Architettiverona 98

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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

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L’ampliamento come gemmazione — Una lanterna tra i cipressi — Una contrada tra cittĂ e fiume — Tre passi oltre la soglia — Il Quartiere secondo San Marco — Loft in translation — Oltre il vuoto c’è di piĂš — Il ritorno di Paolo (Veronese detto il Caliari) — La mappa e il territorio — Cronache dalla Biennale — Itinerario: Lorenzo Rosa Fauzza a Verona.

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Immobili vincolati: la storia premia gli architetti Testo: Arnaldo Toffali

Salvo essere smentito da imminenti pronunciamenti o provvedimenti legislativi in corso – vedi l’editoriale del numero 96, “Gli incentivi per la progettazione urbanistica interna alle Amministrazioni pubbliche” negati dalla recente abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del Codice dei Contratti, nella conversione in legge del D.L. 90/2014 – ritengo utile riportare all’attenzione la recente circolare del Consiglio Nazionale Architetti PPC, n. 73 del 13 maggio 2014, avente ad oggetto “Competenze professionali degli architetti su immobili di interesse storico e artistico - Azioni a tutela della professione”. È innanzitutto opportuno ripercorrere i più recenti e significativi passaggi dell’articolato e complesso contenzioso in merito all’applicazione dell’art. 52 del Regio Decreto 23/10/1925 n. 2357 recante il regolamento per le professioni di ingegnere e architetto, il cui testo recita: “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica

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ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”. Fu proprio un ricorso proposto dall’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia contro il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e contro il Consiglio Nazionale Architetti PPC per l’annullamento del provvedimento con il quale la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Verona aveva stabilito di non esaminare i progetti di restauro di immobili di interesse artistico e storico, se non sottoscritti da un architetto, a riproporre il problema legato alla competenza esclusiva degli architetti relativamente alla progettazione e direzione dei lavori sugli

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immobili vincolati e sugli edifici di rilevante interesse artistico. Il Tar Lazio, con la sentenza n. 7997 del 17 ottobre 2011, ha respinto il ricorso presentato dall’Ordine degli Ingegneri di Verona, basandosi sulla normativa in vigore e su precedenti pronunce giurisprudenziali, stabilendo che, ai sensi del RD 2357/1925, gli interventi su un immobile di interesse artistico o sottoposto a vincolo storico-artistico competono solo agli architetti e non agli ingegneri. “Fanno invece eccezione le attività propriamente tecniche del lavoro di rilevanza artistica, che può essere compiuta indifferentemente da un architetto o da un ingegnere. Al contrario, lavori con rilevante carattere artistico spettano all’architetto”. Tra le motivazioni del ricorso, l’Ordine degli Ingegneri aveva denunciato anche la disparità di trattamento rispetto alla normativa comunitaria, che aveva equiparato la laurea in architettura a quella di ingegneria civile. In realtà, in tema di competenze professionali su immobili in ambito vincolato ex D.Lgs. 42/2004, la sentenza del TAR Veneto, sez. II, del 15 novembre 2007, n. 3630, aveva precedentemente stabilito che la disposizione dell’art. 52 del R.D. 2537/1925, sarebbe disapplicabile per contrasto con la normativa comunitaria.


Tuttavia, successivamente, la giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV Sez., 2434/2009; TAR Sardegna, 1559/2009) e lo stesso TAR Veneto (n. 3651/2008) hanno ritenuto legittimi gli atti di conferimento di incarichi di progettazione per il restauro di immobili aventi rilevante carattere artistico nonchè il restauro e il ripristino di edifici vincolati, risolvendo nel senso dell’esclusività della competenza degli architetti. Più recentemente, la sentenza del 17 gennaio 2011, n. 87, del Tar Sicilia, Catania, Sez. III, ha confermato che in base all’art. 52 del R.D. 2537/1925, sono riservate alla professione di architetto “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5239; Consiglio Stato, Sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2776), e che ogni intervento - seppure minimo - su un edificio esistente che presenti dei particolari aspetti architettonici, e che necessiti di particolari conoscenze tecniche idonee a preservare il complesso di dette caratteristiche architettoniche, è di competenza dell’architetto, e ciò non solo in ipotesi di beni sottoposti a vincolo, ma anche di quelli che, seppure non oggetto di uno specifico provvedimento, presentino un interesse storicoartistico (cfr. T.A.R. Veneto, Venezia, Sez. I, 28 giugno 1999, n. 1098; Sez. II, 28 gennaio 2005, n. 381)”. Con la sentenza della Corte di Giustizia CE C-111/12 del 21 febbraio 2013, è stato inoltre ritenuto che “sono escluse le competenze professionali degli ingegneri in merito a lavori riguardanti immobili di interesse storico e artistico se costoro sono in possesso di un diploma di ingegnere civile o di un titolo analogo rilasciato in uno Stato membro diverso dall’Italia, qualora tale titolo non sia menzionato negli elenchi della direttiva 85/384”, ribadendo la competenza degli architetti sulle opere vincolate. Che la riserva a favore degli architetti sugli interventi relativi a immobili storico-artistici

vincolati sia legittima e non determini alcuna discriminazione inversa in danno degli ingegneri civili italiani rispetto a quelli stranieri, è stata, come riporta la circolare del CNAPPC, “in via definitiva” affermata dal Consiglio di Stato, sezione sesta, con la pronuncia del 9 gennaio 2014. Il Consiglio di Stato è stato chiamato a decidere se, in applicazione dell’articolo 52 secondo comma, del R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925, in Italia vi sia una situazione di reverse discrimination fra ingegneri italiani e colleghi stranieri, in ragione della riserva ai soli architetti degli interventi su immobili storicoartistici vincolati, precisando anche gli “aspetti poco chiari contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia C-111/12 del 21 febbraio 2013”. In realtà la norma del 1925 riserva agli architetti non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico ma, come già ha chiarito il Consiglio di Stato, solo “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico”. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, nonostante il “pronunciamento definitivo” nel merito da parte del Consiglio di Stato, ha comunicato a tutti i propri Ordini che, “per contrastare tale sentenza, intende proseguire nelle iniziative a sostegno delle prerogative e degli interessi degli Ingegneri” garantendo l’assistenza ad adiuvandum in giudizio nel caso di impugnazioni da parte degli iscritti, dimostrando così un approccio alle competenze completamente diverso da quello auspicato. A fronte di tale atteggiamento e di eventuali impugnazioni da parte degli Ordini territoriali degli Ingegneri sull’argomento, il Consiglio Nazionale degli Architetti PPC garantirà a tutti gli Ordini degli Architetti PPC territoriali, il proprio supporto sotto forma di intervento ad adiuvandum, per contrastare le azioni giudiziarie eventualmente instaurate dagli Ingegneri.

Consiglio dell’ordine • Presidente Arnaldo Toffali • VicePresidente Nicola Brunelli • VicePresidente Paola Ravanello • Segretario Elena Patruno • Tesoriere Giovanni Mengalli • Consiglieri Marco Campolongo, Vittorio Cecchini, Laura De Stefano, Federico Ferrarini, Giancarlo Franchini, Daniel Mantovani, Raffaele Malvaso, Amedeo Margotto, Donatella Martelletto, Diego Martini

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progetto

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Immobili vincolati: la storia premia gli architetti di Arnaldo Toffali

Una contrada tra città e fiume di Nicola Brunelli

Il Quartiere secondo San Marco di Angela Lion

L’arte della “sprezzatura” di Valeriano Pastor

professione

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progetto

L’ampliamento come gemmazione di Nicola Tommasini

progetto

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PRogetto

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Per l’Arsenale: quale ricostruzione dopo il Ventennio di Alberto Vignolo

progetto

Una lanterna tra i cipressi di Nicola Tommasini

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Oltre il vuoto c’è di più di Michele De Mori

Loft in translation di Angela Lion

PROGETTo

editoriale

odeon

Tre passi oltre la soglia di Laura Pigozzi

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K&K: Kengo a Castelvecchio, Kuma in Lessinia di P. Altichieri Donella

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Il ritorno di Paolo (Veronese detto il Caliari) di Annalisa Levorato

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La mappa e il territorio di Angelo Bertolazzi

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Cronache dalla Biennale 1. Il pubblico elemento di Matilde Tessari


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odeon

Cronache dalla Biennale 2. I resti di un miracolo di Vera Leanza

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Ci metto La Face di Luisella Zeri

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona

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Montresor & Arduini a Bussolengo di Cecilia Pierobon

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Here comes the Sun di Giuseppe Di Bella

Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXII n. 3 • Luglio/Settembre 2014

Redazione Via Oberdan 3 — 37121 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 redazione@architettiveronaweb.it

Direttore responsabile Arnaldo Toffali

itinerario

Lorenzo Rosa Fauzza a Verona di Andrea Benasi e Alberto Vignolo

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Direttore Alberto Vignolo av@architettiveronaweb.it Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

diversearchitetture

“E se provassi a...?” di Dalila Mantovani

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territorio

Pare Tutto Come Prima: l’ultimo Piano provinciale? di Berto Bertaso

Distribuzione La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta agli indirizzi della redazione.

Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

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Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Verona Barbara Cattonar T. 338 898 8251 barbara.cattonar@promoprintverona.it

Redazione AV98 Andrea Benasi, Berto Bertaso, Angelo Bertolazzi, Ilaria De Aloe, Laura De Stefano, Giuseppe Di Bella, Annalisa Levorato, Angela Lion, Dalila Mantovani, Cecilia Pierobon, Laura Pigozzi, Francesca Rebesani, Nicola Tommasini, Luisella Zeri contributI Michele De Mori, Paola Altichieri Donella, Matilde Tessari, Vera Leanza, Valeriano Pastor TIPOgrafia AVFont, Helvetica Neue, Adobe Caslon, Courier New Fotografia Elena Brugnara, Cristina Lanaro, Lorenzo Linthout, Diego Martini, Michele Mascalzoni Si ringraziano P. Pietro Balestrero, Leonardo Clementi, Suor Clementina, Antonella Milani, Giovanni Rosa Fauzza, Anna Zorzanello

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Per l’Arsenale: quale ricostruzione dopo il Ventennio Nell’approssimarsi della simbolica ricorrenza della sua acquisizione, una perorazione per superare il perdurante stallo delle proposte progettuali

Da tempo attendiamo il momento opportuno per parlare dell’Arsenale di Verona, straordinario compendio militare absburgico destinato a ricoprire nuove funzioni urbane. Ma quel momento, in cui illustrare finalmente un progetto che segni l’agognato avvio del suo recupero, in realtà non è arrivato, anzi non sembra nemmeno essere prossimo, a meno di improvvise novità. Di contro, il prossimo primo giugno 2015 ricorreranno giusto vent’anni dal passaggio dell’intero complesso dall’amministrazione militare a quella cittadina. Le cronache di quei giorni raccontavano con il giusto entusiasmo il passaggio di consegne, foriero di grandi aspettative per quello che si sarebbe potuto fare dei grandi spazi acquisiti al patrimonio della cittadinanza. E invece... Nelle italiche sorti, il termine “Ventennio” ha assunto forzatamente un carattere sinistro: è divenuto sinonimo di vergogna, di una storia andata a finire male, di speranze mal riposte. Duole ravvisare l’appropriatezza di tali sfumature di significato in merito al Ventennio di inazione per l’Arsenale: certo non una bella pagina di storia per Verona. Quale ruolo per l’architettura, in questa vicenda? Certo non avrebbe senso pensare al potere salvifico di un

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progetto, o meglio di un progettistademiurgo, capace di sciogliere con un sol gesto – rigorosamente griffato – i tanti nodi in campo. Così come appare altrettanto parziale l’eccessiva semplificazione di un approccio bottom up, con pregi e limiti uguali e contrari di quello top down. In questi lunghi anni sono state condotte le migliori ricerche storiche e tesi di laurea a non finire, a un concorso azzoppato hanno fatto seguito proposte di uso di tutti i tipi, da quelli monofunzionali allo spezzatino spinto, dal tutto-pubblico al tutto-privato. Abbiamo letto infiniti annunci, articoli, proclami, appelli. Abbiamo visto all’opera sia estrosi solisti che compagnie ben organizzate, ma purtroppo nessuna direzione d’orchestra, senza la quale ogni eccellenza musicale diviene cacofonia. Abbiamo visto e vediamo i tetti crollare, l’umidità risalire sui muri, i conci di tufo sfaldarsi, l’avanzamento inesorabile delle infestanti. Abbiamo bevuto alle feste della birra e mangiato alle sagre della polenta, visitando mostre di serpenti e di antichi strumenti di tortura. Solo per questo l’Arsenale è stato acquisito dalla città? L’occasione dell’anniversario da non festeggiare – il Ventennio della vergogna – può e deve essere

Testo: Alberto Vignolo

Foto: Lorenzo Linthout

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il punto di svolta della vicenda. Prima di mettere in campo nuove soluzioni progettuali, per le quali non mancano ottime risorse sia locali che esterne (anche tra le molte già coinvolte), occorre che la città sappia esprimere una volontà chiara e determinata, attraverso i suoi organi di rappresentanza a tutti i livelli (civili, amministrativi, associativi, culturali, professionali). Occorre chiarire il ruolo della cittadella-Arsenale, assecondando alcune richieste ma necessariamente non tutte, ripensando al significato urbano di questo complesso e alle sue potenzialità straordinarie per dimensione, posizione e rango nel

sistema cittadino, non riducendolo a una banale attrezzatura di quartiere. Occorre che le arti del progetto si facciano sensibili, affinando le mire e le tecniche, di modo che, pur nella attuale ristrettezza di mezzi, la speranza e la volontà di riscatto possano dispiegarsi (come avvenne dopo quell’altro tragico Ventennio), mettendo benzina sul fuoco dei progetti e sciogliendo le briglie alle procedure. Occorre, prima di mettere mano alla ricostruzione fisica – purtroppo necessaria – di molte sue parti, ricostruire il senso civile e morale di una operazione simbolicamente cruciale per la città.

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01-05. Alcune vedute di un vasto repertorio iconografico relativo all’Arsenale, assurto oramai a palestra délabré per fotografi e studiosi del degrado architettonico.

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PROGETTO

L’ampliamento come gemmazione

Due progetti paralleli, cresciuti nel tempo e accomunati dal tema, dall’area geografica e dai materiali: quelli da costruzione e, prima ancora, quelli del progetto

Progetto: arch. Nicola Gasperini Testo: Nicola Tommasini

Cerro Veronese

Foto: Cristina Lanaro

Stallavena

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01. Cerro: la successione dei tre blocchi edilizi con in primo piano l’ampliamento. 02, 03. Disegni di studio per il nuovo volume. 04. La zona di ingresso al garage al piano interrato. 05. Particolare della compenetrazione del corpo semicircolare dell’ampliamento.

nicola gasperini (Verona, 1961) Laureato in Architettura al Politecnico di Milano, dal 1996 è titolare di uno studio di architettura, dove collabora con Giovanni Ferrarese e Cristina Rizzo. Si occupa di progettazione, recupero e ristrutturazione, arredamento degli interni e design del mobile. è responsabile dell’area progettazione e allestimenti del Festival Internazionale dei Giochi in strada “Tocatì”. Dal 2002 al 2008 è stato professore a contratto di Progettazione Architettonica al Politecnico di Milano, Polo regionale di Mantova.

I due progetti dell’architetto Nicola Gasperini che illustriamo in queste pagine presentano molte chiavi di lettura comuni, e appartengono a quella categoria di intervento – l’ampliamento di un edificio esistente – oggi piuttosto frequente nella nostra professione, attuato però con modalità particolarmente interessanti e che nascono, anche, da una ricerca sul senso stesso del concetto di ampliamento e di crescita di un organismo edilizio. Comuni, tra i due progetti, sono anche la storia e i tempi di attuazione: entrambi sviluppano ampliamenti di ville unifamiliari, circondate da ampi giardini che ne hanno favorito, guidato e condizionato la “crescita”. Sono localizzati rispettivamente a Stallavena di Grezzana e a Cerro Veronese, in luoghi quindi geograficamente molto

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vicini, ma, allo stesso tempo – e inevitabilemente, vista la topografia, la storia e l’altitudine dei luoghi – anche chiaramente diversi e particolari. Entrambe le realizzazioni sono poi frutto di progetti e interventi attuati per fasi e dilungatisi dal 1994 al 2009. Il lavoro dei progettisti è partito poi anche dal restyling delle abitazioni esistenti, fuse assieme con varie modalità e declinazioni – come vedremo – negli spazi dell’ampliamento.

