RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959
Verso Sud — Il vuoto che avanza
Ex Manifattura Tabacchi: Doppia anima — Solamente connettere
Terza edizione — Anno XXVIII n. 2 Aprile/Giugno 2020 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR
ISSN 2239-6365
Ex Safem: Sequenza urbana — Manifattura & meccanica
2020 #02 Fare Scalo — Quel pasticciaccio dei Magazzini
121 Metter mano alla città — Fuori dalle mura, dentro lo schermo
New MultimediaShowroom Showroom New Multimedia
New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever al servizio dei progettisti Si è aperto il nuovo spazio interattivo multimediale sviluppato da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. 01
Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini, video, progetti e clip multimediali.
New Multimedia Showroom
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L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in 4K su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani. All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break. SEVER mette a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. SEVER è partner e fornitore ufficiale AMG, AUDI, MERCEDES, PORSCHE, SMART, VOLVO E VOLKSWAGEN. 02 01-02. Vedute dello Showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo dell’allestimento.
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Solamente connettere a cura di Alberto Vignolo
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saggio
Quel pasticciaccio dei Magazzini di Federica Guerra
editoriale
odeon
Il vuoto che avanza di Alberto Vignolo
Metter mano alla città di Federica Guerra
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storia & progetto
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progetto
Liberi in banca di Camilla Furlan
Manifattura & meccanica di Michele De Mori
PROGETTO
Fuori dalle mura, dentro lo schermo di Angela Lion
progetto
Verso Sud di Marzia Guastella, Laura Bonadiman, Giorgia Negri
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Sequenza urbana di Filippo Romano
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saggio
Fare scalo di Angelo Bertolazzi, Michelangelo Savino
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Doppia anima di Leopoldo Tinazzi
PROGETTO
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LC mette il becco sulla Fiera di Luciano Cenna
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portfolio
Demolizione e/o liberazione
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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXVIII n. 2 • Aprile/Giugno 2020 rivista.architettiverona.it
https://architettiverona.it/rivista/
Direttore responsabile Amedeo Margotto
Direttore Alberto Vignolo
Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it
Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Daniela Tacconi, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Camilla Furlan, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri rivista@architettiverona.it
DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https:// architettiverona.it/distribuzione/
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contributi a questo numero Angelo Bertolazzi, Michelangelo Savino, Luciano Cenna, Michele De Mori referenze Fotografiche Lorenzo Linthout Si ringraziano Roberto Carollo, Andrea Dalla Valle, Daniele Dalla Valle, Stefano Lodi, Federica Provoli
Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.
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Il vuoto che avanza
Ambizioni, aspettative e bilanci parziali sulle trasformazioni urbane attese o mancate nel quadro di Verona Sud
Testo: Alberto Vignolo
Foto: Lorenzo Linthout
C’è stato un tempo in cui si pensava che ogni trasformazione urbana dovesse nascere da un’idea generale di città, espressa in un disegno normativo complesso da attuare per parti attraverso ulteriori regole di scala via via più fine, per arrivare in cascata al progetto architettonico come esito logico e necessario. Un’idea generale che da una volontà di forma rappresentata iconicamente, si è fatta via via sempre più diagrammatica tanto da farsi quasi incomprensibile – ah, i retini... – ma comunque presupposto e regola entro cui trovare opportunità e, in ultima istanza, dargli forma compiuta
attraverso gli esiti costruiti. Tempi gloriosi andati, si dirà: archeologia del fare città. Lasciando agli archi-cinefili la visione di queste pratiche d’essais, i progetti di trasformazione urbana che vediamo oggi, come quelli proiettati sullo scenario battuto e ribattuto di Verona Sud – ci mostrano il passaggio dall’eccezione – l’area dismessa, discontinuità improduttiva del tessuto urbano – alla regola: vuoto uguale deroga uguale bonus. Così ha fatto recentemente l’amministrazione cittadina attraverso la call “Vuoti a rendere”: un cambio di paradigma
che, se nasce dall’intento di favorire il recupero di edifici o parti di città, evitando così in parallelo il consumo di suolo, ottiene l’effetto paradossale di mettere in primo piano il contenitore da riempire – il vuoto, per l’appunto – ai contenuti – gli effettivi bisogni di una comunità. Il famoso carretto davanti ai buoi? Certo, non possiamo più pretendere di programmare e preordinare lo sviluppo (avercelo!) di una città, e occorre pertanto cogliere occasioni e opportunità, come quelle generosamente messe in campo dal cosiddetto Sblocca Italia: un provvedimento
01. In presa diretta: il teatro delle trasformazioni urbane di Verona Sud visto dalla sede dell’Ordine degli Architetti di Verona ai Magazzini Generali. 01
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che consente in deroga allo aperti, vera e propria “struttura che strumento urbanistico comunale connette”, che si gioca la capacità gli interventi di rigenerazione di mettere assieme il mosaico urbana, ristrutturazione edilizia dei progetti, a partire dai diversi e riconversione funzionale di modelli prospettati. È bastato fabbricati produttivi dismessi (i vedere le premesse di apertura e vuoti, i vuoti...). Ecco il motorino permeabilità urbana su cui si basa di avviamento capace di rimette il concept per la ex Manifattura in pista vecchie carrette e farli Tabacchi per disvelare il sostanziale diventare nuovi bolidi rombanti: fallimento del suo gemello diverso, ecco i progetti per la ex Manifattura il triangolone degli ex Magazzini Tabacchi e per la ex Safem presentati generali, rimasti ancora rinserrrati nelle pagine che seguono che, pur dentro una muraglia scalcinata con le dovute differenze, per ruolo che ne rappresenta la sostanziale urbano e relazioni potenziali fra autonomia di cluster direzionale, e di loro e con le aree contermini poco più. Così come, il giorno che ancora rimaste al palo (ex Cartiere), venisse meno il limite fisico attorno incomplete nonostante le pluriennali all’attuale scalo merci ferroviario, aspettative (ex Magazzini) o attese, non basterà quel gesto a farne un anzi per meglio pezzo di città, annunciate (ex tanto quanto « L’equilibrio sta tutto Scalo merci), non bastano gli nella lungimiranza ridisegnano alberi per fare un interamente lo parco. del privato e nella sua scenario urbano Una visione capacità innovativa di Verona Sud. parcellizzata, – per chi ce l’ha – Rimangono area per area, e in parallelo nella le incognite, rischia di risposta proattiva sulla direttrice perdere d’occhio del pubblico » stazione il sistema della ferroviariamobilità – a Fiera, dei due capisaldi agli estremi: di là delle solite e pur benedette da una parte per il passaggio del rotatorie – e di mettere a dura tracciato dell’Alta Velocità con la prova le reti infrastrutturali; dovrà nuova stazione, ancora da definire fare sintesi il passaggio da tempo nel merito (anche come volano atteso del sistema di trasporto per la riconversione dello scalo di massa (filobus), mentre una merci); dall’altra per la sostanziale visione globale di mezzi e flussi si autonomia e scarsa permeabilità della affanna nell’inseguire a posteriori cittadella fieristica, tenacemente trasformazioni derivanti da processi rinserrata al proprio recinto, con in deroga e quindi aliene da ogni qualche segnale di apertura (Ingresso previsione ex ante. Re Teodorico) a sud, mentre è da A partire da questi interrogativi nord che le viene incontro la nuova si manifesta la necessità di elevare piazza disegnata a suggello della lo sguardo per tornare a una rigeneranda Manifattura Tabacchi. dimensione unitaria, a un’idea È proprio sul disegno degli spazi generale entro la quale il mosaico
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delle trasformazioni urbane – quelle più vaste e incisive, ma anche quelle di grana minuta – possano essere letti come parte di un tutto, quel progetto di città che ne esprima l’identità guardando al futuro. Tocca necessariamente agli enti pubblici tirare le fila e dettare le regole, se condo dinamiche oramai collaudate: il privato propone, il pubblico dispone con le dovute contropartite. L’equilibrio sta tutto lì, nella lungimiranza del privato e nella sua capacità innovativa, per chi ce l’ha, e in parallelo nella risposta proattiva del pubblico: giocare al compromesso e tirarla in lunga, o gestire la trasformazione come opportunità da cogliere al volo? Sul bilancio finale di tale operazione peseranno, in ordine sparso: la forza innovativa dei progetti, la lungimiranza dei committenti, una visione non ostativa dei burocrati, la capacità di sintesi e indirizzo degli amministratori, la matura consapevolezza dei cittadini. Per un nuovo bilancio su Verona Sud, appuntamento ai lettori affezionati di «AV» tra un decennio circa, come oramai da tradizione.
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02. Il geometrico palinsesto del prospetto su viale del Lavoro del ‘magazzino tabacchi greggi’, primi anni ‘60.
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PROGETTO
Doppia anima
Memoria della cittĂ e innovazione architettonica: il progetto per la rigenerazione della Ex Manifattura Tabacchi rilancia le questioni urbane sottese al ruolo di Verona Sud tra attese e potenzialitĂ
Progetto: Snøhetta
Testo: Leopoldo Tinazzi
Verona
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Il complesso dell’ex Manifattura Tabacchi sor- ad inviti indetto nel 2018. ge su parte del sedime dell’ottocentesco Forte L’ideazione del concept Clam che, allineato con Porta Nuova, rappre- vincente parte da una vasentava il varco militare da sud a Verona durante lutazione dell’area all’inil periodo asburgico. Demolito il forte dopo la terno dello scenario citPrima Guerra Mondiale, si pensò di utilizzare tadino. Negli schemi di il lato occidentale dell’area su cui sorgeva per in- analisi, il sito viene messo sediravi il nuovo impianto di produzione tabac- in rapporto agli spazi del chi cittadino. A partire dal 1932 il lotto si svi- futuro parco ferroviario e luppò fino alla saturazione, come una cittadella dei Magazzini Generali, industriale densa e circoscritta. La fabbrica ven- con l’aspirazione di crene completata negli anni ‘60 con la costruzione are un flusso pedestre tra lungo Viale del Lavoro della lunga stecca per le queste tre isole circondate lavorazioni: quest’ultimo è l’edificio che con la dalle pesanti infrastruttusua facciata a tamponamenti laterizi accompa- re viarie esistenti. Il progna la salita sul cavalcavia che conduce in Viale getto individua quindi Piave. l’esigenza di riattivare l’exDa questo veloce inquadramento si può capi- impianto sotto gli aspetti re quanto la posizione di quest’area sia centra- della circolazione interna e dell’immagine urle all’interno del paesaggio urbano di Verona bana. sud. Incastrato nella propaggine più avanzata Dell’attuale insediamento vengono mantenuti i del quartiere industriale, costituisce un tassello perimetri di facciata e la parte originale al piadel mosaico che comprende i Magazzini Gene- no terreno dei primi magazzini sul fronte Fiera, rali, la Fiera e i Mercati Ortofrutticoli. Questo la ciminiera, l’edificio per le lavorazioni su viaenorme brano di tessuto cittadino rappresenta le del Lavoro e la palazzina sulla testata nord, tuttora un ostacolo invalicabile alla relazione diradando notevolmente le volumetrie rispetto tra i due quartieri che ne dividono la custodia: allo stato di fatto. Borgo Roma e Golosine. Ad oggi, la soluzione a L’azione rigenerativa segna un nuovo ritmo urquesta frattura non bano: ripartendo può che avvenire dalla successione dei « La forte personalità agendo sulle singole magazzini storici a parti, essendo venusud, viene sovrapdei nuovi innesti si propone ta meno – un segno posta su tutto il lotcome nuovo punto di riferimento per to una scansione di dei tempi – la posl’immagine urbana, riuscendo sibilità di operare passaggi trasversali, attraverso una piacon una serie parala valorizzare la struttura del nificazione urbana lela di spazi verdi e complesso industriale complessiva, che ne gallerie che ribalta in chiave contemporanea » ridisegni indirizzi e l’attuale vocazione finalità. longitudinale della A fronte di queste premesse, la strategia di recu- fabbrica. La finalità è quella di trasformare un pero dell’ex Manifattura proposta da Snøhetta lotto chiuso e introverso, destinato alla produnel progetto che qui mostriamo manifesta l’in- zione in serie, in un filtro che possa comunicare tenzione di reinterpretarne il ruolo come com- con gli isolati adiacenti. ponente attiva di questa auspicabile ricucitura. In seguito al ridisegno della circolazione interIl celebre studio internazionale è stato scelto na vengono distribuite le volumetrie necessarie dall’attuale proprietà del sito con un concorso a completare il programma funzionale. L’incon-
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01. Il panorama urbano di Verona ritratto dalla sommità della Manifattura Tabacchi, spunto per lo sviluppo del concept progettuale. 02. Inquadramento urbano. 03. Concept: paesaggio naturale e paesaggio urbano, nuovo e antico.
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PROGETTO
Doppia anima 04-05. Schemi morfologici interpretativi del sito: il ritmo degli spazi urbani al suolo e i tagli-connessioni con l’intorno. 06. Riferimenti progettuali per gli spazi di circolazione: il sito di progetto e l’Arena di Verona a confronto.
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tro con l’esistente avviene per addizione, in un rapporto dialettico di contrasto con i landmark storici preservati. Tutti i volumi di nuova costruzione sono caratterizzati da un sistema di facciata in lamiera verde, consentendo, grazie alla loro omogeneità, una chiara lettura della sedimentazione storica. La loro presenza, seppur massiva, si avvale della possibilità di alleggerirsi, attraverso dei moduli di apertura dinamici, che disegnano una texture di trasparenze graduali e alternate. Uno schizzo del concept individua l’origine di questo approccio “sedimentario” nella visione di Verona dall’alto, dominata dalla quinta dei monti Lessini. Questa sovrapposizione sarebbe dunque riproposta appoggiando i corpi di progetto sugli esistenti. Un’interpretazione sicuramente realistica dello spunto iniziale, che però non esaurisce l’intera dinamica compositiva dell’intervento, basato su una concreta metodologia consolidata di rapporto con l’esistente. Il programma funzionale prevede la realizzazione di un complesso a vocazione mista, principalmente commerciale e ricettiva. Alla quota zero l’impianto
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Snøhetta Snøhetta è uno studio internazionale di architettura, architettura del paesaggio, interni, design e grafica che, fin dagli inizi, è rimasto fedele al suo metodo di lavoro transdisciplinare, che comprende dalle discipline tradizionali alle tecnologie digitali all’avanguardia. Nel 1989, Snøhetta ha ricevuto il suo primo incarico per la grande Biblioteca di Alessandria in Egitto; un decennio più tardi ha fatto seguito la vittoria al concorso per il Teatro Nazionale dell’Opera di Oslo. Nel 2004, a Snøhetta è stato affidato il progetto per l’edificio culturale all’interno del World Trade Center Memorial, e ha aperto un ufficio permanente a New York. Nel 2013 è seguito lo studio di San Francisco, a seguito dell’incarico per l’ampliamento del museo SFMOMA. Attualmente, lo studio continua a crescere in tutto il mondo con sedi anche a Innsbruck, Parigi, Hong Kong e Adelaide, con oltre 240 collaboratori provenienti da 32 nazioni diverse.
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www.snohetta.com
07. Individuazione degli ambiti dello spazio pubblico nella planimetria di progetto. 08. Veduta da sud lungo viale del Lavoro in una simulazione relativa al concept di concorso. 08
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PROGETTO
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09-11. Elaborati grafici relativi al Piano Attuativo: sezione trasversale sull’edificio pluripiano, il fronte su viale del Lavoro, piante del primo piano interrato, piano terra e piano coperture. 12. La Piazza della Ciminiera incentrata sull’elemento storico preservato a memoria del sito. 13. Modello tridimensionale di insieme.
-0,90 -0,70
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si articola internamente in tre macroaree: il nocciolo sud dei magazzini, la stecca centrale dell’edificio lavorazioni e la testata nord della palazzina uffici. Le tre aree sono alternate ad altrettante piazze e attraversate da una diagonale che connette tutto l’impianto sull’asse longitudinale. Il ritmo è scandito dall’inserimento di cortili di connessione su tutto il lotto. Il comparto sud si affaccia su una piazza alberata, che trasforma l’attuale informe parcheggio di fronte alla Fiera in uno spazio di connessione, grazie anche al parziale ribassamento di via Scopoli. Gli studi per questo ambito vanno ben al di fuori del sedime stesso della Manifattura, con proposte in divenire che coinvolgono necessariamente il quartiere fieristico e il nodo del suo ingresso. All’interno, i piani terra dei vecchi depositi – sottoposto a vincolo monumentale – vengono mantenuti e
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PROGETTO
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14. Schema dell’approccio concettuale all’edificio storico soggetto a vincolo monumentale. 15. La Piazza Centrale conserva al piano terra la facciata originale che, come un nastro testimone della memoria storica dell’edificio, unisce la vecchia e la nuova architettura. 16. Il fronte meridionale della Manifattura con l’hotel affacciato sulla piazza verso la Fiera. 17. Dettaglio del sistema di rivestimento delle facciate con le pannellature metalliche filtranti.
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destinati ad attività commerciali, con la corte centrale ripensata come uno spazio pubblico destinato a food court. La ricostruzione dei volumi superiori, ricalcandone le volumetrie, permette di ricavare nel primo una vip lounge a servizio delle attività fieristiche e un albergo, nel secondo una palestra e studi professionali. A nord di questo primo comparto si trova la Piazza della ciminiera, baricentro interno dell’ex quartiere manifatturiero, oltre la quale si estende la lunga stecca delle lavorazioni, preservata nel suo aspetto latero-cementizio, la cui destinazione prevista è uno studentato. Al piano terra, al volume della stecca si innestano tre nuovi corpi di fabbrica agganciati ortogonalmente in sequenza e destinatia
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usi commerciali. Al di là di questo corpo centrale si trova il Parco della Storia, la terza piazza che porta al quadrante nord del lotto: un intreccio di percorsi pedonali immersi nel verde frammisti a reperti industriali, che culmina nella palazzina di testa per la quale è previsto un uso direzionale. Tre grandi piastre di parcheggi interrati completano il programma dell’intervento. Il progetto offre un fondamento concreto alla speranza di vedere questi luoghi tornare parte dinamica del tessuto urbano. L’integrazione delle nuove funzioni per frammenti, in dialogo con le preesistenze, assicura il mantenimento di una scala micro-urbanistica all’interno dell’ex fabbrica. Questo offre la possibilità di aprire il più possibile la citta-
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PROGETTO 18. Piano tipo e prospetto dello studentato previsto all’interno del fabbricato “deposito tabacchi”. 19. Studio per gli interni di una camera dell’hotel.
