Architettiverona 129

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129 Terza edizione — Anno XXX n. 2 Aprile/Giugno 2022 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR – ISSN 2239-6365

RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

2022 #02

Gialloblu

Curare ad arte

Frammentare per celare

Dall’ambiente al paesaggio

Recupero a tutta birra

Dossier Verona militare: futuro presente

Cubismo sintetico

Territorio Sarò grande vedrai

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CONSIGLIO DELL’ORDINE • Presidente Matteo Faustini • VicePresidenti Paola Bonuzzi Cesare Benedetti • Segretario Chiara Tenca • Tesoriere Leonardo Modenese • Consiglieri Andrea Alban, Michele De Mori, Andrea Galliazzo, Roberta Organo, Fabio Pasqualini, Francesca Piantavigna, Leopoldo Tinazzi, Paola Tosi, Enrico Savoia, Alberto Vignolo

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXX n. 2 • Aprile/Giugno 2022 rivista.architettiverona.it

https://architettiverona.it/rivista/

DIRETTORE RESPONSABILE Matteo Faustini

DIRETTORE Alberto Vignolo

EDITORE Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

REDAZIONE Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri, Giulia Biondani, Federico Morati, Ilaria Sartori rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https://architettiverona.it/distribuzione/

ART DIRECTION, DESIGN & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PER LA PUBBLICITÀ Cierre Grafica Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

CONTRIBUTI A QUESTO NUMERO Alvise Allegretto, Anna Braioni, Federico Camerin, Luciano Cenna, Paolo Galuzzi, Francesco Gastaldi, Francesco Monicelli, Elisa Montagna

STAMPA Cierre Grafica www.cierrenet.it

CONTRIBUTI FOTOGRAFICI Lorenzo Linthout, Marco Toté SI RINGRAZIANO Barbara Bogoni, Michele De Mori, Federica Provoli, Martina Rossini

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

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Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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PROGETTO

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Frammentare per celare di Giulia Biondani

EDITORIALE

Gialloblu di Alberto Vignolo

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INTERIORS

Una casa adatta di Ilaria Sartori

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PROGETTO

Dall’ambiente al paesaggio di Federico Morati

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INTERIORS

Cinquanta sfumature di bianco di Elisa Montagna

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PROGETTO

Curare ad arte di Damiano Capuzzo

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PROGETTO

Recupero a tutta birra di Marzia Guastella

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INTERIORS

Black matters di Leopoldo Tinazzi

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DOSSIER

ODEON

Tempo-spazio-forma di Anna Braioni

Il metodo Albini di Luciano Cenna

DOSSIER

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084 ODEON

Verona militare: futuro presente

Verso un’architettura del vino di Alberto Vignolo

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Patrimoni militari dismessi: un volano per la rigenerazione urbana? di Francesco Gastaldi, Federico Camerin

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DOSSIER

Una proposta per l’ex Ospedale di Francesco Monicelli

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Viaggio in provincia: asparagi, battaglie e capannoni di Luisella Zeri

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ODEON

Per aspera di Angela Lion

PORTFOLIO

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TERRITORIO

Sarò grande vedrai di Federica Guerra

DOSSIER

Verso un Masterplan per Verona fortificata di Paolo Galuzzi

Cubismo sintetico di Giorgia Negri

Identità moreniche: idee a concorso di Laura Bonadiman

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ITINERARIO

Nuova guida, città vecchia di Alberto Vignolo

DOSSIER

DOSSIER

ODEON

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QUASI ARCHITETTI

ODEON

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Come eravamo (militari) di Alberto Vignolo

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Monumenti inconsapevoli

STUDIOVISIT OFF

Precisione elvetica di Alvise Allegretto

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ODEON

Chi cerca trova «AV» di Marzia Guastella

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Gialloblu

I colori dello stemma della città e i colori della bandiera ucraina: un’associazione che rievoca il tempo in cui la città bombardata era Verona

Testo: Alberto Vignolo

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Siamo soliti associare l’accostamento un po’ forzoso tra il giallo e il blu in tinta piena e satura a simbolo rappresentativo di Verona: sono i colori dello stemma della città, uno scudo crociato bicolor – ogni riferimento al partito politico democratico e cristiano che fu egemone per molti decenni, nel bene e nel male, pare pertinente – sormontato da una corona a cinque punte, simbolo dello status di città. È così che ogni qual volta si voglia far riferimento alla “veronesità”, che sia in senso civico o molto più prosaicamente commerciale, vediamo saltar fuori il gialloblu, fino all’uso smodato che se ne fa in certe gazzarre invereconde in nome e per conto del Dio Pallone. Ma abbiamo imparato in fretta negli ultimi mesi, per dovere di cronaca, come quegli stessi colori disposti in fasce orizzontali anziché verticali campeggino nella bandiera dell’Ucraina: da cui un continuo cortocircuito tra l’aspetto cerimoniale e festoso evocato da quell’accostamento cromatico, e viceversa il carattere drammatico che la vicina guerra porta alle nostre coscienze. Anni di benessere sostanzialmente diffuso hanno allenato il nostro cinismo a un’indifferenza cronica, tutti presi

come siamo dal comprensibile inseguimento edonistico di varie forme di piacere. Non che le guerre siano mancate, anche in tempi recenti e più o meno lontane che fossero, solo che i meccanismi di rimozione hanno sempre avuto la meglio. Quel gialloblu evocativo e la forza cruda delle immagini del conflitto ci possono però far ripensare a quando la guerra era qui, tra le nostre case, come ci ricordano gli oramai pochi anziani genitori o nonni superstiti che quell’esperienza l’hanno vissuta sulla propria pelle. Vengono in aiuto

i libri di storia e di storia urbana, e ancora una volta è la straordinaria efficacia della rappresentazione fotografica a rendere evidente ciò che pare inverosimile. Quando camminiamo per le vie di Verona e attraversiamo i suoi ponti, alziamo gli occhi ai monumenti e ai palazzi civili o ci inoltriamo nelle pieghe dei tessuti storici, inavvertitamente calchiamo i nostri passi là dove c’erano cumuli di macerie fumanti, rovine di murature e di pietre. La forma urbis è cambiata in maniera sostanziale anche a causa dei bombardamenti, ai quali ha fatto

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01. Bombardamenti in via don Nicola Mazza (Archivio di Stato di Verona, Genio Civile). 02. La GIL di corso Porta Nuova dopo i bombardamenti (Archivio di Stato di Verona, Genio Civile). 03. Bombardamenti alleati sulla stazione e officine di Porta Vescovo, 18/02/1944 (da G. Squaranti, Verona Aerea 1917-1945).

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seguito il periodo ricco di speranza della ricostruzione. Ma a che prezzo! Si è soliti pensare agli anni Cinquanta come a una stagione in fondo positiva: così ce la racconta la deformazione dello sguardo all’indietro, e sicuramente lo è stata perché dopo la tragedia non può che esserci la speranza. Allo stesso modo guardiamo alle immagini

« Quel gialloblu evocativo e la forza cruda delle immagini del conflitto ci possono far ripensare a quando la guerra era qui » crude delle devastazioni di oggi in terra gialloblu (quell’altra). Non sono le rovine causate da un terremoto o da un evento naturale, al quale fatalmente occorre rassegnarsi; e non è la distruzione creativa che prelude a un nuovo cantiere, a un futuro già segnato. Le pareti squarciate delle

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abitazioni, i condomini perforati, gli scheletri di edifici bruciato e le infrastrutture rase al suolo sono un presente che evoca dopo tre quarti di secolo un nostro vissuto. Dovrebbe bastare questo, assieme all’infinito strazio per le vittime e per le vite al limite dei superstiti, a farci sentire una vicinanza che però, solo a nominarla, scivola fatalmente nella retorica. Negli annali delle riviste di architettura, quelle storiche, gli anni di guerra furono vissuti con il sentimento dell’attesa di un dopo che tragicamente avrebbe dato molto da lavorare agli architetti. Non c’è una morale in queste considerazioni, perché al contrario è la mancanza di morale la vera essenza di ogni guerra. C’è unicamente la speranza progettuale di un futuro prossimo in cui gli architetti gialloblu, quelli con le strisce orizzontali, torneranno all’opera con l’immane compito della ricostruzione delle città ucraine. Ma saranno anni di slancio e di crescita, come i nostri lontani e “favolosi” anni Cinquanta.

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La val d’Adige all’altezza di Ceraino con lo stabilimento Vilca sul fondo. Cfr. pp. 40-43 (foto di Marco Toté).



PROGETTO

Curare ad arte Un intervento di rigenerazione urbana all’interno del tessuto post industrale di Verona Sud per la realizzazione di un centro sanitario dà luogo a un’architettura in dialogo con la persona e il luogo

Progetto: Arteco

Testo: Damiano Capuzzo Foto: Marco Totè

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Verona

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Le architetture per la cura sono da sempre un aspetto essenziale nell’organizzazione di una società civile; la sintesi dei modelli e delle tipologie storiche indirizza la ricerca verso un necessario valore umano da instillare nei complessi schemi strutturali che regolano il disegno di tali ambienti. Gli eventi attuali amplificano l’urgenza della riflessione, essendo tali edifici divenuti protagonisti della quotidiana battaglia contro la pandemia, rendendo innegabile come su questi occorra insistere e investire in modo deciso. Il centro diagnostico, preventivo e riabilitativo realizzato su progetto dello studio Arteco per conto della ditta Tecnomed, già operante nei territori del trentino e del veronese da oltre un ventennio, rappresenta una nuova pedina nella diffusione di centri medici privati altamente specializzati, caratterizzati da una notevole efficienza del servizio sia in termini di dotazioni d’avanguardia che di accessibilità al servizio. Il complesso di edifici si colloca nella ZAI storica di Verona, tra via Messedaglia e viale del Commercio, su una porzione d’area di circa 1.700 mq,

01. I bianchi fronti regolari del nuovo edificio reinterpretano la relazione con il fronte stradale. 02. Foto d’archivio del fronte su via del Commercio, con l’edificio oggetto di ristrutturazione in secondo piano. 03. La veduta d’insieme dalla corte sud restituisce il dialogo tra le due entità ben distinte per tipologia e materiali.

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« L’edificio ricalca una sorta di memoria urbanistica che il luogo può mantenere, pur nella trasformazione, per rispondere alle esigenze attuali senza stravolgimenti » dove l’articolazione esistente si componeva dei tre corpi di fabbrica di una segheria di legnami messi in comunicazione a mezzo di una tettoia che ne rettificava un mancato parallelismo, figlio certamente di un’origine urbanistica imprecisa anziché di una volontà spaziale, potendo far risalire l’edificazione dell’area ai primi decenni del secolo scorso. Porzione degna di nota, al di là degli acciacchi del tempo, era rappresentata dal fabbricato su via Messedaglia, articolato su tre navate con la centrale più alta e copertura a falde, l’unico a conservare gli aspetti tipici dei capannoni dell’imprenditoria autoctona del Novecento e per il quale l’analisi del

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PROGETTO

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04. Planimetrie dei piani fuori terra. 05. Scorcio d’insieme dalla corte interna.

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Curare ad arte

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contesto ha fin da subito pianificato la ristrutturazione, come a consolidare idealmente il caposaldo che quasi certamente aveva dato inizio allo sviluppo dell’area. Privi di valore testimoniale invece i rimanenti volumi, per i quali è stata prevista la demolizione e ricostruzione. Le linee guida che hanno indirizzato la progettazione alla scala urbana rivelano però la chiara volontà di recuperare la spazialità e il rapporto delle volumetrie originarie, mantenendo viva ognuna delle peculiarità tipologiche del complesso, quali il disassamento tra i volumi principa-

li, la chiusura del fronte stradale a conferma della cortina esistente lungo l’asse viario (seppur qui leggermente arretrato rispetto all’originale) e la formazione di una corte interna quale risultato della consolidata costruzione del perimetro; una volontà che, nelle parole dello Studio Arteco, definisce una ”sorta di memoria urbanistica che il luogo può mantenere, pur nella trasformazione, per rispondere alle esigenze attuali senza stravolgimenti”. Il progetto architettonico si concretizza secondo tali principi, conservando la sezione articola-

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06. La sottrazione dell’angolo al piano terra restituisce tensione e riconoscibilità all’ingresso principale su via del Commercio. 07. La pensilina che avvolge il piccolo patio finge anche da collegamento in quota tra i due edifici.

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ta su due piani fuori terra; le destinazioni ospitate sono principalmente di accoglienza e accettazione al piano terra, con spazi direzionali prospicienti la pubblica via e ambulatori e uffici amministrativi al piano primo. Recuperando un livello interrato già presente, si è scelto di collocarvi le funzioni diagnostiche che non necessitano di illuminazione naturale come l’analisi per immagini, le quali, sia per il peso e le dimensioni dei macchinari installati che per puntuali esigenze di compartimentazione e protezione delle necessarie schermature in ferro per confinare il campo magnetico, trovano qui il più corretto posizionamento. L’impianto spaziale evidenzia il focus compositivo nel vuoto interstiziale parzialmente coperto dalla tettoia, al quale il progetto riassegna il ruolo principale di orientamento e di illuminazione natura-

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le delle aree destinate all’attesa, grazie alla vetrata a doppia altezza orientata a ovest che permette il contatto diretto con l’ambiente esterno, garantendo comfort e benessere visivo. La scala lineare a vista che collega il piano di accesso con l’interrato vi aggiunge tensione, aprendo contestualmente la strada alla luce naturale che giunge così a equilibrare anche gli ambienti del livello inferiore, reso delicato grazie al piccolo giardino posto nello spazio residuo tra i due volumi. La nuova tettoia, bianca, che copre parzialmente lo spazio libero tra gli edifici sottolinea la vitale importanza del vuoto esterno, arricchendo gli ambienti con una mutevole profondità che il gioco d’ombre assicura nei diversi momenti della giornata, rispondendo al contempo alle necessità normative di collegamento di due padiglioni posti a di-

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PROGETTO

Curare ad arte

08. La scala interna accoglie il disallineamento derivante dalle giaciture urbane. 09. La vetrata che fronteggia il patio interno in una veduta dal livello inferiore. 10. Sezioni trasversali e longitudinali. 11. Il patio di collegamento tra i due edifici. 12. La zona di ingresso e accettazione.

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stanza critica. La stessa assolve anche al ruolo di collegamento al piano primo tra il nuovo edificio e lil fabbricato ristrutturato della ex segheria. L’aspetto architettonico degli esterni è composto e regolare nella scansione delle aperture, lineare nell’articolazione volumetrica degli elementi architettonici, educatamente ravvivati dallo sbalzo che enfatizza l’ingresso principale su viale del Commercio. Nella loro estrema vicinanza, l’edificio ricostruito ex novo e quello ristrutturato, seppur nel legame concretizzato dalla pensilina, mantengono una voluta distinzione materica anche a livello di finiture: un bianco opaco per i nuovi volumi e un color mattone con trama maggiormente irregolare per la porzione storica. Negli aspetti tecnici e realizzativi è interessante constatare come la generale pulizia formale dell’edificio, anche e soprattutto negli interni, mantenga una spiccata linearità, celando interamente la complessa ragnatela di dotazioni impiantistiche che, già critica negli edifici a media complessità, è qui elevata ad un altissimo grado di efficienza richiesta, in risposta non solo alle esigenze intrinseche del costruito, ma soprattutto a quanto correlato ai macchinari installati e alla loro rigorosa operatività. Basti pensare che il piano secondo, in buona parte nascosto alla vista dall’arretramento rispetto al perimetro dell’edificio, è interamente dedicato ai locali tecnici. Unico elemento in vista, sul prospetto sud, una curiosa ciminiera di esalazione dell’elio come “troppo pieno” in caso di guasto dei macchinari per la risonanza magnetica, la cui forma simile a una proboscide scherza con lo stile rigoroso del disegno generale. Spostando l’attenzione sull’edificio ristrutturato,

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COMMITTENTE M.M.F. Srl PROGETTO ARCHITETTONICO Arteco srl arch. Antonella Milani (direz. lavori) arch. Luciano Cenna arch. Maurizio Zerbato arch. Andrea Tenuti COLLABORATORI arch. Cristina Signorini (BIM) CONSULENTI ing. Enrico Magagna-Sinteco (progetto strutture) ing. Riccardo Antoniazzi-Protecno (progetto impianti) IMPRESE E FORNITORI Costruzioni Guerra (opere edili), Fis (pareti a secco, finiture interne), Alufer (serramenti), Turres (opere in ferro), Gelmini Cav. Nello (imp. termoidraulici), System Impianti (imp. elettrici), Pauletti (pavimentazioni), Fontana Massimo (giardino) CRONOLOGIA Progetto preliminare: 2018 Progetto definitivo-esecutivo: 2019 Realizzazione: 2019-2021

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PROGETTO

Curare ad arte

13. Sintesi degli scorci offerti dal progetto: una finestra sul paesaggio artigianale e una sull’arte. 14. Il padiglione ristrutturato della ex segheria si offre all’esposizione di numerose opere d’arte contemporanea.

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presumibilmente realizzato nel primo dopoguerra con struttura a telaio in cemento armato, viene messo in campo un intervento di consolidamento strutturale puntuale con rimozione delle parti in calcestruzzo degradate, il risanamento delle barre d’acciaio ove necessario e il ripristino con malta strutturale; la tipologia a telaio con murature perimetrali di tamponamento, ha permesso sia di liberare lo spazio interno sia di intervenire sul perimetro con nuove aperture. L’inserimento di un soppalco strutturalmente indipendente e realizzato in acciaio nella porzione a maggiore altezza del manufatto, posizionato in maniera da garantire la lettura del volume originario, restituisce dinamicità a un ambiente flessibile usato oggi come deposito d’arte, che potrà adattarsi a ospitare conferenze e workshop di approfondimento per l’attività aziendale, ma predisposto ad aprirsi alla collettività e ad eventi di diversa natura. Capace di testimoniare il carattere produttivo e manifatturiero che in passato aveva contraddistinto questa porzione di città, l’edificio rivela al suo interno, in tutta la sua carica cromatica e simboli-

ca, una sorprendente collezione d’arte contemporanea, espressione della grande passione per l’arte che contraddistingue la personalità del fondatore e presidente di Tecnomed, Mauro De Iorio. È singolare come la presenza dell’arte, in questo spazio multifunzionale-deposito visitabile ma anche in maniera diffusa tra gli ambulatori e gli uffici, possa rappresentare il fil rouge dell’approccio tra il centro diagnostico e il paziente. Se è certo che lo spazio di cura debba mettere a proprio agio il paziente che vi è temporaneamente ospitato (ma anche il personale che vi lavora), attraverso una progettazione capace di instaurare una condizione di benessere psicologico, nell’accoglienza e nell’immediatezza degli spazi, è esemplificativo constatare come l’ibridazione delle funzioni sia quasi sempre in grado di valorizzare il potenziale di partenza, riuscendo in questo caso a diffondere l’arte e la cultura di cui è espressione anche all’interno di ambienti dove potremmo definirla tanto inaspettata quanto irrinunciabile. Si tratta di un intervento che mantiene rintracciabili nella rilettura dello spazio, nell’organizzazione

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ARTECO Fondata nel 1983 in continuità con l’esperienza dello studio Calcagni e Cenna, la società di progettazione Arteco Architecture Engineering Consulting vanta oggi come soci Luciano Cenna, Antonella Milani, Maurizio Zerbato e Andrea Tenuti. Molteplici sono negli anni le opere realizzate sia in ambito pubblico che privato, dal 2015 svilippati in ambiebte BIM. Tra i lavori in corso, si segnalano il restauro di Palazzo Crepadonna a Belluno per la nuova Mediateca delle Dolomiti e il complesso residenziale Verde Adige per la rigenerazione di un’area dismessa in Lungadige Attiraglio a Verona. www.arteco-architetti.it 15

15. Il soppalco realizzato nella navata centrale dell’ex segheria offre una suggestiva location per eventi di varia natura. 16. Alcune delle opere d’arte della collezione De Iorio che rendono unico lo spazio ristrutturato.

dei flussi, nelle relazioni visive e nella qualità della luce naturale, un’architettura che attraverso pochi gesti semplici, mette al centro il benessere degli ospiti, declinando in primis concetti salubrità e freschezza degli ambienti e una gerarchia spaziale che rende facile l’orientamento. Il progetto del Centro Tenomed di Verona Sud riesce a far coesistere una predefinita spazialità con i molti vincoli presenti in strutture di questa tipologia, soprattutto legati all’impiantistica e alla separazione e razionalizzazione dei differente percorsi di utenti e materiali, dando luogo a una piccola architettura di qualità che risponde all’esigenza di far apparire semplice ciò che semplice, per l’appunto, non è.

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PROGETTO

Frammentare per celare La texturizzazione come strategia di mitigazione dei volumi attraverso due progetti di ampliamento e riqualificazione di attività produttive poste in contesti paesaggistici delicati

Progetto 1: arch. Carlo Cretella Progetto 2: Land

Testo: Giulia Biondani Foto: Marco Toté

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Arbizzano, Dolcé

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Molta parte del tessuto produttivo che caratterizza il territorio italiano, in termini generali, e a pieno titolo ampie porzioni di quello veronese, risale ad anni in cui la sensibilità nei confronti del paesaggio era ben lontana da quella attuale. Logiche di sfruttamento delle risorse locali da una parte, e un evidente particolarismo che ha determinato un mancato coordinamento tra aree e distretti industriali dall’altra, hanno fatto sì che mettere mano oggi a molti stabilimenti produttivi per il loro adeguamento o ampliamento porti a confrontarsi in chiave anche risarcitoria con l’inserimento nel paesaggio di tali insediamenti.

« Quattro diverse tonalità di colore armonizzano l’ingente volume come pennellate di una composizione pittorica divisionista » Gli esempi che presentiamo di seguito affrontano questa problematica in maniera similare, lavorando attraverso il binomio materia-colore quasi in un’ottica di redenzione. Elemento comune ai due casi è il loro importante impatto visivo dalle principali arterie di percorrenza che ne consentono la percezione, la strada che da Verona conduce in Valpolicella per il Salumificio Coati ad Arbizzano e l’autostrada del Brennero per l’impianto di produzione di calce Fassa Bortolo a Dolcè. Entrambi i progetti operano attraverso un processo di frammentazione visiva, che si traduce in una pixelizzazione dell’immagine dei volumi che pertanto, soprattutto nella visione in movimento, tendono a ridefinire il rapporto figura-fondo, cercando così di mimetizzarne le sagome.

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Arbizzano

Il complesso produttivo del Salumificio Coati, nato nel cuore della Valpolicella a Marano, ha trovato spazi produttivi adeguati alla sua costante crescita in un’area artigianale e industriale alle porte di Arbizzano, subito dopo Parona e già nel territorio comunale di Negrar di Valpolicella. Lo stabilimento preesistente, nato per un’altra produzione alimentare – i pandori della Paluani – ha subito una serie di continui adeguamenti e ampliamenti, tuttora in corso; sul versante meridionale dell’area al momento del sopralluogo è attivo un cantiere gremito di operai intenti a rimuovere i ponteggi del nuovo settore che svetta imponente coi suoi oltre dieci metri in altezza, ancora in via di completamento. Poco più in là, sul versante dell’insediamento che guarda verso la campagna con gli immancabili vigneti, si trova

01. La velatura metallica dissimula l’impianto posto in copertura al fabbricato e le relative reti. 02. Planimetria generale. 03. Oltre agli elementi in copertura la velatura maschera reti e impianti sul fronte dello stabilimento.

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Frammentare per celare

PROGETTO 04. Schema distributivo delle pannellature metalliche in quattro tonalità diverse. 05. La schermatura si interrompe in corrispondenza delle aperture di caricoscarico. 06. I pannelli avvolgono la scala metallica che permette l’accesso all’impianto in copertura. 07. Fotoinserimento della facciata cerulea nel contesto agreste.

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la palazzina uffici realizzata nel 2016, dell’area industriale con il fronte poben riconoscibile per la tinta rossa- steriore del Salumificio – l’ingresso si stra color cotto, i cui interni sono stati trova sul versante opposto –, sia pur realizzati su progetto dell’architetto in posizione molto rientrante. Questa Carlo Cretella (cfr. «AV» 11, pp. 40- condizione, all’interno di un territo47). rio particolarmente sensibile quale Lo stesso Cretella è stato chiama- quello della Valpolicella, ha richieto a confrontarsi progettualmente sto in fase autorizzativa un attento con la problematica dell’inserimen- studio progettuale, in dialogo con la to paesaggistico derivante dal nuovo Soprintendenza, dai cui è nata la soimpianto di quadrigenerazione – ca- luzione adottata. Si tratta in buona pace cioè di produrre contempora- sostanza di una schermatura realizneamente energia elettrica, vapore, zata con pannelli in lamiera grecata acqua surriscalmicroforata podata e acqua gesti su una sot« Questo “velo” metallico tostruttura melida – realizzato con turbine a tallica leggera, appare come un gas oil-free, una compatibilmente drappeggio, enfatizzato dotazione all’acon le dimensiodallo studio cromatico vanguardia dal ni dell’impiandel suo disegno » punto di vista del to. Viene così ririsparmio enerdefinito l’intero getico a servizio profilo superiore del ciclo produttivo, che ha però de- dello stabilimento attraverso l’inviterminato un notevole ingombro sul- luppo delle macchine e delle condutla copertura dello stabilimento dove ture, comprese quelle poste in facciaè stato posto, alterandone la sagoma ta. Questo “velo” metallico appare e l’impatto nello skyline. Ciò risulta così come un drappeggio, enfatizzato particolarmente evidente percorren- dallo studio cromatico del suo disedo la strada tra Parona e Arbizzano, gno. I singoli pannelli metallici quarispetto alla quale si staglia il profilo drati, infatti, appaiono come dei pixel

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COMMITTENTE Salumifico F.lli Coati SpA CONCEPT PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA arch. Carlo Cretella COLLABORATORI arch. Jessica Zuliani, interior designer Sofia Gelmetti PROGETTO E DIREZ. LAVORI SMR Studio di progettazione industria alimentare geom. Mario Riboldi CONSULENTI geom Marcello Ottolini (gestione processo edile) Studio Associato Burani & Nocetti (progetto impianti) Studio Elettroprogetti (progetto impianti elettrici) Mangili e Associati (progetto e realizzazione strutture) IMPRESE E FORNITORI Franco Pasetti (impianti condizionamento, idraulici e di automazione); Rewal di Milani e Reggiani (impianti elettrici) CRONOLOGIA Progetto e Realizzazione: 2019-2020

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PROGETTO

Frammentare per celare

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CARLO CRETELLA Nato a Verona (1972), si laurea nel 1999 presso lo IUAV di Venezia, e nello stesso anno insieme ad altri giovani architetti fonda AGAV. Nel 2003 apre il proprio studio occupandosi di architettura, ristrutturazione e interior design in contesti residenziali, commerciali e direzionali. Dal 2013 al 2015 affianca alla professione di progettista al ruolo di project manager presso un’azienda leader nel settore del design italiano. Dal 2007 a oggi è docente di progettazione d’interni presso l’Istituto Design Palladio di Verona.