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PROGETTO

Ampliamento come gemmazione

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CERRO VERONESE

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06. Il vano della scala all’interrato in aderenza alla casa preesistente. 07. Studi planimetrici dell’intervento. 08. L’ampliamento visto dal giardino

L’intervento di Cerro Veronese ha interessato un’abitazione costruita negli anni ‘70, che presentava le comuni caratteristiche delle case per abitazione costruite in Lessinia nel periodo: prevalenza dei pieni sui vuoti, masse murarie che disegnano volumi edilizi semplici e chiusi da tetti a falde, utilizzo di materiali di rivestimento locali come intonaco e pietra della Lessinia. La costruzione sorge su un declivio piuttosto dolce e si attesta parallelamente al pendio della montagna seguendone in pianta l’andamento con la leggera rotazione relativa dei due blocchi della quale è composta. La prima scelta di progetto è partita forse recependo questa modalità di insediamento nel terreno, con la “gemmazione” del nuovo volume (che contiene una piscina e spazi wellness)

ad accrescere e completare, verso ovest, la successione dei due blocchi edilizi originari. La scelta insediativa non è banale perché, se è vero che stringe e comprime lo spazio del giardino nei pressi del nuovo volume, allo stesso tempo accresce la dilatazione dello spazio verde verso sud in una sorta di cavea naturale davanti ai volumi esistenti. Il nuovo volume a ovest è interessante principalmente per due aspetti: si insedia in maniera delicata e rispettosa dell’esistente (perché, nella parte litica, si mantiene non più alta dello zoccolo in pietra della casa esistente, inalterandone i rapporti ed accordandosi cromaticamente con la parte basamentale) e per il fatto che allo stesso tempo ribalta, linguisticamente, la composizione costruttiva esistente. La nuova gemmazione non è infatti, come l’originario, un volume pieno e scavato, ma è composizione di elementi discreti: i setti in pietra che

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sorreggono la curiosa copertura in ferro e legno (ancora in accordo coi materiali e il contesto) e che racchiudono lo spazio interno chiuso a sud da una inedita parete in vetro. Questa modalità di costruire non per sottrazione o scavo, ma per composizione di parti, è ancora più evidente nell’attacco con l’esistente sul lato nord, con i due setti – quello dritto e quello ricurvo che penetra nello spazio interno – che programmaticamente non si chiudono mai in un angolo, ma antepongono sempre tra loro uno spazio vuoto, un distacco.

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09, 10. Vedute interne della piscina e della zona wellness. 11. Dettaglio architettonico della copertura. 12, 13. Studio volumetrico e in pianta per l’area piscina-wellness.

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PROGETTO

Ampliamento come gemmazione

14-17. Architettura degli interni della casa preesistente: bagno padronale, la scala di accesso al primo piano dallo sbarco e dall’ingresso, il soggiorno con il camino. 18. Schizzi di studio per elementi di arredo fisso.

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STALLAVENA

La casa di Stallavena di Grezzana è un progetto più complesso e articolato. Sorge all’interno di un giardino di grandi dimensioni reso, dall’esterno, molto più impenetrabile. Il terreno presenta un leggera pendenza con una balza proprio nel punto in cui la villa preesistente viene unita con l’ampliamento, ad una quota inferiore. L’edificio esistente è composto da un volume ad L, a due livelli. L’ampliamento, con un atteggiamento in parte diverso rispetto a quanto visto a Cerro, diviene dimensionalmente più importante, tanto da poter “competere”, sul piano del peso visivo, con la casa esistente. E la strategia di progetto va proprio nella direzione di rendere, da fuori, il nuovo come formalmente e matericamente autonomo, punto finale di una composizione spaziale che, partendo dalla parte esistente a nord, dispone, sul tappeto verde del parco, i diversi volumi in successione, via via sempre più ricchi, articolati, disomogenei ed aperti. Rispetto a Cerro, il progetto si fa anche per citazione, con l’espansione che richiama la villa Malaparte a Capri: qui la gradonata, con l’espansione del volume verso l’esterno, diviene lo strumento attraverso cui staccare visivamente il nuovo dall’esistente. L’autonomia del nuovo diventa chiara anche in pianta con il movimento di rotazione impresso al volume, ad indicare, con una nuova e propria giacitura, la propria singolarità e autonomia. Anche la composizione costruttiva e materica, come a Cerro, mira all’individualità del nuovo. Il grande volume a gradoni è rivestito in sottili lamelle di legno, e poggia sui grandi setti in pietra rosa della Lessinia che concor-

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rono a creare, al piano inferiore, uno spazio (la nuova zona giorno) davvero interessante: un portico (delimitato dalle grandi pareti in vetro che hanno però il solo scopo di isolare termicamente e non di chiudere lo spazio) in continuità con l’esterno ed il giardino, vero fondale di queste stanze. è da qui che comincia una sorta di percorso labirintico, fluido e continuo, che penetra sotto il volume in legno e si moltiplica in diverse ramificazioni in un susseguirsi di incessanti variazioni, scarti, di soglie mai nette ma dinamiche, lente, come un paesaggio che cambia centimetro dopo centimetro. Si può ad esempio raggiungere al livello superiore lo studio (aperto a sud sul verde), da dove poi riuscire fuori in un micro giardino pensile. Al contrario si può raggiungere una zona fitness che riemerge, dopo una serie di gradonate interne, a nord, in un ulteriore micro giardino. Si può infine, sempre dal “portico”, raggiungere l’interno dello spazio a gradoni (con la piscina) oppure ritornare al livello superiore e raggiungere gli spazi della casa esistente.

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19. Stallavena: veduta d’insieme dell’intervento. Sulla sinistra il volume dell’ampliamento. 20,21. Disegni di studio del nuovo volume gradonato.

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Ampliamento come gemmazione

PROGETTO

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22. La sala da pranzo nella casa preesistente. 23. Infilata al piano della taverna verso il giardino. 24. Studio per il fronte verso il giardino. 25, 26. Veduta fotografica e schizzo di studio del nodo scala sospesa-blocco servizi al piano della taverna. 27. Pianta del gruppo servizi-wellness tra taverna e area palestra. 23

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28. La piscina coperta all’interno del nuovo volume. 29. Disegno per la parete-contenitore-porta reversibile visibile nella foto in basso. 30, 31. Il passaggio vetrato tra la casa esistente e l’ampliamento visto dall’interno e dall’esterno.

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Casa Malaparte non è la sola fonte per il progetto di Stallavena, ma sono evidenti, come a Cerro, sia la lezione scarpiana (nell’uso dei materiali) o di Umberto Riva (negli interni di Stallavena, ad esempio), sia della villa Mairea di Aalto (nel rifiuto di qualsiasi modularità e serialità). Entrambi i progetti – al di là delle concretizzazioni singolari e particolari dei diversi spazi o dell’uso dei diversi materiali – lanciano, sotto traccia, interessanti spunti e occasioni di riflessione sulle modalità di approccio rispetto a due temi fondamentali: il rapporto vecchio-nuovo e la ricerca della modalità di crescita del corpo edilizio. E la riuscita di esperienze come quelle appena descritte sta forse nell’aver saputo cogliere la necessarietà dell’indipendenza e dell’autonomia del nuovo, senza essere cieca indifferenza ma, prima di tutto, occasione anche di risignificazione del vecchio.

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PROGETTO

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32, 33. Pianta del livello superiore e inferiore. 34. Attacco a terra nel giardino ribassato del nuovo volume (foto N. Gasperini). 35. Il tetto verde a gradoni dell’ampliamento.

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Committenti Privati Progetto architettonico arch. Nicola Gasperini con arch. Giovanni Ferrarese, arch. Cristina Rizzo (1994 / 1996 Stallavena, 1996 / 1998 Cerro) direzione lavori arch. Giovanni Ferrarese Consulenti Progetto strutture: ing. Mauro Zanconato Progetto impianti: ing. Alberto Signorini Cronologia Stallavena: 1994 / 1996 ristrutturazione 2006 / 2009 ampliamento Cerro: 1996 / 1998 ristrutturazione 2000 / 2001 ristrutturazione 2007 / 2009 ampliamento Dati dimensionali Stallavena: volume interrato 1120 mc volume fuori terra 311 mc Cerro: volume interrato 477 mc volume fuori terra 194 mc imprese Opere edili: Melotti Renato Opere in ferro: Luca Bianchi, Marino Carcereri, Davide Simone, Francesco Zanini Opere in legno: Giorgio Perini, Leo Santi

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PROGETTO

Una lanterna tra i cipressi

L’ampliamento di un edificio residenziale si proietta dal fabbricato esistente verso il giardino alla ricerca della luce del giorno, diventando nell’oscurità una grande lampada abitata

Progetto: arch. Orlando Lanza Testo: Nicola Tommasini Foto: Lorenzo Linthout

Negrar

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Il progetto dell’ampliamento di “casa Riccardo” (Riccardo è il nome del nuovo arrivato nella famiglia dell’architetto Orlando Lanza, progettista) nasce dalla necessità di fornire all’abitazione esistente nuovi spazi interni, quasi a seguire, in termini ideali, la crescita del nucleo familiare. Il tema, come già visto nelle esperienze di Cerro Veronese e Stallavena con i progetti di Nicola Gasperini, è appunto quello della ricerca sulle modalità e sui termini di crescita e sviluppo degli edifici, al di là degli espedienti normativi necessari allo scopo (vedi Piano Casa). Siamo nella frazione Valfiorita, nel territorio comunale di Negrar, all’interno di un territorio posto a margine del paesaggio agrario e boscato, ma oggi completamente saturato da un tessuto edilizio consolidato sviluppatosi a partire dalla fine degli anni ‘70 e fatto di abitazioni signorili (ville singole o bifamiliari) o di villette a schiera immerse in un’area verde parcellizzata in giardini privati. L’elemento più interessante della casa esistente è forse la fitta e ricca vegetazione che negli ultimi trent’anni è cresciuta fino a saturare gli spazi del giardino attorno alla casa, sorta – paradossalmente – sull’area di un’ex cava e quindi in origine particolarmente spoglia. Curioso notare allora come, nelle modalità di crescita ricercate dal progettista, il rapporto con il

za, risolto da diverse balze. L’unità oggetto di ampliamento è quella posta più in basso, con un fronte a mattino addossato al pendio e con la possibilità quindi di ampliamento e di prendere luce solo da ovest, verso il giardino. è proprio da questa criticità che parte il progetto, e quindi dallo studio di come, da una parte, relazionarsi al giardino e alla luce del tramonto, dall’altro garantire ugualmente la corretta illuminazione degli spazi più interni, finiti in secondo piano. Il progetto risolve il problema con un colpo solo: at-

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(Bolzano, 1964) Si laurea nel 1992 in architettura allo IUAV. Dal 1992 al 1999 vive a Berlino lavorando alla progettazione esecutiva di edifici residenziali e uffici. Cofondatore del gruppo interdisciplinare paeSEsaggio workgroup, con il quale dal 2002 al 2008 esegue numerosi progetti tra architettura, arte e paesaggio. Dal 2001 condivide la libera professione con l’arch. Cristina Rizzo, occupandosi di progetti per la residenza e il terziario, ristrutturazioni, allestimenti e arredi. Dal 2009 al 2012 lavora presso il CdR Progettazione Urbanistica e Qualità Urbana del Comune di Verona.

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01, 02. Viste di giorno e di notte della “lanterna”. 03. Le mensole che reggono l’aggetto della struttura in ampliamento, in consonanza geometrica con l’architettura vegetale del luogo.

« Un progetto di ampliamento riuscito nell’intento di ri-significare un’intera abitazione, la sua storia, i suoi interni, il suo rapporto con il terreno, la luce e il verde » giardino sia ribaltato rispetto al passato: prima era forse la casa che, con la sua “fondazione” ha dato origine allo sviluppo del giardino e oggi, al contrario, sono le piante che hanno guidato e indirizzato la direzione di crescita del nuovo corpo. L’abitazione esistente presenta caratteristiche formali tipiche di un linguaggio anni ‘70, ma abbastanza anonime. è composta da due unità disposte su due livelli e su di un terreno in forte penden-

orlando lanza

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04. Sezioni trasversali della parte in ampliamento dell’edificio. 05. Pianta a livello della zona giorno. 06. Il nuovo percorso di accesso pedonale alla casa.

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traverso la realizzazione di uno spazio molto aper- struzione come scatola muraria. I nuovi spazi octo e vetrato – la “lanterna” – agganciato alla casa cupano il vecchio portico esistente e si proiettano a sbalzo sul pendio e caratterizzato, in sezione, da a sbalzo, poggiando su costoloni che nascono dal una copertura a falde ribaltata, con il compluvio al piano seminterrato, senza occupare nuovo suolo. centro e le due falde rivolte simmetricamente verso La giacitura subisce, per effetto anche della voil nuovo e verso l’esistenlontà di carpire più luce te. La sezione è la vera possibile e di rivolgersi « Emerge in maniera molto forte arma di questo progetto, ai cipressi, una leggera la volontà di assonanza con capace di innescare, perrotazione/deformazione il materiale grezzo e vivo, correndo la zona giorno rispetto all’esistente. La verso il nuovo ampliacon il segno del lavoro artigianale, leggerezza della nuova mento, un gioco di comstruttura rispetto al piadella mano e del tempo » pressione e dilatazione no seminterrato, da cui che “apre” lo spazio del sembra trarre origine, è nuovo soggiorno verso il giardino, i suoi cipressi e ben chiarita dalla scelta di chiudere lo spazio con oltre versoil paesaggio circostante. ampie vetrate e con una parete di tamponamento Dal punto di vista compositivo, poi, il progetti- rivestita in legno passato a fiamma e integrata da sta ha cercato di rendere evidente e formalmente un pannello d’oscuro scorrevole. Il piano sottostanautonomo il nuovo corpo, anche dal punto di vi- te, al contrario, è reso fortemente materico, terroso, sta tettonico, allontanandosi cioè dall’idea di co- grazie a un rivestimento in pannelli di sughero to07. Riccardo, orgoglioso della “sua” casa, campeggia nel soggiorno. 08. Particolare dei pannelli di rivestimento in legno passato a fiamma.

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Committente Privato Progetto e direzione lavori arch. Orlando Lanza Consulenti Progetto strutture: ing. Mariano Ghiotto Progetto impianti: ing. Alberto Signorini Cronologia Progetto e realizzazione: 2011 / 2014 imprese Opere edili: Melotti Renato Serramenti: Officine Ghin Intonaci: Agata di Dal Prete Osvado & C. Rivestimenti in legno: Falegnameria Santi L. Opere in ferro: Boscaini Luciano Impianto termo-sanitario: Termospecial Avesani Impianto elettrico: Bazzoni Impianti Rivestimenti in marmo: Kouros Arredi in legno: falegnameria Rupiani


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09. La “lanterna” nella semi oscurità. 10, 11. Riflessi degli spazi interni ed esterni nel nuovo bagno. 12. La nuova libreria realizzata in acciaio e legno di recupero. 13. Armadio con l’anta recuperata da un pianale di lavoro di marmisti.