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della a molteplici percorsi, elementi chiave per connetterla con il sistema di riqualificazioni in atto e con il grande polo della Fiera. Da questo indirizzo emerge chiaro il metodo di Snøhetta, che pone sempre alla base dei propri progetti l’inserimento attivo nei contesti, spesso partendo da un ridisegno del landscape prima che delle parti strettamente architettoniche. Ugualmente sviluppati con sinteticità e chiarezza, i temi compositivi del progetto appianano la strada a una loro effettiva realizzazione senza compromessi. Dalle prime immagini si deduce la volontà di preservare dove possibile l’aspetto edilizio originario, conservandone materiali e segni del tempo. In parallelo, la forte personalità dei nuovi innesti si propone come nuovo punto di riferimento per l’immagine urbana. Complessivamente sembra raggiunto il difficile intento di far convivere una doppia anima conservatrice e innovatrice, riuscendo a mantenere la struttura del vecchio complesso industriale e a svilupparne una nuova rappresentazione di richiamo contemporaneo. A completamento di questo sforzo di riconnessione
urbana e visiva dell’ex Manifattura, il masterplan si avvale di una proposta d’appendice, che comprende le urbanizzazioni primarie individuate in un parco lineare lungo viale Piave e nella rampa di collegamento ciclo-pedonale tra il complesso, la Fiera e i Mercati ortofrutticoli. Se il parco ha un effettivo alto grado di realizzabilità, la rampa al momento sembra una proiezione utopica. è invece già in cantiere l’atteso sistema di trasporto pubblico di massa (filovia), che andrà a innervare la Manifattura in maniera sostanziale, grazie allo spostamento del suo tracciato sul margine dell’area lungo viale del Lavoro, rispetto a un percorso inizialmente più tortuoso, con una fermata giusto in corrispondenza della Piazza della Ciminiera. In ogni caso, questo progetto rappresenta al meglio le potenzialità di un approccio “internazionale” alle questioni urbane, con l’affidamento ad uno studio famoso per i propri design contemporanei ma che professa un inestinguibile credo nello spazio collettivo. Una valida opportunità per rimettersi al passo con le grandi ristrutturazioni urbane delle città europee.
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committente VR RE srl, Bolzano Progetto architettonico e di paesaggio Snøhetta Patrick Lüth (managing director Snohetta Innsbruck) Thomas Niederberger Matthias Schenk Paolo Fortuna Angelo Pezzotta consulenti Heliopolis engineering (strutture, impianti, infrastrutture, edilizia) Studio Nucci (geologia), Tekne (impatto acustico), Archtop (rilievi), Georicerche (V.A.S. e V.I.A.), Infratec (viabilità), Modenese e Lonardi (rilievi laser-scan), ADV Associati (prevenzione incendi), IDea (vulnerabilità sismica) 20
coordinamento generale UR.Management ing. Nicola Zuech (project manager) collaboratori: arch. Amedeo Margotto ing. Giovanni Montresor Cronologia Progetto preliminare: 2019
20-21. Planimetria e simulazione del fronte sud della Manifattura con la sistemazione della piazza verso la Fiera e il “ponte” su via Scopoli.
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PROGETTO
Sequenza urbana
La rigenerazione urbana delle Ex Officine SAFEM e Falconi si propone come una simbolica “porta” di accesso al futuro parco dello scalo ferroviario dal quale trae l’immaginario progettuale architettonico
Progetto: Aspro Studio Testo: Filippo Romano
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L’area di Verona sud sta vivendo oggi un momento di evidente rinnovamento, dettato da un lato da logiche di tipo economico che si rispecchiano nelle potenzialità offerte dal mercato immobiliare, dall’altro da un’amministrazione comunale che preme per una riqualificazione urbana in grado di restituire un’immagine più appropriata a quello che è l’ingresso al centro urbano cittadino. Un tassello fondamentale all’interno di questo processo di ricucitura con la prima periferia è il progetto che interessa l’area delle Ex Officine SAFEM, esteso poi in continuità di logiche e intenti alle limitrofe Ex Officine meccaniche Ugo Falconi: un sistema di edifici industriali sostanzialmente dismessi sul tratto terminale dell’asse di accesso alla città antica. L’intervento si inserisce nel panorama delle operazioni di trasformazione e 02 valorizzazione fondiaria rese possibili dal decreto “Sblocca Italia” che incen- nato a rappresentarne una delle ‘porte’ tiva, anche in deroga allo strumento di ingresso. L’altro aspetto riguarda, urbanistico comunale, l’esecuzione di invece, l’importanza di una continuinterventi di rigenerazione urbana, ri- ità fra i nuovi interventi compresi tra strutturazione edilizia e riconversione la stazione di Porta Nuova e la Fiefunzionale di fabbricati produttivi di- ra, con il parallelo progetto per la Ex smessi. Manifattura Ta« Un primo riferimento Il ruolo che quebacchi rispetto al riguarda il sistema sto intervento riquale si genera, veste sta proprio quasi spontaneadi connessioni dei nuovi nella sua posimanufatti edilizi, garantito mente, un rinnozione strategivato asse nordda un collegamento ca, innanzitutto sud che avrà un ciclopedonale lungo rispetto all’opruolo centrale sia portunità di una per lo sviluppo di l’asse nord-sud » grande area veruna nuova morde che andrà a sostituire l’ex scalo fologia urbana, sia come valore inmerci ferroviario. Seppur ancora oggi trinseco di servizio alla comunità. in fase di valutazione, la prospettiva L’incarico della progettazione per il di un nuovo parco urbano, destina- comparto SAFEM-Falconi è affidato ad essere con i suoi quasi 60 ettari to allo studio Aspro guidato da Clauil più grande della città, pone il tema dio Bertorelli, che già da un decennio del suo margine su viale Piave, desti- muove l’attività progettuale integran-
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01. Vista a sud-ovest dei capannoni esistenti delle Officine SAFEM parzialmente abbandonati. 02. Ortofoto dell’ambito urbano: gli edifici lungo Viale Piave costituiscono già oggi la
Porta Est del grande scalo ferroviario e domani del futuro parco urbano. 03. Primo plastico di studio e vista da nord-est dei tre nuovi volumi edilizi allineati lungo Viale Piave.
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Sequenza urbana
PROGETTO
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04. Le facciate dei tre edifici sono pensate a partire da una ideale “pressa urbana” che accartocci e traduca in memoria architettonica i container dello scalo ferroviario. 05. Il concept prende spunto dal ruolo della sequenza urbana su Viale Piave: un gigantesco Tubo di Venturi tra i due estremi della Fiera e della stazione ferroviaria, nel quale gli edifici cattureranno il flusso delle persone in transito.
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do temi urbani, di architettura e del paesaggio. Per quanto riguarda le ex Officine SAFEM, l’area si estende per una superficie di circa 8.500 mq, e alla base del processo progettuale troviamo due temi centrali. Un primo riferimento riguarda il sistema di connessioni dei nuovi manufatti edilizi, garantito da un collegamento ciclopedonale lungo l’asse nord-sud. L’area di progetto, in questo caso, viene interpretata secondo la chiave di lettura del cosiddetto “effetto Venturi” che, come nella termodinamica, si dilata in modo da rallentare i flussi che intercettano le attività presenti all’interno dei nuovi involucri edilizi. Un secondo principio, invece, si focalizza sull’aspetto compositivo: lo scalo ferroviario non è solo un’infrastruttura funzionale, ma anche un luogo dell’immaginario, uno spazio dinamico, dove i vagoni merci sono protagonisti e riflettono una visione più astratta del luogo. Immaginando una sorta di “pressa urbana” che spinga verso est gli elementi all’interno dell’area (binari, vagoni, container, ecc.), i nuovi volumi saranno il risul-
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tato di quest’operazione, lasciando spazio alla grande area verde che occuperà quasi l’intero sedime. È quindi prevista la totale demolizione degli attuali fabbricati e la ricomposizione dello stesso volume complessivo (circa 70.000 metri cubi) in due manufatti edilizi – la Corte e la Torre – posti parallelamente all’asse nord-sud e definiti da sagome irregolari derivanti dalle proiezioni dei binari, che ne scandiscono i volumi e gli spazi aperti lungo il fronte. Una pelle esterna “ferrosa” sarà la testimonianza della precedente funzione dell’area. L’edificio Corte si sviluppa su cinque livelli fuori terra (circa 17 metri) ed è caratterizzato da una corte interna su cui si affacciano passaggi aerei, ter-
razze pubbliche e le attività dei piani superiori. La strategia è di una graduale privatizzazione dello spazio salendo verso l’alto, a partire dal piano terreno permeabile al pubblico, con funzioni legate rispettivamente alla ristorazione e al coworking al piano primo e una destinazione ricettivaalberghiera per i livelli superiori. L’edificio Torre, che sorgerà nel punto più stretto della proprietà, interpreta il ruolo di landmark all’interno del nuovo sistema urbano. Dieci piani fuori terra per un’altezza di circa 36 metri caratterizzano un volume dalla forma snella, che accoglie spazi direzionali e terziari. La riconfigurazione del sito prevede anche la sistemazione delle aree esterne e la successione di spazi pubblici
06. Ortofoto del plastico di studio nel quale sono percepibili i tagli “a diamante” degli edifici. 07. Prime verifiche sulle sagome edilizie affacciate lungo Viale Piave e sul rapporto con gli spazi aperti.
Aspro Studio nasce nel 2003 per iniziativa di Claudio Bertorelli e opera dalla sede di Vicenza. L’attività progettuale si concentra sulla costante integrazione tra i temi del design urbano, dell’architettura e del paesaggio. Tra le più recenti opere a scala urbana vi sono il primo programma Verona Reload per l’ex Magazzino FS Porta Vescovo (2011), ora denominato Adige Docks (2017-2020, con ADV, DDV e arch. Rinaldo), il Masterplan per Collodi e il parco di Pinocchio (2014), il Masterplan Arcipelago e la realizzazione delle piazze centrali di Montebelluna (2015, con TA architettura e Già Gruppo), il Masterplan Parco della Musica a Sommacampagna (2018), il Parco della Pace a Vicenza (2015-in corso, con Franco Zagari, PAN Associati e Marti Franc), il progetto e le opere dell’area Ex Pagnossin a Treviso (2018-in corso), il progetto di Masterplan per il Parco del Ponte a Genova (IV° classificato, con CZ Studio). www.asprostudio.it
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PROGETTO
Sequenza urbana
08-09. Schizzi di studio sulle atmosfere delle camere alberghiere. 10. Layout planimetrici degli edifici Corte e Torre (prog. preliminare): nel volume alberghiero gli ingressi si collocano agli estremi e distribuiscono i singoli piani.
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Committente 5d Costruzioni srl Progetto architettonico e paesaggistico Aspro Studio: Claudio Bertorelli, Giacomo Casentini, Eleonora Bottin, Chiara Zonta, Alfonso Calafiore, Giacomo Magnoni consulenti Mobiliter - Ivan Genovese (viabilità) ADV Associati - Andrea Dalla Valle, Luca Dalla Valle (impianti) Alpogeo - Matteo Scalzotto (indagini geologiche e ambientali) BM&A Studio Legale Associato (consulenze legali e amministrative) avv. Maurizio Ascione Ciccarelli (coordinamento attività e rapporti con gli enti)
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Cronologia Progetto preliminare: 2019 (SAFEM), 2020 (Falconi) dati dimensionali Edificio Corte: 16.860 mq sup. lorda Edificio Torre: 8.030 mq sup. lorda 12
posti ai margini e fra i nuovi edifici della proprietà. Particolare importante sarà anche la dorsale ciclo-pedonale che, nell’ultimo tratto, è prefigurata come un’infrastruttura aerea a cinque metri d’altezza per poter superare Stradone Santa Lucia in direzione della Ex Manifattura Tabacchi: idea progettuale, questa, che attende accordi tra le parti e la volontà dell’amministrazione comunale. In una seconda fase temporale, è stata coinvolta nel progetto anche l’area ex Falconi, alla quale è stata estesa la stessa logica progettuale e procedurale e che viene così rafforzata, aggiun-
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gendo una nuova struttura ricettiva al progetto che enfatizza il tema della “porta del Parco” e che dà ulteriore forza al nuovo sistema di percorsi che collega la Stazione ferroviaria con Verona sud. Nonostante l’assenza di un masterplan generale che potesse mettere in relazione i vari comparti urbani, il progetto SAFEM-Falconi è rappresentativo di una maniera alternativa di costruire la città contemporanea. Ed è forse questo l’aspetto più sorprendente: il fatto che, nonostante ci si sia rassegnati ad operare per compartimenti stagni o recinti, dove
i confini del lotto segnano la fine del campo d’azione, oggi ci sia una riapertura verso una visione più ampia del territorio. Il tentativo è quello di far riemergere la memoria storica di un luogo ed il valore intrinseco di una urbanità unitaria. Un progetto di recupero e reinvenzione di un manufatto industriale dove il patrimonio edilizio diventa risorsa da rivitalizzare, pratica, questa, sempre più frequente nel progetto di architettura contemporaneo.
11. Sezione longitudinale sugli edifici Corte e Torre e sezioni trasversali sulla Corte. 12. Prime verifiche sulla street urbana a carattere ciclo-pedonale che taglierà in senso longitudinale l’edificio Corte.
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Un dialogo tra gli attori dei progetti per le Ex Manifattura Tabacchi e Ex Officine SAFEM evidenzia i temi comuni e i legami latenti, possibili e auspicabili A cura di: Alberto Vignolo
L’idea di porre a confronto i due progetti attestati sull’asse di viale Piave-viale del Lavoro nasce, oltre dalla loro evidente contiguità, dai temi comuni con cui entrambi si confrontano. Fatto salvo il valore storico, il peso insediativo, e il conseguente ruolo maggiormente incisivo della Manifattura Tabacchi, si tratta infatti di proposte di iniziativa privata che devono necessariamente confrontarsi con la città pubblica, a partire dalla relazione con il paesaggio infrastrutturale esistente e quello previsto (strade, filobus, piste ciclabili). È proprio l’obiettivo di una connessione tra centro città, stazione, fiera e Verona sud a dare forza a queste iniziative e al tempo stesso a costringerle ad uscire dai rispettivi confini dei lotti, aprendosi a una rete di relazioni urbane che guardano con molte aspettative a quella sorta di convitato di pietra verde rappresentato dal futuro parco all’ex scalo merci. Rimane infine il ruolo rappresentativo e simbolico di queste future architetture sulla via di accesso principale al centro cittadino, e come porta di accesso all’auspicato parco urbano. A partire da questi spunti, abbiamo coinvolto nella discussione Angelo Pezzotta e Paolo Fortuna, componenti del team progettuale di Snøhetta all’interno dello studio di Innsbruck, Claudio Bertorelli fondatore di Aspro Studio, e Amedeo Margotto consulente per il management della Manifattura Tabacchi. Angelo Pezzotta: Il progetto per la Manifattura Tabacchi di Verona ha rappresentato per noi una sfida interessante, non solo perché è iniziata con una competizione tra diversi professionisti, ma perché abbiamo colto da subito che il concept più efficace del progetto era rappresentato dal modo in cui avremmo potuto fare dialogare l’architettura esistente, storica e “monumentale” della Manifattura
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con l’architettura contemporanea quale espressione del nostro tempo, capace di generare un’opera architettonica non astratta e non fine a se stessa. Oltre a voler reinventare un nuovo organismo costituito da diverse funzioni, il nostro intento è stato da subito quello di sincronizzarle per dare forma e sostanza a un nuovo tessuto urbano che fosse il più possibile rigenerato e rigeneratore, accessibile al pubblico, rappresentativo e in posizione dialettica (di apertura) con la parte esistente di città limitrofa. Sviluppando il progetto, abbiamo compreso sempre più il valore strategico di quest’area, posta a cerniera tra il centro della città e Verona Sud e tra i quartieri urbani in direzione est-ovest. L’apertura si manifesta in primo luogo nei confronti degli abi-
01. Un’immagine del recente passato mette in evidenza la prossimità tra Ex Officine SAFEM, sulla sinistra, e la testata settentrionale della Manifattura Tabacchi a destra. 02-03. Gli inquadramenti urbani, perfettamente sovrapponibili e intercambiabili, elaborati per i progetti delle ex Manifattura Tabacchi e Officine SAFEM.