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che compongono un disegno sfumato in dialogo con le tinte cerulee del cielo. Quattro diverse tonalità di bianco grigio, celeste e blu armonizzano l’ingente volume come pennellate di una composizione pittorica divisionista, per la quale i margini vanno a sfumarsi. La scomposizione dei moduli agisce in maniera tale da seguire un gradiente di densità lungo il quale intensificare il colore blu, con un effetto percettivo di sfumatura ottenuto in maniera discreta piuttosto che continua, come ad esempio avviene nel noto esempio del termovalorizzatore di Brescia, uno degli ineludibili riferimenti progettuali.

www.carlocretella.it

08. Lo stabilimento in una veduta dalla strada provinciale. 09. Dettaglio della pannellatura in lamiera grecata microforata. 10. Veduta dall’interno dei pannelli microforati con la struttura di sostegno.

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Frammentare per celare

PROGETTO 11. Veduta generale dell’impianto in rapporto al versante montano con la cava (foto: Land). 12. Lo stabilimento e la sua posizione nella Val d’Adige (foto: Fassa srl).

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Dolcè

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Percorrendo la val d’Adige nell ’affastellato rincorrersi delle infrastrutture lungo le anse del fiume, dalla statale 12 all’autostrada del Brennero, non passano inosservati all’interno del paesaggio prealpino sia gli elementi del sistema ambientale che quelli antropici. Tra questi in sinistra d’Adige, in corrispondenza del forte Ceraino edificato dagli austriaci sulla sommità del monte Pastello, è presente fin dall’inizio del Novecento un’attività di estrazione della calce aerea, i cui segni sul versante del monte sono molto evidenti. Ai piedi della cava si trovano gli impianti per la lavorazione industriale della calce, un’attività radicata da tempo ma ancora pienamente attiva, tanto che ha visto un recente

cambio di proprietà con l’incorporazione della società Vilca nel gruppo Fassa Bortolo. A seguito di questo passaggio, è stato avviato un processo di riqualificazione e ampliamento del sito produttivo che ha interessato, oltre agli aspetti ambientali dei processi, la mitigazione del suo impatto paesaggistico. Su tale obiettivo è intervenuto lo studio Land di Milano, il cui progetto ha preso le mosse da uno studio del contesto e dei nuovi edifici in chiave cromatica, assieme a specifici interventi di rinaturalizzazione del sito. Per gli impianto di nuova realizzazione – impianto di lavaggio calcare, tramoggia di scarto e impianto bricchettatrice – è stato definito un rivestimento policromo che, sulla base dei toni di grigio delle strutture esistenti, sia capace di dialogare con le variazioni cromatiche stagionali.

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COMMITTENTE Vilca SpA PROGETTO PAESAGGISTICO LAND Italia Team di progetto: Andreas Kipar, Luisa Bellini, Valerio Bozzoli, Francesca Villa PARTNERS Fassa Bortolo Studio Zecchinato AUXo studioassociato Eambiente vSrl CRONOLOGIA Progetto e Realizzazione: 2019-2021

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13. Le variazioni di colore sono applicate ai pannelli metallici di rivestimento dei nuovi impianti realizzati nello stabilimento (foto: Fassa srl). 14. Legenda cromatica RAL delle tonalità selezionate che variano dal verde della vegetazione al grigio della parete rocciosa.

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Si sono così individuate cinque diverse gradazioni tonali, che vanno dal verde simulando la vegetazione e tendono al grigio per fondersi con la roccia. Il background del ripido ambito di estrazione e lavorazione della pietra calcarea con i suoi ruvidi chiaroscuri ha ispirato una texture geometrica dall’andamento prevalente diagonale, in consonanza con la trama geologica. Ciò si è tradotto nell’applicazione di campiture di colore applicate sui

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diversi materiali di rivestimento, di dimensioni e geometrie variabili, per una superficie di intervento che ha riguardato oltre 11.000 metri quadrati. Anche per questo progetto come per l’esempio precedente, le immagini ravvicinate ne consentono una lettura didascalica, ma è da una profondità di campo maggiore che se ne può cogliere il valore essenziale di integrazione nel paesaggio, e ciò appare ancora più evidente da una veduta in movimento capace di far fondere i singoli pi-

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Frammentare per celare

PROGETTO 15. Elaborati grafici generali di progetto con ia legenda colore indicativa delle tonalità cromatiche (Land). 16. La veduta d’insieme evidenzia le nuove strutture mitigate dal pattern cromatico rispetto a quelle grigie preesistenti.

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xel in una sfumatura continuamente esprimere e valorizzare l’immagine vibratile. unitaria del territorio in cui si insePer quanto riguarda la riqualificazio- riscono, favorendone la lettura. Rapne della fascia arborea sul fronte della presentano e costituiscono un’intestrada statale, anche in chiave di mi- grazione al precedente inserimento tigazione acustica, è stata ricostituita paesaggistico con l’obiettivo di conla cortina verde con l’utilizzo di fila- tinuare a proporre forme innovative ri polispecifici di integrazione disposti seconambientale. Le « Si sono individuate do linee parallemigliorie che si cinque diverse gradazioni mettono in prale all’andamentonali che vanno dal verde tica a livello di to della strada. Sono stati popelle architettoe tendono al grigio per sti in opera 300 nica, non venfondersi con la roccia » soggetti arborei gono concepite (Quercus petracome elementi ea, Quercus pubescens, Salix alba, di rottura in continuità col paesaggio Populus alba, Populus nigra, Fraxi- ma come elementi di potenziale valonus ornus, Alnus glutinosa, Carpinus re ambientale ed ecologico della probetulus) e 1000 arbusti forestali, oltre prietà. Attraverso un alternato e vario a 15.000 metri quadri di idrosemina. utilizzo di colore, forme e materiali In entrambi gli interventi progettua- con l’impiego di campi di colore trali si riscontra una comune volontà di mite il loro rivestimento.

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17-18. Andamento diagonale delle pannellature metalliche dell’impianto di lavaggio del calcare: veduta d’insieme e particolare (foto: Land). 19. Veduta dell’impianto produttivo in rapporto al versante montano.

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PROGETTO

Dall’ambiente al paesaggio Una complessa vicenda amministrativa relativa a un’attività produttiva posta in un contesto semi agricolo ha trovato soluzione attraverso un singolare intervento di land art in chiave pittorica: Behind the land

Progetto: Aspro Studio, PjSlis Testo: Federico Morati Foto: Andrea Pertoldeo

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Villafranca di Verona

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Un singolare esempio di landart, un’opera di architettura che ha la forza di costruire relazioni senza costruire. L’intervento eseguito presso l’impianto di lavorazione di rottami ferrosi Colfer, a Villafranca di Verona lungo Via Sommacampagna, nasce dall’esigenza di risolvere un groviglio burocratico intrecciato tra amministrazioni comunali e provinciali, competenze paesaggistiche e ambientali. Groviglio dipanato direttamente da Aspro Studio e dal suo fondatore, Claudio Bertorelli. Si tratta di un progetto di valorizzazione paesaggistica che si propone di integrare il vistoso sito dell’impianto di lavorazione metalli, volume che si impone sull’orizzontalità dei campi agricoli circostanti, attraverso soluzioni alternative alla tipica schermatura vegetale. Soluzione che sarebbe risultata inutile, oltre che sconveniente, nell’ottica

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« La valorizzazione paesaggistica può avvenire anche attraverso la creazione di un nuovo sistema di relazioni tra l’edificio e il contesto » di una possibile ulteriore organizzazione spaziale dell’impianto. Qui, attraverso la “sola” pittura murale, si è intervenuti esaltando e valorizzando il corpo edilizio stesso invece di cercare di nasconderlo timidamente dietro un rigido filare di alberi. L’intervento realizzato si propone di ricomporre una relazione tra l’edificio e il contesto attraverso l’espressione artistica di un attento studio del colore, che trae spunto sia dalla lettura del paesaggio agricolo circostante (compresa la sua componente più geologica e profonda) che dalla dimensione estetica che lo stesso paesaggio produttivo determina. La parete diventa lo sfondo per molteplici e sovrapposti giochi di relazioni metaforiche, passando dalle ideali stratigrafie delle sedimentazioni geologiche alle cromie dei terreni coltivati. In questo modo anche l’attività stessa della Colfer è intesa come una fonte di ispirazione: la lavorazione del rottame ferroso viene reinterpretata come l’espressione di un ciclo

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produttivo che giunge a conclusione e che si appresta a diventare riciclo. Estrazione dei minerali, lavorazione, uso del prodotto finito, consumo, trasformazione in rifiuto e infine in rottame che torna a depositarsi. Nuovo ciclo. Un ciclo che, diventando virtuoso, acquista anche un valore estetico e simbolico. Risulta facile immaginare, quindi, la difficoltà di riassumere quanto detto in un vero e proprio progetto architettonico. Per questo motivo l’elaborato progettuale si presenta composto semplicemente da

01. Il rapporto tra l’orizzontalità dei campi agricoli e il quadrilatero produttivo di Colfer visti da est. 02. Il polo produttivo si colloca all’interno di una fascia territoriale ibrida, tra estesi ambiti rurali, infrastrutture di mobilità, placche industriali e nuclei urbani, lungo il cono di volo dell’Aeroporto Catullo. 03. Il ri-ciclo produttivo all’interno del monoblocco costituisce esso stesso un paesaggio in movimento. 04. Elementi del paesaggio agricolo nella coltre autunnale attorno al sito.

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Dall’ambiente al paesaggio

PROGETTO

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05. Schemi di tracciamento in opera delle sagome. 06. La dimensione iconica come soluzione alla dimensione edilizia. Inaspettatamente anche il sito Colfer può raggiungere il medesimo valore che ha Uluru (il più importante massiccio roccioso dell’outback australiano e luogo sacro per gli aborigeni locali). 07. Scenari prefigurativi di Behind The Land.

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BEHIND THE LAND Programma di valorizzazione paesaggistica del polo produttivo Coilfer a Villafranca di Verona COMMITTENTE Colfer di Roberto Cobelli PROGETTO ARCHITETTONICO E PAESAGGISTICO Aspro Studio Claudio Bertorelli, Alfonso Calafiore, Giacomo Casentini, Chiara Zonta PROGETTO ARTISTICO PjSlis di Pierluigi Slis CONSULENTI ing. Francesco Scappini (aspetti ambientali) Heads Collective (merchandising e immagine coordinata) IMPRESE E FORNITORI FB di Ottorino Facincani (pitture edili) 08

degli schemi realizzati sui prospetti del complesso, serviti poi come traccia per l’effettiva realizzazione dell’opera artistica. È in questo momento che diventa fondamentale la figura del direttore artistico Pierluigi Slis, artista trevigiano che si è occupato della trasposizione su parete dei giochi di relazioni di cui abbiamo parlato. Operazione non semplice data la considerevole superficie dei prospetti perimetrali, parliamo di circa 10.000 metri quadrati su uno sviluppo di un chilometro. Dimensioni che ne fanno una delle realizzazioni di questo genere più importanti a livello nazionale, e che hanno reso necessario suddividere i prospetti in 51 settori verticali per la realizzazione del dipinto murale. Rimane incompiuto, a causa delle previsioni di possibile riorganizzazione spaziale dell’impianto, solo quanto previsto originariamente per il muro di cinta perimetrale, pensato interamente dipinto con un motivo tono su tono che giocava con la diversa grana delle finiture superficiali. Slis, nonostante le difficoltà dovute alla realizzazione di un progetto di tale portata in tempi relativa-

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mente ristretti, durante i mesi invernali, e gestendo una squadra di lavoro che non poteva certo vantare la sua manualità di artista, è riuscito a esprimere al meglio quanto immaginato dal progetto. Il bilanciamento delle scale cromatiche e il dinamismo delle forme, inoltre, permettono un’armoniosa percezione dell’opera sia da grande distanza che in prossimità dell’edificio. Un equilibrio di difficile realizzazione su una superficie così estesa. La sintonia tra artista e progettista è stata senz’altro una delle chiavi per l’azzeccata realizzazione dell’opera, un rapporto caratterizzato da apporti spontanei e da un accompagnamento reciproco verso la realizzazione di un progetto condiviso. Un progetto che non scade nell’autocelebrazione, ma che invece si propone come fonte di interpretazione e di interrogazione sul contesto. Infatti, un altro esempio delle interpretazioni/relazioni che questo intervento ha saputo generare è l’articolato sistema di comunicazione visiva sviluppato dallo studio grafico Heads Collective sulla base dei valori simbolici con cui il progetto ha valorizzato il complesso produttivo. Lo studio ha

CRONOLOGIA Studio di valorizzazione paesaggistica: maggio-giugno 2021 Progetto esecutivo: settembreottobre 2021 Realizzazione: ottobre-dicembre 2021

08. Il mutare delle stagioni e il crescere delle colture produce un mutamento dell’opera Behind the Land.

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Dall’ambiente al paesaggio

PROGETTO

09. Schema esecutivo di verifica dei settori di intervento sulle superfici murarie. 10. Veduta ravvicinata dell’opera sul fronte sud. 11. Prime indagini per un progetto illuminotecnico, render notturno. 12. Veduta ravvicinata dell’opera sul fronte nord.

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colto con chiarezza i tratti e i ragionamenti che hanno guidato la realizzazione dell’opera, ideando poi un sistema di comunicazione che va dalla grafica al merchandising con caratteristiche profondamente evocative di ciò che Colfer rappresenta oggi. Behind the Land. Lo stesso Pierluigi Slis, proseguendo anche il suo percorso artistico personale (in riferimento a quelle che lui chiama Terre Fragili), ha dipinto alcune opere su tela riprendendo i motivi artistici realizzati in questo progetto. Inoltre, a memoria della celebre Verona urbs picta cinquecentesca, è affascinante constatare come l’abilità di valorizzare un edificio esclusivamente attraverso il sapiente uso delle pitture murali sia sempre un metodo attuale ed efficace, anche se applicato su un grande volume produttivo sorto in

una porzione di territorio che conserva, invece, il suo carattere agricolo. Seppur sempre più compresso tra le espansioni urbane di Sommacampagna e Villafranca. L’intervento realizzato alla Colfer si presta per diventare un prezioso caso studio, volto a mostrare come la valorizzazione paesaggistica può avvenire anche attraverso la creazione di un nuovo sistema di relazioni tra l’edificio e il contesto, proponendo un impatto virtuoso sul paesaggio e acquisendo la forza di diventare icona di se stesso. Un metodo che, attraverso un lavoro attento, delicato e sensibile al genius loci, permette di innescare dinamiche che sarebbero altrimenti escluse da un approccio volto alla sola mitigazione.

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ASPRO STUDIO Aspro Studio nasce nel 2003 per iniziativa di Claudio Bertorelli e opera dalla sede di Vicenza. L’attività progettuale si concentra sulla costante integrazione tra i temi del design urbano, dell’architettura e del paesaggio. Tra le recenti opere a scala urbana ricordiamo il primo programma Verona Reload per l’ex Magazzino FS Porta Vescovo (2011), ora denominato Adige Docks (2017-2020, con ADV, DDV e arch. Rinaldo, cfr. «AV» 123, pp. 22-33) e la rigenerazione delle ex Officine Safem a Verona Sud (in «AV» 121, pp. 30-35). www.asprostudio.it PJSLIS Pierluigi Slis (1974) vive e lavora a Revine Lago (TV). Il suo lavoro affronta tematiche progettuali in continuo divenire utilizzando prevalentemente strumenti espressivi quali l’installazione, la composizione e la pittura. Dal writing e dalla street art ha assimilato caratteristiche quali l’indifferenza per la durata dell’opera nel tempo e la consapevolezza della sua precarietà, della sua inevitabile trasformazione e fin della sua distruzione; una certa insofferenza per estetismi e formalismi; l’attenzione dirottata dall’opera come prodotto finito all’operare che la precede. www.pierluigislis.com

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PROGETTO

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13. Veduta frontale con l’affaccio sulla distesa dei campi agricoli. 14-16. Behind The Land si declina anche attraverso la produzione di poster che selezionano parti dell’opera (una per ognuno dei 43 giorni di cantiere) e di merchandising dedicato.

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PROGETTO

Recupero a tutta birra La ristrutturazione di una corte settecentesca diventa l’occasione per recuperare antiche memorie e censire gli effetti della pianificazione sul territorio

Progetto: Clusterlab

Testo: Marzia Guastella Foto: Silvia Mozzon

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San Martino Buon Albergo

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Luoghi vs non-luoghi. Potrebbe sembrare il titolo di un documentario storico-territoriale, in realtà è la sintesi di una riflessione scaturita dalla visita alla Campagnetta, corte rurale del XVIII secolo. Nonostante le recenti contaminazioni, il concetto di nonluogo rappresenta infatti un elemento quasi necessario per delineare il contesto di questo intervento e comprendere alcune scelte progettuali. Il territorio in cui si colloca la corte è conosciuto come Campagna Minore e inquadra la fascia pianeggiante tra San Michele Extra e San Martino Buon Albergo annessa alla Campagna di Verona nell’XI secolo per soddisfare il crescente fabbisogno della città. L’area, in passato dedita al pascolo e alla coltivazione, è stata teatro di importanti vicende storiche e si caratterizza oggi per l’evidente frattura causata dalla rete infrastrutturale – strada

La loro prima operazione ha determinato infatti un ribaltamento verso nord del fronte principale per poter riservare una superficie idonea alle funzioni complementari della nuova attività ristorativa; la soluzione ha reso necessaria la riapertura di una porta secondaria dell’ex stalla, da utilizzare come accesso primario, raggiungibile tramite un percorso centrale costeggiato da materiali di recupero, tema molto caro ai progettisti. Il percorso divide simmetricamente le pertinenze – una balza di riporto inerbita e un folto oliveto – che rammentano i terrazzamenti e le piantumazioni del paesaggio storico isolando visivamente il fabbricato dal contesto infrastrutturale e industriale; le due aree accolgono spazi per il consumo all’aperto così come il vecchio letamaio trasformato in un plateatico sopraelevato.

01. Fotomontaggio con un frame del progetto realizzato su un’immagine dello stato di fatto. 02. Inquadramento della Campagnetta nel contesto territoriale.

03. Prospettiva della corte che intercetta gli spazi esterni, i tre volumi principali (residenza, stalla e deposito) e una parte dell’amplimento (in bianco).

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« L’approccio conservativo restituisce alla struttura il carattere di un antico luogo di lavoro destinato ad accogliere la nuova funzione » statale a nord, autostrada e ferrovia a sud – e per la disomogenea distribuzione di aziende e stabilimenti industriali. Questi non-luoghi hanno completamente estraniato l’antica corte dal suo contesto agricolo cancellando definitivamente ogni relazione con le altre proprietà della famiglia Zenobio – corte Cercola e corte Sant’Antonio – e provocando una sostanziale perdita dei terreni a sud, aspetto che ha influenzato fortemente il progetto di ristrutturazione degli architetti Diego Caloi e David Bottos.

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Recupero a tutta birra

PROGETTO

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04. Schema planimetrico della corte in relazione con il contesto. 05. Concept di progetto per l’inserimento di nuove funzioni e dei volumi in amplimento a sud. 06. Veduta notturna con il sistema di illuminazione della scala esterna.

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Notevole è l’approccio conservativo che restituisce alla struttura il carattere di un antico luogo di lavoro destinato ad accogliere la nuova funzione. Il complesso rurale, divenuto sede della birreria Fabbrica in Pedavena, è stato oggetto di un intervento architettonico e strutturale orientato a mantenere la configurazione degli spazi enfatizzando i percorsi originali e rendendo chiara la lettura dei nuovi innesti disegnati come un gioco volumetrico di aggregazioni ed estrusioni. I percorsi si sviluppano secondo due assi principali: nord-sud, su cui si inserisce il nuovo ingresso, est-ovest su cui si sviluppa la sala principale caratterizzata da uno spazio a doppia altezza che collega i grandi archi a tutto sesto collocati alle due estremità della stalla e un tempo utilizzati per il transito dei carri; questo approccio non ha solo una valenza simbolica ma anche fun-

zionale nel dividere totalmente l’ambito pubblico da quello privato. Al momento dell’intervento, la corte era composta da tre volumi con un discreto stato di conservazione: la residenza, su tre livelli, la stalla in parte soppalcata e adibita a fienile, e il piccolo deposito novecentesco che ha determinato la configurazione a L della pianta. Il consolidamento delle murature perimetrali con intonaco armato è stato ultimato nella stalla con un intonachino a base di sabbia di Progno all’esterno e una finitura spatolata di colore nero all’interno; per la parete nord al piano terra è stato invece realizzato un isolamento a base di calce e canapa per evitare il rischio di umidità. L’antica composizione con laterizio, ciottoli di fiume e pietra tufacea rimane ancora visibile nel muro di spina o sulla parete esterna del deposito, dove

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COMMITTENTE MN Srl PROGETTO ARCHITETTONICO E DIREZIONE LAVORI Clusterlab arch. Diego Caloi, arch. David Bottos COLLABORATORI ing. Paz Moya, geom. Matteo Carcereri CONSULENTI ing. Marco Montresor (progetto strutture), per. ind. Simone Burato (progetto impianti e antincendio) IMPRESE E FORNITORI Cestonato, Zanini Corrado (opere edili), Pauletti (isolamenti interni), Servizi Elettrici (impianti elettrici), Termoidraulica R.D.E. (impianti idraulici), AP Design (arredi), Progetto Giardino Menini Vivai (aree verdi)

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è stata riproposta come rivestimento; mentre la residenza si distingue totalmente per il colore rosso della finitura di cocciopesto. L’uso dei materiali ruota intorno all’autenticità della corte e del luogo, in dialogo con l’esistente. La scala d’emergenza sul prospetto est è composta da un ballatoio in metallo completamente indipendente al quale si affianca una rampa in cemento armato poggiata su un setto murario e schermata da doghe in legno. Internamente, la maggior parte dei solai lignei dell’ex stalla sono stati sostituiti, ma resta traccia di un solaio originale nell’area d’ingresso, smontato e riposizionato a un’altezza adeguata. La stessa operazione ha interessato un solaio con volterrane in laterizio e putrelle di ferro nell’ala est, riconfigurato quasi totalmente a esclusione della fascia perimetrale ter-

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minata con l’ausilio di assi di recupero in legno. Questa porzione, allestita probabilmente in epoca successiva, si caratterizzava per la presenza di piccoli box mantenuti dai progettisti per offrire maggiore intimità ai commensali e segnalati da un intonaco bianco. Il colore bianco assume un ruolo concreto nel rivelare gli interventi progettuali o successivi alla costruzione dell’edificio, assieme a materiali come il cemento a vista utilizzato per le strutture di collegamento verticale e i nuovi solai della galleria principale, uno dei quali conserva nell’intradosso una particolare incisione che ripercorre la storia della famiglia Zenobio nel territorio veronese con elementi simbolici come il corso d’acqua, la ferrovia e la stessa corte. La parte superiore, riservata a meeting o eventi privati, si presenta come un grande open-space scandito da pi-

07. Veduta dall’oliveto della residenza. 08. Percorso centrale che conduce al nuovo ingresso sul prospetto nord.

CRONOLOGIA Progetto: 2014-2016 Realizzazione: 2016-2020

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PROGETTO

Recupero a tutta birra

09. Sala dell’ala est con solaio in volterrane; da notare i dettagli dei box novecenteschi (in bianco) e della trave di rinforzo. 10. Piante piani terra e primo. 11. Dettagli materici tra alzati e pavimentazioni. 12. Sala principale a doppia altezza con il nuovo solaio in cemento. 13. Dettaglio della scala interna in cemento.