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stato auto-espanso lasciato a vista, quasi fosse una sezione verticale del terreno. è forte il legame con la terra anche nel percorso di accesso, sul pendio a sud-ovest, che passa da una rampa in cemento (con ossidi di ferro) a una scala leggera in lamiera di ferro ossidato, per arrivare a una piccola serra captante che media l’ingresso all’abitazione. All’interno gli spazi dell’esistente e del nuovo sono fusi, senza stacchi netti o soglie. Emerge in maniera molto forte, nell’interazione con l’arredo fisso, la volontà di assonanza con il materiale grezzo e vivo, con il segno del lavoro artigianale, della mano e del tempo. Lo si vede ad esempio nella grande libreria/divisorio, un intricato gioco di piastre in ferro ossidato e montanti in legno grezzo, di recupero, oppure nell’anta dell’armadio recuperata da un pianale di lavoro consunto dai passaggi della sega di un laboratorio di marmisti. Anche nella scelta e nella sperimentazione dei materiali di rivestimento degli interni (interessanti le pigmentazioni date in

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pasta negli intonaci) emerge il gusto per la materia grezza, autentica. E il risultato sono interni che non possono che essere “ricchi”, di segni unici e irripetibili e mai modulari, di particolari singolari, risultato di un’incessante e minuziosa attività di disegno che forse ha, come riferimenti, sia la lezione scarpiana sia il mondo di un lavoro artigiano che rifiuta la standardizzazione. Ciò che emerge dal progetto di questa casa non è solo l’interessante esercizio del disegno di uno spazio domestico, senza dubbio riuscito nel suo “orientarsi” al paesaggio e alla luce, ma anche e soprattutto un’occasione, sfruttata appieno, di come con un progetto di ampliamento si possa anche riuscire nell’intento di ri-significare un’intera abitazione, la sua storia, i suoi interni, il suo rapporto con il terreno, la luce e il verde, il suo equilibrio di interno ed esterno.

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Una contrada tra città e fiume

Una coraggiosa e lungimirante operazione di riordino urbano dà luogo a un intervento incentrato su un nuovo spazio pubblico aperto, fulcro dell’intero progetto

Progetto: arch. Damiano Zerman Testo: Nicola Brunelli

Foto: Giampietro Rinaldi

Legnago

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Osservandolo dal percorso pedonale sull’alta sponda dell’Adige, l’intervento realizzato dall’architetto Zerman appare senza dubbio ben calibrato e ben inserito nel contesto urbano di cui è divenuto parte integrante, contribuendo in maniera determinante a ristabilire la giusta relazione formale tra l’edificato e l’imponente argine in mattoni del fiume: un rapporto peraltro compromesso da alcuni recenti interventi edilizi limitrofi che, con forme malamente frastagliate, ne avversano erroneamente il rigore formale. Esito di una coraggiosa e lungimirante operazione di riordino urbano, il complesso “Contrada delle Monache” comprende residenze e uffici, ma anche al piano terra alcuni spazi commerciali e un ristorante. Ci troviamo a Legnago, nel suggestivo luogo di confine tra la città e il fiume definito

to, si dimostra infatti una scelta insediativa brillante che valorizza questa porzione del tessuto cittadino. La realizzazione di questo spazio aperto e accessibile infatti, risulta fondamentale per l’arricchimento non solo urbano e architettonico, ma anche sociale dei luoghi. La piazza è indubbiamente un luogo interessante, caratterizzato da un linguaggio chiaro ed essenziale, ottenuto con l’inserimento di pochi elementi: la fontana a sfioro su due livelli, di forma ottagonale e orientata secondo i punti cardinali; un prato semi circolare delimitato da una possente lama in ferro al cui interno prende forma una sorta di esedra naturale, composta da quattro olivi secolari, utili nei mesi estivi per ombreggiare le vicine panchine e, infine, una semplice pavimentazione in pietra bianca e porfido. Oltre la piazza, sul lotto di forma

« La realizzazione della piazzetta risulta fondamentale per l’arricchimento non solo urbano e architettonico, ma anche sociale dei luoghi » “Passeggio” (attuale via della Repubblica), ampia e frequentata via che segue l’andamento del fiume, all’ombra dei possenti argini che la sovrastano abbondantemente, in altezza, e dove in passato si affacciavano palazzi signorili. Il progettista, accortamente, ha dapprima risolto i nodi urbani che il luogo presentava, tramite l’uso razionale di nuove forme planimetriche che ridisegnano il lotto e individuano uno spazio pubblico. La raccolta piazzetta che si apre sul “Passeggio”, delimitata dalle sagome degli edifici di proget-

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01, 02. Campo e controcampo, diurno e notturno, dello spazio pubblico su cui è incentrato l’intervento di riordino urbano. 03. La fontana ottagonale nella corte in una veduta dall’alto.

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damiano zerman Damiano Zerman nasce a Verona nel 1971, si laurea presso lo IUAV nel 2000. Vive e svolge l’attività professionale da libero professionista a Verona, dove ha collaborato per molti anni con l’architetto Giuseppe Tommasi. Si occupa di progettazione architettonica in ambito residenziale e industriale, inoltre cura vari recuperi di edifici storici. www.studioathesis.it 03

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Committente DMD s.r.l. Progetto architettonico Studio Athesis arch. Damiano Zerman con Dario De Grandis COLLABORATORI Alessandro Merigo Gianpietro Rinaldi PRIMO PIANO DI RECUPERO arch. Roberto Facincani COnsulenti strutture: ing. Giampiero Marchetti imp. elettrici: p.i. Mirco Mattioli imp. meccanici: ing. Loris Bisighin

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direz. lavori e sicurezza ing. Davide Osanni direzione cantiere: Paolo Osanni pratiche catastali e rilievi topografici: geom. Marco Migliorini

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04. La corte nel risvolto d’angolo mostra la continuità della cortina edilizia e le variazioni sul tema (i balconi). 05. Prospetto sul vicolo pedonale. 06, 07. Elementi architettonici binati: le cornici lapidee delle finestre e i puntoni metallici che reggono lo sbalzo della copertura dell’edificio del ristorante.

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rettangolare, si elevano due edifici di quattro piani fuori terra ciascuno, il cui impianto planimetrico dà origine ad una forma a T asimmetrica, che intersecandosi a sua volta con un edificio a doppia altezza, diviene una sorta di H irregolare. Gli edifici mostrano nell’impianto planimetrico, ma soprattutto nella composizione dei prospetti, una pulizia formale e un rigore geometrico che stabiliscono eccellenti legami gerarchici tra i vari elementi che compongono l’insieme architettonico. Il fabbricato principale si conclude con tre facciate di testa simili, ma non uguali; esse differiscono infatti

tra loro per importanza e ruolo urbano. Il fronte che si affaccia sull’argine si smaterializza verso l’alto grazie al progressivo aumento delle forometrie, generando uno stretto dialogo con il fiume; il fronte prospiciente il vicolo pedonale si mostra invece imponente, tanto da distogliere l’attenzione dall’anonimo intorno. Infine il terzo fronte, più severo e chiuso, rappresenta un evidente segno di distinzione nei confronti degli edifici limitrofi, con i quali volutamente non stabilisce alcun rapporto formale o funzionale. I prospetti laterali sono scanditi da proporzionati spazi vuoti che formano delle eleganti logge, che, gra-

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imprese esecutrici Osanni S.a.s. (impresa generale), Fdm energie s.r.l. (imp. elettrici), I.T.S. F.lli Manzani (imp. idraulici), Silvio Sbambato (opere in ferro), Uniform (serramenti) dati dimensionali Sup. lotto: 3400 mq Sup. coperta: 1600 mq Volume: 18000 mc Cronologia Progetto: 2011/2012 Realizzazione: 2012/2013


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zie anche al gioco di luci e ombre che te alleggerita dalla dinamica presenza generano, movimentano e scandisco- delle ombre generate dalle riseghe ilno il ritmo di una composizione di luminate dal sole. La soprastante cofacciata molto ordinata e altrimenti pertura in rame ha una sezione simtroppo statica. metrica, originata dall’intersezione Al piano terra il prospetto è caratte- geometrica di due ellissi. rizzato dal bugnato in pietra serena, Le facciate dei corpi più bassi non interrotto solamente dalla presenza hanno parti sfondate, ma il dinamidelle ampie vetrate dei negozi. smo del prospetto è comunque garanIn questi prospetti, dove regnano so- tito dalla presenza di alcuni volumi vrani l’ordine e la simmetria, non vi in aggetto, come i bow-window del è alcun legame tra le scansioni delle ristorante sul lato piazza e la grande vetrate del piano vetrata posta sul terra ed il ritmo lato opposto che delle finestre dei guarda sul perpiani soprastancorso pedonale. ti, sicuramente Per l’equilibrio « La cura del dettaglio è per palesarne la dell’intero comricercata ma non è mai fine diversità di funplesso, l’edificio a se stessa o maniacale... a due piani fuori zione, ma anche chiaro riferimen- il progetto è caratterizzato terra che ospita to alla classica il ristorante riveper l’eleganza di una tripartizione baste una notevole classicità rivisitata con samento-corpoimportanza: esso canoni moderni » coronamento. infatti delimita Nella composila piazza con un zione degli alzati prospetto caratteviene posta partirizzato dalla precolare attenzione senza cadenzata ai dettagli formali degli elementi ar- di puntoni metallici binati, che sorchitettonici utilizzati, come dimostra reggono la pronunciata gronda della visibilmente il disegno degli elementi copertura curva e sottile, anch’essa in lapidei che contornano le finestre, evi- rame. La stessa cura del dettaglio che dente rivisitazione moderna delle raf- caratterizza l’intero complesso è stata finate cornici dei palazzi del passato. riservata dall’arch. Zerman all’alleTale cura del dettaglio è ricercata, ma stimento interno del ristorante. non è mai fine a se stessa o maniacale Oltrepassato l’ingresso vetrato, il vie, come note in uno spartito musicale, sitatore è accolto dal bancone in cali diversi elementi architettonici uti- cestruzzo, presenza scenografica che lizzati, insieme formano una armonia cattura l’attenzione e accompagna sinfonica chiara ed efficace, che carat- lo sguardo sulla cucina a vista, olterizza il progetto per la pulizia for- tre la vetrata che la separa dalla sala male e per l’eleganza di una classicità da pranzo. L’elegante contrasto tra il rivisitata con canoni moderni. L’im- nero dei pavimenti in ardesia e delle magine del cornicione-gronda con pareti e il bianco del soffitto raggiuncui terminano i prospetti laterali de- ge il massimo di raffinatezza al piano gli edifici più alti, è intelligentemen- superiore, grazie anche alla luce ben

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calibrata dei lampadari. Particolarmente suggestiva risulta il “recinto”, dove le “pietre sacre” sono state sostituite da elementi verticali in calcestruzzo lavato, di scarpiana memoria. Alla scala urbana, le tre piccole case a schiera poste sul lato opposto al fiume, che completano l’intervento, mostrano correttamente una architettura più misurata e introversa.

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08. Schema compositivo della sezione, con evidenziati i rapporti geometrici. 09. Planimetria generale dell’intervento alla quota dei piani terreni. 10, 11. Nella vista generale e in quella ravvicinata, gli elementi di dettaglio delle facciate ne rivelano la cura formale. 12. In una veduta notturna, sul fondo l’argine in mattoni del fiume Adige, che rappresenta idealmente il “quarto lato” della corte.


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13, 14. Interni del ristorante al piano terra e al piano primo, con il “recinto” in calcestruzzo lavato. 15. L’intervento nel contesto urbano, in una ripresa fotografica dall’altra sponda dell’Adige.

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Tre passi oltre la soglia

Una ricognizione sul tema dell’ingresso, condotta nel passaggio da una dimensione privata dello spazio a una semi-pubblica, per giungere a un uso collettivo

Progetto 1: arch. Orlando Lanza, arch. Cristina Rizzo

Progetto 2: arch. Saverio Antonini, arch. Marco Buonadonna Progetto 3: arch. Mario Bellavite - Arcade Testo: Laura Pigozzi

Verona

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01. Il cancello della villa: effetto “filtro visivo”. 02. Schizzi di studio. 03. Veduta sul paesaggio circostante. 03

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L’ingresso rappresenta il luogo attraverso il quale si accede a uno o più luoghi distinti. Esso è fisicamente costituito da una soglia “lastra di pietra, striscia di cemento o, più raramente, di legno che unisce al livello del pavimento gli stipiti di una porta o di altri vani d’ingresso”, quale areale d’incontro e contemporanea separazione di almeno due realtà dalle caratteristiche differenti. Il termine, che raccoglie in sé l’etimologia latina della pianta del piede (solea), è indicativo dell’atto dell’attraversare e dello stabilire una relazione tra l’interno e l’esterno di quell’ambito: l’azione del varcare la soglia, “mettendoci piede”, induce alla scoperta di un contesto nuovo, di cui non conosciamo le regole. Per estensione linguistica e figurativa, la sola parola può comprendere l’intero sistema di entrata, sia esso porta, cancello o bussola, andando a definire architettonicamente una dimensione spaziale dalla quale potrebbe persino avere inizio un vero e proprio percorso. Da un punto di vista formale, essa

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può assumere la connotazione del segnale allusivo, quando riesce a dare il benvenuto trasferendo il carattere di ciò che è custodito oltre il recinto. Altre volte, più delicatamente, può invitare il visitatore ad accostarsi gradualmente, delineando, magari attraverso un giardino, un vero e proprio cammino di entrata. Altre ancora, può trasformarsi in un elemento essenziale e controllato, di lettura quasi automatica. I materiali con i quali questi “dispositivi di accesso” vengono realizzati, contribuiscono alla definizione di esperienze percettive ed emozionali, che possono rimanere indelebili nella memoria, nelle azioni di guardare oltre o solo immaginare, toccare la consistenza materica e apprezzarne o meno l’eventuale utilizzo in contesti limitrofi (nella recinzione, nell’edificio), ascoltare il proprio passo e quello di altri. Di fatto, proprio attraverso l’analisi della varietà compositiva e costruttiva e della capacità espressiva, è possibile indagare questo “elemento tradizio-

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nale”, quale “combinazione instabile in cui confluiscono orientamenti culturali, simbolismi dimenticati, sviluppi tecnologici”, come suggerito dalla contemporanea Biennale di Architettura. Alcuni esempi, nel veronese, descrivono superfici di contatto tra spazio pubblico e privato e suggeriscono di “attraversare lo specchio”, per scoprire habitat dove l’equilibrio è stato sovvertito, al fine di accogliere le esigenze di chi vive “dentro” a quei mondi personalizzati. Si tratta di tre interventi, rappresen-

tativi gradi di isolamento di differente intensità, che racchiudono tre luoghi diversi: il primo totalmente privato, che traguarda dall’alto il dispiegarsi del territorio circostante; il secondo semi-pubblico, partecipe della storia urbana, con un ruolo culturale ed educativo; il terzo a valenza pubblica, che incarna e testimonia la legge all’interno e al servizio della città.

«Oh, Frufrù, che bellezza se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Son certa che ci sono tante belle cose. Fingiamo di poterci entrare, Frufrù, fingiamo che lo specchio sia morbido come un velo, e che si possa attraversare. To’, adesso sta diventando come una specie di nebbia... Entrarci è la cosa più facile del mondo» (Lewis Carroll, Attraverso lo specchio, 1871)

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Tre passi oltre la soglia 04. Veduta dell’ingresso dal lato esterno alla proprietà. 05. Dettaglio interno. 06. Disegno costruttivo con l’indicazione delle lamiere stirate.

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1. Come un tappeto di accoglienza 05

Il progetto di Orlando Lanza e Cristina Rizzo per una Villa Privata immersa nelle colline a nord di Verona definisce, attraverso una successione di muretti a secco, un paesaggio “personalizzato” che, attraverso la recinzione, s’intravede soltanto. L’ingresso dell’intervento è rappresentato da un cancello, che si compone di un telaio perimetrale e di un’orditura orizzontale di profilati ad U ed elementi piatti, a supporto di una combinazione a tre strati di lamiere piene e stirate, parzialmente sovrapposte. L’intera struttura, compresi i montanti laterali che inglobano gli arredi (cassetta delle lettere, luci, sorveglianza) e il cancelletto pedonale, è realizzata in ferro ossidato trattato ad olio. A terra e a cornice dell’operazione, lastre in getto con inerti di pietra locale, prodotte e montate direttamente

in cantiere, delimitano il varco da attraversare. La fabbricazione “in loco” e l’impiego di materiale di recupero (ferro e pietra) trasmettono il “sapore” della materia grezza e riprendono la memoria delle modalità artigianali tipiche della Lessinia. Il disegno del cancello ricorda la lavorazione a patchwork di un tessuto: la combinazione di linee, piani e campi-

ture trasmette la stessa attenzione al dettaglio e la sapiente interpretazione dei materiali, che pervade l’intera opera di recupero e trasformazione di un manufatto rurale preesistente. Il rituale della soglia, quale superficie d’incontro e di continuità tra interno ed esterno, si celebra nelle superfici di contatto tra dentro e fuori (porte e finestre) di ogni ambiente della casa.