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tanti (il pubblico è sempre parte costante di ogni progetto) del quartiere delle Golosine e a nord verso il centro città passando dalla stazione ferroviaria; la volontà di relazionarsi con la parte Sud della città è rappresentata dal proficuo confronto avvenuto con Veronafiere per la realizzazione di una infrastruttura chiamata “il ponte”, per lo scavallo di via Scopoli, e per un successivo step per il sovrappasso di viale del Lavoro per ottenere una più fattiva connessione nelle direzione est-ovest. La Manifattura Tabacchi oggi è un ambito chiuso e introverso, con questo intervento abbiamo l’ambizione di renderlo fruibile al pubblico che potrà attraversarlo come fosse un museo aperto a tutti. Paolo Fortuna: Non si è trattato semplicemente di sviluppare un progetto per un ambito ben definito: parallelamente allo sviluppo del linguaggio architettonico delle varie parti, ci siamo posti infatti l’obiettivo di agevolare tutte le dinamiche agenti sul luogo, cercando di enfatizzarle e creandone di nuove. Quando siamo stati per la prima volta a visitare il sito, salendo sull’edificio alto si è aperta davanti ai nostri occhi una veduta sul paesaggio di Verona, con la storia architettonica della città in basso e, sullo sfondo, i monti. Questa stratigrafia di azione temporanea sui segni del passato ha costituito il punto di partenza per il concept di progetto, perché avevamo una situazione analoga: alla base la struttura esistente della Manifattura Tabacchi, che nella nostra mente equivaleva a Verona davanti ai nostri occhi nel panorama, sulla quale poter innestare un nuovo paesaggio contemporaneo, più dinamico, che rispondesse a dei canoni aggiornati. Possiamo dire che da questo sguardo è nato il concept poi sviluppato nel progetto del concorso e nelle fasi successive. Claudio Bertorelli: Anche il concept per la ex Safem ha preso avvio con l’idea di alzare lo sguardo; certo che la ex Safem era nata come una semplice officina a servizio dello scalo ferroviario, senza l’importante presenza della ex Tabacchi, per cui abbiamo dovuto pensare a soluzioni più artificiali, a partire dalla consapevolezza che salendo di quota c’è la possibilità di scoprire un nuovo orizzonte che si confronta inevitabilmente con la grande
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che attraversa i fabbricati di progetto a una quota sopraelevata e punta verso sud. Il dialogo possibile oltre Stradone Santa Lucia e la connessione con un’ipotetica infrastruttura che arrivi dall’area della Manifattura Tabacchi in modo da generare una continuità di percorso è, per il momento, solo un auspicio: sta all’amministrazione farsi carico di un dialogo che lo renda possibile. Lo sforzo è quello di transitare da un modello di città a recinti chiusi a un sistema di relazioni che rompa i recinti, creando più mobilità e connessioni. AP: Anche da parte nostra, abbiamo evidenziato strategicamente l’importanza del percorso tra la stazione ferroviaria e la Manifattura nell’ottica di raggiungere e connettere il polo fieristico (potremmo spingerci oltre immaginando questi spazi accessibili al pubblico, facenti parte di un sistema quale per esempio il Fuori Fiera?). È chiaro che si dovranno trovare le sinergie opportune per rendere quest’idea realizzabile, interloquendo direttamente con gli attori principali, da un lato le Ferrovie e dall’altro Veronafiere, e le varie Amministrazioni. È un’occasione strategica unica. Per enfatizzare inoltre il nuovo segno sul territorio, già durante il progetto della competizione avevamo immaginato che l’edificio sulla punta nord dell’area (nonostante la presenza ingombrante del cavalcavia di viale Piave) potesse rappresentare un landmark significativo in uscita dalla città, pensato come polo museale o galleria d’arte per giovani artisti. Nel progetto attuale rimangono comunque spazi visitabili dedicati alla memoria dei luoghi. 04
04. Snøhetta: schemi morfologici relativi all’area di studio. Dall’alto a sinistra, in senso orario: struttura urbana, collegamento est-ovest tra i quartieri, collegamento nord-sud tra stazione e fiera, nodi urbani. 05-06. Due vedute allo stato attuale del complesso di edifici della ex Manifattura Tabacchi.
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pedana dello scalo ferroviario, destinato nei programmi dell’amministrazione a diventare il cosiddetto Central park. Lavorando sul percorso nordsud proveniente dalla stazione, abbiamo quindi pensato di sollevarlo dalla quota della strada e di portarlo a una quota sopraelevata, da dove oggi i bambini vedono i movimenti dello scalo ferroviario e un domani vedranno un sistema verde. Più su, in copertura, un sistema di rooftop apre lo sguardo su distanze più grandi. Così, per rifarci al Central park, quello che stiamo progettando è una Highline
Alberto Vignolo: Parlando di landmark, vengono in mente alcune proposte progettuali per la Manifattura circolate negli scorsi anni, caratterizzate dalla presenza di torri con un forte sviluppo in altezza: una interpretazione forse un po’ letterale e auto referente dell’edificio-simbolo. PF: In realtà, un edificio alto alla Manifattura c’è già, quello affacciato su viale del lavoro, e già durante il concorso è stato chiarito da parte del cliente che rappresenta per i cittadini di Verona un edificio identitario e che pertanto andava mantenuto, anche tenendo conto che, una volta rimossa la cinta mura-
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ria che ora chiude il sito, sarà ancora più prominente verso la strada. Ma anche la testata a sud verso la Fiera può rappresentare un landmark per chi arriva in città. Per questo edificio, come per gli altri del resto, abbiamo cercato di rispettare i volumi dello stato di fatto. Rimuovendo le parti superiori fatiscenti dell’edificio vincolato, non volevamo mettere un “cappello” estraneo alla preesistenza, ma introdurre dei volumi nuovi che rispettassero però le proporzioni di quelli esistenti. Li abbiamo chiamati memory box: sostanzialmente abbiamo tirato una linea orizzontale al di sopra del piano terra, la
« Il percorso tra la stazione e la Manifattura Tabacchi nell’ottica di raggiungere agevolmente il polo fieristico rappresenta un’occasione strategica unica » parte originale dell’edificio, che rappresenta la tradizione, la storia e la cultura della città, e su questa abbiamo aggiunto due volumi che mantengono la memoria di quelli originali – gli ingombri – ma che sono caratterizzati da una nuova pelle e un gioco di luci sulle superfici. Non abbiamo cercato grandi gesti eclatanti e grandi dimensioni, quindi, ma lavorato sul dettaglio e sui materiali, rispettosi il più possibile della storia architettonica del sito. AV: Nel caso della ex SAFEM, invece, non c’è la possibilità di lavorare su un’identità architettonica preesistente, che deve quindi essere reinventata ex novo. CB: La sequenza dei tre edifici che oggi occupano il fronte chiuso di viale Piave sono destinati nel prossimo futuro ad aprire la vista a quota strada sul futuro parco, e a rappresentare la memoria dello scalo ferroviario reinventando completamente la scena urbana. Per questo, in questa fase del lavoro che è ancora a livello di definizione volumetrica, ci immaginiamo dei monoblocchi tagliati a diamante, non così alti – il maggiore sarà di dodici piani –
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e caratterizzati esternamente da un carattere duro, ripetitivo ed elegantemente ferroso, come se idealmente potessimo schiacciare tutti i container dello scalo ferroviario e ricavarne una texture di facciata evocativa della storia che sta alle loro spalle. Per quanto riguarda il parco, io spero che Verona non decida di fare solo un grande prato verde e di seminare fiorellini, perché mi sembrerebbe molto banale: spero che abbia l’intelligenza necessaria per una mediazione che porti a un’espressione di parco più contemporanea. Amedeo Margotto: L’occasione forse irripetibile che stiamo vivendo andrebbe indagata per capire se possiamo spingere più in là possibile le sinergia tra i due progetti, che per ora stanno proseguendo in maniera sostanzialmente indipendente. C’è il rischio, infatti, di trovarsi con un doppio percorso ciclabile su viale Piave, per esempio: bisognerà a un certo punto della vicenda capire, quando gli iter approvativi saranno più avanzati (ma non troppo!), trovarsi attorno a un tavolo per capire come ottimizzare risorse e investimenti nei confronti della città, che non sono infinite nonostante abbiamo de-
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07-08. Snøhetta: schema dei percorsi, inserimento nel fotopiano e sezione tipo del parco lineare a connessione della Manifattura Tabacchi con la Stazione Porta Nuova.
gli investitori che hanno la volontà di fare di Verona una sorta di laboratorio in termini di riqualificazione urbana. Occorre soprattutto capire meglio cosa succederà dello scalo merci e cosa verrà messo a disposizione della città: concordo che l’idea di fare un parco mettendoci semplicemente delle piante significherebbe perdere un’occasione. Forse si potrà partire proprio da quello che Snøhetta ha definito parco lineare, un’opera pubblica extra ambito da realizzare una volta maturato l’accordo tra i vari soggetti coinvolti. Da questo principio regolatore potrebbero nascere, a mio avviso, nuove opportunità. CB: A questo proposito, cito l’esperienza di un nostro cantiere aperto in questo periodo, quello del Parco nazionale della Pace a Vicenza, che stiamo realizzando all’interno dell’ex sedime aeroportuale, una vasta area di 70 ettari che pur avendo già un suolo green determinerà dei costi di gestione annua molto alti. È facile parlare di depaving, con un termine alla moda, ma chi propone di fare a Verona
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un parco verde dovrebbe ricordare che se non c’è una visione sistemica i costi di gestione si scaricheranno in futuro sulle casse comunali. Mi sembra che il sistema lineare che è stato proposto verso tra Manifattura e Stazione possa rappresentare la giusta taglia da cui partire. Noi ci troviamo con gli edifici della ex Safem all’interno di quel sistema, e traduciamo in infrastrutture all’interno di quello stesso sedime quanto ci viene richiesto di realizzare quanto meno in termini di oneri perequativi. È necessario tornare a chiedere all’amministrazione di fare un tavolo congiunto per far collimare le proposte, perché mi sembra un’occasione che ho visto poche volte manifestarsi concretamente. Su Verona si stanno concentrando alcune operazioni di grande rilevanza su scala urbana, ma spesso c’è un ritardo nella comprensione che lo spazio pubblico è ciò che può trascinare anche l’investimento privato, e lo si lascia spesso come ultimo elemento da definire mentre dovrebbe essere il centro della questione.
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AV: Basta vedere quello che succede dall’altro lato della strada, ai Magazzini generali, dove ci sono già i metri cubi operativi degli edifici ma non c’è ancora lo spazio aperto: una condizione che ha di fatto bruciato, a tutt’oggi, le grandi aspettative che avevano previsto di fare di quest’area la nuova centralità dello sviluppo verso sud della città. PF: Per quanto riguarda il parco lineare proposto nel nostro progetto, credo che abbia una grande potenzialità in vista del nuovo parco dello scalo, per cogliere l’occasione di attivare un modo di fare verde che leghi al concetto di estetica un approccio mirato anche alla funzionalità (ecologica, spaziale ed ambientale). Occorre pensare a parchi che diventano occasioni per il trattamento delle acque meteoriche (stormwater management), alla creazione di aree umide oppure di nuove foreste urbane (urban forest), o che ricorrano alla tecnica della fitoremediation, quando necessario, che consente di usare specie vegetali per estrarre metalli pesanti da suoli contaminati per poi smaltirli. Tutti temi estremamente attuali, che guardano alla realizzazione del verde non semplicemente come messa a dimora di alberature, di aree arbustive o di prati, ma mirano anche alle dinamiche ecologiche della landscape architecture. Quindi noi vediamo questo parco lineare come un’occasione di definire delle linee guida, come un laboratorio per la città su come poter lavorare con il verde nel futuro prossimo, sperimentando un’idea di parco a basso budget ma con un effetto contemporaneo, e dove anche la manutenzione possa essere ridotta (non certo eliminata). Una vera infrastruttura verde all’interno del tessuto urbano che possa assolvere a più funzioni contemporaneamente. AP: Tutto il mondo Snøhetta è molto sensibile al tema della sostenibilità. È un tema che accomuna tutte le nostre sette sedi sparse per il mondo e i nostri progetti sui quali stiamo lavorando (vedi per es. Powerhouses) dal circolo polare artico a Hong Kong a Detroit. È noto che il mondo delle costruzioni contribuisce per il 40% sulla produzione totale di CO2. Per questo motivo ci siamo fissati come termine il 2030, anno in cui tutti i progetti e tutte le realizzazioni di Snøhetta dovranno avere una impronta negativa in termini di CO2 prodotta. Ma già
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da questo progetto abbiamo voluto dare una spinta in questa direzione, proponendo per i landmark agli estremi sud dell’area, la realizzazione della struttura portante in buona parte in legno, in risposta alle richieste sempre più importanti di sostenibilità e di rispetto ambientale nelle costruzioni edilizie. In qualità di architetti progettisti abbiamo una grande responsabilità: stiamo costruendo la storia per il futuro e dobbiamo chiederci cosa vogliamo lasciare e cosa vogliamo trasmettere. Di fronte allo scenario attuale, non dobbiamo restare spettatori ma, proprio in quanto progettisti, abbiamo le capacità e il dovere di contribuire con delle risposte concrete, contemporanee e sostenibili.
09. Snøhetta: sezione tipo del percorso ciclopedonale all’interno del parco lineare Manifattura TabacchiStazione. 10. Stato di fatto dell’area di relazione tra Manifattura Tabacchi, sulla sinistra, e Officine SAFEM a destra.
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manifattura & meccanica
Un breve tratto della storia industriale di Verona rivive attraverso le vicende costruttive dei tre complessi attestati a sud di Porta Nuova oggi interessati da interventi di rigenerazione urbana
Testo: Michele De Mori
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Manifattura Tabacchi
Installatasi a Verona nel 1913, la Manifattura Tabacchi trovò sede temporanea presso la Gallettiera di San Giorgio – un edificio industriale edificato ancora nelle ultime decadi dell’Ottocento da Francesco Pelanda1 – in attesa della costruzione dello stabilimento definitivo che doveva erigersi, inizialmente, a Porto San Pancrazio. L’immobile si dimostrò presto insufficiente per soddisfare le necessità sia dei depositi che della produzione, tanto che nel 1923 venne presentato un progetto per la costruzione di un ulteriore grande fabbricato affiancato all’esistente. Richiesta che venne però bocciata dalla Soprintendenza vista l’importanza storica e architettonica del contesto. Nella ricerca di una sede adeguata, nel giugno del 1926 vennero concretizzate le trattative per l’acquisto e il trasferimento in parte dell’area del Forte Clam (poi Porta Nuova), vicino ai Magazzini Generali, all’epoca in via di realizzazione. L’area dell’ex Forte era infatti stata ceduta per metà all’Ente Magazzini Generali nel 1925, mentre la porzione residua era rimasta al Demanio dello Stato. Il 18 maggio 1929 venne redatto il regolare verbale di cessione del terreno e dei ruderi dell’ex Forte all’Amministrazione dei Monopoli di Stato, con effetto dal 1 luglio 1928. Una volta fatta propria l’area, prese avvio la costruzione dei nuovi edifici industriali seguendo due fasi di sviluppo: la prima prevedeva la realizzazione dei Magazzini per i Tabacchi Greggi, soprattutto per sopperire alla grave mancanza di spazio a San Giorgio; la seconda era inerente alla vera e propria sede produttiva della Manifattura Tabacchi. Come da prassi consolidata al tempo, i progetti preliminari degli edifici furono redatti dall’Ufficio Tecnico del Monopolio, mentre gli esecutivi affidati all’impresa aggiudicataria, in questo caso, per la prima fase, la Siderocemento di Milano che contava come consulente l’ing. Arturo Danusso del Regio Politecnico di Milano.
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La prima fase del grande complesso, i Magazzini dei Tabacchi Greggi, fu inaugurata il 28 ottobre 1932, decennale della marcia su Roma. L’edificio, composto da tre corpi di fabbrica collegati tra loro per una superficie totale di 17.850 mq, presentava una capacità totale di circa 60.000 quintali di tabacchi, la maggior parte contenuti nel grande capannone centrale coperto con eleganti capriate in calcestruzzo armato. Alla prima fase di sviluppo del complesso di Borgo Roma se ne aggiunse rapidamente una seconda con la costruzione del vero e proprio stabilimento produttivo e dei relativi servizi. Avviati nel 1937, i lavori dovevano essere terminati entro l’ottobre dell’anno successivo, ma la loro ultimazione avvenne solamente nel 1940, con inaugurazione il 21 aprile. Il nuovo grande edificio, costruito su progetto e sotto la direzione dei tecnici del Monopolio, copriva un’area di 2.530 mq e conteneva al suo interno, oltre ai locali per le lavorazioni, anche gli uffici amministrativi e fiscali, l’infermeria e
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01. Magazzini Tabacchi Greggi, interno del fabbricato centrale (foto MdM). 02. Vista aerea del complesso della Manifattura Tabacchi, metà anni ’50 (foto Cargnel). 03. Magazzini Tabacchi Greggi, prospetto est (foto MdM).
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STORIA & PROGETTO
04. Magazzini Tabacchi Greggi, sezione longitudinale, 1931 («Il Tabacco» n. 431/1932). 05. La nuova Manifattura Tabacchi di Verona, 1940 (Archivio di Stato di Verona). 04
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uno spazio per l’infanzia dove erano accuditi i figli delle maestranze. Al corpo principale erano aggiunti due fabbricati secondari, uno per le officine, dalla superficie di 720 mq dove trovavano sede il laboratorio di falegnameria, l’officina meccanica, quella dei fabbri e dei cassai, e un altro per la centrale termica, di 200 mq. A lato di questo si trovava la ciminiera che raggiungeva l’altezza di 38 m con un diametro alla base di 2,50 m e 1,00 m alla sommità. Si andò così a completare il trasferimento dalla vecchia sede di San Giorgio che venne progressivamente abbandonata. Il Secondo Conflitto Mondiale, con i suoi devastanti bombardamenti sulla città, colpì anche la Manifattura che fu costretta a trasferire la produzione a San Giovanni Lupatoto e nel deposito di Ca di Cozzi 2 . In particolare, nei raid dell’11 ottobre e del 6 novembre 1944, durante i quali furono coinvolti anche i Magazzini Generali, vennero pesantemente danneggiati i due fabbricati laterali dei Magazzini Greggi e la palazzina uffici. Fortunatamente, l’edificio produttivo principale non aveva subito gravi danni, così da poter riprendere le attività nell’immediato dopoguerra, intanto che venivano effettuate le riparazioni.
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Nei primi anni ’50 il complesso della Manifattura si ingrandì nuovamente con la costruzione di un grande deposito botti da circa 3.000 mq posto a nord del corpo produttivo. Eretto direttamente dall’Ufficio Costruzioni e Lavori dell’Amministrazione Monopoli di Stato, questo era composto da una struttura a tre campate con pilastri in calcestruzzo armato che sostenevano volte in laterocemento. Pochi anni più tardi venne edificata anche l’ultima porzione rimasta a nord del comparto, tra il nuovo deposito botti e la palazzina uffici. Qui, sempre su progetto degli uffici del Monopolio, venne inserito l’edificio dedicato all’ufficio vendite. Il fabbricato, di forma triangolare con corte centrale, esprimeva nei suoi canoni estetici un chiaro riferimento alla palazzina del 1940, della quale riprendeva la finitura con mattone a vista alternata da fasce intonacate. Al piano terreno trovavano sede i locali per la distribuzione dei tabacchi, nonché ampi spazi di deposito. Nel secondo dopoguerra, si avviò un processo di potenziamento delle manifatture italiane sull’intero territorio italiano che, a Verona, si concretizzò con la costruzione del nuovo deposito dei tabacchi greggi negli anni ‘60. Il nuovo edificio riprendeva l’altezza del vicino corpo della manifattura del 1940, andando a disporsi lungo viale del Lavoro. Realizzato su progetto del geom. Perini sempre dell’Ufficio
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Speciale Costruzioni e Lavori del Monopolio, il grande fabbricato con il suo volume superiore ai 35.000 metri cubi, mutò completamente lo skyline di ingresso alla ZAI. All’interno si presentava come un grande volume vuoto intervallato solamente da pilastri in cemento armato tamponati sui prospetti esterni da una muratura in mattoni; le sottili aperture erano chiuse da vetri colorati di azzurro. Così come il più vecchio corpo della manifattura, anche questo era collegato con il Magazzino nord dei Tabacchi Greggi attraverso un passaggio pensile. Con la costruzione del grande fabbricato si andò a completare lo sviluppo edilizio del complesso avviato una trentina di anni prima, raggiungendo così la sua forma definitiva.
