Architettiverona 123

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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

Misura per misura — Tre due uno: Docks

www.tecnospa.com

W80 PARTITION SYSTEM

2020 #04

Corso Milano 128 37138 Verona T +39 045 576660 info@ar-ve.it www.ar-ve.it

Palinsesto ritrovato — Bando ai restauri

Terza edizione — Anno XXVIII n. 4 Ottobre/Dicembre 2020 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR Contiene I.P.

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ISSN 2239-6365

Appuntamento al parco — Prospettive della fede

Un monumento industriale — Progettare in tavola

123 La scuola del Porto — In lungo e in lago



















Consiglio dell’ordine • Presidente Amedeo Margotto • VicePresidenti Laura De Stefano Matteo Faustini • Segretario Enrico Savoia • Tesoriere Daniel Mantovani • Consiglieri Cesare Benedetti, Michele De Mori, Stefania Marini, Diego Martini, Leonardo Modenese, Michele Moserle, Francesca Piantavigna, Chiara Tenca, Morena Zamperi, Ilaria Zampini

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PROGETTO

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storia & progetto

odeon

Palinsesto ritrovato di Giorgia Negri

Prospettive della fede di Federica Guerra

Al Vajo, al Vajo di Laura De Stefano

editoriale

Misura per misura di Alberto Vignolo

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progetto

Bando ai restauri di Nicolò Olivieri

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saggio

Un monumento industriale di Vincenzo Tiné, Marco Cofani

odeon

Ci mette il becco LC: la sociologia e l’architettura di Luciano Cenna

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progetto

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Appuntamento al parco di Damiano Capuzzo

odeon

La scuola del Porto di Luisella Zeri

PROGETTO

Tre due uno: Docks di Leopoldo Tinazzi, Filippo Romano

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La città oggi è un paesaggio opposto di Claudio Bertorelli

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progetto

odeon

Una porta a quattro ruote di Laura Bonadiman

Progettare in tavola di Marzia Guastella

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odeon

Orizzonti della porta di Federica Guerra

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odeon

In lungo e in lago di Angela Lion

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portfolio

Riflessioni nel contesto urbano di Dino Gamba

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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXVIII n. 4 • Ottobre/Dicembre 2020 rivista.architettiverona.it

https://architettiverona.it/rivista/

Direttore responsabile Amedeo Margotto

Direttore Alberto Vignolo

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Camilla Furlan, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https:// architettiverona.it/distribuzione/

Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

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contributi a questo numero Claudio Bertorelli, Marco Cofani, Luciano Cenna, Laura De Stefano, Vincenzo Tiné

referenze Fotografiche Lorenzo Linthout, Dino Gamba, Diego Martini, Giovanni Peretti Si ringraziaNO Andrea Muddolon, Federica Provoli

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Misura per misura

Sconvolgimenti globali e declinazioni locali con le quali le discipline del progetto devono confrontarsi

Testo: Alberto Vignolo

Foto: Lorenzo Linthout

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Come per tutti e come dappertutto – mai il senso della globalizzazione è parso più evidente che a seguito della pandemia con cui abbiamo imparato a confrontarci a partire da questa primavera – la misura della distanza tra le persone è diventata la regola di tutte le cose e attività umane. Non fa certo eccezione il microcosmo attorno al quale concentriamo la nostra attenzione: l’obbligatoria distanza cosiddetta sociale sembra stendere una matrice isotropa sugli spazi, pubblici o di uso pubblico. Ecco i bollini che misurano il passo da tenere, reticolo di sicurezza che pietosamente stendiamo a garanzia – o meglio, a speranza – di evitare il rischio del contagio. Slanci vitali, abbracci e strette di mano sono banditi: ogni nostra azione è frenata, controllata, misurata. Impariamo così a confrontarci con la nuova topografia del terrore pandemico. La densità di vita, principio di aggregazione delle città, vive una profonda crisi epistemologica, che in un modo o nell’altro ci dovrà spingere a ripensare al modo di abitare gli spazi. Lo spazio collettivo, all’aperto o al chiuso, che ha sempre avuto un valore di addensatore sociale e di luogo dell’incontro, viene

ora misurato per la sua capacità di tenerci a distanza: se è grande, riusciamo a intrattenere rapporti a debita distanza, come pedine sulla scacchiera gigante di una partita in cui rischiamo uno scacco matto. Tortuose vie monodirezionali instradano i percorsi di automi eterodiretti da frecce sul pavimento, come i robot decerebrati di un universo distopico. In parallelo, l’improvvisa svolta smart del lavoro ha reso tutto d’un tratto obsoleti e surdimensionati gli spazi del lavoro (almeno di quello sedentario), mentre di contro le dimensioni minime delle abitazioni reclamano spazi per l’home office e aree vivibili all’aperto. Le antenne sensibili del mercato immobiliare sembrano aver

già registrato queste tendenze, che inevitabilmente andranno a ricadere anche sui tavoli da disegno dei progettisti. Vedremo. Fin qui, dunque, la sfida globale che giocoforza si declina anche nella nostra chiave locale. Occorre prendere le misure di questa realtà come di un nuovo scenario sul quale il progetto, ogni progetto, deve fare i conti. Così come di progetto occorre parlare quando, a fronte di un ulteriore sconvolgimento ambientale – i ripetuti fortunali che hanno infierito in particolare su Verona nei mesi scorsi – il panorama cambia di segno. E non è una metafora, se andiamo a rivedere la strage di alberi abbattuti in città, lungo le strade, nei parchi e nei giardini. Tempi

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duri anche per le amiche piante: se non bastassero le “loro” malattie endemiche, che colpiscono specie di volta in volta caratterizzanti i luoghi, dai platani ai cipressi, dalle palme agli ulivi (e per ora ci fermiamo qui), è la furia degli elementi a stravolgere equilibri pluri decennali e a disvelare la fragilità di tronchi apparentemente solidi, o l’esilità di apparati radicali che all’improvviso non ce la fanno più a restare aggrappati a madre terra. I tronchi-cadavere che ancora vediamo popolare strade e giardini di Verona evocano simbolicamente le immagini più drammatiche legate alla diffusione della pandemia: un evento imprevisto e incontrollabile ha scosso alle radici, letteralmente, quelle che sembravano certezze incrollabili. Brani di paesaggio che sembravano immutabili sono ora più spogli o addirittura denudati, svelando l’intima fragilità di un equilibrio che non può che essere pro tempore. Ci si dimentica spesso, infatti, che gli alberi non sono natura inviolabile, bensì paesaggio costruito, elementi di un ciclo temporale che ha un inizio e inevitabilmente una fine. Senza esagerare in una umanizzazione fumettistica, possiamo pensare a ogni albero come a un individuo, e quindi per forza di cose perituro. Stracciarsi le vesti per il taglio di piante danneggiate, o perché finalmente sull’onda dell’emergenza si è fatta una verifica sullo stato di salute di esemplari vetusti? Un esercizio di conservatorismo sterile e inconcludente: piuttosto, chiediamoci cosa stiamo facendo per la manutenzione del verde, e soprattutto per dare asilo a nuovi alberi, impiantare filari, disegnare

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giardini e ricreare aree boscate anche in città. Qual è il progetto? Un albero vetusto deve essere abbattuto perché ammalato o a rischio di stabilità? Niente piagnistei, se ne piantino a compensazione altri dieci, venti, cento. Ce li ricordiamo i bei viali alberati che risvegliano gli animi a primavera, regalano ombra tonificante d’estate e colorano gli sguardi autunnali? Da quanto tempo non se ne impiantano? Viviamo di rendita, dal momento che abbiamo avuto un’eredità talmente cospicua in fatto di verde da far sembrare poca cosa ogni sua perdita. Eppure gli squilibri ecologici che stiamo vivendo sono

le più spelacchiate delle aiuole. Al di là del dato quantitativo relativo alla superficie, c’è una notevole differenza tra un prato e una massa arborea: chissà che l’urbanistica del futuro presente, o comunque la maniera di amministrare le città e i territori,non passi - anche nel nostro microcosmo veronese - per una misura draconiana capace di mettere al centro dei processi sul costruito le piante – e l’ambiguità con le planimetrie orizzontali è del tutto intenzionale. Sia l’ambiente che il paesaggio lo richiedono, l’uno e l’altro a giovamento della vita urbana e dei suoi abitanti.

« Occorre prendere la misura di questa realtà come di un nuovo scenario sul quale il progetto, ogni progetto, deve fare i conti » dei campanelli d’allarme che non possono restare inascoltati: ne abbiamo prova evidente sulle nostre persone e sulle nostre città. Certo, anche a questo riguardo la misura delle cose è globale e non si può pensare di risolverla nel nostro piccolo, ma tanto meno si può eluderla. Già in alcune metropoli si propongono massicce cure del verde a base di forestazioni urbane, raggi verdi, compensazioni green, eccetera, fino a farne persino il manifesto di un marketing architettonico degli edifici. C’era una volta lo standard dei tot metri quadrati di verde per abitante, che veniva in realtà fatto quadrare computando

01-02. Cataste di tronchi e monconi di alberi abbattuti a seguito del fortunale che ha colpito Verona il 23 agosto scorso.

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PROGETTO

Tre due uno: Docks Il progetto Adige Docks per la riconversione degli ex magazzini ferroviari a Verona est propone una nuova centralità tematizzata su usi sportivi al chiuso e all’aperto

Testo: Leopoldo Tinazzi, Filippo Romano

Verona

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Il punto di vista migliore per valutare l’importanza del progetto Adige Docks è stato sicuramente quello della mongolfiera: messa a disposizione dei partecipanti alla grande festa Verona Reload del dicembre 2011, rappresentò il momento culminante della prima importante iniziativa per richiamare l’attenzione sul recupero del centro logistico RFI (Rete Ferroviaria Italiana) di Verona est, costruito negli anni Ottanta e dismesso nel 2006. Alzandosi idealmente dal piano strada sopra l’abitato circostante, si può capire quali siano le dimensioni degli ex magazzini ferroviari e come questi si inseriscano all’interno del tessuto cittadino veronese. Si parla infatti di un progetto di recupero industriale, ma anche del ripensamento di un pezzo di città consistente, che comprende, oltre ai depositi, parte del parco rurale dell’Adige sud e il quartiere di Porto San Pancrazio. L’attuale proprietà ha rilevato il complesso nel 2014 e ha affidato incarico per elaborare il piano di rigenerazione che converta l’area in una cittadella dello sport. Asprostudio, l’architetto Daniele Dalla Valle con BC+V architetti e l’architetto Gaetano Rinaldo si occupano della la progettazione architettonica, mentre ADV associati si occupa della progettazione degli impianti e altri partner si occupano del piano viabilistico, geologico e amministrativo. L’area, con i suoi 68.000 metri quadri, rappresenta un grande margine urbano. Destinata a centro logistico per i pezzi di ricambio delle manutenzioni su ferrovie e treni per tutto il nord-est, l’intera superficie è stata a suo tempo progettata come un cluster indipendente e autoreferenziale. Allo stato attuale, non dovendo più assolvere all’originaria funzione, l’obbiettivo del suo recupero deve fare

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i conti con la vocazione contraria, ovvero quella dell’estroversione e del dialogo con la città. Inquadrandola all’interno del contesto di Verona est, si può chiaramente vedere come potenzialmente rappresenti un nodo di connessione tra polarità inverse e urbanisticamente antitetiche. Il rapporto che questo grande comples-

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01. Veduta interna di uno dei due grandi capannoni esistenti. 02. “Ecoscandaglio” delle centralità in relazione al nuovo ruolo urbano di Adige Docks. 03. L’area in una veduta aerea. 04. Tracciati esistenti e nuovi interventi di connessione con il Parco Adige Sud secondo il masterplan.

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PROGETTO

Tre due uno: Docks

verona reload Tra le tappe che hanno portato ad Adige Docks, il percorso progettuale dopo l’acquisizione dell’area da parte di imprenditori privati (2006) ha segnato il passaggio da una prima ipotesi di totale demolizione e ricostruzione dell’area in senso residenziale (2009) alla scelta del riuso degli edifici esistenti. Una serie di studi e proposte in tal senso sono alla base di Verona Reload, programma inaugurato a dicembre 2011con la simbolica riapertura del recinto dei depositi sul fronte urbano di Porto San Pancrazio e con la creazione di una piazza temporanea. LINK https://issuu.com/veronareload/docs/ verona_reload_def

05. Veduta dall’alto della “piazza temporanea” realizzata in occasione di Verona Reload nel 2011 (foto di Nico Covre).

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so potrebbe avere con le adiacenze è segnato dalla ge. Qui un’immensa area verde non urbanizzata fa presenza di una doppia e invalicabile cesura, rap- da buffer rispetto al piano di scorrimento del fiume presentata dalla ferrovia e da Corso Unità d’Italia, Adige, che dista circa un chilometro a sud dall’ex che la separano dai quartieri ad alta densità di Bor- centro logistico. go Venezia e Borgo Trieste. Ad intensificare que- La duplice natura dell’intorno pone quindi il resta separazione, peraltro, si aggiungeranno i binari cupero della struttura ferroviaria nella posizione di dell’alta velocità. dover mediare tra difLa difficile connessioferenti istanze urbane. « La speranza è che il progetto ne con la città sul fronIn questo senso la scelte nord,si trasforma sul ta, da parte della provenga portato avanti anche fronte ovest, dove via prietà, di proporre un nella sua più ampia parte Galilei, l’asse principarilancio quasi integraldi riconnessione urbana, le del tranquillo quarmente basato sulle atnon fermandosi al solo recupero tiere chiamato “il Portività sportive rappreto”, si arresta proprio senta probabilmente la degli ex hangar ferroviari » davanti al cancello dedestinazione più efficagli ex magazzini, rapce per questa immensa presentando un invito alla naturale fusione tra i due area, dove lo sport può essere al contempo leva di ambiti. investimento e chiave di riqualificazione, anche olSe i lati nord e ovest rappresentano un confronto sul tre i confini del lotto. piano dell’integrazione con l’ecosistema della città L’idea iniziale del masterplan, infatti, era quella di costruita e infra-strutturata, i lati sud ed est si af- ripensare insieme al comparto ferroviario anche l’ufacciano sull’aperta campagna del parco dell’Adi- tilizzo del settore di parco a nord del fiume, con una

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06. Masterplan con attacco a terra degli edifici e indicazione degli usi previsti. 07. Diagramma delle connessioni urbane tra l’area di Adige Docks e i quartieri di Porto San Pancrazio, Borgo Venezia e Veronetta.

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serie di interventi atti a creare scenari di utilizzo in linea con esempi nord-europei e americani. Al momento, questa parte del progetto è stata stralciata. Dal punto di vista più strettamente architettonico ,il progetto prevede che le strutture esistenti vengano riutilizzate, sfruttando al meglio le potenzialità delle grandi campate interne. Per questo la sagoma dei due grandi magazzini principali, ribattezzati West-end e East-end, rimarrà invariata; il volume centrale che era destinato a magazzino meccanizzato verrà invece demolito e costruito, perchè la sua struttura troppo fitta non consentiva altrimenti. A cambiare saranno le funzioni interne ai capannoni, che vedranno il recupero degli spazi sotto forma di una cittadella sportiva. Il masterplan prevede di riconnettersi sul versante

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VERONETTA

BORGO VENEZIA

PORTA VESCOVO

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POLO UNIVERSITARIO SANTA MARTA

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PONTE CICLOPEDONALE

OFFICINE FERROVIARIE STAZIONE PORTA VESCOVO

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COLLEGAMENTO CICLOPEDONALE AL GIAROL GRANDE

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Tre due uno: Docks

PROGETTO

08-09. I fronti dei due capannoni nello stato attuale. 10. Veduta aerea generale con l’inserimento del progetto. 11. Sezioni urbane: in alto sull’area delle piscine nella parte est dell’area, in basso sulla piazza di accesso da Porto San Pancrazio con l’edificio dello studentato in sezione.

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VISTA AEREA GENERALE - progetto esecutivo

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ovest al quartiere di Porto San Pancrazio con una grande piazza trapezoidale, affiancata da un nuovo volume a torre che ospiterà uno studentato. Superato questo primo settore si entrerà all’interno del magazzino West-end, la cui ristrutturazione prevede un core su più piani di spazi commerciali, affiancati da vari campi per attività sportive, tra cui un palazzetto polivalente e una pista da ghiaccio. Un imbuto distributivo connetterà quindi al più piccolo East-end, il quale comprenderà ambienti prevalentemente destinati alla ginnastica e all’atletica leggera. Oltre quest’ultimo si uscirà nel settore orientale del lotto, al quale si potrà accedere direttamente da Borgo Venezia con un ponte ciclo-pedonale che lo collegherà da nord. Gli spazi aperti tutto intorno ai magazzini saranno completati da una serie di campi sportivi, uno skatepark e parcheggi interni. A suddividere questi settori verranno piantati filari di alberi intervallati da altrettante zone a prato. Oltre alla rifunzionalizzazione dell’ex area logistico-industriale, già di per sé grande occasione per il rilancio del quartiere, il progetto prevedeva origi-

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committente Gruppo Unterberger, Merano-Lipsia Promotore: PSP Invest srl Progetto architettonico, paesaggio, viabilitĂ , impianti, strutture, attivitĂ sportive ADV Associati, Verona ASPRO STUDIO, Vicenza bc+v Architetti, Verona DDV arch. Daniele Dalla Valle, Verona arch. Gaetano Rinaldo, Merano DNA Sport Consulting srl, Verona Mobiliter srl, Milano consulenza legale e amministrativa Studio Barel Malvestio, San Vendemiano (TV) Cronologia Masterplan: 2016-2018 Progetto definitivo-esecutivo: 2018-2020 dati dimensionali di massima Sup. ambito: 66.500 mq Westend (impianti sportivi indoor, spazi commerciali e spazi comuni, museo dello sport, centro medico sportivo, foresteria): 14.400 mq East-end (impianti sportivi indoor e spazi comuni): 8.100 mq Studentato: 765 mq East gate (ristorazione e ciclofficina): 235 mq Spazi aperti (impianti sportivi outdoor, area piscine e solarium, playground, percorsi ciclopedonali, piazze e parcheggi): 3.000 mq

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PROGETTO

Tre due uno: Docks

12. Veduta dalla copertura di uno dei capannoni verso l’area agricola a sud (foto di Nico Covre). 13. Piante dei due edifici rinominati West-end e East-end, piano terra e primo. 14. Edificio West-end, piante dei livelli superiori del corpo centrale.

