene capacità di interpretare le mutevoli per sistemare il casale del facoltoso esigenze della società nel processo imprenditore, non la sede della sua di trasformazione della città è azienda o il palazzo di città. solo dell’architetto (Piano la Oggi queste distorsioni e chiama la capacità di “ricucire le semplificazioni sono superate, periferie urbane”). È questo che seppure rimane diffusa l’idea che un dobbiamo imparare a fare, non solo ingegnere, anche se privo di ingegno, le architetture-monumento, finto è comunque in grado di tenere in tecnologiche e fuori contesto. piedi qualsiasi edificio – forse non un È tempo che questo ruolo ci venga ponte – mentre riconosciuto un architetto, dalla abbastanza privo committenza « L’architetto è pur di ingegno, pubblica. Ed sempre un professionista è tempo che non è detto che svolge un compito sia capace di gli architetti ben più utile della ditta progettare quello si impegnino stesso edificio – a svolgerlo in a cui affidiamo la pulizia tanto meno un ogni occasione: delle scale o la fornitura ponte. anche quando della cancelleria » Al primo basta progettano la tecnica, al l’ampliamento secondo la tecnica non è sufficiente di un casale. E poi, lasciatemelo se non assistita da una buona base dire con la massima energia: basta culturale, dalla passione trasmessa considerare l’attività dell’architetto dai suoi maestri e dal personale come “la prestazione di un servizio”. talento; che non si impara, ma L’architetto è pur sempre un si affina operando con tenacia e professionista che svolge un compito pazienza nella ricerca della qualità. ben più utile e prezioso della ditta a Cosa ci manca per farci considerare cui affidiamo la pulizia delle scale o non meno degli ingegneri? Forse la fornitura della cancelleria.

01. Un ponte ad archi e la sua plurisecolare durata: disegno tratto da Una storia di Verona di Luciano Cenna, Rinascita libri, 1988. 02. Il viadotto Polcevera, noto alle cronache come ponte Morandi, ritratto nel 2014 nella sua integra geometria da Lorenzo Lintout.

115

21


PROGETTO

La natura (vera) del paesaggio

La forma come protagonista, il paesaggio come miniatura, la miniatura come luogo d’azione: il parco pubblico di San Serafino nella pianura veronese Progetto: Luca Baroni Testo: Damiano Capuzzo

Oppeano

01

22

2018 #04


C’è qualcosa di piacevolmente curioso nelle motivazioni che ci spingono ad un breve viaggio, in un sabato di fine estate, alla scoperta di un intervento di modeste dimensioni nato dalla ferma volontà di incrementare la qualità urbana di un piccolo centro della periferia veronese. Non è certo la localizzazione geografica a rendere agitato il pensiero, quanto la consapevolezza che ciò che stiamo per visitare sia un lavoro sul paesaggio, un intervento fatto quasi interamente di materiali naturali, insomma: un “parco”. La realtà che descriviamo si trova ad Oppeano, nel sud-est veronese a poco più di venti chilometri dalla città. Defilato rispetto alla principale via di attraversamento della cittadina, il parco di San Serafino risulta appena nascosto ad un occhio forestiero, nonostante la superficie non irrisoria di circa 13.000 metri quadrati, una dimensione notevole per un’attrezzatura di quartiere di un piccolo comune. La percezione globale dell’intervento, strutturato in porzioni diverse tutte con una propria matericità e una relativa sfaccettatura di utilizzo, rimanda al concetto espresso dal suo autore, il paesaggi-

02

« Il disegno paesaggistico del parco utilizza i lievi dislivelli presenti nell’area per delimitare spazi specifici ai quali assegnare una precisa declinazione ricreativa e didattica » sta Luca Baroni, secondo il quale nei progetti di landscape ad enunciare le condizioni di partenza per il funzionamento di un parco è la morfologia stessa del terreno. È il terreno che condiziona direttamente i fattori di sopravvivenza della vegetazione, gli equilibri idrici e l’incidenza della radiazione solare al suolo, così da enfatizzare o mitigare le caratteristiche microclimatiche dello specifico ambiente verso il mantenimento di un necessario equilibrio naturale. Se il disegno topografico rappresenta quindi l’essenza stessa del parco, è

115

03

01. La piazza, piccolo salotto urbano dove confluisco i percorsi del parco. 02. Planimetria generale con l’individuazione degli elementi caratteristici del parco. 03. Inquadramento del parco all’interno dell’abitato. 04. Il percorso principale di attraversamento con la pavimentazione in legno. 04

23


La natura (vera) del paesaggio

PROGETTO

05. Schizzo di progetto che manifesta la volontà di connettere gli ambiti del quartiere. 06. Dettaglio dei gabbioni in sasso che delimitano l’ambito del laghetto naturale. 07-09. Nell’area dedicata ai bimbi una composizione articolata amplifica le potenzialità di gioco.

05

07

24

06

interessante riscontrare come in questo caso lo sviluppo compositivo di piani posti a quote differenti e raccordati da morbide rampe o brevi gradinate reinterpreti, quasi in una sorta di miniatura, un territorio come quello delle valli veronesi ritenuto comunemente piatto, ma contraddistinto invece da apprezzabili variazioni altimetriche, caratteristiche di un contesto morfologico ed ambientale particolarmente propenso alla coltivazione del riso. È nota infatti l’importanza del controllo dell’acqua e della definizione di precisi ambiti a mezzo di leggeri piani inclinati e piccoli terrapieni quali elementi fondamentali nello storico processo di coltivazione del riso, capace di una forte caratterizzazione dei territori ad essa destinati. Il disegno paesaggistico del nuovo parco si prefigge pertanto di enfatizzare e valorizzare i piccoli dislivelli già presenti nell’area, utilizzandoli per delimitare spazi specifici ai quali assegnare una precisa declinazione, certo non più produttiva bensì ricreativa e didattica. L’impianto generale ha una chiara valenza urbana e sottende alla volontà di connessione tra le diverse porzioni del quartiere, cosicché i percorsi divengo-

2018 #04


luca baroni Di formazione agronomica, da oltre 25 anni Luca Baroni è impegnato nell’ambito della progettazione e pianificazione del paesaggio alle varie scale, dai masterplan a scala urbana ai piccoli giardini privati. Ha lavorato come team leader e capo progetto sia in Europa che in Medio Oriente con lo studio Insitu, col quale ha firmato il progetto del parco di Oppeano, e in seguito con IN&OUT facendo base a Doha. 08

no essi stessi elementi generatori del parco: quello principale, pavimentato in legno, prende avvio dalla scuola media e, costeggiando prima il parcheggio, poi il fosso e l’area naturalistica, arriva a generare la piazza e il sistema dei giardini tematici, per poi proseguire oltre la pista ciclabile e lo scolo Piganzolo. La piazza, realizzata in pietra e leggermente ribassata, costituisce il vero elemento di ingresso al parco, come un piccolo salotto urbano dedicato alla sosta ma aperto ad altre possibilità di utilizzo grazie alla presenza dei gradoni in legno che la riconnettono al percorso principale di attraversamento. È in questo ambito che gli elementi di connessione storica con il territorio trovano una declinazione più rappresentativa: il movimento del terreno crea un leggero argine urbano, all’interno del quale due vasche dalla forma irregolare richiamano il naturale movimento dei rigoli d’acqua che percorrono un terreno sconnesso. Rimane un’amara sensazione nel constatare come, a pochi anni dalla sua realizzazione, questa parte del progetto sia stata rimossa per ragioni che non

115

09

25


La natura (vera) del paesaggio

PROGETTO

13 10

11

10-11. Sezioni di progetto con individuazione dei filari alberati che fiancheggiano i percorsi. 12. Scorcio della collinetta a prato posta a margine della zona per i giochi. 13. Il percorso in corrispondenza del laghetto. 14. Il ponte in legno sullo scolo Piganzolo che definisce l’accesso meridionale al parco e alla pista ciclabile.

12

26

conosciamo e che pertanto non commenteremo, lasciando spazio alla sola impronta del progetto originale segnata da una pavimentazione in porfido a cubetti a riempire la sagoma orfana delle vasche. È un po’ tutta quest’area di piazza, a differenza degli ambiti a giardino la cui cura appare impeccabile, a necessitare di uno sforzo di manutenzione maggiore, per restituire il giusto smalto dove il tempo e qualche gesto poco civile hanno leggermente opacizzato l’originale brillantezza del luogo. È comunque il verde ad essere (finalmente) il vero protagonista del progetto del parco e, per una conseguenza felice, della vita del quartiere. È piacevole osservare alcuni piccoli fruitori del parco rincorrere invisibili animali alati, mossi dalla fervida fantasia dell’infanzia; l’ambiente è protetto, sicuro e lontano dal traffico, e regala dunque grande libertà ai bimbi (e la necessaria tranquillità ai loro accompagnatori), permettendo loro di immergersi nelle diverse zone di gioco, dove interagire e fare nuove scoperte legate sia al diretto contatto con la natura che alla presenza di giochi a loro dedicati. I giardini terminano con una collinetta, quasi un’oasi di ristoro

2018 #04


13

dopo l’intensa attività di gioco ma anche spazio per i più grandi dove sdraiarsi al sole o sedersi sul fresco manto verde in posizione di sorveglianza privilegiata. Dai giardini tematici si dipartono alcuni brevi percorsi alberati che conducono al prato, il cuore del parco, dove l’essenza stessa della superficie verde suggerisce tutte le infinite possibilità proprie dello spazio aperto. A nord del prato e fino a lambire le unità residenziali il progetto riserva un’area dal carattere quasi selvatico, dove la natura sembra ri-

115

appropriarsi – in modo controllato – del proprio spazio facendo riemergere i caratteri tipici del paesaggio della bassa veronese, legato all’acqua e alla pianura, attraverso il riutilizzo di associazioni vegetazionali proprie della flora autoctona. Elemento fulcro di questa zona didattico-naturalistica è il laghetto, realizzato lungo il percorso dell’esistente fosso di scolo. La diversa profondità dell’acqua permette una diversificazione delle specie acquatiche ospitate, a vantaggio della biodiversità ma anche di una maggiore caratterizzazione estetica.

14

27


PROGETTO

La natura (vera) del paesaggio

15. Veduta d’insieme del parco dall’area della scuola. 16. La piazza nello stato attuale, con la pavimentazione in porfido a rimarcare il bordo delle vasche d’acqua rimosse. 17. Le vasche-sedute, elementi caratterizzanti l’ambito della della piazza, in una foto immediatamente successiva alla fine dei lavori.

15

16

28

17

2018 #04


committente Comune di Oppeano Progetto e direzione lavori INSITU - Luca Baroni collaboratori Anna Marelli, Monica Monticelli, Paola Pilotti, Barbara Valentini, Eirene Papadimitriu, Sara Gangemi, Marco Pavoni, Alice Grandi imprese esecutrici L’Operosa s.c.r.l. Italverde s.r.l. Cronologia Progetto e Realizzazione: 2007-2011 Dati dimensionali Superficie: 10.500 mq Budget complessivo (compresi costi di acquisizione del terreno e spese tecniche): 1.022.000 Euro Importo dei lavori: 583.513 Euro

Il percorso che costeggia il laghetto regala una sensazione di scoperta allorquando le fronde dei salici piangenti ostruiscono leggermente il passaggio, costringendo a piccoli e divertenti cambi di direzione fino a quando, usciti dal bosco, ritorna visibile la pavimentazione in legno che conduce allo scolo Piganzolo e quindi alla pista ciclabile che attraversa l’intera area da est ad ovest. Sarà quest’ultima che, facente parte di un sistema a scala urbana, potrà far riverberare in lontananza l’eco di una piccola oasi di quartiere, fino alle strade del centro abitato e della campagna limitrofa, fungendo da trait d’union tra la realtà di quest’ultima e una poco più disegnata, dove sarà sempre piacevole tornare per un appuntamento, una passeggiata o un’ improvvisata partita di pallone.

115

29


PROGETTO

Frammenti in giardino La ricomposizione di un sistema di percorsi e di elementi vegetali rievoca le caratteristiciche della tradizione storica all’italiana nel giardino di una villa seicentesca a nord di Verona

Progetto: Alberto Ballestriero Testo: Federica Guerra

Foto: Lorenzo Linthout

Mizzole (Verona)

01

30

2018 #04


Ai piedi del versante orientale della Valle Squaranto, subito dopo l’abitato di Mizzole si trova la bella villa denominata Da Lisca Poggiani, databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Tra il 2010 e il 2012 la villa era stata sottoposta a un pregevole intervento di restauro ad opera dell’architetto Angelo Grella, che ne aveva saputo valorizzare i caratteri architettonici originali in modo da far risaltare la facciata tripartita che elaborava schemi figurativi sanmicheliani. Il giardino della villa versava, tuttavia, in stato di forte degrado, allestito sommariamente in epoca recente con terrazzamenti incongrui re02 alizzati con materiali di recupero. Il retro della villa era stato addirittura passato un disegno del giardino coevo emarginato dal contesto del giardino alla costruzione della villa. Non resticon una pavimentazione sbrigativa in tuendo le fonti archivistiche elemencalcestruzzo, che male si accordava ti che inducessero a una ricostruzione con il valore del complesso architetto- filologica della sistemazione originanico. Da attribuire alla passione col- le, il progetto ha mirato a ricomporlezionistica setre le varie parti tecentesca di uno in un sistema di « Tutti gli elementi dei precedenpercorsi e di vedel progetto rivelano ti proprietari, si getazione che la capacità di progettare trovavano inoltre rendesse gradelo spazio aperto con dispersi nel giarvole e funzionale dino numerosi la fruizione degli le stesse regole e la stessa reperti in pietra: spazi, rievocando disciplina dello colonne, statue, elementi carattespazio costruito » capitelli e vasche, ristici del giardialcuni di buona no storico italiafattura, altri di minor importanza ma no con particolare riferimento all’uso tutti comunque degni di considerazio- degli assi visuali. Sono infatti questi ne all’interno di un progetto comples- ultimi che danno senso e struttura al sivo di recupero e valorizzazione del percorso di visita: al primo, che ricalca giardino. l’asse di simmetria della villa e ne coTale progetto è stato affidato nel 2012 stituisce l’accesso principale, sono stada una committenza colta e attenta ti affiancati parallelamente due peral paesaggista Alberto Ballestriero, corsi laterali secondari, ciascuno dei che ne ha seguito i lavori conclusi nel quali trova coerenza in un elemento di 2014. Il progetto è ovviamente partito testa e in uno di chiusura. Il percorso da un’attenta analisi delle fonti stori- a destra dell’accesso principale parte che, tesa a verificare se fosse esistito in dalla ricollocazione sul muro di cinta

115

03

01. Il fronte principale della villa Da Lisca Poggiani, con il nuovo viale d’ingresso ristretto per aumentare il senso di profondità prospettica. 02. Rilievo dello stato di fatto e pianta di progetto. 03. Con la villa alle spalle, il viale di ingresso si apre sul paesaggio delle colline di Mizzole. 04. Angolo del giardino con la vasca delle piante acquatiche.

04

31


PROGETTO

Frammenti in giardino

05-06. L’orto delle erbe aromatiche con le vasche contornate di corten. 07. Sezione sul percorso nord con le scale in pietra a spacco che superano il dislivello di oltre quattro metri.

05

06

32

07

di un’importante vasca in pietra ottocentesca, e si conclude sul muro di sostegno di fondo con l’apertura di una finestra ellittica che funge da fuoco prospettico e aumenta il senso di profondità della veduta. Lungo il percorso, per superare il dislivello del terreno di oltre quattro metri, sono state realizzate tre rampe di scale tonde concentriche, in pietra calcarea a spacco, che conducono via via a terrazzamenti circoscritti, piccoli giardini raccolti trattati di volta in volta in maniera peculiare: il ‘giardino formale’ con le siepi di tasso potate, il ‘giardino dei profumi’ con la lavanda, la buddleia e i melograni in forma libera. A sinistra dell’asse principale, allo stesso modo, un terzo percorso parte anch’esso dalla ricollocazione sul muro di cinta di una delle vasche in pietra ritrovate all’interno del giar-

dino, e porta attraverso diversi episodi progettuali (la futura serra degli agrumi, il gazebo) all’elemento di chiusura costituito, in questo caso, dall’accesso valorizzato all’antica legnaia. Elemento che diventa così parte integrante del giardino, e permette il passaggio al coup de théâtre di tutto il progetto: la realizzazione sul retro della villa di un quarto tracciato ortogonale ai primi tre, che chiude la circolarità dei percorsi e restituisce integrità al giardino. Ricavato lungo il muro di sostegno di fondo, sul retro della villa, e chiamato ‘passeggiata delle sculture’ è costituito da un tratto di percorso su prato scandito dalla presenza dei reperti lapidei addossati al muro di contenimento, inquadrati in archi di grigliato di ferro ricoperti d’edera, una sorta di porticato all’aperto da percorrere con lo stupore di scoprire un luogo segreto.

2018 #04


Committente Privato Progetto paesaggistico giardino Alberto Ballestriero progetto restauro villa arch. Angelo Grella imprese Edilturata Bruno e Mattia di Turata Bruno (opere edili) Settore Giardini S.N.C. di Lovino S.A. e Mascanzoni D. (opere a verde) Cronologia Progetto: 2012 Realizzazione: giugno 2013-aprile 2014

08

08. Il percorso nord si chiude con un ammiccante oblò e conduce alla passeggiata delle sculture. 09. ll secondo terrazzamento del percorso nord, il giardino dei colori e dei profumi. 10. La passeggiata delle sculture con un antico capitello come elemento di testa (e di fondo).

09

10

115

33


PROGETTO

Frammenti in giardino

All’interno di questo schema compositivo molto chiaro, sono da evidenziare alcuni elementi puntuali, come l’orto sul lato sud dove, in dodici vasche limitate da fasce di corten che evocano i mesi dell’anno, sono coltivate diverse specie aromatiche, o l’asse trasversale minore che porta lo sguardo da una scultura ricollocata in una nicchia presente sulla facciata sud della villa alla vasca delle piante ac-

quatiche addossata al muro di cinta; o ancora l’area per la sosta e il riposo ai piedi dei terrazzamenti nord, o infine il riproporzionamento del viale di ingresso che, ridotto in larghezza, acquisisce maggior profondità prospettica. Tutti gli elementi del progetto rivelano la particolarità di questo intervento (come anche di altri realizzati da Alberto Ballestriero già documen-

11

11. Il percorso nord visto dalla passeggiata delle sculture, con le scale tonde in pietra. 12-13. Il percorso nord in una veduta verso la villa e in controcampo.

12

34

2018 #04


tati sulle pagine di «AV», vedi il numero 87, pp. 60-61) ovvero la capacità di progettare lo spazio aperto con le stesse regole e la stessa disciplina dello spazio costruito come se (e pare una banalità dirlo, ma gli esempi che ci circondano dimostrano che così non è) il disegno del vuoto seguisse le stesse necessità del disegno del costruito e cioè la geometria che orienta, il rapporto tra regola e trasgressione, il

rapporto tra costruito (il giardino) e paesaggio (la natura), il principio della proporzione dei volumi (fogliari, in questo caso) che si devono giustapporre e integrare in modo armonico, le linee di fuga dello sguardo che vanno governate, insomma tutto l’armamentario che accompagna la composizione architettonica e che qui trova piena espressione non in calcestruzzo e mattoni, ma in carpini e viburni.

Alberto ballestriero

14

Non si tratta quindi solo di una operazione di gardening ma di un vero e proprio progetto di landscaping teso a riattivare lo spazio aperto come parte integrante del costruito, in un continuo rimando di riferimenti incrociati in cui i due spazi, aperto e chiuso, trovano opportunità reciproca. Questo atteggiamento, che è indifferente al regime di proprietà dello spazio (pubblico o privato), alla destinazione (villa padronale o condominio) e persino alla scala dell’intervento (un’aiuola o un parco urbano) e ha piuttosto a che vedere con la sensibilità artistica del progettista, ci rimanda agli insegnamenti di Pietro Porcinai, il grande paesaggista toscano, per il quale il verde era “una forma d’arte che univa gli elementi della pittura e della scultura, e mirava a ottenere un risultato estetico attraverso armonie e contrasti (...) inseriti entro uno schema progettuale ben definito”. La sua lezione ci sembra ben rappresentata in questo progetto.

Di formazione artistica, da sempre si occupa di paesaggio, all’inizio come funzionario presso uno dei più importanti Consorzi di Bonifica del Veneto nella gestione di canali e opere agrarie. Specializzato presso diverse scuole in Progettazione e gestione del Verde, ha fatto parte dello Studio di Paesaggistica associato BMB dove si è occupato di progettazione ed esecuzione di giardini pubblici e privati. è socio AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) e IFLA (International Federation of Landscape Architects). Collabora con il giornale on-line «Verona-In» dove scrive articoli sul paesaggio e l’ambiente.

14. Il percorso sud che si chiude con l’accesso all’antica legnaia, riattivato per accedere alla passeggiata delle sculture e chiudere la circolarità dei percorsi.

13

115

35


PROGETTO

Una vita da palude Un’oasi-palude al confine tra le province di Verona e Mantova ha rivelato le tracce di un insediamento medievale, ricosteruito in chiave didattica

Progetto: arch. Susanna Besutti Testo: Irene Meneghelli

Gazzo Veronese

01

36

2018 #04


“Palude /pa’ lu de/ s.f.: tratto di terreno depresso e malsano di solito ricoperto di acqua e di vegetazione”. “Oasi /o’ azi/ s.f.: zona di territorio, spec. nei deserti dell’Africa settentrionale, fornita di sorgenti o pozzi e quindi fertile e abitata” (da Il Nuovo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli). È curioso come un luogo possa essere chiamato con due termini apparentemente opposti, che testimoniano come ne sia cambiato l’uso: da territorio angusto e inospitale a sito culturalmente interessante. La Palude o Oasi del Busatello è un’antica area palustre al confine tra la nostra provincia e il mantovano, racchiusa dai fiumi Tartaro, Tione e Canal Bianco, comprende circa ottantuno ettari tra i comuni di Gazzo Veronese e Ostiglia in provincia di Mantova. In seguito alle bonifiche

« Il progetto ha previsto la ricostruzione del “villaggio medievale” anticamente presente in situ, fruibile come spazio didattico-culturale » che hanno interessato le Grandi Valli Veronesi è diventata un’area pensile, isolata e racchiusa da argini: l’apporto di acqua è garantito da un’idrovora che convoglia le acque di scolo provenienti dai terreni agricoli circostanti. L’acqua si può considerare una delle protagoniste del paesaggio della pianura sud veronese, avendo subìto nella sua storia importanti cambiamenti a causa delle numerose esondazioni e bonifiche: nelle sue varie declinazio-

115

01. Veduta del capanno principale del villaggio medievale (foto di Irene Meneghelli). 02. Interno del capanno destinato all’abitazione: in primo piano la zona del focolare. 03. Planimetria dell’area con immagini del paesaggio palustre vegetale e animale all’interno dell’Oasi del Busatello.

02

ni, fiume, canale, scolo, ha determinato, assieme all’uomo, la forma del nostro territorio. Anticamente il suo valore era principalmente utilitario, fonte di approvvigionamento e via di comunicazione, oggi è testimonianza del nostro passato e assume perciò un valore culturale: l’acqua e i suoi paesaggi sono patrimonio. Per salvaguardare la particolarità di quest’area, la “Palude del Busatello” diventa Riserva Naturale nel 1995 e viene gestita tramite il Piano Ambientale il cui scopo è quello di “proteggere l’ambiente naturale, il patrimonio storico-architettonico e favorire lo sviluppo sociale, culturale ed economico”. Oltre che di interesse naturalistico e paesaggistico, la riserva ospita delle aree ad interesse archeologico: tutta la Pianura Padana, compresa l’area in oggetto, era infatti luogo di insediamenti umani già in epoca medievale. I terreni venivano conquistati e disboscati da gruppi di pionieri, che vi si stabilizzavano e praticavano colture. Una delle aree di interesse archeologico riguarda una porzione di terre-

03

37


PROGETTO

Una vita da palude

04. Veduta del recinto di pali e legname intrecciato e dei capanni secondari. 05. Prospetti, sezioni e disegno prospettico degli edifici di progetto. 06. Veduta aerea del villaggio.