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06. Cerimonia di inaugurazione dei Magazzini Tabacchi Greggi, 1932 (Biblioteca Civica di Verona). 07. Planimetria generale del complesso industriale, 1958 (Archivio Comune di Verona). 08. Collegamento pensile tra i Magazzini Greggi e il corpo principale di produzione (foto MdM).
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09. Progetto dei magazzini SAFEM, ing. Ronca e Fonte Basso, 1938 (Archivio Comune di Verona). 10. Vista esterna della filiale SAFEM di Verona (foto MdM). 09
I magazzini della Società Adriatica Ferramenta e Metalli
La Società Adriatica Ferramenta e Metalli venne costituita il 10 ottobre 1919 con lo scopo di provvedere al commercio di ferri e metalli. Con sede amministrativa a Venezia, nei pressi di Santa Maria Formosa, e depositi principali nel Porto Industriale a Marghera, la Società si occupava del mercato nella zona adriatica – da cui il nome – per conto delle Acciaierie e Ferriere Lombarde guidate dai Falck. Proprio Enrico e Giovanni Falck, figli del fondatore Giorgio Enrico (1866-1947), erano parte del Consiglio di Amministrazione. Il ruolo di presidente era ricoperto da Lodovico Goisis, direttore centrale delle Falck dal 1912, nonché, nel 1937, presidente del Consiglio nazionale per l’approvvigionamento delle materie prime siderurgiche. La SAFEM si occupava quindi della distribuzione e commercializzazione delle produzioni industriali dei Falck comprendendo principalmente materiali da carpenteria come ferri per cementi armati, travi, lamiere, tubi ma anche profili di ferro ornamentali e la più semplice ferramenta, nonché stufe in ghisa, cucine economiche e fornelli. 10
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La filiale di Verona fu aperta nei primi anni ’30 del ‘900 nella zona del Basso Acquar, dove venne affittato uno degli spazi industriali già esistenti per trasformalo in magazzino. Solamente nel 1938, prese avvio il trasferimento della filiale nella sua attuale posizione, con l’acquisto di un ampio terreno di proprietà delle Ferrovie disposto lungo Viale Piave 3 . Qui vennero costruiti due grandi capannoni ad uso magazzino su disegno degli ingegneri Enea Ronca4 e Angelo Fonte Basso. Il progetto fu approvato dalla Commissione Edilizia il 12 agosto 1938 e portato a compimento entro l’anno. Ai due capannoni, all’interno dei quali erano installate robuste scaffalature di larice alte fino a 4,50 metri disposte lungo le pareti, era inoltre affiancata una piccola palazzina ad uso uffici al piano terra e, al piano superiore, abitazione del magazziniere. Da evidenziare come negli interrati fosse stato costruito – come da prassi all’epoca – anche un rifugio antiaereo rivestito in cemento armato. La zona scelta per la nuova filiale, se da una parte la favoriva per la vicinanza con la ferrovia, dall’altra, proprio per la presenza della parco ferroviario, fu la causa della completa distruzione durante la Seconda
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Guerra Mondiale 5 . Solo la palazzina uffici rimase integra, nonostante diversi danni alla copertura. Terminato il conflitto, nel settembre del 1946, la Società a nome del direttore della filiale, sig. Grazio Bernacchi, presentò richiesta di ricostruzione sfruttando lo stesso progetto e, contestualmente, ampliando i capannoni verso sud di una ventina di metri. Sulla scia del rinato spirito economico, nei primi anni ’50, i capannoni vennero nuovamente ampliati fino a raggiungere l’estensione attuale e ne venne costruito un terzo andando ad occupare lo spazio libero a nord 6 . Pochi anni più tardi la filiale si ingrandì nuovamente con l’acquisto di una ulteriore porzione di terreno delle Ferrovie, nel quale venne costruito un quarto capannone. Con gli anni ’70 la filiale veronese si avviò verso la chiusura e l’immobile, dopo essere stato ceduto nel dicembre del 1980, iniziò ad essere parzialmente utilizzato con altre funzioni.
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11. La SAFEM distrutta a seguito dei bombardamenti, 1944 (collez. privata). 12. Logo della SAFEM tratto da materiale pubblicitario (collez. privata).
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STORIA & PROGETTO
13. Immagine pubblicitaria delle Officine Ugo Falconi (collez. privata). 14. Le Officine Falconi distrutte a seguito dei bombardamenti, 1944 (collez. privata). 15. Il prospetto principale delle Officine Falconi su viale Piave (foto MdM). 16. Progetto di ricostruzione delle Officine Falconi, prima versione, 1947 (Archivio Comune di Verona). 17. Dépliant pubblicitario delle Officine Falconi, anni ’30 del ‘900 (collez. privata) 13
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Le Officine meccaniche Ugo Falconi
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La nascita delle officine meccaniche Falconi si deve allo spirito imprenditoriale del Comm. Ugo Falconi. Questi, formatosi come meccanico presso il garage FIAT Benvenuti e Cortese di via Manin, nella metà degli anni ’20 del Novecento riuscì a mettersi in proprio e ad aprire un’officina prendendo in affitto alcuni locali in via San Salvatore Vecchio, nel centro storico di Verona. Qui vi rimase fino ai primi anni ’30 quando si trasferì nel moderno edificio industriale costruito da Attilio Rossi di fronte a Porta Palio, che precedentemente ospitava il Mobilificio Tonegutti7. Le officine Falconi si occupavano principalmente di lavorazioni meccaniche di precisione, in particolare rettifiche e lucidature di cilindri nonché riparazioni di motori a scoppio di ogni genere. La grande abilità e l’ingegno del fondatore permisero un rapido sviluppo della ditta che divenne una delle più rinomate nella città, annoverando tra i suoi clienti decine di importanti personaggi locali e non solo; tra gli habitué figuravano, infatti, anche Maserati, Officine Reggiane e, si narra, Enzo Ferrari.
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Il continuo crescere dell’attività permise di lasciare lo stabile in affitto a Porta Palio per trasferirsi in una nuova sede di proprietà e logisticamente più adeguata. Come era stato per la filiale della SAFEM pochi mesi prima, anche le Officine Falconi acquistarono un’ampia porzione di terreno lungo viale Piave 8 . Qui venne costruito il nuovo stabilimento meccanico realizzato con una tipologia edilizia molto simile alla citata SAFEM. Anche in questo caso, infatti, due capannoni binati di diverse dimensioni, trovavano conclusione in una palazzina ad uso uffici e residenza. Con la costruzione delle Officine si erano così edificati i due lembi laterali, nord e sud, di viale Piave, lasciando nella zona centrale l’accesso al parco ferroviario. Sfortunatamente, la Seconda Guerra Mondiale non risparmiò nemmeno le neonate officine che, a seguito dei bombardamenti, vennero quasi completamente rase al suolo; sopravvisse solo, oltre a qualche muro perimetrale, parte della campata di un capannone. Falconi non si perse d’animo e tra la fine del 1945 e l’inizio del 1946 aveva già ricostruito, fedelmente all’originale, i due capannoni andati distrutti. Per la palazzina uffici venne, invece, presentato un progetto di ricostruzione a nome degli ingegneri Pier Luigi Bonomi da Monte
e Carlo Delaini 9. Il progetto fu però respinto dalla Commissione Edilizia del Comune con la richiesta di una “maggiore unità architettonica all’ala sinistra del fabbricato eliminando la frammentarietà degli elementi costituenti l’ala stessa”. A risposta i due tecnici presentarono un nuovo progetto prevedendo l’intera regolarizzazione del fronte e il conseguente aumento di un piano. Nell’ottobre del 1947 il progetto fu approvato definitivamente. Con la scomparsa del fondatore, verso la fine degli anni ’60, all’attività meccanica principale venne affiancata anche quella legata alla vendita di pezzi di ricambio per automobili e camion. Le officine rimasero in attività fino agli anni ’80. Con la loro dismissione la parte nord dei fabbricati vennero ceduti ad un’altra proprietà che li riutilizzò come concessionaria, mentre la palazzina a uso uffici e appartamenti rimase parzialmente in disuso.
1 Il grande edificio venne costruito nel 1873 e demolito circa cento anni più tardi per lasciare posto alle scuole medie Catullo. 2 Il deposito venne costruito per mano della Società Anonima Cooperativa della Valpolicella tra proprietari e affittuari di Aziende Coltivatrici di Tabacco nella metà degli anni ’30. Alla fine degli anni ’60 qui si insediò l’attività dei casalinghi BAM. 3 L’atto d’acquisto è del 15 ottobre 1938. 4 Tra le varie cariche, Enea Ronca ricoprirà quella di direttore del Consorzio ZAI dal 1955-1973.
5 I maggiori danni furono provocati dal bombardamento del 28 gennaio 1944. 6 Entro il 1955 i nuovi ampliamenti risultavano già completati. 7 L’edificio venne costruito su progetto dell’ing. Cesare Benciolini nel 1922. 8 L’acquisto del terreno venne formalizzato il 9 novembre 1938. 9 Probabilmente sempre agli stessi progettisti si deve il progetto originale. Bonomi da Monte fu anche il primo presidente del Consorzio ZAI, dal 1950 al 1957. Sempre all’interno del Consorzio, Ugo Falconi ricoprì la carica di Consigliere negli stessi anni.
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SAGGIO
Fare scalo
Trasformazioni e progetti per l’ex-scalo ferroviario di Verona Porta Nuova
Testo: Angelo Bertolazzi e Michelangelo Savino*
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1.
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Il riuso delle numerose aree ferroviarie non più necessarie al sistema del trasporto su ferro locale e nazionale appare oggi come una delle numerose opportunità per la riorganizzazione della struttura urbana, per la realizzazione di attrezzature e servizi di cui si lamenta spesso la mancanza nelle nostre città “sotto-dotate”, ma anche per la costruzione di processi di progettazione della rigenerazione urbana che devono superare routines procedurali spesso obsolete, formule urbanistiche altrettanto datate e convenzionali ma poco adatte alla nuova domanda sociale, soluzioni architettoniche scontate e scarsamente innovative. Il recente dibattito milanese che ha accompagnato il Protocollo di intesa tra Comune di Milano e Ferrovie dello Stato e i successivi concorsi per alcune di queste aree è sembrato proprio questo: l’avvio di un corso diverso di riflessione politica e tecnica che con una prospettiva di medio-lungo periodo, con velleità di innovazione e sperimentazione, con ambizioni di un’elaborazione progettuale capace di andare oltre la banale attribuzione di destinazioni d’uso, di generose volumetrie, opere di urbanizzazione dovute. Quella discussione ha riproposto questioni spesso neglette nelle nostre città, circa la necessità di delineare scenari urbani di grande respiro; produrre un differente ordito per la grande tela metropolitana, organizzata strategicamente con una rete di mobilità rafforzata e agganciata a nuovi nodi urbani con alto potenziale di riqualificazione di tutta la trama della città. Ma all’interno di questo dibattito, emerge la rilevanza strategica che alcuni “luoghi” urbani assumono, e non solo per la loro posizione, quanto
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per le potenzialità di trasformazione e soprattutto per la possibilità di accogliere funzioni e d attrezzature “eccezionali” per la città. Infatti, intervenire in/su uno scalo ferroviario non si traduce nella realizzazione banale di nuovi corpi di fabbrica, di dislocare servizi ed attrezzature in modo di soddisfare lo standard, tanto meno nell’indicare destinazioni funzionali che soddisfino “il mercato”. Si tratta piuttosto di predisporre e proporre un nuovo modello di insediamento urbano – sia nelle funzioni che nelle forme – che può fungere da innesco per processi di rigenerazione anche degli ambiti limitrofi, un tempo tra le aree “non pregiate” della città ma oggi “serbatoi” di possibile innovazione, spunto per percorsi di rigenerazione che molte città italiane potrebbero intraprendere sulla scia delle numerose esperienze europee.
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01. Un preludio di parco grazie alla vegetazione spontanea. 02. Veduta aerea dell’area dello Scalo di Porta Nuova (2016). 03. Planimetria dei Magazzini Generali nella sua versione definitiva ma senza la centrale frigorifera specializzata; è visibile in alto a destra l’area dello scalo ferroviario di Verona Porta Nuova (1926).
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Fare Scalo
04. Planimetria del sistema degli scali ferroviari di Verona secondo le previsioni del P.R.G. elaborato da Plinio Marconi (1957). 05. Paesaggio ferrioviario attuale dello scalo merci. 04
Così è stato a Verona in passato, con la creazione di una nuova città che per funzioni e caratteri morfologici è stata costruita come un’“altra” città rispetto quella “storica” con la quale ha poi trovato “ un suo modo” per integrarsi economicamente e socialmente, meno fisicamente. 2.
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Nell’arco di circa ottant’anni, il cui inizio si può porre dopo la Grande Guerra, quando vennero aboliti gli ultimi vincoli militari che avevano bloccato l’espansione urbana per tutto il secolo precedente, prende forma e consistenza Verona Sud. In breve tempo la città si appropriò rapidamente di questi spazi per le sue nuove funzioni, d’alto canto la direttrice meridionale risultava la più idonea allo sviluppo, data la cortina collinare a nord e il corso dell’Adige ad est ed ovest. Rapidamente sorsero importanti strutture produttive, come i Magazzini Generali (1928), le Cartiere Verona (1930) e la Mani-
fattura Tabacchi (1932), grazie anche all’energia elettrica fornita dal canale Camuzzoni e alla presenza della ferrovia. La decisione di rendere Porta Nuova la stazione ferroviaria principale della città (al posto della stazione di Porta Vescovo) indica definitivamente la direttrice sud per l’espansione economica e fisica della città lungo questa, sancita anche dal concorso per il primo PRG della città (1931-1933). Al posto del primo ippodromo della città, si estende lo scalo ferroviario, ce favorisce il traffico merci nazionale ed internazionale, sfruttando così la posizione strategica di Verona, nodo dei collegamenti peninsulari nord-sud (attraverso la ferrovia Bologna-Brennero) ed est-ovest (la ferrovia TorinoVenezia) e stimolando la costruzione dei Magazzini Generali, favorendo il trasferimento dal centro città della Fiera Internazionale dell’Agricoltura, poi il Mercato Ortofrutticolo di Verona: nel corso degli anni ’50 e ’60, alle spalle dello scalo si consolida la città industriale ormai cristallizzata in questa esclusiva funzione
anche dalla costituzione nel 1949 del consorzio ZAI (Zona Agricolo-Industriale, ex D.L. 579/1948) e polarizzata intorno allo scalo ferroviario che cresce e si espande e poi proiettata verso l’autostrada Venezia-Milano. Lo sviluppo di questa struttura urbana così formatasi viene confermata ed “accompagnata” da tutti gli strumenti urbanistici successivamente approvati, a partire del P.R.G. elaborato da Plinio Marconi (1957). Solo alcuni quartieri residenziali, di quali solo Borgo Roma sembra avere consistenza e una morfologia urbana riconoscibile contengono questo polo produttivo-logistico. 3.
Ma questa organizzazione così nettamente dicotomica ha breve vita e già nel corso degli anni ’70 ed ’80, a fronte di una crescente congestione e un’insufficiente dotazione infrastrutturale ormai evidente, assiste alle prime delocalizzazioni e dismissioni, con un conseguente progressi-
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vo degrado della qualità urbana. La creazione del nodo intermodale del Quadrante Europa mostra un diverso modello di organizzazione urbana che va affermandosi e che spinge oltre ai lacci ferroviari e dissemina nel territorio le funzioni tradizionalmente concentrate in città. La successioni di varianti urbanistiche (“variante Gabrielli”, PRUSST su Magazzini Generali e mercato Ortofrutticolo; variante per Verona Sud) per l’area indicano chiaramente l’esistenza di un problema di non facile soluzione, che va dalla riqualificazione di un amplissimo settore urbano fortemente degradato, concentrazione di polarità di eccellenza e servizi esclusivi, estesi ambiti di dismissione e abbandono, assi di comunicazione vitali per la città, inadeguatezza infrastrutturale e sottodotazione di servizi, con isole residenziali, soffocate da attività ed edifici incongrui. In questo quadro urbano fatto di aree pulsanti e dinamiche e sacche di degrado, si aggiunge anche lo scalo ferroviario che, per quanto la sua dismissione sia incominciata solo nel
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coso degli anni ’90, tende ad essere sottoutilizzato e progressivamente abbandonato dalle funzioni più operative. Non è quindi un caso che nella “variante Gabrielli” assuma forma e consistenza progettuale l’ipotesi di una sua radicale trasformazione in area verde, in un grande parco che compensi l’assoluta carenza di verde
« ...la creazione di nuove connessioni trasversali tra parti di città rigidamente disgiunte; la rivalutazione dei buffer urbani e la loro restituzione ad una funzione urbana... » pubblico dei quartieri meridionali e possa costituire un’efficace connessione tra la città storica ed il settore sud che la dismissione rende sempre meno monofunzionale ed aperto a destinazioni d’uso miste. Il parco veniva inteso come «una grande pausa verde capace di accogliere un grande sistema circolatorio
di smistamento del traffico nelle diverse direzioni e un’edificazione di bassa densità». Il collegamento veniva risolto con un’unica grande rotatoria ovale (200 x 130 metri) posta sul lato orientale e progettata per diventare la nuova porta della città, riprendendo su scala maggiore la configurazione planimetrica di Porta Nuova. La consulenza per gli aspetti paesaggistici di Andreas Kipar (che reinterpretava i vecchi tracciati ferroviari, trasformandoli in linee guida per il disegno del nuovo parco: i binari diventavano i limiti discreti di aree a bosco, intervallate da “isole” a prato per ospitare i padiglioni durante le esposizioni) indica un progetto di parco complesso e articolato, che fa del parco stesso il nodo di una diversa struttura urbana che tenta anche un bilanciamento tra il massiccio “cuore storico” e il sempre più “poroso” ambito meridionale. Nonostante le successive modifiche apportate alla Variante dopo il 2007, la destinazione a parco urbano dell’ex-scalo ferroviario viene mantenuta nelle successive strategie urbanistiche, nel tentativo di spingere RFI a
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06. Esemplificazione progettuale del parco sull’area dello scalo ferroviario di Verona Porta Nuova, prevista dalla variante n. 282/2006 al Piano Regolatore Generale di Verona (2006). 07. Particolare della rotatoria ovale prevista dalla variante n. 282/2006 a collegamento dell’areale ferroviario.