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nariamente un’appendice più urbanistica, con una serie di interventi di contorno tesi a ricollegare gli hangar al resto della città come hub sportivo-naturalistico. Reinquadrando l’intera area sotto sei diversi profili denominati interfacce, il progetto indagava partendo da nord con la prima interfaccia il dialogo tra la città e gli ex depositi RFI, con la seconda il rapporto tra i depositi e il Parco dell’Adige sud, la terza si concentrava sulla fattoria urbana esistente, la quarta sull’area agricola e il bosco planiziale, la quinta tra il bosco planiziale e la zona umida, la sesta infine sugli argini fluviali. Da questo approccio emerge la prospettiva di creare un sistema di percorsi tematici che potesse sfruttare al meglio tutte le possibilità dell’occasione progettuale. L’idea era quella di adattare progressivamente la funzione sportiva ad una serie di attività

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collegate con il parco a sud. Qui erano previsti dispositivi naturalistici e interventi di landscape a diverse scale per trasformare il parco in un’infrastruttura per le passeggiate, il gioco e l’attività sportiva libera (playground nel bosco e playground sull’acqua). La volontà di includere nel progetto questi interventi mirava a sfumare i confini del centro sportivo, al fine di rendere armonica l’integrazione delle nuove funzioni con le preesistenze naturalistiche sul versante sud. Questo grande progetto sta attualmente attraversando una lunga fase di approvazioni burocratiche e amministrative, che si spera porteranno alla definizione della fase esecutiva nei prossimi mesi. La complessità di un’operazione di questa portata d’al-

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tronde rappresenta una sfida non solo per committenti e progettisti, ma per l’intera città di Verona, in quanto, così come per gli altri grandi cantieri in aree ex industriali (Magazzini Generali, Manifattura Tabacchi, Scalo Ferroviario) si tratta di un’occasione unica per rilanciare il distretto veronese all’interno del contesto europeo. La speranza è che il progetto venga portato avanti anche nella sua più ampia parte di riconnessione e reinterpretazione urbana, non fermandosi al solo recupero degli ex hangar ferroviari. In questo modo l’operazione di rilancio del complesso potrebbe essere il primo passo nella creazione di una di quelle “centralità” esterne, necessarie a porre le basi per un ridisegno della città contemporanea.

15-16. East-end, stato attuale e simulazione schematica di progetto esemplificativa dell’uso degli spazi. 17. Piante ai vari livelli dell’edificio dello Studentato.

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PROGETTO

La città oggi è un paesaggio opposto

Una riflessione sul transito dalla città alfabetica alla città di relazione a partire dalla proposta di Adige Docks per la ricucitura delle aree di Porto San Pancrazio, del Giarol Grande e del Lazzaretto Testo: Claudio Bertorelli

Vorrei angolare questa breve riflessione sulla città a partire da un luogo di bellezza irraggiungibile come il Campidoglio a Roma, dove Michelangelo ci fa pensare che stare su quella piazza ovoidale è come stare sulla cima di un mappamondo con lo sguardo in bilico su un orizzonte fatto di secoli e millenni. E che gli spazi pubblici “sono un puntello per la democrazia” (Richard Rogers, Un posto per tutti, Johan&Levi Editore, pag 261; chi non ha letto quel libro lo faccia subito): non se ne può fare a meno, nemmeno in questo autunno pandemico che ci obbliga a transennarli, a vederli come un luogo di contagio, un luogo da dismettere, un lazzaretto. Che jattura, nel momento in cui il nostro Paese tornava ad avere un orizzonte di senso su questi temi si è trovato frenato e fregato dal virus più insidioso. Ma siamo comunque sulla strada giusta, in transito “dalla città alfabetica alla città di relazione”, cioè dalla città del ’900 – divisa per parti funzionali, semplicemente crescente in forma radiale, governata dalle prime sei lettere dell’alfabeto e da una disciplina urbanistica ormai ridotta alla stregua di una grigia pratica burocratica – alla città che ricresce al proprio interno, che abbatte i perimetri normativi in ragione di una maggiore libertà espressiva, che buca il muro di gomma eretto dai teorici delle destinazioni d’uso a prescindere, che torna a leggere il proprio corpo nei suoi infinitesimi urbani e a inventare nuovi termini per definirli, che riesce a fisicizzare anche i bisogni temporanei delle sue

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comunità (solo pochi mesi fa le scritte a terra Black Lives Matter per ricordare la morte di George Floyd sono diventate nel mondo un immediato simbolo di centralità). Spesso quindi mi interrogo su quante parole restino ancora valide per raccontare la città, soprattutto quante per descriverne le parti in cui la sensibilità storica e ambientale può facilmente entrare in collisione con le regole costituite, in cui un principio di tutela mai aggiornato contribuisce a necrotizzarne

01. La fitta struttura interna del magazzino meccanizzato costruito negli anni Ottanta, cuore dei depositi ricambi ferroviari di Porto San Pancrazio, nel 2011 (foto di Nico Covre). 02-04. Vedute attuali degli ex depositi durante la fase di pre-cantiere (foto di Lorenzo Linthout).

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i luoghi, o in cui ogni radar d’attenzione si è spento da tempo. Sono luoghi opposti la piazza in centro e il piazzale per tir semi-dismesso in periferia, il palazzo signorile e la fabbrica fallita, il giardino storico e il giardinetto da lottizzazione sotto casa; ma vanno insieme verso lo stesso destino, anche verso lo stesso declino, e ad essi dobbiamo lo sforzo di elaborare un nuovo vocabolario. Un cittabolario. Un primo passo, se è vero come è vero che abbiamo davanti una stagione di riuso legato alle aree non solo urbane e non più rurali, può essere quello di sospendere la conta divisiva tra luoghi eccellenti e luoghi degradati. Il nostro infatti è un Paese obeso di data-base verticali compilati per ambiti omogenei mai relazionati tra loro; mentre l’obiettivo non facile di dare corpo a nuovi paesaggi deve essere il tentativo di stabilire dei nessi condivisi di senso proprio in quella dimensione non più rurale né urbana che caratterizza tanti insediamenti contemporanei. Sotto questo aspetto si potrebbe dire che i nuovi paesaggi sono come i monumenti della contemporaneità: fissano nello sprawl riferimenti e caratteri vitali per la comunità. Me ne accorsi nel 2008 scrivendo Paesaggi dall’acqua (con Franco Zagari, ed. Achab, in occasione del G8 Agricoltura), un saggio che si sforzava di restituire la centralità di ogni luogo urbano modificato dalla presenza dell’acqua; in quei contesti tutto cambia e la città non può fare scelte al ribasso, ma al rialzo. E ancora lo capii lavorando sul paesaggio come fosse un as found, vale a dire un (s)oggetto “come trovato”. As found è una intuizione che fece da titolo al grande Convegno di Copenaghen del 2010 (6th World in Denmark Conference at Forest&Landscape) e che rappresenta bene alcuni punti del mio personale percorso teorico e applicato, interessato in particolare a studiare i fenomeni evolutivi del paesaggio urbano contemporaneo, intendendo sia i paesaggi storici, sia i nuovi paesaggi, più difficili da mettere a fuoco. Il punto è: come percepire gli scenari del nostro quotidiano? Con nuove forme che ne accettino la crescente discontinuità? Qua-

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li caratteri e quali qualità di nuova centralità sono necessari per rappresentare i nostri valori estetici, etici, di conoscenza, soprattutto dove vi è urgenza di nuovo paesaggio? Quanto è adeguato il nostro immaginario per interpretare una possibile inversione di tendenza della caduta di qualità dell’habitat? Cosa è in noi trascurato e represso?

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PROGETTO

La città oggi è un paesaggio opposto

E ancora lo capii a Collodi, dove il nostro masterplan per il paese di Pinocchio si trovò in contraddizione con il Piano Paesaggistico Regionale che in quel punto, là dove si deposita la balena di Zanuso e il labirinto di Porcinai e gli edifici di Michelucci e soprattutto la piazza dei mosaici di Venturino Venturi… quel Piano, dicevo, prevedeva di far confluire due schede di riferimento paesaggistico che si davano le spalle: la prima, dal centro di Collodi verso Capannori a ovest, raccontava la piana rurale e le economie conseguenti; la seconda, dal centro di Collodi verso Pescia a est, raccontava il distretto del fiore reciso e le aree termali. In mezzo Collodi e il naso più famoso del Mondo, precipitati dentro questa profonda e incolore faglia urbanistica posta a dividere due retini e le norme conseguenti. E pure l’ho capito a Verona, dove da anni proponia-

« Solo progettando un nuovo equilibrio con il patrimonio culturale e ambientale, solo fissando nuovi sistemi di centralitàloisir-mobilità, si riuscirà a dare senso a insediamenti abitativi e produttivi »

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05. Collodi paese e il parco policentrico, Masterplan Collodi, 2015 (Asprostudio). Il rapporto dimensionale tra gli spazi aperti e i presidi edilizi evidenzia la scarsità di connessione tra la fascia di tessuto storico consolidato in sinistra fiume, la fascia verde a cavallo del fiume e la fascia di tessuto sparso in destra fiume.

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mo (in sinergia con gli studi ADV, DDV e Gaetano Rinaldo) di ricucire le parti di Porto San Pancrazio, del Giarol Grande e del Lazzaretto; grandi centralità compresse tra le linee di mobilità pesante e il fiume Adige, che meritano di smettere il ruolo di riserva indiana e di concorrere ad un ragionamento più ampio. Di qua i piani del ferro e il più grande magazzino di rifornimento di pezzi per treni del nord-Italia, di là la natura agricola di sponda fluviale e i suoi filari di cipressini; di qua il non-luogo per eccellenza, cioè un luogo che potrebbe stare in ogni luogo, di là un luogo modellato ogni stagione. Entrambi in movimento: uno su rotaia, l’altro sul dorso della meteorologia. Ma anche in quel luogo abbiamo fatto i conti con quella “sindrome da paesaggio opposto” e dovuto rinunciare a proporre che quelle centralità potessero riconnettersi sulla scorta di una vocazione comune all’accoglienza.

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claudio bertorelli

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Claudi Bertorelli (1973), paesaggista urbano, affronta da anni un percorso di ricerca operativa finalizzata alla costituzione di nuovi modelli nel campo dell’analisi urbana e della progettazione architettonica alle varie scale. Formatosi alla Facoltà di Ingegneria di Trieste, dove ha poi svolto attività didattica, ha fondato Centro Studi Usine (2002) e Aspro Studio (2003), strutture con le quali ha portato a termine molti interventi e processi di rigenerazione urbana e sociale. Partecipa con regolarità a seminari, workshop, talk, giurie e comitati scientifici. Ha contributo alla stesura dei contenuti della Legge Regione Veneto 6 giugno 2017 n. 14 sul “Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione urbana”. Nel 2020 ha co-ideato S-P-A-C-E (Social Proximity and Cultural Enpowerment), un collettivo di ricerca dedicato ai progetti che ibridano le competenze e lavorano sulle nuove relazioni spaziali.

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E così di recente l’ho ricapito a Genova, sotto il nuovo Ponte San Giorgio, dove il nostro progetto (con CZ Studio) per tutto lo spazio pubblico che dovrà rinascere dopo le macerie del Morandi proponeva un lavoro di interpretazione puntuale nei differenti ambiti di quel complesso pezzo di città attraversato da ogni infrastruttura possibile; ma ha perso di fronte alla semplicità di un gesto iconico e opposto, non necessariamente sbagliato. Dunque, quid noctis? L’unica condizione per una ricostruzione in qualità

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dell’habitat è saper accettare la nostra pesante eredità e rovesciarne l’asse psicologico: non più una sedimentazione infinita di oggetti ma la formazione di una nuova Polis. E solo progettando un nuovo equilibrio con il patrimonio culturale e ambientale, solo fissando nuovi sistemi di centralità-loisir-mobilità, si riuscirà a dare senso a insediamenti abitativi e produttivi, cominciando a rendersi conto che forse è necessario anche partire da un ridisegno amministrativo che riconosca l’autonomia di questa città e dei suoi paesaggi opposti.

www.asprostudio.it

06. Masterplan di progetto, Concorso Parco del Ponte, Genova, 2019 (Asprostudio con CZ Studio). Il palinsesto di progetto si regge su tre matrici fondative – idraulica, mobilità, ecologia – con lo scopo di rompere la rigida struttura imposta dai corridoi esistenti (il fiume e le direttrici in riva destra e sinistra, via Fillak, gli scali ferroviari...).

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PROGETTO

Palinsesto ritrovato

Il progetto per il restauro di palazzo Bocca Trezza si propone come elemento di rigenerazione urbana del quartiere di Veronetta all’interno delle azioni previste dal “Bando Periferie”

Progetto: Sinergo, A.c. M.e. studio, Mario Spinelli, Lorenzo Jurina, R.O.M.A. consorzio Testo: Giorgia Negri

Verona

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Su Veronetta si è scritto molto in passato, anche su questa rivista. Storico quartiere sulla riva sinistra dell’Adige, oggi al centro della vita universitaria ha un carattere culturale complesso; qui la convivenza tra residenti storici e nuove etnie immigrate (e attive da almeno due generazioni) fatica da sempre a trovare elementi di coesione sociale. Una ricerca condotta nel 2017 – frutto della collaborazione tra l’Università di Verona e l’Istituto LAALAVUE ENSA di Parigi (cfr. «AV» 113, p.78) – realizzata con il coinvolgimento diretto degli abitanti, ha avuto il merito di mettere le persone al centro dell’analisi urbana, con lo scopo di comprendere i tempi di vita del quartiere e le reti di relazioni sociali esistenti e potenziali. Con questo contributo, è stato sottolineato il problema della mancanza di spazi verdi e di aggregazione, oltre all’incuria e all’abbandono di vaste aree dismesse dal grande potenziale. Da qui l’inserimento di Veronetta nel Bando Periferie1, il che potrebbe suscitare inizialmente qualche perplessità, poiché al termine periferia siamo soliti associare le zone geograficamente più marginali. Ma il riferimento nel bando alle “aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza di servizi” e alla loro rigenerazione attraverso interventi di “manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione […] per l’inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano” dà conto dell’ampio progetto grazie al quale il Comune di Verona si è aggiudicato i fondi per realizzare una serie articolata di interventi su Veronetta (cfr. pp. 42-47) e che prenderanno avvio con il recupero di palazzo Bocca Trezza, uno dei tesori del quartiere.

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Le vicende del palazzo

Di origine rinascimenta le, palazzo Bocca Trezza si colloca tra le due principali arterie viabilistiche del quartiere, via San Nazaro e via XX Settembre, e può essere definito un edificio palinsesto, sopravvissuto nei secoli mutando la forma e le funzioni d’uso. Le sue origini risalgono all’epoca rinascimentale, quando Veronetta conobbe un periodo di grande splendore: il decollo economico del ceto mercantile portò alla costruzione di nuovi palazzi e case signorili, tra i quali palazzo Bocca Trezza. Chiamato all’epoca palazzo Murari, fu fondato dai Murari per ospitare la propria dimora e la sede della produzione tessile della famiglia; il giardino, costeggiato allora dal Fiumicello, era infatti il luogo dove venivano prodotti i pregiati tessuti. Il palazzo racchiude un patrimonio artistico di inestimabile valore; infatti, molti tra i più importanti artisti del panorama veronese del Cinquecento, come Paolo Farinati, Bartolomeo Ridolfi, G. Battista del Moro e altri, hanno contribuito ad arricchi-

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re il monumento con stucchi, fregi e dipinti con protagonisti ripresi dalla mitologia classica e dalla storia romana. Alla metà dell’ottocento, il palazzo fu venduto alla nobile famiglia dei Trezza, che ne modificò l’assetto originario: il corpo su strada che chiudeva la corte su via San Nazaro fu demolito, così come fu stravolto il volume delle scuderie su via XX Settembre. L’idea era di aprire la corte, prima nascosta all’interno – verso via san Nazaro –

01. Stato attuale della loggia del Farinati (foto di Giovanni Peretti). 02. Palazzo Bocca Trezza evidenziato nel tessuto del quartiere in una immagine aerea. 03. Uno dei ricchi apparati decorativi che arricchiscono il palazzo (foto di Diego Martini).

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PROGETTO

Palinsesto ritrovato

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04-05. Schemi esemplificativi dell’evoluzione storica del complesso attraverso i secoli e stato di progetto.