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lastri in mattone e affiancato da un ballatoio. I pilastri reggono la copertura originale in legno nella quale sono state ricavate delle aperture. Le piccole finestre sul prospetto nord sono state ampliate, offrendo una piacevole vista sulle colline filtrata dai frangisole in legno grezzo. Questo livello si relaziona con quello inferiore attraverso parapetti dal particolare colore azzurro, che ricorda quello delle strutture metalliche esistenti dovuto probabilmente alla reazione chimica dell’antiruggine. Un altro elemento che contraddistingue i vari spazi è infine la pavimentazione: il marmo all’ingresso si esaurisce nella neutralità del cemento utilizzato al piano terra, ritmato da fasce di mattoni grezzi in corrispondenza dei pilastri; il quarzo rosso rimarca invece il pavimento delle aree di intervento più recenti, mentre il legno è

usato per il ballatoio e scalda il grès scuro del secondo livello. Nel progetto sono stati inseriti anche due volumi in ampliamento sul lato sud, adibiti a cucina e spazi di servizio e direttamente collegati all’ex stalla; la loro natura viene rivelata ancora una volta dal colore bianco e dal materiale che, nonostante tutto, preserva una continuità formale. Forature perimetrali verso la residenza consentono di utilizzare ambienti più piccoli, a supporto dell’attività, allestiti nei principali locali dell’abitazione, dove si conservano ancora alcuni elementi come il caminetto della zona giorno, la pavimentazione o ancora il vecchio pozzo che rende esclusiva la piccola area esterna sul lato sud, unico effettivo ricordo di un vissuto familiare sfumato ad alta velocità.

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CLUSTERLAB ClusterLab è uno studio di architettura e design fondato nel 2010 da David Bottos e Diego Caloi che si dedica alla progettazione e restauro di immobili, al disegno di oggetti e allo sviluppo di idee. David Bottos, nato in Italia e di origini australiane, si laurea a Venezia per poi svolgere la sua attività all’estero, partecipando alla realizzazione di edifici di grandi dimensioni con studi internazionali. Diego Caloi, nato a Verona nel 1973, si laurea in architettura presso lo IUAV nell’ottobre 1999 e svolge la libera professione dal 2000. www.clusterlab.eu

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INTERIORS

Una casa adatta

La ristrutturazione di un ampio interno domestico nel centro di Verona come rilettura della tradizione della modernità sul tema dell’abitare Progetto: co.arch studio Testo: Ilaria Sartori

Foto: Diambra Mariani

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Il tema dell’abitazione è forse quello più discusso e studiato dagli architetti di tutto il mondo e, di certo, da quelli italiani nel corso del Novecento. La casa è stata interprete dei grandi cambiamenti delle società, e spesso è stata manifesto della modernità, indagando nuovi linguaggi e divenendo oggetto di pubblicazioni da parte delle riviste più aggiornate. La casa che qui presentiamo può essere posta in continuità con questa lettura: così intendono la residenza denominata PL36 i progettisti dello studio milanese co.arch, composto da Giulia Urciuoli, architetto con sangue e origini veronesi, insieme all’architetto Andrea Pezzoli. Ci troviamo in una delle vie principali della città, poco distante da Castelvecchio, ai piani nobili di un palazzo storico. L’appartamento si sviluppa su due livelli sfalsati tra loro, di cui uno mansardato, con aperture su due fronti; è stato oggetto di diverse ristrutturazioni negli anni Ottanta e Novanta e quest’ultimo ennesimo intervento nasce dall’esigenza di una giovane coppia di rinnovare gli spazi da abitare con i loro tre figli. Alcune riflessioni tratte dal Manifesto della casa adatta del 1970 di Gio Ponti hanno guidato una progettazione mirata ad alleggerire l’abitazione, abbandonando lo schema del corridoio a servizio di una successione di locali delimitati e individuali.

Il piano inferiore con la zona giorno è composto da un unico ambiente che permette un movimento fluido, seppur funzionale. Entrando, lo sguardo si incanala in uno spazio stretto e profondo che, come un confine fruibile, delimita da una parte l’ampio soggiorno e dall’altra gli ambienti servizio. A sua volta, il soggiorno è diviso in due da una scala centrale in acciaio inox e legno, che consente la salita da entrambi i lati. La prima parte è spaziosa, con un divano ampio e profondo realizzato su misura in legno laccato nero e cuscini di velluto azzurro. Incorniciato da una libreria improvvisata e arricchito da arredo vintage dai colori accesi, disegna uno spazio conviviale e spontaneo. Oltre la scala, il soggiorno diventa più composto: il divano posa su un grande tappeto e si chiude intorno a un camino a parete. I colori sono tenui e omogenei, puntualmente impreziositi dalle venature scure del marmo Calacatta Corchia usato non solo per il fronte del camino, ma anche per i tavolini su disegno; su uno di questi poggia una lampada da tavolo Bilia, design di Gio Ponti per Fontana Arte. Scelta accurate come questa hanno guidato la selezione di tutti i corpi illuminanti, accostando pezzi contemporanei con altri vintage. Il blocco della cucina diviene l’elemento ordinatore dell’impianto, un

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COMMITTENTE Privato PROGETTO ARCHITETTONICO co.arch studio arch. Alberto Pezzoli, arch. Giulia Urciuoli

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COLLABORATORI arch. Isabella Posadinu IMPRESE E FORNITORI Full Casa Verona (opere edili), Favorita (rivestimenti lapidei), Garzon (pavimenti in legno), Conati Interiors (cucina), Arlexitalia (bagni)

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01. Esploso assonometrico dell’impianto dell’appartamento. 02. Citazione scarpiana per l’affaccio tra cucina e sala da pranzo. 03. La zona giorno con il camino in marmo Calacatta Corchia. 04. Continuità degli spazi della zona giorno con la scala centrale in acciaio inox. 05. Il divano realizzato su misura nella zona giorno. 06. Il tavolo da pranzo Doge di Carlo Scarpa visto dalla cucina.

CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: luglio 2020-febbraio 2021

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INTERIORS

Una casa adatta

07-08. Piante del livello giorno e di quello notte alla quota superiore. 09. Il parquet in rovere agisce come legante tra gli ambienti: veduta attraverso il bagno padronale. 10. L’ambiente di accesso al piano mansardato.

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volume che organizza gli ambiti circostanti attraverso muri stondati e grandi aperture; se i muri assecondano i movimenti e suggeriscono i percorsi, le aperture invece mantengono la continuità spaziale. Una grande apertura circolare incornicia dalla cucina il tavolo da pranzo Doge, un pezzo di Carlo Scarpa; lo spazio operativo si limita a un’unica penisola monolitica bianca e marmorea, di matrice funzionalista, posta a favore del tavolo. Il parquet a spina francese, con lunghe plance in rovere naturale, riveste tutte le superfici del piano, rappresentando un importante elemento di coesione degli spazi, supportato anche dal minimo utilizzo di porte di chiusura. Una scelta differente caratterizza la zona notte: percorsa la scala centrale, infatti, si sbarca in un ulteriore soggiorno di piano, dove il parquet questa volta è posato a correre. Un blocco servizi centrale, anch’esso dai muri stondati, delimita le due camere da letto, che rimangono comunicanti tra loro anche grazie al terrazzino a pozzo sul quale affacciano. La camera padronale, invece, gode di un proprio affaccio sui tetti veronesi e di un bagno privato. Attingendo all’ampia scelta di marmi di eccellenza, i progettisti hanno scelto per i rivestimenti dei bagni lo Statuarietto, le cui venature grigie, sottili e dense arricchiscono gli ambienti sobri e ordinati. Il meticoloso arredo contemporaneo, affiancato a oggetti di famiglia dei committenti, diviene un principio di coerenza all’interno di un impianto irregolare, tipico delle abitazioni storiche. È facile immaginare la vita di una giovane famiglia in spazi liberi e prospettive profonde. PL36 non è una casa generica, ma evidentemente è fatta su misura per loro.

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Cinquanta sfumature di bianco

Tre spazi domestici raccontano il lavoro progettuale di uno studio impegnato in una ricerca di chiarezza capace di esaltare gli elementi della tradizione Progetto: Masaai studio Testo: Elisa Montagna Foto: Francesca Iovene

Minimalismo raffinatissimo, bianco sofisticato, sottrazione di colori, materiali della tradizione veronese, fonti di illuminazione nascoste nel soffitto: sono queste le caratteristiche che accomunano gli interni domestici progettati dai giovani architetti dello studio Masaai. Un fil rouge che racconta spazi che sfruttano tutte le potenzialità del colore della luce. Le finiture neutre sono utilizzate per esaltare la ricchezza cromatica e materica dei pavimenti antichi, per far mostrare allo spazio con orgoglio le porzioni di murature storiche, valorizzando la tradizione costruttiva. Con un occhio sempre attento al design, le case parlano un linguag-

gio essenziale, molto vicino a quello degli spazi espositivi. “Lavorare con la tradizione non significa essere tradizionalisti, ma vuol dire lavorare in parallelo, reinterpretandola e valorizzandola. Abbiamo iniziato a progettare fin da subito in un contesto molto particolare, una città patrimonio unesco dove ci si trova spesso non solo a dialogare ma a scontrarsi con la storia.” racconta Matteo Maria Savoia, fondatore dello studio al quale si

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Attico S. 01. Il pavimento come un antico tappeto 02. La cucina dalle linee moderne sul pavimento di cementine. 03. Dettaglio della pavimentazione. 04. Planimetria dell’appartamento. 03

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Cinquanta sfumature di bianco

INTERIORS

le stanze come preziosi tappeti, sono valorizzati dal forte contrasto tonale e materico delle pareti bianchissime. Anche se l’architettura degli interni ha un aspetto estremamente contemporaneo, molte delle soluzioni rileggono la tradizione: gli stucchi a marmorino, le modanature a soffitto e le colorate cementine originali dialogano armoniosamente con il bianco candido: l’atmosfera eterea viene così esaltata dalla continuità e dall’uniformità cromatica dell’estetica contemporanea. La sensazione è quella di un luogo senza distrazioni: un modo per contrastare il caos della città e della vita odierna. Il secondo caso, la ristrutturazione di una vecchia casa in una corte ad Arbizzano, è esemplare dell’approccio progettuale di Masaii. La schiera, sviluppata su tre piani, è stata oggetto

Casa Arbizzano 05. Configurazione della cucina essenziale. 06. Valorizzazione del muro in pietra esistente. 07. Sfumature di bianco a contrasto con il legno della trave esistente.

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sono aggiunti dal 2018 Carlo Alberto Cusinati e Maddalena Gioco. Il riuso dei materiali della tradizione declinati in modo differente rispetto all’utilizzo antico, è la chiave per realizzare delle architetture che non imitano il passato, ma che lo prendono ad esempio in una prospettiva futura. Gli spazi appaiono senza tempo, reinterpretati in una visione sostenibile del progetto, a qualunque scala. Il primo degli esempi che mostriamo, la ristrutturazione di un attico in via Nazario Sauro con una visuale aperta verso il colle di San Pietro, si inserisce all’interno di un antico palazzo dei primi del Novecento, rimasto chiuso per quasi mezzo secolo. Il complesso restauro ha riportato gli spazi al loro originario splendore, grazie a un intervento ridotto all’essenzialità. I meravigliosi pavimenti di cementine, che incorniciano e attraversano

« Le finiture neutre sono utilizzate per far mostrare allo spazio con orgoglio le porzioni di murature storiche » di un restauro conservativo esterno e del rispettoso ammodernamento interno. Pochi gesti ma ben equilibrati contraddistinguono questo intervento, frutto di un continuo dialogo con il luogo e la tradizione. Tinte tenui e colori chiari, legno e pietra locale si confrontano nelle stanze con l’immancabile total white: un lavoro minuzioso di sottrazione che riporta alla luce le antiche tessiture murarie. Le travi a vista, mantenute al naturale o tinteggiate di bianco, gli inserti dei portali interni, la scala in pietra e il grande camino nella zona giorno

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Casa Broilo 08. Il vecchio camino protagonista della stanza. 09. La policromia e il gioco dei materiali nei bagni. 10. Una finestra tra le stanze.

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sono gli unici elementi preesistenti che ci fanno percepire di essere all’interno di un edificio storico. In tutta l’abitazione le pareti sono dello stesso colore candido, e i pavimenti sono di rovere pallido. Infine, per il progetto di Casa Broilo, all’interno di un palazzo cinquecentesco profondamente modificato nel secondo dopoguerra, il piano nobile rinasce dopo anni di incuria grazie a un intervento attento e delicato. Un atteggiamento rispettoso e allo stesso tempo radicale nell’approccio: le vecchie travi vengono ridipinte di un grigio tenue, a contrasto con i muri bianchi interrotti dai varchi ora in legno ora in pietra locale. Un gioco fatto di tagli di luce con leggere modifiche spaziali, variazioni materiche che risaltano soffitti e pavimenti. Un richiamo alle case nobiliari d’oltralpe, dove la luce pervade tutti gli spa-

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zi. Per non snaturare il carattere originario degli spazi, solo i bagni sono decorati con raffinati accostamenti tra materiali ceramici e lapidei con tinte pastello delle pareti e dei soffitti, in opposizione agli altri ambienti della casa. I tre progetti presentati sono espressione di una ricerca architettonica che esula dal campo della forma e che diventa fondamentale per dare qualità e personalità a ogni singolo luogo, mantenendo saldi i principi e dello studio.

PROGETTI Masaai studio arch. Matteo Maria Savoia, arch. Carlo Alberto Cusinati, arch. Maddalena Gioco ATTICO S Impresa: Innovero Progetto e realizzazione: 2019 CASA ARBIZZANO Impresa: Cherubini Progetto e realizzazione: 2017

CASA BROILO Impresa: Innovero Progetto e realizzazione: 2020

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INTERIORS

Black matters

Una estrema sintesi di colori e materiali caratterizza un interno domestico realizzato a Villafranca

Progetto: boschinistudio

Testo: Leopoldo Tinazzi Foto: Marco Toté

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01. Planimetria di progetto. 02. Una veduta dal corridoio di ingresso verso la cucina. 03. L’area relax attorno al grande divano in velluto verde.

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L’interno domestico realizzato a Villafranca tra il 2019 e il 2020 si presenta come un elegante intervento di ristrutturazione, ricco di idee e soluzioni progettuali sia dal punto di vista distributivo che costruttivo-artigianale. L’appartamento si trova all’ultimo piano di un palazzo contemporaneo ed è equamente diviso tra la zona giorno e la zona notte, con due camere da letto. A livello planimetrico la zona giorno è un open space affacciato per buona parte su una loggia, dalla quale si gode la vista della grande cupola della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo (replica ottocentesca della basilica del Redentore di Palladio). In asse con la grande porta finestra che inquadra la loggia, un volume attrezzato se-

gna l’ingresso all’appartamento, accogliendo un guardaroba da un lato e un piccolo bagno di servizio dall’altro. Questo portale agisce come un filtro e contemporaneamente ridimensiona e definisce l’ampia zona giorno, entrati nella quale ci si trova in un salottino di ingresso. Qui una piccola isola con seduta bifacciale diventa perno per il dialogo tra i vari ambiti dell’open space diurno, definiti ciascuno da un elemento (penisola cucina, tavolo e divano). Da un lato troviamo il grande banco in rovere nero e marmo verde che emerge come unica traccia della cucina, lasciando così intatta la sensazione di trovarsi in un ambiente living. Frontalmente all’ingresso e in linea con la loggia è collocato il tavolo da pranzo, il cui sistema costruttivo prevede gli stessi materiali del banco cucina. A inquadrare questo ambito troviamo due nicchie simmetriche con mobile credenza e scaffali, dietro i quali è posto uno specchio in modo da amplificare lo spazio e riflettere al massimo la molta luce che entra in questo punto. Infine, la zona dei divani è leggermente più intima e seminascosta. Inquadrata da un controsoffitto ribassato, una grande seduta su misura in velluto verde si incassa sul muro perimetrale, creando una nicchia morbida e confortevole.

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Oltre questo ambiente si passa alla zona notte, alla quale si accede attraverso un disimpegno attrezzato con armadi a muro a servizio condiviso tra le due camere da letto, entrambe dotate di servizi con ampie docce walkin. Nella zona notte così come nella zona giorno, la sensazione dominante è quella di essere in un interno domestico accogliente e dalla luce soffusa. Lo studio Boschini ha scelto di dare al progetto un taglio molto netto, impostando in modo chiaro gli spazi e definendoli con un approccio estremamente sintetico riguardo a colori e finiture. Le scelte materiche sono declinate tra il il bianco degli intonaci a

grana grossa delle pareti, il nero per gli elementi lignei (arredi e pavimento) e il verde di marmi e tessuti della zona giorno. Questa sintesi si riflette anche nella scelta di utilizzare pochi e significativi oggetti emergenti a livello di arredo, lasciando quasi tutto incassato sul perimetro, in modo da caratterizzare gli spazi attraverso la definizione della propria epidermide. Un progetto maturo e sartoriale, figlio di una scuola che attraverso Arrigo Rudi, relatore di tesi del titolare dello studio Fabrizio Boschini, arriva fino all’attuale generazione di giovani professionisti, rappresentata dal figlio Francesco.

COMMITTENTE Privato PROGETTO E DIREZIONE ARTISTICA boschinistudio arch. Francesco Tobia Boschini DIREZIONE LAVORI boschinistudio arch. Fabrizio Boschini Angelo Tosi

FORNITORI Pibamarmi (pietra), Ceadesign (rubinetteria), Viabizzuno (illuminazione), Falegnameria Diema (arredi su misura)

CRONOLOGIA Progetto e realizzazione: 2019-2020

04. Il lavabo monolitico del bagno di servizio. 05. La zona living con il tavolo da pranzo di fronte alla loggia. 06. Il bancone della cucina. 07. Uno schizzo su carta nera della zona pranzo.

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DOSSIER

Verona militare: futuro presente Città militare fin dalle origini, Verona conserva tracce imponenti di tale ruolo, che rappresentano al tempo stesso la forza ideale del suo passato e una straordinaria risorsa per il futuro. Ridimensionato da tempo il ruolo strategico della città, la progressiva restituzione agli usi civili di rilevanti porzioni urbane e di grandi complessi architettonici ha comportato e comporta scelte strutturali rilevanti, con esempi di brillanti recuperi, grandi incompiute e destini ancora in divenire. Un convegno tenuto il 7 aprile 2022, promosso da Ordine Architetti PPC della provincia di Verona, Ordine Ingegneri di Verona e provincia e Civica Alleanza per un Grande Castelvecchio, si è proposto di inquadrare le trasformazioni in atto entro il quadro più ampio delle potenzialità offerte per la rigenerazione urbana dalle aree militari dismesse, a supporto di uno scenario che vede ulteriori pedine in movimento nello scacchiere urbano. Oltre ai contributi che seguono, sono intervenuti al convegno Vincenzo Tiné (Soprintendente Archeologia Belle Arti Paesaggio per le provincie di Verona Vicenza e Rovigo) assieme a Marco Cofani, architetto presso il medesimo ufficio, Ilaria 123 129

Segala (Assessore all’Urbanistica del Comune di Verona) e Stefano Dindo (Presidente Civica Alleanza per un Grande Castelvecchio). Come ogni convegno che si rispetti, non contano tanto le risposte quanto il presupposto di mettere in circolo questioni non certo nuove, con l’obiettivo che entro una visione d’insieme – dal generale al particolare veronese – possano trovare respiro anche suggestioni progettuali ambiziose e speranzose, come quella che mira a una nuova sede per il Circolo Unificato dell’Esercito liberando spazi vitali per la crescita del Museo di Castelvecchio. Ma quello dei musei è tema per un altro Dossier.

Patrimoni militari dismessi: un volano per la rigenerazione urbana? Dall’abbandono alla dismissione al recupero: iIl quadro normativo e operativo a livello nazionale

Verso un Masterplan per Verona fortificata

Strategie per il riuso e la valorizzazione delle strutture fortificate di Verona come telai storici per la rigenerazione della citta contemporanea

Tempo-spazio-forma Alcune riflessioni su Verona città militare fin dalla sua formazione

Come eravamo (militari) I processi di conversione all’uso militare di compendi storici e il recupero ad usi civili in corso e in divenire

Una proposta per l’ex Ospedale

Il recupero dell’ex convento di San Jacopo della Valverde quale sede del Circolo Unificato dell’Esercito

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DOSSIER

Patrimoni militari dismessi: un volano per la rigenerazione urbana? Dall’abbandono alla dismissione al recupero: il quadro normativo e operativo a livello nazionale Testo: Francesco Gastaldi *, Federico Camerin * *

Le mutazioni geopolitiche relative alla fine della Guerra Fredda hanno generato cambiamenti rilevanti negli stati di confine tra il blocco occidentale e orientale, tra cui l’Italia. Dalla fine degli anni Ottanta si è verificato dunque un lento ma inesorabile processo di sottoutilizzazione e abbandono di centinaia di infrastrutture militari generando nuove domande di governo del territorio per le aree interessate. In conseguenza di queste dinamiche, enormi porzioni di terreni ed edifici sono stati avviati alla dismissione, anche alla luce dei processi di ristrutturazione dell’apparato statale in un’ottica di razionalizzazione della spesa pubblica e riduzione del debito pubblico. Si tratta di una dinamica non nuova nella storia d’Italia: la dismissione e riconversione ad usi civili dei patrimoni immobiliari militari si è ripetuta più volte a partire dall’Unità, contribuendo a modellare le città e cambiarne i connotati morfologici ed identitari (Insolera, 1989). Si tratta di beni di diversa tipologia (aeroporti, caserme, depositi, poligoni di tiro, polveriere, etc.), dimensione (territoriale o piccole porzioni urbane), localizzazione (città, zone periferiche o perfino aree agricole e costiere), valori culturali, storici e identitari (presenza di edifici di elevato pregio architettonico o in cui sono verificati avvenimenti rilevanti per la storia italiana). Le dismissioni promosse dalla fine del secolo scorso sono entrate da tempo nei dibattiti accademici, aprendosi una riflessione ponderata sull’identificazione di problemi e possibili soluzioni (Gastaldi e Camerin, 2019).

All’interno dei limiti invalicabili delle mura militari, soprattutto delle caserme, si celano delle vere e proprie “città all’interno di città”, progettate per rispondere alle esigenze di vita e di permanenza dei soldati, oltre a quelle di addestramento e formazione. Spesso su questi ambiti in abbandono si aggirano i desiderata di cittadini ed amministrazioni locali che vedono nel recupero e valorizzazione di queste aree un’opportunità per migliorare la qualità di vita di quartieri o interi comuni. Tuttavia, esistono anche le esigenze di monetizzazione da parte del proprietario (il Ministero della Difesa) che, dall’alto della posizione di vantaggio tipica di chi possiede una porzione di suolo la cui rendita fondiaria potrebbe essere potenzialmente elevata (almeno in alcuni casi, non in tutti), ricorre alla vendita (talvolta svendita) del proprio patrimonio immobiliare per rispondere alle normative statali in materia di dismissione. In termini di governo del territorio, le aree militari dismesse si mostrano come potenziali volani di rigenerazione urbana, ma un insieme di fattori eterogenei e frammentati

* Università Iuav di

Venezia, Dipartimento di Culture del Progetto * * Universidad UVA de Valladolid - Universidad Politécnica de Madrid, Departamento de Urbanística y Ordenación Territorial, Grupo de Investigación en Arquitectura, Urbanismo y Sostenibilidad

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tra di loro ne stanno impedendo percorsi di riuso virtuosi: questi ultimi dovrebbero virare su approcci inter-multi-disciplinari. Sebbene siano state promosse indagini settoriali a livello nazionale, regionale e municipale da parte di entità pubbliche (Commissione IV Difesa, 1999; Corte dei Conti, 2017) e istituzioni accademiche (Storelli, Turri, 2014; Fiorino, 2021), ad oggi mancano ancora analisi sistematiche sul processo successivo alla chiusura delle infrastrutture, un inventario qualitativo e quantitativo della riduzione della presenza militare nel territorio italiano e un compendio di “buone pratiche” di riuso incorniciate in processi di rigenerazione urbana. Tali mancanze lasciano le comunità, i governi locali e gli stakeholder interessati a sperimentare processi di riuso “caso per caso”, pianificando collaborazioni pubblico-private, nuove tipologie d’uso e strategie di finanziamento basate su dispositivi normativi instabili, frammentati

« All’interno dei limiti invalicabili delle mura militari si celano delle vere e proprie “città all’interno di città” » e contraddittori tra di loro, oltre ad un mercato immobiliare che negli ultimi quindi anni è apparso spesso poco favorevole (specie in aree marginali o interne). Trattandosi di beni di proprietà pubblica, le ex aree militari dovrebbero configurarsi come una particolare tipologia di “beni comuni” la cui alienazione dovrebbe virare sull’ottenimento di benefici sociali, economici e ambientali, ma tali circostanze non si verificano se i terreni militari vengono valutati principalmente in termini finanziari. I processi di dismissione sono stati gestiti nel tempo, non solo dal Ministero della Difesa, ma anche da agenzie governative indipendenti, come l’Agenzia del Demanio, con modalità ed obiettivi talvolta diversi, perfino contrastanti. Si passa infatti dalle procedure di vendita su base d’asta al miglior offerente al trasferimento gratuito (federalismo

01-02. Caserma Montezemolo a Palmanova (Udine) e Caserma Perotti a Firenze. Foto: F. Camerin. 03-04. Aerocampo a Vittorio Veneto (Treviso) e Deposito munizioni a Giavera del Montello (Treviso). Foto: F. Camerin.