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Fare Scalo
08-10. Planimetria e vedute della proposta progettuale del Parco allo Scalo avanzata dal Comitato di Verona Sud (2016). 08
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rendere definitivo il trasferimento del traffico merci al Quadrante Europa e di liberare così definitivamente l’area di Porta Nuova. La suggestione progettuale polarizza il dibattito politico, incoraggia anche la mobilitazione degli abitanti di Verona Sud e si consolida nell’opinione pubblica veronese, tra contrapposte mozioni per una combinazione strategica tra aree verdi e aree edificabili, cercando una conversione dello scalo unicamente in parco come propone il progetto “Parco allo Scalo” realizzato dall’arch. Francesco Laserpe, con la consulenza paesaggistica di Alberto Ballestriero (Veronapolis). Quest’ultimo è stato fatto proprio dall’attuale Amministrazione Comunale, che ha proposto ad RFI la cessione dell’intera area al Comune quale compensazione degli impatti urbani determinati dal passaggio in città dell’Alta Velocità. Le due ipotesi progettuali, pur con delle significative differenze, indicano comunque l’opportunità che lo scalo si trasformi in un elemento di saldatura delle due parti di Verona, la “città storica” a nord e la “città del Moderno” a sud, che le infrastrutture e le ragioni dello sviluppo industriale hanno separato. L’arrivo dell’Alta Velocità e di con-
seguenza l’individuazione di tutte le opere necessarie, comprese quelle “compensative”, creano le nuove condizioni per un confronto tra Amministrazione Comunale e Ferrovie dello Stato per sciogliere il nodo della proprietà e rendere attuabili le richieste degli abitanti di Verona Sud.
4.
Altre “nuove condizioni” nel frattempo si sono imposte per imporre un diverso scenario di trasformazione all’interno del quale lo scalo ferroviario gioca un ruolo determinante. Il potenziamento del polo fieristico, che continua a chiedere nuovi spazi e la cui eccellenza impone la creazione di non pochi servizi e attrezzature (congressistiche, direzionali, commerciali, ricettive, ristorative) complementari; la riqualificazione di alcuni grandi ambiti produttivi dismessi e la crescente disponibilità di aree industriali inutilizzate ad accogliere altre funzioni; il potenziamento del sistema della mobilità e del trasporto pubblico, la futura realizzazione di un fronte sud della nuova stazione dell’Alta Velocità e la necessità di dotarla di un hub di trasporto pubbli-
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co e privato, cambiano radicalmente il ruolo che lo scalo ferroviario sembra poter svolgere per i futuri assetti della città. Innanzitutto perché diventa sostanzialmente “cerniera” di un sistema complesso di riconversione di più aree urbane in trasformazione, che potrebbero trovare nello scalo un nuovo “centro” di riferimento capace di ri-orientare le direttrici di traffico come i tracciati delle connessioni ciclopedonali alla scala urbana e metropolitana e alterare la rigida maglia esistente. Ma non solo, potrebbe accogliere funzioni importanti, strutture di eccellenza, servizi e attività rilevanti in grado di riequilibrare e mitigare l’esclusività del centro storico imponendo una rimodulazione delle relazioni fra i diversi ambiti urbani; essere di innesco per la rigenerazione degli ambiti prossimi ai suoi confini, ma non attraverso un banale embellissement delle cortine edilizie che lo fronteggiano ma coinvolgendo con forza nella trasformazione tutti i lembi del tessuto urbano prospiciente, individuando specifiche morfologie di “dialogo” e di ricongiunzione tra il nuovo insediamento e il tessuto già esistente, senza lasciare questi buffer urbani alle dinamiche spontanee della città, alla riqualificazione urbana prodotta solo dalla valorizzazione immobiliare. La creazione di nuove connessioni trasversali tra parti di città rigidamente disgiunte; la rivalutazione dei buffer urbani e la loro restituzione ad una funzione urbana; l’attenta sutura architettonica tra margini scomposti o tra settori urbani a cavallo della linea ferroviaria e delle sue piattaforme che potrebbero essere divenuti entrambi marginali e degradati nella struttura contemporanea della città;
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11-12. L’affaccio dell’attuale scalo merci verso stradone Santa Lucia: veduta generale e particolare di una delle architetture di servizio a margine.
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l’eventuale attenuazione della presenza del tracciato ferroviario (qualora questo permanesse) per non rappresentare più elemento di cesura: sono queste le soluzioni ben più complesse da approntare per il riuso degli scali ferroviari e della loro restituzione ad una dimensione urbana. E tra le priorità assume indubbiamente rilevanza la necessità di elaborare un progetto condiviso” da parte dell’Amministrazione e della cittadinanza, non tanto su destinazioni funzionali e disegno urbano, quanto sul più corretto equilibrio tra la “città dei tempi lunghi” e la “città dei tempi brevi”.
Le difficoltà del dibattito politico; le incertezze del mercato immobiliare; la complessità delle interazioni tra i diversi attori che partecipano al processo di rigenerazione urbana, tra accordo e conflitto, tra collaborazione e scontro; la debolezza del piano urbanistico; la fragilità del progetto nella pressione degli interessi, rendono spesso velleitari questi presupposti, che vanno comunque perseguiti anche nella tempesta della quotidianità per definire uno scenario che assicuri qualità della trasformazione e il raggiungimento del migliore scenario possibile in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini.
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* Nel 2019 il Comune di Verona e il Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università di Padova hanno sottoscritto una convenzione per l’elaborazione progettuale di una proposta per il masterplan dello scalo ferroviario di Verona Porta Nuova, indicando come responsabili scientifici il prof Luigi Stendardo (ora Università di Napoli) e il prof. Michelangelo Savino. Collaborano all’elaborazione della proposta l’arch. Stefanos Antoniadis e l’arch. Enrico Redetti (assegnisti di ricerca) e l’ing. Angelo Bertolazzi (ricercatore).
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Quel pasticciaccio dei Magazzini
Il ventennale processo di smantellamento del progetto che avrebbe dovuto dare il via al rinnovamento urbano di Verona Sud Testo: Federica Guerra
Foto: Lorenzo Linthout
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C’era una volta il Polo Culturale
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Una terra di nessuno, una distesa di erbacce incolte da cui spiccano le sagome di fabbricati scintillanti, densi di vita ma muti nella loro espressione urbana, nonostante il brulicare di persone che vanno e vengono, aggirandosi forse spaesate in questa sorta di distopia. È ancora per buona parte un grande cantiere, di fatto, il recinto degli ex Magazzini Generali, e attraversarlo suscita una sorta di sindrome di Stendhal al contrario: non la grandezza della bellezza ci stordisce, ma la sua totale assenza. Ma cos’è, in realtà, che suscita grande perplessità negli esiti che si stanno ormai prefigurando per l’intero comparto? Il primo motivo è la sensazione che una gloriosa stagione progettuale, che vide il nodo di Verona sud e dei Magazzini Generali al centro di un dibattito internazionale1 sul finire degli anni ’90 e i primi anni 2000, sia stata irrimediabilmente sprecata. Il nocciolo centrale di quel dibattito, cui anche «ArchitettiVerona» partecipò attivamente2 , era che la città pubblica potesse in qualche modo dettare le regole della città privata, che attraverso il grande progetto unitario di una parte di città si potesse modificare il destino di tutta la zona sud di Verona: l’occasione era data dalla grande disponibilità di aree dismesse, entrate in proprietà comunale nel 1987, che interessavano un comparto vasto come un quinto di tutto il centro storico della città, e che avevano con questo un legame fisico (disponendosi lungo l’asse di accesso al centro) ma anche un profondo legame di senso, perché se il centro storico aveva fatto da generatore alle espansioni della città del ‘900, allora questo grande intervento pote-
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va diventare promotore di una nuova centralità. Il “Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio” e il successivo Piano Particolareggiato3 predisposto per la sua attuazione, prevedevano due macro ambiti di intervento, rispettivamente per gli Ex Magazzini Generali e per l’Ex Mercato Ortofrutticolo. Per il primo è evidente come l’obbiettivo fosse proprio quello cui accennavamo poco sopra: la realizzazione di una parte di città non tanto gestita direttamente dalla “mano pubblica” (eventualità difficile da realizzare con il modesto finanziamento del
« Dall’approvazione del PRUSST sono trascorsi circa vent’anni nel corso dei quali sono sfumate via via le aspettative nutrite sul più importante intervento urbano a Verona»
01. La Rotonda: veduta esterna del cantiere, primavera 2020. 02. Particolare dell’interno della Rotonda in un’immagine d’archivio. 03. Schema funzionale per gli ex Magazzini Generali tratto da uno studio LSE (anni 2000). 04. Piano Particolareggiato ex Magazzini Generali ed ex Mercato Ortofrutticolo (2005). 02
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05-06. Ipotesi progettuali per il recupero urbano degli ex Magazzini Generali: soluzione conservativa e progetto di rinnovo urbano (Massimo Carmassi, 2005). 07. Gli edifici 23-24, ora sede Unicredit, all’incrocio tra i viali del Lavoro e dell’Agricoltura. 08. Il fronte degli edifici 25-26 su viale dell’Agricoltura.
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Quel pasticciaccio dei Magazzini
PRUSST, ma non impossibile viste le realizzazioni in altre parti d’Europa), ma quanto meno finalizzato a un interesse pubblico, con la destinazione dei Magazzini a Polo Culturale. In questo nodo teorico ci sembra risiedere la determinante per comprendere meglio il fallimento del progetto: la città dei recinti industriali ormai dismessi aveva bisogno di rientrare nel circuito urbano per il quale serviva una nuova centralità, e l’insediamento di funzioni pubbliche poteva assolvere questo compito. Ma questo assunto originario è andato via via dissolvendosi nelle fasi della sua realizzazione e per questo sembra interessante capire come ciò sia potuto accadere, quali siano stati i protagonisti in campo e cosa non abbia funzionato nel meccanismo della rigenerazione urbana.
Pubblico, semipubblico: privato
Nel lasso di tempo che va dal 31 dicembre 2003, data in cui il Comune di Verona cede l’area dei Magazzini a Fondazione Cariverona con l’obiettivo di realizzare il famoso Polo Culturale, al 2015, allorquando la proprietà viene trasferita al gestore di fondi immobiliari Torre SGR, si consuma il fallimento di quegli obiettivi. Cos’è cambiato in quei dodici anni tanto da far cambiare completamente la prospettiva dell’operazione? È cambiato quasi tutto, ma è cambiato soprattutto il ruolo delle fondazioni bancarie, non solo di quella veronese, all’interno della società e dei territori di riferimento4. Nati dalla privatizzazione delle Casse di Risparmio con scopi di utilità sociale e promozione di sviluppo economico attraverso solidi patrimoni finanziari, questi istituti hanno subito con la crisi degli anni 2000 un ridimensionamento dei loro obiettivi che – sintetizzando e semplificando un processo tortuoso e ancora incompleto – si è risolto in interventi assai più limitati numericamente e mirati a realizzare proventi da reinvestire in altri interventi; non più o non solo quindi erogazioni a fondo perduto alla collettività territoriale in una visione filantropica, ma operazioni di marketing immobiliare destinate a produrre reddito. Per questo motivo entra in scena, sul teatro dei Magazzini, Torre SGR e poi successivamente anche l’Immobiliare Patrizia, agenzia multinazionale di Real Estate esperta in gestioni immobiliari. È evidente come, a fronte di questi nuovi obiettivi, la realizzazione del Polo Culturale abbia subito un forte ridimensionamento, vedendo avviarsi la lunga e penosa trattativa durata
anni per sottrarre, pezzetto per pezzetto, al progetto iniziale le destinazioni pubbliche a favore di quelle private, più redditizie: si comincia con l’autorizzazione per il cambio d’uso dell’edificio della Rotonda che da Auditorium passa a Commerciale e Terziario, per poi passare agli edifici 16 e 17 (da Direzionale pubblico a Direzionale privato) per finire con gli edifici 25 e 26 che subiscono il medesimo destino5. Non una grande revisione del progetto, con almeno la dignità di una nuova visione complessiva, ma un sottile lavorio di piccole modifiche, di stralci, di ritocchi che, letti nel loro complesso, trasformano la natura complessiva dell’intervento. Nel mentre, oltre all’accumulo di studi e progetti vari, si sono bruciate tutte le idee e ipotesi di usi propriamente culturali, dalle accademie ai musei, in un florilegio di annunci in seguito puntualmente smentiti dai fatti . È così che, con un’idea complessiva dei futuri Magazzini ancora debole e soggetta a repentini cambi di scenario, è iniziato il recupero architettonico per parti, a partire dal Magazzino 1 nel 2014, destinato prevalentemen-
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Stato6,
te all’Archivio di seguito nel 2016 dalla testata nord del complesso con le sedi degli Ordini professionali7. Ma a partire dal 2015 con l’affidamento del progetto a un personaggio di spicco come Mario Botta, gli interventi virano tutti all’uso privatistico degli spazi, con l’insediamento degli uffici centrali di Unicredit nel 2016 negli edifici 23 e 24, seguito tra fine 2019 e prima metà del 2000 dall’arrico della finanziaria DoValue e della sede direzionale GSK Italia negli ex magazzini 25 e 26; mentre restano ancora incerti gli utilizzatori finali a cui verrà destinata la Rotonda, persa ormai la sua destinazione ad auditorium come previsto nell’ormai superato, di fatto, Piano Particolareggiato. Un profondo cambio di paradigma, quindi.
a proposito di Restauro
È evidente che chi rilevò i Magazzini Generali, in tempi oramai lontani, si sia poi trovato con un quadro di riferimento via via più complesso, per il contraltare di scelte amministra-
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tive incerte, visioni contrastanti sul futuro della città, opere e omissioni degli enti di controllo. Particolare perplessità suscita il ruolo avuto dalla Soprintendenza nella gestione di un vincolo che, dalla sua applicazione pervasiva, ha mutato di segno tra cambi di destinazione d’uso disinvolti e altrettanto sorprendenti demolizioni e ricomposizioni volumetriche. Da un lato, forse non era così scontato che tutti gli edifici dell’area fossero da sottoporre a tutela: se già il Decreto di vincolo del 19998 aveva introdotto un criterio di selezione, consentendo la demolizione di otto fabbricati su diciassette, pochi anni più tardi una proposta progettuale di un autorevole figura come quella dell’architetto Massimo Carmassi9 poneva ulteriori distinguo circa l’effettivo valore architettonico di buona parte degli edifici compresi all’interno del recinto, arrivando nella versione più estrema a mantenere solo l’edificio della Roton-
1 Il Progetto Preliminare alla Variante Generale al PRG (o Piano di Salvaguardia) fu presentato alla 1a Rassegna di Urbanistica Europea e alla 4a Rassegna di Urbanistica Nazionale, promosse dall’INU nel 1997. Richiamò attenzione internazionale il Concorso di idee sulle aree di Verona sud Subversive Insertion, del 1999, organizzato da Vincenzo Pavan in collaborazione con USA Institute Italy. Il PRUSST di Verona venne pubblicato su «Urbanistica Informazioni»” n. 170/2000 e negli Atti del Simposio internazionale Globalisation policy of local government tenuto al Center for Architecture and Urban Design di Seoul nel 2006. 2 «AV» si è interessata con continuità dello sviluppo di Verona sud a partire da un numero monografico, il 79 del 2007, e in seguito con una rubrica intitolata Finestra su Verona sud. 3 Il PRUSST per Verona Sud, ammesso nel 2000 a finanziamento statale, porta la firma del prof. Franco Mancuso – che ne ha ripercorso le vicende in Ritorno a Verona Sud, in «AV» 107, pp. 76-83 –, il quale sollecitò l’amministrazione a partecipare al bando. Mancuso era in quegli anni consulente per il Progetto Preliminare della Variante al PRG, che fu poi fatta scadere per decorrenza dei termini. Il PRUSST necessitava di un successivo livello di pianificazione, il Piano
Particolareggiato, adottato nel 2002 a firma degli ingegneri Giovanni Crocioni e Celestino Porrino. La Variante urbanistica che lo recepì, la cosiddetta “Variante Gabrielli” dal nome del suo autore, fu approvata nel 2007. 4 Cfr. A. Greco e U. Tombari, Fondazioni 3.0, da banchieri a motori di nuovo sviluppo, Bompiani Overlook, 2020. 5 I tre cambi d’uso fanno riferimento rispettivamente alle Delibere di Consiglio Comunale n.5750 del 23/6/2015, n.10339 del 22/11/2017 e n.10342 del 22/11/2017. 6 Nell’edificio, il cui progetto di riconversione è firmato dallo Studio Mattioli Associati, hanno preso posto nel tempo l’Ordine degli Ingegneri, ANCE, il MusALab – Museo Archivio Laboratorio Franca Rame Dario Fo e CMV – Children’s Museum Verona. Cfr. A. Vignolo, La riconversione del Magazzino del Grano: cum grano salis? in «AV» 99, 2014, pp. 72-75. 7 Il progetto è firmato dal gruppo M28 guidato da Antonio Ravalli. Cfr. C. Tenca, Verso un nuovo Ordine, in «AV» 105, 2016, pp. 42-49. 8 Decreto Ministero per i Beni e le Attività Culturali – PG 36713 del 08/05/1999. 9 Si tratta di un progetto preliminare elaborato per conto di Italiana Costruzioni nel 2005 da Massimo e Gabriella Carmassi con Christopher Evans.