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06-07. Interno del corpo scale costruito negli anni ‘70 e spazi al secondo piano adibiti a laboratori per l’Istituto Nani (foto di Giovanni Peretti).

creando una nuova veduta sul giardino attraverso le arcate della loggia del Farinati. Un altro importante intervento vide la ristrutturazione parziale della porzione di edificio rivolta verso nord e d est, ricavando l’attuale corte minore su vicolo Fontanelle San Nazaro. Nel 1925 la famiglia Trezza, probabilmente per problemi economici, donò la proprietà del palazzo all’amministrazione cittadina, che dopo un primo restauro lo adibì a sede per le organizzazioni e associazioni fasciste. Successivamente, nel 1934, fu ceduto al Partito Nazionale Fascista che edificò la Casa del Giovane Fascista sull’angolo nord-est, ricavandola da uno dei due edifici ottocenteschi affacciati su via XX settembre. Dopo la guerra, il palazzo subì un secondo restauro per i danni bellici e varie trasformazioni necessarie per insediare, a partire dal 1970 e per i decenni successivi, l’Istituto d’arte Napoleone Nani. Con la Riforma Gelmini l’istituto fu chiuso, e dal 2010 l’unica presenza stabile è un continuo e inesorabile degrado.

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Dal 2011 diverse associazioni hanno operato all’interno dei giardini, organizzando eventi culturali e laboratoti con la partecipazione attiva di residenti e comunità etniche. Negli anni successivi le associazioni Dèsegni e D-HUB, gestendo i giardini del palazzo con cura e impegno, ne hanno restituito memoria e dignità. Nel 2015 il “Comitato Palazzo Bocca Trezza per Veronetta” proponeva un dibattito tra professionisti e cittadini sull’opportunità di un recupero del palazzo come innesco della rigenerazione urbana per l’intero quartiere (cfr. «AV» 101, p. 61). Sempre Dèsegni si è resa protagonista di una serie di eventi e dibattiti sull’importanza del palazzo inserendolo nell’ampia cornice urbana rappresentata dal tracciato dell’antica Via Postumia Queste azioni hanno costituito le basi culturali per la sua riqualificazione complessiva, suggerendo una serie di trasformazioni da attuare in un’ottica integrata che comprendesse aspetti sociali, economici, ambientali e culturali, tramite il coinvolgimento di più soggetti e fonti finanziarie.

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Il progetto definitivo

Dopo dieci anni di abbandono il recupero di palazzo Bocca Trezza è stato finalmente avviato. Il progetto architettonico definitivo, elaborato da un nutrito staff di professionisti, prosegue nello sviluppo esecutivo. Presupposto fondamentale di ogni azione è la conservazione del bene, basata su un accurato quadro conoscitivo, affinché sia possibile riconoscere l’edificio “quale palinsesto storico in divenire, preservando la memoria delle diverse trasformazioni che lo hanno interessato”2 . Fondamentale è interrompere il degrado e prevenire futuri meccanismi degenerativi degli elementi architettonici e degli apparati decorativi. Infiltrazioni d’acqua, danni bellici, incendi e restauri eseguiti con materiali poco idonei hanno nel tempo compromesso molti di questi elementi, sui quali è necessario intervenire tempestivamente: in particolare, le sale al piano terra decorate con stucchi e pitture murali, la loggia de-

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08-10. Simulazioni progettuali per l’utilizzo degli spazi interni per usi flessibili di tipo culturale e associativo.

corata dal Farinati, il grande salone al primo piano con un fregio affrescato, soffitti lignei di varie epoche in numerose sale e i fregi dipinti sui prospetti principali. Dal punto di vista del futuro utilizzo degli spazi, il Comune ha richiesto un percorso di co-progettazione – il cui processo è in fase di avvio – con lo scopo di coinvolgere diversi attori istituzionali e la cittadinanza nell’individuazione di funzioni e attività compatibili da insediare all’interno del “nuovo” Bocca Trezza, per favorire lo sviluppo delle economie locali, l’inclusione e l’interazione sociale. Nelle more dei tempi necessari per questo lungo percorso, i progettisti hanno dovuto affrontare la sfida di elaborare una proposta che facesse della flessibilità d’uso degli spazi l’imperativo principale, nella consapevolezza che l’esito favorevole delle operazioni di “rigenerazione architettonica” e sociale è fortemente correlato ad alcuni parametri: il livello di apertura e accessibilità, il grado di flessibilità d’uso degli spazi e alla

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PROGETTO 11. Il prospetto est su vicolo Fontanelle San Nazaro. 12. Fronte su via San Nazaro, stato di fatto e di progetto. 13. Simulazione progettuale con l’inserimento della quinta verde nel fronte su via San Nazaro.

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Palinsesto ritrovato 14. Sezione sulla corte, raffronto tra stato di fatto e di progetto. 15. Piante di progetto ai piani terra, primo e secondo.

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possibilità di ospitare funzioni e attività diverse, anche in contemporanea. Una rilettura architettonica dell’intero complesso, in modo da adeguare l’accessibilità e la fruibilità degli spazi alle norme e soprattutto alle future esigenze, ha previsto la collocazione di nuovi accessi indipendenti, di porte “diaframma” per dividere gli spazi, e di impianti con un grado di flessibilità elevato, faciliterà l’insediamento delle attività senza dover ricorrere ad ulteriori interventi edilizi. Gli interventi principali riguardano l’adeguamento dei collegamenti verticali, con la riattivazione della scala storica nel corpo cinquecentesco e la demolizione della scala costruita negli anni Settanta nella corte minore, dove al suo posto verrà realizzato un nuovo corpo scala vetrato; all’interno brevi rampe in acciaio collegheranno i livelli sfalsati dell’edificio ottocen-

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tesco con quelli dell’ala storica rinascimentale. La facciata del nuovo volume sarà protetta da un frangisole in metallo brunito disposte verticalmente e con diversi gradi di torsione per conferirle leggerezza. La corte minore su cui guarda il nuovo corpo sarà inoltre modellata su un’ampia gradonata per dare accesso al livello interrato, direttaamente da vicolo Fontanelle. L’accesso principale al palazzo, che fino al 2010 avveniva dalla Sala delle Grottesche, rimarrà da via San Nazaro tramite una nuova apertura nel prospetto cieco dell’ala nord-est; la nuova hall sarà dotata di un nuovo corpo scale inter-

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no e di un ascensore. Sempre su via San Nazaro sarà realizzato un volume verde per ricomporre visivamente la cortina edilizia verso la strada sul sedime del corpo demolito all’epoca della famiglia Trezza. Questa “chiusura” assolve una funzione sia visiva, sia di filtro e protezione della corte San Nazaro rispetto alla strada, e cerca inoltre di instaurare un rapporto con il giardino a sud. Il giardino, infatti, costituisce un altro elemento essenziale nella strategia di rigenerazione urbana. Sarà ridisegnato riproponendo le geometrie storiche raffigurate nei catasti ottocenteschi, con vialetti in selciato alla

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PROGETTO 16. Il giardino all’italiana del palazzo nella mappa del Catasto Napoleonico (1815). 17. Fotoinserimento nel contesto urbano con la planimetria di progetto del giardino. 18. Simulazione progettuale del fronte su via XX Settembre con la nuova quinta vegetale tra la Casine e le Scuderie.

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Palinsesto ritrovato 19. Sezione prospettica di progetto: in evidenza la gradonata di accesso al livello interrato e il nuovo corpo scale. 20. La facciata del nuovo corpo scale sarà protetta da lame frangisole in metallo brunito disposte verticalmente.

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medesima quota dei parterre erbosi; l’assenza di “barriere” quali siepi o aiuole e la disposizione di arredi mobili favoriranno l’uso di questo spazio in modo libero e flessibile. Infine i due edifici (una volta uniti) sul fronte di via XX Settembre, la Casina e le Scuderie, vanno a completare la riqualificazione del complesso. La Casina sarà completamente riorganizzata valorizzando il rapporto diretto con il giardino, e con l’inserimento tra i due piani di una scenografica scala elicoidale centrale e di un ascensore vetrato esterno, rivestito da un brise-soleil analogo a quello del nuovo corpo scale del palazzo. Per l’edificio delle Scuderie che costituisce da anni la sede di alcune associazioni, saranno previsti sostanzialmente interventi di manutenzione straordinaria e confermata l’attuale destinazione.

L’intero progetto è sviluppato in HBIM (Heritage Building Information Modeling), che permette una restituzione tridimensionale del monumento molto dettagliata e completa della mappatura del degrado; inoltre il modello costituisce un interfaccia utile per la progettazione integrata (adeguamento sismico, impianti ecc.) e racchiude tutte le informazioni necessarie alla gestione dell’edificio nel tempo, rappresentando una importante eredità per l’amministrazione pubblica e i futuri gestori.

1 DPCM 25 maggio 2016, Bando per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie. 2 Relazione tecnico illustrativa generale del progetto definitivo, p. 41.

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restauro di palazzo bocca trezza Progetto definitivo ed esecutivo Committente Comune di Verona - Area LL.PP. RUP: arch. Guido Paloschi

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Progettisti Coordinamento generale, impianti e integrazioni specialistiche delle opere architettoniche: Sinergo (arch. Alberto Muffato, arch. Leonardo Monaco Mazza, ing. Filippo Bittante) Opere architettoniche: A.c.M.e. studio (arch. Giovanni Castiglioni), arch. Mario Spinelli Strutture: prof. ing. Lorenzo Jurina, ing. Edoardo Radaelli Restauro: R.o.m.a. consorzio (dott.ssa Cristina Beltrami, dott.ssa Simona Vuerich) Sicurezza: ing. Armando Merluzzi Indagini archeologiche: dott.ssa Cinzia Rampazzo-Semper Indagini geologiche: dott. Matteo Collareda. Acustica: per. ind. Cristian Bortot-Sinthesi Aspetti ambientali: arch. Elisa Sirombo consulenti Progetto di rigenerazione: arch. Pierluigi Grigoletti Ricerca storica: arch. Michele De Mori Rilievo: arch. Fausto Randazzo Indagini diagnostiche): dott.ssa Mirella Baldan Coprogettazione: Socialseed dott. Nico Cattapan Esperti: arch. Filippo Soave, arch. Michele Irlandini Cronologia Progetto definitivo: luglio 2020

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PROGETTO

Bando ai restauri

I recuperi del Silos di Levante e di altri due edifici entro il recinto di Santa Marta compongono, assieme a Palazzo Bocca Trezza e con il volano del Parco Passalacqua, gli interventi del Bando Periferie

Testo: Nicolò Olivieri

Verona

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Con il volano del Bando Periferie, il grande mosaico degli interventi per Veronetta iniziato con il recupero del comparto delle ex caserme Santa Marta e Passalacqua prende finalmente l’abbrivio. In primo luogo con il restauro del Silos di Levante, dopo che quello di Ponente e il Panificio, assegnati all’Università di Verona, sono già stati oggetto di una serie di interventi – portati a termine nel 2015 – che sono valsi tra l’altro la Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana della Triennale di Milano (cfr. «AV» 104, pp. 12-22). Saranno inoltre recuperati l’edificio binato della Guardiania, attestato su via Cantarane, che dà accesso al medesimo recinto di Santa Marta e la cosiddetta Casa del Capitano posta alle sue spalle. Rientra nel progetto urbano per Veronetta anche l’ampio lotto della ex caserma Passalacqua, comprendente a sua volta la realizzazione del parco urbano (per il quale si rimanda all’articolo seguente), una residenza universitaria, impianti sportivi all’aperto e al chiuso, parcheggi e servizi di quartiere. Tali opere partecipano al Bando Periferie come quota già a disposizione – in quanto già finanziate dall’accordo tra il Comune di Verona e i soggetti privati che stanno realizzando il recupero dell’area sulla base di una convenzione stipulata nel 2012 – e pertanto non concorrono ai fondi statali ottenuti per i lavori a Santa Marta assieme a quelli per Palazzo Bocca Trezza. L’insieme dei lavori previsti , una volta portati a compimento (è ora in corso lo sviluppo della fase esecutiva), costituirà non solo per il quartiere, ma per la città intera una grande opportunità strategica di valorizzazione storica, architettonica ed urbana.

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Il Silos di levante

Fedeli all’impianto compositivo e funzionale originale di epoca austriaca, i due silos del complesso di Santa Marta si rincorrono costantemente nella storia, specchiandosi l’uno con l’altro. Ma se per quello di ponente, sostanzialmente libero nelle planimetrie interne, il progetto di recupero ha potuto giocare sul tema delle “scatole contenute dentro un contenitore” per inserire le nuove aule universitarie (cfr. Contenuto e contenitore, in «AV» 85, pp. 12-24), il suo “gemello diverso”, il silos di levante si presenta già come una scatola – l’edificio austriaco – molto manipolata dall’esercito italiano, che ricostruì al suo interno tutte le strutture. Gli spazi si presentano così divisi in due: la prima metà contiene ventidue silos di cemento armato che hanno preso il posto di quello originali metallici, mentre l’altra porzione è suddivisa da quattro impalcati collegati da una scala e un elevatore. Una scala elicoidale in pietra occupa il volume

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01. Veduta del Silos di Levante, uno dei due edifici a servizio della ex Provianda di Santa Marta. 02. Planimetria generale di Veronetta con evidenziati gli interventi previsti grazie al Bando Periferie. 03. Il Silos di Levante prospetta sul gemello di Ponente, a destra, già recuperato e destinato ad aule universitarie (foto di Lorenzo Linthout).

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PROGETTO

Bando ai restauri

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sulla testa nord dell’edificio, mentre addossato al lato lungo orientale vi è un corpo di fabbrica a un unico piano. Il progetto di recupero assume un atteggiamento conservativo rispetto a tutte le parti, comprese quelle di epoca italiana: i silos cementizi vengono musealizzati per apprezzarne la singolarità spaziale. Una nuova scala è ricavata dal taglio verticale della batteria dei cinque silos posizionati sulla facciata est; attraverso la scala e una serie di passerelle ad altezze e andamenti differenti consente la realizzazione di percorsi espositivi. Le botole superiori di ciascun silos verranno sostituite da prismi vetrati in corrispondenza di lucernari ricavati in copertura, per condurre la luce naturale al loro interno fino al suggestivo spazio al piano terreno. La riapertura delle arcate prospicienti il silos di ponente – unico ripristino delle forometrie originali – è pensato anche per il ruolo di “piazza” tra i

due edifici, con l’ipotesi progettuale di elementi vetrati di copertura. Nei rimanenti spazi è previsto l’inserimento di blocchi di servizi igienici ai vari livelli, funzionali agli usi previsti (punti di ristoro e sale di lettura per la vita studentesca). Per l’impiantistica, tenuto conto della mancata disponibilità di uno spazio a pavimento e della volontà di non realizzare tracce a muro, la scelta è di tenerla totalmente a vista. Contrariamente al silos gemello, per il quale non sono state reintonacate le facciate prive di paramento, la scelta di progetto in questo caso prevede il rifacimento degli intonaci ammalorati e il ripristino delle parti mancanti, con una chiara distinzione nei punti di contatto tra porzioni originali e nuove.

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04. Silos di Levante progetto definitivo: piante ai vari livelli. 05. Sezione trasversale sulle tramogge in cemento armato con le nuove passerelle di progetto. 06. Progetto definitivo, analisi del degrado del fronte est. 07-08. Vedute degli spazi interni allo stato attuale. 09. Nello spaccato assonometrico sono evidenziati i nuovi percorsi di progetto.

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Bando ai restauri

PROGETTO

10. Piano d’insieme della Provianda di Santa Marta (1865). 11. Veduta con il Silos di Levante a sinistra, la Casa del Capitano al centro sul fondo e la Guardiania sulla destra. 12. Il fronte su via Cantarane. 13, 16. Guardiania, progetto: pianta, sezione e prospetti. 14. La Casa del Capitano e, sul fondo, il Silos di Ponente. 15. Casa del Capitano, progetto: sezione, prospetto e piante.

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Guardiania e Casa del Capitano

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Per gli edifici minori del complesso, la Guardiania e la Casa del Capitano, sono previsti interventi di restauro conservativo rispettosi dell’immagine storica , degli elementi architettonici e dei materiali originari., oltre al necessario adeguamento di servizi e impiantisti e a un riassetto funzionale per gli usi previsti (sede della Delegazione dei Vigili Urbani e spazi per associazioni nella guardiania, servizi poliambulatoriali nella casa del capitano). L’edificio posto all’ingresso della caserma di Santa Marta su via Cantarane è costituito da due corpi separati collegati tra loro da una pensilina metallica ad arco ribassato. La costruzione è almeno parzialmente risalente al periodo asburgico: il progetto per il complesso della Provianda prevedeva infatti una sorta di ingresso “monumentale” a due piani, con un accesso coperto e carrozzabile centrale tra due corpi di guardia aggettanti, a loro volta collegati mediante due ali per-

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riqualificazione urbana del quartiere di veronetta Committente Comune di Verona Area Lavori Pubblici RUP: arch. Guido Paloschi RUP Università di Verona (Silos): arch. jr. Elena Nalesso

fettamente simmetriche a due speculari corpi di fabbrica. L’altro edificio, posto nell’angolo nord-ovest del recinto, è una costruzione risalente sicuramente al periodo post asburgico, quando l’area era occupata dall’esercito italiano. Presumibilmente aveva una destinazione mista, con abitazione al piano primo (da qui forse la denominazione Casa del Capitano), mentre il piano terra era più a servizio della vita di caserma, con alcuni spazi destinati a macelleria (come farebbe pensare la presenza nella sala accanto all’ingresso principale di un grande tavolo in marmo, di un pavimento a compluvio, del rivestimento in seminato e dei ganci alle pareti). L’edificio riprende le forme dell’architettura liberty, con uno sviluppo simmetrico accentuato dal modesto aggetto del corpo di fabbrica centrale e dalle terrazze laterali. Le aperture finestrate ad arco richiamano quelle degli adiacenti edifici ispirati al gusto neoromanico.

restauro e recupero funzionale del silos di levante Progetto definitivo Architer: arch. Gian Arnaldo Caleffi, arch. Federico Baruffaldi, arch. Giulia Girardi, arch. Enrica Nicito Clabster (impianti), I&G (strutture), arch. Lino Vittorio Bozzetto (ricerca e analisi storica), geom. Simone Sandrini (rilievi), dott. geol. Piersilvio Compri (indagini geologiche), SAP (indagini archeologiche) Casa del capitanoguardiania Progetto definitivo Uff. tecnico Comune di Verona Edilizia Monumentale Civile Impiantistica - ing. Segio Menon, arch. Serena Bresciani Arcade - arch. Mario Bellavite

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PROGETTO

Appuntamento al parco La connessione con il quartiere quale strategia di riscoperta dell’impianto storico della cinta magistrale in sinistra Adige nel progetto per il parco Passalacqua collegato al Bando Periferie

Progetto: West8

Testo: Damiano Capuzzo Immagini: Š West 8

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La cinta urbana in sinistra Adige inizia con il torrione merlato realizzato da Antonio dalla Scala in prossimità del fiume come capo della catena di sbarramento, e prosegue a est attraverso i bastioni difensivi di Campo Marzio e delle Maddalene, per connettersi quindi a Porta Vescovo e continuare verso l’area collinare. Ai lati dell’imponente bastione di Campo Marzio, si posizionano rispettivamente Porta Vittoria (1838), che sostituisce una porta scaligera e Porta Campo Marzio, realizzata per consentire il transito dei convogli ferroviari dalla vicina stazione di Porta Vescovo all’interno dell’area sede del-

01. Fotosimulazione dall’alto di una delle “Stanze” contemplative all’interno del Parco Urbano. 02. L’area del futuro parco nelle condizioni attuali, con la Provianda di Santa Marta sulla destra (foto «AV»). 03. Planimetria generale dell’intervento.