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demaniale) agli enti locali per soddisfare esigenze della comunità. Queste circostanze hanno avuto un rilevante impatto sui risultati dei nuovi usi da attribuire agli ambiti militari dismessi. È mancata sostanzialmente una collaborazione interdisciplinare e con approcci misti concepiti secondo una visione di governo del territorio di medio-lungo periodo, spesso non coincidente con il periodo di vigenza degli strumenti di pianificazione urbanistica a livello comunale: la tempistica della pianificazione strutturale ed attuativa, generalmente di 10 e 5 anni ciascuna, non risponde a quella di riuso dei vuoti militari. I problemi che affliggono i processi di dismissione vanno al di là delle semplici rifunzionalizzazioni di tipo architettonico, soluzioni di restauro conservativo o di demolizione e ricostruzione pensati all’interno di strumenti di pianificazione attuativa. Le questioni da affrontare attraversano confini disciplinari, approcci parziali e settoriali portano spesso all’insuccesso. Da qui la necessità di una riflessione che coinvolga il mondo amministrativo, politico e professionale per interfacciarsi con quello accademico. Ne è esempio la recente conferenza “Rigenerare le aree militari dismesse. Prospettive, dibattiti e riconversioni in Italia, Spagna e in contesti internazionali” del settembre 2021 (Gastaldi e Camerin, 2021), attraverso cui si è sviluppata una riflessione aperta al mondo accademico, istituzionale

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05-06. Poligono di tiro a Ponte della Priula (Treviso) e Polveriera a San Vendemiano (Treviso). Foto: F. Camerin.

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e professionale sulla questione della dismissione degli insediamenti militari in ambito nazionale e internazionale che coinvolga tutte le amministrazioni interessate (Ministero della Difesa, dei Beni Culturali, dell’Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, enti pubblici e territoriali e equivalenti in Spagna e all’estero). L’evento ha proposto un approccio multidisciplinare al tema per instaurare un dialogo costruttivo e virtuoso sulle questioni di riuso di aree e immobili del Ministero della Difesa, non solamente in termini di normativa, approcci partecipativi e di progetti urbanistico-architettonici, ma anche con riferimento a problematiche, talvolta poco analizzate nell’ambito degli studi urbani, relative a vincoli economici e ad immobili con valore storico-artistico. Varie domande permangono ancora senza risposta in termini di governo del territorio: esiste un modo virtuoso per gestire la riconversione delle infrastrutture militari dismesse in un’ottica di rigenerazione urbana? Quali politiche e progetti possono avere successo e in quali condizioni? Che ruolo hanno o possono avere gli investitori privati? Come possono le comunità interessate dalle dismissioni usare il protagonismo locale dal basso per produrre idee e progettualità utili a riconvertire gli ex siti militari? Le risposte proposte si intrecciano inevitabilmente con le sfide della sostenibilità e della transizione ecologica (es. contenimento del consumo di suolo) affrontate anche dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per tracciare un nuovo percorso per il futuro dell’Italia da un punto di vista sociale, ambientale ed economico.

Riferimenti Camerin F., Gastaldi F. (a cura di) (2021), Rigenerare le aree militari dismesse. Prospettive, dibattiti e riconversioni in Italia, Spagna ed in contesti internazionali, Maggioli Commissione IV Difesa (1999), La dismissione dei beni immobili della Difesa nell’ambito della ristrutturazione delle Forze Armate, Camera dei Deputati Corte dei Conti (2017). Relazione concernente ‘La dismissione e la permuta di immobili in uso all’amministrazione della Difesa (2003-2016)’. Deliberazione 13 luglio n. 10/2017/G, 2017, Corte dei Conti Fiorino D. R. (2021), Sinergie percorsi interistituzionali per la riqualificazione delle aree militari / Interinstitutional experiences for the rehabilitation of military areas, Unica press Gastaldi F., Camerin F. (2019), Aree militari dismesse e rigenerazione urbana. Innovazioni urbane, potenzialità di valorizzazione del territorio, inerzialità legislative e di processo, Letteraventidue Insolera I. (1989), Insediamenti militari e trasformazioni urbane, in Antonelli G., Grispo R. (a cura di), Esercito e città. Dall’Unità agli anni Trenta. Tomo II (pp. 663-676), Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Storelli F., Turri F. (Eds.) (2014), Le caserme e la città: i beni immobili della difesa tra abbandoni, dimissioni e riusi. Palombi Riconoscimenti Federico Camerin ha svolto questo lavoro nell’ambito del progetto La Regeneración Urbana como una nueva versión de los Programas de Renovación Urbana. Logros y fracasos, cofinanziato dal Ministerio de Universidades all’interno del Piano per la Ripresa dell’Unione Europea – NextGenerationEU e dall’Universidad de Valladolid.

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Verso un Masterplan per Verona fortificata

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Università La Sapienza, Roma

Strategie per il riuso e la valorizzazione delle strutture fortificate di Verona come telai storici per la rigenerazione della citta contemporanea

Testo: Paolo Galuzzi *

A Verona da almeno tre decenni, si è attivato un interesse convergente per la riscoperta, lo studio, la valorizzazione e il recupero dello straordinario patrimonio fortificato presente nel centro storico e diffuso in larga parte nel territorio comunale. Il sistema fortificato della città è, infatti, un palinsesto territoriale, continuo e punteggiato, costituito dalle permanenze di almeno cinque ‘corone’ fortificate, che caratterizzano e conformano non solo la città storica veronese, ma l’intero assetto urbano e paesaggistico della città. L’impegno profuso negli anni per la riscoperta e valorizzazione di tale patrimonio fortificato ha coinvolto il Comune in prima fila quale attore istituzionale, insieme a una moltitudine di attori, studiosi, associazioni, professionisti e cittadini appassionati, il cui lavoro ha positivamente concorso all’iscrizione della città nella World Heritage List Unesco. L’intrecciarsi di momenti di sensibilizzazione culturale, con forme di attivazione volontaria finalizzate ad attività di cura e manutenzione di alcune strutture fortificate, insieme alle attività istituzionali di trasferimento al demanio comunale di ampi compendi della Cinta Magistrale e alla loro contestuale riattivazione attraverso concessioni, convenzioni e patti di sussidiarietà hanno favorito un’azione imprescindibile di sorveglianza, manutenzione e di riuso leggero di strutture e luoghi puntuali che stenta ancora a divenire una realtà consolidata, fruibile complessivamente.

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La rigenerazione urbana e ambientale di tale sistema richiede un progetto architettonico e urbanistico sistemico. Un progetto capace di tenere insieme un disegno generale di valorizzazione territoriale, con azioni diffuse e puntuali di riuso. Un’azione integrata di rigenerazione di luoghi e territori fortificati condotta a partire dal disvelamento di una geografia di segni e manufatti spesso latente dentro la dispersione insediativa caotica recente, orientata a ridare forma e qualità urbanistica, ambientale e sociale alla città. Tale riflessione ha preso avvio con il lancio della

Variante n. 29 al Piano degli interventi (giugno 2021), con la quale il Comune di Verona ha voluto intraprendere una politica differente rispetto alle precedenti stagioni urbanistiche. Indirizzandosi in particolare verso la rigenerazione diffusa dei tessuti esistenti, attraverso il progressivo recupero e riuso di luoghi dismessi e abbandonati, anche abbracciando una scala di interventi più minuti di riqualificazione, in grado di valorizzare il capitale fisso della città esistente. Questa manovra mira a far emergere specifici programmi urbanistici rigenerativi

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DOSSIER

per parti degradate della città, da sviluppare attraverso l’apporto partecipativo dei protagonisti pubblici e privati alla progettazione, attuazione e gestione di interventi di riqualificazione; di recupero e riabilitazione del tessuto urbano, sociale, economico delle parti di città più fragili per degrado, marginalità e abbandono. In questa prospettiva e con particolare riferimento al sistema delle fortificazioni veronesi, il ruolo dell’amministrazione pubblica assume un’importanza decisiva nello svolgere funzioni di coordinamento e attivare azioni proattive di sensibilizzazione, informazione e disseminazione orientate a elevare l’attenzione e la cura di una straordinaria risorsa per l’intera comunità locale. Al contempo di assicurare una efficace regia con gli attori istituzionali coinvolti, sulla base di un quadro di azioni e di progettualità condivisi, mobilitando la rete di associazioni e soggetti che in questi anni hanno partecipato alla valorizzazione del sistema fortificato veronese. L’inestimabile patrimonio storico-architettonico del sistema fortificato della città di Verona costituisce una

01. Forti e strutture militari nell’impianto urbano attuale. 02-03. Influenza morfogenetica del sistema fortificato veronese attraverso la Carta dell’Almagià (1460) e una mappa risalente al XVI secolo con la raffigurazione dei beni posti nel territorio di Verona.

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« Attraverso un telaio–guida si delineano così le linee di forza e resistenza, la struttura portante e la figura spaziale principale da conseguire » risorsa fisica e un prezioso palinsesto da riscattare nel progetto rigenerativo della città contemporanea in grado di restituire elementi di permanenza, identità e qualità alle periferie urbane moderne. Un progetto che richiede di superare la fase analitica e di lenta costruzione di inventari patrimoniali, per avviare un progetto urbanistico sistemico di insieme, capace di conciliare un disegno generale di prospettiva per la valorizzazione territoriale con azioni diffuse e puntuali, legate alle singole necessità e istanze di riuso urbanistico ed edilizio. La città contemporanea, esito dei processi di ‘metropolizzazione’ del territorio, presenta generalizzati elementi di fragilità dovuti

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all’insostenibilità della sua forma, organizzazione e funzionamento. Mentre le componenti urbane e territoriali storiche, lette sistematicamente attraverso il concetto di rete, possono costituire uno strumento analitico-progettuale per ridare forma e qualità urbanistica, ambientale e sociale alla città. Riconoscere all’interno di tali schemi direttori l’insistere di particolari telai ambientali e infrastrutturali costituisce, solitamente, il primo passo verso un progetto strutturale di territorio. Senza dimenticare che i telai storici – come in particolare possono esserlo alcuni assetti relativi alle difese militari – possono costituirsi quali elementi influenti sulla

riconfigurazione degli assetti frammentati e discontinui della città contemporanea: contribuendo a contrastare la banalizzazione e la dissoluzione dei paesaggi identitari. I “telai storici”, interagendo e relazionandosi con quelli ecologico-ambientali e infrastrutturali, richiedono per la loro costruzione e attuazione strumenti operativi, procedure idonee, abilitanti processi necessariamente multiattoriali coinvolgenti diversi livelli istituzionali e patrimoniali, che consentano di tenere insieme un approccio generale strategico con un approccio particolare di riuso e valorizzazione edilizia e urbanistica.

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Ciò comporta riconoscere il palinsesto territoriale fortificato di Verona come il telaio di un’azione di rigenerazione urbana e ambientale condotta a partire dal disvelamento di una geografia di segni e opere non ancora del tutto cancellata e rimasta latente dentro la dispersione insediativa caotica recente. Tutti elementi che influiscono sulla riconfigurazione degli assetti frammentati e discontinui della città contemporanea, contribuendo a contrastare la banalizzazione e la dissoluzione dei paesaggi identitari. Ogni elemento del telaio non viene così affrontato come unicum, ma come elemento costitutivo di un sistema più ampio, seppur con le proprie specificità, che riguarda l’insieme complesso delle fortificazioni e, più in generale, la città e il territorio nelle relative articolazioni in quartieri, ambienti di vita e paesaggi differenti. Ricorrendo a strumenti non necessariamente codificati e istituiti (Masterplan), che costituiscano la cornice generale strategica e la regia pubblica operativa per operazioni puntuali di recupero e valorizzazione, si possono far emergere connessioni e opportunità sulla base delle quali accompagnare e governare il processo di trasferimento dei beni militari, oggi ancora in atto a seguito della legge del 2010 sul federalismo demaniale culturale e dell’Accordo comunale di valorizzazione siglato tra il Comune, il Mibac e l’Agenzia del Demanio nel 2012. I Masterplan individuano traiettorie possibili per innescare pertinenti azioni di recupero architettonico e funzionale, innovativi modelli di gestione, coinvolgenti processi di conoscenza e sussidiarietà, anche innescando un ciclo di attività e usi temporanei che consentano di restituire rapidamente alla vita urbana e alla fruibilità collettiva tali immobili. I patrimoni storici militari riletti in questa prospettiva e organizzati entro una rete di nodi, diversi e articolati nel tempo e nello spazio, contribuiscono a rileggere i tessuti insediativi, i paesaggi urbani e rurali, i percorsi e le trame territoriali e quindi a risignificare lo spazio, soprattutto quello della ‘città pubblica’, entro cui si svolge la maggior parte delle attività sociali e nel quale si sedimenta la memoria collettiva.

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04-05. Masterplan dei Forti: ruolo territoriale e vocazione funzionale prevalente degli spazi aperti dei forti asburgici (Comune di VeronaDirezione Pianificazione e Progettazione Urbanistica, FOA Studio Architetti Associati).

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DOSSIER

Tempo-spazio-forma Alcune riflessioni su Verona città militare fin dalla sua formazione

Testo: Anna Braioni

La forma del tempo (Ernst Cassirer, filosofo) o il tempo dello spazio (Kevin Lynch,pianificatore)? Non è una discrasia! Le due figure retoriche per la nostra città si sovrappongono, perché entrambe riconducono a un sistema di relazioni formali che interagiscono e costruiscono continue connessioni tra tempo-spazioforma. Infatti Giuseppe Gisotti nel suo libro La fondazione delle città (Carocci, 2016) afferma che la storia di una città (luogo di relazioni umane) parte da molto lontano, ancora dalle ere geologiche e dall’evolversi dei fenomeni naturali. Si introduce così il tema (e ben l’aveva individuato Eugenio Turri) su Verona che, così come oggi si manifesta in tutti i suoi aspetti (dall’economico al sociale, dall’architettonico all’ambientale), è il risultato di una serie di fattori acquisiti a partire dalla sua idrogeo-morfologia concretizzatasi poi in vicende umane. Vicende che si esemplificano nella Val d’Adige, da sempre passaggio di civiltà tra il nord Baltico e il sud Mediterraneo, nel primo insediamento preistorico ritrovato proprio sulla collina di Castel San Pietro, l’affaccio sulla piana dove poi sorgerà la Verona romana e dove, successivamente, dai Visconti agli Austriaci, si interverrà con evidenze a tutt’oggi partecipi della forma urbana. Pensiamo ad alcuni toponimi quali Sa-val (la sua valle), oppure Chievo (clivum). Ma il nome stesso Verona mostra la sua origine: deriva da Berua “città sul fiume” corrispondente alle basi accadiche berum – terra fra corsi d’acqua, dorso tra solchi – e enum, dal semitico ain – fiume, sorgente1–, cioè il punto focale di una raggiera di strade a monte e a valle del fiume, meravigliosamente segnato dal Ponte Pietra, già al centro dell’iconografia rateriana del X secolo.

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Quindi, se un fiume caratterizza sempre un territorio e qualsiasi forma insediativa, lo è stato particolarmente per Verona, non solo per il nome legato al corso d’acqua, ma anche perché da questo ha trovato il suo status in diversi momenti storici, come nel suo separarsi tra francesi e austriaci durante le guerre napoleoniche: territorio francese in destra Adige e austriaco in sinistra. E in epoche precedenti, l’intersecarsi a Verona delle vie consolari (Postumia, Claudia Augusta, Gallica) posizionate sui primi terrazzi disegnati dalle antiche alluvioni atesine dimostrano la sua strategicità geografica e quindi la sua complessità. I diversi tracciati delle mura urbane (da quelle repubblicano a quelle di Galieno e alle successive) dimostrano, assieme all’evolversi degli strumenti offensivi e difensivi, le varie fasi di controllo sulla

città e sul territorio, in una successione di luoghi e di forme, appoggiate prevalentemente a segni d’acqua, che rendono evidenti i rapporti tra forza militare dominante e popolazione. Un esempio emblematico: l’edificazione di Castelvecchio tra Adige e Adigetto nel punto di passaggio verso nord per unirsi alle forze imperiali, ma di controllo a raggiera sul resto del territorio. Altro esempio, il muro comunale che contorna il centro urbano rafforzato dagli Scaligeri verso la piana e appoggiato al corso dell’Adigetto, è impostato per la difesa da nemici esterni, ma successivamente con i Visconti si ribaltano le postazioni offensive verso l’interno urbano per un controllo diretto sulla città. Tutto ciò in estrema sintesi, per dire che l’imprinting di Verona è come luogo di relazioni, di incontri di commerci tra nord e sud, tra est e ovest, ma anche

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come luogo di passaggio di truppe, di scontri. È in ogni caso l’idro-geo-morfologia a definirne i contorni. La Val d’Adige in continuità con i cordoni morenici di Rivoli, quindi di Pastrengo, Custoza, Solferino ha visto le battaglie risorgimentali e prima le campagne napoleoniche passate anche da Arcole, nella piana tra i depositi alluvionali del torrente Alpone prima di unirsi all’Adige in riva sinistra. Ancor prima, tornando agli Scaligeri, il territorio di pianura a sud è difeso dal Serraglio, la linea fortificata che segue una piccolo segno d’acqua definito da risorgive, costruendo così un limite naturale dai cordoni morenici gardesani al Tione. Questa linea verrà ripresa con il Quadrilatero nel periodo risorgimentale; il sistema difensivo metteva assieme Verona e Legnago lungo l’Adige con Mantova e Peschiera lungo il Mincio, emissario del bacino gardesano la cui origine glaciale si manifesta dai cordoni morenici che lo contornano. E ancora, nel tratto di corridoio vallivo i tratti rettificati dell’Adige eseguiti dagli ingegneri idraulici della Serenissima sono serviti a portare le galee veneziane nelle acque del Garda e dimostrare quindi la superiorità navale veneziana contro la forza terrestre viscontea. Non solo, allo sbocco nella pianura “alta” (Campanea summa, la massa di depositi glaciali e quindi alluvionali), fino al XIX sec. lasciata ad ampie superfici prative per il suo naturale status siccitoso (qui le falde sono profonde), diventa luogo importante per il passaggio e per l’accamparsi di truppe. Così come per la Campanea minor la ricchezza di acque permette invece un’agricoltura naturalmente fiorente per il mantenimento delle truppe2. Le guerre e i presidi militari del secolo scorso si sono manifestati in città e nel territorio veronese nei più diversi modi: dal sistema edilizio-urbanistico a quello socio-economico. Significativa è la lettura in tal senso del romanzo di cronaca dei primi anni del Novecento di Dacia Maraini3 che mette in rilievo come la presenza militare servisse a integrare i redditi delle famiglie e a definire i rapporti sociali tra popolazione ed esercito. In sintesi, risulta che la Verona preromana, romana, comunale, scaligera, veneziana, napoleonica,

austriaca, italiana, postbellica, Nato, abbia costantemente vissuto la presenza militare come risorsa e come problema, entrambi nelle loro diverse estensioni. Come dare significato a tutto questo passato? Proporre un museo militare diffuso nel territorio, già presente in parte, che però abbia a sua volta una struttura museale in modo da riassumerne tutti i temi e preparare i visitatori a una scoperta dei diversi momenti nel territorio. In sintesi una storia militare portata nei luoghi dove è stata vissuta e ne ha lasciato memoria. Ma oltre alle soluzioni specifiche per questo tema, certamente da affrontare, è la consapevolezza della forma, dei luoghi della città, è la cultura del suo passato che rende possibile un futuro armonico con i suoi valori. Conoscere la sua storia, comprenderne il significato culturale, utilizzare il suo passato per farlo diventare futuro. La narrazione di questo rapporto tra segni-forma della città, memoria-attualità, a Verona, può 03

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01. Veduta zenitale e prospettica di Verona. 02. L’acqua come elemento ordinatore del territorio veronese e delle azioni umane. 03. Carta del territorio e della città di Verona di Anton von Zach, 17981805.

04. Il sistema fortificatgo urbano si conclude con il consolidamento dei nuclei di Chievo, San Massimo, Santa Lucia, Tomba, San Pancrazio, in origine abitati dai contadini allontanati dalla Spianà.

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DOSSIER 05. Pianta e veduta di Verona dell’Hogenberg, 1581, con evidenziato il tracciato dell’Adigetto. 06. Permanenza nella forma urbis dei “segni d’acqua”.

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proseguire ancora e scovare anche in piccoli luoghi la continuità tra passato e presente, ricordando l’affermazione di Gaston Bachelard secondo il quale “un luogo è definito dalla quantità di tempo che riesce a mostrare”. Si menziona per ultimo, non per importanza anzi primaria per la sua forza simbolica, Castelvecchio, la fortezza scaligera. All’esterno un segno-corridoio attualmente utilizzato dal Circolo Ufficiali si rapporta con il muro che segue il tracciato parallelo dell’Adigetto nel punto in cui si dipartiva dal fiume alle Regaste San Zeno, fornendo l’acqua al vallo del Castello, per poi proseguire tra i palazzi Carli e Verità Poeta, inoltrarsi sul retro del Teatro Filarmonico, della Gran Guardia e della mura di via Pallone fino a rientrare in Adige a Ponte Aleardi. Anche qui la cesura rimane a spiegare la forma urbis: la fortezza Castelvecchio è nel sito dove si chiudeva allora la città, dove era più facile la via di fuga verso il nord. È il complesso intero che definisce il motivo del suo essere lì e non altrove. La lettura della città nella sua storia così importante ne amplia la bellezza, il significato culturale, la forza

ideale di un passato che deve diventare idea per il futuro. Si tratta di ridare concretezza alla memoria delle forme urbane, di rafforzare la conoscenza che viene dai segni del passato, di valorizzarli nella modernità: ed è quello che ha pienamente realizzato Carlo Scarpa a Castelvecchio, così come a Santa Marta con il recupero della Provianda di Massimo Carmassi, e che potrebbe essere compiuto anche per l’ex Ospedale Militare. Ciò consentirebbe di lasciarli nel migliore dei modi a chi verrà dopo di noi, perché è loro diritto comprendere la storia della propria città, del proprio territorio, dell’umanità che li ha preceduti. Se rafforziamo il significato sedimentato, riaffermiamo l’unitarietà formale e funzionale di questi complessi con uno sguardo sempre più vicino a noi, riaffermando il grande lavoro di Piero Gazzola e Licisco Magagnato nell’ambito storico-architettonicoumanistico e di Francesco Zorzi, Angelo Pasa e Sandro Ruffo per la storia naturale del territorio. Sono i “luoghi” e il loro essere “forma e memoria” della città a determinare il loro proseguo vivifico nell’ambito urbano e territoriale. “I tempi dello spazio”4

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se vengono rispettati, possono aiutarci a far vivere la nostra città coerentemente nella modernità. Pensare al futuro della società urbana, proporlo con un atteggiamento maieutico che parte da una profonda conoscenza della sua storia naturale e umana dà la consapevolezza che tutti i “saperi” si ritrovano in questa enorme (ma indispensabile) mai finita ricerca. •

Da E. Turri, l paesaggio e il silenzio, Marsilio, 2004. Per chi volesse approfondire, si guardi la descrizione di Anton von Zach, cartografo militare che per il Staats Archiv (inaugurato nel 1749 dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria), tra il 1798 e il 1805, coordinò la stesura della Kriegskarte per il territorio veneto. Per il veronese risulta un attento rilievo cartografico seguito da una descrizione altrettanto puntuale non solo geografica ma anche economica e sociale, che individua i punti di forza e di debolezza per eventuali campagne militari (cfr. Kriegskarte von Zach 17981805 Carta del Ducato di Venezia, a cura di Massimo Rossi, Fondazione Benetton Studi Ricerche/Grafiche V. Bernardi, 2005). 3 D. Maraini, Isolina, Rizzoli, 1985. 4 Come ci ricorda Kevin Lynch nel suo libro così intitolato (ed. it. Il Saggiatore, 1977). 1 2

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Come eravamo (militari) I processi di conversione all’uso militare di compendi storici e il recupero ad usi civili in corso e in divenire

Testo: Alberto Vignolo

Partendo dalle radici geografiche della forma urbis di Verona e compiendo un deciso salto di scala, si giunge a riconoscere come la presenza di aree e di edifici militari abbia da sempre condizionato lo sviluppo della città. Ciò vale non solo per gli elementi più rilevanti, quali le mura e le fortificazioni delle varie epoche, ma è leggibile nel continuo processo di conversione all’uso militare di compendi storici, o di riuso di caserme e stabilimenti militari fino agli anni più recenti. Per comprendere questa dinamica basta andare all’epoca di massima espansione e consistenza della Verona militare, nel passaggio dalla città austriaca al Regno d’Italia. In quel momento si elaborano mappe e censimenti che restituiscono in maniera puntuale tale patrimonio edilizio; ne dà conto ad esempio in un analisi molto puntuale Gianni Perbellini nel volume La piazzaforte ottocentesca nella cultura europea1 che a quella data, escludendo appunto mura e porte, riscontra la presenza di ben 62 stabilimenti militari. È interessante notare come molti di questi siano già da tempo ricompresi nella vita urbana, spesso anche in maniera tale da perdere la memoria dell’uso originario o dell’uso militare poi intervenuto, come è il caso ad esempio di molti complessi ex religiosi. Su queste basi si è costruita l’armatura delle attrezzature civili della città: scuole, università, biblioteche, musei, edifici amministrativi2 ne portano tracce evidenti, mentre altri segni sono andati svanendo nella continua evoluzione di forme e usi3. Un processo che non è certo giunto al termine, perché molte operazioni sono tuttora in corso: basti pensare ai casi più eloquenti dell’Arsenale e della Caserma Passalacqua, mentre altre tessere del mosaico stanno per andare a ricomporre la figura di

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01. Planimetria di Verona con gli stabilimenti militari in uso al 1866 (da G. Perbellini, Verona Militare, in «ArchitettiVerona» 8, II serie, 1983, pp. 5-26).