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SAGGIO
Quel pasticciaccio dei Magazzini
09-10. L’infilata tra i corpi di fabbrica paralleli degli ex magazzini: prima e dopo il restauro. 09
da e la testata nord e procedendo ad un grande intervento di sostituzione edilizia. Di fatto, però, l’apposizione di un vincolo dovrebbe sancire un valore condiviso, e un edificio che vi sia soggetto deve essere restaurato. Ancora una volta, la questione che emerge è: si tutela la materialità di un’opera o la sua immagine? Di sicuro la materialità se n’è andata, ai Magazzini: sarà stata la scarsa consistenza edilizia dei fabbricati, sarà stata l’antisismica, certo è che li abbiamo visti tirar giù quasi completamente, tranne superstiti frammenti di facciata, ricostruendo poi corpi edilizi totalmente rimaneggiati, con forometrie reinventate secondo i calligrafici pattern del progettista. L’edificio più prezioso, la Rotonda, appare ora integro e luccicante nel suo aspetto esterno, ma è stato svuotato, scarnificato e privato di quelle “interiora” che ne facevano corpo vivo. Sono queste le “condizioni di prospettiva, luce, cornice ambientale e decoro” che il decreto di vincolo sanciva? Probabilmente si, visto che si tratta di lavori legittimati da tutte le
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autorizzazioni dovute: ma che fine ha fatto l’archeologia industriale, confinata in bei repertori fotografici e poco più?
il grande assente
Tutto questo passerebbe in secondo piano se il risultato fosse armonicamente inserito in uno spazio urbano, nell’accezione di spazio condiviso a servizio della città. Invece, per ora, il vecchio muro di cinta fatiscente continua a tenere chiusa l’area alla città, deprivandone le potenzialità: così come in un condominio lo spazio aperto è l’ultimo a essere realizzato perché considerato di risulta, così le grandi superfici liberate, prospicienti gli edifici in via di ultimazione, risultano dei ritagli marginali al progetto edilizio, e soprattutto a servizio non della città ma degli edifici “privati” che vi prospettano. Lo spazio aperto non è permeabile ai flussi urbani se non marginalmente, e svolge un ruolo diametralmente opposto,
mantenendo la storica cesura tra i due quartieri di Borgo Roma e GolosineSanta Lucia. Ma ci sembra importante sottolineare un’ulteriore perplessità, che non ha a che vedere né con i protagonisti né con gli esiti edilizi, ed è riferibile piuttosto al contesto culturale della città. Forse il Polo Culturale avrebbe potuto nascere se la città fosse stata in grado di generare stimoli, proposte, di sollecitare visioni di progresso, di interpretare le sfide del futuro, di concepire insomma una reale proposta culturale. Verona e il suo tessuto sociale non sono state in grado di farlo, diversamente da altre realtà, basti citare le OGR a Torino o il MAST a Bologna10. E questo porta a considerare l’intera operazione un’occasione mancata per tutta la città e non solo per Verona sud, che avrebbe potuto veder cambiare le sorti proprie e degli investitori che non hanno avuto la lungimiranza di comprendere come la rivalutazione “culturale” degli spazi avrebbe profondamente cambiato il valore, anche economico, di quella parte di città.
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Quel pasticciaccio dei Magazzini l’altro polo
11. Il pattern di tagli verticali funzionali ad illuminare i nuovi spazi ad uffici. 12. Planimetria generale della sistemazione esterna e parcheggi nell’area degli ex Magazzini Generali, variante 2018 (progetto architettonico: Mario Botta Architetti, SM Ingegneria). 13. Schema di massima relativo al progetto Looper per l’ampliamento del parco di Santa Teresa. 14. Il parco di Santa Teresa e, sul fondo, l’unico lotto residenziale costruito dei quattro previsto dal PRUSST.
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Anche nel caso dell’ex Mercato Ortofrutticolo, gli esiti ad oggi riscontrabili paiono incerti e ambigui. Lo schema del Piano Particolareggiato faceva corrispondere al Polo Culturale il Polo Finanziario – una cittadella terziaria direzionale – affiancato dall’ambito ricreativo del Parco Urbano e da quattro marco isolati residenziali, entro un disegno unitario dove l’elemento di connessione era costituito dal parco. Nella realtà i due comparti hanno avuto vita autonoma, tanto che alla soppressione del Polo Finanziario11 non ha corrisposto una revisione complessiva del progetto che ne confermasse il carattere unitario . Al posto degli edifici finanziari è iniziata la grottesca vicenda della re-
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alizzazione di un grande parcheggio a raso per oltre 2000 posti auto, una buona metà del quale ha fatto spazio nel volgere di pochi anni all’insediamento di un grande supermercato12 . Nel contempo le Gallerie Mercatali, passate nel 2015 di proprietà alla Fiera, sono in corso di recupero, ma il loro utilizzo resta funzionale alle logiche delle manifestazioni fieristiche e in quanto tali, rimangono rigidamente chiuse nel proprio recinto. L’unico elemento a essere stato completato nel 2016 è il Parco, un importante polmone verde che il quartiere di Borgo Roma ha atteso per anni e che oggi è molto apprezzato e utilizzato dai cittadini. Eppure, a ben guardare, quel grande prato appare come un’isola, non relazionata con l’intorno, perché l’intorno che era stato prefigurato è venuto meno: non solo il mancato quartiere finanziario ma anche il completamento residenziale, con la realizzazione di uno solo
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dei quattro isolati previsti, pensati anche a consolidamento e ricomposizione delle frange urbane dell’edificato storico di Borgo Roma. Venuta meno la procedura del Concorso internazionale di idee per la sua progettazione, indetto e immediatamente sospeso nel 2007, l’idea del Parco Urbano è miseramente deragliata verso quella di giardinetto di quartiere, pur di grandi dimensioni e molto utilizzato. Né basterà il suo prospettato ampliamento sugli isolati inedificati, così come ora ipotizzato nel progetto Looper per la realizzazione di un Bosco Urbano12 , a ricucire il sistema: infrastrutturale del tempo libero, per esempio con connessioni al futuro parco urbano dello scalo ferroviario. Così come non sembra cercare relazioni, compiaciuto del proprio disegno auto referenziale , il parterre disegnato da Botta per il grande vuoto dei Magazzini, una trama geometrica a losanghe estesa a copertura della grande autorimessa interrata di prossima realizzazione, che pare indifferente alla volontà di costruire luoghi di vita urbana all’aperto.
Molto rumore per nulla?
Dall’approvazione del PRUSST negli anni 2000 ad oggi sono trascorsi ormai circa vent’anni, nei quali sono sfumate via via tutte le premesse e le aspettative che si erano nutrite intorno agli esiti del più importante intervento urbano a Verona nel nuovo millennio. Tanto rumore per nulla, quindi? Riponiamo speranza in alcune questioni ancora aperte. Innanzitutto ci sembra corretto sospendere il giudizio fino al completamento del cantiere, riservando il be-
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neficio del dubbio agli esiti definitivi. Inoltre il progetto in via avanzata di definizione per la Manifattura Tabacchi potrà far sentire il suo influsso, favorendo la sinergia tra i due importanti ex recinti industriali, a partire proprio dalla demolizione del muro della Manifattura (è troppo sperare in un simile ravvedimento anche per i Magazzini?). Un’altra questione decisiva riguarderà gli esiti dell’intervento sulla Rotonda, perché l’insediamento di Eataly – sbandierato per anni come certo – potrebbe non essere più così definitivo. È evidente che gli usi dell’edificio simbolicamente più rappresentativo dell’area condizioneranno fortemente l’insieme, e quando sarà possibile accedervi si capirà cosa resta della magia di quello spazio. Da ultimo potrà avere un ruolo importante l’imminente realizzazione della filovia, il cui tracciato corre tra il Parco, l’area dei parcheggi e le Gallerie mercatali: anch’essa potrebbe avere un ruolo di auspicabile riconnessione degli interventi su Viale del Lavoro con i Magazzini, dei Magazzini col Parco Urbano e, in definitiva, di tutta la parte col resto della città.
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10 Le Officine Grandi Riparazioni, strutture ferroviarie in disuso, sono state convertite a centro culturale e a incubatore di idee, start up, industrie creative e smart data, per mano della fondazione bancaria torinese (www.ogrtorino.it); a Bologna un’azienda privata ha fondato il MAST, istituzione culturale incentrata su tecnologia, arte e innovazione (www. mast.org); e così molti altri casi in Italia e all’estero. 11 Nel 2005 l’area era stata ceduta dal Comune alla Fondazione Cariverona che, successivamente, attraverso la Polo Finanziario s.p.a. l’aveva condivisa con il Banco Popolare di Verona e la Società Cattolica Assicurazioni. Nel 2010 il Comune riacquista la maggioranza (l’85%) della società Polo Finanziario grazie alla permuta con Palazzo Forti.
La residua parte (il 15% circa) diventa di proprietà dell’Ente Fiera, che ne gestisce il patrimonio attraverso una nuova società denominata Polo Fieristico s.p.a. Sulle proposte architettoniche per il Polo finanziario cfr. A. Vignolo, Quel che resta del Polo, in «83» 105, 2009, pp. 94-105. 12 Cfr. M. Pivetta, Alla fine della fiera, in «AV» 112, 2018, pp. 86-89. 13 Il progetto europeo Looper- Learning Loops in the Public Realm, cui Verona ha aderito assieme a Bruxelles e Manchester, mira ad affrontare le problematiche legate all’inquinamento atmosferico attraverso un percorso partecipato. Per l’estensione del parco si ipotizza di trasferire in altre aree da identificare i crediti edilizi dei due isolati di proprietà del comune e della metà di quello di proprietà ATER.
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PROGETTO
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Gli spazi di lavoro all’interno della nuova sede di Unicredit ai Magazzini Generali propongono un modello organizzativo e spaziale innovativo grazie al design dello studio De Lucchi
Progetto: AMDL CIRCLE e Michele De Lucchi Testo: Camilla Furlan Foto: Mario Carrieri
Verona
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Nel progetto di riqualificazione della zona industriale degli ex Magazzini Generali di Verona ha trovato la sua collocazione il cuore direzionale di Unicredit, trasferitosi dalla città antica negli edifici 23 e 24 del grande comparto, progettati da Mario Botta ricomponendo i vecchi fabbricati sul fronte meridionale dell’area. Il progetto, che unisce l’architettura ad un nuovo concetto di smart working, ha previsto la riqualificazione di due corpi di fabbrica sviluppati su tre livelli ciascuno e connessi da uno spazio centrale vetrato a tutta altezza concepito come luogo di comunicazione, condivisione ed incontro, completamente illuminato attraverso una copertura a shed. L’ingresso principale, inteso come una Galleria posta in continuazione con lo spazio pubblico, funge da collegamento tra i due edifici, ma allo stesso tempo è stato pensato per accoglie l’uten- laio, composto da un sistema a tutta altezza, è te, il lavoratore e la collettività in occasioni di dotato di numerosi fori che permettono l’instalesposizioni ed eventi. Accessibile dallo spazio lazione di diversi elementi tra scaffali, schermi, aperto antistante e da Viale dell’Agricoltura, la pannelli acustici e bracci tecnologici: in questo Galleria rappresenta un elemento architettoni- modo la postazione risulta sempre libera e flesco suggestivo e permette il sibile. « Il layout degli interni collegamento tra i due edifiLe possibili soluzioni per ci anche al piano primo mele postazioni di lavoro, medefinisce una serie diante alcune passerelle. diante l’impiego dell’apdiversificata di ambienti posito telaio, sono quattro: Il layout interno degli spazi e postazioni, sulla base di lavoro dell’istituto banhomebase per il lavoro indicario è stato invece affidato viduale organizzata in tadi un nuovo concetto allo studio De Lucchi, che voli con divisori in vetro di smart working come ha improntato il progetto per creare fino a sei postametodo di lavoro sul concetto di smart worzioni; gli spazi denominaper la banca » king, ora pensato per garanti focus area che si adattano tire al meglio l’efficienza, la ad esigenze di isolamento e flessibilità e l’adattabilità delle diverse esigenze concentrazione attraverso l’impiego di finiture di ogni singolo lavoratore. assorbenti ed insonorizzate, solitamente utilizIl progetto, infatti, supera il concetto di uffi- zate da chi necessita di lavorare nel silenzio; gli cio singolo ma anche quello di open space: nel- spazi di co-working sono postazioni per il lavoro le diverse postazioni di lavoro i 900 dipendenti di gruppo: ogni tavolo dispone di cinque postanon hanno una scrivania assegnata, ma possono zioni con tecnologia integrata che permette di ogni giorno scegliere di utilizzare una delle cir- condividere gli strumenti informatici utilizzati ca 800 postazioni che meglio si adatta alle loro e di lavorare contemporaneamente a documenti esigenze. Attraverso l’impiego di una struttura comuni; infine gli office&meet sono uffici singoli a telaio in acciaio, disegnata in collaborazione solitamente utilizzati dai dirigenti ma, in loro con UniFor, è possibile allestire differenti po- assenza, vengono impiegati come sale riunioni: stazioni di lavoro modificabili nel tempo. Il te- questi spazi hanno a disposizione strumenti ne-
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01. Postazioni di lavoro nei livelli superiori dell’edificio 24. 02. Veduta dall’esterno della galleria di ingresso (foto di Lorenzo Linthout). 03. L’interno della Galleria.
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PROGETTO 04. Planimetria piano primo degli edifici 23 (in basso) e 24 (in alto). 05. Postazione homebase: pianta, prospetto, sezione e vista assonometrica.
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cessari per videochiamate con webcam e monitor di grandi dimensioni. Le Communication Area sono, invece, spazi idonei alla condivisione e sono dotati di sistemi tecnologici per permettere la connessione con i colleghi e clienti nella massima libertà. Alcuni di questi spazi sono liberamente fruibili senza necessità di prenotazione, altri, come le diverse meeting room, differenziate in base della capacità di ospitare da sei a dieci utenti, necessitano di prenotazione e sono anch’esse dotate degli strumenti necessari per video conferenze e piccole riunioni. Sono state inoltre studiate soluzioni come l’Agorà, uno spazio chiuso dotato di una lavagna digitale e di sedute informali adatto per attività di brainstorming e riunioni di condivisione di idee; le Flexi Room, salette di piccole dimensioni per incontri tra due o tre perso-
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Committente Unicredit Business Integrated Solutions Progetto architettonico AMDL CIRCLE e Michele De Lucchi team di progetto Nicholas Bewick (project director) Francesco Garofoli Vittorio Romano Giorgio Traverso imprese e fornitori Serpelloni (impresa costruttrice) Unifor (arredi su disegno) Regent (illuminazione) Intersthul (sedute operative) La Cividina (sedute aree informali) Arper (tavolini aree informali) Kvadrat (tessuti rivestimenti fonoassorbenti) Cesare Roversi (arredamenti agorĂ ) Cronologia Progetto: 2014-2015 Realizzazione: 2016 dati dimensionali Area interna lorda: 12.178 mq Postazioni di lavoro: 800
06. Lo spazio comunitario della chiostrina all’interno dell’edificio 23, con i bow-window al piano primo e secondo.
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07. Postazione coworking: pianta, prospetto, sezione e vista assonometrica. 08. Il telaio a partizione degli spazi progettato dallo studio De Lucchi in collaborazione con Unifor. 09. L’Agorà a servizio delle postazioni di lavoro nell’edificio 24.
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ne, dotate di tavolino e sedute per permettere brevi chiamate, web call o di lavorare in team e condividere documenti senza disturbare i colleghi in open space; inoltre, per le telefonate sono state realizzate le Phone Booth: stanze interamente insonorizzate per permettere chiamate o webcall nel massimo della privacy. A ogni piano sono presenti spazi di supporto con dotazioni quali stampanti, armadietti, archivi, caselle per la posta e guardaroba, e una cucina per le pause lavorative dotata dei servizi necessari. Gli arredi, disegnati appositamente per questa realtà e realizzati principalmente in legno di betulla, si adattano alle diverse richieste permettendo di creare spazi semiaperti o chiusi. Un grande spazio di condivisione è infine quello della chiostrina, situata all’interno dell’edificio 23, che assume il ruolo di elemento catalizzatore di relazione e condivisione, ed è allestita come un auditorium. La sua struttura, realizzata mediante una scalinata in legno rovere, è pensata come elemento mobile e smontabile che non impatta l’edificio. Lo spazio genera differenti opportunità di incon-
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10. Un’area co-working. 11. Postazione focus: pianta, prospetto, sezione e vista assonometrica.
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tro e condivisione, dal meeting aziendale, ai convegni ma anche incontri individuali tra colleghi o per accogliere i clienti. Inoltre, su di essa si affacciano alcuni bow window in legno di rovere che creano piccoli spazi informali e flessibili. Da questo spazio centrale si diramano i collegamenti con i vari piani della struttura dove è possibile apprezzare le diversificazioni delle aree di lavoro, intese talvolta come spazi individuali, talvolta come spazi di condivisione.
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PROGETTO
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Sull’asse tra la stazione di Porta Nuova e il quartiere fieristico si alternano potenzialità di trasformazione urbana ancora in divenire e interventi puntuali di piccola scala
Testi: Marzia Guastella, Laura Bonadiman, Giorgia Negri
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01. Veduta verso viale Piave dal portale che segna l’accesso alla ciclovia. 02. Fotoinserimento nel contesto del progetto per le ex Cartiere, (2010). 03. L’area dove sorgeva l’edificio dell’ex Ferrotel a ridosso della stazione ferroviaria di Porta Nuova.
Al giorno d’oggi, le città raccontano sempre più l’evoluzione della società contemporanea, ma la cultura del progetto urbano risente della rapidità con cui i bisogni cambiano. Al caos della vita quotidiana si contrappone il silenzioso processo di rinnovamento che prova, continuamente, a stare al passo coi tempi: come accade per l’area di Verona Sud, dove le numerose aree dismesse situate lungo l’asse principale di viale delle Nazioni, viale del Lavoro e viale Piave – che gli urbanisti amano chiamare cardo – , diventano testimonianza di una progettazione lenta e discontinua che fatica a trovare un legame con il contesto.
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« La pista-ciclo pedonale in prossimità della stazione di Verona Porta Nuova rappresenta il primo passo a favore di una mobilità lenta efficace » Emblematico è il caso delle Ex Cartiere (presentato in «AV» 85, 2010), che sembrava avesse raggiunto il punto di svolta con l’approvazione del Piano Urbanistico Attuativo nel 2008 ma che, dopo anni di stasi, risulta ancora incompiuto, mentre emergono ulteriori elementi di incongruenza con un contesto in rapida trasformazione rispetto al quale è lecito pensare servirà una profonda revisione de l progetto. Le recenti proposte mirano, infatti, a mantenere un certo equilibrio tra passato e presente per esaltare la contiguità con il centro storico, rendendo qualsiasi intervento connesso a questo asse strategico responsabile di quella visione d’insieme fulcro di una corretta pianificazione urbana.