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« Il disegno recepisce le peculiarità di un sito che presenta tratti morfologici dal forte carattere testimoniale » le strutture militari di supporto alle truppe poste a presidio della città, secondo il piano asburgico di costruzione di grandi stabilimenti militari la cui collocazione strategica derivava proprio dalla vicinanza alla ferrovia, dalla quale una diramazione di binari giungeva appunto all’interno del campo, sia in prossimità del panificio che della grande Piazza di Campo Fiori. Nel complesso rientrava l’importante area della Provianda (1863-65), con la fabbrica destinata a panificio e la coppia di silos per la conservazione dei cereali (un terzo edificio amministrativo su via Cantarane rimase incompiuto), ad oggi splendida testimonianza di quel periodo. L’area così brevemente riassunta, è oggi al centro di un importante progetto di riqualificazione urbana, le cui

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PROGETTO 04. Intime vie secondarie in pietra ritmano il Parco Urbano connettendo le aree addossate al quartiere al Percorso Monumentale (© West 8).

Appuntamento al parco

ampie prospettive mirano alla generazione di dinamiche inclusive, capaci di connetterne gli spazi al quartiere di Veronetta, proponendo nuove identità per quei luoghi precedentemente utilizzati a scopi militari. L’iter progettuale e il programma di riconversione urbana, hanno inizio nel 2010 con il coinvolgimento di partners locali e dello studio West 8, firma internazionale di landscape e

urban design, quale capofila del disegno degli spazi pubblici che definiscono la piattaforma di supporto all’intera realizzazione; se l’intento è infatti quello di giungere all’unione tra l’Università e il quartiere cittadino che la ospita anche attraverso la realizzazione di nuovi servizi a carattere residenziale, commerciale e sportivo, è certamente nel dialogo tra i singoli brani funzionali che il parco si prefigge di

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introdurre le condizioni necessarie a collegare i nuovi percorsi al tessuto esistente, stabilendo quelle condizioni di fruibilità e permanenza che si rivelano indicatori del successo dello stesso spazio pubblico rendendolo riconoscibile in termini di qualità percepita (al di là della mera presenza iconica). Il progetto propone, oltre al restauro delle fortificazioni, la trasformazione del sito in abbandono attraverso un segno fresco e contemporaneo che inserendosi armoniosamente nella trama cittadina, conduce alla riscoperta del quadro storico mediante la creazione di nuovi ambienti verdi di eterogeneo utilizzo. Presupposto di un progetto mirato a una forte ridefinizione spaziale è l’eliminazione delle presenze volumetriche prive di valore storico, a favore di una nuova e riconoscibile centralità pubblica per la parte meridionale del quartiere, perseguita attraverso l’inserimento nelle vaste aree libere della caserma Passalacqua, di un parco urbano da considerarsi, a scala cittadina, generatore di un futuro e organico Parco delle Mura Magistrali e alla scala di quartiere, elemento di connotazione identitaria dei luoghi. Il disegno recepisce le peculiarità di un sito che presenta ad oggi tratti morfologici, porzioni edificate e percorsi, dal forte carattere testimoniale, proponendo una valorizzazione derivante sia dalla reinterpretazione del layout militare, sia dall’introduzione di una diversa scansione ritmica delle porzioni di paesaggio, così da ridurne la percezione di grande scala migliorando la fruibilità e l’alternanza di vedute, fattore caratterizzante del fascino stesso dei grandi parchi. L’importante dimensione dell’intervento, che nella sua interezza supera i duecentomila metri quadrati, è af-

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frontata attraverso una suddivisione in aree tematiche, con l’intento di creare un’alternanza di scenari che se da un lato risulta necessaria a catturare specifiche percezioni, diviene altresì supporto alla narrazione delle peculiarità storiche che il percorso attraversa. Il progetto individua dapprima un Sentiero Monumentale, principale via di attraversamento del parco, collegato alle diverse aree a carattere residenziale e sportivo e quindi al tessuto urbano esistente anche attraverso vie alberate secondarie; il sentiero instaura una diretta relazione di appartenenza con la parte storica, ponendosi quale principale mezzo di connessione visiva tra il parco e il sistema di fortificazioni, dove presenze vegetazionali minime garantiscono significative vedute, apprezzabili anche dalle panchine in pietra poste all’ombra degli alberi di Ginko Biloba che segnano il passo. Cuore del progetto è il Parco Urbano, zona più rigogliosa e vibrante dove l’alternanza di fitti filari alberati articola lo spazio in maniera giocosa, con proporzioni e colori mutevoli in funzione di un’alta variabili-

Committente A.T.I. Recupero PassalacquaSanta Marta - SAR.MAR. SpA Progetto parco West 8 team progettuale Robert Schütte, Daniel Vasini, Rikus Beekman, Freek Boerwinkel, Juan Figueroa Calero, Giulia Frittoli, Rob Koningen, Perry Maas, Elena Nicastro, Attilio Ranieri, Eva Recio, Ben Wegdam 05

Project management MP&T engineering Consulenti arch. Lino Vittorio Bozzetto Studio Feiffer&associati (restauro mura) Cronologia Progetto definitivo: 2016

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05. Scorcio di una delle “stanze” dedicata alla contemplazione del Parco Urbano, vista dal Sentiero Monumentale. 06. Il prato che fronteggia la Provianda, con uno dei riquadri in pietra a ricordare la presenza di antichi pozzi. 07. La zona di ingresso al Percorso Monumentale in prossimità del Polo Didattico G. Zanotto.

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Appuntamento al parco

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tà delle specie arbustive introdotte; è nica eccezione al segno, indicando la una visione che nella descrizione dei presenza di pozzi storici riemersi duprogettisti rimanda alle disposizioni rante le fasi di indagine. di un battaglione di soldati, che qui Per il maestoso Bastione di Camritroviamo in veste pacifica a rega- po Marzo (1565 con aggiornamento lare ristoro. Episodici e curiosi vuoti asburgico del 1840), è previsto un inpensati come ‘’stanze nel bosco’’ mar- tervento di ripristino parziale dei procate da bordi in pietra, rappresentano fili originari dove sarà facile trasforluoghi di attività o contemplazione, mare il prato in un palcoscenico per mentre altrettanto intime vie secon- attività culturali ed eventi, lasciando darie del medesimo materiale, ricol- intatta la percezione della struttura legano le aree di servizio addossate al storica ed elevandola a belvedere sugli quartiere con il spazi circostanti. « La strategia percorso MonuLa riflessione a mentale aggiunmonte della stradi progetto testimonia gendo ritmo al un radicamento nel valore tegia di progetto disegno e all’uso testimonia un rasimbolico e nell’innegabile dicamento nel vadel parco. fascino delle antiche Spostando lo lore simbolico e sguardo verso nell’innegabile fastrutture difensive » la Provianda di scino delle antiche Santa Marta, maestoso edificio re- strutture difensive quali comprovati centemente restaurato e consegnato attrattori di interesse, amplificandoal Campus Universitario, il progetto ne l’eco nella realtà urbana prossima. dello spazio comune rientra in un’aura Così si può traguardare un vicendedi rispettoso rigore, introducendo un vole scambio di flussi e favorire l’ingrande prato circoscritto con accezio- serimento delle attività del parco nel ne monumentale, da un doppio fila- quartiere a beneficio di una maggiore di alberi di Tiglio, che suggerisce re qualità dello stesso, mantenendo al la percezione di una rivisitata piazza contempo viva l’eterogenea presenza verde racchiusa da un colonnato d’al- di utilizzatori di uno spazio pubblico beri, a garantirne quel senso di prote- che qui diviene capace di una comunizione proprio dell’ambiente cittadino; cazione dinamica (e mai fossile) della tre cornici in pietra definiscono l’u- storia.

West 8 è uno studio internazionale di design urbano e architettura del paesaggio fondato da Adriaan Geuze nel 1987, con uffici a Rotterdam, a New York e in Belgio che occupano un team internazionale di oltre 70 architetti, paesaggisti e ingegneri. Lavorando a livello internazionale fin dagli esordi, West 8 ha sviluppato progetti in tutto il mondo, molti dei quali sono il risultato di proposte innovative in importanti concorsi internazionali. Concorsi vinti di recente includono West Kowloon Cultural District Park (HK), Governors Island a New York (USA), Madrid Rio (ES), Sagrera Linea Park (ES) e Yongsan Park a Seoul (KR). Lo studio ha ricevuto numeo si premi ed è stato anche finalista per il Rosa Barba First European Premio del paesaggio. www.west8.com

08. Veduta prospettica del parco urbano che sarà realizzato nell’ambito del programma di recupero delel ex caserme Santa Marta e Passalacqua. 09. Il Sentiero Monumentale nel punto di incrocio con una delle vie secondarie che ne ritmano la scansione.

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PROGETTO

Una porta a quattro ruote

Il progetto per il rimodellamento del casello di Verona Sud ripensa il suo ruolo di scambiatore intermodale tra infrastruttura, paesaggio urbano e mezzi di trasporto

Testo: Laura Bonadiman

Verona

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01. L’attuale ingresso in città dal casello autostradale di Verona Sud. 02. Veduta aerea di insieme dell’area su cui insiste l’attuale casello di Verona Sud. 03. Fotoinserimento del nuovo progetto presentato all’interno dello studio di fattibilità, con indicazione dei nodi viabilistici.

Quali sono le porte della città contemporanea? Se è facile riconoscere quelle ereditate dal passato monumentale di Verona, inscritte come sono nelle successive cinte murarie che hanno definito la forma urbis, è altrettanto inevitabile ascrivere ai gates autostradali il ruolo di varco fisico e simbolico tra infrastruttura viaria e tessuto urbano che hanno assunto da tempo: punti di flesso nella quotidiana e spesso involontaria percezione in movimento degli spazi che abitiamo, sia pure su quattro ruote. Una delle principali porte di accesso alla città e al suo centro è il casello autostradale di Verona Sud. La necessità di un suo adeguamento è in agenda da tempo, a causa dell’elevata pressione veicolare a cui viene sottoposto quotidianamente. Allo sviluppo avvenuto nel tempo dell’intero quadrante urbano, in particolare in chiave direzionale, va aggiunto il futuro sviluppo in prossimità di aree commerciali e logistiche (in località Marangona e Forte Azzano), oltre alla

« Lo scambio intermodale tra mezzo privato, mezzo pubblico (filobus) e le varie modalità di trasporto leggero è al centro di una ipotesi suggestiva definita “piazza ipogea” »

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previsione in prospettiva della quarta corsia autostradale, della variante alla SS12 e soprattutto del complesso nodo di relazione con il parcheggio scambiatore e con terminal del filobus (nelle varie declinazioni che potrà comunque assumere) in località Genovesa, immediatamente a sud dell’attuale casello, dove pure già insistono importanti attrezzature urbane (Motorizzazione Civile, Consorzio Bonifica Veronesi) e altre sono previste (Comando provinciale Vigili del Fuoco). Il tutto andrà sicuramente a impattare ancor di più sulla situazione odierna già fragile: un biglietto da visita non ottimale per la città. Una prima ipotesi per la revisione dell’intero nodo viario di Verona Sud, avanzata a partire dal 2007, è stata sottoposta a una revisione integrale che ha portato a un nuovo schema pro-

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PROGETTO

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04-06. Schemi esplicativi della nuova situazione viaria di progetto: lo sdoppiamento delle corsie di accesso verso sud, il percorso in sede riservata per il filobus, l’ampliamento della rete ciclabile con l’aggiunta di nuovi percorsi. 07. Veduta dall’alto dell’attuale casello: sullo sfondo a sinistra la torre Serenissima.

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gettuale, esito di una gara per un nuovo studio di fattibilità tenutasi nel 2019 e pensata quasi come un concorso di idee. Oggi lo studio, giunto al livello di progetto di fattibilità, è inserito nel 2020 nel piano finanziario degli investimenti previsti dalla società Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova (Gruppo A4 Holding). Il progetto prevede lo sdoppiamento del casello autostradale a nord e a sud dell’asse viario, soluzione che è risultata la più efficace nella prospettiva di ridistribuzione del traffico; infatti l’ipotesi alternativa di specchiare l’intero casello a sud dell’A4 avrebbe semplicemente riproposto gli attuali problemi di interferenza con le altre vie di traffico. Chi proverrà da Milano e uscirà a Verona Sud potrà utilizzare

il nuovo casello a sud dell’autostrada, così come in uscita dalla città verso Venezia; in senso contrario (da Venezia entrando a Verona, e da Verona in uscita per Milano) verrà riutilizzato il casello attuale a nord dell’asse viario. I flussi veicolari nord-sud verso la città, ad oggi concentrati principalmente su viale delle Nazioni, verrebbero secondo il nuovo progetto distribuiti su tre direttrici parallele: viale delle Nazioni al centro, strada della Genovesa-via Morgagni a ovest e via Vigasio-via dell’Esperanto a est, evitando così l’attuale concentrazione sul nodo tra via Fermi e via Gioia. Con l’innesto della variante alla SS 12 in località Marangona verrà evitato un ulteriore livello di interconnessione nell’area del casello; una corsia riservata per il trasporto pubblico verso il terminal e il parcheggio scambiatore alla Genovesa consentirà tempi di percorrenza minori e più sicuri anche durante le manifestazioni fieristiche. È previsto, inoltre, l’ampliamento della rete ciclabile esistente, con la creazione di nuovi itinerari, oltre ai collegamenti con il grande parcheggio scambiatore, che consentiranno di lasciare le auto e muoversi più facilmente con i mezzi pubblici. Proprio lo scambio intermodale tra mezzo privato, mezzo pubblico (fermata del filobus) e le varie modalità di trasporto leggero è al centro di una ipote-

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Committente Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova SpA - A4 Holding Capo commessa: arch. Mirco Panarotto team di progetto Ing. Gianmaria De Stavola (responsabile integrazione tra le varie competenze specialistiche) ing. Rolando Tonin (progettista) ati progettisti E-Farm engineering&consulting Proteco engineeering Seingim engineering&management Sogen Nexteco gestione progetto ambiente Studio Pasetto ingegneria delle infrastrutture Geoservizi2

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Cronologia Studio di fattibilità: 2019 Progetto di fattibilità tecnica ed economica: luglio 2020

08. Render del nuovo svincolo di entrata-uscita a sud del fascio autostradale in località Genovesa. 09. Planimetria generale dell’intervento.