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una definitiva civilizzazione del patrimonio di origine militare. Con qualche piccola o grande eccezione. Molti gli esempi di riuso consolidati nella vita urbana contemporanea. Risale agli anni Ottanta l’insediamento del Tribunale nella grande Caserma di fanteria al Campone, di cui rimane ancora una parte, quella che ospitava le carceri, passata in mano privata e in attesa di un destino. Una struttura molto più contenuta come dimensioni ma ben rappresentativa per tipologia e caratteri costruttivi è quella della Caserma erariale Santa Toscana, poi Principe Eugenio, oggetto di un recupero residenziale per edilizia sociale negli anni Ottanta, completato nel 2009. Fa un caso a sè la Caserma Martini nei pressi

Il volume, curato assieme a Lino Vittorio Bozzetto, venne pubblicato nel 1990 come monografia di ArchitettiVerona, le cui uscite in quegli anni erano interrotte. 2 Il lungo elenco dovrebbe comprendere scuole come le Rubele (Caserma Santa Maria in Organo), le Stimate (Caserma Comunale Santa Teresa) o le Segala (Caserma San Nicolò), i chiostri di Sant’Eufemia destinati agli uffici del governo austriaco, quello di Santa Maria della Vittoria che ha ospitato le Caserme Campostrini e Porta Vittoria prima e le sedi universitarie poi, analogamente alla Caserma San Francesco con la ex chiesa dove è stata ricavata la Biblioteca Frinzi. Ma anche la Biblioteca Civica (Caserma comunale di San Sebastiano) così come il Museo degli Affreschi (Caserma comunale ai Franceschini), per non parlare del Museo di Castelvecchio comprendente la caserma napoleonica nel cortile maggiore, e il Museo Archeologico Nazionale di recentissima apertura nelle ex carceri asburgiche della Caserma San Tommaso. E ancora molte sedi amministrative come la caserma della

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DOSSIER

02-03. Dall’alto, vedute delle Caserme Riva di Villasanta e Busignani, stato attuale. 04. L’area dell’ex Ospedale Militare a Porta Palio, di grande rilevanza storica e urbana.

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di Forte Procolo, dove è stata realizzata la nuova caserma per la Guardia di Finanza (2013) e si stanno costruendo alcune residenze ad uso dei finanzieri, a ricucitura del tessuto residenziale adiacente. Ma le partite in campo sono ancora molteplici, e di tale entità dimensionale da configurare una “città nuova” sorta sulle ceneri di quella militare. Ciò vale in particolar modo per i 70.000 metri quadri dell’Arsenale e per i 265.000 della Passalacqua, progetti in itinere sui quali si è già detto molto4, come pure su scala diversa per la caserma di Castel San Pietro, di grande rilevanza simbolica. È in fase avanzata di sviluppo il progetto per la Caserma Catena, poi Riva di Villasanta, utilizzata come ospedale militare fino al 1859 quando entrò in funzione quello di Santo Spirito. Nel 2017 per l’intero compendio viene bandito da parte del Provveditorato alle Opere Pubbliche un concorso di idee per l’adeguamento e la ristrutturazione, con la previsione di collocarvi le attuali tre sedi veronesi dell’Agenzia del Demanio (420 dipendenti). Il concorso, aggiudicato a uno studio romano, prevede una parziale nuova edificazione in luogo degli edifici meno rilevanti. L’evoluzione della vicenda porta a concentrare l’Agenzia del Demanio nella parte sud (circa 15.000 mq) a seguito del restauro dei manufatti storici delle caserme, mentre la parte nord è assegnata a dicembre 2020 dalla Regione Veneto all’Azienda ospedaliera di Verona, consolidandone il ruolo di parcheggio dipendenti per l’Ospedale di Borgo Trento.

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Più recente è il progetto per la caserma san Bernardino, dove sorgevano laboratori di artiglieria e magazzini di fronte al bastione San Bernardino, destinata a nuova sede della Questura. Anche in questo caso come per il precedente, si tratta di operazioni sostanzialmente immobiliari di matrice ministeriale e “romana”, nate sulla base dell’intento certo apprezzabile di utilizzare per le istituzioni pubbliche aree di proprietà e non immobili in affitto, ma che sembrano aliene da un coinvolgimento della città quanto a criticità urbanistica e mobilità, questioni assai rivelanti per attrezzature di carattere sovraurbano quali quelle previste. Risale invece al 2015 il protocollo d’intesa tra il Comune di Verona, Demanio e Ministero della Difesa per il riuso delle caserme Rossani, Trainotti e Busignani, protocollo che diventa attuativo nel 2021 superando alcune criticità. Viene così trasferita all’amministrazione cittadina la Rossani (11.000 mq) in zona Cittadella, per destinarla a sede della polizia municipale e della Centrale operativa della Mobilità e Traffico. In cambio il Comune, quale stazione appaltante, darà il via alla progettazione, restauro e adeguamento parziale della caserma Dalla Bona (ex Ospedale Militare) con un cantiere da 3 milioni e mezzo di euro. La caserma Busignani a San Zeno, chiusa dal 2015, è destinata alla razionalizzazione di spazi per vari enti pubblici (il cosiddetto federal building); a fine gennaio di quest’anno è scaduta la gara per la progettazione dei lavori, l’iter è dunque in corso. Infine per l’area dell’ex distretto militare a

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Veronetta (caserma Trainotti, 8.500 mq) dove sorgeva il Panificio militare di Santa Caterina – rimasto in parte in funzione anche dopo la costruzione del panificio di Santa Marta – è prevista una “valorizzazione urbanistica”, ovvero un cambio d’uso, che ne consenta l’immissione sul mercato immobiliare. Un’altra partita in corso di grande rilevanza è quella per Santa Caterina, oltre 100.000 mq di capannoni costruiti nel dopoguerra e di nessun valore architettonico; su quest’area l’amministrazione comunale si è aggiudicata un bando5 che prevede la realizzazione di housing sociale e centro servizi, assieme a un grande magazzino ad uso dei musei civici e degli uffici comunali. Una curiosità: la Variante al PRG del 1975 prevedeva per quest’area la realizzazione di un nuovo cimitero. A fronte di questo grande piano di dismissione, cosa resta della Verona militare? Nel quadrante orientale della città, in direzione di Montorio, rimane il grande compendio della Caserma Giovanni Duca (oltre 350.000 mq). Rimangono invece in posizione centrale la sede di rappresentanza di Palazzo Carli, dove fino al 2004 aveva sede il comando Ftase (Nato), e il Circolo Unificato dell’Esercito a Castelvecchio: una presenza che, a fronte del riordino di quasi 600.000 metri quadrati di aree urbane, potrebbe trovare una nuova e prestigiosa collocazione. E rimane infine la grande area dell’ex Ospedale Militare – suddivisa tra l’Ospedale di guarnigione di Santo Spirito (Caserma Dalla Bona), il Tribunale Militare e la caserme Pianell su Stradone Porta

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Una proposta per l’ex Ospedale Palio e la caserma Li Gobbi su via Scalzi. Per quest’area si parla di una riunificazione delle varie strutture amministrative militari, anche a seguito della dismissione citate. Non dunque una conversione ad usi civili: ma il suo ruolo urbano e l’importanza storica di buona parte delle architetture presenti sono tali da ritenere imprescindibile un confronto con la città. Entro questo grande recinto rimasto ancora estraneo alla vita urbana si trovano edifici monumentali ma anche molte superfetazioni che certo necessitano di un riassetto, all’interno del quale è lecito pensare anche a una diversa relazione degli spazi aperti con il contesto. Allo stato attuale questa è una semplice “fantasia”, ma da qui occorre partire. La straordinaria eredità dell’architettura militare di Verona può in fondo trovare un degno corrispettivo anche oggi, in un dialogo fattivo con la città e per la città. •

Gran Guardia vecchia – l’attuale palazzo Barbieri –, gli edifici alle spalle delle mura di via Pallone (Caserma del Pallone), o le Caserme Adigetto, Tezzone e Cittadella oggi riassorbite negli isolati attestati su piazza Cittadella. Un caso particolare è quello della Caserma Allegri ricavata nell’omonimo palazzo di via San Vitale: oggi è ancora caserma, ma di polizia. 3 Tra questi, la Caserma Chiodo a San Zeno, in riva all’Adige, in uso fino alla fine della seconda guerra mondiale, e la Caserme Porta San Zeno per infanteria la cui impronta urbana è leggibile nella cortina edilizia dei piazza Bacanale. La Caserma di Porta Nuova venne invece demolita tra le due guerre per realizzare la Casa della Gil, che ha sua volta ha lasciato il posto alla Camera di Commercio. Non lontano, lo stabilimento di artiglieria ai riformati, sorto negli orti che fiancheggiavano il convento di Santo Spirito, ha visto la costruzione del quartiere imperniato su piazza Renato Simoni con il grattacielo. 4 Tra i vari contributi al riguardo, ricordiamo quelli di R. Carollo, Di là dalle mura e tra gli alberi, in «AV» 87, pp. 18-23, e L. Zeri, Arsenale: il fuoco di fila dei progetti, in «AV» 122, pp. 30-40. 5 Cfr. F. Guerra, Magazzini XXL, in «AV» 124, pp. 94-96.

Il recupero dell’ex convento di San Jacopo della Valverde quale sede del Circolo Unificato dell’Esercito Testo: Francesco Monicelli *

La vasta area occupata dell’ex Ospedale Militare Austriaco di Santo Spirito della piazzaforte di Verona con altri edifici destinati a uso dell’esercito, quali la Direzione del Genio Militare, la caserma Pianell, il Tribunale Militare, corrisponde ad ampie porzioni delle antiche contrade di Ognissanti e di Sant’Agnese Extra a ridosso della rondella, poi bastione, di Santo Spirito, confinante da una parte con Porta Palio e dall’altra contigua al bastione dei Riformati. L’area è definita da stradone Porta Palio, via Scalzi, piazzetta Santo Spirito e dalla circonvallazione interna Barnaba Oriani. Un tempo arrivava fino a Porta Nuova, dove si trovano l’edificio della Camera di Commercio, vari condomini e le scuole medie Cesare Betteloni, al posto dello stabilimento d’artiglieria dei Riformati con la polveriera e i depositi per gli affusti. Un’area, sconosciuta per la maggior parte delle persone, che, pur mutilata degli stabilimenti militari di supporto al bastione dei Riformati, per vastità è paragonabile allo spazio occupato da Bra, Liston, Arena, Municipio, Gran Guardia, piazza Cittadella: oltre 60.000 mq. Prima delle demaniazioni napoleoniche del 1806 nell’area, oggi occupata dall’Ospedale Militare di Santo Spirito, Caserma Pianell, Direzione del Genio Militare, Tribunale Militare, insistevano ben sei complessi religiosi: 1) il convento benedettino di Santo Spirito, sul lato sud di piazzetta Santo Spirito, distrutto; 2) il convento di San Jacopo della Valverde, sul lato nord di piazzetta Santo Spirito, distrutta solo la chiesa; 3) la chiesa di San Giacomo di Galizia, situata in via Scalzi, distrutta;

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01. Verona, Ospedale Militare Principale, giardino interno e reparto ufficiali. Cartolina viaggiata nel 1916. 02. Verona, Ospedale Militare. Cartolina viaggiata nel 1935. Il chiostro dell’ex convento di San Jacopo della Valverde. 03. Ospedale militare: pianta del piano terra, 1866. In viola è evidenziato l’ex convento di San Jacopo della Valverde; in verde il parco e i giardini a uso dei degenti. 01

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4) la chiesa di Santa Maria della Valverde, situata in via Scalzi, adiacente San Giacomo di Galizia, distrutta; 5) il convento di San Bartolomeo della Levà, all’angolo di via Scalzi con stradone Porta Palio, definitivamente distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale; 6) la chiesa di Santa Lucia su stradone Porta Palio, ancor oggi riconoscibile. Nella mappa del Malacarne del 1822, dove c’era il convento di Santo Spirito viene individuato l’Ospital Militare a Santo Spirito con la Piazza Ospital S. Spirito; dove erano il convento di San Jacopo della Valverde, San Giacomo di Galizia e Santa Maria della Valverde, un unico grande complesso definito Simil Soccorso, ossia ospedale militare; dove erano San Bartolomeo della Levà e Santa Lucia, pure un unico grande complesso chiamato Caserma San Bartolomeo e Caserma Santa Lucia. Nei cinquant’anni durante i quali il governo del Lombardo-Veneto fortifica ripetutamente la fortezza di Verona, trasformandola da campo trincerato a piazzaforte principale della regione fortificata del cosiddetto Quadrilatero, si decise la demolizione dell’ex convento di Santo Spirito-ospedale militare per realizzare il nuovo grande complesso ospitaliero, tutt’oggi esistente, realizzato tra il 1858 e il 1864, in tempo per essere utilizzato nella terza guerra d’indipendenza del 1866.

Incaricato del progetto fu il maggiore dell’Imperial Regio Genio Militare Julius Bolza, di famiglia di origine italiana strettamente legata all’Austria, congiunto del conte Luigi Bolza, capo della polizia a Milano durante l’insurrezione del 1848. L’ingegner Bolza progettò un edificio con pianta ad H con ingresso da piazzetta Santo Spirito con l’addizione di un vasto edificio a nord, affacciato verso il bastione di Santo Spirito, con pianta a L. Monumentali le due facciate neoclassiche di questa parte, caratterizzate al centro da sei colonne giganti di ordine ionico in pietra bianca, affacciate rispettivamente su stradone Porta Palio e sulla circonvallazione interna Barnaba Oriani. L’ospedale, capace di ricoverare circa 2000 degenti, fu progettato dal maggiore Bolza secondo i più avanzati modelli ospedalieri del tempo, con corsie e sale operatorie ampie e luminose, larghe e comode scale di alzata ridotta, rampe per le barelle, lavanderie e locali di disinfestazione. L’ingegner Bolza aveva previsto anche un parco all’inglese

« Un progetto che andrebbe a rilocalizzare integrandolo di nuove funzioni l’attuale Circolo Unificato dell’Esercito nei pressi di Castelvecchio » prospiciente tutta la facciata nord dell’ala a L e vasti giardini, parte formali, parte all’inglese, nell’area compresa all’interno della L e delimitata a sud dal lungo braccio destro del corpo a H. Aveva così pensato alle esigenze dei degenti che potevano usufruire di una vasta area verde. Julius Bolza nella stesura del suo articolato complesso, aveva previsto di usufruire dell’ex convento di San Jacopo della Valverde – riconoscibile in pianta per l’articolazione U – che era stato completamente ricostruito tra il 1773 e il 1776 su progetto redatto entro il 1766 (anno della sua morte) dall’architetto veneziano Giorgio Massari, tra i massimi progettisti del momento nell’ambito

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04. Una suggestiva misurazione “in verde” dell’area dell’ex Ospedale Militare liberabile dalle attuali superfetazioni (elaborazione: Maurizio Cossato). 05-07. Progetto per un circolo ricreativo, ristorante e foresteria nel complesso dell’Ospedale di guarnigione di Santo Spirito, Verona: veduta del chiostro, pianta piani terra e primo (Contec Ingegneria).

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della Repubblica di Venezia, unica sua opera nota a Verona. Questa parte dell’ospedale militare di Bolza, era destinata agli ufficiali. È su questo immobile che nel 2019, su indicazione del Generale di Corpo d’Armata Giuseppenicola Tota comandante della piazza di Verona, l’ingegnere Maurizio Cossato ha elaborato un progetto – assieme agli architetti Veronica Fiocco, Federico Gaspari e Chiara Patuzzi di Contec Ingegneria – per circolo ricreativo, ristorante e foresteria a uso dell’esercito, che andrebbe a rilocalizzare integrandolo di nuove funzioni l’attuale Circolo Unificato dell’Esercito nei pressi di Castelvecchio.

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La ragione addotta dal Generale Tota è stata quella che a Verona convergono moltissimi militari per ragioni mediche, grazie ai centri ospedalieri di eccellenza di cui dispone. Di conseguenza le forze armate a Verona necessitano di una struttura che, oltre a offrire i servizi di un circolo unificato dell’esercito, offra adeguata ospitalità ai militari e alle loro famiglie. Inoltre, l’ex ospedale militare dispone di parcheggi, è vicino alla stazione ferroviaria di Porta Nuova ed è sito in un nodo viario strategico. Il progetto è stato offerto all’amministrazione militare da Contec Ingegneria e dagli Amici dei Civici Musei di Verona. •

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Presidente Amici dei Civici Musei di Verona

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Il soffitto dipinto del salone di Palazzo Balladoro sotto al quale figurano le strutture allestitive della mostra Nuove cantine italiane (foto di Pietro Savorelli).

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Verso un’architettura del vino

Chi cerca trova «AV»

Cubismo sintetico

Finalmente online in formato digitale tutte le annate della rivista a partire dalle serie storiche assieme a un motore di ricerca per navigare nel ragguardevole database

Progetti e progettisti a confronto nella prima stagione di AV 3, il contenitore di ArchitettiVerona dedicato alla formazione culturale rigorosamente in presenza

L’esordio veronese di una mostra itinerante dedicata alle nuove cantine italiane è stata accompagnata da un convegno che ha dato voce ai progettisti coinvolti nell’iniziativa

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Nuova guida, città vecchia

Per aspera Un convegno ha fatto il punto sul recupero dell’ex Cinema Astra a Verona condizionato dagli importanti ritrovamenti archeologici attorno ai quali verte il nuovo progetto

L’uscita entro una prestigiosa collana di guide all’architettura delle città dell’edizione su Verona e il Garda

91. Il metodo Albini Ci mette il becco LC: questa volta con una riflessione sul metodo a partire dalla lezione di uno dei Maestri degli anni di formazione durante la mitica stagione dello IUAV

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Verso un’architettura del vino L’esordio veronese di una mostra itinerante dedicata alle nuove cantine italiane è stata accompagnata da un convegno che ha dato voce ai progettisti coinvolti nell’iniziativa

Testo: Alberto Vignolo Foto: Pietro Savorelli

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« Una cultura del bere sempre più consapevole porta interesse per i luoghi d’origine del vino: le cantine imparano ad accogliere i visitatori » presentati sulle pagine dell’ammiraglia delle riviste di architettura, che dell’attenzione verso un’architettura del vino si è fatta portatrice. L’intero progetto comprende, oltre all’esposizione vera e propria, un catalogo e una serie di incontri tematici ad accompagnare le varie tappe del tour. L’apertura veronese ha così visto la presenza di tutti i progettisti delle cantine selezionate, in un convegno durante il quale hanno presentato di persona il loro lavoro. È così, attraverso il convengo “Undici cantine italiane. Architetti e territori”, che la sintetica scelta espositiva di mostrare ogni progetto unicamente con quattro grandi immagini fotografiche ha trovato un complemento. Le

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01. Particolare delle strutture espositive nella prima tappa veronese della mostra. 02. Layout del salone di palazzo Balladoro con il percorso di visita (Bricolo Falsarella). 03-04. Le Nuove Cantine Italiane nello spazio magniloquente che ha ospitato l’esordio veronese: veduta e schizzo di Filippo Bricolo.

ODEON

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na mostra d’architettura di ampio respiro a Verona è un’occasione abbastanza rara, se si escludono le storiche e distillate esibizioni allestite al museo di Castelvecchio – su Scarpa, Caccia, Rudi – e le annuali rassegne sull’architettura di pietra che dal 198 al 2013 hanno fatto la gloria della fiera del marmo. È dunque una bella occasione quella fornita dall’edizione 2022 di Vinitaly, in occasione della quale è stata inaugurata la prima tappa di una esposizione itinerante dedicata alle Nuove Cantine Italiane. Territori e architetture. Il tema è di quelli che suscitano la curiosità degli architetti assieme a quella degli addetti ai lavori del mondo vitivinicolo, perché da anni le cantine sono diventate uno dei temi progettuali sui quali si sono concentrate risorse un tempo marginali, grazie al grande sviluppo economico e imprenditoriale dell’intero settore. L’attenzione crescente da parte dell’editoria di settore ha fatto il resto: la mostra infatti nasce da un progetto di Casabella, a cura di Roberto Bosi e Francesca Chiorino, mettendo a sistema un’antologica di undici progetti già

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voci e le cadenze dei protagonisti hanno reso in maniera plastica l’estensione geografica coperta dalla rassegna, dall’Alto Adige alla Sicilia passando per il Piemonte, il Veneto e la Toscana, che spadroneggia con un terzo dei progetti. In questa ottima compagnia ritroviamo anche la Cantina Gorgo di Custoza, nota ai lettori di «AV» anche per la recente aggiudicazione del Premio ArchitettiVerona 2021 (cfr. «AV» 127, pp. 58-68). Ed è ai medesimi progettisti di questa cantina che è stato affidato il progetto allestitivo della mostra itinerante. Filippo Bricolo (Bricolo Falsarella associati) ha infatti disegnato un dispositivo composto da cavalletti in legno a doppia forcella, assemblabili in maniera differente per comporre layout adattabili ai diversi spazi che potranno ospitare la rassegna. Uno sporto orizzontale dalle aste superiori è funzionale al sostegno degli apparecchi illuminanti; ottiche raffinate e riflettori in lamierino piegato fanno convergere la luce in maniera ottimale sui pannelli con le grandi immagini fotografiche, disposti sui due lati dei cavalletti.

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05-06. Veduta laterale e disegno di progetto dei cavalletti a sostegno dei materiali fotografici esposti nella mostra.

07. Veduta dal basso con gli elementi di sostegno dell’illimunazione artificiale dei pannelli.

NUOVE CANTINE ITALIANE TERRITORI E ARCHITETTURE Verona, Palazzo Balladoro 8-13 aprile 2022 a cura di Roberto Bosi, Francesca Chiorino un progetto di Casabella in collaborazione con di Veronafiiere/Vinitaly ProViaggiArchitettura Banca Passadore partner Draco

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Allestimento Bricolo Falsarella: Filippo Bricolo collaboratore: Davide Burro Progetto grafico Tassinari/Vetta 05

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La verifica del dispositivo nella tappa d’esordio della mostra ha trovato sede nel magniloquente salone d’onore del settecentesco Palazzo Balladoro in corso Cavour, dando così la possibilità ai visitatori di scoprire questo spazio privato dove ha sede la Banca Passadore. “Le Virtù cacciano il Vizio” è il soggetto del grande soffitto decorato da Pio Piatti, sotto al quale le magnifiche virtù architettoniche dei progetti esposti raccontano viceversa l’accoglienza in nome e per conto del vino, il cui statuto morale è sempre più lontano

da un’idea di vizio per affrancarsi come raffinato piacere. Analogamente, le cantine contemporanee mostrate sono espressione di realtà sempre più complesse: i processi produttivi si affinano coniugando tradizione e tecnologia, alle piccole aziende si affiancano aggregazioni e grandi gruppi imprenditoriali. Una cultura del bere sempre più consapevole porta interesse per i luoghi d’origine del vino: le cantine imparano ad accogliere i visitatori, l’ospitalità diventa parte fondamentale di un business sempre più fiorente legato all’enogastronomia. Le occasioni progettuali crescono e la ricerca si affina: come un buon vino maturo. Per chi non avrà occasione di seguire le prossime tappe della mostra – approdata a Pollenzo (Cuneo) dopo l’esordio veronese e prossimamente a Bressanone, Firenze e Ravenna – rimane il catalogo edito da Electarchitettura. Forse ci si poteva aspettare un maggiore approfondimento testuale rispetto alle belle foto, ma rimane comunque perfetto per un coffee table. Anzi, per un wine table.

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Un convegno ha fatto il punto sul recupero dell’ex Cinema Astra a Verona condizionato dagli importanti ritrovamenti archeologici attorno ai quali verte il nuovo progetto

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Per aspera

Testo: Angela Lion

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l cinema Astra a Verona, la cui facciata rientrata su via Oberdan è ben nota a tutti, è uno dei pochi casi rimasti di grandi immobili da tempo dismessi nel centro antico di Verona. Se ci concentriamo sugli ex cinema, l’Astra fa il pari con il Corallo nella lista d’attesa di un auspicabile recupero contemporaneo, mentre altre sale hanno da tempo offerto i loro spazi ad usi sostanzialmente commerciali a partire dal caso dei casi, il Supercinema di via Mazzini, convertito a grande magazzino Upim già negli anni Sessanta. Un convegno tenuto nel mese di aprile 2022 e organizzato congiuntamente da Ordine Architetti PPC di Verona, Soprintendenza ABAP di Verona e Collegio Ingegneri di Verona ha fatto chiarezza sul “caso” Astra, una vicenda che si trascina ormai da una ventina d’anni. Rimasto dal di fuori apparentemente come un cantiere abbandonato, nel tempo in realtà la ricerca per il riuso del fabbricato non si è fermata. Tante le voci che ne hanno dato testimonianza durante il convegno: i temi in campo sono infatti molteplici, dalla progettazione per il riuso della grande sala ai ritrovamenti del sito archeologico e alla loro musealizzazione in situ, fino alle complessità di natura operativa e normativa.