2. Aprire un varco L’Educandato agli Angeli rappresenta uno storico complesso scolastico (venne fondato da Napoleone Bonaparte a inizi ‘800, in un impianto religioso del XIII secolo) che comprende un vasto parco secolare, oltre a teatro, palestre, campi da calcio, collegio. Il parco è stato custodito, nei secoli, da mura profonde, che cingono l’isolato lungo la Via del Minatore. L’intervento di Saverio Antonini e Marco Buonadonna ha visto la valorizzazione e la razionalizzazione delle aree esterne, attraverso l’accorpamento delle zone dedicate allo svolgimento delle attività sportive, la realizzazione di un anfiteatro all’aperto, a integrazione di una topografia esistente, e l’introduzione di un parcheggio nell’ultima parte della proprietà. Questa esigenza, in particolare, ha imposto l’interruzione della possente cortina, al fine di favorire il passaggio viabilistico. La nuova soglia è stata, perciò, formalmente interpretata, dai progettisti, come rottura e discontinuità del prospetto murario. In corrispondenza del varco si sono, infatti, costruite due nuove spalle rivestite in pietra di Prun, così come la pedana a terra, tra le quali si innesta un doppio sistema di cancelli: l’uno interno a fronte parcheggio, l’altro, possente e rappresentativo, in continuità con il muraglione esterno. Quest’ultimo, scorrevole e in metallo, si chiude per accostamento di due pannelli dal taglio diagonale, e dichiara, con artificio visivo, la ricucitura del muro.

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07. La nuova entrata del Parco dell’Educandato agli Angeli. 08-09. Muro storico e di nuova edificazione. 10. Disegni del varco metallico in posizione chiusa e aperta. 11-12. Scorci visivi lungo il marciapiede.

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Tre passi oltre la soglia

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3. Accesso controllato La guardiola di controllo degli accessi del Palazzo di Giustizia di Verona s’inserisce nell’ambito di attuazione del programma di elevazione del servizio di sorveglianza delle sedi giudiziarie italiane. Il progetto di Mario Bellavite, vede la costruzione di una “cornice tridimensionale”, rivestita in acciaio corten, all’interno della quale, una guardiola centrale definisce ai lati un duplice passaggio. Si tratta di un unico elemento architettonico, una scatola, che ingloba in sé le tecnologie di accertamento (metal detector, scanner), il sistema di chiusura (tornelli e infissi) e la sede del personale di servizio. L’intervento è controllato, nelle geometrie semplici e nella scelta monomaterica (il corten), e restituisce un’immagine silenziosa e regolare all’attraversamento. L’accesso svolge il suo ruolo con immanente discrezione, quasi si trattasse di una forma archetipica (una soglia, un’architrave), da sempre esistita come la giustizia, segnata dallo scorrere continuo del tempo e delle persone. La pavimentazione del cortile d’ingresso, in cubetti di porfido, è incisa da percorsi in pietra veronese che direzionano l’utente verso la soglia dell’edificio.

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13, 14. La guardiola del Palazzo di Giustizia. 15. Planimetria di insieme con la guardiola e il disegno delle pavimentazioni. 16, 18. Il fronte verso il Palazzo di Giustizia e quello esterno. 17. Pianta e alzati della guardiola.

(foto di Michele Mascalzoni)

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1. villa privata Progettazione e direzione lavori: arch. Orlando Lanza, arch. Cristina Rizzo Fabbro: Iron & Steel di Matteo Signorini Cronologia: 2009-in progress 2. nuovo ingresso carrabile al parco dell’educandato agli angeli Progettazione e direzione lavori: arch. Saverio Antonini, arch. Marco Buonadonna Impresa: Fontana L’arte del verde Cronologia: 2010 (nuovo ingresso), 2013 (prima fase: parcheggio, riqualificazione parco storico, teatro all’aperto) 3. guardiola di controllo degli accessi al palazzo di giustizia Progettazione definitiva, esecutiva e direzione dei lavori. arch. Mario Bellavite Collaboratore: arch. Francesca Boninsegna R.U.P. per il Comune di Verona : ing. S. Menon Cronologia: 2008-2011 Esecutore: Impresa di Costruzioni Tieni s.r.l

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Il Quartiere secondo San Marco

Continua la rassegna delle passeggiate urbane alla scoperta dell’architettura del passato e di quella del presente, nelle loro reciproche interazioni

Quartiere Testo: Angela Lion

San Marco

Foto: Michele Mascalzoni

Verona

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01. San Marco: uno sguardo al ‘borgo’. 02-05. Compresenze: case lungo il canale, facciate continue nella discontinuità urbana, due esempi della ‘presenza del passato’.

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Che cosa si intende esattamente con il termine quartiere? Forse una zona della città distinta per particolari caratteristiche topografiche, funzionali o storiche? Nel quotidiano si è soliti chiamarlo in modi diversi, a seconda delle destinazioni d’uso – industriale, residenziale... – dello strato sociale degli abitanti – il quartiere alto, quello elegante, signorile oppure basso, popolare – o dell’ambito geografico – il ‘satellite’ rispetto al centro abitato, nella periferia di grandi aree urbane, o il quartiere dormitorio, situato all’estremità delle metropoli e formato da un fitto agglomerato di edifici. In quest’ultima definizione sta la cor-

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retta chiave di lettura: il quartiere al- rito un percorso veronese attraverso tro non è che un fitto agglomerato di il quartiere San Marco. La sua fiedifici che caratterizza un ambito ur- sionomia attuale ha antiche origini: bano. Lo ritroviafu tra gli ultimi mo in quei luoghi anni dell’Otto« Gli elementi stilistici della vita comucento e i primi del si semplificano, per dare Novecento che, ne che possono spazio ad un pensiero apparire privi di fuori porta, inisignificato archi- architettonico funzionale, ziò il processo di tettonico, ma che t r a sfor m a z ione per nulla celebrativo » in realtà racchiuda zona rurale a dono nelle loro quartiere urbano, forme e nelle loro tipologie i fonda- dando origine a un’importante realtà menti della nostra tradizione urbana. insediativa. Inoltrandoci nella maglia stradale al -La sua ampia superficie, che faceva di là del canale Camuzzoni, oltrepas- parte del comune di San Massimo sata porta San Zeno, ci viene sugge- all’Adige – autonomo rispetto al ca-

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PROGETTO

Il Quartiere secondo San Marco

poluogo – si estendeva fino alla cin- si intravedono piccoli giardini. Poco ta muraria cittadina, e comprendeva distanti, troviamo le rivisitazioni in tre zone abitate: quella di Boscoman- chiave moderna e i rimaneggiamenti tico – all’epoca già caratterizzato dal delle palazzine in disuso. Il dialogo campo di aviazione militare – il Chie- tra gli edifici maggiormente radicati vo e Borgo Milano. Fu solo nei primi – ad esempio la chiesa di quartiere – e anni del fascismo ad le nuove strut« Il dialogo tra gli edifici ture è percepiavvenire l’annessione maggiormente radicati amministrativa a Vebile attraverso rona. le forme, i mae le nuove strutture è È il reticolo stradale e i colopercepibile attraverso le teriali a definire gli ambiti ri. Gli elemenforme, i materiali di questo quartiere. ti stilistici si Appare suggestivo, semplif icano: e i colori» infatti, come il tracpoche decoraciato urbano si intersechi con edifici zioni per dare spazio ad un pensiero di piccola entità, tipici della tradizio- architettonico funzionale, per nulla ne degli anni venti, connotati da for- celebrativo. me e tipologie liberty andate in par- Non mancano i nuovi stilemi legati te perdute. Villini di due o tre piani alle tendenze attuali: ne è un esemallineati l’uno all’altro, ordinati da pio la palazzina ai civici 27/29 di via semplici recinzioni al di là delle quali San Marco, ricostruita dall’architetto Agostino Basso sul sedime di un fabbricato a due piani del dopoguerra. Il processo compositivo, in questo caso, si articola nella rilettura delle forme attraverso una nuova configurazione tipologica che

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nulla ha a che vedere con il vecchio edificio, ma che dello stesso cerca di preservare la fisionomia in pianta, librandosi nella rappresentazione degli alzati. Questo modus operandi definisce l’involucro come una scatola ‘a sorpresa’: attraverso un effetto di mascheramento, i tagli in parete celano i vuoti, e quanto appare all’esterno non è lo specchio del suo interno. Campiture in pietra d’Istria – che richiamano le piccole abitazioni circostanti – definiscono l’attacco al suolo, mentre le superfici intonate scandiscono un impaginato prospettico lineare seb-

bene articolato. Forme semplici, segni ben distinguibili e moderni. A questi edifici misti commerciali e residenziali, dalle forme ancora contenute, si affiancano gli imponenti manufatti che hanno preso spazio negli anni settanta-ottanta. Lo skyline è fortemente disomogeneo, ma non per questo disarmonico. Questi condomini ‘multistrato’, dalle forme geometriche squadrate, sono realizzati con strutture in cemento armato, spesso completamente a vista. Il colore grigio delle maglie dei fabbricati si alterna alle campiture brune dei clin06-08. Compresenze: l’officina di un elettrauto e un’abitazione bifamiliare; i condomini degli anni 60-70; una palazzina per uffici e una residenza su due livelli.

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09, 10. Via San Marco angolo via Verga, “Ristrutturazione con demolizione e fedele ricostruzione e aumento volumetrico con formazione di n. 5 unità residenziali, 2 negozi e 1 ufficio”. Progetto: arch. Agostino Basso, coll. arch. Alessandro Lenzi. 11, 12. Uno tra i numerosi condomini presenti nel quartiere e la chiesa delle Missionarie dell’Immacolata. 13. Piante piano terra, primo e sottotetto dell’intervento su Via San Marco.

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cker, nella scansione tra forometrie ed elementi a sbalzo. Un elemento rilevante per il quartiere, caratterizzato dall’utilizzo del cemento a vista, è rappresentato dall’Hotel Leopardi, costruito alla fine degli anni ‘80 sull’area un tempo occupata dalla sede della Paluani. Curiosamente, l’edifico porta la firma del medesimo progettista – l’architetto Rosario Firullo – di un altro manufatto simbolo della città e della sua importante industria dolciaria, il “Bauli”, caposaldo della Z.A.I. Questo albergo nasce con desideri e am-

bizioni similari: il cemento armato a vista delle facciate è adorno solo delle finiture metalliche dei serramenti, come il grande occhio vetrato a sbalzo verso Corso Milano. Un accesso carraio taglia in mezzeria il fabbricato, attraversando completamente questo immenso cubo di Rubik. Il suo essere è preponderante ed eloquente: il materiale definisce al contempo lo spazio e la sua identità. Nel quotidiano, percorrendo le strade con frenesia, gli edifici che ripetutamente passano davanti ai nostri occhi e le forme che siamo soliti recepire

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come consuetudine, scorrono come in un lungometraggio, senza essere in grado di recepire il cuore pulsante che le rende uniche. Ecco perché solo soffermandoci è possibile leggere le evoluzioni del tessuto urbano: si colgono così aspetti peculiari che racchiudono diverse manifestazioni del parlato architettonico, casi in cui la destinazione d’uso ha reso completamente nuovo il delinearsi di un ambito. Come

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PROGETTO

Il Quartiere secondo San Marco

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l’officina di un elettrauto in via San Marco, che oggi racchiude al suo interno una realtà multiforme: lavoro, casa ed attività. Ma di ‘Loft Verona’ al civico 36 parleremo approfonditamente nelle pagine che seguono. Altri inserimenti appaiono ben più visibili: da un villino si realizza, grazie alle normative vigenti, un’architettura condominiale dall’aspetto fortemente contemporaneo. VAM 26, in via Manzoni al 26, è un progetto dello studio A.c.M.e., che già

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14-16. Proteso su Corso Milano ma con le “radici” nel quartiere San Marco, l’edificio dell’Hotel Leopardi (arch. Rosario Firullo, anni ‘80).

aveva sperimentato il paradosso della facciata-non facciata, grazie al gioco degli schermi metallici (là scorrevoli, qui ripiegabili a libro) nella casa per lavoratori immigrati alle Golosine (cfr. «AV» 81, pp. 48-52). La sagoma dell’edificio, uno svettante parallelepipedo perpendicolare alla strada, appare in realtà come un Giano bifronte. A nord la facciata è una quinta muraria massiva, chiusa sia climaticamente che simbolicamente, con ridotte aperture a servizio di camere e locali accessori; solo le vetrate del corpo scala, posto in posizione baricentrica, si infittiscono verso il centro del prospetto. Le aperture sono concentrate nei fronti a giorno, schermate da pannellature in lamiera forata di alluminio che conferiscono unitarietà e leggerezza ai prospetti. Il volume compatto dell’edificio viene così smaterializzato, e appare da lontano ‘misterioso e altero’. Un piano attico, letteralmente appoggiato in copertura, si apre a godere la vista conquistata al di sopra degli edifici adiacenti: solamente immaginabile, però, da chi percorrerà questa passeggiata urbana.

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17-19. A.c.M e. studio (arch. Giovanni Castiglioni, arch. Raffaela Braggio, arch. Genziana Frigo, arch. Filippo Legnaghi), edificio residenziale in condominio, 2008-2010. 20. Pieni e vuoti. Sul fondo, una testimonianza della ‘età del clincker’.

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PROGETTO

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Un enigmatico numero 36 a caratteri cubitali su una facciata grigio lavagna, segnata dai tagli di tre finestre a nastro, cela le grandi potenzialitĂ riattivate di una ex officina nel quartiere San Marco

Progetto: arch. Marco Arfellini, arch. Matteo Arfellini Testo: Angela Lion

Foto: Michele Madcalzoni

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“Come tu mi vuoi”: così intitolava to di vista commerciale: un grande Luigi Pirandello uno dei suoi testi te- spazio – circa trecento metri quadrati atrali alla fine degli anni Venti del se- – limitrofo alla città, comodo ai sercolo scorso. Un personaggio enigma- vizi e polivalente. Le idee iniziarono tico caratterizzava il racconto, il cui a correre velocemente con l’opportuignoto destino riportava alla tema- nità per lo studio Arfellini di rilevare tica di una doppia identità. Citazio- il complesso e poter concretizzare le ne quanto più calzante per la realiz- numerose ipotesi elaborate. Una scelzazione presentata in queste pagine: ta di vita: nuove prospettive, nuove abitazione, residence o studio? Di configurazioni, nuove opportunità. tutto un po’, per l’appunto “come tu La macchina edilizia iniziò a mettersi mi vuoi”! in moto. Il percorso, ad ostacoli, rese ‘Loft Verona’, questo il nome della l’iter progettuale – eufemisticamente nuova realtà architettonica dei fratel- – poco snello. Non sempre, infatti, il li-architetti Marco e Matteo Arfelli- tentativo di miglioria fa quadrato con ni, nasce da una vicenda singolare. La le autorizzazioni. Il problema più grastoria lo censisce come officina mec- voso era garantire luce e aria al manucanica, capanfatto, monopianone di un picno e con un solo « Un’officina di idee, colo elettrauto limitato affaccio fuori porta, tra lungo la strada. è il caso di dire, dove residenze, picLa soluzione a raccogliere passioni, cole fabbriche e tali problemail vissuto quotidiano aree dismesse. tiche arrivò con e il proprio lavoro» La struttura, di la suddivisione scarso interesdel fabbricato in se qualitativo, si due zone e l’inpresentava come un grande open spa- serimento di due patii per far fronte ce, circoscritto da condomini e fab- ai parametri aero-illuminanti. L’inbricati plurifamiliari: un patchwork gegnoso dispositivo appariva tanto dei differenti segni della storia del co- semplice sulla carta quanto complesstruito, dove la cucitura edilizia del so nell’interpretessuto urbano era tenuta assieme da tazione tecnica, un consistente filo, ovvero l’area del palleggiata tra lotto. Il progetto nasce per caso, un amministraziopo’ come succede nella vita in cui cer- ne comunale e ti eventi non programmati risultano i ASL. Se da una meglio riusciti. Il proprietario di allo- parte la questiora aveva deciso di sistemare la coper- ne superava l’otura dell’officina con l’intento di ri- stacolo della fatqualificare l’immobile: un maquillage tibilità, per l’ente in previsione di un rinnovo dell’attivi- sanitario si andatà. In realtà questo fu vero solo in par- va contro alla dete: la copertura venne completamente finizione di caveripristinata mentre l’attività giunse al dio, inteso come suo termine. elemento tecnico L’officina era interessante dal pun- dalle piccole di-

mensioni a servizio delle due unità. La risoluzione di questa diatriba ha portato a una ricognizione dell’esistente, che ha dato origine e spazio ad una distribuzione interna armoniosa e corrispondente sia ai parametri sanitari che tecnici. Il progetto ha consentito di realizzare due am-

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01. Effetto lavagna per la facciata su via San Marco. 02. L’interno dell’officina prima del rifacimento delle coperture. 03. Dal ‘vuoto’ dell’officina al ‘pieno” del vissuto quotidiano. 04. Lo spazio-filtro degli ingressi e la trasparenza su strada attraverso la lamiera metallica forata della cancellata.