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Una porta a quattro ruote

PROGETTO

al volante La simulazione digitale consente di visualizzare i nuovi percorsi di entrata e uscita dalla città attraverso il casello autostradale di Verona Sud una volta portati a termine i lavori di rimodellamento previsti dal progetto qui presentato. Oltre al sedime dell’attuale uscita, verrà interessata anche l’area speculare a sud del fascio autostradale, innestandosi in particolare con il nuovo parcheggio scambiatore in fase di realizzazione in località Genovesa, a sua volta connesso con il capolinea e il deposito mezzi della filovia. La tempistica del progetto di rinnovo del casello – fine lavori prevista nel 2029 – dovrebbe far sì che nel frattempo vengano positivamente risolte le problematiche relative alla cantierizzazione del filobus.

video https://vimeo.com/474970242

10. La nuova rotatoria “Europa” con la piazza ipogea, opere previste nel secondo lotto dei lavori (2028-2029).

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si suggestiva definita “piazza ipogea”: un complesso nodo su due livelli al centro di una rotatoria posta immediatamente a sud della Torre Serenissima, landmark territoriale per chi esce dal casello oltre che “faro” verso sud in uscita dalla città. Il termine “piazza” è sicuramente ambizioso se pensiamo alla grande tradizione dello spazio pubblico condiviso all’interno della città storica: reinventarne la forma, gli usi e i significati all’interno di una infrastruttura viabilistica mette in campo le forme del vivere contemporaneo, che ci piaccia o meno sempre più in movimento tra sistema di trasporto e l’altro. Hub vitale o semplice interazione mordi e fuggi? La scommessa è aperta ai futuri sviluppi progettuali. Del resto, la realizzazione dell’opera è prevista in due lotti funzionali, da realizzarsi “a cuore aperto”, senza interrompere cioè la normale operatività del casello, del filobus e della viabilità locale durante i lavori. Il primo (2024-2025) prevede la realizzazione del nuovo asse di collegamento lungo via Morgagni-Genovesa, sul quale possa essere deviato il traffico esistente e che colleghi la città, la tangen-

ziale, il parcheggio con terminal filoviario e la rotatoria di Vigasio. Il secondo lotto, previsto nel 20282029, vedrà la realizzazione dello sdoppiamento del casello autostradale e della rotatoria Europa con la piazza ipogea. Entro quel termine che appare lontano potranno trovare risposta anche alcune domande legate soprattutto all’impatto paesaggistico del futuro assetto del nodo infrastrutturale. Ad oggi – ma siamo solo agli inizi dell’iter progettuale - risulta ancora da approfondire una possibile dimensione “verde” dello snodo, che faccia da contraltare all’inevitabile “nero asfalto” delle carreggiate. Tante volte si sono visti realizzare progetti impegnativi e assai onerosi ma impattanti e quasi dimentichi degli spazi di risulta, considerati i destinatari di un semplice e genericamente riempitivo ambientale a posteriori. Il coinvolgimento di professionalità progettuali legate ai temi del paesaggio – sì, esistono persino i “paesaggisti”, confratelli ordinistici degli architetti spesso dimenticati – appare necessario in una visione che tenga conto del ruolo urbano del nuovo casello, destinato a conferire un volto nuovo ad uno

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11. Focus sulla nuova piazza ipogea, sede di scambio intermodale tra mezzo privato e pubblico. 12. Particolare dal piano strada della piazza ipogea. 13. Veduta notturna del progetto: la rotatoria e il nuovo piazzale di uscita in prossimità di via Flavio Gioia, a ridosso della torre Serenissima.

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degli ingressi principali della città oltre che a risolvere – ed è un valore non certo trascurabile – il congestionamento del traffico della zona e migliorarne la vivibilità. L’auspicio è che un dialogo tra le figure coinvolte, a partire dalla pubblica amministrazione e dalla società concessionaria dell’infrastruttura, possa sviluppare confronti e sinergie multidisciplinari che contribuiscano alla riuscita non solo di un grande progetto viabilistico, ma anche di un reale salto di qualità e bellezza per la nuova “porta” della città.

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STORIA & PROGETTO

prospettive della fede

Una ricognizione sul disegno architettonico attraverso i materiali d’archivio di Gelindo Giacomello, professionista veronese la cui opera è stata incentrata sui temi dell’architettura ecclesiastica

Testo: Federica Guerra

Provincia di Verona

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Quando si mette mano a un archivio per ordinarlo e renderlo fruibile, la prima materia con cui si entra in contatto è quella dei lucidi arrotolati e polverosi, delle eliocopie ingiallite, dei faldoni sgangherati e disordinati, dell’odore della china e della matita. Quei disegni, che odorano di fatica e impegno, vengono inghiottiti da uno scanner che ci restituisce un oggetto nuovo, un file, sicuramente più interscambiabile, archiviabile, tramandabile. Ma disvelare quelle sudate carte apre a una sorpresa emozionante e soprattutto accende spazi di riflessione su temi che travalicano i contenuti dell’archivio stesso, aprendosi ad alcune considerazioni più generali. Tutto ciò è accaduto a seguito della recente donazione, da parte della famiglia, dell’archivio di Gelindo Giacomello alla Biblioteca Civica di Verona1. «ArchitettiVerona» si era già occupata di questa figura2 come rappresentate di quella ristretta cerchia di architetti veronesi che. tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del Novecento, concentrarono la loro attività intorno al tema dell’architettura ecclesiastica, ritagliandosi uno spazio di professionalità a tratti comparabile, pur nella sua connotazione di provincialità, con quella delle figure più importanti dell’architettura italiana dell’epoca. La recente donazione diventa pretesto, quindi, per divulgare i bellissimi disegni di Giacomello e per proporre alcune riflessioni sul tema del complesso rapporto tra composizione e rappresentazione, che mai come oggi risulta centrale nel dibattito sulla qualità dell’architettura. Gelindo Giacomello nasce a Serego Vicentino nel 1918 da una famiglia cattolica di modesta estrazione sociale. L’unico dei numerosi figli che dimostra capacità e talento è Gelindo, che viene iscritto a una scuola serale per il disegno a Cologna Veneta, dove si diploma nel 1937. Lo stesso anno si iscrive all’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona che frequenterà fino al 1939, quando verrà richiamato per il servizio militare e trattenuto per lo scoppio della guerra. Nonostante gli eventi bellici, nel 1941 riesce a diplomarsi al Liceo Artistico di

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01. Nuova chiesa di San Bernardino, San Marco in Lamis (Foggia), 1962: prospettiva interna. 02. Parrocchia della Sacra Famiglia, Verona, 1964: la prospettiva evidenzia l’ampia vela a sviluppo curvilineo e le rampe elicoidali. 03. Parrocchia della Sacra Famiglia: l’impianto planimetrico ellissoidale ad unica ampia navata.

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STORIA & PROGETTO

04-06. Povegliano (VR): studio per la nuova piazza ricavata dallo spostamento della chiesa, prospettiva esterna e fronte con le opere parrocchiali (1961).

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07. Chiesa di San Pio X (Verona, 1962), prospettiva interna con gli alti portali strutturali in calcestruzzo. 08. Prospettiva interna della chiesa di Povegliano: i portali sono intervallati da finestroni a triangolo.

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sedici chiese costruite nel veronese e nelle Brera come privatista, con l’aiuto del fratello province di Foggia e di Chioggia, e culminerà operaio che lo ospiterà a Milano anche nel con il progetto non realizzato della Cittadella periodo universitario. Iscrittosi al Politecnico dello Spirito Santo a Palestrina (Roma) negli si laurea infatti nel 1953, frequentando i corsi anni Ottanta, che rappresenta la summa del di Giò Ponti e assorbendo appieno il clima suo pensiero architettonico ma anche della di fermento e fiducia nella modernità che si sua profonda fede respira in quegli anni cristiana. L’originalità nella Milano postbellica. « La donazione dell’archivio del suo linguaggio Da queste brevi note diventa pretesto per divulgare biografiche trae spunto i disegni di Giacomello e proporre risente del dibattito nazionale di quegli tutta la vicenda umana alcune riflessioni sul complesso anni intorno alla e professionale di rapporto tra composizione questione dello spazio Giacomello, che fonda e rappresentazione » sacro che si andava nella profonda fede profondamente religiosa maturata modificando dopo il Concilio Vaticano II. Non nella famiglia di origine da un lato, e nella dimentichiamo poi che la Legge 168 del 1962 formazione fortemente centrata sulle arti aveva introdotto un importante finanziamento figurative dall’altro, le radici per una produzione statale a favore dell’edilizia ecclesiastica, dalla forte connotazione pittorica tutta tanto da far diventare la realizzazione di chiese centrata sull’edilizia sacra. La sua eredità e annessi uno dei campi in cui i maggiori più corposa resta infatti quella delle circa

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architetti italiani stavano sperimentando inedite spazialità. Giacomello, architetto di provincia, coglie appieno questa opportunità e sicuramente entra in contatto con le più importanti riviste pubblicate in quegli anni centrate sull’edilizia sacra, come la bolognese «Chiesa e quartiere» o la romana «Arte sacra», da cui tra spunti e riferimenti. Tra questi, l’uso del calcestruzzo portato alle sua massime prestazioni rappresenta l’elemento di congiunzione con la più blasonata architettura contemporanea, dalle sperimentazioni di Nervi alle realizzazioni in campo ecclesiale di Gio Ponti della Concattedrale di Taranto o del romano Giuseppe Nicolosi del San Policarpo a Roma. Ma quello che più colpisce dell’opera di Giacomello, al di là degli esiti della sua sperimentazione, è il particolare uso del disegno. Non si tratta, ovviamente, di un’esclusiva originalità: Giacomello è esempio di un’intera generazione di architetti che stabilirono col disegno un 07

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STORIA & PROGETTO

09-10. Sezioni e fronte della chiesa del Gesù Divino Lavoratore (Verona, 1964): gli archi parabolici in calcestruzzo a vista si stagliano sullo sfondo delle crociere intonacate. 09

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rapporto del tutto particolare, che tendeva ad assottigliare lo scarto esistente tra realtà e sua rappresentazione. La sua opera è una campionatura resa evidente dalla coerenza del tema delle sue architetture, tutte riferite a edifici ecclesiastici. Analizzando i disegni che Giacomello ha prodotto in circa vent’anni di carriera – dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Ottanta del Novecento – balza agli occhi una padronanza del disegno che non è mera tecnica rappresentativa, ma è prefigurazione di una realtà immaginata, più astratta e concettualizzata che reale. È il progetto allora che assolve al compito di costruire un tema (sia esso quello dell’arco parabolico come nella chiesa della Madonna di Lourdes a Forette di Vigasio, piuttosto che quello dell’incastro di forme geometriche come nella parrocchiale di Azzano, o ancora quello del campanile centrato nella pianta come a San Zeno Vescovo di Vigasio), e il disegno adempie al suo primitivo ruolo di anticipare la realtà che il progettista “sente” più che pre-vedere. Non per nulla Giacomello avverte la necessità di lavorare sempre con il dispositivo della prospettiva, di cui conosceva bene le regole, ma per farne strumento, ci sembra, non di comunicazione agli altri, ai committenti, agli operatori o alle maestranze, ma per dimostrare a se stesso la qualità della propria architettura. In questo

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11. Prospetto dell’imponente Tempio dello Spirito Santo a Palestrina (Roma) – anni Ottanta, progetto non realizzato – nel quale ogni elemento architettonico assume un alto valore simbolico. 12. Palestrina: disegno di studio per Una “ipotetica” vista

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dall’alto a tempio scoperto. L’architetto ipotizza soluzioni, attraverso il disegno, per verificare via via le proprie idee. 13. Disegno esecutivo per la chiesa parrocchiale di Remelli (Valeggio sul Mincio, 1965), una delle tante sperimentazioni dell’arco parabolico strutturale.

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leggiamo la profonda lontananza tra i disegni di Giacomello, e dei suoi contemporanei, e le moderne tecniche di rappresentazione digitale. I paladini del disegno assistito hanno indicato come programmi sempre più sofisticati adeguatamente sostenuti da computers sempre più potenti, possono spingersi oltre quelli che vengono percepiti come limiti imposti dal disegno tradizionale, attraverso la simulazione ottica dell’aspetto materico dell’architettura o del comportamento della luce su di essa. Eppure non si può non avvertire come nei moderni modelli digitali sia mutato il processo logico che presiede alla configurazione dell’immagine: le tavole di Giacomello, nel solco della grande tradizione del disegno d’architettura, sono diretta emanazione delle sue capacità compositive, non sono la riproduzione scultorea dell’edificio ma la rappresentazione di quell’edificio nel pensiero (astratto) del progettista, e la matita non è che la forma tangibile di quel pensiero colto nel suo divenire forma materiale, e non rappresentazione ex post del processo progettuale.

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Per questo il lascito di Giacomello sta non tanto nelle sue opere, forse non dei “capolavori” dell’architettura, ma proprio in questo preciso e stringente rapporto costruito tra il disegno e la composizione, tra la prefigurazione di un progetto e la sua realizzazione.

1 I materiali messi a disposizione dal filgio Gian Pietro _ un centinaio di lucidi oltre a eliocopie e alcuni documenti di cantiere – sono stati oggetto di un primo lavoro di riordino e digitalizzazione curato

da Michele De Mori e Alberto Vignolo con la collaborazione di Federica Guerra. 2 Cfr. F. Guerra (a cura di), Strutturalismo ecclesiale, in «ArchitettiVerona» 107/2016, pp. 94-101.

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SAGGIO

Un monumento industriale

Con la tutela della ex concessionaria Fiat di Bussolengo progettata da Angelo Mangiarotti si pone il tema della conservazione e valorizzazione del lascito architettonico del secondo Novecento Testi: Vincenzo TinĂŠ *, Marco Cofani * Foto: Lorenzo Linthout

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La tutela del Moderno: l’ex Concessionaria FIAT di Bussolengo

Marco Cofani*

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Coniugare in un edificio qualità architettonica, innovazione tecnologica ed efficace risposta alle necessità funzionali e di rappresentanza della committenza, rappresenta da sempre una sfida, per gli architetti, ancor più stimolante quando accompagnata da un progetto di vera avanguardia. È il caso dell’edificio dell’ex concessionaria FIAT, poi Mercedes, di Bussolengo, sito lungo la S.R. 11 in località Ferlina, all’altezza dello svincolo di ingresso all’area industrialecommerciale. In un panorama desolato di capannoni, piazzali asfaltati e cartelloni pubblicitari, l’ex concessionaria spicca per il modernissimo linguaggio architettonico della facciata vetrata, che rappresenta ancora oggi il volto di uno dei più riusciti esempi di architettura industriale veronese del secondo Novecento. Composta da un’officina, da un grande spazio espositivo e da una serie di spazi per uffici e servizi, fu progettata nel 1976 dal celebre architetto milanese Angelo Mangiarotti (1921-2012) per l’imprenditore Giancarlo Pederzoli. I due erano legati da una lunga e proficua collaborazione, durante la quale l’architetto realizzò per il Pederzoli anche la concessionaria FIAT di Domegliara nel 1969, purtroppo demolita, lo straordinario complesso residenziale del Murlongo a Costermano, nel 1971, e la villa dello stesso imprenditore a Bardolino, sempre nel 1971. L’edificio di Bussolengo è rappresentativo di una tipologia edilizia, quella delle concessionarie automobilistiche, ancora in forte sviluppo ed evoluzione

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nel corso degli anni ’70 del Novecento, i cui principali riferimenti vanno ricercati in molte architetture statunitensi della metà del secolo. Già nel 1948, infatti, la General Motors pubblicava un corposo manuale intitolato Planning Automobile Dealer Properties, in cui si suggeriva un approccio fortemente contemporaneo alla tipologia edilizia, basato su un linguaggio pulito e lineare, sulla leggerezza dei materiali e soprattutto sulla luminosità (brightness) degli spazi. Mangiarotti coglie perfettamente la “lezione americana” e progetta una vasta superficie espositiva dotata di una scenografica illuminazione naturale. A ciò aggiunge una straordinaria soluzione per l’ingresso principale, posto sull’angolo sud-ovest del fabbricato, in grado di ergersi a landmark nell’altrimenti anonimo contesto. Entrambi gli aspetti sono risolti in maniera esemplare grazie a una coraggiosa sperimentazione in grado di unire una raffinata opera di design ai più aggiornati sistemi di tecnologia costruttiva. La concessionaria di Bussolengo ap-

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01. L’ingresso principale sull’angolo sud-ovest del fabbricato con lo sbalzo del sistema costruttivo in una immagine del 2014. 02-03. La concessionaria Fiat all’epoca della sua inaugurazione. Un precedente articolo al riguardo è stato pubblicato su «AV» 82, 2009, pp. 54-61 (immagini: Archivio Fondazione Mangiarotti).

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SAGGIO

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04-05. Gli elementi costruttivi del sistema trilitico pilastro-trave tegolo in evidenza durante le fasi di assemblaggio (Archivio Fondazione Mangiarotti). 06. La trave a Y rovesciata e gli altri elementi del sistema Facep in uno schizzo di Angelo Mangiarotti (Archivio Fondazione Mangiarotti).