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L’Astra nasceva nel 1937 a opera di un’iniziativa privata. Non è pervenuta nessuna foto o rappresentazione grafica che racconti il momento della sua costruzione, se non un atto notarile a firma del notaio Cicogna per la compravendita dell’area e di un piccolo edificio preesistente su due livelli. Di questa storia priva di documentazione, ciò che rimane di un certo interesse è la facciata, acutamente definita dall’architetto Paolo Richelli, autore dei vari progetti di recupero e coordinatore del convegno, “razionalista in salsa scaligera, né bella né brutta ma fortemente testimoniale”. Richelli

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01. Render del progetto di recupero del fronte principale su Via Oberdan del Cinema Astra. 02. Dettaglio delle murature affrescate ritrovate durante le fasi di scavo. 03. Ortofoto dei ritrovamenti archeologici. 02

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04. Stato di fatto del Cinema Astra: spaccato assonometrico con evidenziate le demolizioni, 05. Spaccato assonometrici di progetto: in rosso i nuovi solai. 06. Particolare del livello interrato destinato alla fruizione degli scavi. 07. Le grandi pareti affrescate inserite in una simulazione di progetto. 08. Veduta dei percorsi espositivi attraverso i ritrovamenti archeologici.

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con professionalità ha portato avanti l’iter progettuale e burocratico iniziato nei primi anni Duemila: un dispendio di energie intellettuali ed economiche notevolissimo, supportato da una committenza paziente e lungimirante. Nel 2004 infatti, iniziati gli accertamenti nel sottosuolo per procedere al restauro dell’edificio degli anni Trenta finalizzato alla sua conversione in multisala cinematografica, è emerso un ricchissimo scenario archeologico, peraltro presumibile vista la prossimità con l’antico decumano e con la porta romana. Ne ha dato testimonianza Brunella Bruno, funzionaria della Soprintendenza e direttrice dello scavo condotto dalla Cooperativa Archeologia di Firenze, a partire dalla relazione storico-artistica del 2007 a firma di Giuliana Cavalieri Manasse, allora responsabile dell’Ufficio. È interessante evidenziare come già nella prima fase di lavori gli scavi avessero portato alla luce una serie di strutture a carattere residenziale, anche se apparentemente troppo

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grandi come struttura abitativa privata, almeno in rapporto allo standard medio veronese. Si può presumere si trattasse di un albergo ante litteram risalente al II secolo, posto alle porte della città romana, una grande struttura complessa e articolata con pavimenti musivi, affreschi dai magnifici colori sui muri perimetrali, sistemi per il riscaldamento e persino resti di

mobilio. Il tutto conservato in maniera eccezionale grazie a un evento catastrofico paragonabile a quello di Pompei: probabilmente un incendio che provocò il crollo delle strutture e la carbonizzazione delle parti lignee. Si sono poste così le basi di un nuovo progetto che, assieme alla valorizzazione della parte archeologica, ha previsto un

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cambio d’uso dell’edificio, il che ha comportato un lungo iter amministrativo in rapporto agli uffici comunali. A fronte di quanto già emerso sono ripresi gli scavi, condotti dalla Cooperativa Archeologia Firenze e finanziati dal proprietario del cinema Paolo D’Ignazio, che hanno portato alla luce uno scenario superiore alle aspettative. Ma quanto emerso in questa seconda campagna rappresenta ancora meno della metà di quanto si potrebbe trovare: ora si è alla ricerca dei finanziamenti necessari per la realizzazione del progetto correlato a un sito archeologico visitabile. Il riuso dell’Astra unisce dunque tre aspetti: le potenzialità delle sale cinematografiche abbandonate, la valorizzazione dei ritrovamenti archeologici e l’architettura per la città contemporanea. L’ipotesi progettuale raccoglie questi tre elementi: ingloba i resti, crea un suggestivo percorso nella quota archeologica mediante passerelle sospese con la possibilità di accesso dall’esterno. Interessante la struttura in cemento armato che dialoga,

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incorniciandole, con le murature perimetrali ritrovate e non ancora datate: l’ispirazione esplicitata da Richelli è quella, inevitabile per i veronesi, degli Scavi Scaligeri recuperati da Libero Cecchini. All’ingegnere strutturista Franco De Grandis il compito di progettare i sostegni delle grandi luci previste per il solaio a copertura del livello

« L’ipotesi progettuale ingloba i resti e crea un suggestivo percorso nella quota archeologica mediante passerelle sospese » archeologico con appoggi ridotti al minimo. Il volume superiore della sala cinematografica viene diviso in due livelli destinati ad attività commerciali e anche culturali. Al terzo piano è prevista una sala per eventi, proiezioni, conferenze e un bar ristorante. Il livello rialzato riassume la storia dell’edificio, con un percorso che inizia dalla

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facciata di ingresso, con l’ipotesi di un restauro filologico, da cui si potrà accedere al nuovo solaio da cui, attraverso vetri calpestabili, si potranno ammira il sistema di riscaldamento in ipocausto e tubuli, i mosaici pavimentali e le decorazioni parietali della quota romana. Il boccascena, da conservare come fondale di questo livello, andrebbe a completare la narrazione contribuendo alla memoria dello stesso cinema. Questo percorso di recupero vuole porsi come una nuova realtà urbana con le caratteristiche di un hub polifunzionale dove produrre cultura per la collettività, economicamente sostenibile. Da qui la riflessione conclusiva, sottolineata da Paolo Richelli, di guardare a un’architettura consapevole delle difficoltà di un progetto di riuso filologicamente corretto, che deve fare il suo corso senza, o con limitate, costrizioni burocratiche.

Fondamentale il dialogo con la Soprintendenza, rispettosi dei vincoli diretti, delle caratteristiche architettoniche e storiche dell’edificio con cui ci si confronta, auspicando una “facilità” di poter progettare senza essere aggrediti da una burocrazia disarmante. In fondo l’obiettivo è quello di una rigenerazione degli edifici, rendendoli nuovamente fruibili.

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Chi cerca trova «AV»

Finalmente online in formato digitale tutte le annate della rivista a partire dalle serie storiche assieme a un motore di ricerca per navigare nel ragguardevole database Testo: Marzia Guastella

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egli ultimi anni sono state diverse le occasioni per raccontare il progetto editoriale di ArchitettiVerona, chiarire la cronologia (cfr. «AV» 84) o, semplicemente, fare il punto sui vari contributi (cfr. «AV» 55). Ripercorrere la lunga e frammentata storia della rivista ha richiesto sempre un impegno attento e laborioso; tra cambi della guardia e lunghi anni di assenza, non è stato semplice ricostruire gli avvenimenti e la corretta datazione – ove mancante – dei numeri, la cui progressione più volte è ripartita da capo. L’ultima iniziativa della redazione ha cercato però di colmare definitivamente ogni lacuna, sviluppando un’idea pratica per sfogliare e ricordare velocemente le varie pubblicazioni; per circa un anno il gruppo ha lavorato a un dettagliato database dove sono stati inseriti tutti gli articoli redatti a partire dal lontano 1959, assieme alla scansione di tutte le annate pregresse che ora sono completamente disponibili in formato digitale. Nella sezione del portale dedicata all’Archivio – all’indirizzo https:// architettiverona.it/rivista/ricerca-avanzata/ – , adesso è possibile cercare i contributi attraverso un testo libero o con l’ausilio di menu a tendina che permettono di selezionare l’anno di riferimento e la categoria di appartenenza. Il sistema ha l’obiettivo di filtrare i risultati secondo le proprie preferenze e individuare immediatamente uno o più articoli corredati di tutte le informazioni necessarie come titolo, autore, luogo o numero di pagina e, non ultima, anche la famosa edizione che inquadra perfettamente il periodo temporale e le vicende ad esso collegate; si tratta di un lavoro assolutamente doveroso considerata la storicità della rivista.

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Era la fine degli anni Cinquanta quando veniva pubblicato il numero uno della prima edizione con svariati contenuti e un formato ancora incerto che, di lì a poco, sarebbe divenuto l’antenato dell’attuale quadrato. Una storia breve, durata solo quattro anni, a cui seguiranno circa quattordici anni di pausa prima di riprendere nel 1977 con la seconda edizione e un primo numero precursore di poche uscite in un periodo di tempo piuttosto lungo. La svolta arriva nel 1992 con la pubblicazione di un nuovo numero uno che, questa volta, segna l’inizio della terza edizione e di una storia duratura arrivata fino ai nostri giorni; inizialmente il formato rettangolare sembrava fosse diventato distintivo, ma con il numero 76 del 2006 il quadrato originario ritorna in scena definitivamente. ArchitettiVerona vanta oggi la pubblicazione di 22 numeri nella prima edizione (1959-1963), 12 nella seconda (1977-1986) e ben 129 – compreso quello che ospita queste note –

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01. Effetto “colpo di dadi” per alcuni numeri delle diverse annate di «AV». 02. Una schermata della pagina attraverso la quale è possibile effettuare la ricerca online nel database della rivista.

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Ci mette il becco LC: questa volta con una riflessione sul metodo a partire dalla lezione di uno dei Maestri degli anni di formazione durante la mitica stagione dello IUAV

Testo: Luciano Cenna

Q nell’attuale terza edizione (1992-), per un totale di 2484 articoli catalogati nel nuovo database. L’indice, accuratamente realizzato, non è semplicemente un elenco di titoli ma diventa l’occasione per ritrovare e rileggere anche i testi meno recenti consentendo un confronto tematico tra ieri e oggi. Basterà un semplice clic per individuare le connessioni temporali e non perdere nessuno dei preziosi contributi raccolti nel tempo, che hanno ricevuto un grande riscontro dal pubblico diventando ogni giorno elemento di motivazione per tutti i professionisti che dedicano tempo e passione alla rivista. Buona ricerca!

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uando mi accingo a scrivere per «AV», cerco di fare il serio con il rischio di esserlo troppo, di sembrare un vecchio barboso incline ad assumere quell’odioso tono tra professorale e rompiballe così frequente negli anziani. A sentire alcuni dei collaboratori del mio studio, sembrerebbe che quel tono sia stato il mio da sempre, o quanto meno mi sia sempre comportato da inflessibile, esigente e restio dal rinunciare alle mie certezze, anche 65 anni fa quando, all’inizio della Calcagni e Cenna, cercavo di infondere nei giovani apprendisti un po’ di sacra passione per fare bene questo mestiere. Se è vero che ho assunto quel tono per tutti quegli anni, devo confessare che, pur non compiacendomene, traggo la conclusione di aver avuto una costanza, una energia e una passione inalterate, tanto da pensare che sia una caratteristica frequente tra coloro che si impegnano a trasmettere ai giovani parte del loro sapere, un metodo di lavoro e quanto altro pensano utile per farli crescere: e non v’è dubbio che nel nostro mestiere si possa e si debba crescere.

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Il metodo Albini

Se vado indietro nel tempo, dopo un insegnante liceale che in quegli anni di formazione cercò di essermi “maestro”, solo all’università posso dire di aver avuto come maestri almeno tre bravi architetti italiani: De Carlo, Gardella e Albini (con il quale ho fatto un periodo di apprendistato nel suo studio milanese da laureato). Da loro ho appreso che le difficoltà di progredire nel nostro mestiere sono quasi sempre dovute a un atteggiamento restio a scavare, conoscere, seguire la complessità che siamo riusciti a creare in fase di approccio. Motivo per il quale il progetto non procede sviluppando ricerca perché, alle prime difficoltà, rinunciamo ad approfondire gli obiettivi più difficili, per percorre strade già collaudate da altri. E le soluzioni si danno per raggiunte dopo il primo abbozzo nel quale abbiamo intravisto un possibile traguardo, ma invece era solo una sagoma vuota. Ancor oggi, come sessant’anni fa, quando prendiamo in mano la matita per iniziare una nuova progettazione, tra le prime cose da chiedersi è come la distribuzione che stiamo tracciando potrà trovare una congrua definizione volumetrica e formale, e come questa si rapporterà al contesto. Mi direte: sono tutti discorsi noti, poco utili e in buona parte barbosi; ma, lasciatemelo dire, almeno il discorso sulla necessità di un metodo di lavoro deve trovare accoglienza, perché basilare in qualunque attività in cui si debbano coordinare tra loro testa cuore e pancia (la testa rappresenta la conoscenza, la logica e la ragione; il cuore rappresenta la passione; mentre la pancia rappresenta il bisogno). Non conosco e non pratico altro metodo che non sia quello di costringermi a cercare e ricercare pazientemente la soluzione di quanti più obiettivi mi sono posto per rispondere al tema che mi accingo ad affrontare. Io lo chiamo il “metodo Albini”.

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Cubismo sintetico Progetti e progettisti a confronto nella prima stagione di AV 3, il contenitore di ArchitettiVerona dedicato alla formazione culturale rigorosamente in presenza 01

Testo: Giorgia Negri

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n un periodo nel quale la figura dell’architetto si limita sempre più a destreggiarsi tra bonus, burocrazia e nuove discipline tecniche ed economiche che esulano da ciò che è la propria vocazione, la redazione di ArchitettiVerona ha voluto fortemente riportare l’architettura al centro del dibattito inaugurando un ciclo di incontri nei quali il progetto ritorna finalmente protagonista. Il cubo, logo ufficiale e mascotte dell’iniziativa, rappresenta simbolicamente il contenitore aperto al racconto dell’architettura, informali lectiones che vedono confrontarsi due professionisti su un tema specifico. L’argomento del primo incontro si può definire profondamente milanese: “casa, lavoro, weekend”. Infatti, Pietro Todeschini e Marcello Bondavalli (Studio wok), entrambi veronesi di formazione politecnica, da anni guidano i propri studi fondati a Milano (Pietro singolarmente, Marcello assieme ad altri due soci). I progetti che hanno presentato fanno emergere temi che, a sorpresa, si scopre accomunarli: le residenze vengono sottoposte a uno strip out dell’esistente per ricavare spazi ampi e fluidi invasi dalla luce naturale ma, allo stesso tempo, divisibili grazie a partizioni e porte scorrevoli celate in arredi costituiti da blocchi attrezzati disegnati su misura; gli spazi di

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01. L’immagine grafica disegnata da Happycentro per AV3.

lavoro sono flessibili ma definiti grazie allo studio di arredi su misura che adattano gli spazi in base alle esigenze lavorative e racchiudono servizi di supporto; infine, le case per i week end, spesso localizzate in contesti di pregio paesaggistico, instaurano un rapporto tra interno ed esterno rafforzato dall’utilizzo di grandi aperture che incorniciano il paesaggio e dall’uso di materiali presi in prestito dal luogo che conferiscono autenticità alle costruzioni.

Per il secondo incontro di AV3 altri due studi veronesi hanno condiviso le loro migliori esperienze in campo concorsuale, riconosciute con ottimi piazzamenti. Matteo Fiorini e Andrea Castellani sono tra i fondatori di Clab Architettura, studio nato proprio grazie alla partecipazione a un primo concorso, dove il loro progetto viene menzionato tra i migliori. Anche in seguito, continuano a partecipare a concorsi visti come opportunità

di ricerca su temi che ricorrono quotidianamente anche nella loro attività lavorativa: il contesto, il programma e l’immaginazione. I progetti presentati durante l’incontro sono riferiti a concorsi anche internazionali, in occasione dei quali hanno avuto modo di collaborare con studi di progettazione locali. I contesti e le scale affrontati sono decisamente eterogenei, mentre i temi che emergono sono lo studio meticoloso del contesto geografico e

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sociale, la ricerca di una connessione tra progetto e contesto urbano o paesaggio e la creazione di spazi pubblici pensati per la comunità. Anche per lo studio ABC, Damiano Capuzzo ha presentato la partecipazione ai concorsi come un’occasione per fare ricerca in diversi ambiti e alle diverse scale, una sorta di training che aiuta ad affrontare i veri progetti nella quotidianità; ma soprattutto è una scelta che dà a chi vi partecipa la possibilità di decidere sulle trasformazioni future delle città. La voglia di sperimentare li porta talvolta ad andare oltre le richieste esplicite del bando, un fattore che in alcuni casi si è rivelato premiante come per il progetto del mercato rionale di San Giovanni di Dio a Roma, che li ha visti vincitori. L’inclusione sociale, l’inserimento del verde, la sostenibilità economica e ambientale dell’intervento e la relazione con il contesto rappresentano le pietre miliari di ogni loro progetto. Enrico Dusi, il cui studio a base a Venezia, e Andrea Zanderigo, uno dei soci dello studio Baukhu di Milano, sono i protagonisti del terzo incontro incentrato sulla dimensione pubblica del progetto, con l’eterno dilemma del bilanciamento tra idee ambiziose e budget ridotti. Dusi ha parlato di “un’architettura pubblica pensata per il pubblico” al di là dei materiali e delle finiture, sostenendo come sia fondamentale conferire in primis una “direzione” al progetto a prescindere da come sarà realizzato. Le commissioni di progetti pubblici provengono infatti da concorsi o inviti da parte delle amministrazioni, che spesso presentano programmi poco definiti e fondi inadeguati. I progetti per il Casinò di Venezia

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e per la piazza del Mercato a Sant’Agostino (Ferrara) sono il risultato di un approccio progettuale che va oltre i programmi del bando e che, nonostante gli aggiustamenti in fase di realizzazione, hanno saputo

« Il cubo, logo ufficiale e mascotte dell’iniziativa, simboleggia il contenitore aperto al racconto dell’architettura » conferire dignità e identità a edifici e spazi pubblici, restituendoli alla comunità. Il budget diventa un tema ma non un limite progettuale anche in occasione della costruzione dell’edificio più noto dello studio Baukhu, la Casa della Memoria a Milano, esito a sua volta di un concorso. Il progetto è il risultato di uno studio complesso ricco di riferimenti storici, che ha portato all’ideazione di un edificio

monumentale e introverso che, oltre a custodire documenti e testimonianze storiche al suo interno, le rappresenta alla collettività attraverso l’involucro. Il programma iconografico apprezzabile sulla pelle dell’edificio è il risultato di una tecnica costruttiva artigianale efficiente ma volta a contenere i costi, mentre l’interno, per questioni legate al budget e a scelte gestionali della committenza, è stato ripensato per ciò che concerne le finiture e la distribuzione di alcuni spazi. L’ultimo incontro di AV3 ha approfondito la complessità di grandi progetti in contesti internazionali, lontani dall’Italia non solo geograficamente ma anche culturalmente. Impegnata sul campo di cui avrebbe dovuto dare testimonianza, Paola Fornasa ha ceduto il testimone al suo socio Marco Ardielli per il racconto del percorso che li ha portati a lavorare in Georgia su Tskaltubo, città termale di fondazione sovietica abbandonata repentinamente negli

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02-03. Alcuni momenti degli incontri negli spazi dell’Associazione M15 a Verona. 04. Ritratto con cubo: Andrea Castellani, Federica Guerra. Matteo Fiorini, Damiano Capuzzo, Alberto Vignolo.

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Nuova guida, città vecchia L’uscita entro una prestigiosa collana di guide all’architettura delle città dell’edizione su Verona e il Garda Testo: Alberto Vignolo

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anni Novanta con il dissolvimento dell’URSS. Negli anni recenti il governo georgiano ha posto il tema del recupero della città in modo da poter attrarre fondi e investitori, chiedendo idee e proposte a livello internazionale. Il concept vincitore, con lo studio Ardielli Fornasa in qualità di project leader in un team interdisciplinare coadiuvato da uno studio georgiano, parte dall’obiettivo di rendere Tskaltubo una destinazione turistica termalecurativa a livello mondiale, attraverso la conservazione del patrimonio esistente e la creazione di un vero e proprio centro storico, investendo risorse sull’intera città e non solo sugli alberghi. Una comunicazione efficace del progetto ha aiutato la comunità ad immaginare e accettare un possibile e concreto cambiamento dello stato dei luoghi.

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Dalla Georgia il nostro tour prosegue verso altre destinazioni – America, Mongolia, Cina e Arabia Saudita – con Alberto Apostoli, il cui studio veronese è particolarmente affermato nei settore wellness e hospitality. L’approccio progettuale non si limita al piano tecnico, fornendo consulenze per la creazione di “prodotti” esclusivi e modelli di business innovativi per una committenza d’élite. La complessità gestionale di questo tipo di progetti è il risultato di una pluralità di figure che provengono da tutto il mondo. Conoscere la cultura del luogo è il valore aggiunto che permette di entrare in empatia con la committenza e creare un prodotto di successo. Ma il cubo ha molte più facce di quelle fino ad ora mostrate: l’appuntamento è ai prossimi incontri.

05. Enrico Dusi durante la presentazione del suo contributo per AV3.

a bella collana di guide all’architettura che l’editore berlinese DOM publishers ha inaugurato nel 2014 con l’uscita dedicata a Venezia si arricchisce ora di un volume su Verona and Garda Lake, al momento in versione inglese. Vista la diffusione della collana, si prospetta una grande audience nei confronti della quale è sottoposta l’immagine della città nel bene e nel male. Senza perderci in un girovagare tra le pagine dedicate alle grandi città europee, e non solo, ma prendendo come termine di paragone le uscite sulle città italiane – oltre a Venezia, Milano, Torino Roma e il Sudtirolo – quello che appare subito evidente è che mentre le altre guide sono incentrate sull’architettura moderna se non decisamente contemporanea, quella su Verona propone un itinerario sostanzialmente classico, con qualche eccezione, attraverso i principali e ben noti monumenti dell’antichità. Attraverso i quattro percorsi urbani, quello extraurbano e l’ultimo dedicato al Lago di Garda – che merita un discorso a parte – si susseguono così senza soluzione di continuità grandi classici, chiese e palazzi, assieme alle distillate architetture della modernità. Non potrebbe forse essere altrimenti, Verona non è certo una città nella quale gli interventi contemporanei abbiano avuto particolare rilievo. Li si conta sulle dita di una mano, con l’imprescindibile Scarpa, il tardo Nervi, il defilato Caccia, i nostri campioni Cecchini e Calcagni e Cenna, per arrivare all’exploit di Carmassi e al negletto Chipperfield. In mezzo a tutto ciò, compaiono come guizzi inattesi le scelte estetiche dell’autore,

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01-04. Alcune pagine interne e copertina della guida Verona and Lake Garda, DOM (135 x 245 mm, 336 pagine, 500 immagini).

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Sergey Nikitin-Rimsky, storico della città e dell’architettura, che ha avuto modo di conoscere Verona in occasione di una sua docenza alla locale università e che è tornato in riva all’Adige armato di taccuino e di macchina fotografica per sondare, scoprire e ricercare ciò che ora troviamo nella guida. Forse questo approccio molto personale e da straniero, curioso e alieno dai condizionamenti degli schemi di pensiero a cui siamo abituati, rappresenta nel bene o nel male in senso di questa prova editoriale: chissà se i lettori avranno consapevolezza della parzialità di questo sguardo, o se ne ricaveranno soltanto l’immagine di una città vecchia, bella e semi addormentata, con qualche tocco di esotica stranezza. Proseguendo nella lettura, il percorso dedicato ai dintorni di Verona appare decisamente confuso, perché mette assieme i sobborghi della città e l’intero territorio provinciale senza un chiaro filo geografico o temporale. Qui l’eclettismo della guida si esacerba con scelte bizzarre e inusitate; la deriva postmodernista latente in tutto il volume tocca le vette più alte (o basse, questione di punti

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di vista). Ma prima o poi con il Po-Mo dovremo pur fare i conti. L’ultimo percorso è quello dedicato al Garda nel suo insieme. Raccontare il bacino lacustre come una entità unica è certo un intento lodevole, ma dal punto di vista dell’architettura ascriverne l’intera tradizione al milieu culturale veronese appare assai forzato, soprattutto in rapporto all’alto Garda bresciano al quale sono dedicate molte attenzioni. Anche in questo caso, molto costume (da bagno) e poca architettura moderna: Scarpa e Mangiarotti bardolinesi, borghi e chiese, ville e costruzioni tipiche del paesaggio lacustre come le limonaie, assurte a gloria mondiale grazie all’immagine di copertina di Architecture withouth architects di Bernard Rudofsky. Ma davvero siamo ancora a quel punto? Forse l’accoppiata di Verona col lago di Garda è solo un’esca editoriale, ma ciò che ne risulta è poco più che un’insieme di belle cartoline. Un vero peccato, perché di una guida ragionata e aggiornata sull’area gardesana, diventata una megalopoli del turismo europeo, ci sarebbe davvero bisogno.

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Testo: Federica Guerra

Sarò grande vedrai

La grande area triangolare della cosiddetta Marangona, da anni al centro di proposte di sviluppo territoriale, e il Masterplan che ne definisce le prospettive di attuazione con l’obiettivo temporale 2030

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Il consorzio zai ha recentemente approvato un Masterplan per la cosiddetta Marangona, al fine di rilanciare l’azione pianificatoria di un’area che è al contempo in uno stato di totale naturalità ma che riveste, per dimensioni, collocazione e ruolo, un’importanza strategica per Verona. Si tratta di quel triangolo compreso tra le linee ferroviarie per Mantova e Bologna e l’Autostrada Serenissima, a fare da “zona cuscinetto” tra il Quadrante Europa e le ultime propaggini a ovest della zai storica. Individuata fin dal Piano Marconi del 1957 e poi confermata dalla Variante Generale al prg del 1975, la Marangona era stata in un primo momento destinata ad attività artigianali e di piccola industria a supporto della zai, nell’ottica di una dinamica industriale che negli anni Settanta pareva inarrestabile. Il primo Piano Particolareggiato Primi passi della Marangona, redatto nel 1979 dagli architetti G. De Landerset, E. Genovese, G. Pellegrini Cipolla e O. Tognetti, comincia ad interrogarsi sul reale potenziale di quest’area, proprio quando il quadro economico e industriale locale e nazionale stava subendo grandi trasformazioni, tanto da far ipotizzare per la prima volta una destinazione originale e all’avanguardia nel panorama dell’imprenditoria italiana1. Si fa strada l’idea di destinare l’area a strutture e servizi finalizzati alla ricerca e all’innovazione del tessuto produttivo, anche tramite il supporto di studi di carattere altamente scientifico come quelli affidati nel 1984 alla società Oikos di Bologna 2: la Marangona viene ipotizzata

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come area per l’insediamento di attività tecnologicamente avanzate e per aziende legate alla ricerca. Il Piano particolareggiato basato su questi presupposti venne approvato dal Comune nel 1990. L’armonia che aveva caratterizzato Stop & go i rapporti tra i tre enti fondatori – Comune, Provincia e Camera di Commercio – e che aveva concretizzato il passaggio per Verona dal mondo agricolo al mondo agroindustriale, subì una battuta di arresto nel 1990 allorquando il Comune decise di interrompere il percorso pianificatorio della Marangona, escludendo il Consorzio zai dalla progettazione dell’area per affidarla esclusivamente al proprio Settore

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01. L’area della Marangona nei pressi del tracciato autostradale: in evidenza l’attuale stato agricolo. 02. Quadro d’unione dei percorsi individuati nel progetto di

“Città connessa” all’interno del Masterplan. 03. Veduta aerea con evidenziato in colore il grande triangolo dell’area.