PROGETTO

Loft in translation

05. Infilata lungo l’ingresso del b&b e particolare della scala metallica a servizio dello studio. 06. Veduta degli spazi interni: spazio ristoro. 07, 08. Scorci degli alloggi. 09. La “mente pensante”, lo studio di architettura.

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pie aree destinate a residenza, studio e alloggi per ospiti, articolando al meglio lo spazio. La tecnologia costruttiva ha consentito di sfruttare l’altezza utile, e ricavare un secondo livello raddoppiando la superficie fruibile. Particolare attenzione è stata rivolta al complesso sistema impiantistico, per garantire una struttura in grado di auto alimentarsi, e alle finiture dal carattere industriale, capaci di conservare i segni del passato. La copertura è rimasta immutata rispetto alla riqualificazione effettuata negli anni precedenti al cambio d’uso, modificata esclusivamente con l’inserimento delle due zone cortilizie. Significativa l’attenzione ai materiali – legno, metallo e vetro – a servizio di una struttura semplice come in origine. I due blocchi funzionali, celati da un in-

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Progetto Studio Arfellini, arch. Matteo Arfellini direzione lavori Studio Arfellini, arch. Marco Arfellini COLLABORATORI arch. Lorella Polo, Claudio Ciresola (progetto ed esecuzione), ing. Giovanni Predicatori (strutture), Progetto Energia (impianti), arch. Giuliano Arfellini (collaudo statico) ................................. Cronologia Progetto e realizzazione: 2010-2012 dati dimensionali Sup. esistente: mq 292 Sup. di progetto: mq 502 11

imprese Costruzioni Camparsi (opere edili), Ediltetto (opere in legno), Carpenteria Padovani (opere in ferro), Italfrigo (imp.idrotermo sanitari), Maistri (imp. elettrici), Vandelli (serramenti)

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90X90X9 PILASTRO LHEA 200

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L 75X75X8 TRAVE HEA 200 TRAVE ROMPITRATTA HEA 140 TRAVE IN LEGNO LAMELLARE

QUOTA mt + 2,70 DA PAVIMENTO FINITO

TRAVE HEA 200 QUOTA mt + 2,70 DA PAVIMENTO FINITO PILASTRO HEA 200

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L 75X75X8 TRAVE HEA 200

NODO 3 PROSPETTO TRAVE HEB 160

TRAVE HEA 200 TRAVE ROMPITRATTA HEA200 140 PILASTRO HEA

TRAVE HEA 200 QUOTA mt + 2,70 DA PAVIMENTO FINITO

QUOTA mt + 2,40 DA PAVIMENTO FINITO

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QUOTA mt + 2,70 DA PAVIMENTO FINITO

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gresso che incuriosisce ma non permette in alcun modo di comprendere la natura dell’intervento, sono perfettamente speculari, collegati da un corridoio. Loft Verona è quello che oggi si potrebbe definire una concept house, ovvero uno spazio che raccoglie più funzioni. Un interno dallo sguardo cosmopolita, dove fanno bella mostra

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gli oggetti di cui i proprietari sono appassionati: oggetti d’arte e artigiaNODO 2 PIANTA nato raccolti durante gli innumerevoli viaggi, le collezioni di dischi (in particolare blues) e i libri. Un’officina di idee, è il caso di dire, dove raccogliere passioni, il vissuto quotidiano e il proprio lavoro: il tutto scandito dal grande orologio in ferro, che inesorabile segna il tempo che passa. TRAVE HEA 200

TRAVE HEB 160

TRAVE HEA 200

QUOTA mt + 2,40 DA PAVIMENTO FINITO

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90X90X9 PILASTRO LHEA 200

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10. Una delle corti interne del b&b. 11. Piante dei due livelli e sezione longitudinale attraverso le corti. 12. Veduta dallo spazio cortilizio verso l’ambito collettivo. 13. Lo spazio a doppia altezza: cucina, soggiorno e salotto dell’abitazione. 14. Dettagli costruttivi della struttura metallica del solaio intermedio.


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K&K: Kengo a Castelvecchio, Kuma in Lessinia La lectio magistralis dell’architetto giapponese nella rituale cornice di Castelvecchio è stata seguita da una sua visita alla scoperta della tradizionale architettura di pietra

Testo: Paola Altichieri Donella Foto: Marta Pavan

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Da mercoledì 24 a sabato 27 settembre 2014 Quartiere Fieristico di Verona Manifestazione riservata agli operatori di settore, a pagamento e con registrazione obbligatoria Ingressi: Cangrande - San Zeno - Re Teodorico Orario Espositori 8.30 - 18.30 continuato Visitatori 9.30 - 18.00 continuato

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01. Kengo Kuma a Castelvecchio. 02. Il manifesto della lectio magistralis di KK. 03. Di spalle, KK preceduto da Vincenzo Pavan verso una stallafienile in Contrada Pazzocco.

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Kengo Kuma, giapponese nato nel 1954 a Kanagawa, ardito e meraviglioso artefice di poetiche e immaginative architetture, non appartiene alla categorie di quelle archistar che, con le loro “mostruose”, gigantesche, strabilianti, creazioni sfidano le nuvole e si ergono fino ad immergersi nel cielo, ridisegnando, con mazzi di grattacieli di forme stravaganti, gli skyline di metropoli orientali. Ma può ben essere definito archistar in quanto straordinario maestro di uno stile architettonico che, ispirandosi almeno inizialmente agli architetti del Movimento Moderno, i modernisti della prima metà del novecento, si esprime in modo alternativo alle ultime tendenze avendo come intento fondamentale di costruire architetture che si legano al luogo a cui sono destinate, con progetti che sanno mischiare la natura con l’artificio, la luce, l’acqua con la pietra, con la terra. Kuma, per dirla in breve, usando materiali locali, sfruttando il magistero degli artigiani del luogo, di qualsiasi luogo, dovunque si trovi, dato che i suoi edifici non nascono solo in Giappone, sua patria, ma in molti angoli del mondo, riesce ad inserirsi nell’ambiente senza violarlo: le sue opere si “acquattano”, in una sorta di mimesi poetica, in un bosco, in riva al mare, su un fiume, in una valle nevosa. Affascinante e interessantissimo, in questo senso, ciò che l’architetto giapponese ha mostrato ad un pubblico foltissimo - qualcuno non ha nemmeno potuto entrare - con grande sintesi, umiltà e parsimonia, durante la lectio magistralis, che ha tenuto domenica 4 maggio, in sala

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Padiglioni e Aree Esterne 2014 Hall 1-2-3-4-5-6-7-8-9 -10-11-12, Aree esterne A-B-C-D I numeri dell’edizione 2013 Aziende Espositrici 1.425 da 55 Paesi Superficie Espositiva 73.889 mq netti Organizzazione Veronafiere MARMOMACC Viale del Lavoro 8 - 37135 Verona marmomacc@veronafiere.com

Boggian a Castelvecchio. Organizzata, secondo una apprezzata tradizione, dall’Ordine degli Architetti, rappresentato dall’architetto Laura de Stefano, da VeronaFiere e dal Comune di Verona e coordinata dall’architetto Vincenzo Pavan, responsabile degli eventi culturali di Marmomacc, ha avuto un grande successo. Mentre Vittorio Di Dio, in rappresentanza dell’Ente Fiera, ha modo di esemplare la sequenza di successi internazionali delle iniziative di Marmomacc, Spangaro, in rappresentanza del Comune, mette in rilievo quanto sia importante per la città di Verona essere un crocevia di esperienze internazionali e la sua volontà di aprirsi a nuovi aspetti culturali. L’architetto Pavan, ricordando che quello di Kengo Kuma è un ritorno a Verona, in quanto insignito del premio Marmomacc per l’architettura in pietra una decina di anni or sono, avvia un excursus sulla storia dell’architettura giapponese del Novecento e sui legami con i maestri dell’architettura occidentale, poi fotografa alcuni segni distintivi dello stile Kuma. In particolare la sua maestria nel manipolare i materiali per renderli capaci di performance altre dal loro impiego tradizionale. Anche la pietra, molto usata dall’architetto, viene come “desolidificata”, resa porosa, sensibile alla luce e alle ombre. E cita le parole stesse di Kuma: “Se riduco in frammenti i materiali, non è perché li odio, ma perché li amo. Ridotti in particelle sono come un arcobaleno, si fanno e si disfanno e fanno conoscere la loro essenza più intima”. Kuma, bell’uomo, alto, di aspetto europeizzato, spiega che i suoi progetti non prescindono mai

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scoprire un amico italiano. In alcune costruzioni (ma come chiamarle costruzioni? piuttosto invenzioni, forme, contenitori che alitano, che possono disfarsi da un momento all’altro con un’ondata di vento, ma in realtà stabili e resistenti), Kuma reintegra struttura portante ed esterno, come nel palazzo di tre piani a Tokio, tutto di pannelli di legno che non poggiano su un interno di muratura e acciaio, come ci si immaginerebbe, non costituiscono il rivestimento, ma i pannelli lignei stessi, tutti e ciascuno essenziali, sostengono il tutto. Dice: “voglio fare un passo in più rispetto all’idea originaria”. E il legno? Quale legno? Quello del luogo: cedro dove c’è il cedro, larice dove c’è il larice. I 04 falegnami giapponesi insegnano che il materiale dalla situazione a cui sono destinati, non vengono migliore per costruire è quello che si trova calati dall’alto del suo pensiero in una terra di subito nelle montagne alle spalle del cantiere! E nessuno, ma sono strettamente identificati col qui, alludendo alla loro perizia, aggiunge: “ho luogo e con i bisogni del luogo: il titolo della scoperto molte analogie tra il modo di lavorare lectio magistralis è infatti Power of Place. degli artigiani giapponesi e quello degli artigiani Appropriatamente. Uno dei dettami che l’equipe italiani. Ecco perché piaceva tanto il Giappone a di Kengo si è data, e che mai tralasciano, è di Scarpa!” e così rende omaggio al genius loci… usare materiali reperibili ad un massimo di 15 km Per il suo Canal Museum a Kitakami, paese dal luogo dove si costruisce. Ciò vuol dire meno sulle rive dell’oceano distrutto dallo tsunami, costi, meno sprechi, meno consumi energetici, ha immaginato una collinetta, in armonia con meno inquinamento. Vuol dire leggerezza, la natura del luogo, che segue il profilo della equilibrio, armonia con spiaggia e forse delle la natura. « Se riduco in frammenti i materiali, stesse onde… In Spagna Per un progetto nella non è perché li odio, ma perché li si ispira alle intricate Francia del sud Kuma e preziose geometrie amo. Ridotti in particelle sono come dell’Alhambra, uno dei dice di essersi ispirato un arcobaleno, si fanno e si disfanno monumenti simbolo di al lavoro dei vignaioli, lì appresso, e alle loro Granada, e le complica e fanno conoscere la loro essenza vigne (Aix en Provence (o semplifica?) con la più intima » Conservatory of Music conformazione interna Competition, 2009). della melograna, da La cosa straordinaria è che quando mostra i cui trae il nome Granada: da questa ingegnosa, disegni anche il profano intuisce l’autenticità cerebrale commistione nasce Granada Performing dell’ispirazione e la riconosce. Spiega poi le Art Center, 2008. intuizioni che stanno alla base di evoluzioni della A Dundee in Scozia trae spunto dalla scogliera, tecnologia, inventando nuovi modi di procedere che si muta in lamine sovrapposte, ad andamento legati alle caratteristiche del materiale in uso. E ondivago e indefinito, nell’edificio realizzato. fa questo esempio: saldare strati di tela, (sì, lavora Quando poi, alla fine della lectio, parla dei anche con la tela, in particolare tela di riso, sì, suoi progetti sperimentali, il pubblico, attonito per forza è un giapponese e i giapponesi lo hanno ma reattivo, si diverte davanti alla CASA sempre fatto) con un magnete, che gli ha fatto OMBRELLO. Kuma spiega: ‘ombrello’ in

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giapponese vuol dire ‘casa’, da questa idea abbiamo inventato una struttura fatta ad ombrello che può essere usata provvisoriamente, e, collegata ad altre, con una semplice cerniera a lampo (sic!), può diventare una grande casa comune, un rifugio momentaneo dove ripararsi da qualche accidente, spostandosi ciascuno con il suo ombrello-casa! E che dire di quella ‘tenera’, così la chiama, boule di materiale duttile – maglia termica – che con temperatura calda mantiene rigida la sua forma a cupola e, se cala la temperatura, si restringe e si abbassa? Un toccante esempio della capacità inventiva e tecnologica di Kuma e dei suoi si realizza in una deliziosa opera italiana: richiesto da una grande fabbrica emiliana di piastrelle di creare un monumento a questo famoso manufatto, ha inventato una architettura a nuvola, quindi un gioco, un oggetto da godere, delicato, luminoso, utilizzando e trasformando le stesse piastrelle in qualcosa di significativo e simbolico. Ci sarebbe molto ancora da dire e forse altre cose importanti… ma… gli articoli troppo lunghi non li legge nessuno!

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La giornata primaverile del 4 maggio è stata l’ideale cornice temporale per un appuntamento che ha fatto seguito alla lectio magistralis in Castelvecchio. L’architetto giapponese infatti, con la complicità e la guida di Vincenzo Pavan, ha potuto avventurarsi in un petit tour sui monti Lessini, sulle tracce di quella materia prima – la pietra – che connota l’architettura del luogo, e che a sua volta caratterizza molti dei suoi più celebri progetti. Lo sguardo sornione di Kuma e la sua “maschera” nipponica non si sono fatti sfuggire, pur nella sommarietà di una breve visita, gli elementi tipici della Lessinia di pietra e della sua cultura costruttiva. Tra stalle, fienili e ricoveri per attrezzi, baiti e casere, malghe e ghiacciaie, l’occhio scrutatore (e l’obiettivo fotografico) di Kengo si sono posati con curiosità su murature, coperture, tetti,

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pavimentazioni, elementi costruttivi interni ed esterni, muri divisori delle proprietà, terrazzamenti... Una fascinazione silenziosa, quella dell’architetto giapponese, certo avvezzo ai paesaggi montani di cui il suo paese è ricco, e capace di cogliere l’essenza anche di un linguaggio costruttivo anonimo – quale è quello rappresentato dal paesaggio costruito della Lessinia – per poterne interpretare gli elementi in una personale declinazione. Al termine della breve gita, una fantasia ha colto i partecipanti: Pavan sembra indicare, sui pascoli tra San Giorgio e Podestaria, un luogo dove si sta pensando di realizzare una piccola cappella, naturalmente di pietra. Kuma osserva attento, e il suo sguardo è già proiettato verso l’idea. Ma, per ora, è ancora una fantasia... (AV)

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04-05. KK alla scoperta della Stalla del Modesto. 06. KK in visita a una contrada. 07. Vincenzo Pavan indica a KK i pascoli alti sopra San Giorgio. 08. KK sul “sentiero del Modesto”.