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Un monumento industriale

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partiene, infatti, alla serie di capola- un pilastro a H che si rastrema verso vori della prefabbricazione industria- l’alto, sino a terminare con un perno le disegnati da Mangiarotti assieme utile ad evitare il ribaltamento della ad alcuni celebri ingegneri strutturi- trave. La zona dell’ingresso principasti, nel caso specifico a Giulio Ballio, le si contraddistingue per l’impiego di Giovanni Colombo e Alberto Vin- due travi di maggiori dimensioni netani, tra gli anni Sessanta e Settanta cessarie per la realizzazione del grane si colloca in un momento partico- de portico a sbalzo. Il tema strutturalarmente felice della produzione ita- le legato al complesso disegno e alla liana di edilizia connessione fra prefabbricata di trave e pilastro è « L’ex concessionaria alto profilo proreso da Mangiagettuale. Si tratta, rotti anche un rappresenta il volto in particolare, del tema di organizdi uno dei più riusciti prototipo nonché zazione composiesempi di architettura dell’unico edificio tiva e architettoindustriale veronese rimanente e anconica delle facciate ra in buono stato del secondo Novecento » principali, in pardi conservazione ticolare di quella costruito con una verso la S.R. 11, pregevole evoluzione del sistema tec- lungo la quale l’arretramento delle nologico Facep, messo a punto dall’o- grandi vetrate rispetto alla linea dei monima ditta di Soave di Mantova. pilastri comporta proprio la messa in Il sistema Facep è basato su una strut- evidenza dei pilastri stessi e delle sotura trilitica in calcestruzzo armato, prastanti testate delle travi. Il loro diimpostato su una maglia rettangolare segno iconico diviene elemento di nodi m 10,60x20,00 dove la trave pre- tevole riconoscibilità formale, di fatto compressa e ribassata dalla peculia- la “firma” dell’architetto. A ciò si agre forma a Y rovesciata è sorretta da giunge anche la suddivisione ritmica

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dei singoli tratti di facciata vetrata, in sette partizioni verticali di differenti dimensioni, secondo un doppio modulo alternato A-B. Al di sopra delle travi, inoltre, i sottilissimi tegoloni in calcestruzzo precompresso con quattro nervature si alternano ai lucernari vetrati, la cui attenta progettazione e costruzione – assieme a quella, altrettanto pregevole, delle citate vetrate della facciata sud – definisce con grande qualità l’uso della luce naturale all’interno dello spazio espositivo, producendo un complesso ed elegante gioco di luci e ombre, in continuo e costante mutamento. Tutte queste caratteristiche hanno permesso al Ministero per il Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, nella seduta del 16 settembre 2020 della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del Veneto, di riconoscere all’edificio, ai sensi dell’art. 10 c. 3 lett. d) del D. Lgs. 42/2004, un interesse particolarmente importante per il suo riferimento alla storia della tecnica e dell’industria, con l’obiettivo di tutelarne i

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peculiari aspetti architettonici e costruttivi. La concessionaria, da anni chiusa e inutilizzata, è tuttavia in generali buone condizioni, a parte alcune limitate porzioni dei tegoloni in c.a.p. che risultano crollate: l’unica modifica di un certo rilievo apportata nel corso del tempo, peraltro reversibile, è l’installazione di pannellature metalliche lungo i due lati ovest e sud della copertura del portico dell’ingresso principale, che celano il fianco e le testate delle travi a Y a sbalzo. È in corso di definizione un’operazione immobiliare di notevole importanza che, in tempi relativamente brevi, dovrebbe consentire al fabbricato di ritrovare un ruolo di primo piano nell’assetto urbanistico della zona e che permetterà al pubblico di ritornare a frequentare e godere dei suoi spazi. L’intervento, che a tutti gli effetti potrà ritenersi una delle più significative esperienze veronesi di rigenerazione urbana e di adeguamento funzionale di un bene tutelato, sarà necessariamente fondato sul restauro dell’edificio esistente, al fine di pre-

servarne i valori e i caratteri che raccontano così tanto di un’epoca a noi così vicina, che tuttavia già merita una riflessione e un’attenzione di prospettiva storica e culturale.

07. Immagine d’epoca del fronte laterale del capannone, sul quale lo spessore della trave concorre al disegno del prospetto (Archivio Fondazione Mangiarotti).

Bibliografia Mangiarotti Prefab: struttura industrializzata, in «Domus», n. 582, maggio 1978, pp. 6-8; Strutture prefabbricate per un edificio ad uso industriale e commerciale in Bussolengo, in «L’industria italiana del cemento», n. 11, novembre 1982, pp. 803-816; Material und Form. Bauten in Bussolengo und Majano, in «Werk, bauen und Wohnen», n. 10, ottobre 1983, pp. 36-45; Industrial and commercial building, Bussolengo; Architect: Angelo Mangiarotti, in «Detail», n. 3, maggio/ giugno 1984, pp. 299-302. G. Nardi, Angelo Mangiarotti, Rimini 1997, pp. 116-124; Angelo Mangiarotti La tettonica dell’assemblaggio, a cura di F. Graf e F. Albani, Mendrisio 2015, pp. 152-165, 239; A. Vignolo, Occhio, quel “capannone” è di Mangiarotti!, in «Il Giornale dell’Architettura.com», https://partnership. ilgiornaledellarchitettura.com/2019/04/19/ occhio-quel-capannone-e-di-mangiarotti/

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Un monumento industriale

SAGGIO

“ARCHITETTURA PREVENTIVA” (ANCHE) PER L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE E LE TESTIMONIANZE IDENTITARIE DELL’ARCHITETTURA DEL ‘900

Vincenzo Tiné* 08. Il fronte posteriore con i tamponamenti opachi modulari. 09. L’arretramento del tamponamento vetrato dà luogo al portico in corrispondenza dellì’ingresso principale.

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L’art. 10, comma 3, lettera d del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004, come modificato dal D.Lgs. 62/2008) tutela specificamente: “le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni, pubbliche, collettive e religiose”. Si tratta di una previsione di

interesse culturale estremamente significativa, considerato il suo carattere quasi apodittico, la vastità degli obiettivi contemplati e soprattutto la sua deroga da qualsiasi limite temporale previsto dal comma 5 del medesimo art. 10, che vincola a 70 anni il termine post quem non per la dichiarazione/verifica di culturalità e conseguente assoggettamento a tutela delle altre categorie di beni culturali. In sintesi il legislatore, con straordinario coraggio, ha inteso ricomprendere in questa ampia tipologia di beni tutte quelle cose che possiedano un valore testimoniale e identitario per l’intera società civile nel suo complesso, quindi non in senso strettamente nazionale e generale, come altrove espressamente previsto dal Codice, ma anche nella declinazione locale e particolare. In pratica, si tratta di offrire tutela a tutti quei beni che non rientrano o non rientrano ancora nelle classiche etichette di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: non monumenti o non ancora monumenti o capolavori indiscutibili – perché privi del carattere fondamentale dell’età – ma comunque testimoni preziosi del loro tempo, che è il tempo moderno e addirittura contemporaneo. In ambito accademico parleremmo di “chiara fama”, che consente al Rettore la chiamata a cattedra di personalità esimie del mondo della cultura e della scienza. Analogamente il nostro paese consente alle Soprintendenze di dichiarare l’interesse culturale di oggetti che hanno già raggiunto un valore identitario per la società a dispetto della loro relativa età recente. Tra le cose immobili, gli esempi applicativi spaziano dalle caserme che furono teatro di drammi della Resistenza, come nel famoso prototipo della

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Caserma Tasso di Roma, agli stadi dei grandi architetti di ieri, come quello di Nervi a Firenze oggi messo a rischio da vergognose sanatorie anticipate, fino ai tanti casi-studio di architettura residenziale e soprattutto industriale, artigianale e commerciale sparsi per tutta la penisola, come quello qui sopra descritto. Quasi tutte le nostre città hanno attraversato una fase industriale che ha lascito relitti macroscopici nel proprio tessuto, divenuti progressivamente imbarazzanti vuoti urbani. Verona, in particolare, contiene al suo interno una sorta di enorme isola industriale nell’area di Verona Sud, rimasta del tutto estranea al resto dell’abitato e anche fisicamente isolata da recinzioni che costituiscono ancora vere e proprie barriere visive. Il superamento ormai definitivo della loro funzionalità storica ha finalmente innescato in questi ultimi anni un processo di recupero, che comporta, però, prima di tutto, il riconoscimento del valore specifico delle caratteristiche architetture, anche laddove non sussista il criterio dell’età e/o della pubblica proprietà, che ne consente l’iscrizione canonica al patrimonio culturale dello Stato. Il riconoscimento dell’importante interesse culturale è alla base della grande operazione di recupero dei Magazzini Generali a Verona, che sta per concludersi con la restituzione di questo enorme spazio finora segregato e precluso alla pubblica fruizione attraverso l’abbattimento – con forte valenza simbolica – dei muri di recinzione che lo isolano dal resto della città. Questo stesso presupposto culturale dovrebbe presiedere al recupero degli altri ex vuoti urbani e nuovi luoghi di identità culturale e sociale che sono tutti quelli ex industria-

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10. I pilastri e la testa delle travi concorrono alla scansione ritmica dei prospetti, assieme alla linea orizzontale dei sottilissimi tegoli in calcestruzzo armato precompresso. L’immagine è comparsa anche sulla copertina di «AV» 96, 2014.

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SAGGIO

11. Particolare del fronte vetrato della concessionaria.

Un monumento industriale

li, commerciali e logistici di Verona Sud. Una zona che non è mai stata un quartiere – pur nell’ambito dello storico e popoloso Borgo Roma – ma che si avvia oggi ad essere una seconda città, una Verona contemporanea e smart, altrettanto attrattiva di quella storica, come è avvenuto in tante altre capitali europee della cultura, che hanno saputo rigenerarsi in una logica di continuità anche col loro più recente passato. Il tema critico non è però solo quello del corretto riconoscimento di questo speciale valore, già in sé non banale, dato che comporta una drastica selezione degli elementi propriamente si-

gnificativi dal punto di vista identitario e sociale. Il vero problema sembra essere rappresentato, piuttosto dal corretto trattamento di questi beni – una volta riconosciuti tali - in sede di restauro e riqualificazione, al fine di adattarli alle nuove funzioni, che sono quasi sempre del tutto altre e diverse rispetto quelle originali e per le quali questi oggetti sono stati creati. D’altro canto la loro natura non propriamente monumentale e non ancora pienamente storicizzata li rende campo applicativo ideale per operazioni di riuso con un certo grado di libertà creativa e di rivisitazione forte, impensabile nel vero e proprio costru-

ito storico. Come assicurare, però, l’equilibrio tra identità e riuso di questi beni? In una breve nota comparsa sul sito della Società Italiana per il Restauro dell’Architettura1 mi sono soffermato sull’utilità di uno strumento normativo relativamente recente ma non ancora diffuso nella prassi progettuale degli interventi sul costruito storico di interesse culturale. La considerazione di base, derivata dall’esperienza delle nuove Soprintendenze “olistiche” (Archeologia, belle arti e paesaggio), riconosce che il tradizionale approccio meramente autorizzativo a valle di un percorso progettuale libe-

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ro e autonomo, non è più in grado (se mai lo è stato) di governare la naturale evoluzione delle città e del territorio. Pare necessario individuare nuove strategie, che anticipino la fase valutativa e prescrittiva rispetto a quella propriamente progettuale. Questa possibilità è offerta oggi dalla cd. “Scheda Tecnica”, prevista all’art. 14, comma 2 del recente Regolamento attuativo MiBACT (DM 154/2017 del 22.08.2017, entrato in vigore con la pubblicazione in G.U. il 27.10.2017) del Codice degli appalti pubblici (D.Lgs. 50/2016). Si tratta di una vera e propria fase pre-progettuale, che accompagna il progetto di fattibilità tecnica ed economica ed è “finalizzata all’individuazione delle caratteristiche del bene oggetto di intervento e descrive gli aspetti di criticità della conservazione del bene culturale prospettando gli interventi opportuni”. Un percorso di messa a fuoco delle criticità economiche dei progetti di riqualificazione dei beni culturali sostanzialmente analogo a quello della cosiddetta “archeologia preventiva” o VIArch, confluite nell’art. 25 del vigente Codice degli appalti. Anche per i progetti che intervengono su beni monumentali e paesaggistici, come per quelli su aree a rischio archeologico, dovrebbe essere sistematicamente prevista – a mio parere – una fase di sistematica ricognizione e analisi dei dati conoscitivi pregressi, che preveda l’implementazione dei dati carenti attraverso metodiche di prospezione e diagnostica preliminare. L’adozione sistematica di questo step progettuale da parte della committenza – non solo di lavori pubblici su beni culturali strictu sensu, come già d’obblico, ma anche di lavori privati su beni culturali di più varia na-

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tura – potrebbe consentire all’ente di tutela una verifica preliminare della compatibilità tra stato di fatto dell’opera e ipotesi di restauro e valorizzazione/adeguamento funzionale. Dal punto di vista della committenza questa verifica preliminare, “certificata” dalla Soprintendenza, avrebbe come conseguenza pratica una maggiore sicurezza sull’esito autorizzativo dei successivi e più impegnativi step progettuali. In base alla mia esperienza da Soprintendente “olistico” ma archeologo di formazione, sono convinto che la redazione sistematica e preventiva della scheda tecnica, nel quadro

« Si tratta di offrire tutela a tutti quei beni non ancora capolavori indiscutibili ma testimoni preziosi del loro tempo, che è il tempo moderno e addirittura contemporaneo » del progetto di fattibilità tecnica ed economica, possa rappresentare una vera e propria procedura di verifica preventiva del rischio architettonico e storico-artistico, parallela a quella già da tempo attiva in campo archeologico. Questa anticipazione della fase conoscitiva del bene da parte dei professionisti redattori e autorizzativa/prescrittiva da parte della Soprintendenza – rispetto alla fase compiutamente progettuale – comporta una sostanziale accelerazione della tempistica complessiva degli interventi e una più adeguata corrispondenza del risultato finale alle aspettative dei vari portatori di interessi e della società civile in generale.

Esperienze recenti promosse negli anni scorsi a Genova (Silos Granari del porto, Centrale Enel del porto) e da quest’anno anche a Verona (Manifattura Tabacchi) sembrano dimostrare la particolare efficacia di un’azione strategica e sinergica tra committenza, progettisti, decisori politici e ente di tutela nel settore cruciale per lo sviluppo urbano contemporaneo del costruito post-bellico. Dai relitti di archeologia industriale, ai piccoli e grandi capolavori dell’architettura tardo-razionalista della seconda metà del ‘900 (che a Verona portano spesso la firma di Libero Cecchini), sono questi gli ambiti in cui con maggiore libertà e proprietà le nuove funzioni possono innestarsi sulle vecchie memorie identitarie. Il pieno successo dell’iniziativa di recupero passa, però, attraverso un percorso progettuale ponderato e progressivo, che preveda una dettagliata fase preliminare e conoscitiva del bene sui cui si interviene e un iter autorizzativo graduale, in grado di cristallizzare le diverse fasi e processi, per non ingenerare quei corto-circuiti che sono causa dei lunghi tempi di realizzazione delle grandi opere nel nostro paese. Le nuove Soprintendenze “olistiche”, a dispetto delle difficoltà operative e i vincoli burocratici sempre più opprimenti, ma forti di nuove generazioni di funzionari altamente specializzati e motivati, sono pronte per questa sfida a una modernità che intenda – per dirla con termini archeologici – rimettere in luce la stratificazione urbana e riordinare il matrix delle sue componenti, valorizzandole con nuove funzioni. Perché conservazione e valorizzazione sono ormai da tempo preordinati e quasi sinonimici anche per il Codice e per il Ministero dei Beni Culturali.

* Vincenzo Tiné è il Soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza. * Marco Cofani è funzionario architetto presso la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza.

1 Cfr. Vincenzo Tiné, “Architettura preventiva”? Nuovi strumenti normativi per un equilibrio tra tutela e progettualità, in http://sira-restauroarchitettonico.it/?s=arc hitettutura+preventiva&submit=/.

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Progettare in tavola Un contest culinario ha messo alla prova alcuni studi di architetti veronesi con la realizzazione di piatti ispirati a loro opere o esperienze progettuali Testo: Marzia Guastella

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hanno presentato le loro ricette su una piattaforma digitale attraverso un video che mostrava i momenti essenziali della preparazione realizzata in casa propria o di amici e committenti. Le tappe del tour 2020 sono state Milano, Napoli, Roma, Firenze e infine Verona, che il 9 settembre scorso ha visto sfidarsi Studio Aurelio Clementi, Arch’è Studio Associato, Studio d’Architettura mb2 , Alberto Apostoli-Studio Apostoli, Ardielli Fornasa Associati. Ognuno dei partecipanti si è occupato della preparazione di una portata realizzando, nell’insieme,

01-02. Il piatto finito e il disegno per l’impiattamento di Morabeza, realizzato da Arch’è Studio Associato. 03-04. La preparazione e il piatto finito nelle mani di Alberto Apostoli, vincitore del contest con Benessere cromatico. 05. Sinfonia degli opposti dello studio mb2.