04

05

06

38

no situata nel Comune di Gazzo, di forma quasi triangolare, racchiusa dal fiume Tione a nord, da un bosco ad est, a sud dall’area di Turbine Treves (un’area di accoglienza e foresteria) e a ovest dallo scolo Germinio. Grazie ad una campagna di scavi compiuta nel 1985, che ha portato alla luce resti di vario genere, si è scoperto che il lembo di terra era abitato già dal X-XI secolo. A partire da questi ritrovamenti si è sviluppato il progetto dell’architetto Susanna Besutti, supportato dal Comune di Gazzo Veronese: la ricostruzione del “villaggio medievale” anticamente presente in situ, fruibile come spazio didattico-culturale. La redazione del progetto, oltre ad essere fedele all’antico villaggio nella disposizione planimetrica, lo è anche nell’utilizzo dei materiali e delle tecniche costruttive. Un recinto di pali

2018 #04


committente Comune di Gazzo Veronese Progetto architettonico arch. Susanna Besutti collaboratori arch. jr. Eugenio Filippi geom. Angelo Vaccari

e legname intrecciato, di dimensioni 15 x 35 m, delimita l’insediamento, che nasce ad ovest del bosco planiziale e testimonia l’antica necessità di conquista delle aree boschive da parte dell’uomo. Un ulteriore recinto identifica l’area del capanno principale, l’edificio abitativo, con i suoi relativi annessi: pollaio, porcile e piccolo orto di piante officinali. Il capanno, di dimensioni perimetrali di 10,50 x 7,50 m, ha un’altezza di 7,40 m ed è suddiviso al suo interno in una zona destinata all’abitazione con il focolare, una adibita a stalla e lavorazione di pelli e un piccolo soppalco che ospita il giaciglio. All’esterno del sotto-recinto sorgono dei capanni di minori dimensioni, di altezza pari a 2,85 m, aperti sul lato che affaccia verso il “villaggio”, destinati a: deposito per la legna, fienile, taglio della legna e carbonaia. Tutti i capan-

115

07

08

ni presentano una struttura portante in travi di castagno, ancorata a terra con tecniche di carpenteria attuali per garantire una maggiore stabilità e un tavolato di tamponamento fissato alla struttura tramite chiodi in legno o corde e lacci in fibra. La realizzazione della copertura ha richiesto l’impiego di una ditta specializzata (Lacep snc) nella lavorazione della canna palustre: uno strato di quest’ultima, dello spessore di 25 cm, viene ancorato ai travetti sottostanti, con intreccio di colmo in canna speciale. Il ripristino filologico dell’insediamento ha richiesto uno studio approfondito e una ricerca accurata dal punto di vista storico, che ha portato alla scelta progettuale di ricostruire il villaggio “dov’era com’era” mille anni fa. Siamo forse di fronte ad un’interpretazione all’estremo del vincolo archeologico e paesaggistico, che dall’impossibilità di costruire nuovi edifici ha condotto ad una ricostruzione ideale del passato? Per soddisfare la funzione didattica, si è voluto ricreare fisicamente il modo di abitare in maniera totalmente fedele, per

quanto sia possibile esserlo a distanza di un millennio, dando vita a quello che si potrebbe definire un museo in scala 1:1. Viene da chiedersi se un intervento maggiormente improntato alla contemporaneità in linea con quelle che sono le moderne esigenze museali ed espositive non avrebbe potuto assolvere ugualmente la finalità didattica per cui è nato il progetto.

Consulenza storicoscientifica Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto prof. Fabio Saggioro (Università di Verona) Mauro Campagnolo (ispettore onorario SBAV) Imprese Rodegher Mirco (opere edili), Sistem costruzioni (opere in legno), Lacep (coperture), Corte Canaro (opere a verde), Inhonesta Mercimonia (gruppo rievocazioni storiche) Cronologia Progetto e realizzazione: 2008-2013

07-08. Immagini della rievocazione storica medievale in occasione dell’inaugurazione del villaggio. 09. La costruzione del tetto in canna palustre in una veduta di cantiere.

09

39


PROGETTO

Un foro urbano

Nella riqualificazione di piazza Ederle a Grezzana l’imprevisto ritrovamento è occasione di un progetto in continuità con il tema cecchiniano della valorizzazione dei livelli archeologici

Progetto: Studio Cecchini Architetti Associati Testo e Foto: Daniela Tacconi

Grezzana

01

40

2018 #04


Spesso ad un progetto viene chiesta la capacità di modificarsi in corso d’opera; se il più delle volte le modifiche riguardano aspetti di dettaglio facilmente gestibili, talvolta l’imprevisto imprevedibile è in grado di rimettere in discussione l’intera impostazione progettuale e, nei casi più eccezionali, di modificare gli obiettivi stessi del progetto. Da tempo a Grezzana è in atto un processo di ripensamento di alcune zone centrali che ha visto avvicendarsi negli anni diverse amministrazioni comunali con l’intento condiviso di creare dei veri spazi pubblici, intesi come luoghi vivibili di relazione e di incontro per la comunità. La ristrutturazione di piazza Carlo Ederle si colloca nell’ambito di queste riflessioni; dopo alcuni primi studi preliminari e un concorso di idee bandito nel 2007, il Comune di Grezzana affida allo studio

01. La piazza e la chiesa viste dall’inizio della passerella pedonale che corre lungo il bordo della zona archeologica. 02. Veduta verso via Roma con i profili curvi delle aiuole e in fondo il passaggio porticato del municipio. 03. Inquadramento con la piazza evidenziata in rosso. 04. Particolare della zona carrabile sul fianco della chiesa. 02

« L’area archeologica rimane ad un livello più basso raccordato alla quota della piazza tramite un piano erboso inclinato; una passerella pedonale curva permette ai passanti di ammirare dall’alto il luogo del ritrovamento » Cecchini architetti associati l’incarico di riqualificare la piazza, un ampio spazio attiguo alla chiesa che un tempo era sede di un importante mercato di animali e attrezzi agricoli. Negli anni le abitudini cambiano, il mercato sparisce, le auto invadono le città e la piazza si trasforma da luogo di scambi ed incontri a grande parcheggio. La scelta dell’amministrazione comunale è coraggiosa: rendere pedonale la piazza, anche se parzialmente, riducendo gli stalli delle auto e limitando tramite dissuasori mobili l’accesso alla strada che proviene da Romagnano e che costeggia la chiesa. In casi come questo i disagi per automobilisti e commercianti possono essere sopportati solo se compensati da una maggiore qualità degli spazi pubblici e dalla creazione di valide soluzioni viabilistiche alternative.

115

03

La prima idea dei progettisti vuole evidenziare la presenza dell’acqua, che pur attraversando la piazza nel torrente Valpantena è poco visibile perché coperta da un ponte a tutta larghezza; per metterla in luce il progetto prevede di posizionare all’inizio della piazza, vicino all’incrocio con via Roma, una fontana circondata da una seduta in pietra, luogo di incontro e di riposo per i passanti. L’idea della fontana non è nuova: anche Ettore Fagiuoli nel 1928 ne disegnò una monumentale per abbellire la piazza, ma in quell’occasione la sua idea restò sulla carta e Grezzana rimase senza fontana. In fondo la vita del paese e di tutta la valle era sempre stata legata indissolubilmente all’acqua, che scendeva copiosa dai monti vicini irrigando campi, muovendo le ruote dei mulini, colmando i numero-

04

41


PROGETTO

Un foro urbano

05. Il perimetro circolare del mausoleo delineato dal posizionamento di blocchi provenienti da precedenti scavi ed evidenziato sulla pavimentazione davanti ai negozi. 06. Planimetria di progetto: la piazza fino al torrente Valpantena e una porzione di via Roma. 07. Materiali diversi nella pavimentazione in corrispondenza dell’ingresso laterale della chiesa. 08. La piazza vista dalla zona di attraversamento con il torrente Valpantena. 09. Sezione longitudinale in corrispondenza della zona archeologica. 05

06

42

si lavatoi in parte visibili anche oggi nei dintorni. Proprio a Grezzana si ricorda ancora la presenza di una grande fontana in pietra attorno alla quale si riunivano le donne per il bucato e per raccontarsi le ultime novità. L’acqua era motivo di incontro e motore di tante attività del paese e ancora oggi può essere l’elemento chiave per rivitalizzare la funzione pubblica di una piazza. I lavori iniziano da via Roma con una serie di accorgimenti finalizzati ad agevolare il passaggio dei pedoni; eliminato l’impianto semaforico viene creata una piccola rotatoria in grado non tanto di regolamentare il traffico quanto di rallentarlo in un punto intermedio tra due attraversamenti pedonali. Il sagrato della chiesa si espande rubando spazio alla carreggiata mentre gli attraversamenti pedonali mantengono la stessa quota dei marciapiedi e obbligano le auto a rallentare ulteriormente per superarli. Il marciapiedi viene allargato e delineato con un profilo curvilineo; in questo modo si crea un percorso agevole che prosegue nel passaggio porticato realizzato dallo stesso studio Cecchini durante i precedenti lavori di ristrutturazione del municipio. Terminata la sistemazione della strada e della zona carrabile che costeggia la chiesa il cantiere si sposta per la realizzazione della parte pedonale. Ma una volta iniziati i lavori per la futura fontana sopraggiunge l’imprevisto che sconvolge tutto: nonostan-

07

2018 #04


Committente Comune di Grezzana RUP: arch. Claudio Puttini Progetto architettonico e direzione lavori Studio Cecchini Architetti Associati direzione lavori arch. Vittorio Cecchini Consulenti arch. Giorgia Ottaviani (sicurezza) arch. Helena Gentili (illuminazione) MTE Ingegneria (impianti elettrici e meccanici) ing. Davide Bertini (opere strutturali)

08

te le indagini geognostiche preliminari – anche la tecnologia a volte ci abbandona – quando la ruspa inizia a scavare emergono dei blocchi di pietra dal profilo curvo. Gli scavi successivi rivelano che quei blocchi appartenevano ad un mausoleo tardo-augusteo a pianta circolare, un ritrovamento eccezionale per il nord Italia; si trovano anche due tombe a cassa litica e numerose altre sepolture di epoche diverse, a testimonianza del fatto che la piazza per secoli ha ospitato un’area cimiteriale. Quando imprevisti come questo accadono la capa-

cità degli attuatori del progetto di gestire la situazione nel rispetto dei costi e dei tempi preventivati viene messa a dura prova: il progetto è chiamato a rigenerarsi velocemente, sfoderando la sua abilità camaleontica di interpretare le esigenze di un mondo imprevedibile. Nel caso di piazza Ederle l’impostazione progettuale iniziale viene stravolta ma allo stesso tempo si arricchisce: all’obiettivo di ricreare uno spazio pubblico vivibile si aggiunge quello di valorizzare un ritrovamento archeologico.

Imprese e fornitori Impresa Zampieri (opere edili), Guardini Pietre, Quintarelli Pietre (opere in pietra), Carcereri, Meneinox (opere in ferro), Elettrosystem (impianti elettrici e illuminazione), Tecnobitre (pavim. in ghiaino lavato), Sareb (opere a verde), Multiart (indagini archeologiche), Kuoros (restauro elementi lapidei) Cronologia Realizzazione: 2015-2016

09

115

43


PROGETTO

Un foro urbano

10. Veduta notturna della piazza con la nuova illuminazione a led. 11. La zona archeologica in una veduta notturna ripresa dalla parte pedonale della piazza; a destra la passerella circonda la zona dei ritrovamenti.

Al posto della fontana nasce così un secondo cerchio che fa da contraltare alla vicina rotatoria stradale. Il perimetro del mausoleo, lasciato in parte a vista, è completato con altri blocchi provenienti dallo stesso sito emersi durante alcuni scavi ottocenteschi; viene infine evidenziato con un cambio di pavimentazione davanti ai negozi. Un rilievo eseguito con laser scanner e un modellino realizzato con una stampante 3D aiutano a studiare il corretto accostamento delle pietre riposizionate. L’area archeologica rimane ad un livello più basso, raccordato alla quota della piazza tramite un piano erboso inclinato; una passerella pedonale curva con pavimento in lastre di pietra, impostata sulla sommità della palificata che sostiene la strada, permette ai passanti di ammirare dall’alto il luogo del ritrovamento. Del progetto iniziale rimangono l’asse centrale che attraversa la piazza in lunghezza, la suddivisione della pavimentazione in fasce e la scelta dei materiali che richiamano la tradizione locale della lavorazione del marmo: rosso Verona per le fasce e per le sedute, ghiaino lavato gettato in opera per i riquadri tra le fasce e pietra della Lessinia per i marciapiedi stradali. Per la zona carrabile lungo il lato della chiesa vengono scelte delle lastre di porfido segato così come per la pavimentazione dei plateatici. Dell’iniziale idea dell’acqua rimane un vago richiamo nella piccola fontanella in fondo alla piazza in corrispondenza dell’attraversamento del torrente. Grezzana anche questa volta ha perso l’occasione di vedere nascere una nuova fontana nella piazza del paese, ma ha riconquistato un tassello della sua storia offrendo ai suoi abitanti l’opportunità di conoscere ed approfondire le proprie origini.

44

10

2018 #04


studio cecchini architetti associati Fondato da Libero Cecchini (1919), decano degli architetti veronesi, lo studio esercita la continuità di un lavoro tra storia e paesaggio che ha espresso in numerose opere, in particolare a Verona e provincia. La rivista ha presentato diverse realizzazioni, tra le quali la rassegna Il fuoco sacro dell’architettura (in «AV» 110, pp. 50-59). Nel 2017 a Libero Cecchini è stato attribuito il Premio Architettiverona ad honorem. Vittorio Cecchini (1966), laureato presso lo IUAV di Venezia nel 1991, nel 1996 fonda con il padre lo Studio Cecchini Architetti Associati e ne condivide la ricerca progettuale. www.liberocecchini.it

11

115

45


PROGETTO

Un foro urbano

I resti del mausoleo

L’indagine archeologica si è fatta carico anche del restauro e della valorizzazione dei rinvenimenti lasciati a vista nella nuova sistemazione della piazza 12. Veduta durante gli scavi archeologici (foto di Andrea Checchi, Multiart S. cooperativa). 13. Ipotesi ricostruttiva del mausoleo (disegno di Alberto Zardini). 14. La tabula ansata rinvenuta durante gli scavi.

Testo: Gianni de Zuccato *

Da una relazione del 1883 del “sig. conte Carlo Cipolla e dell’ispettore di Legnago e Sanguinetto cav. Stefano de Stefani” 1, abbiamo notizia di un ritrovamento archeologico avvenuto più di vent’anni prima, nel 1860, quando, in occasione degli sterri realizzati per il trasferimento del cimitero, “si trovarono a poca profondità numerosi massi lavorati di calcare bianco, posti alla rinfusa, senza traccia di fabbrica regolare, quantunque alcuni di essi fossero l’uno all’altro sovrapposti e connessi con cemento”2: “alcuni di tali massi furono lasciati sotterra, ed altri, (circa una ventina), vennero disposti lungo un lato della piazza a formare un parapetto, ovvero si adoperarono come sedili.” L’osservazione di questi blocchi e di altri simili per forma e aspetto, allora murati a vista nell’abside della chiesa, aveva indotto gli ottocenteschi ispettori alle antichità ad ipotizzare la presenza, nei pressi, di un monumentale mausoleo circolare di epoca romana. Rimossi inspiegabilmente dalla piazza, i blocchi superstiti giacevano parte nel prato antistante il Centro Culturale Eugenio Turri e parte nel cortile della scuola media. L’indagine archeologica realizzata dalla Soprintendenza tra il 2015 e il 2017 3 in occasione dell’intervento di riqualificazione del centro storico di Grezzana ha interessato purtroppo soltanto una parte di piazza Carlo Ederle. Il sottosuolo, pur sconvolto dai moderni interventi di scavo per la posa di sottoservizi di ogni genere, conservava tracce evidenti del cimitero che vi si trovava fino all’inizio del 1800; ma già in epoca romana questa zona era destinata ad uso cimiteriale, come testimoniano le tombe scoperte nel 1883 e nel 1886 nell’area dell’attuale municipio e nelle vicinanze, in direzione sud, verso via Roma.

46

12

Gli scavi hanno pienamente confermato l’ipotesi ottocentesca, con la scoperta di una struttura circolare del diametro di circa 18 metri (corrispondenti a 60 piedi romani), dimensioni straordinarie per l’Italia settentrionale. è costituita da una robusta e spessa fondazione in opus caementicium sulla quale poggiava uno zoccolo di grossi blocchi curvilinei in pietra calcarea locale con la faccia a vista finemente rifinita a martellina, perfettamente aderenti l’uno all’altro, che presentano i tipici incassi e solchi funzionali alla posa in opera e al fissaggio. Sullo zoccolo si elevava il tamburo, leggermente arretrato, con uno stacco lasciato a vista costituito da blocchi regolari ma di spessore inferiore, come testimoniano alcuni di quelli recuperati nello scasso ottocentesco. La quantità di blocchi rinvenuti e rimossi nell’Ottocento fu davvero notevole, in rapporto all’esiguo numero di quelli rinvenuti ancora in opera in situ, pertinenti al solo corso di base. Purtroppo non sono stati rinvenuti né elementi decorativi, né resti della finitura superiore del monumento, che doveva esser sormontato da un tumulo di terra a forma di cono.

1 Cfr. G. Fiorelli, III. Grezzana, in “Atti della R. Accademia dei Lincei”, 1883, serie III, volume XI, pp. 504-505. L’ipotesi ottocentesca è stata accolta e avvallata ben prima della recente conferma archeologica ad opera dello scrivente: cfr. B. Avesani, F. Zanini, Grezzana città delle Grazie, La Grafica, 2011, e A. Buonopane, La Valpantena in età romana, in Valpantena, dal vinum raeticum all’amarone. Venti secoli di storia della coltura della vigna e dell’arte di fare vino, a cura di B. Avesani, La Grafica, 2013, pp. 43-61. 2 L’indagine archeologica ha appurato che, nel settore nord-orientale della struttura, è conservata soltanto la fondazione in conglomerato, completamente spogliata dei blocchi lapidei, in corrispondenza di una profonda fossa relativamente moderna, che potrebbe riferirsi all’intervento di scasso ottocentesco. 3 Il rinvenimento è inedito; ne è in corso lo studio ai fini della pubblicazione. 4 Cfr. G. de Zuccato, c.d.s.. 5 Lungo le strade dei suburbi, monumenti funerari potevano alternarsi a santuari e anche a ville; cfr. H. von Hesberg, Monumenta. I sepolcri romani e la loro architettura, Milano 1994. 6 Relazione di C. Cipolla e S. De Stefani in G. Fiorelli, cit., pp. 504-505. 7 L’edificio attuale della chiesa è il risultato di radicali interventi di ristrutturazione, fino all’ultimo, recente, della seconda metà del secolo scorso.

2018 #04


L’inquadramento cronologico del monumento si basa su confronti tipologici: strutture sepolcrali di questo tipo, con varianti notevoli riguardo a dimensioni, caratteristiche costruttive e apparato decorativo, cominciarono ad esser realizzate durante l’impero di Cesare Augusto (fine I sec. a.C. - inizio I sec. d.C.), commissionate da ricchi e potenti esponenti dell’amministrazione locale e statale, probabilmente a imitazione del mausoleo di dimensioni colossali che l’imperatore aveva fatto realizzare a Roma come eterna dimora per se stesso e per i suoi congiunti intorno al 30 a.C. Il monumento è una conferma della presenza, nelle vicinanze, di una via non secondaria, in modo da risultare ben visibile a chi la percorreva, al fine di eternare la memoria del committente, secondo una consuetudine ampiamente attestata. Alla totale assenza di elementi diagnostici all’interno corrisponde il rinvenimento all’esterno, in prossimità della struttura, di alcuni reperti, il più interessante dei quali è certamente una piccola lastra in bronzo, una tabula ansata 4 con la dedica ex voto a una divinità, purtroppo non menzionata, da parte di tale M(arcus) Domitius Severus, che suggerisce la presenza, probabilmente nelle vicinanze, oltre alle strutture funerarie anche di un contesto sacro5. È assai probabile che la demolizione e la spoliazione quasi integrale del mausoleo abbiano trovato compimento tra la tarda romanità e l’altomedioevo, quando i grossi blocchi squadrati vennero riutilizzati in nuove costruzioni; “altri di questi massi furono posti in opera, come può benissimo vedersi, nella costruzione dell’abside della vicina antichissima chiesa parrocchiale, dove tornavano opportuni per la loro forma tondeggiante” 6. La relazione ottocentesca menziona il reimpiego di questi materiali nella fabbrica della chiesa delle Sante Maria ed Elisabetta, che, così come appariva all’epoca, poteva risalire a un’epoca assai remota, forse anteriore all’anno mille 7. Nell’area vennero realizzate sepolture in cassa litica, per le quali vennero reimpiegati anche elementi di tombe romane, come nel caso di una tomba per la quale si utilizzarono la lapide funeraria di una sepoltura di II-III secolo e gli stipiti in pietra della porta di un ignoto edificio. Per un’altra tomba fu demolito in parte il muro interno in conglomerato cementizio del mausoleo: la lastra di

115

13

14

ti napoleonici sui cimiteri, come sappiamo da fonti storiche e com’è stato riscontrato con il rinvenimento di sepolture databili almeno alla prima età moderna. In seguito alla dismissione del cimitero e al suo trasferimento fuori dell’abitato, l’area divenne uno spazio pubblico destinato a ospitare periodicamente il mercato del bestiame; il cambiamento delle attività agricole e produttive locali determinarono l’abbandono di questo utilizzo e l’area divenne il principale spazio dell’abitato e fu denominata piazza Carlo Ederle.

base fu posata sopra il primo corso di blocchi esterni in pietra, a riprova che ormai i resti del monumento non risultavano più visibili in superficie. Altri ossari vennero ricavati tra i resti del mausoleo. L’aspetto esteriore dell’area doveva essere profondamente mutato, ma non la sua persistente connotazione funeraria: l’uso cimiteriale del luogo, a fianco della chiesa parrocchiale, lungo il percorso di quella che era la via principale del paese e della vallata, continuò ininterrottamente fino agli edit-

L’indagine archeologica della Soprintendenza è stata realizzata grazie allo specifico finanziamento del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (MiBAC) e al sostegno economico dell’Amministrazione Comunale di Grezzana, che nell’ambito della riqualificazione della piazza si è fatta carico anche del restauro e della valorizzazione dei resti lasciati a vista e dei blocchi in pietra del recupero ottocentesco. * archeologo presso la SABAP per le provincie di Verona, Rovigo e Vicenza.