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04. Il verde, declinato in una pluralità di usi, tesse una trama unitaria del Masterplan. 05. Confronto dimensionale tra l’area della Marangona e le altre aree significative della città.

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06. Cronoprogramma di sviluppo degli ambiti di intervento a partire da Corte Alberti (AIU 1) già in fase di definizione.

Urbanistica e, soprattutto, superando l’innovativa visione portata avanti dall’ente. Questo cambio di rotta non trovò il favore della Regione che decise di bloccare (1993) il nuovo Piano Particolareggiato e di far rientrare l’area nel Piano d’Area del Quadrante Europa (paqe, 1999)3, uno strumento sovraordinato a quelli comunali, confermando le funzioni previste dal Consorzio e definendo l’Area “Comparto dell’innovazione tecnologica”4. Così mentre gli anni Novanta sono quelli decisivi per il completamento del vicino comparto del Quadrante Europa, l’area della Marangona cade in un momentaneo oblio: la sua destinazione finale è ormai sancita, ma manca il quadro di riferimento culturale e politico per iniziare a pensare alla sua attuazione.

Ancora una volta sarà il ConsorLa ripartenza zio a promuovere i primi studi per la pianificazione dell’area con l’affidamento nel 2005 a un gruppo di lavoro presieduto da Umberto Trame, docente iuav, assieme a Giovanni Policante, di un Piano Direttore per il completamento dell’Interporto del Quadrante Europa e per la definizione del Masterplan dell’ambito della Marangona. Si tratta, in questo ultimo caso, degli esiti di un Laboratorio di Laurea dello Iuav che fissa gli elementi del futuro piano urbanistico: da un lato l’ipotesi di un “Parco scientifico… dotato di un sistema edilizio a bassa densità… in cui le attività di ricerca e sperimentazione risultassero prevalenti” e, dall’altro, la presenza di un’ampia area verde come connettivo degli insediamenti. Proprio perché esito di un laboratorio universitario, la proposta formulata si basa su un sistema morfologico non sostenuto da una domanda funzionale concreta e come tale pecca di una certa ingenuità a confronto con gli sviluppi reali che avrà l’area. Tuttavia esso rappresenta un primo concreto atto di attenzione all’attuazione del paqe 5. In quegli stessi anni è in elaborazione il Piano di Assetto del Territorio di Verona (2006-2007) che, confermando la destinazione ormai assodata dell’area, ne indica sommariamente le infrastrutture per la mobilità e le connessioni strategiche ad alta scala rimandando al Piano degli Interventi la progettazione più minuta. È in questa fase di passaggio che nasce l’esigenza di elaborare un Masterplan6 per Verona Sud (ato 4), finalizzato a raccordare le opzioni generali del pat con

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MASTERPLAN MARANGONA 2030 COMMITTENTE Consorzio ZAI GRUPPO DI PROGETTAZIONE Giulio Saturni Giancarlo Conta COLLABORATORI LAN srl - Luca Romano Pierluigi Grigoletti Michele De Mori / Arcover - Archivi del Costruito nel Territorio Veronese in rete (immagini storiche) Ruggero Barbiero, Samuel Fattorelli (contributi) CRONOLOGIA Progetto: luglio 2021

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la disciplina operativa del Piano degli interventi. Verrà elaborato nel 2010 a firma degli Uffici Comunali e dello studio FOA e tuttavia, a dispetto del nome, interesserà solo marginalmente l’area della Marangona concentrandosi sul comparto di Viale delle Nazioni/del Lavoro/Piave, sui quartieri di Santa Lucia e Golosine e sul completamento del tessuto produttivo della zai fino al tracciato dell’Autostrada. È così che il Piano degli Interventi (2011) licenzia la Marangona come “Ambito di progettazione di Programmi complessi”, stabilendone l’ossatura viaria principale e rimandando la sua attuazione a strumenti specifici nonché alle indicazioni del paqe.

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Nel 2017 viene inaspettatamente Obiettivo ventilata l’ipote2030 si di insediare alla Marangona una struttura della grande distribuzione (Ikea). Al di là del complesso iter di approvazione di un tale progetto che avrebbe necessitato di una Variante al paqe, il fallimento di tale iniziativa mette allo scoperto le criticità che il nodo Marangona ancora oggi presenta. Da un lato si tratta di un’area dalla forte accessibilità teorica, stradale e ferroviaria, in prossimità dell’aeroporto e del polo fieristico, dall’altro essa rappresenta, proprio per il suo attuale stato di naturalità, la possibilità di un’inversione di tendenza nelle strategie di sviluppo della Verona di domani. Così proprio per la sua alta valenza strategica le aree in essa comprese

hanno un importante valore economico che necessita di piani di gestione di ampio respiro. Per questo il recente Masterplan promosso dal Consorzio, a firma di Giulio Saturni e Giancarlo Conta, può rappresentare il salto di qualità per l’area, nonché la definitiva presa in carico della sua progettazione. Il nuovo strumento, non a caso intitolato “Masterplan Marangona 2030” per chiarire da subito l’orizzonte temporale proposto, parte dalle direttive di sviluppo definite dal paqe, peraltro ancora attuali, perché è lì che il meccanismo si era inceppato e da lì bisogna ripartire per ridefinire obiettivi e strategie. A questo si affiancano gli input emersi dalle politiche europee e dalle agende internazionali (Agenda 2030) sul nuovo ruolo delle città e delle politiche territoriali. Prende così forma una strategia di

sviluppo che si pone tre obiettivi fondamentali: “Per una città connessa”, “Per una città vivibile e resiliente”, “Per una città attrattiva”. Risultano essere obiettivi incontrovertibili e difficilmente negoziabili, che qualunque città europea che voglia pensare al proprio futuro non può negarsi, ma l’elemento innovatore consiste nel pensare che una “piccola” (150 ettari) parte di città possa fungere da motore di rigenerazione della città intera, candidandosi a progetto pilota per il futuro cambio di rotta dello sviluppo urbano. Assodati gli obiettivi, il Masterplan li declina in scelte strategiche coerenti. In primo luogo, viene ipotizzato un sistema di connessione metropolitana basato sulla realizzazione di un nuovo nodo ferroviario, con una nuova stazione chiamata Porta dell’Innovazione da localizzarsi nella punta nord

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dell’area, che funga da unico nodo di interscambio ai flussi in direzione Modena, in direzione Bologna ma anche in direzione dell’aeroporto – con la realizzazione di un breve tratto ferroviario – e da qui verso la città (Porta Nuova, Central Park, Fiera) e, ancora, da e per il polo universitario con la fermata di Porta Vescovo. La coerenza di questa proposta sta nell’immaginare il coinvolgimento e la partecipazione alla scala locale e sovra-locale di attori pubblici e privati con lo scopo comune di aumentare, l’accessibilità dell’area in modo da at-

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trarre servizi di rango metropolitano e specializzazioni produttive di alta qualità. In questo stesso quadro infrastrutturale finalizzato alla connessione territoriale vengono previste una nuova strada di gronda nord-sud che connette la Marangona con il Quadrante Europa e la tangenziale nord bypassando il nodo di Verona Nord. Più complessa e meno risolta, anche a detta dei redattori del masterplan, la viabilità a sud dell’autostrada, dove vengono messe in campo soluzioni da verificare in un apposito studio di approfondimento.

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07. La passerella ciclopedonale nella punta nord dell’area integrata alla proposta della futura stazione ferroviaria. 08. Concept per il disegno architettonico delle “dune” dei comparti AUI 2 e 3. 09-10. Comparto AIU 1 Corte Alberti: planimetria di progetto e render parziale. Progetto: SFRE (ing. Filippo Salis). Co-progettisti opere a verde: STAA (arch. Fernando Tomasello, arch. Monica Pastore). Committente: VGP Park Italy 1.

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Attinenti all’obiettivo della “Citta connessa” anche il sistema di piste ciclabili interne ed esterne all’area, una sorta di ciclopolitana di collegamento con il quartiere di Santa Lucia e in definitiva tra Verona e la ciclabile tibre dolce (Tirreno-Brennero) oltre all’anello di collegamento tra i forti Azzano e Gisella, il centro di Madonna di Dossobuono e la stazione ferroviaria Porta dell’Innovazione. Anche il trasporto pubblico, con la revisione delle linee urbane esistenti e la creazione di due parcheggi scambiatori, concorrono a connettere compiutamente l’area alla città. L’obiettivo “Per una città vivibile e resiliente” attinge al bagaglio ormai consolidato di politiche green attuato in molte città europee: la dotazione di ampi spazi verdi di servizio e di mitigazione ambientale declinata in diverse categorie funzionali, l’attuazione di processi di recupero circolare dei materiali, il drenaggio delle acque, soluzioni integrate per ridurre le emissioni di gas serra e azzerare il fabbisogno energetico degli edifici. La piantumazione di ampie superfici a verde avrà ricadute sulla qualità urbana dell’area e quindi sulla possibile diversificazio-

ne degli usi dello spazio pubblico da parte di tutti i cittadini. Ma è sul tema delle nuove funzioni previste “Per una città attrattiva” che si gioca la maggior possibilità di successo dello sviluppo della Marangona, il suo ruolo strategico per rafforzare il tessuto economico e sociale della città. Secondo il Masterplan “le azioni da intraprendere consistono da un lato nel consolidare l’ambito del Quadrante Europa prevedendo lo sviluppo di funzioni logistiche complementari e non concorrenziali, dall’altro nell’integrazione della Marangona con il re-

« Si prevede l’integrazione della Marangona con il resto della città agendo come hub per nuovi servizi a scala metropolitana” » sto della città agendo come hub per nuovi servizi a scala metropolitana”. Quindi, a parte l’ambito di Corte Alberti (aiu 1) già in fase di attuazione con uno specifico Accordo di programma per la realizzazione di un centro logistico su terreni già in proprietà al Consorzio, gli altri ambiti vengono destinati rispettivamente ad “Hub Ricerca e innovazione” (aiu 2), “Digital hub” (aiu 3), ancora alla logistica (aiu 4) e alla “Cultura e creatività” (aiu 5) con cronoprogramma di attuazione tra i 2 e i 5 anni. Attenzione è posta alle modalità di attuazione dei diversi Ambiti di Intervento Unitario mediante pua a gestione autonoma dal punto di vista economico e temporale, “tenuti insieme” dall’ossatura del Masterplan che permette l’attuazione della matrice infrastrutturale mediante Accordi di Programma di rango territoriale.

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Quello che ne risulta è la realizzazione di un grande parco il cui cuore è rappresentato da un percorso ciclopedonale aereo che fungerà da ingresso coordinato con la stazione ferroviaria, e che fungerà da tessuto connettivo per la realizzazione di isolati dedicati ad ospitare gli hub di ricerca e innovazione, in connessione con l’Università, e della nuova logistica digitale ma anche una nuova visione degli immobili dedicati alla logistica tradizionale con l’ipotesi di utilizzo delle coperture piane degli edifici per la coltivazione idroponica, in partenership con la filiera agroalimentare cittadina, per terminare, in termini di narrazione e di frontiera temporale, con la realizzazione di una nuova Arena, un’architettura contemporanea in grado di dialogare con la storia musicale della città ma aprendosi anche a nuove contaminazioni culturali.

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Ci pare dunque lecito sognare per Prospettive la Marangona un futuro finalmente compiuto e per la città l’inizio di una nuova fase che punti ad uno sviluppo adeguato ai tempi e alle esigenze che si vanno configurando per il millennio. Restano giocoforza alcuni punti di perplessità, che riguardano non tanto il nuovo Masterplan quanto il ruolo che il Consorzio potrà avere nello sviluppo dell’area, per il suo carattere di ente pubblico che tuttavia agisce nelle logiche del mercato. Da un lato l’ipotesi che l’acquisizione delle aree in esproprio per la realizzazione dei comparti, istituto a cui l’ente è autorizzato per statuto, deve avvenire in un quadro complessivo di bilanciamento economico che prevede la vendita delle prime aree per poter procedere all’ac-

quisizione delle successive. Se ciò non avvenisse nei tempi previsti dal cronoprogramma, l’operazione potrebbe dover affrontare scenari non previsti nel Masterplan, compromettendone l’esito finale. Dall’altro la “tenuta” istituzionale del Masterplan stesso, che trova coerenza nella sua unitarietà progettuale ma che, sottoposto poi a progetti attuativi differenziati, in termini di risorse economiche – di investimenti e investitori – di energie progettuali, potrebbe perdere la propria forza cogente. Un’ultima incertezza riguarda la previsione di destinazione di circa un terzo dell’area alla logistica, seppur di tipo innovativo, comparto che come è noto garantisce bassi livelli di occupabilità. E nello stesso tempo la perplessità riguarda l’idea di fondo di un grande intervento espansivo in un area totalmente non edificata, un intervento che difficilmente si coniuga con i precetti del contenimento del consumo di suolo così come previsto dalle normative regionali 14/2019 e 14/2017. D’altro canto ci sembra il maggior punto di forza dello strumento il suo “cono ottico di ripresa”, l’aver saputo immaginare lo sviluppo dell’area in

un quadro ampio che colloca la città all’interno dei flussi economici internazionali e nello stesso tempo averne previsto le ricadute positive sulla città in termini di vivibilità e sostenibilità.

M. De Mori, Lo sviluppo urbanistico del Quadrante Europa e delle aree industriali del Basson e della Marangona, in Un territorio in crescita, a cura di M.L. Ferrari, Consorzio ZAI Interporto Quadrante Europa, 2019, pp. 143-159. 2 Ibid. 3 La Regione aveva fondato per lo sviluppo dell’innovazione la società Veneto Innovazione e attraverso questa il Network for Science and Technology (NEST) con le Università di Verona e Padova. NEST produsse uno studio di fattibilità (1995) che partecipò al progetto europeo SPRINT sul coordinamento dei Parchi scientifici europei. 4 Il PAQE all’art.14 e all’Allegato H individua l’area come C2–Comparto dell’innovazione tecnologica per Insediamenti produttivi e innovativi, per la Ricerca scientifica e tecnologica e per la Porta dell’Innovazione tecnologica. 5 Umberto Trame (a cura di), Il Masterplan del Quadrante Europa, Editrice Compositori, 2005. 6 http://mapserver5.comune.verona. it/UFFI_SIT/PI_CONCERTAZIONE/ INDIRIZZI_ATO4.pdf. 1

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Identità moreniche: idee a concorso L’iniziativa promossa dal Polo di Mantova del Politecnico di Milano ha permesso il concretizzarsi di uno stimolante confronto dando così nuova luce al nostro territorio

Testo: Laura Bonadiman

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Le colline moreniche che circondano il lago di Garda sono da considerarsi un’unità di paesaggio di grande pregio. Si sono formate in seguito alle fasi di espansione e ritiro dei ghiacciai e come un grande anfiteatro comprendono la fascia di territorio tra la sponda meridionale del Lago di Garda e la pianura mantovana, offrendo agli occhi dei visitatori habitat suggestivi. Su questi luoghi dalle caratteristiche naturali di grande originalità si è basato il concorso posto all’insegna dell’acronimo MIRC – Moreinic Identities Regeneration Competitions e dedicato alle Identità moreniche, che ha unito nell’iniziativa i comuni di Castelnuovo del Garda, Sommacampagna, Sona e Valeggio sul Mincio con l’obiettivo di promuovere il paesaggio e la cultura di questi territori valorizzandone il patrimonio storico e naturalistico, offrendo al contempo una articolata palestra progettuale per i giovani futuri progettisti. Si è trattato infatti di un concorso rivolto a studenti under 35 di architettura, design, ingegneria, paesaggio e urbanistica, promosso a livello

internazionale dal Polo di Mantova del Politecnico di Milano nell’ambito della rassegna Mantovarchitettura. Suddiviso in due categorie indipendenti, Urban Design e Landcape, ha visto all’opera sui lavori dei molti partecipanti due distinte giurie internazionali composte da personaggi di spicco della progettazione architettonica e paesaggistica, con Andrew Berman, João Mendes Ribeiro, Car-

la Juaçaba, Fernanda Canales e Andrea Soto Morfin per la prima sezione e Paulo David Abreu Andrade, Christine Dalnoky, Juan Luis De Las Rivas Sanz, Juan Manuel Palerm Salazar e Emanuela Morelli per la seconda. Ogni gruppo partecipante ha pertanto affrontato quattro diversi siti di progetto, uno per ciascun comune aderente all’iniziativa, per i quali è stato richiesto di sviluppare idee di ri-

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01. Immagini attuali dei quattro siti di progetto per la sezione Urban Design. 02-04. Sezione Landscape: tavole dei progetti secondo classificato, terzo classificato, menzione d’onore. 05-08. Sezione Urban Design: tavole dei progetti secondo classificato, terzo classificato, menzione d’onore 1, menzione d’onore 2.

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Urban Design - 1° classificato 09. Concept progettuale di ciascun sito urbano. 10. Il brolo come principio concettuale. 11. Schizzi di progetto. 12. Masterplan di Piazza della Libertà a Castelnuovo del Garda.

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generazione degli spazi collettivi e dei percorsi nel paesaggio morenico. I progetti premiati e selezionati danno conto dei molti contributi di idee e della freschezza libera dai vincoli della consuetudine professionale che chi è ancora studente può concedersi. In questo spazio ci limitiamo a presentare i vincitori delle due sezioni. Nella prima, Urban design, veniva chiesta la ridefinizione dei caratteri e delle attrezzature pubbliche di due piazze, Piazza della Libertà a Castelnuovo del Garda e Piazza Roma a Sona, oltre alla rivalutazione di un tratto di via Verdi a Valeggio (elemento di congiunzione tra piazza San Rocco e Villa Sigurtà) e la ricucitura dei nuovi spazi pubblici derivati dalla tombatura del Canal d’Acqua di Sommacampagna. Il progetto elaborato dal gruppo formato da Martina Gatti, Irene Sandri, Giacomo Dal Ben e Raffaele Dongili si è basato sul principio concettuale del “brolo”, utilizzato come spunto per ciascun sito. Si tratta del sistema di recinzioni che delimitavano lo spazio del giardino adiacente alla casa padronale, realizzate con sassi e ciottoli reperiti in loco e inserite in maniera armoniosa nel paesaggio. Nel progetto il brolo è reinterpretato e adattato alla specificità di ciascun sito, ipotizzando interventi semplici ed efficaci.

Per Castelnuovo e Sona vengono definiti in primo luogo i margini delle piazze, oggi non chiari. Nel primo caso, il muro sul fronte settentrionale è ridotto a un semplice segno sulla pavimentazione, aprendosi agli edifici che vi si affacciano; i restanti lati schermano in maniera differente tra loro gli altri fronti. Recintata dalle mura del nuovo brolo, la piazza può essere utilizzata per qualsiasi attività

« Coniugare spazi urbani e territorio attraverso l’utilizzo di elementi della tradizione è una sfida sempre stimolante » collettiva, mentre i suoi bordi assumono la conformazione di veri e propri giardini urbani più intimi e raccolti. Per il centro storico di Sona, le tracce dell’antico brolo definiscono un sistema di aree con caratteri ben distinti in relazione agli edifici pubblici adiacenti. La viabilità dell’area è riprogettata incoraggiando la mobilità pedonale; viene inoltre rivestita la facciata dell’edificio che ospita la Polizia Municipale con una sorta di seconda pelle, ridisegnando le aperture

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MIRC 2021 Moreinic Identities Regeneration Competitions PROMOTORI Polo di Mantova del Politecnico di MIlano Comuni di Castelnuovo del Garda, Sommacampagna, Sona, Valeggio sul Mincio in collaborazione con ICS Istituto Commercio Servizi di Vicenza URBAN DESIGN Progetto primo classificato: Martina Gatti, Irene Sandri, Giacomo Dal Ben, Raffaele Dongili Politecnico di Milano - Polo di Mantova LANDSCAPE Progetto primo classificato e menzione d’onore per la “consapevolezza della qualità ambientale”: gruppo Xueyuan Guo, Chuyu Zhou, Jiazheng Li, Liu PeiFan, Zhang Na Politecnico di Milano

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LINK https://www.mirc.polimi.it/

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in consonanza con quelle originarie, mascherando l’evidente differenza di tipologia costruttiva. A Sommacampagna il progetto ha previsto la riqualificazione delle aree tra l’abitato a nord e l’area industriale a sud, con l’obiettivo di creare un luogo attrattivo sia per gli abitanti della zona che per i bambini della vicina scuola. Il brolo è utilizzato in questo caso per “recintare” queste aree mediante muri di 2,5 metri di altezza, unitamente alla formazione di un

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percorso pedonale che si innesta sopra la copertura lastricata del canale. In questo modo si definiscono due livelli, un sentiero sopraelevato con vista sul paesaggio morenico e uno inferiore con pista ciclabile e aree verdi in cui sostare. Viene inoltre previsto un auditorium a nord-est con spazio lettura e un chiosco circondato da un sistema di aiuole con erbe aromati-

13. Masterplan di piazza Roma a Sona. 14. Schizzo progettuale. 15. Programma funzionale per l’area di via Verdi a Valeggio sul Mincio.

che; l’area centrale è invece destinata alla coltivazione dei prodotti tipici del territorio. Infine, a nord-ovest è posto un padiglione per promuovere artisti locali, con un ulteriore brolo a delimitare un piccolo parco giochi. Per la riqualificazione del sito di Valeggio, nei pressi di Villa Sigurtà, l’intervento è prettamente dedicato alla comunità. Le azioni proget-

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Landscape - 1° classificato 16. Foto storiche come riferimenti: Castelnuovo del Garda. 17. Masterplan per il Brolo delle Melanie a Castelnuovo del Garda. 18. Ecosistema circolare proposto per i giardini della Torre a Sona.

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tuali comprendono la modifica della viabilità convertendo via Verdi in area pedonale, e la delimitazione dei due spazi antistanti la villa mediante un brolo, inserendo degli orti urbani. All’interno degli edifici esistenti sono proposte nuove funzioni quali spazi di co-working per workshop e seminari, oltre alla possibilità di acquistare i prodotti proposti in spazi dedicati. La sezione Landscape del concorso è stata invece dedicata al potenzia-

mento dell’esperienza turistico-naturalistica attraverso la riqualificazione dei tracciati a percorribilità lenta e delle aree verdi, con l’obiettivo di una migliore accessibilità e fruibilità dell’ambiente morenico. Gli ambiti di intervento comprendevano la riconfigurazione dell’area verde del Brolo delle Melanie di Castelnuovo del Garda, la progettazione del percorso panoramico del Tamburino Sardo a Custoza di Sommacampagna, la riqualificazione della Torre Scaligera

e del giardino a Palazzolo di Sona e il ridisegno dei percorsi naturalistici lungo il percorso sud di Valeggio. Il progetto vincitore ha visto all’opera un gruppo di studenti cinesi composto da Xueyuan Guo, Chuyu Zhou, Jiazheng Li, Liu PeiFan e Zhang Na. La base di partenza è stata la conoscenza storica del paesaggio mediante l’osservazione delle vecchie fotografie di ciascun luogo. I progetti delle quattro aree hanno come filo conduttore l’attenzione nei confronti della qualità ambientale e l’attento approccio alla sostenibilità. Per la prima area, il Brolo delle Melanie, ad oggi cinto da mura lungo tutto il perimetro e caratterizzato da un percepibile dislivello tra le varie zone, viene esaltato il ruolo di collegamento tra la torre Viscontea e il centro storico attraverso la demolizione di alcuni edifici abbandonati e la conversione degli spazi in paesaggi terrazzati. Per il percorso panoramico del Tamburino Sardo l’idea lavora sul concetto di “paesaggio produttivo”, per consentire una riattivazione economica e sociale dei territori dismessi.

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19. Il paesaggio produttivo ideato per Sommacampagna. 20-21. Viste progettuali 22. Percorso Sud a Valeggio sul Mincio: utilizzo del colore per facilitare i passaggi pedonali notturni.