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un menù completo dall’antipasto al dolce. Le competenze e l’esperienza dello chef Francesco Chiavacci hanno permesso di approfondire, anche a distanza, le scelte tecniche e compositive degli architetti raccontando origine e sviluppo dell’idea, spesso frutto di un progetto importante o un aneddoto legato alla professione. Accompagnato da una commissione costituita dalle aziende sponsor, da giornalisti e giudici, lo chef ha valutato la creatività, la

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gni piatto è un progetto”. Così il maestro della cucina italiana, Gualtiero Marchesi, esprimeva la forte dedizione verso la preparazione di un piatto, un percorso dove la materia prima deve essere ascoltata e valorizzata per ottenere quell’armonia capace di suscitare emozioni proprio come un’opera d’arte. Ma cosa hanno in comune uno chef e un architetto? Bruno Munari ci insegna che alla base di un progetto c’è un metodo; che si tratti di un piatto di riso, di un edificio o di un oggetto di design, “il metodo progettuale non è altro che una serie di operazioni necessarie, disposte in un ordine logico dettato dall’esperienza. Il suo scopo è quello di giungere al massimo risultato con il minimo sforzo”. Con tale presupposto, il connubio cibo-architettura che generalmente trova riscontro nella progettazione di spazi dedicati al food&beverage è stato sorprendentemente rivisitato dall’iniziativa ArchichefNight Italia, nata con l’obiettivo di raccontare l’architettura contemporanea in modo diverso, nuovo, attraverso un piatto pensato e cucinato dagli architetti. L’evento è stato organizzato da Towant, agenzia che ha creato dei format informali e contemporanei per gli studi di architettura, in Italia e all’estero, e che già qualche anno fa aveva proposto gli aperitivi negli studi, facendo tappa anche a Verona (cfr. «AV» 89, pp. 79-80). Nel rispetto delle restrizioni legate all’emergenza sanitaria, quest’anno il format si è svolto in digital edition. Gli architetti, che solitamente si avvalgono del supporto di uno chef e degli spazi di un ristorante per la preparazione dei piatti da servire a una giuria di circa ottanta persone,

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archichef night verona Digital edition Cinque studi di architettura si raccontano attraverso un piatto e diventano chef per una sera, ciascuno di loro dedicandosi alla preparazione di una portata del menù di ogni serata. Studio Aurelio Clementi Inchino al Giappone Arch’è Studio Associato Morabeza Studio d’Architettura mb2 Sinfonia degli opposti Alberto Apostoli - Studio Apostoli Benessere cromatico Ardielli Fornasa Associati Panna cotta mattonata Sponsor Carimati, Ceramica Sant’Agostino, Flos, Kaldewei Italia, Moroso, Tubes Radiatori

preparazione e la combinazione degli ingredienti decretando come vincitore della tappa veronese Alberto Apostoli-Studio Apostoli con il piatto Benessere Cromatico. Un piatto semplice, eseguito con passione e metodo, che riflette pienamente la filosofia dello studio professionale, leader internazionale nel settore wellness. Il tema “benessere” è stato riproposto nella ricetta secondo un criterio efficace fondato sul personale approccio all’architettura e al progetto convincendo tutta la giuria. Gli ingredienti selezionati, infatti, sono il risultato di una scrupolosa ricerca, dal punto di vista nutrizionale e calorico, che ha consentito di realizzare un piatto prima di tutto sano; ma si sa, anche l’occhio vuole la sua parte e un piatto ben presentato che appaga, oltre al gusto, anche la vista aumenta sicuramente la sua appetibilità. Ecco perché l’aspetto cromatico, elemento essenziale nella composizione finale, non poteva essere sottovalutato: il colore verde della salsa di zucchine e mandorle, il rosato della trota salmonata e il giallo del peperone hanno reso la combinazione dei sapori equilibrata anche dal punto di vista estetico. Ardielli Fornasa Associati, con il piatto Panna cotta mattonata, ha

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ottenuto invece la Press Nomination per la purezza compositiva che racchiude un profondo legame con la tradizione: la panna cotta, dolce antico ancora molto diffuso, riproduce la forma di un mattone, ispirandosi alla recente realizzazione, da parte dello studio, di una villa nella quale ne è stato fatto un uso estensivo, e da dove gli architetti hanno partecipato al contest. Alberto Apostoli ha partecipato anche alla super finale nazionale di ArchichefNight Italia del 21 ottobre, classificandosi tra i primi tre finalisti, con un nuovo progetto dal titolo Leggerezza autunnale, dove semplicità ed eleganza rivelano la scelta di ingredienti di stagione,

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che si concretizza nel contrasto tra la dolcezza della vellutata a base di zucca e la sapidità del gambero, protagonista della composizione. Adesso non resta che attendere la prossima edizione di ArchichefNight per scoprire nuove ricette e tornare a gustare, non solo con gli occhi, piatti originali.

www.towant.eu

06-07. Aurelio Clementi prepara Inchino al Giappone sulla base della tavola di progetto del piatto. 08-09. Marco Ardielli e Paola Fornasa ai fornelli, e la loro Panna cotta mattonata (foto di Marco Totè). 08

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Orizzonti della Porta

Testo: Federica Guerra

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orse non tutti se ne sono accorti, ma Porta Palio ha “cambiato rotta”: la storica Società Mutuo Soccorso Porta Palio, che dal 1982 ha sede nella porta sanmicheliana che cura e mantiene, ha iniziato un percorso di apertura del monumento attraverso la destinazione degli straordinari spazi ad attività di promozione artistica e culturale. Un tipo di proposta di cui la città sentiva il bisogno, per riappropriarsi di questo spazio e sperimentare l’utilizzo contemporaneo del patrimonio storico, come altre iniziative hanno dimostrato essere fecondo (cfr. Nutrirsi di arte contemporanea, in «AV» 119, pp, 58-59). Così la mostra inaugurale dedicata alla fotografia di Lorenzo Linthout – firma abituale di questa rivista – apre ad uno strano cannocchiale: una città con dentro uno spazio urbano con dentro una foto di città, come se dentro quella architettura storica così preziosa e solenne si richiamasse la necessità di ricordare la città di fuori, comunemente ritenuta ben meno solenne e raffinata, ma non eludibile né, come ci dimostrano le belle foto esposte, meno significativa se letta con occhio poetico. Come ha ben scritto Giancarlo Beltrame in uno dei saggi introduttivi al catalogo della mostra Orizzonti dello sguardo (ed. Porta Palio Gallery), la fotografia di Linthout “reinventa gli spazi urbani ripulendoli

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di tutti gli elementi di disturbo (fili elettrici, altri edifici, vegetazione, lampioni, scritte, ecc.) per riportarli alla purezza concettuale del momento ideativo dell’architetto”. Un’architettura “smascherata”, come dice lo stesso fotografo, di valore quasi metafisico, che racconta del vuoto esistenziale dell’uomo contemporaneo nelle città. Se l’obbiettivo è quello di una fotografia non rappresentativa ma allusiva, lo strumento non può che essere quello del frammento, della parte che sottointende il tutto, dell’inquadratura parziale che astrae la visione dal contesto e ne fa scheggia geometrica, fino al parossismo del brandello ripetuto in post-produzione infinite volte, per farlo diventare pura geometria ormai dimentica del contesto reale di partenza. Alberto Vignolo – curatore dell’esposizione assieme a Michelangelo Pivetta e Marcello Verdolin – in un altro contributo al catalogo associa questa operazione a quella dell’entomologo, che “scruta i suoi insetti: per catalogarli, sezionarli, inquadrarli

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Un’esposizione fotografica inaugura l’utilizzo espositivo e culturale per Porta Palio attraverso le architetture ritratte nel lavoro di Lorenzo Linthout in un proprio sistema. Non è la natura dell’edificioinsetto ad interessargli, scelto come cavia di un esperimento di dissezione in laboratorio, ma la trama delle ali, le linee sottili delle articolazioni, l’orditura di pelli e gusci. Ne ricava delle regole, un sistema tassonomico grazie al quale raccoglie a futura memoria le testimonianze del suo codificato modo di vedere. Una storia naturale dell’ambiente artificiale”. In questa logica appaiono sovrastrutturali persino i titoli di ciascuna fotografia, che richiamano i luoghi e le città in cui sono state scattate, diventando l’architettura un pretesto per l’esercizio dello sguardo. Oppure, al contrario ci sembra che quei titoli, puntigliosamente attribuiti a ciascuna fotografia, potrebbero ricordarci che la città, proprio ogni città, è quella che vogliamo vedere, e il nostro occhio seleziona ciò che il cuore vuole ricordare: un’operazione di discriminazione sentimentale che rende le fotografie di Lorenzo Linthout di alto valore poetico.

01. Veduta dell’esposizione allestita all’interno della porta sanmicheliana. 02. Lorenzo Linthout, Paris (France), 2017.

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Al Vajo, al Vajo

La campagna per la conoscenza e la salvaguardia della Val Borago attraverso un concorso fotografico che ne ha messo in luce il valore naturalistico Testo: Laura De Stefano

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alviamo il Vajo Borago! È l’accorato appello lanciato dalla associazione “Il Carpino” per salvaguardare un patrimonio di grande valore naturalistico dagli interessi dei viticoltori, che vorrebbero acquisire questo terreno di 38 ettari per nuovi impianti. Per contrastare questa acquisizione, l’associazione fondata nel 2007 per valorizzare il patrimonio di questa area collinare ha lanciato una raccolta fondi per poter partecipare all’asta del terreno e mantenerlo a disposizione di tutti i cittadini. Una procedura abbastanza diffusa all’estero, ma inusuale per l’Italia. Per citare un caso eclatante, l’associazione veneziana “Poveglia per tutti”, pur riuscendo a raccogliere attraverso il crowdfunding 450mila euro con oltre 5mila sottoscrizioni, ha ottenuto solo una concessione temporanea dell’isola. Alla sottoscrizione “Fondo Alto Borago” hanno potuto partecipare istituzioni, cittadini e imprese, anche con piccole somme, e nonostante non si “vincesse” nulla sono moltissimi i soggetti che hanno risposto all’appello. Si sono organizzate passeggiate, escursioni più impegnative, percorsi di meditazione, insomma tutto quanto poteva alimentare l’interesse per il sito. Obiettivo non meno importante è quello di mantenere percorribile l’area, in quanto per la Val Borago transita un tratto del sentiero E5, che passa per la Svizzera e la Germania e arriva fino in Bretagna. Ma nonostante ciò, un sito di così grande valore naturalistico non è conosciuto da molti veronesi: per questo ARtécniche, un gruppo di professioniste architetto e ingegnere, ha lanciato in collaborazione con il Comune di Verona una campagna di sensibilizzazione che mirasse alla conoscenza di questi luoghi straordinari, mediante un concorso fotografico per invitare i cittadini alla

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sua scoperta attraverso un semplice scatto ripreso con il cellulare. Artécniche ha aderito al progetto perché è un esempio di senso di appartenenza al territorio e di co-creazione di valore come bene comune di una comunità attiva che partecipa alla progettazione del territorio stesso. Una giuria composta da quattro fotografi (Leonardo Ferri, Dino Gamba, Paola Fiorini e Carolina Zorzi) e presieduta da una componente di ARtécniche ha valutato più di 50 fotografie pervenute da una trentina di partecipanti, e selezionando una fotografia per ciascuna delle cinque categorie: messaggio, colore, forme, atmosfera, flora e fauna. Gli scatti dei cinque vincitori sono stati stampati su cartoline da distribuire durante gli eventi di promozione dell’iniziativa, che ha già centrato

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Ci mette il becco LC: la sociologia e l’architettura

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01. Messaggio: Ludovica Dal Molin. 02. Forma: Filippo Gini. 03. Colore: Giorgio Tomex. 04. Atmosfera: Federico Torneri. 05. Flora e fauna: Lavinia Busetto.

Controcanto agli “svolazzi” di «AV» rispetto alla stagione di esordio della rivista l’obiettivo di far conoscere di più e amare questo sito, da parte di persone di tutte le età. Ma a volte le favole diventano realtà: giovedì 29 ottobre con una conferenza stampa alla presenza dei sindaci di Verona e di Negrar di Valpolicella dell’assessore all’Ambiente di Verona e del presidente dell’associazione “Il Carpino”, è stato annunciato l’esito dell’asta giudiziaria che ha reso possibile, grazie anche all’intervento del Prefetto Donato Cafagna, del ministro Sergio Costa e di Banca Intesa, l’assegnazione dei terreni alle due comunità di Verona e Negrar, scongiurando così il pericolo di un uso produttivo e auspicando una gestione tesa a valorizzare la biodiversità del sito e la sua fruizione.

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Testo: Luciano Cenna

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correndo il ricco numero 122 di «AV», sono andato mentalmente ai primi fascicoli del ’59, quando ad occuparsene c’era un gruppetto di noi e sopra tutti Otto Tognetti, Arrigo Rudi, Gian Lorenzo Mellini con pochi altri; la grafica la curava Giorgio Bonagiunti. Ma dietro a tutti noi c’era la figura di Licisco Magagnato, che, pur non occupandosene, ci ispirava culturalmente. Non voglio mettere al confronto quell’edizione con l’attuale – sono trascorsi sessant’anni ed è già un miracolo che «AV» sia ancora in vita – voglio solo ricordare che molte delle problematiche affrontate allora non hanno trovata soluzione; e però concludere con un forse ovvio parere: mantenere il discorso solo all’interno dei problemi veronesi, rischia di imborghesire molti servizi trasformandoli in temi di interesse solo provinciale, di scarso valore culturale. Se si parla di fatti che accadono in casa, c’è il pericolo di correre dietro a chiacchiere da cortile. Chiedo scusa a quanti dedicano tempo, energia e intelligenza a «AV», che in effetti è cresciuta, pur non aprendosi a tematiche più ampie; ma, se mi date ancora dieci minuti, vorrei dare un suggerimento: guardiamo oltre la città.

Potrebbe voler dire pubblicare gli esiti di concorsi nazionali ed europei, magari accompagnandoli con le opinioni di esperti di volta in volta; pubblicare il pensiero e le idee di alcuni tra i più validi architetti europei, senza scomodare gli archistar; intavolare con gli studenti di architettura delle principali università un leggero dibattito sul loro e sul nostro avvenire , sulle ipotesi di un futuro prossimo di questa professione un tempo così bella, tanto d’averla scelta per la vita; sforzarsi di conoscere il parere di quella parte della popolazione che non consideriamo simile a noi quando la vediamo passare le domeniche nei centri commerciali; tentare di esplorare un possibile prossimo futuro modo dell’abitare di una popolazione molto disomogenea rispetto all’attuale; eccetera. Può sembrare una proposta da facoltà di sociologia? Si, è vero; ma ricordo che quando frequentavo i corsi di composizione architettonica di Samonà a Venezia o di Urbanistica di Astengo e Piccinato, la Sociologia compariva da tutte le parti. Tutti noi che abbiamo studiato Architettura sappiamo quanta attenzione il Razionalismo abbia dedicato allo studio della abitazione per la famiglia tipo di quegli anni; e Le Corbusier all’abitare, al lavorare di una società più evoluta uscita dalla guerra: le analisi sociologiche ne erano le premesse. E già che sono in argomento azzardo un giudizio: quando l’architettura era nutrita da una buona dose di Sociologia e, non nego, anche di ideologia, era più seria dell’attuale che, al confronto, definirei: “svolazzante”.

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La scuola del Porto I progetti per un nuovo complesso scolastico da realizzarsi nel sobborgo di Legnago sono il frutto di un concorso di progettazione in due fasi che ha attratto partecipanti da tutta Italia Testo: Luisella Zeri

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01. Il progetto vincitore di Atelier(s) Alfonso Femia: i nuovi edifici sono caratterizzati da una filigrana di bacchette di legno e ceramica. 02. Planimetria generale del contesto con l’area di progetto evidenziata dal colore, con il fabbricato scolastico esistente. 03-04. Progetto Atelier(s) Alfonso Femia: planimetria con l’inserimento del nuovo progetto e fronte sud est.

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egnago, brano di provincia per eccellenza, mai narrato abbastanza dalle pagine della nostra rivista per una semplice “distanza”. Eppure, un pensiero attento alla pianificazione territoriale è rimasto, forse eco dell’eredità dell’illustre concittadino urbanista Piccinato. Proposte che spesso, come quelle per la torre disegnata da Mario Botta sull’ex area Riello, sono rimaste sulla carta, mentre altre in tempi più recenti sembrano decisamente ai nastri di partenza. È il caso del concorso di progettazione in due gradi per la rigenerazione e il potenziamento del complesso scolastico G. B. Cavalcaselle, indetto dall’amministrazione comunale di Legnago nel 2019 e aggiudicato quest’anno. Intervento che si pone come un gesto importante dal punto di vista architettonico, sociologico e geografico, perché l’area di progetto, circondata da est a ovest dal canale Terrazzo e a sud dal fronte urbano sul quale prospetta l’accesso alle scuole esistenti, è localizzata nel quartiere di Porto, periferia del paese da sempre carica del fardello di una sua “alterità”. Da una parte infatti sta la città-bene, e dall’altra parte dell’Adige si trova il sobborgo operaio con la sua forte identità determinata dagli stabilimenti della Riello, storica azienda del luogo, con le abitazioni e i servizi per i lavoratori. Fra questi, scuole di ogni ordine e grado. Nel ripensare sia all’edifico che al quartiere, il concorso ha richiesto che il nuovo polo scolastico fosse rivolto tanto agli studenti quanto ai cittadini, attraverso elementi architettonici e di paesaggio che si rivolgano all’una o all’altra utenza a seconda del momento dell’anno o della giornata.

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La selezione

Le richieste del bando, per un costo complessivo presunto delle opere di tre milioni di Euro, hanno perseguito la finalità di riorganizzare l’area scolastica a stralci funzionali in un arco di tempo previsto di quindicivent’anni. Il cronoprogramma, insieme al masterplan e a una proposta architettonica di massima, è stato oggetto del primo grado di progettazione, dal quale sono state selezionate le cinque proposte più convincenti ammesse alla seconda fase. Nello step successivo è stato richiesto l’approfondimento dello schema funzionale attraverso il progetto per la nuova scuola secondaria di primo grado, da realizzare sull’area risultante dopo la demolizione solo parziale dell’edificio scolastico esistente. A gennaio 2020 sono stati pubblicati gli esisti e quindi la graduatoria finale dei cinque partecipanti, che stupisce positivamente per le diverse aree di provenienza dei progettisti.

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complesso scolastico “g. b. Cavalcaselle” legnago Concorso di progettazione 2019-2020 primo classificato Atelier(s) Alfonso Femia, Domenico Gabriele (Sertec), Michelangelo Pugliese, Roxana Maria Calugar secondo classificato Michele Cro terzo classificato Diverserighestudio Simone Ghedezzi, Areatecnica (Michele Vigne), Trentino Progetti (Gianluca Vigne), Veronica Zeni quarto classificato Andrea Liverani, Alessandro Gasparini, Luca Ferrari, Giulio Cucciniello quinto classificato Archistart Studio Lucio Risi, Davide Tartaglia, Giacomo Poti, Tommaso Santoro Cayro

05. Progetto Atelier(s) Alfonso Femia: schemi realizzativi dalal demolizione delle scuole esistenti alla costruzione delle nuove, ed elementi di progetto.