47


PROGETTO

Onore delle armi La riqualificazione di piazza Ferdinando di Savoia, la “piazza d’armi” di Peschiera del Garda è l’esito di un concorso che ha visto finalmente a compimento il progetto dei vincitori Progetto: Circlelab

Testo: Leopoldo Tinazzi Foto: Davide Pretto

Peschiera del Garda

01

48

2018 #04


Arrivando in una mattina di sole dalla stretta e ombrosa via Rocca, la prima impressione che dà la scoperta della nuova piazza di Peschiera è quella di una silenziosa esplosione. Ad esplodere è la luce, mentre il placido gorgoglìo della fontana aiuta a rientrare rapidamente in sé. Alzando lo sguardo dalla pavimentazione in pietra bianca ci si trova di fronte alla quinta urbana del lato occidentale delle fortificazioni, comprendente da sinistra a destra il ponte dei Voltoni, il complesso della Rocca e l’ottocentesca Caserma XXX Maggio, ex ospedale e poi carcere militare. Al di là di questi scorre il primo tratto del Mincio, che uscendo dal bacino del lago di Garda, dopo una breve quarantena nel Canale di Mezzo, fuoriesce dalla arcate del ponte dei Voltoni e inizia il suo corso. L’acqua, dunque, circonda e lambisce piazza Ferdinando di Savoia, posta nel cuore del centro storico di Peschiera del Garda. La stessa acqua che ne riempiva per metà l’attuale invaso, usato come darsena dai Veneziani per l’attracco alla Rocca fino al 1614, quando si decise di farne un terrapieno per le manovre militari. Ai giorni nostri è arrivato come

02

« Il progetto restituisce la profondità di un’opera che abbina all’immediatezza di una chiave interpretativa univoca una serie di significati secondari in cui la composizione e la volontà del disegno emergono continuamente » un luogo marginale, destinato prevalentemente al parcheggio. Così, nel 2011, è stato indetto un concorso di idee per ridisegnarlo e riqualificarlo, che ha visto una nutritissima partecipazione e che sembrava destinato – per consuetudine – a restare lettera morta (cfr. «AV» 89, pp. 98-103): ma quella pessimistica previsione deve fortunatamente essere smentita. Il gruppo dei vincitori capitanato da Federico Signorelli ha dovuto aspettare il 2014 perché l’amministrazione cittadina tirasse fuori dal cassetto la loro proposta e, affidatogli l’incarico, facesse parti-

115

04

01. Veduta di piazza Ferdinando di Savoia dal ponte dei Voltoni. 02. Veduta da via Rocca. 03. Il sagrato della chiesa di San Martino è parte integrante del disegno della piazza. 04. La linea dell’antica darsena evidenziata nella planimetria.

03

49


Onore delle armi

PROGETTO 05. Planimetria con evidenziate le tessiture dei materiali. Da notare gli stalli dei parcheggi, originariamente intesi come inserti lapidei. 06. Da sinistra: pianta della fortezza in età rinascimentale; la piazza nella prima metà del secolo scorso; lavandaie al lavoro nell’affaccio della piazza sul Canale di Mezzo. 07. Sedute in pietra e otto lecci nel giardino della fontana sullo sfondo degli edifici della Rocca.

07

05

06

50

re i lavori nel 2016 per vedere finalmente la nuova piazza inaugurata nel giugno 2017. Il progetto parte dall’esigenza di rifunzionalizzarne lo spazio, con una netta distinzione tra la parte pedonale e la parte carrabile. L’occasione progettuale è stata suggerita dal luogo e dalla storia. La linea della darsena veneziana è stata fatta riemergere per tracciare la suddivisione tra le due parti: ad ovest la piazza dei pedoni, ad est la piazza carrabile (viabilità, mercati, logistica). Questa demarcazione appare immediata nel trattamento delle rispettive superfici, un drappo di pietra bianca e una seminata di ghiaino architettonico. A collegare i due ambiti una linea lapidea, traccia dell’antica darsena, che variando in altezza diventa ora una seduta, ora un semplice segno a terra. Su questa spina si innesta baricentrica una fontana, composta da due vasche e realizzata,

2018 #04


della nervatura primaria, saldati nei cambi di direzione da lunghe nervature secondarie. Lungo questa struttura morfologica sono convogliate le acque meteoriche, che confluendo nella spina centrale si uniscono a quelle della fontana e infine si gettano nel Canale di Mezzo. Anche la disposizione degli stalli a parcheggio della parte carrabile della piazza segue questo andamento morfologico, seppure in maniera meno marcata e, necessariamente, più astratta. Scendendo di scala, i due ambiti, macroscopicamente così leggibili, sono composti a loro volta da una serie di pattern all’interno dei quali si collocano funzioni e significati. La pavimentazione della parte pedonale è composta da un’orditura a correre di listoni rettangolari di pietra di Prun, del corso della “stopegna”. Su questo tappeto generico si innestano due interventi che ne rompono la trama, per sottolineare la presenza di episodi singolari: il sagrato della chiesa di San Martino e il giardino della fontana. Qui il taglio delle lastre diventa di formato più grande, per staccare rispetto al resto della piazza ed introdurre simbolicamente ad ambiti di gerarchia semantica superiore. La composizione di questi lastroni varia tra linee orizzontali e innesti trapezoidali; un’irregolarità che richiama, per analogia, la pavimentazione del sito archeologico romano di fianco alla chiesa. Incastonata all’interno del proprio giardino lapideo così come la seduta, in pietra trachite. Per addentrarci nella comprensione del disegno generale della nuova piazza, immaginiamoci una foglia, dalla classica forma ellittica. La foglia è schematicamente composta da una nervatura centrale da cui si ramificano sui due lati delle nervature secondarie che sostengono la lamina, ovvero la parte piatta, detta anche lembo. La lettura del progetto in chiave organica a questo punto diventa palese. E, probabilmente, tra gli aspetti vincenti e più affascinanti della proposta in fase concorsuale, c’è stata proprio la metafora della nuova linfa che scorre lungo le nervature del rinnovato assetto planimetrico. L’astrazione diventa progetto nella disposizione dei corsi di pietra dell’ambito pedonale, che, come lembi di una foglia, si innestano perpendicolarmente alle spezzate

115

i progettisti Federico Signorelli, Giada Signorelli, Leila Signorelli e Andrea Castellani hanno fatto parte del gruppo vincitore al concorso di idee per la riqualificazione di piazza Ferdinando di Savoia, progetto poi sviluppato e portato a compimento da Federico Signorelli (Circlelab Architecture and Engineering Group) e da Andrea Castellani, Matteo Fiorini e Nicola Bedin (Clab architettura). Frutto della collaborazione tra i due studi è anche la casa a Peschiera del Garda (cfr. «AV» 107, pp. 44-51) menzionata al Premio Architettiverona 2017. www.circlelab.it www.clabstudio.eu 08. Schema assonometrico che evidenzia “la sottile linea d’ombra”, motto del progetto di concorso vincitore.

08

51


Onore delle armi

PROGETTO 09-10. La fontana in attività con i bambini che possono giocare tra gli zampilli grazie alla continuità di quota tra il piano della piazza e la vasca.

09

10

52

si trova la fontana, punto centrale della composizione, la cui presenza si manifesta per difetto, come un taglio digradante verso la linea della darsena. Lo squarcio è sottolineato passando dalla pietra di Prun alla Trachite, il materiale dell’acqua, la masegna dei veneziani. I masegni erano i tagli di Trachite principalmente usati per le pavimentazioni della Serenissima (vedi piazza San Marco). Il piano scende di 50 centimetri fino ad un quadrante centrale dove si installa una griglia di nove getti d’acqua verticali, che si attivano a cadenza regolare. La fontana si completa al di là della linea con un vascone che raccoglie le acque di tutto il sistema idrico innervato sulla piazza. Specchiato a nord, rispetto a questo ambito, si trova un boschetto di lecci con delle panche per la sosta. Il lembo orientale della piazza è invece caratteriz-

2018 #04


11. Dettaglio serale sui gradoni che scendono nel Canale di Mezzo. 12. La linea lapidea riemersa sulla traccia della vecchia darsena, elemento generatore del progetto.

12

zato da una composizione di rivestimenti più grezzi, adatti alla destinazione carrabile. La base è un ghiaino architettonico impasto di calcestruzzo e porfido di piccola pezzatura, scelta “fluida” che richiama la presenza storica dell’acqua. Su questo manto si insinua da sud una stradina in ciottoli di fiume, che costeggia e amplifica sul lato carrabile la linea della darsena, fino a sboccare all’apice nord della piazza, dove si allarga e si trasforma in una serie di gradoni che scendono al canale. L’altra variazione di pattern riguarda una lingua in cubetti di porfido che conduce, in asse con l’omonima via, all’ingresso della Rocca. Gli stalli dei parcheggi erano stati previsti in lastre dello stesso materiale, ma le normative hanno imposto l’utilizzo della vernice blu. Un ulteriore livello di lettura del progetto riguar-

11

115

53


PROGETTO

Onore delle armi

13

da alcuni particolari: come ad esempio i già citati tagli archeologici delle pietre del sagrato, oppure la geometrica accelerazione prospettica del vialetto di ingresso alla Rocca, ma anche i raffinati stondati del vascone in trachite della fontana e il totem di corten che si intesta alla spina centrale nell’apice sud, rendendo visibile parte dei resti della banchina veneziana. Visto nel suo complesso questo progetto restituisce la profondità di un’opera che, mantenendo univoca la chiave interpretativa, riesce ad abbinare all’immediatezza di questa una serie di significati secondari, in cui la composizione e la volontà del disegno emergono continuamente. Il valore di questo atteggiamento sta nell’avere creato uno spazio contemporaneo inestricabilmente collegato hic et nunc al contesto e destinato ad essere benevolmente accolto come compagno di viaggio dai suoi centenari guardiani.

14

54

2018 #04


committente Comune di Peschiera del Garda Progetto di concorso arch. Federico Signorelli (capogruppo), arch. Leila Signorelli, arch. Giada Signorelli, arch. Andrea Castellani, arch. Nicola Bedin, ing. Paolo De Beni progetto esecutivo Circlelab: arch. Federico Signorelli, arch. Andrea Castellani, arch. Matteo Fiorini, arch. Nicola Bedin Consulenti Intec Impianti (impianti) Water Cube (fontana) dott.ssa Francesca Meloni (archeologia) direzione lavori arch. Marcello Ghini, geom. Fabio Giuliari (Ufficio tecnico Comune di Peschiera del Garda) Imprese Nord Costruzioni, Giemme costruzioni (1° stralcio) Civilmahglor (2° stralcio) Cronologia Concorso: 2011 Progetto definitivo-esecutivo: 2015 Realizzazione: 2016-2017

13. Schema assonometrico del totem informativo posto in corrispondenza di un taglio vetrato nella pavimentazione che evidenzia il livello archeologico inferiore. 14. I gradoni che scendono a fiume sul lato del ponte dei Voltoni.

115

55


STORIA & PROGETTO

IMPARANDO DAL PANDORO

Una lettura simbolica, edulcorata e d’occasione, per le architetture rappresentative delle piÚ antiche aziende veronesi del tipico dolce natalizio Verona Testo: Alberto Vignolo Foto: Diego Martini

01

56

2018 #04


Ba Ba Ba Ba... Basta pensare a come certi libri diventano memorabili e mitici, letti o non letti che siano, e a come altrettanto facilmente vengano citati, e talvolta anche travisati. Eppure, tutti abbiamo imparato qualcosa da Las Vegas, città mitizzata da molto lontano, e chissà mai cosa resta di quella fantasmagoria di segni raccontata da Robert Venturi assieme alla moglie-socia Denise Scott Brown e al terzo incomodo Steve Izenour1: in fondo, il significato di quell’esempio è analogo a quello di una città ideale, dove conta più il valore di esempio che quello di verità. Sul calco venturiano proviamo a pasticciare un po’ per vedere come due edifici veronesi di epoche e fama diversa – il “Bauli” è un’architettura diventata anche un riferimento topografico, il palazzo Melegatti rimane invece una chicca per curiosi col naso all’insù – abbiano interpretato il carattere rappresentativo dell’architettura nel farsi simbolo di un’azienda, di un marchio e del suo prodotto. Che nel nostro caso è l’altrettanto simbolico dolce natalizio veronese. Come si sono rappresentate per mezzo dell’architettura le due storiche aziende del pandoro, la capostipite Melegatti (oggi purtroppo nota alle cronache più per le sue disavventure gestionali che per le dolcezze dei suoi prodotti) e la solida realtà degli immediati epigoni in lilla, ovvero Bauli? In principio era dunque il 04 laboratorio-pasticceria in corso Porta Borsari, dove la narrazione mitica vuole che Domenico Melegatti abbia impastato il primo pandoro, partendo da dolci legati alla tradizione locale: il 14 ottobre 1894 nome, forma e ricetta del pandoro vengono depositati 2 . L’edificio viene ristrutturato negli anni Venti per farne la “Casa del Pandoro”: l’aspetto rimane sobrio e classicheggiante, con alcune piccole licenze a un iconismo letterale. Qui la trasposizione in forma architettonica del prodotto è letterale, “caricaturando” il pandoro

115

02

come elemento decorativo per farne un pinnacolo sul coronamento dell’edificio. Quasi una burla di pietra da scorgere contro il profilo del cielo. Se pure il singolo elemento, il pandoro di pietra, rappresenta una trasposizione scultorea di una forma simbolica tale da rappresentare, nella dicotomia venturiana tra “papera” e “shed decorato”, una “piccola papera”, si tratta in realtà di un elemento decorativo sovrapposto indipendentemente alla struttura dell’edificio, a servizio rappresentativo del programma: dunque un’insegna, per quanto non al neon. Come nella città americana i grandi alberghi e i casinò erano sormontati dalle grandi scritte luminose, così il più rassicurante palazzetto lungo l’antica strip di

03

05

01, 05. Le cuspidi a guisa di pandoro nel coronamento del palazzo Melegatti in corso Portoni Borsari a Verona. 02-03. Particolari dei fregi con le mele e i gatti a fianco dell’accesso. 04. Trascrizione in chiave dolciara di un celbre schizzo venturiano.

57


STORIA & PROGETTO stabilimento che Melegatti costruisce in via Raggio di Sole all’inizio degli anni Cinquanta. Ecco un embrione di edificio-scultura (ma non manca una bella insegna svettante in cima alla fabbrica): certo lontano anni luce dall’insuperabile grottesco degli esempi di Las Vegas. Non abbiamo ancora visto a Verona – ma non è mai troppo tardi - qualche bel chioschetto a forma di pandoro, tra i tanti che propinano di continuo cibarie e dolciumi per ogni angolo del centro cittadino nell’invariante ed imperialistica versione della baracchetta Tyrol Style. Potrebbe uscirne una perfetta “papera” dolciaria d’occasione, ottima per la

« Come due edifici di epoche diverse, il “Bauli” e il palazzo Melegatti, hanno interpretato il carattere rappresentativo dell’architettura nel farsi simbolo di un’azienda, di un marchio e del suo prodotto » 06

06-07. Veduta d’epoca e rappresentazione prospettica dello stabilimento Melegatti costruito nel 1951 in via Raggio di Sole a Verona. 08. Il bar Bauli sulla testa dello stabilimento in ZAI prima della sopraelevazione con il corpo uffici.

1 Robert Venturi, Denise Scott Brown, Steven Izenour, Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica, a cura di Manuel Orazi, Quodlibet, 2010. 2 Su queste vicende si veda il volume celebrativo 1894-1994: i cento anni del pandoro / Melegatti con testi di Antonio Pilati, Melegatti, 1994.

3 Devo queste informazioni a un colloquio con Carlo Bauli effettuato presso il Palazzo Bauli il 16 ottobre 2012.

07

matrice romana si connota per gli elementi segnaletici giustapposti: rieccoci sul versante dello “shed decorato”. Tanto più che i fastigi pandoreschi non sono gli unici di questi elementi: sul fronte laterale di vicolo Corticella San Marco, l’ingresso agli alloggi sovrastanti la pasticceria (nel frattempo scomparsa dalla circolazione commerciale: vendonsi scarpe) vede campeggiare tra le composte coppie di paraste binate dei bizzari fregi di soggetto tra lo zoomorfo e il frutticolo: teste di gatto reggono, tenendole per la bocca, una cascata di medaglie celebrative dei traguardi aziendali, adornate da piccole mele decorative. Un rebus facile da sciogliere che porta inevitabilmente a “mele-gatti”: anche se una lettura dall’alto verso il basso confonde le idee travisando un improbabile “gattìmele”: forse un soggetto per un’addenda al Manuale di zoologia fantastica. Più vicino a una forma letterale, forzandone volutamente la lettura come fa una rappresentazione iconografica dell’epoca, è la forma a fetta di pandoro del nuovo

ricorrenza di Santa Lucia e magari spolverata di fiocchi di neve - clima permettendo invece che di zucchero al velo. Idea freeware a disposizione di chi raccoglie la sfida! Un precedente su scala minore è il paracarrodissuasore che Enzo Mari disegnò per Milano a guisa di panettone - el panetùn -, concorrente e alter ego tra i lievitati da ricorrenza natalizia. Tutta diversa è la storia del Bauli, anche se

08

58

2018 #04


09-10. Una immagine d’epoca e una attuale del complesso direzionale ad uffici costruito dal 1972 al 1977 al di sopra del bar-pasticceria Bauli in largo Perlar (oggi piazzale Ruggero Bauli) a Verona. 11. Pianta dello stabilimento dolciario Bauli costruito in ZAI nel 1954 con il bar sulla testata d’angolo (piano terra e mezzanino).

l’assunto iniziale è il medesimo : la crescita da laboratorio artigianale a realtà industriale, e la rappresentazione che l’architettura interpreta di tale crescita. La pasticceria fondata da Ruggero Bauli nel 1936 già nel 1954 si era trasferita in quello che allora doveva essere un estremo lembo della Zona Agricola Industriale, in un piccolo capannone progressivamente ampliato pezzo dopo pezzo. Sulla testa dello stabilimento, in previsione della ipotizzata piazza al posto dell’informe slargo – tale e quale a come è poi rimasto – apre un negozio bar su due piani. Ma la crescita del marchio è costante e, raggiunta la saturazione del luogo, all’inizio degli anni Settanta viene decisa la costruzione di un nuovo stabilimento da realizzare a Castel d’Azzano. La progettazione viene affidata all’architetto Rosario Firullo, che porta a compimento l’incarico con soddisfazione della committenza: per gli 11.000 mq dello stabilimento, i tempi serrati per rispettare le scadenze produttive sono pienamente rispettati (inizio cantiere dicembre 1973-primo

10

09

11

115

59


STORIA & PROGETTO

12-13. Pospetti est e nord dal progetto di sopraelevazione uffici dell’Industria dolciaria Bauli, arch. Rosario Firullo (1972). 14. Piante dei piani 3°-4°-5°-6°, arch. Rosario Firullo (1972). .15. Lo scheletro strutturale in acciaio della sopraelevazione durante la costruzione. 16-17. Disegno e veduta del fronte posteriore con la forometria modernamente random. 18-19. Locandine pubblicitarie vintage enfatizzano il carattere aziendale dell’edificio, senza alcun riferimento al prodotto d’elezione (il pandoro).

12

14

60

13

15

2018 #04


16

17

115

18

19

prodotto sfornato ottobre 1974) 3. In parallelo a quest’impresa, proseguendo la collaborazione con Firullo nasce l’idea di realizzare un edificio per uffici al di sopra dello stabilimento veronese. Il progetto per come è stato poi realizzato – viene inaugurato nel 1977 - prevede il sopralzo di sette piani sui due preesistenti del bar: un PianoPandoro da far impallidire qualsiasi PianoCasa passato e (forse) futuro. Raggiungendo una trentina di metri di altezza massima, la sopraelevazione si sviluppa su una superficie coperta tipo di 315 mq. L’esito appare un po’ tozzo, si direbbe poco lievitato: è una torre mancata, nel rispetto di quanto consentito dalle norme edilizie. Sorprende però l’equilibrismo con cui al di sopra del precedente bar, che rimane tuttora riconoscibile, viene posto uno zoccolo pensile in ca alto due piani, dal quale si libera l’evidenza della struttura in acciaio a vista e il curtain wall in alluminio con vetri specchianti. Ad alleggerire visivamente il peso verso l’alto alcuni svuotamenti d’angolo e l’appoggio sul fronte posteriore, semplicemente

utilitaristico nella disposizione sfrontatamente funzionale di finestre e finestrelle. Se questa è la vicenda che riguarda la forma, la struttura e il programma dell’edifico “Bauli”, un discorso a parte merita la sua caratterizzazione semantica. Non vi è qui nessuna ricerca di iconismo diretto: l’edifico vuole comunicare se stesso e una idea di modernità ed efficienza aziendale. Anche l’insegna posta sullo zoccolo cementizio lo qualifica in realtà non come “il Bauli”, come è noto per tutti, bensì il “Ruggero Bauli”: simbolo dell’azienda attraverso il nome del suo fondatore e non del prodotto. Solo una grande insegna posta in sommità dell’edifico, ora tra una selva di antenne, riconduce il nostro alla categoria dello shed decorato, attraverso la familiare grafia tonda e paffutella del logo che vediamo campeggiare sulle nostre belle tavole delle feste con le tovaglie di Fiandra. Le magnifiche sorti e butirrose del buon pandoro veronese attendono nuovi simboli architettonici. Ba Ba Ba Ba....

61


ODEON

Le eredità di Turri

Un seminario dedicato a Eugenio Turri ha ricordato la figura del geografo, scrittore e viaggiatore e il suo sguardo “con l’animo aperto alla comprensione delle cose” Testo: Alberto Vignolo

Foto: Archivio Eugenio Turri

01

62

2018 #04


L’

115

01. Donne nomadi kuchi raccolgono acqua sulle rive del fiume Helmand, Afghanistan. 02. Danzatori Sara a Fort-Lamy, Ciad, 1960. 03. Il rak’at, prosternazione rituale dei beduini, Ilibanan, Mali. 04. Donna tuareg nell’Ilibanan, regione di Gao, Mali.

ODEON

incontro sulla figura di Eugenio Turri (1927-2005) organizzato dal comune di Cavaion Veronese – cittadina nella quale ha vissuto a lungo negli ultimi anni – e dalla figlia Lucia non va inteso come un fatto esclusivamente locale e familiare. Un piccolo ripasso: basta scorrere la nutritissima bibliografia degli scritti di Turri per dare conto del suo fondamentale contributo scientifico nell’ambito della geografia e del paesaggio, a partire dai testi teorici usciti negli anni Settanta e più volte ripubblicati come Antropologia del paesaggio e Semiologia del paesaggio italiano. Qualcuno ricorderà anche volumi più recenti ma altrettanto incisivi come Il paesaggio come teatro (1998), La megalopoli padana (2000) o La conoscenza del territorio (2002), che risultano di particolare interesse per i lettori veronesi in quanto l’ambito di studio privilegiato per Turri è sempre stato quello della sua terra d’origine e i suoi paesaggi: le colline della Lessinia e il monte Baldo, da lui stesso definito “territoriolaboratorio”. Imperdibili, per i veronesi, anche Villa Veneta. Agonia di una civiltà (1977) e il suo seguito Miracolo economico. Dalla villa veneta al capannone industriale (1995), un contributo alla storia antropologica, sociale e culturale del nostro territorio nel racconto della perdita di una civiltà e delle devastazioni del primo boom economico. Uno sguardo, quello del Turri bambino nel brolo della villa veneta in cui era nato (Villa Arvedi a Cuzzano, di cui il padre era castaldo) e poi in età giovanile più da lontano, da Milano dove era andato a studiare e poi si era trasferito, che non è semplicemente contemplativo

02

03

o estetizzante ma è sempre uno sguardo che del paesaggio mette in luce le trasformazioni. Ma oltre a questo punto di vista su luoghi a noi familiari, la geografia è quella dell’universo-mondo: ecco il Turri viaggiatore e scrittore di viaggi, ecco la scoperta e lo studio di mondi un tempo lontani – oggi ogni luogo sembra essere a portata di mano, forse – che la piccola selezione

04

di suoi scatti fotografici allestita in occasione dell’incontro a Cavaion (già proposta alla Fondazione Benetton, al Film Festival della Lessinia e al Premio Chatwin) ha fatto scoprire ai presenti, aprendo alcune finestre su mondi lontani ritratti nella fotografia, descritti ma soprattutto vissuti sempre “con l’animo aperto alla comprensione delle cose”. Una sua espressione che

vale come un motto e un monito – un insegnamento – e che gli invitati al seminario hanno suffragato portando ciascuno una testimonianza dell’eredità di Eugenio Turri. Ad aprire gli interventi è stato Giorgio Botta, geografo e professore all’Università Statale di Milano dove già nel 2016 aveva organizzato un seminario intitolato ad “Eugenio Turri geografo non accademico”.