Oltre il vuoto c’è di più

Una ricerca promossa dall’Associazione Agile e presentata negli spazi del sottopassaggio di Porta Vescovo rivela i cospicui numeri del fenomeno “dismissione” Testo: Michele De Mori

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con il contributo di:

con il patrocinio di:

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Tutto nasce da una riflessione, espressa dalla domanda: “cos’è uno spazio in disuso?” Lo spazio in disuso rappresenta un luogo incompiuto, mancante di una conclusione, e non più consolidato nella città. Spazi che possiedono una grande carica evolutiva, dove è percepibile il contrasto della trasformazione. La potenzialità dell’assumere nuove funzioni, anche completamente diverse dalle originali. Dinamismo per sopravvivere. Spesso questi luoghi producono un fascino architettonico e urbano notevole, proprio in virtù di queste possibili trasformazioni. Il fascino della “presenza dell’assenza”

« Va sottolineato come l’abbandono, e il conseguente recupero, siano fenomeni estremamente dinamici » 02

che evoca sogni, desideri e anche speranze. Sono i luoghi dove le cose possono accadere, dove si può “aggiustare” la città, integrarla e trasformarla. In molti casi lo si può fare anche stravolgendo le regole, lavorando in uno spazio che avendo perso l’originale destinazione ora si trova in un limbo, senza più un’identità da proteggere. Libertà di trasformazione, anche questo è sopravvivere. Come si può però discutere e analizzare un fenomeno senza conoscerlo? Una seconda serie di domande si è quindi resa necessaria per approfondire la problematica/ risorsa dell’abbandono: “Quanti spazi in disuso ci sono a Verona? Che

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caratteristiche hanno? Che superficie occupano?” La città è un organismo unitario, che si trasforma e si evolve nella sua interezza; di conseguenza, per riuscire a decifrare concretamente il fenomeno si è indagato l’intero territorio comunale da Mizzole a Cadidavid. L’Associazione Agile ha intrapreso, tra giugno 2013 e febbraio 2014, un progetto di mappatura del territorio cittadino con lo scopo di censire e catalogare gli spazi in disuso e abbandonati in questo determinato lasso temporale. Va infatti sottolineato come l’abbandono, e il conseguente recupero, siano fenomeni estremamente dinamici; già oggi, pochi mesi dopo la

conclusione del censimento, alcuni edifici sono in fase di recupero, mentre altri sono caduti in disuso. Come prima operazione si sono stabiliti dei parametri per permettere una oggettiva identificazione degli spazi; ad esempio, si sono selezionati solo edifici terra-cielo e non appartamenti sfitti, oppure si è introdotta la voce “sottoutilizzo” per evidenziare situazioni dove le attività erano estremamente ridotte in rapporto alla superficie (come nel caso dell’Ospedale Militare). Scopo dello studio è stato infatti quello di dare una definizione numerica al fenomeno dell’abbandono, in modo da definire un punto di partenza anche per eventuali serie storiche che

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01. Estratto della locandina della conferenza del 20 giugno 2014 (grafica di Emilia Quattrina). 02. Esempi delle tipologie riscontate di spazi dismessi.


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potrebbero essere realizzate concordando, a scadenze definite, ulteriori lavori di censimento. La mappatura ha portato all’individuazione di 555 spazi, per una superficie complessiva di 2.636.570 m². Un numero importante, che è stato localizzato esattamente all’interno del territorio cittadino, permettendo di evidenziare, in modo preciso, le dinamiche di disuso più evidenti, la cui analisi diventa fondamentale per definire una futura strategia di intervento su ampia scala. La dinamica sicuramente più evidente e interessante sul territorio, nonché oggetto di dibattito da innumerevoli anni, è la dismissione delle aree militari, siano esse

« La pianificazione territoriale deve svilupparsi secondo un concetto di rete e condivisione delle necessità della città » fortificazioni o caserme. Un totale di circa 845.000 m² disposti in modo concentrico intorno alla città. Dall’Arsenale alla Campagnola a forte Preara, passando per i Bastioni le cui aree sono lasciate a parco spesso senza nessuna struttura di supporto. Altra dinamica di grande interesse è la dismissione industriale che comprende circa 1.000.000 di m², superficie risultante in parte grazie

— 58

alla grande estensione di pochi stabilimenti. Si evidenziano due tipologie: immense aree, localizzate in punti strategici del territorio e contemporaneamente edifici di piccola/media dimensione inseriti nel contesto cittadino. Queste aree sono distribuite in tutta la città, con preponderanza nella zona Sud ZAI, ma anche lungo le arterie della città come viale Venezia e la statale Bresciana. Il futuro sviluppo della città avverrà probabilmente in queste zone proprio in virtù di una ampia possibilità di trasformazione, che in molti casi contempla anche la totale demolizione dei fabbricati. L’analisi ha individuato anche un ampio numero di edifici residenziali, per una superficie totale più limitata rispetto alle altre due categorie citate: circa 173.000 m². I fabbricati sono distribuiti in modo puntiforme all’interno del territorio; nella maggior parte dei casi si tratta di vecchi fabbricati che necessitano di costosi interventi per ritornare abitabili. Nel contempo però, troviamo nuove costruzioni ai margini della città, in particolare nei quartieri di San Michele e di Borgo Venezia, mai completate poichè non vendute. Si continua a costruire nonostante si potrebbe intervenire all’interno del tessuto consolidato. Il lavoro di mappatura ha messo in evidenza, soprattutto per le aree di grandi dimensioni (si sono infatti identificate diciotto aree con superficie superiore ai 5.000 m² e diverse decine superiori a 1.000 m²), la necessità di una attenta pianificazione territoriale che deve svilupparsi secondo un concetto di rete e condivisione delle necessità della città. Intervenire sul territorio

2014 #03


QUANTITA’ DI EDIFICI PER TIPOLOGIA Cantiere abbandonato

8

Casa rurale

4

Commerciale

0

(Ex) Area militare

0

(Ex) Edificio religioso

0

Infrastruttura

1

Industriale

11

Residenziale

10

Residenziale con commerciale

1

Rudere

4

Servizio pubblico

1

Struttura alberghiera

0

Ufficio

0

Codice: Q_01 Indirizzo: Porta Vescovo Tipologia: Infrastruttura Nome: Sottopasso

Codice: Q_02 Indirizzo: Corso Venezia Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_03 Indirizzo: Corso Venezia 77 Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_04 Indirizzo: Corso Venezia 107 Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_05 Indirizzo: Corso Venezia Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

Codice: Q_06 Indirizzo: Corso Venezia Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

Codice: Q_07 Indirizzo: Via Beviglieri Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

Codice: Q_08 Indirizzo: Via Unità d’Italia 1 Tipologia: Industriale Nome: -

% SUPERFICIE 1,5%

5%

26 nato

Proprietà Privata

95%

Proprietà Pubblica

Cantiere abbandonato

8

Casa rurale

4

Commerciale

0

(Ex) Area militare

0

(Ex) Edificio religioso

0

Infrastruttura

1

Industriale 11 Promotore Residenziale 10 Associazione Agile Residenziale con commerciale 1 Michele De Mori, Emilia Quattrina, Rudere 4 Servizio pubblico Giulio Cattazzo, Francesca Lui, 1 Roberto Tavella, Andrea Galliazzo,Struttura alberghiera 0 Ufficio 0 Alessandro Scalia, Michela Angileri, Marco Buonadonna, PROPRIETA’ Alberto Bragheffi, Silvia La Face, Barbara Alberti, Filippo Olioso

PROPRIETA’ % QUANTITA’

QUANTITA’ DI EDIFICI PER

ODEON

OLTRE IL VUOTO MAPPATURA DEI LUOGHI IN DISUSO E STRATEGIE DI RECUPERO URBANO

98,5%

% QUANTITA’ 5%

SUPERFICI (m2)

Patrocinio Comune di Verona Ordine degli Architetti PPC della provincia di Verona Proprietà Privata Proprietà Pubblica Ordine degli Ingegneri di Verona e provincia

15

70.470

++

93.570

=+

23.100

Superficie delle pertinenze

Superficie dei fabbricati

Codice: Q_09 Indirizzo: Via del Capitel 16 Tipologia: Industriale Nome: -

Superficie totale

Codice: Q_10 Indirizzo: Via Fiumicello Tipologia: Rudere Nome: -

Codice: Q_11 Indirizzo: Via Fiumicello Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

Codice: Q_12 Indirizzo: Via Rosa Morando 26 Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

SUPERFICIE LORDA DI PAVIMENTO

95%

SUPERFICI (m

con il contributo di Arredoluce s.r.l. Codice: Q_13 Indirizzo: Via Domenico Morone 2 Tipologia: Residenziale Nome: -

Codice: Q_14 Indirizzo: Via Girolamo dai Libri 16 Tipologia: Residenziale Nome: -

Codice: Q_15 Indirizzo: Via Betteloni 8a Tipologia: Rudere Nome: -

Codice: Q_16 Indirizzo: Vicolo Case Nuove 15 Tipologia: Residenziale Nome: -

<100 mq

70.470

<100 - 500 mq> <500 – 1000 mq> <1000 - 5000mq>

++

Superficie delle pertinenze

>5000 mq

23.10

Super dei fabb

11 SUPERFICIE LORDA D

POSSIBILITA’ DI UTILIZZO

Bre

ve

Immed

iata 9%

18

term

ine

Codice: Q_17 Indirizzo: Via Colonello Fincato 2 Tipologia: Residenziale Nome: Ex Albergo la Cancellata

14

,5% ine 44%

Lungo term

Codice: Q_18 Indirizzo: Via Anna da Schio 2 Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_19 Indirizzo: Via Volta 2 Tipologia: Residenziale + commerciale Nome: -

Codice: Q_20 Indirizzo: Via Zamboni 24 Tipologia: Residenziale Nome: Villa Modena

05

co m str ia le

Re Re sid sid enz en iale zia Ru le de co re n

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C

to nato

C

an tie re ab ba as nd In a ru on fra ra ato str le utt ure

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erc ia le

STATO DI DEGRADO E FATTIBILITA’ ECONOMICA DEL RECUPERO

STATO DI DEGRADO

7 MEDIO

++

18 ALTO

++

17 ALTO

Codice: Indirizzo: Via Bal Bene Tipologia: Industriale Nome: -

12 MEDIO

6 BASSO

Q_05 Q_06 Q_07 Q_11 Q_12 Q_32 Q_36 Q_37 Q_29 Q_30 Q_38 Q_39 Q_01 Q_02 Q_03 Q_04 Q_08 Q_09 Q_18 Q_23 Q_25 Q_26 Q_28 Q_35 Q_13 Q_14 Q_16 Q_17 Q_20 Q_21 Q_22 Q_24 Q_27 Q_34 Q_19 Q_10 Q_15 Q_31 Q_33

IMPEGNO ECONOMICO

Codice: Indirizzo: Via Zamboni 5 Tipologia: Residenziale Nome: -

10 BASSO

-

04

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in modo puntiforme e scoordinato, seguendo solo un effimero ricavo economico, tra l’altro oggi non più sostenibile, impedisce diQ_22 strutturare Q_21 le nostre città seguendo le nuove dinamiche che identificano il periodo storico del XXI secolo. La facilità di movimento, di comunicazione e di trasformabilità deve essere trasposta anche nella pianificazione cittadina, Q_25 abbandonando schemi eQ_26 preconcetti che, nonostante appartengano a soli trenta-quarant’ anni fa, sembrano provenire da un remoto passato. Codice: Indirizzo: Via Colonello Fincato 23 Tipologia: Residenziale Nome: -

Codice: Indirizzo: Via Lorenzi 261 Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_29 Indirizzo: Via San Felice 87 Tipologia: Casa rurale Nome: -

Codice: Q_30 Indirizzo: Via Piazza Zagata 21 Tipologia: Casa rurale Nome: Ca’ dell’Ara

Codice: Q_23 Indirizzo: Via Pollini Tipologia: Industriale Nome: -

Codice: Q_24 Indirizzo: Via Lorenzi 14 Tipologia: Residenziale Nome: <100 mq <100 - 500 mq> <500 – 1000 mq> <1000 - 5000mq> >5000 mq

03. Localizzazione degli edifici in disuso Codice:di Q_28 riscontrati nel Comune Verona Indirizzo: Via Torello Saraina 18 Tipologia: Industriale (software di Nicolò Todeschi). Nome: 04, 05. Diagrammi ed immagini relativi agli edifici in disuso riscontrati nella Circoscrizione 6.

POSSIBILITA’ DI U

Codice: Q_27 Indirizzo: Via Briolotto 5 Tipologia: Residenziale Nome: -

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Codice: Q_31 Indirizzo: Via Villa Cozza Tipologia: Rudere Nome: Ex Ceolara

Codice: Q_32 Indirizzo: Via Maria Callas Tipologia: Cantiere abbandonato Nome: -

Br ev

et

iata 9% Immed

M

ed

io

te

rm

ine

32 ,5

%

nato

erm

ine

14

,5%


Il ritorno di Paolo (Veronese detto il Caliari)

La grande mostra allestita in Gran Guardia propone a specialisti e grande pubblico una vasta rassegna di dipinti e disegni dell’artista eponimo della città Testo: Annalisa Levorato Foto: Alessandro Gloder

La “Grande bellezza” delle opere di Paolo esplode a Verona al Palazzo della Gran Guardia, che le ospita nella mostra curata da Paola Marini – dirigente dei Civici Musei d’Arte – e da Bernard Aikema, docente di storia dell’arte moderna presso l’Università di Verona. Le preziose grandi opere, assieme ad alcuni piccoli e rari dipinti, si leggono con chiarezza nel luminoso allestimento, attraverso un percorso che segue anche cronologicamente le tappe della vita e della carriera pittorica del Veronese. Alle opere della giovinezza fanno seguito quelle del trionfo dell’architettura e della decorazione, la presenza dei committenti nei dipinti, i temi della seduzione, la pittura religiosa nonché politica, il mito e la sensualità e infine i suoi disegni, spina dorsale dell’esposizione – “penna particolarmente felice quella di Paolo” – raccolti in teche al centro delle grandi sale. L’allestimento, curato da Alba Di Lieto con Nicola Brunelli, con la collaborazione di Ketty Bertolaso e realizzato da Centro Allestimenti, dà risalto anche alla parte didattica e formativa curata da Margherita Bolla, affiancando alle didascalie delle opere maggiori anche quelle

per bambini, organizzate come una caccia al tesoro, con una originale e accattivante grafica (progetto grafico di Metodo). Questi i temi di innovativa iniziativa scientifica e di straordinario fascino che la mostra rivolge a tutti, specialisti e grande pubblico. Nulla può essere aggiunto agli approfonditi saggi raccolti nel catalogo, edito da Electa. Con appassionato orgoglio cerchiamo allora, nel racconto della vita di Paolo, di riconoscere i luoghi veronesi (e veronesiani) dell’artista che con genialità compositiva e straordinaria abilità pittorica ha segnato il Manierismo italiano. Paolo nacque nel 1528 in contrada San Paolo, sulla sponda sinistra dell’Adige, fuori dal cuore della città romana ma da sempre luogo ricco di storia e tradizioni. Fino al 1882 la zona era caratterizzata da una grande isola fluviale ricca di attività artigianali e artistiche. È qui che Paolo crebbe, qui che si trovava la bottega del padre scultore, e sempre in questa contrada si trovava, non lontano dalla chiesa di San Tomaso, lo studio dell’architetto Sanmicheli, che divenne uno dei principali promotori del giovane pittore. Dal 1888 un monumento al Veronese, opera dello scultore Torquato dalla Torre, è posto proprio dove si trovava la biforcazione dell’Adige che dava vita all’Isolo.