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il progetto vincitore

Il progetto vincitore fra le proposte pervenute è stato quello redatto dallo studio genovese-milanese-parigino dell’architetto Alfonso Femia, ex 5+1, poi 5+1AA e ora Atelier(S). Il progetto costruisce con l’intorno un dialogo inclusivo fondato sulla promenade naturale che accompagna la curva del canale Terrazzo, il bordo di via Sicilia e il filtro verde che media il rapporto tra strada e parco, facendo proprio il motto “A scuola nel paesaggio”. Questi elementi disegnano un circuito ad anello che abbraccia l’area scolastica, invitando a entrarvi non soltanto dall’accesso stradale principale, ma soprattutto da due punti di innesto ciclo-pedonali realizzati tramite passerelle che valicano il canale. Il masterplan prevede che la linea di ingresso della scuola attuale, parallela all’asse di via Sicilia, prosegua con la facciata del nuovo volume, creando un fronte urbano continuo e compatto, segno forte e distintivo della presenza della scuola. Sul versante opposto, il nuovo edificio si apre invece al paesaggio con corti e portici, tra il naturale e l’antropizzato, che sarà portata alla sua massima espressione con il completamento dell’intervento. Il distacco tra la nuova scuola e quella da conservare è finalizzato a semplificare le operazioni di cantiere, realizzando così una terra di mezzo tra i due edifici, destinata a dilatarsi in una piazza lineare con la futura costruzione della nuova scuola primaria. Questa piastra centrale, con la sua geometria netta, marca la transizione tra l’età

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dell’infanzia e l’adolescenza, ma si copre di una superficie solida che invita ad essere percorsa ed attraversata. Il progetto carica di grande importanza la natura preesistente, acquistando da essa la forza per caratterizzare l’intervento. Sviluppato su un’altezza che non supera i dieci metri, l’edificio scolastico proposto nel secondo grado di concorso accoglie in un unico corpo tutte le aule e gli spazi necessari, comprese le aree sportive. L’edificio si sviluppa su due piani attorno a una ampia corte aperta su un lato. All’interno di essa e tutto intorno al costruito, gli elementi di aria, acqua, terra e cielo, definiscono

il paesaggio e le funzionalità delle attività all’esterno. I materiali di estrazione naturale con cui vengono definite le facciate esterne, dialogano con la natura e realizzano un involucro che filtra la luce esterna, invitando a guardare fuori attraverso una filigrana di bacchette di legno e ceramica. A circondare il costruito, un tessuto naturale e minerale di piazze, orti e frutteti che disegna il suolo e con i suoi apporti cromatici porta la dimensione del tempo e delle stagioni. È in questo contesto che si rappresenta il contrappunto tra fruizione collettiva e fruizione scolastica, attraverso spazi più direttamente connessi al circuito ciclo-pedonale lungo il canale nel

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06. Veduta delle scuole dall’area verde circostante. 07. Tavola di progetto con le piante ai vari livelli, schemi morfologici, sezioni e dettaglio di facciata.

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08-10. Progetto di Michele Cro: veduta sulla grande piazza di ingresso alle nuove scuole, pianta con attacco a terra degli edifici e planimetria generale.

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primo caso e spazi scolastici disposti piÚ internamente nel secondo. Internamente il tessuto connettivo è un percorso non chiuso da muri, ma affacciato sulla corte e avvolto dalla luce che da essa proviene. Il circuito distributivo ad anello si apre ai vertici con cannocchiali visuali sul

parco e si dilata in una grande loggia scoperta al piano primo, una pausa verde tra gli spazi e le attività della scuola. Rispettando le direttive del bando, il progetto si arricchisce delle attenzioni volte al contenimento dei consumi energetici, all’utilizzo

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di nuovi strumenti per una scuola digitale, insieme all’attenzione per l’accoglienza e l’inclusività. Ecco quindi che ogni alunno, ma anche ogni cittadino, può trovare in questo spazio la propria dimensione individuale e collettiva, all’interno di una nuova cittadella dentro il tessuto urbano. altri piazzamenti

Il gruppo Archistart, classificatosi al quinto posto, concepisce differenti gradi di permeabilità dell’area con una successione di pubblico, semi-pubblico e spazi didattici protetti, il cui grado di conclusione aumenta man mano che ci si addentra nell’area. Il progetto è inoltre guidato da considerazioni bioclimatiche, di orientamento dei volumi e di relazione diretta con il contesto. Tali principi vengono pedissequamente ripresi nello studio di ogni particolare, dalla definizione compositiva delle forme fino al trattamento di finitura delle superfici

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11-13. Progetto di Diverserighestudio: esploso assonometrico con gli elementi di progetto, schemi rappresentativi dell’architettura interna e veduta del fronte principale della scuola secondaria.

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14-17. Progetto di Andrea Liverani: strategia di inserimento urbano, planivolumetrico di progetto, stratigrafia degli spazi aperti e veduta della palestra. .

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che si accordano con le cromie dei tetti dell’ambito urbano e ai colori dell’acqua del canale Terrazzo. Al quarto posto si è classificato un raggruppamento temporaneo costituito dagli architetti Liverani, Gasparini, Ferrari e Cucciniello, che hanno realizzato un progetto di ricucitura del contesto tramite un asse urbano pedonale tangente al canale, sul quale si affacciano gli edifici scolastici. I volumi, disposti a scacchiera, si alternano alle piazze e alle aree verdi, ciascuna con una diversa funzione e destinazione, nell’intento di realizzare una sorta di nuovo parco fluviale in relazione con il vicino canale. Interessante

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anche il sistema costruttivo proposto, unico per tutti gli edifici, costituito da un sistema prefabbricato in legno lamellare con passo modulare. Anche il terzo classificato è un raggruppamento di professionisti capitanato da Diverserighestudio di Bologna. Il progetto, attento alla permeabilità dell’area da parte dei

mezzi alternativi alle auto, genera dalla viabilità esistente due direttrici a servizio della scuola e della mobilità del quartiere. L’accesso al polo scolastico avviene tramite un’agorà, elemento dal quale si dipartono i percorsi di distribuzione del complesso. Il volume costruito si propone come un elemento

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18-20. Progetto di Archistart studio: sezione trasversale sulla scuola, planimetria generale con indicazione dei criteri ambientali minimi e veduta del fronte principale.

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longitudinale, che permette alla scuola di rapportarsi con lo spazio raccolto tra la nuova sagoma ed il torrente. A dividere il nuovo edificio scolastico da quello esistente, il giardino didattico a funzione mista, scolastica e cittadina a seconda dei momenti della giornata. Le restanti aree libere attorno al costruito assumono la destinazione di aree verdi con diversi gradi di permeabilità. Il progetto secondo classificato presentato dallo studio Michele Cro di Roma ricerca una sintesi di elementi artificiali e naturali finalizzato a generare il senso di identità e appartenenza civile richiesto dal bando. Il progetto per l’edificio scolastico è pensato come casuale ma ordinata aggregazione di volumi che si affacciano su una grande piazza di ingresso. Dal punto di vista dell’accessibilità il progetto è pensato per offrire una grande permeabilità, integrando quanto disposto dal bando con ulteriori vie di accesso.

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In lungo e in lago Un concorso di idee a Peschiera del Garda per tre ambiti di bordo affacciati sull’acqua e legati a una fruizione collettiva propone un grande repertorio di suggestioni progettuali Testo: Angela Lion

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lla fine del 2019 il Comune di Peschiera del Garda ha indetto un concorso di idee con l’obiettivo di acquisire nuove proposte progettuali per la riqualificazione di alcune aree caratterizzate da un invidiabile affaccio sull’acqua: il lungolago Mazzini, fronte del tessuto residenziale che si estende lungo la costa ad ovest del centro cittadino; il lungolago Garibaldi, prospiciente il canale navigabile ad est della Marina e verso la fascia dei camping caratteristica del Basso Garda; infine il lungomincio Bonomi, via di accesso al nucleo storico lungo il fiume dal casello autostradale e quindi con un forte valore di centralità. Le richieste del bando sono volte per il lungolago Mazzini alla valorizzazione del rapporto terraacqua, con la possibilità di espandersi verso il lago riorganizzando i punti d’aggregazione. Per lungolago Garibaldi focale è il collegamento pedonale tra il centro storico e le spiagge ad est, attraverso la riqualificazione e l’integrazione dei percorsi a terra e degli ormeggi del canale mercantile. Per la terza area di progetto, infine, è previsto sulla riva del Mincio un percorso ciclabile naturalistico. La storicità del luogo – assurto nel 2017 nella élite delle città patrimonio UNESCO grazie alle opere di difesa veneziane di terraferma costruite tra XVI e XVII secolo, in un sito che comprende Bergamo e Palmanova per l’Italia – diventa elemento imprescindibile per i progettisti, insieme al caratterizzante paesaggio lacustre e fluviale. I paletti inderogabili posti dal bando riguardano la viabilità non modificabile, insieme alle aree di sosta esistenti; tra le problematiche manifeste, l’annoso problema del cospicuo affiorare in superficie delle radici dei Pinus pinea messi a dimora sui lungolaghi negli anni Sessanta. La

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richiesta finale è quella di caratterizzare i siti di progetto con idonei arredi urbani: lampioni, cestini e panchine, croce e delizia di ogni ufficio tecnico comunale. La commissione giudicatrice (composta da Lino Vittorio Bozzetto, Italo Monaco, Filippo Bricolo, Giuseppe Scarso e Cristiano Comini) ha selezionato tra le ventuno proposte pervenute – sfidando le tempistiche di consegna molto serrate – i primi tre classificati oltre a ulteriori tre menzioni. È del gruppo capitanato dall’architetto Michele Ghisi il progetto vincitore. La risoluzione dei temi posti a bando viene apprezzata per la sua “eleganza e grande efficacia”, anche grazie alle grandi immagini renderizzate a tutta tavola. Per il lungomincio Bonomi una suggestiva

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Gruppo Michele Grisi (primo classificato). 01-02. Lungolago Mazzini, veduta d’insieme e particolare della sezione della passerella a sbalzo. 03-04. Lungolago Garibaldi, sezione e veduta lungo il porto-canale. 05. Lungomincio Bonomi, tavola d’insieme. . 03

passerella ciclopedonale in legno, collegata alla sponda opposta tramite una zattera, consente il collegamento al centro storico riducendo in tal modo l’impatto antropico e garantendo un’elevata biodiversità. Per il lungolago Mazzini la riva è in ampliamento a sbalzo con una passerella dalla sezione a incudine: un unico segno compositivo di notevole leggerezza, per una passeggiata sospesa sull’acqua di grande fascino. Il tema dello sbalzo di per sé è già noto, proposto in altre località lacustri, ma non per questo meno idoneo. Il progetto per il lungolago Garibaldi ridisegna la passeggiata esistente con una nuova pavimentazione in pietra, un’aiuola continua tra le alberature esistenti e l’inserimento di pontili galleggianti per l’ormeggio delle imbarcazioni e un affaccio panoramico nella parte più a nord verso il lago. Il progetto secondo classificato, capogruppo l’architetto Claudio Allegri, presenta per ciascuna area un intervento principale e un progetto satellite, non immediatamente necessario ai fini del funzionamento complessivo della proposta. Per il lungomincio la proposta è minimale, dettata da una passerella ciclo-pedonale e da una zattera di attraversamento, mentre per il lungolago Garibaldi gli spazi sono caratterizzati da una connessione lenta, la cui sezione stradale è su quota unica. Per il Mazzini, invece, il tema proposto è quello di una nuova centralità, con la suggestione di uno spazio pubblico e pedonale aperto verso il lago che comprenda l’intera sezione stradale, ripensata come una piazza urbana. Puntuale nella descrizione dei temi da affrontare, di idee e suggerimenti – ad esempio la necessaria

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riqualificazione dei lungolaghi di peschiera del garda Concorso di idee 2019-2020 primo classificato arch. Michele Grisi, arch. Paola Tiberio, arch. Dario Chapuis, arch. Francesco Prinzivalli, arch. Simone Fabio Pezzarossi, dott. arch. Enrico Zaccarelli, dott. agr. Filippo Chiari secondo classificato arch. Claudio Allegri, arch. Francesco Molesini con: Elena Ceriani, Sara Lugo, geom. Giancarlo Zanoni, dott. forestale Valentina Camillo terzo classificato arch. Federico Signorelli, arch. Simone Bet, arch. Michela Napolitano, arch. Sara Negrelli, arch. Michael Corradi, dott. paesaggista Matteo Lugo

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sostituzione dei Pinus pinea – il progetto non ha puntato sulla seduzione visiva della tavole, in ciò rappresentando il dilemma che si presenta a ciascun partecipante ad un concorso: è meglio un progetto giusto o un progetto visivamente bello? Federico Signorelli, architetto capolista del terzo progetto classificato, propone, affrontando le criticità attuali presenti, un piano concreto per le diverse aree progettuali con una lettura naturalistica ambientale della riva del lungo Mincio, l’organizzazione di un interessante sistema pedonale e di ormeggi per il Garibaldi e un’ariosa passeggiata sul Mazzini. I tre punti areali fanno parte di un continuum il cui elemento lacustre è l’elemento sistemico - quello paesistico - pensato per un insieme più esteso. Per questo progetto come anche per altri dei premiati, è evidente lo sforzo di andare oltre alle puntuali richieste del bando per trovare una dimensione urbana complessa e il senso di idee per la città, tra sviluppo turistico, mobilità e fruizione dello spazio pubblico.

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Gruppo Federico Signorelli (terzo classificato). 10-11. Lungolago Mazzini e Lungomincio Bononi, tavole con inquadramento planimetrico, vedute e particolari. 12. Lungolago Garibaldi, veduta della passeggiata attrezzata.

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Gruppo Claudio Allegri (secondo classificato). 06-07. Tavole d’insieme per le aree di progetto Lungolago Garibaldi e Lungomincio Bonomi. 08-09. Lungolago Mazzini, suggestione e planimetria degli interventi previsti.

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La giuria ha ritenuto inoltre di segnalare altri tre progetti con menzioni tematiche ad hoc. Al gruppo guidato dall’ingegner Emilio Vagli quella per “storia ed innovazione”: il progetto ha ipotizzato elementi di grande innovazione attraverso un processo d’interpretazione critica delle memorie storiche, in particolare ispirandosi liberamente e con originale creatività alle matrici preistoriche – le palafitte – e al tracciato planimetrico dell’argine fluviale ottocentesco, evocato attraverso un lungo pontile ciclo-pedonale proposto nell’alveo orientale della fortezza. Menzione per l’estesa e puntuale “analisi urbanistica” invece per il gruppo guidato dall’architetto Francesca Rizzetto. Il metodo olistico proposto per la lettura analitica del sistema urbano nel quadro delle invarianti storiche ha consentito di legare i tre temi di progetto al nucleo del centro storico, reinterpretandolo come elemento d’unione dei programmi ipotizzati dal bando. Infine è per il “rapporto con l’ambiente” la segnalazione del progetto a firma dell’architetto

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riqualificazione dei lungolaghi di peschiera del garda Concorso di idee 2019-2020 menzione arch. Francesco Rizzetto collaboratori: arch. Andreas Faoro, dott. arch. Francesca Perugini, dott. arch. Mirabela Jurczenko, dott. Oriana Pilia menzione arch. Stefano Pendini, arch. Giuseppe Pepe, dott. urb. Mariasilvia Agresta, arch. Luca Cristiani, arch. Massimiliano Caviasca, arch. Marta Bigoni, arch. Marco Adriano Perletti, dott. pianif. Marco Picco menzione ing. Emilio Vagli collaboratori: arch. João António Ribeiro Ferreira Nunes, Roberto Francesconi

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Gruppo Francesca Rizzetto (menzione). 13-14. Elementi dell’analisi urbanistica e abaco delle attrezzature di arredo di progetto. Gruppo Stefano Pendini (menzione). 15. Lungomincio Bonomi, una soglia di passaggio al nuovo percorso ciclabile. 16-17. Lungolago Mazzini, la nuova “spiaggia solida” e un suo campionamento planimetrico. Gruppo Emilio Vagli (menzione). 18-19. Vedute di progetto del lungolago Garibaldi e della pista ciclabile “a palafitta” nei pressi del lungomincio Bonomi. 14

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Stefano Pendini e del suo team: un progetto capace di determinare ambienti di transizione, definiti “ecotoni”, in grado di collegare i diversi ambiti antropizzati e naturali attualmente esistenti innescando un’elevata biodiversità per l’ecosistema lacustre. Ha sedotto la giuria anche la chiarezza concettuale della veste grafica e minimalista degli elaborati grafici. Cosa resterà di questa grande mole di proposte, con cinque progetti premiati per tre aree di progetto e pertanto quindici soluzioni diverse a cui poter attingere, con i relativi abachi di materiale e di elementi di arredo urbano? Vero è che si tratta di un concorso di idee, e va sempre un plauso alle amministrazioni propositive che si mettono in discussione con questa formula. Due sono le considerazioni che emergono dagli esiti di questa competizione: la presa d’atto di una partecipazione per lo più locale, e la ricerca di una scala progettuale che spingesse oltre gli ambiti

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progettuali predefiniti. In molti dei gruppi si sono inserite figure come i paesaggisti, che hanno la mission di uno sguardo più ampio, necessario in questo particolare tessuto tra insediamenti storici, sviluppi moderni e il lago, con le sue spettacolarità ambientali e le criticità relazionali di biodiversità sistemica. Il dettaglio degli arredi, dei sistemi di illuminazione e delle attrezzature per la collettività è giusto siano pensati e vengano sviluppati, ma non dovrebbero diventare gli elementi predominanti, a meno di non ridurre le idee a meri oggetti. A questo punto ci si interroga sull’efficacia di concorsi così ‘puntuali’. Forse una visione più ampia darebbe maggiore continuità al nostro variegato paesaggio?

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Portfolio: riflessioni nel contesto urbano

Foto: Dino Gamba

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01. Il pass ante. 02. ConDuominio. 03. Camera con vista. 04. Scarpa & socolo. 05. Eco building. 06. Can panile. 07. Tende al nuvoloso.

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08. Pianta e prospetto. 09. Chiazza Bra 08

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