63


Ed è da questa estraneità, nel suo porsi fisicamente o per meglio dire geograficamente fuori (ma non contro) da una carriera universitaria – solo negli ultimi anni insegnerà Geografia del Paesaggio al Politecnico di Milano – che nasce la “geografia esclusiva” di Eugenio Turri, lavorando sul campo per il mondo dell’editoria (Touring Club Italiano, istituto Geografico De Agostini). Un’attività che lo ha portato fin dai primi viaggi, solitari e avventurosi, nei paesi aridi dell’Asia e dell’Africa – le cui problematiche diverranno in seguito uno dei suoi argomenti fondamentali di ricerca –

« L’obiettivo a lunga scadenza è che l’intero Archivio Turri venga progressivamente custodito e valorizzato dal Museo di Geografia » 05

05. Campo di kirghisi ai piedi del monte Mustagata, Pamir. 06. Torrioni della Monument Valley, Arizona.

06

64

e poi ancora in Afghanistan, Iran, nell’Asia centrale e nell’Africa sahariana, in particolare dell’area del Sahel. Da questi viaggi e da una vita di studi si è formata l’eredità materiale di Turri: un patrimonio di oltre 30.000 immagini fotografiche (la maggior parte diapositive), che pongono a chi le ha custodite fino ad ora – l’archivio è curato da Lucia Turri – problemi di conservazione e di gestione non da poco. A partire da questi temi è intervenuto Mauro Varotto, anch’egli geografo presso l’Università di Padova dove è responsabile del nuovissimo Museo di Geografia, un’idea che nasce per valorizzare e mantenere unito il patrimonio

2018 #04


115

ODEON

accumulato in oltre 140 anni di ricerca e didattica a partire dalla prima cattedra italiana di Geografia istituita nel 1872. Il Museo di Geografia è attualmente in fase di allestimento in vista dell’apertura al pubblico prevista per l’anno prossimo; il suo patrimonio oltre a libri, atlanti, carte geografiche, plastici, globi, strumenti e fotografie, comprende già un primo nucleo dell’Archivio Turri – circa 500 immagini che sono state scansionate e catalogate – che una volta aperto il Museo potranno così essere messe a disposizione degli studiosi. L’obiettivo a lunga scadenza è che l’intero archivio venga progressivamente custodito e valorizzato dal Museo di Geografia. Il terzo intervento ha visto la presenza di Anna Braioni, architetto e urbanista veronese che con Eugenio Turri ha condiviso in più occasioni uno scambio intellettuale sui temi del paesaggio, a partire da alcune ricerche, condotte assieme alla Fondazione Benetton, sul paesaggio veneto e su quello delle colline moreniche di Sommacampagna. Anna Braioni è stata inoltre il tramite della reunion tra Turri e un altro grande intellettuale veronese, Sandro Ruffo: una conoscenza che risaliva ai campi studio giovanili assieme anche a Renzo Zorzi (formidabili quegli anni!), e che ha portato poi alla realizzazione del volume L’Adige. Il fiume gli uomini la storia (2008). Ma soprattutto la comunanza che Braioni ha sottolineato è quella della battaglia di idee sul paesaggio: un tema, questo, che rappresenta di fatto una eredità ancora viva perché le battaglie – come gli esami – non finiscono mai. Il paesaggio del

07

Baldo e del Garda è sottoposto a una fortissima pressione antropica, frutto sì di una ricchezza condivisa, ma ne altera profondamente i caratteri e l’aspetto. Oggi la tutela del paesaggio è ridotta a una pratica burocratica: moduli da compilare, elaborati da predisporre, commissioni più o meno autorevoli a cui sottoporsi. Gli ambi lembi del territorio che sono soggetti a un vincolo paesaggistico o ambientale non sono però immuni da trasformazioni pesanti e talvolta devastanti (tutte coi timbri di legge, sia chiaro). Lo sguardo del singolo progettista – mettiamoci in gioco, siamo noi architetti e le nostre coscienze ad essere sollecitati su questi temi – spesso non può andare oltre il proprio limitato recinto d’azione. Ripensare a una visione insieme – allo sguardo del geografo – è un modo di guardare alle cose che abbiamo scordato. Varrebbe la pena ripassare alcuni dei fondamentali dell’insegnamento di Eugenio Turri: un insegnamento da tenere vivo non per un semplice omaggio, ma per far valere una eredità attiva di cui abbiamo sicuramente bisogno.

07. Paesaggio terrazzato, Nepal. 08. La sala civica “Eugenio Turri” di Cavaion Veronese durante il seminario.

con l’animo aperto alla comprensione delle cose Seminario dedicato a Eugenio Turri, geografo, scrittore, viaggiatore a cura di Lucia Turri Cavaion Veronese - 6 ottobre 2018 In margine all’incontro è stata organizzata, a cura di Maurizio Delibori e Maurizio Marogna - CTG, una passeggiata sul monte Baldo lungo il sentiero CAI dedicato a Eugenio Turri che raggiunge il monte Crocetta, una vetta minor del Baldo che ha costituito il suo osservatorio geografico. www.eugenioturri.it

08

65


Uno spazio sdoganato La storia, il restauro e un uso temporaneo in chiave artistica per la ex Dogana di Terra, architettura utilitaria settecentesca progettata in forme monumentali da Alessandro Pompei Testo: Federica Pascolutti, M. Grazia Martelletto, Tiziana Armillotta Foto: Accenta

01

66

2018 #04


« È nel rispetto di modifiche “figlie del proprio tempo” che si è fatta la scelta di plasmare gli interventi in aderenza all’esistente » potenzialmente contaminanti – della volontà del Consiglio Cittadino di rivendicare maggiore autonomia daziaria nei confronti di Venezia, per far fronte in maniera più competitiva ai mutati equilibri nel circolo delle merci rispetto un mondo sempre più allargato sia verso le Americhe che verso le Indie e l’Oriente. Su tutto ciò, tuttavia, prevale in termini architettonici una logica autorappresentativa riconosciuta ed esplicitata dai Savi della Serenissima una volta che l’edificio, approvato e finanziato con presupposti congrui alla sua funzione, venne presentato in tutta la sua aulicità come ‘altro’ da una struttura doganale: un peristilio

115

rettangolare realizzato in materiale lapideo attorno al quale si articolano le tre ali a doppio loggiato di ordine toscano, nelle quali si susseguivano identici camerini dei mercanti-, cui fa da quinta scenica la cosiddetta stalia, portico scandito da colonne di genere toscanico gigante. Un foro romano quindi, progettato su impulso del marchese Scipione Maffei dal conte Alessandro Pompei, il quale desumendo elementi dei vicini teatro e anfiteatro cittadini fa sì che l’edificio conclami le idee di rinnovamento urbano ispirate dal mito archeologico e celebrativo della Verona di origine romana, elaborate dallo stesso Maffei ed espresse, esemplarmente negli stessi anni, nell’omonimo Museo Lapidario. Con la fine della Serenissima Repubblica e il venir meno del traffico merci fluviale il complesso perde la sua funzione originaria. Entrato a far parte del patrimonio dello Stato, dopo la riunificazione dell’Italia, diviene sede di uffici pubblici. Intorno al 1975 il Ministero dei Beni Culturali lo prende in

ODEON

Per quanto suggestiva e potente sia l’architettura della ex Dogana Merci una volta varcatone l’ingresso, essa è ai più poco conosciuta, configurandosi quasi come un luogo liminale, costretto tra le rive dell’Adige da cui è protetta tramite l’edificio della Dogana d’Acqua – originariamente parte integrante del Complesso daziario – e i chiostri del convento della chiesa di San Fermo, oggi sede della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio. La scelta di far confluire in un unico edificio le funzioni doganali fu conseguenza – oltre che di questioni meramente sanitarie di concentrazione di merci

02

03

01. E x Dogana merci di terra: veduta dell’enfilade di colonne dell’ala sinistra dopo il restauro. 02. La Dogana nel contesto urbano: si riconosce il volume di raccordo tra la strada parallela all’Adige e l’ingresso principale dell’edificio, posto obliquamente ad essa. 03. Cristoforo Dall’Acqua, Particolare dal Prospetto della Dogana di San Fermo (Biblioteca Civica di Verona, sez. stampe). 04. Veduta prospettica del forum che caratterizza lo spazio della Dogana.

04

67


06

05

05. Schemi distributivi di progetto a dimostrazione del carattere multifunzionale degli spazi (didattica, mostre, servizi, accoglienza, etc. indicati in colori diversi), anche con l’utilizzo di una parete mobile. 06. Veduta del piano primo ante interventi: si noti l’assenza delle pareti trasversali a delimitazione degli antichi camerini.

68

consegna e avvia lavori di restauro e adeguamento funzionale nell’ambito di un progetto finalizzato alla realizzazione di un Centro per il restauro delle opere d’arte, di rilevanza regionale, e della Sede della locale Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici. Negli anni successivi la Soprintendenza garantisce con sistematici interventi manutentivi, la conservazione e la funzionalità del complesso. A partire dal 2010 si affronta il tema della riqualificazione formale e impiantistica della stalia, ambiente fondamentale per gli interventi di restauro di opere di grandi dimensioni (cfr. «AV» 95, pp 76-83). Nel 2013 si avvia il progetto di adeguamento funzionale dell’ala sud-ovest e si pongono le basi per affrontare anche il restauro dell’ornato litico del peristilio.

il progetto di restauro e adeguamento funzionale

Nel confrontarsi col progetto di restauro e rinfunzionalizzazione di un edificio così significativo del contesto architettonico e urbano veronese, la committenza e i progettisti hanno ritenuto imprescindibile darsi delle linee guida su cui indirizzare le scelte d’intervento. Conservare il bene vincolato nelle sue peculiarità architettoniche distributive, materiali e statico-strutturali giunte fino all’attualità ha presupposto rispondere alle esigenze della contemporaneità con il principio del minimo intervento, utilizzando per le aggiunte sistemi minimamente invasivi e reversibili, e soluzioni costruttive, tecnologiche e impiantistiche per una gestione energetica efficiente. L’analisi dello stato di fatto dell’ala sud-ovest è stata ulteriore motivo di riflessione, visti i segni lasciati dall’intervento messo a punto dalla Soprintendenza a partire dal 1976,

2018 #04


ODEON

dogana delle merci di terra Completamento del restauro e adeguamento funzionale committente Segretariato Regionale Veneto – MIBAC Finanziamento: ALES S.p.A.

progetto arch. Tiziana Armillotta, arch. Federica Pascolutti - Studio AP2T (capogruppo), ATEC Engineering, ERGON studio, arch. Michele Candiani, ing. Marco Montresor

07

declinato da un approccio allora più focalizzato sulla rifunzionalizzazione che sulla salvaguardia dell’originario impianto pompeiano scandito da “camerini”. È dunque nel rispetto di modifiche “figlie del proprio tempo” che si è fatta la scelta di plasmare gli interventi in aderenza all’esistente, complice la previsione di utilizzo del manufatto compatibile con le sue caratteristiche originarie. Se il piano terra è stato oggetto prevalentemente di interventi di miglioramento sismico e di riprogettazione dei sistemi di conservazione (deposito dell’archivio opere d’arte), il piano primo è stato ripensato puntando alla polifunzionalità dei suoi spazi, approfittando dei precedenti interventi strutturali che hanno permesso di conservare ed esaltare

115

lo spazio centrale come sala multifunzione. Tale spazio è stato ulteriormente valorizzato con l’inserimento di una parete mobile che ne permette lo sdoppiamento, garantendo una gestione autonoma. In questa prospettiva si è lavorato sugli spazi alle estremità dell’ala, sfruttando gli ambienti e i due sistemi di collegamento esistenti – lo scalone lapideo principale e l’impianto elevatore opportunamente rinnovato – e raddoppiando i servizi igienici per garantire una elevata versatilità nonché autonomia nella gestione degli ambienti dedicati a funzione didattica, convegnistica ed espositiva. Gli impianti (climatizzazione, audio, video e illuminazione) sono stati concentrati nella piastra tecnologica a controsoffitto, mantenendo l’autonomia con quelli preesistenti del piano terra.

07-08. Vedute del piano primo dopo il restauro: campo e controcampo della sala principale con la parete mobile aperta.

direzione lavori arch. Maria Grazia Martelletto MiBAC ing. Flavio Bottura (direttore operativo imp. elettrici e meccanici) arch. Federico Cetrangolo - MiBAC (direttore operativo interventi di conservazione del peristilio) cronologia Progetto e realizzazione: 2014-2018

08

69


09. Portico dell’ala destra: ricostruzione postbellica della parte litica asportata con muratura in laterizi. 10. Veduta d’insieme dell’ala sinistra dopo il completamento degli interventi di restauro. 11-12. Fase di stuccatura sottolivello con impasto di granulometria analoga a quella della superficie litica e rinforzo strutturale.

09

10

Similmente di matrice contemporanea è l’attenzione a contenere i costi di gestione della struttura attraverso interventi di efficientamento energetico, individuando nel caso specifico i materiali maggiormente compatibili con le caratteristiche dell’edificio (isolamento all’intradosso del solaio del sottotetto, termointonaco a base di calce idraulica sulle pareti perimetrali ad integrare finiture di recente fattura, infissi ad alta efficienza che ripropongono il profilo esistente nelle altre ali della dogana).

70

Se all’interno della riflessione sulla conservazione di ciò che possiamo definire, prendendo a prestito riflessioni storicizzate, la “fabbrica del composito”, si sono evitati ripristini prebellici, nel contempo la tensione a raccontare per via simbolica l’architettura per come era stata realizzata nel tardo Settecento ha suggerito il disegno del pavimento in terrazzo alla veneziana, che ricalca le dimensioni e l’originaria cadenza dei setti murari che scandivano i camerini. Il sistema a portico e loggia che

11

12

definisce il peristilio e gli elementi costitutivi dei profili delle porte e delle finestre dell’ex Dogana sono in pietra Gallina, materiale molto utilizzata nell’edilizia storica veronese fin dall’epoca romana che, per la sua eterogeneità tessiturale oltre che per l’elevata porosità, può subire un marcato degrado. Le superfici delle colonne maggiormente esposte al dilavamento presentavano pertanto elevati fenomeni di erosione. È stata quindi eseguita una mappatura dei processi di degrado in atto, previa esecuzione di indagini fisico-chimiche. Preliminarmente sono state rimosse, in modo graduale e sempre controllato, le parti in fase di stacco, che sono state successivamente ricollocate; i sali solubili presenti in superficie e all’interno della pietra sono stati estratti utilizzando impacchi di acqua deionizzata e argille assorbenti. Si è quindi proceduto alla rimozione dei depositi superficiali, al preconsolidamento delle aree interessate da fenomeni di polverizzazione e di disgregazione

con impiego di prodotti ad alta penetrazione a saturazione degli interstizi creati dai fenomeni di degrado differenziale. Particolare attenzione è stata dedicata alla granulometria degli impasti utilizzati per le stuccature per non creare superfici troppo omogenee in un contesto di superfici scabre. Stante la perdita di materiale, tale da compromettere in modo significativo l’efficienza strutturale di alcune colonne, erano stati previsti anche alcuni interventi puntuali di consolidamento statico. Dopo la rimozione dei depositi superficiali le condizioni conservative di alcune colonne si sono rivelate più preoccupanti; sono infatti emersi danni bellici che avevano comportato vaste perdite, integrate con grossolane ricostruzioni in laterizi. Si è quindi provveduto a rimuoverle, previa puntellazione degli architravi sovrastanti, e a sostituirle con malte strutturali a base di calce per ricostruire la sezione resistente, e a fasciare le zone ricostruite con tessuto in fibra di carbonio.

2018 #04


ODEON Art&TheCity chi utopia mangia le mele a cura di Adriana Polveroni e Gabriele Tosi ex Dogana di terra, Verona 12 ottobre- 2 dicembre 2018 In occasione dell’edizione 2018 di ArtVerona, manifestazione fieristica organizzata da Veronafiere, gli spazi della ex Dogana di terra – in consegna alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza hanno ospitato la mostra Chi utopia mangia le mele, realizzata in collaborazione con il Comune di Verona. Allestita nell’imponente cortile settecentesco e nei suoi loggiati, l’esposizione inaugura gli spazi dell’ala sud-ovest dopo il restauro. Le opere presentate – una selezione che dagli anni Sessanta arriva ai giorni nostri – includono fotografia, installazione, pittura, suono e scultura, tra nuove produzioni e rifacimenti di opere storiche.

13

13. Il cortile della ex Dogana allestito per Chi utopia mangia le mele. Al centro, Tumbleweeds Catcher, uno dei più noti lavori di Gianni Pettena, realizzato per la prima volta a Salt Lake City nel 1972 e ripensato in una declinazione che tiene conto del patrimonio naturale italiano (Foto Ennevi). 14. Una delle sale polifunzionali messe alla prova come spazio espositivo (Foto Ennevi). 15. Il cortile affollato per l’inaugurazione della mostra (Foto Ennevi).

14

115

15

71


Fantasie amichevoli Uno studio promosso dagli Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona mette in luce criticità e potenzialità per il Museo di Castelvecchio entro gli spazi del complesso monumentale Testo: Alberto Vignolo

I

l museo di Castelvecchio, custode delle collezioni civiche di arte antica, è un capolavoro della museografia italiana grazie all’intervento magistrale di Carlo Scarpa; molti, forse tutti gli architetti veronesi almeno da studenti lo hanno scoperto, esplorato, studiato, talvolta idolatrato. Ognuno può dunque dirsi “amico” di Castelvecchio, avendoci poi accompagnati altri amici e conoscenti facendosi vanto di questa perla – poche altre, nei decenni successivi si sono aggiunte tra i gioielli architettonici della città. Spetta a un buon amico farsi carico di dire le cose come stanno, per spiacevoli che possano essere. Così hanno fatto gli Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona, associazione che per statuto è a fianco e a supporto dei musei della città, promuovendo una ricerca presentata pubblicamente all’inizio di ottobre 2018. Le Fantasie per Castelvecchio non rappresentano un volo pindarico, come potrebbe far pensare il titolo allusivo, ma al contrario un lavoro di ricerca molto concreto, analitico e quasi pedante sui vari aspetti della questione affrontata: che si può sintetizzare in alcune criticità del museo nelle sue condizioni attuali, e nella potenzialità di ovviare a questi limiti con una espansione “organica” negli spazi del complesso monumentale attualmente destinati ad altro uso (Circolo Ufficiali). Da buoni amici, come dicevamo, abbiamo un dovere di onestà intellettuale: il confronto tra Castelvecchio e i musei moderni che ciascuno ha occasione di visitare, in città vicine e lontane, è impietoso per quanto riguarda i servizi offerti dal museo: da quelli basilari alla persona (in particolare per quanto riguarda la fruizione da parte delle diverse categorie di disabili) a quelli per la ricerca, la didattica e lo studio. Perché questi limiti? Occorre ricordarsi che, anche se appare sempre lucidamente moderno nelle forme,

72

01

il museo nella sua veste attuale è stato inaugurato più di cinquant’anni fa (20 dicembre 1964). Se solo pensiamo a come siamo cambiati come persone dagli anni Sessanta ad oggi, anche come visitatori di una città o di un museo, capiamo come gli spazi attuali di accoglienza siano assolutamente inadeguati: e del resto per rendersene facilmente conto basta trovarsi all’ingresso del museo mentre arriva un gruppo che cerca di acquistare i biglietti affrontando le problematiche del deposito delle borse, della necessità di un minimo ristoro e del soddisfacimento dei bisogni elementari (i gabinetti!) come siamo abituati a fare in qualsiasi altro museo. Il tutto a fronte di un numero crescente di visitatori, da considerare nella prospettiva di un ruolo sempre più rilevante del turismo nell’economia cittadina.

Il tema posto attraverso le Fantasie certamente non è nuovo, anzi: ma più il tempo passa più i problemi si inaspriscono, non ultimi quelli relativi alla sicurezza e al benessere dei visitatori e di chi nel museo lavora. Parlando di servizi vanno compresi non solo quelli per l’accoglienza dei visitatori ma anche quelli per la ricerca e lo studio, come la biblioteca – altro luogo d’elezione per generazioni di studenti di architettura – che oggi è sostanzialmente inagibile. Non va naturalmente scordata la funzione primaria del museo, quella espositiva, con l’esigenza trovare spazi per ampliare la sezione dedicata alla pittura dei Sei e del Settecento, oggi molto compressa, e valorizzare altri nuclei tematici delle collezioni civiche (come le stoffe e il corredo funebre di Cangrande, il gabinetto numismatico, ciò che resta del Museo

2018 #04


ODEON

del Risorgimento). Rimane infine da raccontare in maniera adeguata la storia stessa del castello, dalle origini alle trasformazioni che ha subito attraverso i restauri e le vicende storiche che lo hanno interessato. Queste dunque le motivate esigenze di spazio per il museo, a fronte delle quali le Fantasie hanno evidenziato la cospicua parte del complesso monumentale ove ha sede il Circolo Unificato dell’Esercito (nuova denominazione del Circolo Ufficiali). Spazi cospicui: 1.956 metri quadri di superficie calpestabile coperta su tre livelli, più altri 1.620 metri quadri di spazi aperti tra cortili e una terrazza mozzafiato affacciata sull’Adige. Una

fantasie per castelvecchio Un grande Museo per una grande Verona In occasione del convegno di presentazione della ricerca, tenuto il 6 ottobre 2018 negli spazi dell’Associazione M15 di Verona, è stato lanciato un video promosso dagli Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona a sostegno dell’iniziativa Fantasie per Castelvecchio.

« Le Fantasie per Castelvecchio rappresentano un sogno lucido, persino ovvio nel pensare a un destino unitario per il castello e a un nuovo balzo in avanti per l’istituzione e per la città »

www.amicideimuseidiverona.it/

02

imperdibile opportunità per un “innesto” sulla base del percorso museografico scarpiano, che per i suoi tratti rimane unico e intangibile. Va ribadito in maniera chiara: il museo non può essere trasferito altrove a meno di non smantellarne l’identità architettonica, mentre per il Circolo si potranno identificare altri spazi altrettanto prestigiosi dove continuare a svolgere i propri servigi. Quello che le Fantasie per Castelvecchio hanno fatto in maniera puntuale, grazie al lavoro di un gruppo di storici dell’arte, architetti, economisti, ingegneri e architetti assieme ai funzionari del museo, è di capire dal punto di vista degli spazi, delle loro caratteristiche e consistenza, a cosa potrebbe portare l’utilizzo degli spazi del Circolo per il museo. Non un progetto architettonico – non ancora, ci saranno tempi e modi – ma uno studio propedeutico per questo tema non più rinviabile. Castelvecchio si presenta oggi come un capolavoro e un problema, un simbolo di modernità ma al tempo stesso di arretratezza, un luogo imperdibile e al tempo stesso per certi aspetti invisitabile. Con altrettanta

115

chiarezza e sincerità, occorre dire che chi visita oggi il Museo di Castelvecchio trova l’espressione di una città immobile, ancorata alle vecchie glorie di più di cinquant’anni fa e incapace di reinserirla nel ciclo della contemporaneità, verso il futuro. Vogliamo che continui ad essere un museo vitale, espressione di un orgoglio civico, della sua storia e memoria, o vogliamo condannarlo a un inarrestabile destino di reliquia di se stesso, di archeologia museale? Le Fantasie per Castelvecchio rappresentano un sogno lucido, ad occhi aperti, in fondo semplice e persino ovvio nel pensare a un destino unitario per il castello e a un nuovo balzo in avanti per l’istituzione e per la città . Un’occasione imperdibile per l’effetto volano che può rappresentare per l’offerta culturale e turistica della città, ma anche per i cittadini, gli studiosi, gli appassionati. Per tutti coloro che nutrono nei confronti del museo un sentimento di amicizia, come l’associazione che si è fatta carico di questa iniziativa e come sicuramente molti colleghi architetti vorranno condividere: lo dobbiamo al nostro “amico Castelvecchio”.

video https://architettiverona.it/video/ fantasie-per-castelvecchio/

01. Il cortile del mastio in una ripresa dall’alto effettuata per il video di Fantasie per Castelvecchio. 02. Schema assonometrico esploso del layout funzionale nell’ipotesi di espansione del Museo di Castelvechio all’intero complesso monumentale.