01

02

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2014 #03


Palazzo della Gran Guardia, Verona 5 luglio - 5 ottobre 2014 a cura di Paola Marini e Bernard Aikema organizzazione Comune di Verona, Direzione Musei d’Arte e Monumenti Università degli Studi di Verona in collaborazione con Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza in associazione con The National Gallery, Londra

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01. Pianta e prospetti della sala 3 al piano nobile del Palazzo della Gran Guardia. 02. Veduta della sala 5 con la struttura per l’esposizione dei disegni al centro, e il grande arazzo degli Haeredes Pauli sul fondo. 03. Nello scorcio tra le sale 2 e 3, il sontuoso Matrimonio mistico di Santa Caterina sul pannello al centro dello spazio. 04. Copertina del volumetto di G. Trecca pubblicato nel 1940.

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Curiosa e divertente, in margine alla mostra, può essere la lettura di un opuscolo con raccolte di documenti commentati da Giuseppe Trecca e intitolato “Paolo Veronese e Verona”, un omaggio della Banca Mutua Popolare di Verona pubblicato nel 1940 dopo la mostra paolesca di Venezia del 1938 curata da Rodolfo Palucchini. Figlio di Gabriele spezapreda, lapicida (scultore), prendendo il mestiere del padre si firma Paullo spezapda cioè spezapreda, nel primo documento segnato da lui intorno al 1553. Dal 1555 si firma Paulo da Verona e nel 1563, col Tiziano, Tintoretto, Schiavone e Sansovino giudici dei mosaici in San Marco, firma Paulus de Verona. Dal 1566 circa, “quando

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fu a Venezia e la fama cominciò a sorridergli, sentì forse il bisogno di una genealogia nobile e incominciò il nome Caliari. Bisogna riconoscere però ch’ei non l’usa se non più tardi quando ormai è accettato da tutti”. Così scriveva il Trecca nel capitolo intitolato “Quale cognome aveva?” raccontando, attraverso la lettura dei documenti relativi ai vari incarichi, la ricerca da parte di Paolo di un cognome di adeguato rilievo e supporto alla sua crescente fama nella Repubblica Veneziana. Non si può che condividere quanto lui anticipa: Paolo Veronese detto il Caliari, sembrerebbe una provocazione per gli storici dell’arte e i biografi di Paolo, ma acutamente il Trecca aveva compreso e dichiarato il grande legame che c’era, e che tuttora è celebrato con questa splendida mostra, tra il pittore e la sua città natale.

ODEON

paolo veronese l’illusione della realtà


L’arte della “sprezzatura”

Il professor Valeriano Pastor in una istantanea recensione d’autore evidenzia con incisività il carattere dell’allestimento della mostra veronesiana Testo: Valeriano Pastor

Foto: Alessandro Gloder

Ho visitato in Anteprima la Mostra “Paolo Veronese. L’illusione della realtà”. Il Programma, subito letto nel catalogo, conferma – con ragioni scientifiche e mirabile organizzazione del lavoro di ricerca – la grande suggestione che ho provato nella visita. Marini e Aikema studiosi e organizzatori d’eccezione. L’allestimento corrisponde perfettamente al Programma, dà plasticità agli studi, è il loro corpo sensibile. Inaspettata la costruzione del “castelletto” nelle sale, l’espositore dei disegni, grandi e magnifici, che costruisce un ambiente appropriato al godimento del loro valore: l’originale forma dà altresì corpo a una enfilade prospettica tra le sale, e conferisce a ciascuna giuste misure, finalmente appropriate alle distanze di godimento della spazialità congegnata dall’avventura cromatica nell’affabulazione del Veronese. Ha ragione la Marini a rimpiangere la mancanza di vedute sull’Arena e l’assenza della luce naturale. Vive congratulazioni ai progettisti, gli architetti Alba Di Lieto e il suo collega Nicola Brunelli. Mi ha divertito un dettaglio nel “castelletto” dei disegni; dettaglio che si associa al moderato tenore dell’illuminazione teso a proteggere i disegni: riguarda infatti ancora una forma della loro protezione. Il “dettaglio” è costituito da

quelle stoffe poste all’apice dei piani inclinati, ripiegate e annodate con sapienza tecnica elegante, eseguita con indifferenza: come la sprezzatura cinquecentesca, ancora possibile al tempo del Veronese.

(Per l’esercizio quotidiano di quella elegante e pratica sapienza, cinquecentesca sprezzatura, gli esecutori avranno un premio?).

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01-04. Particolari del “castelletto” per i disegni, posto al centro delle sale espositive. 02

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2014 #03


Un approfondito studio sulla quattrocentesca carta “dell’Almagià” Testo: Angelo Bertolazzi Foto: Diego Martini

Lo stretto legame tra conoscenza e controllo del territorio è il filo conduttore che percorre il volume “Verona e il suo territorio nel Quattrocento” curato da Stefano Lodi e Gian Maria Varanini per Cierre Edizioni. Il punto di partenza è la carta del territorio veronese del XV secolo, detta “dell’Almagià”, dal nome del geografo che per primo la studiò nel 1923. La ricerca si articola attraverso i diversi contributi che la rendono un lavoro veramente interdisciplinare. Nel saggio “Governo del territorio e cartografia veneta”, Giuliana Mazzi affronta il contesto storico e la ragioni di governo del territorio da parte della Serenissima che sottendono la redazione della carta. Sulle questioni della rappresentazione del territorio, anche in rapporto ad altri esempi, e della sua veridicità se ne occupano i saggi “Il territorio, veronese, trentino e mantovano”, di Gian Maria Varanini, Carlo Andrea Postinger e Isabella Lazzarini, e “Raffigurazione e realtà geografica” di Sandra Vantini. In “Verona: lo spazio urbano e le emergenze edilizie”, Stefano Lodi si sofferma invece sull’analisi dell’iconografia della città di Verona, centro del territorio e della carta topografica; la ricca descrizione dei principali monumenti cittadini, religiosi e civili, degli spazi pubblici e delle mura accompagna il lettore in un percorso facendogli ripercorrere la città della fine del XV secolo. Questa analisi, allargata attraverso l’iconografia del tempo, è seguita anche da “Corrispondenze moderne dei toponimi della carta dell’Almagià” sempre di Stefano Lodi, una approfondita ricerca che evidenzia

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la toponomastica moderna con quella antica. Completano il volume i saggi che riguardano la carta come supporto fisico e come documento del tempo: in “Materiali e tecnica esecutiva. Contributi analitici non invasivi” Gianluca Poldi tratta gli aspetti tecnici (materiali, colori, tecniche esecutive) della grande carta topografica, mentre “Alcuni aspetti formali” di Susy Marcon, “Note linguistiche” e “Edizioni delle didascalie”, contributi di Nello Bertoletti, vengono studiati gli aspetti strettamente iconografici e linguistici del prezioso documento; infine il contributo “Nota

sui possibili contesti archivistici” di Giovanni Caniato approfondisce gli aspetti legati alle fonti archivistiche. Il volume include anche due fogli piegati, uno a colori e uno in bianco e nero, che riproducono la carta e la sua chiave di lettura, mentre in un cd-rom è contenuta una copia digitale della carta, rendendo così il libro un piacevole e sobrio prodotto multimediale. La pubblicazione di questo volume può offrire qualche spunto di riflessione non solo per gli storici e gli studiosi di cartografia antica, ma anche per chi si occupa a tutti i livelli della gestione e della trasformazione del territorio. La conoscenza del territorio nelle sue diverse componenti – quella

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antropica e quella naturale – è oggi il dominio della tecnologia: rilievi aereofotogrammetrici, satellitari ed elaborazioni digitali per layers sono gli strumenti più evoluti che ci restituiscono una realtà sempre più complessa e articolata. La possibilità di analizzare con strumenti sofisticati un dettaglio con una risoluzione sempre maggiore sembra tuttavia allontanare una conoscenza vera del territorio nella sua interezza, che la facilità con cui si scarica l’ultima versione di Google Maps o Bing non ha certo migliorato, anzi. La riduzione della visione d’insieme e la superficialità con cui si studia il territorio hanno ridotto la possibilità di un suo controllo, come testimoniano i sempre più frequenti disastri idrogeologici che affliggono l’Italia, dalla Liguria al Veneto, dalla Sardegna alla Sicilia. Quello che manca, molto probabilmente, è una lettura del territorio non solo come immagine virtuale ma come stratificazione di azioni nel tempo: alla bidimensionalità delle immagini digitali si dovrebbe aggiungere la dimensione storica. La conoscenza infatti delle modificazioni operate dall’uomo sul paesaggio, le loro conseguenze sul lungo periodo dovrebbero diventare parte integrante della pianificazione e del progetto e non solo scomodi cappelli introduttivi alle relazioni delle VAS o degli strumenti di pianificazione. Questo ampliamento d’orizzonte, che ci avvicinerebbe all’interdisciplinarietà del mestiere progettuale, molto predicata ma poco praticata, può consentirci di esercitare un’azione sempre più consapevole sul territorio, più vicina, nello spirito più che nei mezzi, a coloro che ordinarono la realizzazione della carta topografica del territorio veronese.

ODEON

La mappa e il territorio


Cronache dalla Biennale 1. Il pubblico elemento

Una testimonianza dall’interno della macchina allestitiva della kermesse veneziana, con l’occasione di prendervi parte già durante il percorso universitario Testo: Matilde Tessari

Foto: Francesco Galli

Courtesy la Biennale di Venezia

Mi trovo a Venezia, in Biennale, e parlo tante lingue. Sul mio dorso sono affissi centinaia di manifesti, come se fossero una seconda pelle–così come si fa con quelli attaccati per le strade, incollati dagli attacchini in serie: sono delle stampe giganti di pubblicità, estratte dalle pagine delle riviste di architettura. Tutte queste pubblicità rappresentano gli elementi dell’architettura: solai, porte, ascensori, tetti, bagni, finestre, facciate, pavimenti. Sono il muro delle pubblicità e ho affisso su di me un pezzo di storia. L’obiettivo è raccontare una storia alternativa, quella dell’elemento dell’architettura, il pretesto è la pubblicità, lo strumento è la ricerca: nasce così il muro delle pubblicità, da una collaborazione tra la Biennale e lo studio OMA condotta attraverso lo Iuav, coordinata dall’architetto Manfredo di Robilant in stretto contatto con il curatore di Biennale 2014, Rem Koolhaas, con cui ha lavorato per la realizzazione di Fundamentals. In cinque mesi di ricerca, interessante e viva, il gruppo di ricerca ha cercato di raccontare attraverso le pubblicità l’elemento dell’architettura. È una storia che parte dalle riviste di settore, dai

primi numeri di periodici come Architectural Review, Casabella, El Croquis, Bauwel, L’architecture d’aujourd’hui, per citarne alcune, fino ai numeri più recenti. È una narrazione ampia e ricca, dilatata nel tempo, delle caratteristiche sociali, dell’evoluzione tecnologica, delle peculiarità nazionali e dello stile di rappresentazione degli elements. È la percezione di un mondo, di uno stato dell’arte restituito e svelato nelle istantanee commerciali. L’impatto è imponente e dà subito l’idea del gran lavoro di ricerca fatto sulle advertising a partire dallo sfoglio metodico delle riviste e da una scrupolosa catalogazione attraverso il mezzo fotografico: decine di migliaia di pubblicità archiviate per anno e suddivise poi per elemento, per arrivare a un quadro generale di evoluzione della specie. Dai primi ascensori Stiger degli anni ’30 in Casabella, al Linoleum gettonatissimo degli anni ’40, dall’isolante acustico e i controsoffitti Armstrong degli anni ’50 e ’60, all’approccio voyeur (con primi corpi nudi di donna) per vendere finestre Williams&Williams negli anni ’70, fino alle porte automatizzate Dor-o-matic degli anni ’80. Il panorama che emerge è una veduta che talvolta parla dell’elemento sponsorizzandolo attraverso le nuove

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«Advertising is based on one thing: happiness. And do you know what happiness is? Happiness is the smell of a new car. It’s freedom from fear. It’s a billboard on the side of a road that screams with reassurance that whatever you’re doing is OK. You are OK» (Don Draper, Mad Men, ser. 1, ep. 1) 2014 #03


03. Galoppatoio di Tor di Valle, Roma, 1958-1959, Julio Lafuente, Gaetano Rebecchini, Aicardo Virago

Cronache dalla Biennale 2. I resti di un miracolo

ODEON

01, 02. Immagini della sala introduttiva all’esposizione Elements of Architecture, curata da Rem Koolhas/OMA per la Biennale 2014.

Un percorso di ricerca legato all’ambito accademico trova un’importante occasione di visibilità elements of architecture introduzione Biennale di Architettura, Venezia 7 giugno - 23 novembre 2014 Padiglione Centrale progetto Manfredo di Robilant con Valeria Muffato e Matilde Tessari e con Silvia Dessenibus e Michela Tarzariol

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architetture del tempo, come le facciate a vetro dei grattacieli più innovativi; a volte ne comunica la tradizione, come i tetti a falda, per poi tornare all’innovazione, con i tetti piani; racconta di viaggi sulla luna, con ascensori che raggiungono elevate altezze, e di poltrone che schizzano, per l’ascensore dal massimo comfort. Ci spiega il bagno, con un vezzo

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tutto francese, con la tavoletta pratica, decorativa, confortevole e igienica: una ditta che da più di cent’anni ne fa gli impianti, ci dice che «Le temps donne raison à la fonte», mostrandoci i tubi in una sezione dell’edificio. Insomma, con le pubblicità ci si sporca davvero le mani, con tutta la polvere accumulata sui Domus che da anni non vengono consultati, e ci si fanno anche i muscoli, trasportando per la biblioteca pesantissimi carrelli pieni di Architectural Record, e poi ci si immerge un po’ in un altro tempo, immaginandosi il Don Draper di turno che pensa a uno slogan, o qualche creativo impegnato nell’elaborazione di un’immagine d’effetto. Non succede spesso di poter vivere in qualche mese, un secolo di storia.

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Testo: Vera Leanza

Foto: Federico Padovani

The remnants of a miracle

Gli anni cinquanta e sessanta in Italia furono un laboratorio attivissimo di sperimentazioni tecnico/costruttive, alimentato dal legame tra progettisti e intellettuali,

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che diedero corpo all’Italia del boom. Eni, Fiat, Olivetti e Pirelli, tra i tanti, cercavano figure strutturali potenti ma ariose, grandi curve, coperture ampie, pilastri ramificati, ariosità e leggerezza, una sperimentazione alimentata dall’energia della rinascita. Cosí nascono la copertura del Mercato dei fiori a Pescia (1948-1955), dove Gori e Savioli precorrono l’Alvaro


Siza del padiglione Expo di Lisbona ‘98, realizzando una tenda gonfiata dal vento; gli altissimi pilastri ad ombrello del Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi a Torino (1959-1961); le vetrate, i pilastri a sezione variabile, i telai a croce della copertura del Galoppatoio di Tor di Valle a Roma (1958-1959) di Lafuente, Rebecchini e Virago, realizzato in tempi record per le Olimpiadi di Roma del 1960. Spazi enormi ora vuoti, suggestivi per ciò che resta e per ciò che hanno vissuto, dei quali non si sa che fare: come le Cartiere Burgo di Nervi a Mantova, la Manifattura tabacchi a Bologna di Nervi e Bartoli, la Colonia estiva voluta da Enrico Mattei a Borca di Cadore, realizzata da Edoardo Gellner e Silvano Zorzi. Fantasmi di una grandiosa epoca, ora cattedrali al saccheggio. I Resti Di Un Miracolo. Luka invia la bozza di progetto, struggente e potentissima, che viene accolta dopo pochi trepidanti giorni di attesa. L’idea è chiara fin da subito e praticamente già definitiva. Luka autofinanzia il progetto che diventa interdisciplinare: due fotografi-videomaker, un architetto per l’allestimento, stampatori per la definizione dei supporti. Noi partiamo a girare. Non c’è retorica. Riprese descrittive, lo sguardo è di che entra in questi luoghi per la prima volta, con stupore e reverenza. Niente filtri, mosse lente, musiche ritmate per due minuti di racconto in cui abbiamo voluto portare dentro chi guarda. Lo stand non è solo supporto per le grandi stampe, ma paradigma di quell’architettura quasi sempre in calcestruzzo, che è sostanza ma anche estetica. Una tensostruttura

l’atlante iuav

appesa, in alluminio e cavi d’acciaio, con tubi neon a vista, stampe continue tese retroilluminate e monitor. Contenitore e contenuto, sintesi di temi di ricerca partiti da lontano.