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A partire da questa auspicabile visione, i progetti presentati di seguito cercano di comprendere e soddisfare le esigenze di una città con una forte impronta turistica e commerciale, senza trascurare l’aspetto della mobilità urbana che necessita di un adeguamento in grado di migliorare lo spazio pubblico e, allo stesso tempo, ridurre il problema degli spostamenti in automobile. (M.G.)
Ex Ferrotel
Il processo di r innova mento urbano che sta investendo l’area di Verona Sud, pone ulteriore importanza al rapporto tra la stazione di Porta Nuova e la Fiera, rafforzando l’asse nord-sud, nuovo potenziale elemento strategico per la città. La stazione di Porta Nuova, già oggetto di riqualificazione insieme a piazzale XXV Aprile (cfr. «AV» 86, 2010), vede nelle sue immediate vicinanze la presenza di un edificio, il co-
siddetto “Ferrotel”, destinato in passato a servizi di pernottamento per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato. Un tempo molto diffuse sul territorio, queste strutture hanno subito un drastico calo con la riorganizzazione del servizio ferroviario, l’edificio in questione è ad oggi inutilizzato. La sua posizione strategica ha richiamato l’interesse per un suo futuro riutilizzo, attraverso un progetto che prevede la costruzione di una struttura alberghiera a sostituzione dell’edificio esistente. Questa farà parte della
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PROGETTO
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04. Moxy Hotel Porta Nuova, progetto preliminare. 05. Moxy Hotel Porta Nuova, progetto variante definitiva. 06. Fotopiano con evidenziati in rosso il tracciato della ciclovia Stazione-viale Piave e la sagoma dell’ex Ferrotel.
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catena Moxy Hotels, già presente in molte città italiane ed europee, specializzata nella ricerca e riconversione di aree strategiche all’interno delle città, in prossimità di aeroporti, stazioni o quartieri espositivi. Progettato dall’architetto Paolo Richelli, l’edificio avrà accesso da piazzale XXV Aprile e si svilupperà per quattro piani fuori terra, per un totale di 100 camere. Al piano terra troviamo tutte le funzioni a servizio degli ospiti, quali spazi di ristorazione e zone relax che si affacciano con ampie vetrate sulla piazza antistante. Il Moxy Hotel rappresenta il punto di partenza di questa progressiva trasformazione che, partendo dalla zona della stazione, si sposterà verso l’area di Verona Sud, prevedendo l’inserimento di altre strutture ricettive nei progetti delle ex Officine Safem e dell’ex Manifattura Tabacchi. Il tutto porterà ad una nuova conformazione dell’area di Verona sud, privilegiando ed accentuando la potenzialità ricettiva della storica ZAI, così da contribuire alla vocazione turistica dell’intera città. (L.B.)
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Ciclovia StazioneViale Piave
La realizzazione della pistaciclo pedonale in prossimità della stazione di Verona Porta Nuova rappresenta il primo passo verso la definizione di una rete urbana a favore di una mobilità lenta efficace. Il progetto, completato nel 2017, occupa una superficie di 1.150 mq e permette un collegamento diretto sul lato sud-est della stazione dove verrà realizzato il nuovo scalo per il passaggio della linea ad Alta Velocità, speculare rispetto al fascio dei binari dell’attuale fabbricato viaggiatori. La possibilità di connettere il tessuto viabilistico esistente a supporto di un importante nodo della mobilità urbana ha contribuito alla rigenerazione di un tratto del contesto di retro parco ferroviario per lungo tempo poco utilizzato e, soprattutto, all’incremento del flusso di viaggiatori nella stazione ferroviaria in funzione di coloro che intendono partecipare alle manifestazioni fieristiche, accessibili oggi in modo rapido e semplice. Così,
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partendo dal binario 12, è possibile giungere in viale Piave percorrendo un tragitto lungo 230 metri, illuminato da 21 corpi a led e sorvegliato, che si conclude con un elegante varco anticipato da un cancello automatizzato. Il disegno si configura come un doppio tracciato in asfalto colorato dove il percorso pedonale, con larghezza pari a 1,5 metri, si accosta alla pista ciclabile in sede propria, con larghezza pari a 2,5 metri e doppio senso di marcia. Entrambi i percorsi si affiancano alla viabilità esistente, ma l’aspetto più interessante si riscontra nello sviluppo dinamico del sedime che, come un nastro continuo, delimita l’intero percorso; il risultato è un elemento tridimensionale che, oltre a garantire protezione, diventa un modo per divulgare informazioni definendo la composizione dell’arredo urbano insieme alla sistemazione a verde. La riqualificazione del parcheggio per le biciclette, attraverso l’uso di pensiline con sottostruttura metallica, conclude la prima fase del progetto che è stato consolidato,
07-08. Il portale in c.a. che segna l’accesso alla ciclovia dal viale Piave. 09. Un tratto del percorso ciclo-pedonale che si snoda nel retroparco ferroviario. 10. Il volume rivestito in lamiera metallica del Centro Servizi.
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11-13. Gli spazi interni del centro servizi. 14-16. Il volume semplice dell’edificio è caratterizzato da un involucro materico che racchiude un nucleo semi-trasparente sul fronte principale.
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nel 2018, con l’inserimento del nuovo centro servizi ricavato lungo il percorso ciclo-pedonale su un’area di 225 mq in seguito alla demolizione di un edificio dismesso. Nonostante il centro risulti ancora inattivo, le funzioni all’interno sono state concepite per offrire assistenza all’utente generando nuove forme di relazione tra persone, luoghi e oggetti; l’edificio accoglie, infatti, uffici e spazi per i servizi di bike-sharing, info point e ciclofficina, e si presenta come un volume semplice caratterizzato da un involucro di grande impatto materico che racchiude un nucleo semi-trasparente, sul fronte principa-
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Committente Gruppo RFI Progetto Intera srl team di progetto ing. Ezio M. Gruttadauria (strutture) Intercostruzioni srl (computi metrici) RFI-DTP Verona (construction management) Cronologia Progetto e realizzazione ciclovia: 2016-2017 Progetto e realizzazione centro servizi: 2016-2018 dati dimensionali Area ciclovia: 1.150 mq Superfici centro servizi: 225 mq 15
le, lasciando solo intravedere i dettagli interni la cui fisicità varia prende forma attraverso il flusso luminoso proveniente dai diversi tagli geometrici delle aperture. Gli interventi, commissionati dal Gruppo Ferrovie dello Stato e progettati da Intera, una società di ingegneria romana specializzata in infrastrutture ferroviarie, rappresentano l’inizio di un’articolata quanto necessaria riorganizzazione del percorso su viale Piave: un’opportunità di sviluppo che riconosce, in questo semplice attraversamento, un vero e proprio luogo temporaneo capace di svelare gradualmente un contesto dal panorama architettonico ancora in forte contrasto e che potrebbe in futuro partecipare al racconto di una parte di città oggetto di proposte di rigenerazione di scala ben più ampia. (M.G.)
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17. Dall’alto: la pensilina a copertura dell’ingresso si ramifica sul fronte dei padiglioni. 18. Matrice matematica della copertura. 19. Schema di smaltimento delle acque meteoriche. 20. Il concept iniziale prevedeva una copertura piana. 21. La piazza coperta organizza gli spazi di ingresso al padiglioni sud del quartiere fieristico. 22. Il rapporto tra copertura e padiglioni in una veduta laterale.
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Veronafiere Ingresso Re Teodorico
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In un contesto come quello in cui si colloca quartiere fieristico di Verona, inevitabilmente sempre più parte integrante della città e cuore pulsante di una vasta area in trasformazione, la riqualificazione dell’ingresso Re Teodorico – utilizzato per manifestazioni di nicchia non estese all’intera area espositiva ma di forte richiamo come ArtVerona – rappresenta il primo passo di un progetto esteso a una visione unitaria dell’area, che sembra guardare finalmente fuori dal suo recinto aprendosi e dialogando con la città. Da dove nasce questa visione? Sono trascorsi ormai quindici anni dalla realizzazione di due nuovi padiglioni sul confine sud verso Viale dell’Industria, primo esito di un Masterplan, commissionato nel 2004 al prestigioso studio di Amburgo GMP-Von Gerkan Marg und Partner. Il progetto (ampiamente presentato e discusso in «AV» 78, 2007), oltre ad ampliare la dotazione di spazi coperti a servizio delle manifesta-
zioni fieristiche, si apriva al dialogo con un contesto ancora oggi in trasformazione, con la riqualificazione dell’intero fronte est su Viale del Lavoro, dove sarebbe dovuto avvenire l’incontro e il confronto con le trasformazioni allora previste sul “cardo massimo”. L’area antistante al Palaexpo veniva concepita come un luogo di sosta per i visitatori, una grande piazza valorizzata da una vasca d’acqua, mentre i parcheggi venivano collocati in un piano interrato; poco più a sud, sullo stesso fronte, sarebbe sorto un nuovo ingresso, riconoscibile e rappresentativo della Fiera affacciato verso la città. Una delle esigenze principali di Veronafiere era infatti quella di riorganizzare il sistema degli accessi, esigenza che trova oggi – finalmente – una prima parziale risposta con le recenti realizzazioni, inaugurate da pochi mesi, del nuovo ingresso Re Teodorico per i visitatori e della nuova Porta ” per gli espositori. I due nuovi ingressi sono caratterizzati da pensiline dalle forme organiche, e aspirano evidentemente a diventare dei punti di rife-
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Committente Veronafiere Progetto Maffeis engineering (copertura) MP&T engineering (piazza) direzione lavori ing. Stefano Malagò - MP&T imprese Stahlbau Pichler (copertura) Fedrigoli Cronologia Progetto e realizzazione: 2018-2020
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rimento riconoscibili. Mentre la Porta E è stata realizzata per rispondere all’esigenza di fluidificare il traffico degli automezzi degli espositori durante le fiere, la grande copertura di 6.700 mq che riqualifica l’ingresso di Re Teodorico risponde all’originaria necessità di trasformare gli ingressi in elementi di identità e riconoscibilità. Collocato a sud del quartiere fieristico, questo ingresso costituisce un accesso diretto ai padiglioni più recenti dalle aree a parcheggio a servizio della Fiera in Viale dell’Industria, compreso l’autosilo multipiano (oggetto anch’esso di futuri interventi). Il concept del progetto è stato ideato da Maffeis Engineering, una società di ingegneria italiana operante a livello internazionale; l’idea è quella di una “foresta” che ombreggia il percorso ai padiglioni, che diventa anche un luogo di incontro e di sosta tempo-
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ranea per i visitatori. Si può cogliere un’eco della galleria ideata da GMP per il nuovo ingresso su Viale del Lavoro, improntata però a un differente approccio morfologico. La richiesta di Veronafiere era quella di creare un’immagine rappresentativa che fosse modulabile ed estendibile su tutto il quartiere fieristico. Per tradurre il concept in progetto architettonico ed esecutivo è stato utilizzato un software per la modellazione parametrica come Grasshopper, più conosciuto tra le ultime generazioni di progettisti. I software per la modellazione parametrica sono gli strumenti principali dei quali si servono numerose archistar per creare le loro architetture iconiche e “scultoree”, ma nello stesso tempo permettono di velocizzare l’iter della progettazione. La grande copertura, inizialmente pensata come una superficie piana,
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PROGETTO
Verso Sud
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23-24. La struttura artificiale ad albero della nuova copertura e la struttura organica degli alberi su viale dell’Industria. 25. La copertura attestata su viale del Lavoro nel masterplan GMP (2006).
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è stata poi articolata per risolvere un problema funzionale, lo scolo delle acque: la costruzione del modello parametrico ha permesso di catalogare la posizione di ogni vertice della struttura nello spazio, in modo tale da modificarne le proprietà e le geometrie in base alle necessità formali e funzionali; la dinamicità conferita alla copertura ha, inoltre, contribuito ad esaltare la natura organica dell’opera. La grande copertura, all’apparenza caotica e indecifrabile, è in realtà ispirata al diagramma di Voronoi – in matematica, un particolare tipo di decomposizione di uno spazio definito da un insieme finito di punti – e si estende per circa 6.700 mq attraverso la ripetizione di 36 moduli; ciò ha permesso di soddisfare l’esigenza
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di una struttura modulare e ripetibile potenzialmente su tutta l’area. A completare l’opera, i cuscini in ETFE (Etilene TetrafluoroEtilene), un materiale sempre più utilizzato e apprezzato dai progettisti per la sue caratteristiche di versatilità, trasparenza e resistenza, in quanto materiale autopulente che richiede poca manutenzione. Questa scelta ha conferito leggerezza e trasparenza alla copertura, che ha l’obiettivo di ombreggiare ma non oscurare la piazza sottostante. Il dinamismo della copertura si riflette anche nell’ambiente sottostante, grazie alla scelta di tre gradazioni di opacità dell’ETFE, che proietta sulla pavimentazione ombre di diverse tonalità, garantendo allo stesso tempo un’illuminazione controllata e il comfort termico. (G.N.)
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Metter mano alla cittĂ Gli esiti cartacei di un workshop incentrato sulla narrazione urbana quale ambito di ricerca indirizzato alla progettazione editoriale Testo: Federica Guerra
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ra il 23 novembre e il 7 dicembre 2019 si è tenuto presso villa Venier a Sommacampagna un workshop sul tema della “Narrazione urbana e progettazione editoriale” organizzato da 045-collettivo di microeditoria indipendente e titolato Le mani sulla città. Lo stesso titolo, che si rifà al famoso film del 1963 di Francesco Rosi, è stato poi ripreso nel nuovo numero della fanzine 045zine, edita dal collettivo, che ha raccolto gli esiti di quel workshop e che è stata presentata presso la sede di Rocket Radio a febbraio di quest’anno. Non ci si lasci influenzare dall’appellativo “collettivo” con cui questo gruppo di giovani si è nominato, sospeso tra nostalgie vetero sessantottine e la voglia millenial di condivisione, perché quello che ne è uscito è un prodotto editoriale sofisticato nella forma estetica (carta patinata, immagini di grande formato, lettering audace), che gode della freschezza data dalla libertà con la quale il collettivo sforna i numeri di questa rivista senza vincoli di tempistica o di formato. Ogni numero ha argomenti originali che non seguono un pensiero coerente né, di conseguenza, un formato canonico ma che spaziano, nel breve volgere dei tre numeri pubblicati, dal concetto di “Punto di vista” (numero 0), al tema del “Contrasto” (numero 1) per finire con quello che qui presentiamo sul tema della città e delle sue rappresentazioni (numero 2). Il collettivo ha già aperto una nuova call dal suggestivo titolo “Essere catastrofe”, che denota l’estrema volontà di sperimentazione del gruppo, finalizzata a una ulteriore uscita. La formula sembra essere sempre la stessa e cioè, a
01. Copertina de Le mani sulla città e manifesto di lancio del workshop che ne ha posto le premesse. 02. Un momento di lavoro durante il workshop. 03. Una doppia pagina della rivista. 02
fronte di un tema vasto che implica riflessioni incrociate, si esprimono interpretazioni dello stesso attraverso le diverse forme della divulgazione, la scrittura, la poesia, la grafica, la fotografia e l’illustrazione. Ci interessa particolarmente il numero che presentiamo perché si tratta di un esperimento riuscito di riflessione sui temi della città contemporanea, calato per lo più sul caso di Verona ma con affondi anche ad altre realtà, tanto che più che mani sulla città si potrebbe parlare di metter mano alla città, nel senso di prendersene cura affrontando i temi spinosi che accompagnano le città contemporanee. L’esperimento è interessante perché sottende alcune questioni legate alla percezione e restituzione dei problemi che assillano le città, perché la descrizione di un problema mai come in questo caso costruisce il problema stesso. I tutor invitati al workshop, infatti, non hanno a che fare con l’architettura o l’urbanistica ma sono esperti di comunicazione, verbale come Sarah Gainsforth, giornalista
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de «Il Manifesto «» e «L’Espresso», o visiva come Marco P. Valli, fotografo dell’agenzia Cesura, o editoriale come lo studio padovano Multiplo. Quindi il particolare taglio dato al numero della rivista è quello di ricostruire un problema, o meglio i problemi, attraverso le capacità che ha il discorso di comunicarli
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le mani sulla città Workshop di narrazione urbana e progettazione editoriale Lo spazio urbano nel tempo della globalizzazionesi rivela come il luogo privilegiato per osservare le dinamiche socio-economiche contemporanee. Turismo di massa, gentrificazione e privatizzazione degli spazi pubblici, ma anche resistenze molteplici ai nuovi modelli estrattivi del sistema economico. docenti Sarah Gainsforth (Il Manifesto - L’Espresso) Marco P. Valli (Cesura - Internazionale) Multiplo (Editorial Design) staff Emanuele Zoccatelli (Creative Director), Francesco Marchi (Editorial Director), Paolo D’Amato (Comunicazione), Francesco Cordioli (Social Media) 045 045 è un collettivo di microeditoria indipendente con base a Verona. Sviluppa pubblicazioni che spaziano dal contenuto visivo alla scrittura critica. https://045publishing.com/
04. Temi caldi per la città al centro della narrazione urbana.
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anche ai non addetti ai lavori. Un’operazione quindi molto raffinata che se da un lato individua i temi caldi – le aree industriali dismesse, la gentrificazione dei centri storici, la precarietà del lavoro o la marginalità sociale – dall’altro si concentra sulla necessità di renderli problemi condivisi e quindi di comunicarli con strumenti adatti. Per questo, crediamo, sembra non esserci un filo conduttore comune ai diversi interventi, opera ciascuno di uno dei partecipanti al workshop invernale, proprio perché l’intento non è quello di indagare approfonditamente un problema, ma provare a restituirlo in una formazione discorsiva di adeguato appeal. Si va dalla lapidaria locandina da appendere per le vie delle città storiche per mettere in guardia i turisti utenti di Airbnb dal rischio di compromettere le economie locali, alla breve riflessione sulle aree industriali dismesse, dall’indagine sul fenomeno del delivery alla rassegna fotografica sul degrado delle periferie, dalla
riflessione sul turismo di massa in città e sul Lago di Garda al fenomeno del Movimento delle Sardine e al concetto di piazza virtuale, dal reportage fotografico neorealista dei sobborghi urbani al pezzo di denuncia sulla cementificazione, dal tema del
« Si tratta di un esperimento riuscito di riflessione sui temi della città contemporanea calato per lo più sul caso di Verona ma con affondi anche ad altre realtà » turismo di massa cannibale del tessuto socio economico all’affondo sulle nuove povertà urbane. I temi della città ci sono tutti, ma quello che risulta originale è la comunicazione dei contenuti forse più dei contenuti stessi, che hanno un grado di approfondimento magari
incompleto, ma funzionale al fine per il quale sono stati prodotti. Probabilmente per chi si occupa di città i contributi potrebbero non essere originali o inediti, ma la ricerca era concentrata sulla forma editoriale e quello che interessa è, da un lato il metodo, e dall’altro il monito che ne scaturisce: forse gli architetti dovrebbero smetterla di parlare agli architetti e cominciare a parlare ai cittadini, per costruire insieme un’interpretazione condivisa della crisi e del disagio delle città. Per questo bisogna cominciare a interrogarsi su quali forme debba prendere la narrazione, quali siano gli strumenti più adatti per indagare un tema, in definitiva per dare il giusto ruolo interpretativo al progetto.