73


Al Monte della riscoperta Un volume racconta analiticamente le fasi di studio e di intervento per il recupero della cripta di San Benedetto al Monte posta nel cuore della città antica Testo: Angela Lion

C

ol termine restauro si è soliti definire qualsiasi intervento volto a rimettere in buono stato e in condizioni di funzionalità un manufatto: sta all’intelligenza del progettista raggiungere il giusto obiettivo. È il caso della cripta di San Benedetto al Monte, uno spazio architettonico che stava andando perduto, restituito alla fruizione nella sua storicità dall’architetto Gioia Bonfanti. Classe 1977, una laurea in architettura in Tecnologia del Restauro e un diploma alla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio di Milano, Gioia Bonfanti ha saputo cogliere nella cripta un enorme potenziale non solo architettonico ma storico-culturale. Grazie alla lungimiranza della committenza, la rettoria di San Benedetto, e ad un finanziatore privato (la Cassa Padana) la loro sintesi ha portato alla luce quanto il tempo e la storia avevano nascosto. L’iter è stato lungo e complesso. Tutto ha avuto inizio quando le redini della parrocchia vengono affidate a don Carlo Zantedeschi, che prima di allora non conosceva bene nemmeno l’ubicazione della chiesa. Prendono così vita i primi passi verso quel recupero che, attraverso una ricerca puntuale sulla struttura romanica, rivelerà un vero e proprio gioiello dell’architettura veronese. L’intervento non è semplice, anche perché la cripta è tutto eccetto che una sala di preghiera, ridotta a un magazzino nel completo abbandono. L’accesso avveniva da una porticina esterna su vicolo San Benedetto, con una scala costruita con materiali di risulta; lo stato di abbandono era poi aggravato da infiltrazioni e dilavamenti che avevano aggredito a lungo andare la struttura portante. Perché interessa così tanto questa riscoperta? La cosiddetta ‘chiesa inferiore’ altro non sarebbe che lo zoccolo duro sulla quale è sorta la parrocchia

74

01

03

01. L’interno della cripta di San Benedetto in Monte dopo il restauro. 02. La scala che collega la chiesa alla cripta. 03. L’esterno della chiesa da piazzetta Monte.

02

2018 #04


ODEON

di San Benedetto in Monte – la cui forma attuale risale al 1617 – salvo il fatto che quest’ultima, la chiesa, poggia su di un impianto romanico fondato nell’area del Capitolium di epoca romana, ed è l’unico importante esempio di aula romanica conservatosi all’interno delle mura antiche della città. La singolarità viene valutata in relazione all’area del foro, oggi piazza Erbe, e delle chiese limitrofe – San Giovanni in Foro, Sant’Anastasia in capo al decumano massimo, Santa Maria Antica insieme a San Pietro in Monastero e San Salvatore in Corte Regia, e come testimonianza della presenza dei monaci benedettini

8.4184

8.3715

7.1620

5.3664

5.1011

AVE MARIA ORA PRO NOBIS

+0,48

+0,32

+0,16 0,00

0,00

-1,07

3.9966

3.7857

-4,58

-4,61

-4,66

Sezione DD

Sezione AA

04

« Il progetto di conservazione e di adeguamento funzionale è stato finalizzato alla conservazione dei caratteri storici della fabbrica nel suo assetto pluristratificato » che la edificarono nell’XI secolo. È interessante evidenziare come questo ordine monacale facesse capo all’abbazia di Leno, da cui derivano gli stilemi di discendenza longobarda che fanno ricondurre la cella non alla cultura architettonica veronese, bensì a quella bresciana. La cripta si inserisce tra due muri d’ambito – da nord verso sud – edificati con piccoli conci sbozzati che probabilmente documentano una fase ancora più antica. È del tipo ad oratorio: lunga tredici ed ampia sette metri, è organizzata in due navate di tre campate ciascuna, con volte a crociera che ricadono sopra due colonne centrali. Lungo il perimetro sono presenti delle semicolonne coronate da capitelli. Le navatelle convergono a oriente su tre archi a tutto sesto, sostenuti da due colonne che introducono allo spazio sinodale: queste colonne sono state inglobate da pilastri

115

04-05. Sezione longitudinale e piante della chiesa e della cripta prima dell’intervento conservativo. 05

realizzati nel 1715 per rinforzare il solaio della chiesa soprastante. Suggestivo vedere come i sostegni circolari e i relativi capitelli incorporati nei pilastri siano visibili grazie a delle finestrelle lasciate aperte dopo l’ispezione ricognitiva che la Soprintendenza fece nel 1963. Il restauro dello spazio ipogeo ha permesso di ricollegare la cripta alla chiesa superiore. Prima degli interventi seicenteschi, alla cripta si accedeva da due scalinate voltate direttamente dalla chiesa, che nel tempo vide una rivisitazione degli

spazi interni rendendo necessario la chiusura di questo percorso. A metà del Novecento lo spazio sotterraneo risultava essere utilizzato come magazzino di legname da costruzione, ma già nel 1920 il Comune si era preoccupato dell’instabilità della sacrestia e dell’area sottostante. Nel 1963 la Soprintendenza destinò un cospicuo finanziamento per interventi di restauro, anche se i lavori più consistenti non vennero avviati. È in questa fase che furono scoperti sei capitelli, parte dei fusti delle colonne all’interno delle fognature

75


Gioia Bonfanti (a cura di) la cripta di san benedetto al monte in verona. intervento di conservazione e di valorizzazione Scripta, 2018, pp. 112 Contributi di: Ettore Napione, Gianpaolo Trevisan (ricerca storica); Claudio Modena, Francesca Lucchin, Mirko Sgaravato, Federico Reginato (interventi di consolidamento strutturale); Alessandra Canova (restauro conservativo degli apparati decorativi).

settecentesche e parte della scala ovest alla chiesa superiore. Solo nel 1983 viene effettuato un rilievo dell’ambiente sotterraneo, redigendo un progetto di restauro e avviando l’esecuzione di sondaggi sistematici per accertare lo stato delle fondazioni e per ricercare tracce di eventuali edifici preesistenti. Il progetto, a firma del professor Curcio, prevedeva la rimozione degli interventi settecenteschi, il consolidamento delle volte e la delicata riapertura della rampa già nota per ripristinare il collegamento con la chiesa. Tutto si fermò. Nel 2010 si ripresero le fila del travagliato percorso progettuale. Determinante lo scavo archeologico diretto dalla dottoressa Giuliana Cavalieri Manasse, allora alla direzione del nucleo veronese della Soprintendenza Archeologica del Veneto. Gli obiettivi dell’indagine erano di inquadrare storicamente la cripta e di verificare la planimetria del tempio capitolino. Un’accurata analisi è stata effettuata all’interno del catino absidale, in cui si rileva la cresta di una struttura romana. All’inizio dell’aula, un altro scavo porta alla realizzazione di un pozzo di ispezione dalle ampie dimensioni, sul cui fondo giace la parte ritrovata delle fondazioni orientali del tempio capitolino. Nel 2011 vengono eseguiti diversi saggi strutturali per la verifica dello spessore delle volte attraverso l’analisi diagnostica. Le indagini sui caratteri costruttivi del manufatto, i rilievi analitici e le ricerche d’archivio sono basilari per comprendere le vicende della fabbrica, finalizzate ad un progetto

di conservazione. Nel 2016, a progetto di restauro autorizzato, iniziano i lavori che nel giro di un anno vedono la loro conclusione. “Ogni restauro rappresenta un’opportunità irripetibile di approfondimento dell’indagine su manufatti architettonici spesso trascurati dalla storiografia, seppur depositari di interi capitoli di storia urbana, sociale, economica, religiosa, architettonica ed artistica”, così definisce il proprio operato Gioia Bonfanti 1. “Il progetto di conservazione e di adeguamento funzionale è stato finalizzato alla conservazione dei caratteri storici della fabbrica nel suo assetto pluristratificato, e alla valorizzazione degli apparati connotativi della stessa. Ma se l’obiettivo inderogabile del progetto resta la conservazione dell’edificio nel rispetto dei valori materiali, formali e strutturali, nondimeno la necessità di sollevarlo da una condizione di abbandono e di degrado pone il problema del suo utilizzo e della sua conseguente revisione funzionale. In molti casi l’uso rappresenta la sola garanzia di conservazione di simili complessi architettonici, altrimenti votati ad una lenta ma progressiva perdita di materiale per il cui successivo recupero si assisterà di fatto a consistenti sostituzioni, ripristini. Obiettivo prioritario resta dunque la minimizzazione dell’intervento, che non significa però rinunciare ad ogni trasformazione, congelando l’edificio nella condizione in cui è pervenuto. Si tratta semmai di garantire un più corretto uso ed una migliore fruizione delle risorse costruite apportandone un valore aggiunto” 2 .

06. Le due scale di collegamento alla chiesa superiore ritrovate durante i lavori di restauro.

1 Gioia Bonfanti, Il progetto di conservazione, in G. Bonfanti (a cura di), La cripta di San benedetto al Monte in Verona. Intervento di conservazione e di valorizzazione, Scripta, 2018, pp. 67-68. 2 Ibid. 06

76

2018 #04


R

i n a l d o

O

ODEON

I SEPOLCRI l i v i e r i

Testo: Federica Guerra

Verona ha recentemente attribuito all’architetto Rinaldo Olivieri (1931-1998) l’onore di essere menzionato all’interno del Pantheon Ingenio Claris, al Cimitero Monumentale. Il suo nome apposto in coda a una lunga lista di veronesi illustri evidenzia il profondo legame dell’architetto con la sua città, legame fondamentale per un professionista che ha lavorato molto anche all’estero, ma che tante opere ha lasciato in città e nella provincia. Così il primo vero manuale di architettura di Olivieri è costituito dai luoghi del centro cittadino dove egli ha trascorso la sua infanzia e gioventù: le strade strette, gli alti muri, i giochi di ombre e di luci diventeranno il vocabolario della sua architettura che, se spazia tra brutalismo e organicismo, tra lastre strutturali e aggetti spericolati, non dimentica la ricerca di spazi vissuti, la ritmica dei vuoti e dei pieni della città antica. Figura poliedrica, Olivieri segue contemporaneamente le sue grandi passioni, che vanno dalla didattica – tra il ’60 e il ’68 è assistente di Daniele Calabi prima e di Baldo de Rossi poi – passando per il teatro come valente scenografo e culminando con la professione di architetto. A osservare le sue opere, si può ben dire che le tre attività non siano mai state completamente disgiunte, ma che anzi la sua poetica fosse sempre la stessa: sottoporre la forma dello spazio agli effetti della luce, fosse essa artificiale come sulla scena, o naturale come in architettura. La sua attività inizia subito con progetti di grande impatto figurativo che vengono notati da alcune riviste: dalla casa con uffici a Peschiera del Garda all’edificio industriale ad Ala (Tn), dalla scuola prefabbricata per la Triennale di Milano all’albergo Sole di San Zeno di Montagna,

115

dall’Ospedale civile di Bovolone alla scuola di San Bonifacio, tutti i suoi progetti giovanili vengono pubblicati su «L’Architettura-cronache e storia» dove Bruno Zevi lo celebra come astro nascente. Contemporaneamente, a partire dal ’52, si dedica ad una vasta attività teatrale, dapprima come fondatore del “Piccolo teatro” di Verona e poi curatore di vari allestimenti scenici per l’Arena e per il Teatro Olimpico di Vicenza. Dopo numerosi incarichi temporanei, dal 1987 al 1991 sarà formalmente “Direttore degli allestimenti scenici” per l’Ente Lirico Arena di Verona. Prima di questo incarico, e per tutti gli anni ’70, si aprirà per lui la grande avventura africana che più ha dato respiro internazionale alla sua opera. Per la Costa d’Avorio, Olivieri progetta nel 1970 il Padiglione nazionale all’Esposizione Internazionale di Osaka, cogliendo lo spirito più profondo dell’architettura tradizionale di quel paese. Ma è del 1972 la sua opera più famosa, il grande centro commerciale-direzionale di Abidjan “La Piramide”, che lo proietterà alla ribalta internazionale facendolo includere tra i 400 progetti presentati al MOMA di New York nella mostra Trasformation in Modern Architecture (1979). Negli ultimi anni Olivieri progetterà ancora edifici altamente espressivi come il Municipio di Trevenzuolo, l’Istituto Tecnico di Piazzale Guardini, la chiesa di San Benedetto in Valdonega. Ma soprattutto realizzerà il suo progetto più lungo e complesso, quel recupero del complesso Camploy che, durato sedici anni, saprà chiudere il cerchio delle sue passioni: la realizzazione di un teatro che, nella stabilità dell’architettura, sapesse prestarsi alle finzioni dell’arte scenica.

77


Interiors: Progetti: arch. Alessandro Corona Piu Testo: Tomàs Bonazzo

Foto: Luca Morandini (Pescantina)

Il meno è il Piu Uno spazio domestico e una palestra di riabilitazione sono gli esempi di un approccio progettuale funzionale e rigoroso nell’architettura degli interni

Foto: Gabriele Salzani (Bovolone)

L

e portefinestre erano accostate e baluginavano di un bianco RAL 9010 contro il parquet di rovere naturale che si spargeva per la casa. Chiuse, il vento intrappolato nella stanza si quietò e planammo molli al suolo ai piedi di una laica pietra indiana. Seppure un tal spettacolo ammicchi con tenerezza all’incontro tra Nick e la sconsolata Daisy Buchanan nell’età del jazz, è ad un’altra epoca che un architetto 01. Casa SF: il soggiorno visto dalla zona pranzo. 02-03. Due vedute del soggiorno con le pareti rivestite di pietra indiana e i bianchi contenitori che definiscono la conformazione spaziale.

02

78

s’ispirò per la sua lectio magistralis: l’epoca del silenzio. Il vuoto in letteratura è sì buono, ma di certo non novello, da Tanto rumore per nulla ad Aspettando Godot, da Padri e Figli al Vuoto Assoluto; allora un’opera, sì silenziosa, ma non muta, fu il soggetto ctonio per codesto progetto d’interni. C’era una volta AG Fronzoni, un’illuminato dal lumen e che, sul lumen, disegnò un nuovo abbecedario geometrico per superare

01

la noia e le noie di chi scopiazzava la Natura. L’avvio fu una sobrietà formale che bandisse lo spreco in ogni sua espressione, in etica come in estetica, verso una riduzione dunque eidetica, una trasgressione disciplinata dalle case-cose quasi bianche o quasi vuote (un idillio inviso a Bazarov di Turgenev, se solo avesse vissuto più a lungo). Accadde una notte, poi, che dalla discepolanza del laboratorio Fronzoni qualcuno si destò, tra i più, pure nel veronese ci fu qualche corona: uno era Alessandro Corona Piu, architetto anti-pletorico. Ritornando ai tempi moderni dell’imperfetto dal “c’era una volta”, alcuni eletti pescantinesi in salsa nuovaiorchese, nel cuore della Valpolexèla, assistevano in diretta all’empirica prova del nove sull’esistenza di una

2018 #04


ODEON 05

03

coscienza, silente, in una candida villetta monofamiliare. Il senso di “candida” è doppio, letterale e figurato: infatti se nelle favole il bianco si accoppiava col destriero, quivi con un’armadiatura dagli spigoli vivi, continua ed ermetica, che predisponeva e proteggeva il soggiorno e la cucina dall’invasione degli ultracorpi: uno studio, un ripostiglio, un salottino in subordine e un bagno, tutti disposti al pian terreno. L’idea progettuale era precisa: un’arredamento insostituibile, integrato e scatolare doveva essere il perno e il cuore della villa. Accanto all’entrata ufficiale v’era l’attacco dell’arredo che marciava senza stacchi dalla cucina – il cui piano era un agglomerato di Santa Margherita –, spirando in sala dopo alcune pieghe ortogonali. Un

115

04

frugale filo illuminante, inciso in capo all’armadiatura, denunciava concisione e, per fortuna, pure una piacevole luce soffusa proprio sopra il sacrario del nuovo millennio, la tivvù, e del suo contraltare, il canapé; ai piedi, invece, un camaleontico battiscopa a filo segnava il confine cromatico-dogmatico con una tintarella di contro al bianco, tipica

04. Nella cucina i contenitori e i piani di lavoro sono disposti in continuità morfologica, materica e cromatica con le quinte che definiscono l’ambiente di soggiorno. 05-06. Piante dei piani terreno e primo dell’alloggio.

06

79


07

09

07-08. I contenitori, nelle immagini in versione chiusa e aperta, sono elementi di configurazione dello spazio interno. 09-10. I bagni con i rivestimenti in marmo Giallo Atlantide.

80

08

del pavimento ligneo e ripresa con giudizio nel tono giallo della parete impietrita di pietra indiana, un irrobustito fianco del soggiorno. Oltre un’anta dell’armadio che correggeva lo spazio, memore di una via regia per il mondo di Narnia, si rintracciava il bagno inafferrabile. Destrutturando l’inviolabile canone per i revistimenti igienici (2,40 m), era integralmente foderato di marmo Giallo Atlantide, liberata dalle fughe, per puntare direttamente al cielo, cioè al soffitto; un appunto su un’altra fuga ordita da Rocambole: quella dei piedritti delle porte, ormai nemmeno più un retaggio di qualche domestico proposito. Senza limbelli e col sottogrado sempre in rovere, una coerente scala con invito ascendeva al sancta sanctorum casalingo: due talami e un bagno incappellati da una serie

di paradossi a vista e imbianchiti – il calmareccio corre lungo l’asse trasversale della villa. In un’alcova, con grazioso risultato, la miniaturizzazione valicava i confini dell’elettronica per un traguardo nel campo della falegnameria: per impiegare pure lo svantaggio delle altezze zinzine imposte dall’inclinamento della falda, i due tavolini da notte a scomparsa combinati con la testata del letto ridivenivano un tutt’uno plotiniano, una monade artigianale ma raffinata, sull’onda della mobilia generale. Completava in camera caritatis una cabina assai più che armadio, una stigliatura a tutt’altezza con tubi per luci led che intensificavano la bianchezza universale. La sinologia di padre Ricci, a cui dedichiamo un’ovazione serotina, permette un abuso in architettura

del principio cinese della coppia indissolubile: dopo lo yin pure lo yang di Corona Piu necessita una confacente presentazione. Si affrontava allora una Vita nuova, un’altra, che richiamasse a sé la nozione di “silente stil novo” nella salutare Città del tabacco, Bovolone, tra il Parco Valle del Menago (35 ettari di umidità valliva) e una dolce millefoglie con aromi da copyright. Proseguendo sulla via per Villafontana, che fluisce di pari passo al fiume, appunto il Menago, diveniva inderogabile – nella sua accezione sanitaria – una sosta tonificante. La residenza allora cedette la servitù della poltrona al riarmo ambulatorio o, ancor meglio, fu Una poltrona per due. La tematica “attorno” o “sulle” entrate è storicamente soprasensibile, sia che il vestibolo interceda l’urbe

2018 #04


fisiomas Bovolone

ODEON

cASA SF Pescantina

Progetto architettonico arch. Alessandro Corona Piu imprese e fornitori Casa SF: BM Costruzioni, Bordoni (pavimenti), Paolo Soso (cucina e falegnameria), Forme di Luce (illuminazione), Griesser (oscuranti), Riva Marmi (lavorazione e posa pietre), Lualdi (porte), AGS sustems (battiscopa a filo), Brutti (serramenti) Fisiomas: Raffaello Ferrari Interni (falegnameria), Cusinati Telmotor group (illuminazione)

10

CRONOLOGIA Casa SF Progetto e realizzazione: 2009-2011 Fisiomas Progetto e realizzazione: 2017

11

14

11. La camera con la testiera del letto che integra contenimento e illuminazione. 12-13. Gli spazi distributivi al piano primo e al piano terreno. 14. Lo studio visto dall’interno: sul fondo l’armadiatura bifacciale che prospetta sul soggiorno. 12

13

115

81


15-16. Fisiomas. L’area di attesa è delimitata da panche con lo schienale alto che fungono da schermi visivi.

15

16

82

scaligera, le sfere celesti o uno studio preposto ai trattamenti fisioterapici; ma l’intenzione progettuale reincarnò opportunamente la filosofia degli opposti poiché savia al punto da trascendere per profondità gli orientalismi pasticcioni e ritornare così occidentale. Se, difatti, a Pescantina il dominus era il bianco, qui si consumò la congiura degli iloti e i bigi regnavano sui chiari. Gli arredi erano ancora gli attori globali, pochi ma tutti con diploma qualificante, capace di accollarsi qualsiasi ruolo, pure quello più ostico, il push-pull. In uno spazio allungato, rettangolare ma non aureo, due

altezze affettavano il progetto: dal piano di spiccato sino alla prima linea Maginot campeggiava un’accoglienza scatolare che richiamava alla sottigliezza degli uffici di Playtime (1967) e da cui sbucava una sicura capoccia del receptionist. Sempre al di sotto di tale livello, una pista da ballo per musiche ambient (l’area lounge) veniva presidiata da un sistema bipartito di sedute. Una panca lineare, installata per l’intero lato lungo, sollecitava attese di intenso profilo sociale, una rilettura indoor dell’esterno di Palazzo Rucellai, seguita da un altro doppio, quello dei baffi di luce

2018 #04


ODEON alessandro corona piu Nato a Verona nel 1972, Alessandro Corona Piu nel 2006 si laurea in architettura al Politecnico di Milano. Nel 1998 frequenta per un anno l’Institut d’Arts Visuels di Orlèans (Francia). Nel 1999 lavora presso l’atelier Christian de Portzamparc a Parigi. Dal 1999 studia e lavora presso lo studio di AG Fronzoni a Milano. Nel 2005 inizia l’attività di graphic designer e architetto e nel 2007 apre il proprio studio professionale a Verona. Si occupa di architettura, architettura d’interni, allestimenti fieristici, design di prodotto e comunicazione visiva.

17

che ingentilivano l’aspettazione e uscenti da un banda che connetteva ad altezza da Modulor (la seconda linea del sistema) l’alfa e l’omega del mobilio. Il complementare della panca erano tre scranne, rette e indeformabili, un espediente che si ricordava dell’esistenza di attendisti dal carattere timido o poco incline al cicaleccio e più alla lettura in solitario del magazine di fortuna. La seconda altezza, l’estremo superiore, era decisa dall’ultimo doppio, quello dei filari delle armadiature, dalle forme pure e isolate, che come le barriere coralline separavano le acque, senza alcuno scopo mosaico, ma filtrando l’andito proprio dei locali di lavoro dalla zona lounge.

www.alessandrocoronapiu.com 18

20

17-18. All’interno di uno spazio predeterminato e non modificabile nella struttura e nelle finiture sono gli arredi fissi a configurare percorsi e utilizzi. 19. Il bancone della reception visto dall’ingresso alla palestra. 20. Linee luminose segnano gli stacchi tra le quinte di legno scuro, il pavimento e le pareti.