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La volontà è di integrare lo spazio rurale con quello urbano creando un ambiente maggiormente vivibile, così che gli spazi agricoli diventino parte della città contemporanea, supportandola e rendendola sostenibile. Anche nel caso di Sona il punto cardine è l’ecosistema esistente, ritenuto buono ma migliorabile attraverso il progetto di un ecosistema circolare completo, che permetta di valorizzare le caratteristiche del sito. Un sistema di passerelle sopraelevate è invece alla base del progetto per Valeggio, con l’integrazione di un sistema di illuminazione che permetta un’agevole fruizione anche nelle ore serali. Punti di sosta panoramici con piattaforme di osservazione permettono ai pedoni di rilassarsi e godersi il panorama. Nell’insieme, uno sguardo attraverso questi progetti e gli altri selezionati dà la riprova di come i nostri territori abbiano molte potenzialità, purtroppo spesso non sfruttate come meriterebbero. Coniugare spazi urbani e territorio, in particolare attraverso l’utilizzo di elementi della tradizione, è una sfida sempre stimolante. Il con-

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corso ha lasciato alle amministrazioni coinvolte un bagaglio prezioso di idee, delle quali non si può che augurarsi che possano farne tesoro. Ai giovani vincitori è andato invece, oltre alla soddisfazione e a un significativo tassello del loro curriculum, un non trascurabile premio in denaro. MIRC cambia ora significato e diventa Mantovacampus International Regenerations Competitions, lanciando la prossima edizione 2022 dedicata all’antico giardino del Palazzo Ducale di Guastalla.

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Architetti veronesi raccontano la loro esperienza professionale “fuori dalle mura”

Precisione elvetica Il nostro Grand Tour alla scoperta degli architetti veronesi in formato esportazione fa tappa in Svizzera dove attualmente vive e lavora Alvise Allegretto

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Testo: Alvise Allegretto

Immagini: Giorgis Rodriguez Architects

Alvise Allegretto, nato a Verona nel 1986, ha studiato architettura allo IUAV di Venezia. Durante il periodo universitario compie diverse esperienze formative, tra le quali un tirocinio presso l’architetto Renato Rizzi e l’Erasmus presso lìEPFL a Losanna. Dalla ricerca che ha condotto alla tesi di laurea conseguita nel 2014 è stato tratto l’articolo L’Alta Pianura Veronese: immagine di un paesaggio rurale contemporaneo, pubblicato su «AV» 101, pp. 52-57 (con Giorgio Renzi). Dopo un’esperienza come libero professionista a Verona, si trasferisce in Australia per lavorare presso lo studio Powell&Glenn a Melbourne. Al ritorno, dopo una breve collaborazione con l’architetto Adolfo Zanetti a Venezia, decide di stabilirsi a Ginevra e lavorare con Timothée Giorgis e Juan Rodriguez.

Quando ho ricevuto la proposta di «AV» di raccontare la mia esperienza professionale all’estero, ho provato due nette e distinte sensazioni: soddisfazione per l’interesse dimostratomi al fine di conoscere ciò che sto combinando in Svizzera, e al tempo stesso un sottile imbarazzo nel predisporre un pur breve bilancio sul mio presente e il mio recente passato. La mia passione per l’architettura d’Oltralpe nasce grazie all’esperienza in Erasmus durante il secondo anno del corso di laurea magistrale allo IUAV di Venezia, era l’anno accademico 2010/2011. Ricordo che la professoressa e urbanista Paola Viganò mi spinse a scegliere l’EPFL – École Polytechnique Fédérale de Lausanne – nella

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quale lei stessa ora insegna, proprio in virtù della consolidata reputazione internazionale di questa istituzione. Il progetto si prolungò per altri sei mesi grazie a un tirocinio presso un giovane ma già promettente studio di Ginevra, AtelierObjectifs. Nel 2014, dopo la laurea, una parentesi positiva di collaborazione con mio padre Aldo, architetto, e una timida carriera in qualità di freelancer mi hanno permesso di confrontarmi per un paio d’anni con la realtà lavorativa veronese. Dentro di me cresceva il desiderio di provare nuove esperienze e soprattutto di affrontare nuove sfide, fino a quando nel 2017 ho deciso di levare le ancore e partire con destinazione l’altra parte del mondo, per un’esperienza di lavoro in Australia, a Melbourne, presso lo studio Powell&Glenn. Un anno davvero ricco e proficuo, nel corso del quale ho scoperto la dimensione anglosassone dell’approccio all’architettura. L’Europa tuttavia mi mancava, in particolare la sua cultura e la sua storia (è proprio vero che a volte è necessario andare lontano per renderci conto della fortuna di vivere qui, nel vecchio continente). Voglia di stare più vicino a casa quindi, e la Svizzera inoltre rappresentava la situazione migliore in cui concretizzare quella metodologia di lavoro appresa durante l’università. Cercherò di elencare gli aspetti positivi della pratica dell’architettura in Svizzera, attraverso un breve excursus sulle esperienze più significative fatte a partire dal gennaio 2018 ad oggi presso lo studio Giorgis Rodriguez Architectes in Ginevra. Lo studio, composto oggi da 17 persone, vive e si alimenta grazie all’aggiudicazione di gare pubbliche di appalto, alle quali partecipano normalmente studi federali ma anche europei. Tale pratica si è consolidata da molti anni ed è regolamentata direttamente dalla SIA, la Società Svizzera degli Ingegneri e Architetti, l’equivalente del nostro Ordine degli Architetti e Ingegneri. “Una procedura ben

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01. Centro civico a Satigny, planimetria: al centro il nuovo spazio per le manifestazioni, a sinistra la sala comunale e di fronte l’edificio storico. A nord la futura scuola elementare adiacente al parco pubblico. Sulla destra, ritratto di Alvise Allegretto. 02-05. La palestra e le aule polivalenti delimitano il nuovo spazio pubblico; la promenade nel verde con la sala comunale sul fondo; l’interno e l’ingresso della sala pubblica (foto: Laura Keller). 03

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06-09. Il fronte nord dell’edificio storico dopo il restauro; il Carnotzet, in svizzero francese spazio conviviale attrezzato con cucina per degustazioni; il Municipio con in secondo piano la scuola elementare esistente e oggetto della demolizione per il futuro ampliamento scolastico; la sala del Consiglio (foto: Olivier di Giambattista).

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preparata e condotta con deontologia assicura il di spazi di gioco per i bambini all’interno del raggiungimento di una soluzione ottimale dal futuro parco pubblico cittadino. Dunque un ampio punto di vista concettuale, creativo, ecologico, progetto mirante a dare un nuovo centro urbano economico e tecnico” (tratto da SIA-Linee guida). al paese: osando un po’, potremmo paragonarlo Qualunque ente pubblico o privato, nel momento come scala d’intervento al progetto realizzato in cui indice un nuovo concorso, si rifà a queste a Montecarasso dall’architetto ticinese Luigi linee guida, e ciò costituisce solida garanzia per Snozzi. lo Stato, per i cittadini e per noi professionisti. Negli ultimi due anni mi sono dedicato Su queste basi molti giovani studi nascono e principalmente alle ultime due fasi di realizzazione riescono a posizionarsi del progetto “Satigny” favorevolmente in qualità di assistente « La Svizzera rappresentava nel mercato, anche alla direzione dei lavori, e soprattutto in intervallando allo la situazione migliore considerazione del fatto sviluppo della messa in cui concretizzare che all’aggiudicazione in opera della scuola quella metodologia di lavoro del concorso fa partecipazioni ad altri appresa durante l’università » necessariamente concorsi di complessi seguito la sua concreta scolastici in diverse realizzazione. località, come quello per È il caso esemplare dell’atelier in cui collaboro, l’Istituto ginnasiale a Aigle nel Cantone Vaud, ad che nel 2010, vinse a Satigny, villaggio nella esempio, la cui costruzione ci siamo aggiudicati campagna ginevrina, un concorso SIA142 per un come studio nel 2021 e per il quale mi sono progetto da sviluppare in diverse fasi: la prima per divertito a riprendere in mano riga e taglierino la trasformazione del complesso comunale con per costruire una maquette che rappresentasse il l’ampliamento di nuovi locali e la costruzione di principio strutturale in legno. una sala spettacoli per la comunità, e la seconda Il cantiere della scuola di Satigny inizierà ad per il restauro e la trasformazione dello storico agosto 2022 con l’obiettivo di renderla disponibile edificio comunale, processo che è giunto a termine per l’avvio dell’anno scolastico 2024-2025. Si a marzo di quest’anno . Una terza fase prevede prefigurano quindi due anni intensi in cui la l’ampliamento e la trasformazione della scuola ‘prefabbricazione’ in legno sarà la parola d’ordine. elementare e a seguire, nel 2025, la costruzione Il progetto prevede la demolizione parziale di

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un edificio scolastico che oggi ospita cinque aule, costruito assieme alla piscina comunale su cui poggia. Una volta rase al suolo le aule, verrà rinforzata la struttura esistente in ca tramite travi precompresse e infiltrazioni di micropali. Questa prima opera permetterà di poter erigere i due corpi di servizio in ca utili a controventare la struttura in legno che sarà costruita intorno agli stessi. Un grande atrio centrale illuminato da luce naturale farà da perno alla distribuzione a croce delle aule. È la prima volta che mi misuro con un’opera

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pubblica caratterizzata da sfide ingegneristiche così stimolanti, e questo giunge nella fase di maturazione all’interno del mio percorso professionale di architetto. Non mancherò di sviluppare e quindi mettere a frutto queste importanti esperienze, in occasione di future prove ancora all’estero oppure, perché no, un giorno in Italia, al mio ritorno.

10. Maquette in cartonlegno per il progetto del futuro Ginnasio a Aigle, scala 1:100 (foto: GRA). 11. Piano tipo della futura scuola elementare. 12. L’atrio, spazio centrale e cardine del futuro complesso scolastico (immagine: GRA). 13. L’ingresso principale della scuola nelle prime ore del mattino. (fotoinserimento: Camera Picta).

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Viaggio in provincia: asparagi, battaglie e capannoni

Dinamiche insediative, salti temporali e molte curiosità colte dal finestrino in questo vagabondaggio attraverso un brano del territorio veronese, alla ricerca di segni nel paesaggio costruito Testi: Luisella Zeri

Foto: Lorenzo Linthout

Arcole, Veronella, Belfiore

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Seguendo un percorso non lineare, con l’obiettivo di raccontare di volta in volta un brano della provincia, ci inoltriamo nell’est veronese nel territorio compreso fra Arcole, Veronella e Belfiore. Il nome di Arcole richiama subito alla memoria la celebre battaglia, ma «AV» non dà nulla per scontato e anzi parte dalla fine, ovvero dalla zona industriale in cui è insediata la sede italiana e l’area logistica di Lidl, multinazionale della grande distribuzione. Negli ultimi anni, grazie alla posizione geografica strategica rispetto alle principali arterie stradali e al basso prezzo delle aree – un prezzo da discount, è il caso di dirlo – il marchio germanico ha completamente occupato, pezzo dopo pezzo, un’ampia area alle porte del paese. Il profilo del paesaggio lungo la provinciale si caratterizza per la presenza di un imponente costruzione che accoglie gli uffici, affiancata da estesi parcheggi e da una vasta area logistica punteggiata da 909 buchi neri che definiscono le baie di carico. È innegabile la forte spinta occupazionale che l’azienda ha portato ad Arcole e

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ai paesi vicini, basti pensare che fra i tanti benefit l’azienda mette a disposizione dei suoi dipendenti un asilo nido aziendale all’avanguardia che accoglie fino a 120 bambini, ma ha anche influenzato la morfologia del paesaggio e la sua identità. Ne è espressione la veloce alternanza di rotonde, svincoli e raccordi, funzionali ai forti flussi di mezzi pesanti che ogni giorno smistano i prodotti del colosso della grande distribuzione in giro per l’Italia. Sullo sfondo, il paesaggio costruito vede una rapida alternanza di residenze, aree artigianali e produttive senza soluzione di continuità: e infatti quasi senza accorgercene ci troviamo nel centro del paese. Arrivati presso la piazza principale, ci immergiamo nella storia agricola e contadina del paese: l’attenzione è subito catturata dalla Barchessa Ottolini, composta da un lungo porticato che collega due edifici simmetrici, con dei bei mascheroni a fare capolino sulle chiave di volta degli archi. La struttura, fatta costruire nei primi decenni del Settecento dall’omonima famiglia, era funzionale al lavoro dei campi e

01. Il municipio di Arcole e la statua del leone alato che ricorda le principali economie agricole del paese. 02. Barchessa Ottolini, il retro dell’edificio con le superfetazioni aggiunte nel tempo. 03. L’edificio principale del centro LidI di Arcole che accoglie gli uffici della direzione generale italiana. 04. Barchessa Ottolini, il fronte principale recentemente restaurato.

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05. La facciata del Museo Napoleonico accolto all’interno dell’oratorio dedicato a Sant’Antonio da Padova. 06. L’obelisco napoleonico nei pressi del ponte sull’Alpone. 07. La struttura del centro giovanile di Arcole risalente agli anni Cinquanta.

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quindi pensata come rimessa per gli attrezzi agricoli, con le case dei contadini alle estremità, a completare, il complesso, la corte dominicale, sul cui brolo sorge ora la piazza. La facciata monumentale, oggetto di un recente intervento di recupero, conserva ancora nel piano arretrato del porticato i segni di un’altra epoca, tra serramenti in alluminio anodizzato e gli sguardi interrogativi di qualche abitante. Ma è solo l’anteprima di ciò che rivela il fronte posteriore della barchessa, dall’aspetto decadente e trasandato sul quale infieriscono superfetazioni d’ogni foggia. Il salto temporale con Arcole-Lidlandia è abissale. Poco più in là, una sala civica di recente costruzione si perde nell’anonimato di un’architettura con poco carattere, mentre lo sguardo viene catturato dal dismesso e cadente Cinema Corallo, ancora immerso nei pieni anni Cin-

quanta. La stessa piazza intitolata a Francesco Poggi, primo sindaco del paese, è frutto di un disegno astratto le cui linee si inseguono sul suolo tra elementi calligrafici poco comprensibili. Mentre è davanti al municipio in pieno stile Novecento, progettato nel 1937 dall’arch. Marino Padovani (cfr. «AV» 104, p. 85), che la didascalia si fa letterale: sotto le zampe della statua del leone alato posta sul davanti troviamo scritto “Arcole Terra dell’Asparago e del Vino”. Ecco dove siamo finiti! Ripresa l’auto, ci allontaniamo dalla piazza passando di fronte alla chiesa parrocchiale e al suo svettante campanile; l’attenzione è catturata però dal centro giovanile, un vero reperto degli anni Cinquanta, coi muri leggermente scrostati, l’insegna dipinta sulla facciata e una artigianale luminaria a forma di stella cometa pronta per essere

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accesa nei Natali a venire. Che dietro le tapparelle arancioni possa spuntare un energico Don Camillo, piuttosto che un televisivo Don Matteo? Ma le sorprese attraverso le quali ci conduce la macchina del tempo non sono finite. Arcole è infatti un luogo storico d’eccellenza per la battaglia condotta nella prima campagna d’Italia da Napoleone, al quale è dedicato uno spazio espositivo che racconta attraverso reperti e stampe d’epoca l’epopea e i momenti principali della vita di Bonaparte. Eccoci dunque di rimpetto al Museo Napoleonico, inaugurato nel 1984 all’interno di una chiesa sconsacrata e ampliato nel 2016, nato per volontà dell’architetto romano Gustavo Alberto Antonelli che trovò nella pro loco arcolese un grato ricevente della propria collezione. L’eredità napoleonica arricchisce il panorama culturale e di costume con periodiche rievocazioni storiche e con racconti e leggende che vogliono gran parte della toponomastica modificata proprio dal suo passaggio. Un esempio fra tutti è quello che riguarda la minuscola frazione di Desmontà, località di Veronella che prende il nome dal fatto, non verificato, che Bonaparte sia sceso da cavallo proprio lungo quella strada. Ma al di là dei voli di fantasia, vi sono luoghi che realmente testimoniano quelle battaglie. Nelle vicinanze del torrente Alpone si ammira ciò che rimane dell’antico castello di Arcole nell’Arco dei Croati, così chiamato perché i Croati austriaci vi stanziarono nei giorni della battaglia tra il 15 e 17 novembre 1796. Più in là sulle rive dell’Alpone, si trova l’obelisco napoleonico, un’imponente scultura realizzata in pietra rossa di Verona e completata da iscrizioni dorate, quattro grandi “N”, una stella e

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una corona imperiale. Questo è l’unico monumento originale in Italia di quell’epoca, e fu voluto da Bonaparte stesso nel 1810 per celebrare le battaglie di quei giorni. L’incontro con l’obelisco presso il ponte sull’Alpone ci avvia verso un altro capitolo importante della storia di questi luoghi, dove a raccontare il passare del tempo troviamo l’acqua e il riordino idrico realizzato tramite la bonifica Zerpana. Tale opera iniziò grazie al conte Marcantonio Sarego a partire dal XVI secolo ma si concretizzò effettivamente soltanto dalla

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08-09. Corti agricole abbadonate nelle campagne fra Arcole e Veronella. 10. Le strutture di gestione del nodo idraulico in località Chiavica di Zerpa.

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11-12. La villa dei conti Sarego a Veronella alla cui progettazione ha partecipato anche Andrea Palladio a metà del Cinquecento: la corte e i resti di un annesso sulla recinzione.

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fine del XIX quando effettivamente le paludi limacciose dei dintorni si trasformano gradatamente in campi fertili. Canali, fosse e argini attraversano la campagna, drenano e distribuiscono la sovrabbondanza di acque modificando il paesaggio come un vero e proprio segno grafico. Già in occasione di un precedente itinerario lungo il corso dell’Adige a sud della città (cfr. «AV» 127) avevamo notato le numerose costruzioni legate alla bonifica, alcune ancora pienamente in uso. Ma il territorio è punteggiato anche dalle grandi ville agricole. Su alcune il tempo ha lavorato inclemente e sui muri scrostati appaiono i cartelli di messa in vendita, altre sono state riconvertite a destinazioni differenti dall’originale per permetterne la conservazione, come nel caso di Villa Moneta Ruglotto a Belfiore dove le barchesse sono diventate in parte appartamenti di lusso. I casi più fortunati giacciono nel silenzio delle campagne come pietre parlanti della storia.

Fra queste ci siamo imbattuti nell’estesa Villa dei Conti Sarego detta della Cucca, nome antico di Veronella ove la villa è situata. La costruzione, che ancora alla fine del XX secolo costituiva un vero e proprio feudo, è in gran parte costruita sui resti di un castello medioevale a cui è addossato un edificio del 1700 che divide in due grandi cortili il complesso dei rustici formato da aie, barchesse, stalle e magazzini. Il nucleo originario cinquecentesco è stato recentemente riconosciuto come progetto di Andrea Palladio, grazie a elaborati conservati a Londra e all’Archivio di Stato di Venezia. La villa è riconoscibile per l’alto muro di cinta sormontato da un coronamento di merli che, giunto fino ad oggi, ha attirato la nostra attenzione per la sua lunghezza, che percorre quasi metà della strada principale del paese.

« A raccontare il passare del tempo troviamo l’acqua e il riordino idrico realizzato tramite la bonifica Zerpana » Dopo Veronella, nei pressi di Belfiore, torniamo simbolicamente all’inizio del racconto trovandoci di fronte a un altro mega edificio per la logistica della grande distribuzione. Questa è l’ultima tappa del nostro percorso, e la narrazione vede scorrere gli edifici dietro il finestrino in un rapido riassunto delle trasformazioni dell’ultimo secolo. Una volta qui era tutta campagna, ma la svalutazione del prezzo dei terreni dovuta a un progressivo abbandono dell’economia contadina ha spazzato via il paesaggio agrico-

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lo e condotto al rapido insediamento dell’industria e del terziario. Lungo la strada svettano gli edifici industriali: il mulino di Arcole, grande centro di produzione di farine e prodotti di macinazione, o ancora il fabbricato che ospita il consorzio ortofrutticolo di Belfiore, fondato per cercare di far sopravvivere le coltivazioni alle nuove spinte economiche del Novecento. Ma questa passeggiata nel suo procedere avanti e indietro nei secoli, come a bordo di una qualche capsula temporale, ci ha lasciato un insegnamento, che è quello di approfondire, cercare, farci raccontare, per poter svelare l’unicità dei luoghi sotto l’apparente appiattimento della “vita di provincia”. Il fabbricato destinato allo stoccaggio della frutta, che senza l’insegna potrebbe essere simile a mille altri, trasforma il paesaggio in un temporaneo e suggestivo skyline

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di cassette variopinte durante i periodi di raccolta, quando sul piazzale principale vengono impilati i contenitori carichi di prodotti. Il grande edificio logistico di Belfiore con il suo volume azzurro e bianco si mimetizza con i colori del cielo, quasi scomparendo all’orizzonte dietro i filari delle vigne. Il mulino di Arcole è uno stabilimento produttivo all’avanguardia riconvertito da un ex mangimificio alla fine degli anni Venti e recuperato da una – quasi – archeologia industriale. E allora, ecco che anche questo ultimo pezzo di racconto con i suoi grandi edifici, quasi fuori scala, trova un posto nella narrazione e diventa la parte necessaria a contestualizzare la storia degli ultimi anni che si dipana fra le pieghe della terra, dell’acqua e della storia, in attesa di aggiungere un altro pezzo negli anni a venire.

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13. Nel paesaggio agricolo emergono edifici contemporanei destinati alla logistica per la grande distribuzione. 14. Il mulino di Arcole, edificio industriale riconvertito da un ex mangimificio. 15. L’edificio che accoglie il consorzio ortofrutticolo di Belfiore alle porte del paese.

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PORTFOLIO: MONUMENTI INCONSAPEVOLI

Foto: Giuseppe De Berti

“Perché ho lavorato a questo progetto? Perché sono esteticamente belle da vedere? Forse. Per rendere merito a chi le ha fatte senza clamore e conferenze stampa? È possibile. Nessuno ormai si guarda più attorno e tanto meno alza lo sguardo… La gente è fatta così, usa la «vista corta» in un raggio estremamente circoscritto. Siamo assorti, siamo isolati, nulla ci scuote, tutto è normale e accettato come tale…”. Così Giuseppe de Berti racconta il suo ultimo progetto fotografico che riguarda i cantieri sorti come funghi in tutte le aree urbane, esito anche dei tanti bonus che assillano i professionisti, ma che nel loro insieme cambiano temporaneamente il volto della nostra città. E nessuno, forse, l’aveva notato. Un sudario temporaneo che Christo e JeanneClaude al confronto sarebbero impalliditi, per la loro estensione, il loro numero, il loro potere straniante. Ma allora, se solo lo sguardo sensibile può intercettare la grandezza di questi “monumenti inconsapevoli”, cosa di meglio che annerire il cielo, togliere azzurro e nuvole, per trasformarlo in una cappa incombente che da un lato ricorda i tempi di sofferenza e angoscia che stiamo vivendo, e dall’altro rende questi edifici masterpiece su un fondale di velluto prezioso? Un’operazione artistica a tutti gli effetti: “celare e riportare a nuova vita, nascondere dietro a un paravento e svelare il tutto una volta completato il lavoro”. (F.G.) Giuseppe de Berti, veronese di nascita, ha realizzato fotografie per l’arredamento e l’industria. È stato fotografo di scena e direttore della fotografia per Mediaset e La7. Quando non si occupa di fotografia commerciale, porta avanti progetti fotografici soprattutto in B/N, ma anche esperimenti di disegno e pittura. Ha partecipato alla 54° Biennale di Venezia nel 2011. www.giuseppedeberti.it

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LUCE FUORI | Outdoor light “LUCE FUORI” è la proposta Davide Groppi di soluzioni luminose outdoor pensate per interpretare l’intorno della casa come un’altra stanza della casa stessa. Sono luci delicate e smaterializzate, pensate per il giardino o il terrazzo. Lampade in cui semplicità, leggerezza, emozione, invenzione e stupore sono gli ingredienti fondamentali. Immaginiamo, da sempre, di portare la luce all’esterno con la stessa poetica e coerenza che adottiamo all’interno della casa. Ci piace pensare che si riconosca un pensiero, una verità di progetto. La luce artificiale non è solo visione, ma anche estetica, cioè conoscenza attraverso i sensi. Sono cinque i paradigmi che utilizziamo per portare la luce all’esterno. La luce delle finestre è il modo più semplice di utilizzare la luce all’esterno: è la luce che viene da dentro che talvolta può illuminare perfettamente l’intorno della casa. La luce delle soglie è un utilizzo simbolico della luce, per accogliere e congedare le persone sugli ingressi con una bellissima luce. La luce dei percorsi, ossia la luce come strumento per condurre le persone lungo i percorsi oppure scandire le gerarchie degli spazi e delle funzioni.

La luce come profondità, cioè la possibilità di utilizzare la luce per creare una visione tridimensionale dello spazio, ad esempio mettendo una luce sotto un albero là in fondo. La luce dell’incontro, incontrarsi in una serata di maggio intorno a un tavolo con una bellissima luce delicata è fantastico. Gli spazi esterni non hanno soffitto, hanno solo il cielo stellato, ed è per questo che abbiamo sviluppato nel tempo alcune soluzioni a batteria ricaricabile. Per noi la luce non è solo tecnica, ma prima di tutto significato.

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01. Origine outdoor, 2020: una luce dolce e avvolgente che come un germoglio parte dalla terra per arrivare al cielo. 02. Q2, 2006: un cubo di cemento di 17 cm di lato con proiettore incassato in una faccia. 03. Residenza in Franciacorta, 2020, arch. Marco Carini 04. Casa a Montalcino, 2015, arch. Marco Pignattai, int. designer Gerda Vossaert. 05. Bubka, 2014: una presenza fitomorfa in mezzo alla natura, un perfetto utensile per illuminare i percorsi. .

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01-02. Rampe e scale in corten a Castel San Pietro, Verona. 03. Le siepi in acciaio inox di Pino Castagna davanti al Teatro Ristori. 04. Strutture metalliche della casa sospesa a Borgo Salionze in cantiere.

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AV: TRA LE COSE CHE CONTANO

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