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Dal prodotto editoriale all’immagine in movimento: i cortometraggi prodotti all’interno di un laboratorio cinematografico focalizzato sulla città e i suoi protagonisti
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Fuori dalle mura, dentro lo schermo
Testo: Angela Lion
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ello standby sociale vissuto a partire dalla primavera 2020 – anomalo periodo storico – nulla è parso più frenetico delle immagini proposte da questo laboratorio cinematografico dal titolo “Verona Fuori Le Mura”. Si è colta quest’occasione per dare spazio a dei cortometraggi che parlano della nostra città in maniera sociale, ed è forse questo l’aspetto che caratterizza l’architettura dei nostri agglomerati urbani. Guardando oggi le immagini di questi corti, la quotidianità sembra rappresentare un ricordo lontano, quasi sconosciuto, una realtà altra. Il progetto, un’iniziativa dell’associazione ZaLab organizzata in collaborazione con il Comune di Verona e il contributo della Regione Veneto, ha proposto un laboratorio intensivo di regia di cinema documentario che ha coinvolto 26 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 29 anni. Gestito da Michele Aiello, Sara Pigozzo e Enrico Meneghelli, il laboratorio ha indirizzato gli aspiranti registi alle prime armi, o del tutto principianti, con l’obiettivo di produrre cortometraggi documentari su Verona e provincia. Incontri preliminari e lezioni frontali tenute da registi e autori di livello nazionale – come Andrea Segre, Agostino Ferrente, Daniele
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Gaglianone, Phaim Bhuiyan, Matteo Calore e Sara Zavarise – hanno dato spazio al momento produttivo vero e proprio; gli esiti del laboratorio sono stati presentati pubblicamente a febbraio presso la Gran Guardia a Verona. Anche nel caso veronese, il laboratorio di regia di ZaLab ha attinto alle tecniche del video partecipativo, con l’obiettivo di fornire strumenti di racconto cinematografico soprattutto a quelle persone e comunità che sono generalmente marginalizzate dai media e dal discorso pubblico main stream. Se il laboratorio di regia quindi ha obiettivi formativi e artistici, il laboratorio di video partecipativo ha degli importanti elementi socio-culturali, legata all’impatto che può avere sia sulla comunità sia sul territorio più ampio in cui la comunità insiste. Uno degli esempi più riusciti in questo senso negli ultimi anni è il progetto Flying Roots, che ha ora a disposizione un fondo della SIAE dedicato alla diffusione in Europa, che permetterà ai partecipanti del laboratorio di viaggiare in Europa per raccontare la loro esperienza. Ma perché “Verona Fuori Le Mura”? Cosa c’è di diverso, atipico, sconosciuto e marginale a Verona, che è necessario raccontare? La città
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01-02. Frammenti urbani inquadrati dai registi dei cortometraggi promossi dal laboratorio “Verona fuori dalle mura”.
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verona fuori le mura laboratorio di cinema del reale ZaLab è un’associazione per la produzione, distribuzione e promozione di documentari sociali e progetti culturali. È un collettivo di sei filmmakers e operatori sociali: Michele Aiello, Matteo Calore, Davide Crudetti, Stefano Collizzolli, Andrea Segre, Sara Zavarise. Michele Aiello (Verona, 1987), è autore e regista di film documentari e formatore di video partecipativo. Socio di ZaLab, ha collaborato con Radio3 Rai, il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli del Teatro di Roma e il Movimento di Cooperazione Educativa. Laureato in Relazioni Internazionali e specializzato in conflitti armati e marginalizzazione delle minoranze in Sudan, conduce saltuariamente attività di giornalismo free-lance.
ha un enorme bisogno di cinema, un’esigenza impellente di raccontare la sua diversità che, come hanno mostrato i risultati del laboratorio, non è necessariamente legata alla denuncia sociale, anzi. I corti raccontano temi delicati e personaggi vivaci che si muovono appena al di sotto della superficie del mantello ordinario che copre la città. Ognuno dei partecipanti al laboratorio ha portato un’idea, tutte con una loro dignità. La sfida per i gruppi è stata quella di costruire rapidamente un lavoro di squadra coeso, dinamico,
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03-06. Fermoimmagine tratti dai lavori che propongono una lettura partecipativa degli spazi urbani.
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non scontato, visto che i partecipanti non si conoscevano e avevano età molto diverse. È così che, nell’arco di poche settimane, si sono sviluppati sei cortometraggi su sei temi diversi: adozione, corpo delle donne, musica trap, discriminazione, memoria, mezzi pubblici. Ne è emerso un ritratto a più facce di Verona, soggetto plurimo per un cinema documentario, se promosso con dignità e veicolato coinvolgendo i soggetti delle narrazioni.
Nata due volte. I luoghi: lontani, opposti tra loro ma vicini, uniti, per legami di sangue modificati da necessità contingenti. Fratelli provenienti da altri paesi adottati e trasferiti in città altre, che li accolgono dando loro una nuova vita, e dove la descrizione dei luoghi racconta una vita ed utilizza la scrittura per raccontare il proprio intimo. Ma-la-femmena. Una lunga strada cittadina, gli interrogativi di alcune donne – le stesse autrici del corto – sul come essere o dover essere donna: che influenza ha la città con i suoi stimoli? L’idea dell’uomo è quella di una donna eterea, bellissima: ma noi come siamo veramente? Una ragazza mascolina; un’altra che si guarda allo specchio e vede due persone con e senza trucco, dove i difetti diventano peculiarità; una giovane donna che si immagina nelle sue labbra e una al contrario che non riesce a vedersi se non nel proprio trucco, per una mancanza di sicurezza; chi si rade i capelli per come elemento di ribellione anticonformista e chi, invece, a causa della malattia cerca di essere padrona del proprio corpo non potendo esserlo completamente; chi alla domanda “ti senti femminile?” non riesce a capire, a causa degli stereotipi imposti dalla società, dettati da immagini inverosimili, dal cruccio del peso e delle forme che portano giovani ragazze a far violenza su se stesse. Gli ambienti sono familiari, semplici ma intensi. “Quand’è che ti senti bella? Quando sono a mio agio con delle persone che mi fanno stare bene e in cui mi sento completamente me stessa […] e prendo lo scrigno lasciato laggiù, ed esce una chimera che in
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fondo sei tu”. Chi sono gli altri. Un senzatetto del Ghana di circa 45 anni viene trovato morto sulla ‘sua’ panchina della stazione di Porta Vescovo. È lo spunto di riflessione per Gamal, un ragazzo della Guinea a Verona, che racconta di sé, del suo vivere per strada e di un fortuito aiuto, camminando per i vicoli più nascosti di Veronetta e della prima collina di San Nazaro. Andare con lui per la strada è il solo modo “per capire lo stato concreto e interiore di vivere la strada”. Come cambiano le prospettive: trent’anni fa la ghettizzazione era data dai meridionali, poi sono arrivati i nord africani e il problema si è spostato. Meridionali = stranieri. Vivere in strada è difficile: la panchina della stazione diventa un luogo. “Qualcuno che non ha oggi, domani può avere. E pertanto dobbiamo dividere”. Il pensiero dello straniero di vivere in Italia viene visto come un vivere bene: non è così. Persone che non hanno un posto dove dormire, dove lavarsi. Gamal incontra in una pizzeria al taglio del centro Vincenzo, un meridionale che gli racconta la sua esperienza. Viveva in macchina con estreme difficoltà. Raggiunge infine una coppia di meridionali che
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vivevano in viale Venezia: avevano vinto un concorso spostandosi dal sud al nord, trovando un’accoglienza alquanto difficile. “Non sei accettato per quello che sei, e sei rifiutato per quello che sei […] Cambiamo allora la mentalità. Nessuno sa veramente chi sono gli altri. Chi sono gli altri?”’. Memoria nelle mani. Le nostre colline in autunno come sfondo per raccontare di una donna che, bambina, ha vissuto il nazismo. Il racconto prosegue all’interno di un’abitazione nel centro storico, dove una zia espone alla nipote il periodo della seconda Guerra Mondiale attraverso l’arte che lei stessa crea. Invita la nipote a lavorate la materia, la creta, perché rappresenta la magia. La mente si scioglie nel ricordo: Vendola, un paesello, lì la casa dove erano sfollati. Della Guerra non realizza nulla perché anche le mani si rifiutano di produrre, è una memoria che non può essere trasformata in materia. La chiesa, un luogo spettrale: lo scheletro e null’altro. L’intorno percorso a piedi dalla nipote rappresenta i luoghi del ricordo. Il silenzio e il suono di una campana scandiscono “il tempo che non esiste, esiste la poesia come veicolo magico che supera le barriere”.
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Linea 11. La narrazione sociale passa attraverso una linea di autobus – la Linea 11 – e le architetture di quartiere. La Linea 11 è il filo rosso delle situazioni di un contesto cittadino periferico e non legate seppur diverse tra loro poiché fondanti sul contesto sociale. Si parte dal quartiere Stadio in cui si analizza il contesto e la sua dinamicità architettonica, il sabato giorno di mercato. Il centro storico, i suoi negozi, lo struscio tra i luoghi del turismo, contesto socialmente discriminante. Infine San Michele, quartiere-dormitorio, e la sua architettura popolare. Un tratto di pellicola breve ma attinente al tema della città come spazio ribaltato nel sociale. Figli di provincia. Le luci della notte, una discoteca, ambienti chiusi in cui dei giovani rapper si trovano per fare musica. Ragazzi di provincia con una grande voglia di emergere, che si
interrogano sulle loro possibilità di imporsi artisticamente nel contesto in cui vivono, e guardano altrove, dove la musica anche per chi è agli albori ‘spacca’. Sono gli Zona 52 di Castel d’Azzano, che passeggiando per la provincia parlano in musica con una immensa voglia di spiccare il volo. A loro si intersecano altre realtà, sempre rapper, ragazzi di colore il cui promotore è un giovane promettente, Kevin Kalvin. Tutto si svolge in modo itinerante in ambiti defilati della città. La strada diventa luogo di creazione e di scambio. Il sogno di continuare a creare musicalmente diventa l’obiettivo imperante, finalizzato al riscatto umano e sociale di queste generazioni legate a un contesto a volte coercitivo, fortemente circoscritto. Ritrovandosi, i giovani giungono alla conclusione che per ‘arrivare’ devi procedere senza lamentarti di un problema: una volta che lo hai individuato devi risolverlo, non lamentarti!
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LC mette il becco sulla Fiera Una proposta a livello di concept affronta il tema delle prospettive di sviluppo del quartiere fieristico veronese ripensandone l’inquadramento urbano e le relazioni con il quartiere circostante Testo: Luciano Cenna
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’approccio al tema dello sviluppo e dell’integrazione del quartiere fieristico con la città è avvenuto affrontando i vari argomenti, funzionali e non, attraverso suggestioni grafiche allo scopo di non perdermi nella complessità della realtà i cui aspetti burocratici avrebbero potuto imprigionare l’immaginazione con i vari: questo si può fare, questo no, ecc. Ho quindi proceduto mettendo via via a fuoco le ipotesi e le proposte formali, ancora con schizzi e planimetrie – spesso disegnate senza la sotto stante sagoma in scala – affidando alla memoria le problematiche da risolvere senza che fattori contingenti, seppur realistici, ne ostacolassero le proposizioni. Nei vari passaggi d’avanzamento della ideazione del progetto, alcune ipotesi e relative soluzioni si sono esaurite o modificate, mentre altre sono emerse assumendo importanza secondo parametri del tutto soggettivi. Quando la bozza fu completata, le ipotesi avevano assunto anche una definizione architettonica; in particolare: la mobilità aveva trovato una ragionevole soluzione, era stata raggiunta la ricercata continuità di Verona sud con la città, e la funzionalità dell’impianto fieristico
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era considerevolmente accresciuta liberando le aree destinate a parcheggio ora addossate al Pala Expo e aprendo il quartiere fieristico, o almeno una sua parte,alla città. A questa decisione attribuisco grande importanza nei confronti del raggiungimento degli obbiettivi in premessa. A conclusione della bozza e dopo una serie di incontri con la dirigenza dell’Ente, l’impianto progettuale è stato razionalizzato assumendo una diversa veste grafica, quella del concept finale in cui hanno trovata chiara lettura i sei punti forza del progetto: 1. viabilità a doppio senso lungo tutto il fronte fiera; 2. piazzale antistante coperto e interamente disponibile a tutti i cittadini; 3. Torre Faro (ricorda una fiaccola) come simbolo tecnologico del quartiere; 4) apertura dell’area fieristica al quartiere Verona sud; 5) assetto omogeneo e formalmente efficace del complesso fieristico, dall’ex Manifattura Tabacchi a viale dell’Industria con la conclusione di un ipotetico “teatro” nel lotto che conclude a sud la spianata della Fiera; 6) L’area fieristica diventa centro di Verona Sud e la città si arricchisce di un secondo centro urbano.
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01. Planimetria progetto generale (ipotesi 2040). 02. Spazio antistante al PalaExpo con pensilina di copertura del parterre su viale del Lavoro. 03. Vista verso nord di viale del Lavoro con l’inserimento di un’aiuola spartitraffico attrezzata. 04. La Torre faro quale simbolo tecnologico del quartiere in uno schizzo di insieme. 04
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05. Vista verso sud di viale del Lavoro nel tratto antistante al PalaExpo. 06. Schizzo dell’aiuola spartitraffico e del collegamento pedonale interrato con tappeti mobili. 07. Schizzo della Torre Faro.
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Nello svolgere il tema, abbiamo sviluppato le proposte progettuali esplorate giungendo all’ipotesi conclusiva che prevede il raggiungimento di un primo sostanziale traguardo tra dieci anni circa (entro il 2030), e di uno successivo e conclusivo immaginato dopo altri dieci anni (quindi intorno al 2040). I due traguardi, perseguibili in continuità di intenti e di scelte, potranno essere anticipati o meno a seconda delle risorse finanziarie che si vorranno impegnare, della compattezza delle
istituzioni interessate al risultato e degli avvenimenti nazionali e internazionali che si manifesteranno nel frattempo. Pur nell’incertezza del quadro che si prospetterà e limitatamente
« Un punto fisso è l’esigenza, oggi percepita dai più, di una sempre maggiore integrazione tra Fiera e Città »
al tema che abbiamo trattato, sembra di intravvedere un punto fisso nell’esigenza, oggi percepita dai più, di una sempre maggiore integrazione tra Fiera e Città. Nell’evidenziare che questo aspetto è anche richiamato nell’incarico, sottolineiamo che è parte sostanziale di un principio di “comunicazione e apertura” avvertito da parte delle società e delle economie più avanzate, benché ancora avversato da molti. Un principio per il quale, al presentarsi di fenomeni sociali ed economici inediti, si risponde
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08. Vista d’insieme del quartiere fieristico a programma realizzato. 09-10. Lo spazio intermedio tra il PalaExpo e i padiglioni con l’inserimento delle coperture a catenaria nella configurazione aperta e chiusa. 11. Pensilina di copertura dell’ingresso sud di Porta Re Teodorico.
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con un atteggiamento di apertura, abbattendo i muri. Sicché, alla scadenza del 2030, quando il quartiere Fiera si aprirà anche fisicamente alla Città mettendo a disposizione una parte dei suoi edifici e delle funzioni in essi contenute, ne potrebbe seguire una seconda, all’incirca entro il 2040, in cui l’intero comparto ampliato fino al limite di viale dell’Industria potrebbe presentarsi aperto, avendo abbattute le recinzioni residue che ancora racchiudono l’area fieristica – almeno una sua parte – e raggiungendo in pieno l’obiettivo della sua integrazione con la Città. È evidente che tale situazione comporterà importanti cambiamenti organizzativi da parte dell’Ente Fiere, specie nello svolgimento delle attività di allestimento e di movimentazione delle merci.
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Ma ciò sarà reso possibile dall’adozione di tecnologie e criteri organizzativi adeguati. In ogni caso, riteniamo auspicabile il realizzarsi di una situazione in cui la funzionalità dell’area fieristica potrà convivere con quella della città che la attornia, ed esserne parte pressoché indistinta. Allora, lo scambio di energie, divenuto costante e continuo, genererà un flusso capace di manifestare esso stesso il concetto di “centro di quartiere”, assorbendone le funzioni
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che lo caratterizzeranno. Se la scarsa densità abitativa della zona non sarà in grado di generare quegli interessi e scambi su cui solitamente si basa la vitalità di un centro urbano, a surrogare le carenze sarà il “caos organizzato” dovuto alla perenne attività del comparto fieristico. È noto, infatti, che il movimento genera energia e che l’energia, se incanalata, può essere usufruita come risorsa economica e ricchezza sociale. Se tale concetto è corretto, e il futuro dovesse confermare che è
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stato interpretato correttamente e con spirito premonitore, gli indirizzi e gli obiettivi del concept saranno raggiunti a testimonianza della bontà delle scelte assunte nel 2018 dall’Ente Fiere veronese.
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Portfolio: demolizione e/o liberazione
Stato nascente: paradossalmente, le immagini di alcune fasi delle opere di demolizione effettuate al complesso della ex Manifattura Tabacchi rappresentano non una fine, ma il momento propedeutico alla futura realizzazione del progetto presentato nelle pagine iniziali di questo numero. Va letto in questo senso, come il momento di un cantiere, il venir meno dell’immagine consolidata di una parte di città . La spettacolarizzazione della rovina nel suo farsi fa parte di un atteggiamento voyeristico fine a sÊ stesso: rimosse le macerie, ritorna in scena la costruzione di una nuova parte di città . In attesa.
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