19

115

83


84 2018 #04

Grafico e illustratore veronese, Ariani nasce letteralmente in mezzo ai libri. La storica legatoria Ariani a pochi passi da Ponte Pietra, infatti, è la bottega del padre, dove fin da piccolo ha potuto avvicinarsi al mondo della carta, esperienza che, come lui stesso racconta, rappresenta un importante bagaglio che si è portato dietro per tutta la carriera professionale. Nonostante un difficile rapporto con la scuola dell’obbligo, la formazione di Ariani è

sicuramente ricca ed eterogenea, influenzata dalla musica, dalla fotografia passando per l’architettura. Ma è il disegno ciò che meglio lo rappresenta e che, ben presto, scoprirà essere un vero e proprio mestiere. Abbandonati gli studi alla facoltà di architettura di Milano, date le difficili condizioni dovute alle occupazioni studentesche, trova impiego in un’agenzia di comunicazione dove inizia la sua prima esperienza come grafico pubblicitario. È qui

La bellezza della carta va sentita, odorata, osservata. In un’era, dove persino il libro è volto a scomparire, è affascinante trovare qualcuno che ami i libri tanto da acquistarne una copia solo per piacere estetico, per il pregio della carta al suo interno, quasi a testimoniare l’importanza di un volume ben fatto, come un prezioso prodotto di artigianato. Fulvio Ariani è sicuramente questo: amante e cultore della carta stampata, così come dei processi e delle tecniche che ne fanno parte. Vive a Verona e ha collaborato come direttore creativo per importanti case vinicole (Bertani, Chiarli, Ferrari, Pasqua, Sartori).

foto: Alvise Barsanti

Testo: Filippo Romano

che impara i rudimenti delle tecniche di stampa, spaziando fra fotografia, attività tipografica, fotocomposizione, inventando ogni giorno un lavoro in piena autonomia. La colla Cow è un affascinante cimelio di questo periodo. Questo

02

01

IL PROFUMO DELLA CARTA

GRAPHICS

la pagina come luogo da costruire, caratteri e inchiostri come mattoni e pietre. testimonianze e ricerche in un territorio del progetto a due dimesioni.

su testi di Livio Ariani.

edizione stampata fuori commercio

01-02. Illustrazioni per il libretto Ilde,


115

85

06

05

04

03

08

07

barattolino di latta bianco e rosso, con una grande scritta COW ben visibile e all’interno un mastice color miele, è forse la testimonianza di quanto in tempi non lontani,la figura del grafico fosse una vera e propria attività artigianale. Dopo due anni di gavetta decide di aprire la propria attività con un amico fotografo, condividendo le proprie esperienze e accettando i primi incarichi che permettevano loro di sperimentare liberamente, con un po’ di sana incoscienza, tecniche e usi diversi dei materiali. Un episodio paradigmatico risale a questo periodo: i due creativi alle prese con un nuovo incarico decidono infatti di inserire gli ingranaggi di una macchina da ripresa all’interno della sezione di un frutto, per poi fotografarlo e crearne un logotipo. Era forse questa l’immagine che Ariani immaginava per il proprio lavoro: una figura che potesse realizzare

09. Marchio Cletò per Chiarli, Modena.

08. Marchio personale Fulvio Ariani.

simboleggiano i cinque comuni.

per sito internet: i cinque pallini

07. Progetto del marchio Valpolicella

(Marano di Valpolicella).

06. Marchio Le Bine per Campagnola

Burato.

marchio Tocatì su disegno di Gianni

associazione AGA di Verona, e

04-05. Marchio Scianco donato alla

tedesco.

calligrafico per distributore di vini

03. Progetto di marchio con lettering

09

qualcosa di originale ed esclusivo, come un sarto cuce addosso un abito su misura. Parallelamente all’attività grafica inizia anche quella di illustratore, disegnando inizialmente libri per ragazzi, settore che lascerà ben presto, dato il tempo che questa attività richiedeva e i miseri compensi degli editori. Entra poi, quasi per gioco, nel mondo dell’immagine del vino, quando questo era ancora un settore nuovo per la comunicazione. Le etichette vinicole erano, infatti, curate da cartellonisti, pittori prestati alla pubblicità, in un periodo dove non c’era ancora un’idea di etichetta che potesse essere rappresentativa per un’azienda. Da questo momento la carriera di Ariani si concentrerà principalmente sull’immagine del vino, specializzandosi nel food marketing e nel packaging di lusso. Ariani racconta con orgoglio le


86 2018 #04

Gocce Cioccolato (Primo premio

11. Amedei. Astucci tondi a tubo per

delel confezioni.

la linea Praline, gamma completa

10. Amedei. Packaging in sola carta per

11

10

Ferrari.

per le “Annate del Mito” Giulio

12. Progetto per cassetta di sei bottiglie

Fedrigoni).

Top Application Award 2009

ore trascorse ad osservare una bottiglia sulla scrivania. Era necessario. L’etichetta è il vestito del prodotto e dell’azienda che rappresenta, non solo una bella immagine incollata ad una bottiglia. Deve raccontare i valori e la storia di una tradizione, indipendentemente dalla fama o

12

dall’importanza del cliente. La professione del grafico parte, quindi, dall’osservazione, che ha un ruolo fondamentale nell’equilibrio di pieni e vuoti, nel dimensionamento dei corpi, o nella spaziatura dei caratteri. “Rubare con gli occhi”, diceva suo padre: un occhio attento è la


115

87

17

14

16

14

13

15

misura di un buon prodotto. Con il passare degli anni e l’avvento del digitale muoiono le vecchie tecniche di stampa, dando via ad una rivoluzione dopo la quale molte figure professionali del processo tipografico sono andate scemando. Le nuove generazioni cresciute ad una velocità dettata dalle nuove tecnologie, non conoscendo il pregresso, non possono affrontare questi processi con la stessa cultura e sensibilità del passato. E così il grafico, così come pensato da Ariani, non esiste più. Le cantine vinicole, infatti, un tempo legate a grafici artigiani, scelgono ora di lavorare con importanti agenzie di comunicazione, pensando che queste possano dare sicurezza e prestigio al proprio marchio. In realtà oggi gli eccessi di creatività, intesi come sfoghi creativi all’interno di uno spazio carta, hanno secondo Ariani rovinato il settore del vino,

Trento.

di gamma delle cantine Ferrari di

per lo spumante Giulio Ferrari, top

bollino, nastrino, collarino e capsula)

completo della bottiglia (etichetta,

17. Packaging con abbigliaggio

è di Fulvio Ariani.

Competition 1996. Anche il marchio

al Vinitaly International Packaging

Pasqua), premio “Etichetta d’oro”

16. Etichetta per Cecilia Beretta (cantine

spumante Giulio Ferrari Collezione.

15. Packaging per l’astuccio dello

14. Marchio e logo per cantina Sartori.

Barsanti.

13. Fulvio Ariani in un ritratto di Alvise

fulvioariani.it

Info:

che non gode più della visione romantica di un tempo. Con la progressiva accelerazione delle tecnologie, infatti, si va sempre più perdendo la cura di dettagli e attenzioni che facevano di questo lavoro un mestiere umano e preciso, dove i buoni principi tipografici erano fondamentali. La fruizione veloce e consumistica è la causa di una crescente standardizzazione, di una società sempre meno interessata alla qualità e ad un’atmosfera che rendeva il fruitore parte di una storia. Negli ultimi anni questa consapevolezza ha portato molti a reintrodurre le vecchie macchine tipografiche cercando di dare di nuovo un senso ed uno spessore al prodotto. Un sentimento nostalgico ma vitale, che cerca di restituire un valore alla carta stampata.


Territorio

Territorio

01

Testo: Matilde Tessari

Veronaclip

Un tempo erano i dipinti a trasmettere a futura memoria l’immagine della città : che in frammenti visivi e montaggi serrati compare oggi come scenario d’elezione per i numerosi video musicali prodotti a Verona

88

2018 #04


Capita spesso di vedere Verona sullo sfondo di molti video musicali, e la ragione è che qui è nato uno dei primi canali televisivi tematico e indipendente per la musica in Italia. Si chiamava Match Music e all’inizio era un programma musicale trasmesso su una tv privata veronese, TeleNuovo. La sua storia comincia nel 1985, solo un anno dopo Videomusic che è stato il primo canale televisivo musicale d’Europa, e quattro anni dopo il lancio di MTV (1º agosto 1981) che inizialmente trasmetteva solo negli Stati Uniti e solo dopo il 1987 anche in Europa. Nel 1996 Match Music, dopo una rapidissima crescita, viene assorbita da D+ (oggi Sky), e diventa di fatto il primo canale satellitare telematico in Italia. In questo nuovo contesto il canale si poteva permettere investimenti in ricerca e sviluppo, sperimentazione di nuovi linguaggi, creazione di nuove trasmissioni musicali, un telegiornale (TG Generation), dirette e live, sostenendo artisti italiani che non avrebbero mai avuto visibilità sui canali internazionali. In questo ambito maturano le prime produzioni di videoclip che daranno poi vita a una realtà autonoma (Run Multimedia), a tutt’oggi una delle più attive case di produzione video per i musicisti del panorama pop italiano. Il videoclip è un formato di auIl genere diovisivo che si videoclip utilizza per promuovere un brano musicale. Questa definizione è molto semplificata e sembra un po’ vintage, ma lascia spazio alle peculiarità sperimentali del genere, che da quando è nato – più o meno ufficialmente dagli

115

anni ‘70 – ad oggi ha ridefinito l’immaginario collettivo rielaborando alcune formule espressive. Ad esempio il videoclip ha introdotto nuove modalità di fruizione della musica, prima attraverso i canali televisivi e ora sul web, generando linguaggi ibridi, mescolando immagini, musica e testo. Dal punto di vista tecnico, il genere è caratterizzato da un montaggio frammentato e da una grande quantità di inquadrature nel ristretto limite del tempo medio di una canzone, circa tre minuti.

02

03

01. Nello schermo, Max Pezzali percorre l’ultimo gradone dell’Arena per il video di L’universo tranne noi. 02-04. Verona dall’alto nei frame di numerosi video di artisti pop italiani.

04

89


Territorio

Territorio

05. La vasca dell’Arsenale ripresa dall’alto compare in più videoclip. 06. Una Verona cammuffata da Londra 1867 per il video di Gianna Nannini. 07. Francesco Gabbani con i tetti di Verona alle spalle.

06

07

90

05

Un campione di Verona nei videoclip è stato selezionato in videoclip modo arbitrario da tre fonti: una ricerca per parole chiave su Youtube, i riferimenti sul sito ufficiale di RunMultimedia – che raccoglie una selezione dei videoclip più recenti – e il regesto contenuto nel libro Il Paradosso del Videoclip. Contaminazione e autonomia di un linguaggio audiovisivo di Carlo Tombola (Betelgeuse, 2017). Con questo volume l’autore, che ha lavorato fin dagli esordi a fianco di Gaetano Morbioli, fondatore e anima di Run Multimedia, racconta un’esperienza ormai pluridecennale attraverso i dietro le quinte in tutti i settori del videoclip, dalla regia al montaggio, dalla scrittura alla produzione: la scelta delle location è parte integrante di questo racconto. Dei settanta video presi a campione, le rappresentazioni più frequenti di Verona si possono dividere in quattro tipi: le vedute a volo di uccello sulla città, gli scorci urbani, gli interni e i luoghi della provincia.

La città di Verona compare in Dall’alto immagini a volo in basso d’uccello in sedici videoclip su settanta, spesso come apertura dei video stessi. In dieci casi il punto di vista è collocato sulle Torricelle, dall’alto del Teatro Romano o nei pressi di Castel San Pietro. L’Adige è ripreso talvolta dal lato del Teatro Romano e Sant’Anastasia, come in Ti voglio tanto bene di Gianna Nannini o Tappeto di Fragole dei Modà, talvolta dal lato di San Giorgio, come in Buona Fortuna di Alex Britti o Noi due nel mondo o nell’anima, un pezzone dei quasi sempiterni (ora sciolti) Pooh. Per Francesco Gabbani, Francesco Renga e Annalisa i tetti, la Torre dei Lamberti e i campanili sono lo sfondo del loro brano, cantato dalla terrazza dell’Hotel Due Torri; non per niente Gabbani canta In equilibrio, e per il suo video gli sceneggiatori scelgono di rappresentare dall’alto anche la vasca dell’Arsenale, come Chiara Grispo in Blind. La stessa ar-

2018 #04


08. Street art veronese per ambientare la performance canora di Nesli. 09. Calma e sangue freddo sul ponte di Castelvecchio con Luca Dirisio. 10. La diga del Chievo come scenario per un video della cantante Annalisa.

08

tista in Come On suona un pianoforte su Ponte Pietra con una serie di inquadrature e riprese dall’alto molto suggestive, del ponte e di quella parte di città (peccato che nel frattempo di questa misconosciuta cantante si siano perse le tracce). Sempre nel citato video di Ti voglio tanto bene della Nannini appare una immagine di Verona trasformata nella Londra del 1867, in un tributo alla Blake passando per i Pink Floyd. In trentaquattro dei video presi in esame si intravvedono o si vedono in modo molto chiaro alcuni riconoscibili scorci cittadini. Sul Ponte di Castelvecchio ci passano almeno quattro artisti, ma quello che si sofferma più a lungo è Luca Dirisio con Calma e sangue freddo in un video del 2004. Corso Porta Borsari compare soprattutto con i protagonisti che passeggiano e la Porta sullo sfondo; Gianluca Grigna-

Scorci urbani

115

ni canta Non voglio essere un fenomeno e il suo alter ego viene rincorso dai fan in Porta Borsari. Frankie HI-NRG MC in Rivoluzione, i Sonohra con Seguimi O Uccidimi, e Annalisa con Tra due minuti è primavera si fanno un bel tour per molti luoghi del centro, da Castelvecchio a Corso Porta Borsari a Piazza Erbe a Corso Sant’Anastasia. Notevole la scelta per Fedez di rappresentare nella stessa produzione, Faccio Brutto, Castelvecchio, la vasca dell’Arsenale e l’Esselunga di Corso Milano nella versione precedente al restyling (senza degenerare come in un Carrefour). Sempre Fedez in Arena propone alla Ferragni di sposarlo in Favorisca i sentimenti, mentre Max Pezzali dall’ultimo gradone dell’Arena canta L’universo tranne noi guardando dall’alto piazza Bra. Il Lavasecco Dany, tra una ripresa del lago di Garda e una di piazza Bra, compare in Per farti sorridere dei Gemelli Diversi e Annalisa si sposta appena fuori dal centro per arrivare alla Diga del Chievo e al parco di Villa Pullè in cui si perde nel giar-

09

10

91


Territorio

Territorio

11. Sergio Sylvestre nel tempietto al Lazzaretto. 12. Una Nuova ossessione: quella dei Subsonica per i Magazzini Generali. 13. Il piazzale della stazione by night per Marco Masini. 14. Il supermercato Esselunga di corso Milano (prima del rifacimento) in un video di Fedez.

13

14

92

11

12

dino all’italiana cantando Senza Riserva e all’Aeroclub di Boscomantico con Tra due minuti è primavera. Sergio Sylvestre (si, con la ypsilon) fa risaltare la sua corposa silhouette tra le colonne del tempietto al Lazzaretto nel video di Con te; Nesli in Viva La Vita si muove sul fondo di uno dei murales di EyeLabDesign, mentre un Marco Mengoni in versione atletica ci porta allo Stadio Bentegodi con Pronto a Correre. La Verona di Masini è tutta on the road nei dintorni della Stazione di Porta Nuova, di Piazzale Guardini e di un sottopasso non meglio identificato; anche Fabri Fibra con Neffa in Panico si sposta nei quartieri per una lunga corsa e passa sotto alla “Nave” di Borgo Nuovo. Il massimo dell’underground arriva con Zero in Condotta dei Fontiera agli ex Mercati ortofrutticoli, con la Grispo allo Scalo merci con tanto di treno in transito e con un super pezzo dei Subsonica, Nuova ossessione, girato all’interno dei Magazzini Generali nel 2002 molto, ma molto prima degli interventi di restauro (pura archeologia visiva!).

Anche per gli interni cittadini, Interni registi ed artisti veronesi hanno scelto un lato storico di Verona. Stanze d’albergo, palazzi storici, ristoranti sono le location più frequenti tra i ventiquattro video in cui si vedono degli interni cittadini. Rispetto alla quantità di video, gli interni che effettivamente si scorgono sono più numerosi; per esempio solo in Fa talmente male di Giusy Ferreri se ne vedono otto (Hotel Due Torri stanze e corridoio, JoySpa hair&beauty, Mr Martini con ristorante e uffici, Lovers Boutique, officina del Museo Nicolis e spa del Crown Plaza). Per la categoria hotel compaiono anche Byblos Art Hotel, che ospita Marco Mengoni con Credimi ancora, e The Gentleman of Verona-Grand Relais per il video di Bianca Atzei con Ora esisti solo tu. Tra i palazzi storici è ancora Sergio Sylvestre a muoversi tra gli scaffali della Biblioteca Capitolare, mentre i Pooh ritornato a Palazzo Verità Poeta ancora nel video di con Noi due nel mondo e nell’anima.

2018 #04


playlist I 70 video selezionati sono raccolti in una playlist sul canale Youtube di ArchitettiVerona. Veronaclip è un progetto per addizione e partecipazione, che rimarrà vivo nel corso del tempo ad ogni segnalazione di nuovi rinvenimenti. video https://architettiverona.it/video/ veronaclip/

15

15. I mitici Pooh si esibiscono all’interno di palazzo Verità Poeta. 16. Nesli in un’immagine del video girato negli spazi di Maison Vicentini. 17. La galleria di modernariato Serra9cento ha ospitato Paola Turci. 18. Sergio Sylvestre tra gli scaffali della Biblioteca Capitolare. 16

17

18

115

93


Territorio

Territorio 19

20

21

94

Palazzo Castellani di Sermeti è lo sfondo di Il solo al mondo di Bianca Atzei. Per non smentire il titolo della canzone, Frankie Hi-NRG MC portano Unti e bisunti alla trattoria Al Pompiere. Tra i negozi di mobili d’epoca, Paola Turci in Eclissi si muove all’interno della Serra9cento, Nesli con Immagini si trova alla Maison Vicentini (cfr. questo numero di «AV» alle pp. 102-105) e Marco Masini è da Massimo Costa modernariato. Una residenza moderna e raffinata è il set di Tiziano Ferro per La fine: i lettori più attenti riconosceranno il progetto pubblicato su questa rivista (era in «AV» 93, pp. 28-35). Takagi & Ketra con Da sola/ In the night, ft. Tommaso Paradiso e Elisa, ottengono infine una citazione speciale per la Parrucchiera Anna di Nesente e l’ambientazione anni Ottanta originale; la sceneggiatura alterna uno show televisivo, tra body in acetato e capelli cotonati, a una partita a tennis giocata allo Sporting Club di Arbizzano, con il cantante in perfetto stile John McEnroe.

La provincia conta ventidue apPaesaggi in provincia parizioni, ed è rappresentata soprattutto con il Lago di Garda. Il mitico Gianni Morandi canta Solo insieme saremo felici ed effettivamente ci porta a Torri del Benaco, Borghetto sul Mincio e sul Monte Baldo in quel modo tutto leggero come sa fare lui. Modà feat. Jarabedepalo scelgono un clima invernale e un po’ cupo a Malcesine per Come un pittore. Lago di Garda anche per Francesco Renga con Angelo, Tiziano Ferro con Breathe gentle, Alex Britti con Buona Fortuna. Bianca Atzei si diverte al Camping La Quercia di Lazise con Riderai, mentre a preferire Movieland sono Sergio Sylvestre con Planes e Andrea Damante con Always. Tra i paesaggi del terziario compare un notevolissimo scorcio delle “Sorelle Ramonda” di Bussolengo in Vorrei cantare come Biagio di Simone Cristicchi, mentre Nesli è alle Corti Venete e Tiziano Ferro, prima di arrivare nell’appartamento in piazza Nogara, sbarca all’Aeroporto Valerio Catullo cantando La Fine. Il Parco Sigurtà appare ripreso dall’alto e attraversato da bambi-

22

2018 #04


19. Tiziano Ferro in un raffinato interno domestico veronese. 20-21. Elisa dalla Parrucchiera Anna di Nesente e Tommaso Paradiso allo Sporting Club di Arbizzano nel video di Da sola / In the night. 22. Il lago di Garda invernale per Come un pittore dei Modà ft. Jarabedepalo. 23-24. Gigi D’Alessio a Valeggio sul Mincio: Un’emozione senza fine. 25. Borghetto in una ripresa dall’alto per un video di Gianni Morandi.

23

ni che giocano in Lo strano percorso di Max Pezzali e Ultraleggero di Gianni Morandi. Ad apprezzare i vitigni del territorio Annalisa con Una finestra tra le stelle e Bianca Atzei con Risparmio un sogno, la prima all’interno di Villa Mosconi Bertani, la seconda all’esterno del bellissimo parco. E sapendo che tutti i lettori se lo stanno chiedendo: sì, La Finestra sul Fiume B&B di Valeggio sul Mincio ha avuto la fortuna di ospitare Gigi d’Alessio per un’Emozione senza fine.

Nonostante così tanti videoclip siano stati girati nella nostra città, nel mordi e fuggi visivo Verona non è mai la protagonista della scena ma sempre uno sfondo frammentato del racconto musicale. A parte le vedute più famose o i monumenti più noti come l’Arena, gli altri scorci sono riconoscibili solo a chi conosce la città e ha un occhio attento a cogliere il fotogramma, spesso mescolato con altri scenari. Rende bene l’idea Nek in Se telefonando, il video forse più denso di vedute e interni veronesi che si ripetono in un fitto catalogo di luoghi generalmente riconoscibili e familiari solo ad un conoscitore della città. Di sicuro non è finita qui: di Veronaclip ce ne sono molti altri, la sfida a continuare a scovarne e ampliare la playlist è lanciata.

Morale della favola sonora

24

25

115

95


Italo Donadelli

a Dossobuono

96

01

Testo: Loretta Sacconelli

Foto: Italo Donadelli, Diego Speri, Armando Sutor

Se dovessi riassumere in due parole il lavoro di Italo Donadelli direi: forte e sicuro! Se invece dovessi descrivere la persona direi: generoso ed esitante! Parlo della stessa persona, per chi scrive di un grande padre e un maestro, e ho sempre creduto che quando un architetto appare esitante o dubbioso, il risultato del suo lavoro sarà forte e sicuro. Come il monaco che prima di abbandonare l’ideogramma al foglio, consapevole della debolezza della mano e della forza dell’inchiostro, esita. Generoso in quanto fecondo poiché, come la Main Ouvert di Le Corbusier restituisce ciò che prende, egli coglie da ciò che lo circonda cercando segni e forme che generano, e restituisce

un’architettura che le racconta. Nell’architettura di Donadelli non si trovano principi o fondamenti teorici ma piuttosto l’intenzione di accompagnarci ad una soddisfazione sensoriale, quella soddisfazione che la mano, accarezzando la carta e poi la materia, raggiunge. Un lavoro architettonico affatto didascalico che invece racconta, in un susseguirsi di episodi a volte tra loro apparentemente scollegati e che lo sguardo poi comprende. Italo ha frequentato lo IUAV negli anni della direzione di Giuseppe Samonà, anni importanti per la facoltà di architettura perché veniva data un’impostazione nuova: abbandonando l’approccio

2018 #04


01-03. Planimetria, plastico e tavola di sezione della tesi di laurea per il progetto della Biblioteca Civica di Verona (anno accademico 1967-68). 04-06. Vista d’insieme e interno in cantiere, sezione e pianta della casa a San Severo in provincia di Foggia (1977).

03

02

da scuola di Belle Arti e intraprendendo un percorso storico critico e urbanistico. Samonà sosteneva che per formare i giovani architetti della ricostruzione si sarebbe dovuto abbandonare lo schematismo razionalista in favore di un approccio che tenesse conto delle esigenze umane. Per Donadelli, tra i docenti che avranno un ruolo significativo nella sua formazione, oltre allo stesso Samonà, figurano anche Bruno Zevi e Giancarlo De Carlo: il primo uno storico oltre che un architetto, l’altro un antagonista del movimento moderno che sposterà il principio auto referenziale dell’architettura verso la progettazione partecipata. Il progetto per la tesi, la ricostruzione dell’isolato con la nuova Biblioteca Civica di Verona, sarà un intervento in un vuoto urbano: nel progetto l’edificio si innesta come la lama che ha tagliato via il pieno. L’inclinazione decisa, la sagoma triangolare e il disegno dei livelli della corte ricordano le geometrie di Aalto, le forme che lascia l’acqua nella pietra ma anche le memorie archeologiche, quei grandi resti di cavea. La tesi, che suscita l’interesse pubblico, fu in seguito adattata per una migliore comprensione da parte dell’amministrazione comunale, che però decise di affidare l’incarico a un ingegnere: Pier Luigi Nervi. Il filo dei ragionamenti sondati nella tesi non si spezza: gli elementi ad “U” che costituiscono la sezione della biblioteca li vedremo

115

05

04

realizzare nella villa a San Severo, costruita nel tessuto urbano fitto di edifici arroganti nella cittadina in provincia di Foggia. Non sempre guardar fuori è appagante, quindi il sistema dei setti ad “U” direzionano la luce e l’aria senza che lo sguardo incroci la “città che (as)sale”. Nella pianta la casa non si adatta alla disposizione dell’isolato: va in aderenza per un breve tratto e si allunga nel lotto come un braccio, i setti murari distaccati seguono una linea inclinata, la stessa della sezione e per una pianta libera, un insieme di pilastri si innalzano per due altezze. All’artista Pino Castagna venne affidato il compito di caratterizzare il pavimento di ceramica innescando, attraverso bande colorate, un rapporto dinamico tra i diversi livelli del Raumplan. L’acqua della vasca esterna, una suggestione veneziana,

06

97


07-10. Casa a Negrar (1985): portico d’ingresso con vasca di raccolta delle acque piovane, pianta, interno con la parete scultorea di Pino Castagna sulla destra, veduta esterna.

07

08

09

98

10

arricchisce le variabili cromatiche della luce e dei colori del pavimento ed è una componente che rivedremo in una delle case realizzate a Negrar. È qui a Negrar infatti che realizzerà una di quelle abitazioni cresciute lentamente, frutto di un rapporto dialettico con la committente e ben radicate. Questa abitazione è pervasa di un certo palladianesimo, anche se il volume parallelepipedo con incastrato un timpano rovesciato per le sue dimensioni concorre ad assorbire più l’architettura rurale dei contesti palladiani che lo stesso Palladio, una lettura “cubista”. Della grammatica palladiana si intravvedono la pianta centrale a croce greca ma spogliata dei volumi perimetrali, il portico con le colonne rustiche, anche la scala centrale che porta ai piani superiori e i dentelli di gronda. La pianta, suggestiva, viene arricchita di elementi che si innestano come perle nel filo: la vasca esterna che ha la sorgente all’interno, l’aia e il portico con la vasca retrostante. Generosa di dettagli e materiali, questa casa ha nella scala la colonna vertebrale, o meglio, il midollo che collega le parti nervose. I due muri di sostegno diventano

2018 #04


un intervento scultoreo di Pino Castagna, con “bucce” di ferro che fanno da cassero a perdere, e i gradini sono così rispettosi della scultura che vi si appoggiano in vani ricavati apposta. Che la scala sia un tema che appassiona Donadelli lo capiamo da quello che è stato un lavoro maturo, la ristrutturazione di un appartamento con negozio, tra i molti interventi realizzati nel tessuto storico di Villafranca. Qui in una pianta quadrata si inserisce, passante, il vuoto cilindrico del collegamento verticale, e il sistema strutturale della grande scala a chiocciola viene svuotato lasciando solo lo scheletro delle forze: una sorta di vertebra che sostiene i gradini assottigliandosi, in modo che al centro il fascio di luce che cala dal tetto non venga interrotto. Arrivati in alto scopriamo che il soffitto è stato modellato, le pareti da curve diventano rette e la luce, guardando dall’occhio sul tetto, riverbera infrangendosi sui piani, le curve, gli scansi e i dentelli. Il risultato è uno spazio scultoreo, dinamico, improbabile, che conduce ad un’idea di ambiente deformato totalizzante. Le geometrie pure non vengono dissimulate,

mutuano il linguaggio vernacolare: le Opere Parrocchiali di Alpo ne sono l’esempio più rappresentativo. Un progetto che nasce a partire dalla sezione triangolare che si sviluppa per setti cavi in una forma prismatica, la quale si dispone in modo da costruire uno spazio a corte con l’esistente. Torna il progetto della tesi nella linea secca della falda e nell’abbassamento carsico semi circolare nel tetto del teatro, e si realizza l’architettura partecipata: sono i disegni dei bambini delle scuole la base per il disegno del pavimento ceramico. Prima ancora della legge per il superamento delle barriere architettoniche, i collegamenti verticali sono ricavati anche da rampe interne che, pur non essendo una promenade architecturale, fanno sentire i dislivelli e l’attraversamento degli spazi interni. Un edificio che non si mimetizza, permeabile, predisposto alle attività civiche e ludiche e che può solo essere vissuto. Un percorso architettonico è invece il lungo collegamento che unisce la scuola

13

14

11-12. Sistema delle rampe e delle scale e veduta della corte interna dell’edifico per le opere parrocchiali ad Alpo di Villafranca (1987). 13-14. Parte terminale della scala e dettaglio della struttura della rampa nella casa-negozio a Villafranca (1972).

11

12

115

99


15-16. Plastico di progetto e veduta del cantiere della Sala Civica di Quaderni di Villafranca (1995).

elementare con la sala civica di Quaderni. La scuola esistente, ottagonale, diviene un unico edificio con la parte di deambulatio e la sala civica. La rampa non è uno spazio a perdere, è una galleria espositiva e permette di raggiungere i due livelli della sala civica. La sala civica è un progetto semplice, funzionale ed “elastico” come dovevano essere gli spazi pubblici. Poiché i materiali sono tecnici, industriali ed economici, il carattere dell’architettura è data dalla forma dello spazio: la grande falda che spinge in basso è il segno distintivo che all’interno mostra la struttura in legno. Originariamente il prisma della sala si innestava nel teatro esterno ricavato da uno scavo nel terreno a quadrati concentrici, ma in fase esecutiva alla forma quadrata si è preferita quella circolare, forse più adatta al suo scopo ma meno alla curiosità.

15

16

100

« Una mano si muove sulla carta indagando un’idea, facendo la diagnosi del progetto, poi la stessa mano piega un foglio nell’intento di realizzare quel progetto » Invenzione e ritrovamento ci accompagnano tra le mura di un ex opificio a Mantova: due nuclei familiari commissionano la loro casa in un edificio in mattoni lungo e stretto, che viene trattato più come un lotto gotico che come un loft. In pianta e in sezione, il lungo rettangolo viene separato, frammentato e poi di nuovo collegato. Come una matrioska collegata dalla linea genealogica, si divide in due e poi ancora in due tra i diversi familiari. È posta molta attenzione all’intimità delle due famiglie, perciò al confine tra i due si interpone un vuoto. Il principio del vuoto, questa volta interno e coperto, si ripropone anche nelle singole unità abitative: la zona giorno fa da cuscinetto tra le altre zone, e siccome è a doppia altezza per collegare le parti intervengono delle passerelle che amplificano il principio “urbano”. La manifattura sfacciatamente artigianale delle scale, delle passerelle e di parte dell’arredo sembra

2018 #04


dire che sono nate lì o in un luogo come quello, una fabbrica. La trasformazione dell’ex asilo di Dossobuono in un ristorante ha messo alla prova anche la persona e il cittadino. L’intervento è attento a conservare l’esistente, tanto che con pietas albertiana si limita ad abbassare il profilo del soffitto con un materiale effimero come il tessuto. Le tele cascanti e trattenute da pannelli di legno, oltre a scolpire il soffitto generano un’altra distribuzione, collegando idealmente parti tra loro scollegate, inventano snodi per definire delle gerarchie. Il disegno interessa anche le lampade a parete: tradendo un gusto floreale si slanciano dal muro per portare la luce al centro dei tavoli. La mano fruga nell’archivio per ricordare, per portare alla luce un lavoro imponente, “i miei giochini” li chiama Donadelli.

19

17

20

21

Con attenzione sposta i numerosi plastici sui quali la polvere non si posa. Non tutto è stato realizzato e molto è stato rivisto. La mano si agita nell’aria per raccontare, perché con le parole è difficile raccontare l’architettura. La mano con l’età non si è chiusa, non ha stretto ciò che aveva di sicuro ma è ancora aperta ad accogliere pensieri nuovi, contemporanei.

17-18. Soggiorno con la passerella in legno e veduta esterna della ristrutturazione di un ex opificio a Mantova (2002). 19-20. Interno e particolare del soffitto del ristorante ricavato nell’ex asilo di Dossobuono, Villafranca (1980). 21. Prospetto del progetto originale dell’asilo di Dossobuono, anni Trenta.

18

115

101


LA SECONDA OCCASIONE

{DiverseArchitetture}

Il riuso di uno spazio e dei molti oggetti trovati, recuperati e reinventati danno vita a un caleidoscopico laboratorio tra modernariato e gusto vintage

Testo: Luisella Zeri

Foto: Valentina Zamboni

Nome maison vicentini Luogo via cossali - z.a.i. verona AttivitĂ opificio demodĂŠ Contatto www.maisonvicentini.it

01

102

2018 #05 #01


01. Lo show room di Maison Vicentini e la sua grande varietà di oggetti esposti. 02-03. Una suggestiva immagine dell’ingresso su via Cossali e ritratto di Simone Vicentini con Jessica Venturini (foto di Giancarlo Comparotto). 04. Arredi e oggetti luminosi creano suggestive ambientazioni dentro lo spazio.

Via Pietro Cossali è un anonima strada

al confine fra la ZAI Storica e il quartiere Golosine. La cortina che vi si snoda, un immobile dietro l’altro, alterna edifici

residenziali ad altri di media altezza. Un condominio basso, una casa a due livelli,

tetto piano, due falde, intonaco, qualche cornice di gesso attorno alle finestre. Il

solito déjà vu. Dopo un centinaio di passi, in

direzione dell’incrocio con Viale della Fiera, sulla destra chiude la successione di edifici

un immobile diverso dagli altri, un capannone che occupa con la sua mole tutta la larghezza dell’isolato. A stupire ancor di più è quello che si può trovare al di là del cancello una volta varcata la soglia.

Definire Maison Vicentini è complesso. Se

l’insegna riporta come sottotitolo un criptico

02

Opificio demodé, quello che ci troviamo

partiti non sia completamente riempito. Una

oggetti vintage, modernariato e antiquariato.

accesso allo spazio espositivo solo dopo

davanti è un grande showroom che raccoglie

A uno sguardo più approfondito, poi, si può

notare che la maggior parte di questi articoli non è quasi mai riconducibile al suo aspetto

originario, ma in qualche modo ha subito una rielaborazione a nuova forma e/o funzione.

Simone Vicentini, colui che alla Maison

ha dato nome e concretezza, proviene dal settore automobilistico e, come in ogni

volta a Verona, gli oggetti rinvenuti hanno

essere passati attraverso la rielaborazione realizzata nel laboratorio posto sul retro

del capannone. Infatti sono proprio gli spazi che accolgono la Maison il valore aggiunto di

questa attività: il processo di trasformazione avviene tutto in unico luogo, dove officina ed esposizione lavorano in continuità.

A rendere affascinante Maison Vicentini

diversarchitettura che si rispetti, ha

03

concepito una nuova attività trasformando in

un lavoro la propria passione per il recupero di oggetti oramai dismessi. In sinergia

con la compagna ex assistente di volo, un amico tutto fare con competenze tecniche e un’amica fotografa, ha dato origine a

un originale magazzino-laboratorio in cui

oggetti non più in uso possono acquisire una nuova vita. Lo stesso spazio che accoglie

l’attività è a sua volta il recupero, portato avanti completamente in autonomia e in

poco più di sei mesi, di una ex fabbrica di

lampadari degli anni Venti. Simone e i suoi

collaboratori girano l’Europa, principalmente la Francia, in cerca di brocanterie e

mercatini delle pulci, tornando alla base solo quando il furgone con il quale sono

115

04

103


{DiverseArchitetture} è innanzitutto lo spazio principale, vera

concretizzazione del concept che sottende

l’attività. Qui si affollano, stratificano e

snodano innumerevoli ambienti più piccoli, che ricreano a loro volta nuove storie e racconti. Sotto una serra in vetro è posizionato un

salottino con poltroncine e divanetti, alcune vasche da bagno, un frigorifero e dei mobili in radica che ricreano un originale angolo bar. E ancora scaffalature, sedie, gabbie, fenicotteri in resina, un Apecar e molto

altro danno vita al multiforme spazio di

via Cossali. Insomma, un po’ per i grandi

oggetti luminosi appesi alle pareti, un po’ perché ogni angolo è completamente diverso

da quello che lo precede, pare di trovarsi in un gigantesco Luna Park. A pensarci bene, la

realtà non è poi così lontana dalla fantasia. Il carattere di cui gli spazi sono vestiti è proprio quello di un luogo dove ciò che

avviene è potenzialmente un’infinità di cose.

Presso Maison Vicentini è possibile scovare

di persona qualcosa di stuzzicante, oppure acquistare dallo shop online fra

05

un’accurata selezione di prodotti.

La favorevole politica di un prezzo accessibile rende Maison Vicentini uno spazio per tutti e non solo

per un’élite. La Maison è un luogo

reale e virtuale dove chiunque può fare proprio un baule restaurato

o una bicicletta che dell’aspetto originario conserva solamente il telaio.

Maison Vicentini è anche

creazioni su misura per un

progettista che si sta cimentando in un progetto da caratterizzare

con qualche particolare curioso,

o per il proprietario di un locale che

desidera la realizzazione di un intero

progetto d’interni. Simone e il suo team

sono in grado di fornire elementi d’arredo

06

05. Presso Maison Vicentini tutto ritrova una nuova vita: dalle sedie agli ombrelloni da spiaggia. 06-07. L’angolo bar interamente realizzato con oggetti di recupero.

più o meno in serie, evocando particolari

epoche storiche e rendendo più funzionali, ma comunque sempre coerenti con l’epoca di

riferimento, arredi ormai dismessi. Grazie

104

07

2018 #05 #01


alle competenze tecniche, allo studio dei materiali e all’investimento continuo sui

macchinari di lavoro, è possibile ricreare l’arredo di un intero spazio con le basi

originali di un tavolino da bistrot francese e la giustapposizione di un piano in gres porcellanato che imita il marmo.

Altro settore di attività è anche il

noleggio di arredi per eventi, specialmente per quanto riguarda i pezzi più singolari. È il caso per esempio di alcune cabine

dell’ovovia del Monte Cristallo, progettate

nel 1956 per le Olimpiadi invernali a Cortina d’Ampezzo e andate all’asta nel 2016 dopo la dismissione dell’impianto di risalita. Cinque cabine sono state

08

09

acquistate da Simone Vicentini e una di esse è stata trasformata in una postazione bar mobile. Installati all’interno porta

bicchieri, dosatori e rubinetti e ruote per il trasporto

all’esterno, l’ovetto-cabina diventa così un eccentrico

elemento d’arredo, completo

all’occorrenza di barman con doposcì in pelo.

Maison Vicentini è anche

spazio per eventi, set per

video musicali e in generale

una location per situazioni fra loro diversissime. Una sera può trasformarsi nell’ambiente per

una cena placé, mentre il giorno

dopo può diventare itinerario per un’originale buffet fra diverse

10

tipologie di street food.

di chi lo ha creato, oggetti ormai spacciati e

trovare una definizione per questo spazio

convenzionale. Maison Vicentini, in un epoca

Insomma, se in apertura dicevamo che

risulta un operazione complessa, l’idea di ricondurre tutto semplicemente al termine

casa-maison è davvero l’operazione etimologica più azzeccata che si possa mettere in atto. Questo spazio e il suo concept nascono

all’incrocio fra competenze inespresse e

hobby del weekend, diventando un luogo dove

finalmente possono trovare rifugio le passioni

115

aspiranti clienti in cerca di qualcosa di non dove l’intolleranza e la diffidenza sono di

casa, impartisce una lezione molto attuale di

08. Il laboratorio dove avviene il recupero dei pezzi, backstage creativo dell’opificio. 09-10. Oggetti fra loro agli antipodi trasformati in bar portatili: un baule da viaggio e una cabina dell’ovovia realizzata a Cortina nel 1956.

cui tutti noi dovremmo fare tesoro: chiunque merita un’altra possibilità, persone, spazi,

esperienze e non da ultimi anche gli oggetti. Dando fiducia al potenziale inespresso, la

seconda occasione è quasi sempre meglio della prima.

105


Italo Mutinelli a Verona

115

Verona Testo: Michele De Mori Foto: Lorenzo Linthout

Tra i più importanti progettisti operanti nella città scaligera nella prima metà del Novecento, Italo Mutinelli (Verona, 1894-1975) si laureò in ingegneria civile a Padova nel marzo del 1921, dopo aver prestato servizio durante la Prima Guerra Mondiale. Iscritto all’Albo professionale dal 1926, ebbe numerosi incarichi pubblici: membro della Commissione Comunale per i giardini, della Commissione per la Lega d’insegnamento e, alla fine degli anni ’30, commissario per l’Acquedotto cittadino. Dal ‘52 al ‘56 ricoprì la carica di Presidente dell’Ordine degli Ingegneri. La sua attività si inserisce in un contesto di grandi cambiamenti per la città di Verona, cambiamenti che Mutinelli attraverserà mutando il proprio gusto architettonico e adeguandolo alle nuove necessità, diventando presto una delle figure di spicco nell’ar-

106

chitettura veronese nel periodo compreso tra le due guerre. Di dieci anni più giovane di Ettore Fagiuoli (con il quale partecipò nel 1939 al concorso nazionale per la Casa Littoria di Verona) e allievo dell’ingegnere Umberto Festa (tra le cui maggiori opere si ricorda la Maternità a Sant’Alessio), Mutinelli iniziò la sua carriera nella fase calante del liberty veronese, abbracciando fin da subito i più rigorosi riferimenti al classicismo per poi virare verso un completo razionalismo. Sarà proprio di questo stile che verrà riconosciuto come uno dei massimi esponenti locali. Anche se si disinteressò quasi completamente dell’aspetto urbanistico e della pianificazione, i suoi edifici furono pieni rappresentanti di quel gigantismo architettonico tipico del Ventennio che ancora oggi definiscono importanti spazi urbani della città.

2018 #04


1 villa senser 1925 Nei primi anni di attivitĂ professionale Mutinelli fu molto apprezzato dalla classe borghese che si stava stabilendo nel neonato Borgo Trento. Proprio per questo si contano numerose sue opere nel quartiere. Tra i diversi edifici presenti, la villa fatta costruire dalla famiglia Senser rappresenta uno dei primi impegni giovanili, progettata nel 1925 a pochi anni dalla laurea. Il fabbricato, dichiarato abitabile dal 3 luglio 1926, venne sopraelevato nel 1956 ad opera dell’ing. Luigi Crescini. La trasformazione, nonostante la perdita del fregio decorato posto sottogronda, cercò di riproporre le linee stilistiche del Mutinelli tanto nel nuovo balcone che nei nuovi contorni delle aperture, ispirate alla classicitĂ veronese.

2 7 1 4 3

6

5

8

115

107


3

2 villa battei 1926

villa vivaldelli 1928

Commissionata dai fratelli Battei, provenienti da Parma, la villa fu progettata molto probabilmente nel 1926 e dichiarata abitabile dal 22 marzo 1927. Nonostante il fabbricato richiami elementi classicheggianti, in particolare nel pronao semicircolare sorretto da colonne doriche, esprime una forte predilezione per linee sobrie e austere, inserite in un contesto rigorosamente equilibrato che anticipano la svolta razionalista del decennio successivo. Come di consueto per il periodo, il progettista curò tutti i dettagli del villino, dai parapetti in ferro agli elementi architettonici in tufo. Da sottolineare la probabile collaborazione con il pittore Pino Casarini che dipinse il fregio esterno; una collaborazione che si ritroverà in diverse opere di Mutinelli. Il fabbricato venne sopraelevato nel 1958 su progetto dell’ing. Mario Semprebon, che aggiunse due piani conservando comunque i canoni stilistici e riproponendo il timpano così come da disegno originale.

Progettata nel 1928, la villa unifamiliare venne commissionata dall’allora direttore delle Cartiere Fedrigoni, il dott. Antonio Vivaldelli. Come per altre opere della fine degli anni ’20, si colgono diversi richiami alla classicità veronese, come i pinnacoli a conclusione delle alte lesene che contengono il timpano tronco, oppure il portale di ingresso modanato con maschere di leone ai lati. L’edificio, che mantiene ancora oggi l’aspetto esterno originale, venne costruito in concomitanza con il vicino Ponte della Vittoria, inaugurato il 4 novembre 1929.

4 villa rossi pavesi 1930 Fu il primo edificio ad essere costruito in via Quattro Novembre. La maestosa villa, decisamente fuori scala in rapporto alle precedenti opere di Mutinelli, pone le basi per quel gigantismo che lo contraddistinguerà con l’inizio del nuovo decennio. Una variazione di scala che potrebbe coincidere con l’arrivo di nuovi committenti legati al mondo industriale in pieno sviluppo nel capoluogo. Guido Rossi, infatti, c­on il fratello maggiore Attilio, era titolare della società A.G. Fratelli Rossi, leader nel campo della concia di pelli e nella fabbricazione di scarpe. La Società fu sciolta nel 1926 e Guido rimase proprietario di quello che diventerà il calzaturificio Rossi-Godi in stradone Porta Palio. L’edificio, che contiene decorazioni interne di Pino Casarini e opere dello scultore Giuseppe Garonzi, è caratterizzato da una scansione centrale che richiama il gusto rinascimentale composta da arcate a bugnato al piano terra sormontate da una loggia con balaustra.

108

2018 #04


5

6

GRUPPO RIONALE CESARE BATTISTI 1938

casa adami 1933

Così come per Borgo Venezia, anche Borgo Trento venne dotato di una sede per il gruppo rionale locale intitolato a Cesare Battisti. L’edificio, opera di Mutinelli con la collaborazione di Mario Padovani fu inaugurato alla presenza di Mussolini nel 1938 e così celebrato da L’Arena del tempo: “i corpi del fabbricato, pur nell’unità architettonica d’insieme rivelano la loro destinazione funzionale realizzando così la sincera corrispondenza tra l’interno e l’esterno”. Conclusa la Seconda Guerra Mondiale l’immobile fu assegnato a sede dell’Ufficio Tecnico Erariale di Verona il quale, nel 1946, propose un intervento di adeguamento alle nuove funzioni, a firma dell’ing. Fagi, comprensivo della sopraelevazione della porzione rivolta su via Tonale. Successivamente mutò più volte funzione fino al recente recupero ad uso residenziale.

I primi anni ’30 del ‘900 videro radicali trasformazioni nel rapporto tra la città e il suo fiume. I lavori in difesa dall’Adige, avviati a fine ‘800, vennero infatti ripresi coinvolgendo la riva sinistra e il relativo quartiere della Campagnola in pieno sviluppo edilizio. L’intervento di Casa Adami è inserito nella più ampia riorganizzazione dell’area del Prato Santo che portò alla demolizione dei precedenti caseggiati. L’edificio era intestato a Luigia Adami, moglie dell’impresario Giuseppe Antonini, proprietario anche dei due fabbricati affiancati sulla sinistra. Il palazzo perde completamente i richiami al classicismo che avevano caratterizzato la produzione di Mutinelli nel decennio precedente per approcciare uno spirito razionalista, come si può notare nei contorni delle aperture privi di modanature, nei balconi con ringhiere a fasce e nello sfondamento del prospetto.

7 PALAZZO MUTINELLI BENCIOLINI 1935 Contestualizzato nella trasformazione urbanistica dell’area del Prato Santo, al grande fabbricato fu affidato il compito di proporre l’angolo dell’isolato con affaccio sul nuovo ponte Garibaldi (1934). Il palazzo, elevato per sei piani più un interrato rialzato, realizzato in luogo del più antico molino Leonardo Consolaro, fu coprogettato con il collega ingegnere Cesare Benciolini. Da sottolineare come anche la stessa proprietà dell’immobile fosse di Matilde Reich, moglie di Benciolini, e di Italo ed Ada Mutinelli. Considerato al momento della sua costruzione l’unico buon esempio di architettura tardo-razionalista veronese, il palazzo esprimeva tutti i canoni della modernità, essendo provvisto di ascensori per tutti e tre i vani scala e di impianti centralizzati per la produzione di acqua calda.

115

109


9 8 CINEMA CORALLO 1950 Di particolare rilevanza l’intervento di ricostruzione di palazzo Della Torre, unica testimonianza di Andrea Palladio a Verona. Il palazzo, i cui lavori iniziarono nel 1555, per essere interrotti nel 1568, non fu però mai completato. Inoltre, durante il grave bombardamento del 4 gennaio 1945 il fabbricato fu pesantemente danneggiato. Già negli anni ’30 i fratelli Dolci, proprietari dell’area, avevano incaricato Francesco

Banterle della progettazione di un cinematografo; progetto che, superate diverse difficoltà, venne approvato nel dicembre del 1942. Terminato il conflitto i Dolci decisero però di affidare i lavori a Mutinelli, che predispose un nuovo progetto tenendo conto dei danni bellici. L’antica facciata gotica venne riproposta con l’ausilio degli elementi architettonici sopravvissuti ai bombardamenti, e integrata da nuovi ampi portali d’ingresso. All’interno, realizzato con un linguaggio sobrio di impostazione razionalista, spicca un maestoso lucernario apribile inquadrato da un rosone.

10

110

2018 #04


9 CALZATURIFICIO GUIDO ROSSI 1945-1948 Il rapporto con gli industriali Rossi proseguì anche nel periodo post bellico. Attilio affidò all’ingegnere la ricostruzione del palazzo distrutto dai bombardamenti ad angolo tra via Cappello e via Stella, mentre Guido gli commissionò un nuovo stabilimento nel quartiere di Borgo Milano. I lavori del grande complesso iniziarono già nell’estate del 1945 per terminare, a seguito di alcune modifiche, solo nel 1948. Negli anni ’60, con la conclusione dell’attività industriale, la fabbrica ospitò la scuola americana per i figli dei militari della SETAF. Oggi parte degli ambienti produttivi è stata demolita; permane il corpo principale, anche se fortemente modificato nella forometrie del piano terra.

10

115

11

STABILIMENTO WEINGRILL 1937

CASE ERLOTTI 1928-1931

Di origine austriaca, i Weingrill si trasferirono nell’area di Porta Palio da Riva San Lorenzo nei primi anni del ‘900 per la necessità di maggiore spazio per la loro produzione orafa. Lo sviluppo fu tale che già nella seconda metà degli anni ’30, la nuova sede venne ampliata con l’acquisto della vicina proprietà Gervasutti, comprensiva dell’abitazione ancora oggi presente, e della strada comunale che metteva in collegamento via Pisacane con via Filopanti. Il progetto per il nuovo stabilimento venne commissionato all’ing. Mutinelli che lo presentò agli uffici comunali nel giugno del 1937. A seguito delle incertezze del nuovo piano regolatore, che prevedeva l’ampliamento di via Pisacane attraverso la demolizione di parte della proprietà Weingrill, vennero ideate due soluzioni completamente differenti tra loro. In quella poi realizzata il nuovo fabbricato funge da collegamento tra gli edifici preesistenti attraverso un unico corpo con copertura a shed.

Probabilmente il primo intervento su scala urbana del Mutinelli, riguardante l’intero isolato tra le vie Muro Padri, Nazario Sauro, Enrico Toti e Francesco Rismondo di proprietà del cav. Attilio Erlotti. In nuovo fabbricato si inserisce in un più ampio piano urbanistico voluto dall’Amministrazione Comunale Fascista, che comprese tutte le abitazioni disposte tra le vie San Zeno in Monte e l’attuale via Rismondo, portando alla nascita di una nuova zona residenziale e dell’istituto tecnico oggi intitolato a Sanmicheli. La prima realizzazione, datata 1928, comprende il grande fabbricato contenente 76 vani sviluppati su cinque livelli di cui quello al piano terra per ospitare attività commerciali. Del 1931 è invece il maestoso palazzo posto all’angolo con la nuova piazzetta Bernardi che, con la massima semplificazione delle linee classicheggianti, apre la strada allo stile razionalista che caratterizzerà le successive opere di Mutinelli.

111


12 STABILIMENTO MONDADORI 1946-1949 Mutinelli fu impegnato anche per un’altra importante industria veronese: la Mondadori. Qui operò un importante ampliamento dei reparti sulle ceneri di quelli distrutti a seguito della guerra. Per fare ciò si resero necessarie delicate operazioni di sbancamento e di rinforzo del fronte roccioso, seguite dallo stesso Mutinelli ed eseguite dalla ditta Zampini di Avesa. Tra il 1946 ed il 1949 furono costruiti il nuovo reparto periodici, disposto lungo via Rismondo e il fabbricato più alto che conta quattro livelli fuori terra, rivolto all’interno del lotto. Con la costruzione, pochi anni più tardi, del nuovo stabilimento grafico di Borgo Venezia, le vecchie strutture vennero acquistate dal Comune di Verona nel 1964 per stabilirvi l’attuale Istituto Tecnico.

13 VILLA ROSSI 1934 Il cavaliere del lavoro Attilio Rossi, uno dei più influenti industriali veronesi nel periodo compreso tra le due guerre, si può ricordare come probabilmente il maggior committente di Mutinelli. Ad esso infatti affidò la costruzione e l’ammodernamento dei suoi impianti industriali, in particolare del calzaturificio sito in via Betteloni. Nel 1934, proprio all’ingresso del Quartiere Venezia venne edificata la monumentale villa, sempre con la collaborazione, oramai rodata, del pittore Pino Casarini. La grande villa, a differenza di quella realizzata pochi anni prima per il fratello Guido Rossi, descrive appieno i canoni dell’architettura razionalista veronese, perdendo qualsiasi riferimento al classicismo e sostituendolo con una visione più sobria e imponente.

112

2018 #04


14 GRUPPO RIONALE FILIPPO CORRIDONI 1935 La seconda metà degli anni ’30 vede Mutinelli impegnato anche nella realizzazione di opere pubbliche quali le sedi dei gruppi rionali fascisti. Il grande edificio che dominava l’entrata est della città, posto a lato del casello daziario e fronteggiante la stazione della tramvia, fu costruito con la collaborazione di Renato Castiglioni e grazie al contributo economico dell’industriale Attilio Rossi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 qui si insediò la Polizia Federale, trasformando l’intero complesso in un luogo di prigionia. Improntato a una composizione asimmetrica, l’edificio evidenzia un ampio uso del mattone a vista – elemento ricorrente nelle Case del Fascio – giocato

sapientemente con campiture piene di intonaco. Da notare nel corpo centrale l’ingresso completamento rivestito di pietra e sormontato da una finestra con sei oculi circolari. Purtroppo alcune modifiche alle forometrie e la superfetazione di volumi nello spazio esterno hanno compromesso l’originaria lettura dei prospetti.

11 12

13

14

115

113


Pietre naturali per raccontare una storia straordinaria

LA BACHECA DI AV

LA BACHECA DI AV

Un raffinato progetto di interior design abitativo con il contributo di Marmi Regina® Marmi Regina® è un’azienda che da sempre accompagna il cliente nella scelta del materiale più adatto, nella progettazione e nel realizzo di opere di prestigio in marmo e pietra naturale. Ogni opera è progettata secondo unicità ed accuratezza del dettaglio indipendentemente dalla scala di realizzazione: si passa da progetti di architettura di grande scala in ambito di edilizia privata e/o pubblica ad interior design e design con estrema flessibilità. Il marchio Regina® si pone come supporto per architetti e designer per il confronto di idee e nuove strategie per la propria espressione di carattere Made in Italy. In virtù dell’ingegno e delle tecnologie avanzate a disposizione delle migliori realtà

del settore, Regina® ha un approccio di carattere artigianale e del ‘fatto su misura’: in questo modo lavorazioni avanzate ed elevate capacità produttive possono creare valore aggiunto alla materia che prende forma.

marmi Regina® vicolo matteotti 13 37015 sant’ambrogio di valpolicella (vr) tel +39 045 773 1355 www.marmiregina.com info@marmiregina.it

114

2018 #04


Una linea che salva la vita

C’è modo e Modo+ in cucina Il design di eccellenza del marchio Boffi

MODO+, che il prossimo anno festeggia dieci anni di attività, è uno showroom nato per essere punto di riferimento del settore dell’arredo di alta fascia e si rivolge per vocazione naturale ai professionisti e ai clienti più esigenti. L’esperienza pluriennale sviluppata in Conati Franceschetti, le partnership con importanti realtà italiane e internazionali e le competenze in continua crescita del team permettono di offrire un know-how e un approccio creativo unico, focalizzato su valori importanti: la concretezza, l’estetica, la progettazione, l’attenzione al dettaglio, la personalizzazione e, naturalmente, il design.

Tra i marchi ospitati nello spazio espositivo di 1500 mq, l’eccellenza della cucina è rappresentata da Boffi: un nome che nel tempo, sotto la guida dei tre direttori artistici – Luigi Massoni, Antonio Citterio e Piero Lissoni – ha attuato una vera e propria rivoluzione di codici e linguaggi, dando vita a un catalogo articolato ma straordinariamente coerente, popolato di collezioni e pezzi cult in grado di interpretare i nuovi stili di vita e conquistare anche i mercati emergenti per l’ampio respiro delle proposte. In oltre 80 anni di attività, Boffi ha saputo interpretare l’evoluzione del gusto e delle tecnologie. Nel 2015 Boffi e De Padova hanno raggiungono un accordo per l’integrazione delle due società, costituendo una piattaforma del design di eccellenza totalmente integrata e complementare.

modo + via fontego 10 37029 San pietro in cariano Tel +39 045 683 1568 www.modopiu.it info@modopiu.it

115

Edil Rapid lavora in sicurezza e per la sicurezza di quanti operano nei cantieri edili. L’impresa edile fondata da Mirco Perina, infatti, installa e certifica linee vita e sistemi anticaduta per tutti i professionisti chiamati a lavorare sui tetti, sia in legno che in cemento, delle abitazioni, di coperture industriali e altre strutture. Se un tempo, infatti, solo gli spazzacamini salivano sulle coperture delle abitazioni, adesso un piccolo esercito di artigiani accede alla parte più alta della casa: idraulici, impiantisti, antennisti. A tutti loro va garantita la tranquillità di lavorare in assoluta sicurezza. Per questo Edil Rapid si è specializzata nella progettazione di linee vita, con specifici progetti che vengono certificati da un ingegnere, e utilizza componenti dei sistemi anticaduta (pali e cavi d’acciaio) che sono realizzati da aziende in grado di certificare i propri prodotti. Il tutto per raggiungere un solo obiettivo: garantire sicurezza al 100% a chi lavora sui tetti. Le linee vita inoltre, sono una garanzia di sicurezza anche per i proprietari degli immobili: in caso di infortuni infatti, il padrone di casa non rischia di ritrovarsi coinvolto in procedimenti penali e lunghe pratiche di risarcimento. Le linee vita di Edil Rapid possono essere inserite sia in abitazioni nuove che in quelle in fase di ristrutturazione. Sono sicure, tecnologiche, utilizzano materiali testati e hanno anche un ridotto impatto visivo. Questo è un notevole vantaggio quando devono essere inserite sui tetti di abitazioni dei centri storici o che insistono in ambiti di particolare pregio storico e architettonico.

LA BACHECA DI AV

Edil Rapid, specialisti delle costruzioni in sicurezza

EDIL RAPID sas Via Bionde, 110 37139 Chievo (Verona) Tel 320 02 96 979 www.EDIL-RAPID.it info@edil-rapid.it

115


Salire nel legno La progettazione di impianti elevatori per edifici con struttura in legno e gli accorgimenti messi a punto da Stevan Elevatori

LA BACHECA DI AV

Da oltre cinquant’anni il nostro Gruppo Stevan Elevatori si occupa di installazione di ascensori e piattaforme elevatrici (ascensori domestici o condominiali) e da qualche decennio progetta anche impianti elevatori per le case realizzate in legno. La progettazione di questa tipologia di impianti deve tenere conto di alcuni accorgimenti: - il vano in legno deve avere una funzione autoportante e deve essere sempre reso ignifugo. La documentazione del trattamento deve essere allegata al collaudo. Il nostro gruppo è abilitato ad effettuare tale collaudo direttamente; - le dimensioni del vano devono essere conformi al D.M. 236/89, il che dà diritto di godere di iva 4% e del contributo Regionale; - sulla testata o sul tetto del vano dell’ascensore vi deve essere un’areazione dal 3 al 5% della superficie in pianta, a seconda se sia soggetto alle norme antincendio o meno; deve essere impedita l’entrata dell’acqua e deve essere montata una rete anti topo ed anti volatili. Tra i vari impianti elevatori disponibili consigliamo di installare una piattaforma o un ascensore ad azionamento elettrico in quanto non presentano materiale inquinante, quindi, tra l’altro, non vi è il rischio di fuoriuscite di olio; il consumo è ridotto; possono funzionare anche in caso di mancanza di corrente e non hanno l’ingombro del locale macchina il quale viene posto all’interno del vano. Gli ascensori e le piattaforme elevatrici hanno lo stesso funzionamento, la differenza sostanziale sta nella velocità che per le piattaforme è di massimo 0,15 m/s. Il consumo è di circa 0,50 kW per le piattaforme elettriche e di circa 3 kW per gli ascensori elettrici con velocità di circa 1 m/s (un ascensore oleodinamico con velocità 0,6 m/s consuma invece circa 15 W).

116

Le piattaforme necessitano di una fossa di 0,15 m e di una testata di 2,5 m; gli ascensori normalmente hanno una fossa di 1 m e una testata di 3,5 m. Nel caso di edifici esistenti sono disponibili nuovi modelli che consentono di comprimere moltissimo gli ingombri sia della fossa che della testata. Anche le procedure burocratiche per richiedere una deroga per fosse e testate ridotte sono state semplificate, qualche anno fa è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 82 del 9/4/2015 il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 19 marzo 2015 che consente di attivare la procedura di deroga con l’ausilio di enti di certificazioni privati senza dover attendere il benestare da parte del ministero riducendo notevolmente le tempistiche necessarie. Per quanto riguarda le strutture degli ascensori, inizialmente ci venivano

richieste autoportanti ed antisismiche, quindi abbiamo installato strutture dello spessore di circa 5-6 cm. Tutto attorno al vano dovevano esserci degli anelli ogni 1,20 m o 1,50 m in altezza per gli ancoraggi e croci di Sant’Andrea in testata e su tutti i lati dove non erano presenti porte. Queste strutture potevano essere rivestite di vetro, lamiera, legno trattato o cartongesso con adeguata resistenza meccanica alla spinta. Successivamente ci è stato chiesto di ancorarci sui cordoli dei pianerottoli sia in legno che in cemento armato (per non avere carichi lungo la corsa del vano) quindi abbiamo previsto un sistema che consente gli ancoraggi ogni 3,30 m. Infine ultimamente ci è stato chiesto di fissarci lungo il vano di legno, quindi abbiamo previsto delle staffe apposite per il legno, adatte ovviamente allo spessore. Nell’ultimo periodo abbiamo collaudato un nuovo prodotto con portata 3.200 kg, progettato per cantine o per attività industriali, omologato per il trasporto di cose e persone e con la chiamata e rimando ai piani. Indicativamente la cabina può essere di 3,5 x 5,5 m, con apertura porte a tutta larghezza, con una struttura tubolare da 10 x 10 cm, anelli ogni 1,5 m e croci di Sant’Andrea in testata e dove non sono presenti porte. Questa struttura a traliccio oltre ad essere autoportante ed antisismica, può aiutare anche le strutture esistenti ad aumentare la propria stabilità. La fossa può essere variabile da 15 cm a 45 cm a seconda del tipo di impianto.

gruppo stevan elevatori via e. fermi 9 37026 Settimo di pescantina (VR) Tel +39 045 6750078 www.stevanelevatori.it

2018 #04


Non esistono superfici senza colore

115

LA BACHECA DI AV

Serugeri dal 1952 si presenta sul territorio veronese e limitrofi come punto di riferimento per il commercio di legnami e pannelli. La costante ricerca e selezione dei prodotti porta l’azienda ad un continuo aggiornamento della gamma dei materiali proposti. La più recente acquisizione a catalogo sono le lastre in gres porcellanato di grandi dimensioni “FuoriFormato” che offrono un approccio inedito ed esclusivo al mondo delle grandi superfici ceramiche. Quella di Serugeri è una proposta in cui tecnologia, artigianalità, ricerca ed innovazione si fondono in maniera atipica e originale; per la prima volta il gres di grandi dimensioni incontra l’esplosione del colore, la creatività del (di)segno e l’estro della decorazione. La superficie di queste lastre diventa foglio neutro sul quale osare attraverso la scelta di soluzioni fuori schema: non solo con riproduzioni di materiali esistenti ma soprattutto con l’estro e la fantasia della decorazione. Nonostante lo spessore ridotto associato alle grandi dimensioni FuoriFormato garantisce una forte resistenza alle sollecitazioni meccaniche, all’attacco dei prodotti chimici, all’abrasione, al gelo e all’usura del tempo. Tali caratteristiche rendono queste lastre non solo una superficie architetturale ma un vero e proprio materiale d’arredo utilizzabile per piani di lavoro, mobili, porte, rivestimento pareti e pavimento e altri molteplici usi legati all’interior design. Grazie agli alti livelli di performance del gres porcellanato e all’esclusiva tecnologia produttiva è possibile utilizzare questo prodotto anche negli spazi esterni, una tra le tante possibilità è il rivestimento a facciata. Questo materiale da la possibilità di soddisfare esigenze molto diversificate rispondendo alle richieste specifiche di architetti e progettisti attraverso lo sviluppo e la progettazione di prodotti dedicati e sartoriali. Oltre ad un ampia gamma di proposte a catalogo è consentita infatti al

Serugeri: si a colore, fantasia, materia e personalizzazione

professionista una forte personalizzazione in un’ottica custom made. La libertà di espressione è massima anche grazie alle diverse metodologie di decorazione che spaziano dall’artigianale, con interventi manuali sulla superficie mediante l’uso di spatole, pennelli spugne e sgorbie(seguendo la tradizione della decorazione delle ceramiche) alla serigrafia, dall’ applicazione di materiali vetrosi, come graniglie e scaglie, fino alla stampa con inchiostri preziosi come oro, platino ed argento. L’ estrema personalizzazione offerta ha portato ad una proficua collaborazione con Michelangelo Pistoletto sfociata

nella creazione di un numero limitato di piastrelle raffiguranti il simbolo del celebre manifesto“Terzo Paradiso” costituito da una riconfigurazione del segno matematico d’infinito. La più innovativa proposta è quella di lastre luminescenti che si ricaricano se esposte ai raggi UV e una volta al buio rilasciano la luce accumulata Nello spazio espositivo Serugeri è possibile ammirare nella loro interezza e toccare con mano la profondità materica di queste lastre innovative e uniche nel loro genere che permettono all’arte di entrare nella nostra vita quotidiana e di esaltare i nostri spazi.

serugeri srl via eugenio barsanti 15 37139 verona Tel +39 045 8510499 fax +39 045 8510202 info@serugeri.com

117


Gios System: modularità semplicità flessibilità

IL SISTEMA GIOS IN TUTTI I SUOI COMPONENTI

LA BACHECA DI AV

Un canale, giunti angolari ad L e a T, moduli luce autonomi e facilità di incastro e montaggio: questi gli elementi del sistema Gios di Forall CANALE COMPONIBILE La configurazione del sistema Gios parte dal canale, elemento modulare in alluminio disponibile in tre misure (224, 168 e 112 cm) che serve da supporto agli altri componenti del sistema. I vari elementi si uniscono tra loro attraverso giunti lineari che consentono di creare, grazie all’aggiunta dei moduli luce, file luminose potenzialmente infinite. Il sistema è caratterizzato da geometrie pulite ed essenziali con la possibilità di scegliere tra le finiture bianco opaco, nero opaco e alluminio anodizzato, integrandosi perfettamente in ogni contesto. SNODI E ACCESSORI Il sistema Gios è in grado di soddisfare ogni nuova esigenza di luce. Grazie ai giunti angolari a L e a T è possibile seguire sia le esigenze illuminotecniche che quelle architetturali con la massima flessibilità. Ciò che si ottiene è una configurazione perfettamente integrata nell’architettura.

IL GIUNTO I giunti a L ed a T hanno una duplice funzione: quella meccanica di unione tra i due canali e quella elettrica che permette, attraverso morsetti fast, il cablaggio dei moduli luminosi. Grazie a questa tipologia d’innesto rapido viene garantita la continuità di corrente tra un modulo e l’altro riducendo considerevolmente il tempo di installazione. SEMPLICITà DI INSTALLAZIONE La carta vincente del sistema d’illuminazione Gios è la praticità di installazione. Una volta installato il canale e fissate le sospensioni di sicurezza baste inserire il modulo luce esercitando una semplice pressione, senza l’utilizzo di utensili e in maniera sicura: basta un click! POTENZA E SEMPLICITà D’USO La potenzialità d’impiego del sistema Gios si amplia con il modulo faretto: elemento compatto e minimale che si integra in continuità con gli altri componenti.

È composto da tre faretti con snodo orientabile che consente la rotazione sia sull’asse verticale che su quella orizzontale. Il modulo si presenta completo d’alimentatore e cablaggio, pronto per l’installazione su canale. CONNESSIONE La velocità di installazione dei moduli va di pari passo con la rapidità di connessione. A un’estremità del profilo è installata una schedina elettronica che semplifica la fase di cabloaggio ed offre la possibilità di tre accensioni oltre alla linea DALI ed una di emergenza. Ogni fase ha una capacità massima di 4,5 A. INNOVAZIONE DEL SISTEMA Il plus innovativo di Gios System è la sua matrice luminosa, concepita per dare semplicità e modularità all’intero sistema. Si presenta come elemento autonomo e modulare dalle dimensioni compatte. L’innovazione si concretizza nella facilità d’incastro sul canale, nell’intercambiabilità delle lenti lineari a seconda della luce desiderata e nella presenza di una scheda

118

elettronica per facilitare la selezione della linea elettrica. i. Gazie alle diverse ottiche è possibile scegliere quella più adatta al contesto, che sia di vendita, ad uffici, industriale o privato.

L L

F O R A L L

FOR ALL srl via otto marzo 10/12 37012 bussolengo (VR) tel 045 7150425 - 045 6704145 fax 045 6754826 www.for-all.it info@for-all.it

2018 #04

w


w

Come fare per ricevere «AV»: occhio al nuovo sito! Per ricevere la rivista basta lasciare i propri dati sul sito compilando il form alla pagina: www.architettiverona.it/distribuzione specificando il formato (digitale o cartaceo).

Il nuovo sito rivista.architettiverona.it è inserito nella piattaforma completamente rinnovata dell’Ordine Architetti PPC di Verona: www.architettiverona.it



alivar.com

CLOUD_divano / T-GONG_tavolino / PADY_poltrona / TRATTO_libreria - Design Giuseppe Bavuso - HOME PROJECT collection

Zeus Arreda s.r.l. Via Lussemburgo, 4/a, Verona Tel 045/509670 Fax 045/509755 www.zeusad.it E-mail: info@zeusad.it ZEUS_cloud.indd 1

ITALIAN CONTEMPORARY LIVING 21/03/2014 10:02:18


PH

Max Zambelli

Nomos by Tecno | www.tecnospa.com

NOMOS 2013 SPECIAL EDITION FOSTERCONTRACT AND PARTNERS GENERAL ITALIA RETAIL CONCEPT LEXUS 2020

Corso Milano 128 37138 Verona T +39 045 576660 info@ar-ve.it www.ar-ve.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.