Da questo approccio nasce un estesissimo database, http://atlante. iuav.it, ancora in espansione, in cui vengono schedati gli edifici per progettista, tipologia architettonica, tipologia strutturale, anno, luogo. Ciascuna scheda offre materiale coevo all’epoca di costruzione dell’edificio: foto, testi e bibliografia correlata alle straordinarie riviste di progetto. Federico incontra Marko e Luka per avviare il progetto di tesi che da subito si innesta sul progetto Atlante con l’idea di rendere più attuale e ricca la minuziosa ricerca già in atto: indagare lo stato di conservazione attuale di quegli edifici di cui non si hanno notizie recenti, georeferenziandoli. Tutto questo materiale, circa 2600 scatti per 65 edifici tra Recoaro, Montecchio Maggiore, Milano, Firenze, Pietrasanta, Pescia, Pistoia

La concezione strutturale

Nel 2008 il PRIN finanzia un progetto di ricerca dal titolo “La concezione strutturale. Ingegneria e Architettura in Italia negli anni cinquanta e sessanta: una ricerca multidisciplinare”, in collaborazione con i Politecnici di Milano e Torino, l’Università degli studi di Udine e l’Università degli Studi Roma Tre. L’unità locale di Venezia affronta il tema della ricerca strutturale nell’architettura italiana degli anni cinquanta e sessanta da un doppio punto di vista: da una parte ricostruendo il quadro socio-economico dello sviluppo dell’industria delle costruzioni e, dall’altro, sottoponendo manufatti edilizi, progetti di concorso, testi teorici e pubblicazione manualistica a una analisi volta ad individuare le figure tecniche che, elaborate dalla ricerca strutturale, vennero poi impiegate dall’architettura al fine di promuovere un processo di rinnovamento del proprio linguaggio. Il team di ricerca Iuav è coordinato dal prof. Marko Pogacnik con Luka Skansi, che da tempo rivolgono attenzione a questo tipo di architettura; Luka in particolare cerca con passione di proporre i temi della ricerca storica in modo più divulgativo e di ampia fruibilità, cercando di cambiare il linguaggio della ricerca.

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#51 Torre Velasca Milano, 1950-58

architetto: ingegnere: tipo edilizio: tipologia strutturale: sistema costruttivo:

L. Barbiano di Belgiojoso, E. Nathan Rogers, E. Peressutti Arturo Danusso grattacielo, edificio per abitazioni e uffici pilastro a sezione variabile, puntoni, nervature incrociate, pilastro a T c.a., prefabbricazione

“Le strutture verticali comprendono un nocciolo centrale (scale+vani ascensore) ed una serie di 16 pilastri perimetrali a sezione trilobata, che appoggiano su una fondazione scatolare, coincidente con il secondo piano interrato. Di notevole problema statico il sistema dei puntoni che reggono, con 3,2 m di sporgenza, gli ultimi 7 piani e i volumi tecnici. I piloni legano insieme le due parti, si inclinano in corrispondenza dell’aggetto staccandosi dalla facciata per poi tornare verticali – un sistema di tiranti lega il sistema di pilastri. La struttura è stata calcolata in parte con la verifica pratica sui modelli eseguite dall’ISMES di Bergamo. I pilastri perimetrali cambiano sezione: al piano terra la sezione è quadrata perché permette gli ingombri minimi verso l’esterno. Dal terzo piano la sezione è a T: la nervatura verso l’esterno resta a vista nel volume superiore alle abitazioni. Un intonaco grezzo in graniglia di marmi rosati veronesi riveste la struttura cementizia mentre i pannelli prefabbricati inglobano frammenti di klinker rossi e gialli a loro volta legati da graniglia di marmi veronesi - le murature di riempimento e i pilastrini sono prodotti fuori opera.”

Testo tratto da: Tre problemi di ambientamento, “Casabella”, 232, ottobre 1959, pp. 4-24; G. Samonà, Il grattacielo più discusso d’Europa: la Torre Velasca a Milano; L’ossatura della Torre Velasca, “L’architettura cronache e storia”, 10, febbraio 1959.

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e Roma entra a far parte non solo del progetto di tesi (in cui si ipotizza di implementare la schedatura degli edifici ispirandosi ai principi del crowdsourcing) ma diventa una mostra, “Atlante Iuav”, composta da 65 tavole in formato A0 che raccontano per immagini, piante, testi e uso di QR code il succo della ricerca, accompagnata dal volume “La concezione strutturale. Ingegneria e architettura in Italia negli anni cinquanta e sessanta”, edito da Allemandi nel giugno 2013. Collaborando alla realizzazione della mostra emerge il desiderio di far uscire i temi di ricerca dal solo ambito accademico, si parla spesso di questa tematica e di come queste architetture meravigliose siano sconosciute e poco valorizzate.

Federico mostra a Luka e a Marko un lavoro realizzato alcuni anni prima all’interno dell’area degli ex Magazzini Generali di Verona, in cui le riprese video raccontano la poesia e la bellezza di questi luoghi che attendono una destinazione. monditalia

Per la Biennale di Architettura 2014 viene nominato curatore Rem Koolhaas/OMA che, nell’ambito generale del tema Fundamentals, destina gli spazi delle Corderie a Monditalia. Quarantuno ricercatori italiani tra i trenta e i quarant’anni sono invitati a raccontare l’Italia secondo una scansione geografica del territorio e della società italiana.

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ODEON

Lungo il percorso, accompagnato dalla Tabula Peutingeriana che nel V secolo d.c rappresentava l’Italia posta al centro di un impero senza confini, si snoda il racconto di un paese con molte storie da raccontare: non modelli o render, ma tanta architettura raccontata con strumenti altri: grafica, video, interaction design, danza e teatro si esaltano nel racconto dello stato corrente dell’Italia. Lungo tutto lo spazio delle Corderie, oltre alla Tabula, corre un secondo percorso fatto di spezzoni di film italiani dagli anni cinquanta a oggi, che insinua continuamente la domanda “a che punto siamo?” Le sequenze entrate nell’immaginario collettivo mondiale, del passato e recenti, e gli spettacoli di teatro e danza che si alternano nell’allestimento fanno riflettere con grande amarezza sulla condizione attuale. Durante il vernissage, su un palco, un uomo con un cappello d’asino, cieco, danza battendo i piedi; una ragazza si rotola, sola, lungo il perimetro di un palco, come sul filo di un precipizio; si assiste ad una crocifissione, poi una rappresentazione della Pietà. In quest’ordine esatto. Molto toccanti, ma soprattutto molto amare. Viene spontaneo chiedersi se davvero è tutto così corrotto. La nota positiva sono i soggetti coinvolti, le università e i ricercatori; penso sia positivo il linguaggio scelto per raccontare l’Italia e credo che la necessità di documentare lo stato attuale e passato serva a mettere un punto da cui partire o ripartire. The Remnants Of A Miracle è stato selezionato per ArquiteturasFilmFestival Lisboa 2014 e Archfilmlund 2014

the remnants of a miracle i resti di un miracolo Biennale di Architettura, Venezia 7 giugno - 23 novembre 2014 Padiglione Monditalia progetto Luka Skansi allestimento Marcello Fodale video Federico Padovani, Vera Leanza fotografie Luka Skansi, Marko Pogacnik, Federico Padovani, Vera Leanza

04. Cartiera Burgo, Mantova, 1961-1964, Pier Luigi Nervi, Gino Covre. 05. Una tavola della mostra Atlante Iuav. 06. The Remnants of a Miracle allestita negli spazi delle Corderie all’Arsenale di Venezia.

Links www.theremnants.it atlante.iuav.it www.doyoumeanarchitecture.com www.archfilmlund.se


Interiors:

Here comes the Sun

Un interno commerciale declina nel caso veronese gli elementi di un progetto coordinato per il marchio di abbigliamento Progetto: C&P Architetti Luca Cuzzolin + Elena Pedrina* Testo: Giuseppe Di Bella Foto: Luca Casonato

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Un prestigioso contenitore commerciale al piano terra nel centro storico di Verona, alle spalle dell’Arena, è trasformato in un qualificato showroom per Sun68, azienda italiana di abbigliamento casual. Questo intervento si inserisce in una serie di progetti realizzati dallo studio Cuzzolin&Pedrina, con sede a San Donà di Piave nel veneziano, per il medesimo marchio: dallo stabilimento di Noventa di

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Piave al flagship store di Jesolo del 2009, ad altri negozi realizzati nel 2014 (Bergamo, Padova, Forte dei Marmi, Brescia). L’esempio veronese rivela come gli elementi pensati in maniera coordinata per la filosofia del brand siano declinati sulle caratteristiche dello spazio a disposizione: un vano a pianta rettangolare su un unico livello, con un magazzino interrato collegato da una scala a chiocciola, con un’unica grande vetrina e una sequenza di finestre sui due lati opposti. L’intento primario è stato quello di pensare a un sistema compositivo semplice, capace di rispondere alle esigenze funzionali ed espositive. Liberando lo spazio interno da una serie di superfetazioni e “scarnificandolo”, sono state riportate alla luce le caratteristiche architettoniche originarie, sulle quali è iniziato il processo di ricostruzione e allestimento che lascia però in evidenza le strutture murarie. Elemento del tutto nuovo e caratterizzante è un volume completamente rivestito di specchi che, posto di fronte all’ingresso, si propone come una sorta di nuova facciata interna, accogliendo i camerini e scavandosi da un lato a formare la zona cassa. Tutti i nuovi elementi di arredo per l’esposizione dei prodotti sono stati realizzati

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* Collaboratore: Valentina Cendron Realizzazione: G&G Arreda Impianto: Selco Impianti

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in modo tale da non ostruire la visione della struttura architettonica del negozio: anche attraverso gli espositori a parete si può apprezzare l’originaria muratura in pietra. Come pure i cubi in plexiglas trasparente che, visivamente leggeri, facilitano la prospettiva del pavimento in parquet industriale a listelli grezzi. Il controllo della luce, artificiale e naturale, grazie alla posizione elevata delle finestre, valorizza l’esposizione degli arredi e dei prodotti: un controllo espositivo di tipo museale, fatto salvo il paragone azzardato tra t-shirt e opere d’arte. La parte superiore delle pareti e il soffitto sono colorati con una tinta grigia, che crea uno sfondato uniforme su tutti gli elementi (sono stati addirittura mantenuti i fori del vecchio impianto elettrico). Il bianco della parte inferiore delle

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pareti copre ed evidenzia di contro la plasticità delle strutture murarie: un fondale neutro in grado di valorizzare i prodotti in vendita.

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01, 02. Campo e controcampo del vano del negozio evidenziano lo sviluppo longitudinale. 03. Pianta e sezione. 04. Veduta della vetrina dal lato interno. 05. Il volume rivestito di specchi posto in prossimità dell’ingresso, conm l’angolo per la cassa in primo piano.


Territorio Pare Tutto Come Prima: l’ultimo Piano provinciale?

Territorio

Cronistoria e prospettive di uno strumento pianificatorio alla luce del mutato quadro istituzionale dell’ente territoriale che lo ha emanato

Testo: Berto Bertaso

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Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) della provincia di Verona è stato adottato 1, da ormai più di un anno, dal Consiglio provinciale con Delibera n. 52 del 27 Giugno 2013. L’evento in se stesso parrebbe storico, soprattutto in riferimento al più che ventennale iter tecnico-amministrativo dello strumento urbanistico, se nel contempo non assumesse invece un significato quasi paradossale nelle attuali temperie istituzionali che vedono, eufemisticamente, un forte ridimensionamento dell’ente provincia 2 . A inizio autunno si svolgeranno difatti le elezioni provinciali con le nuove modalità 3 stabilite nella L. 56/2014, la cosidetta legge Delirio, pardon, Delrio! La legge disciplina inoltre transitoriamente, in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione, il funzionamento delle province; tuttavia, se si dovesse, rileggere l’art. 114 si potrebbe agevolmente anticipare che, già da ora, la Repubblica si ripartirà solo in regioni e comuni... e un po’ anche nelle nuove dieci città metropolitane. Storiche province 4, adieu? Sembrerebbe questo un dato ineluttabile, ancorchè pesantemente viziato sia di forzatura pseudo riformatrice sia d’immancabile demagogia politica/mediatica: ma perché mai “buttare via il bimbo provinciale con l’acqua sporca dei suoi demeriti”, non di certo superiori comunque a quelli dei comuni e soprattutto a quelli, ipertrofici, regionali? È pur vero che le province di acqua sporca in questi ultimi decenni ne hanno prodotta non poca, basti pensare agli innumerevoli sprechi e inefficienze a loro contestate. Ma è altrettanto vero che l’ente provincia, ancorché penalizzata

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da un rilevante deficit di visibilità tra la cittadinanza, costituirebbe potenzialmente, nell’architettura istituzionale italiana, un trait d’union fondamentale fra i quasi millenari comuni e le “puerili” regioni. Il PTCP nello specifico, in senso urbanistico svolgerebbe appunto questa strategica funzione di raccordo fra il Piano Territoriale di Coordinamento Regionale (PTRC) e i Piani Comunali (PAT e PI), correggendone l’eccessiva atomizzazione pianificatoria. Certo che se per redigere un piano urbanistico, non ancora attua-

bile, abbiamo dovuto attendere circa un ventennio, con un probabile inimmaginabile investimento finanziario, non si è fatto altro che autoalimentare, a fondo perduto, gli argomenti, a volte vuoti, dei propri detrattori! Ma questo PTCP veronese ancora da approvare che fine farà? Dal “rottamatore” nazionale, che di pianificazione provinciale se ne intende, l’auspicabile non scontata risposta! Questo contingente contesto di incertezza sul destino generale della pianificazione provinciale è altresì sintomatico della annosa difficoltà, tutta italiana, d’individuare e dare

01. Fumane, Villa Della Torre Cazzola e i vigneti. Foto Archivio Provincia di Verona, Turismo - F. Zanetti 02. PTCP, Tav. 1, Carta dei Vincoli e della Pianificazione Territoriale. 02

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funzionalità propria alla pianificazione sovracomunale, quale evidente e naturale premessa a quella degli strumenti comunali 5: ma questa è un’altra storia ancora... Detto questo, è opportuno e doveroso tuttavia dar conto di quest’ultima versione del PTCP se non altro per rendere merito all’importante lavoro svolto dal gruppo di progettazione interno all’ente che ne ha curato la redazione, avvalendosi di contributi esterni solo in materie specialistiche 6. Questa nuova versione del piano ha la sua caratteristica precipua nell’aver individuato nella specifica norma urbanistica 7 – l’art. 22 della LRV 11/2000, Contenuti del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) – la stella polare per orientarsi nella redazione dello strumento urbanistico, e di averla seguita con rigore. Significativa di tale impegno è la Relazione di Sintesi, che riporta, in apposite tavole sinottiche, il sistematico e puntuale recepimento all’interno della pianificazione dei contenuti dell’art. 22. Tutti i dati cartografici trovano inoltre sistematico e biunivoco rimando nelle norme di attuazione, che conferiscono un alto livello di organicità e intelligibilità all’intero piano. La cartografia è, in tal senso, la coerente restituzione grafica del metodo e si caratterizza in cinque tavole ordinate in due principali sottoinsiemi. Il primo è definito dalle Carte dei Vincoli e della Pianificazione Territoriale (1) e delle Fragilità (2), che rappresentano, quale una sorta di grande PAT provinciale a scala 1:50.000, tutte le invarianti (di natura geologica, geomorfologica, idrogeologica, paesaggistica, ambientale, storicomonumentale, architettonica, etc.).


Territorio

Nella Tav. 1 sono censite le aree soggette a tutela, la Rete Natura 2000 e la pianificazione sovraordinata (essenzialmente il PTRC), nella Tav. 2 le aree soggette a dissesto geologico e le fragilità ambientali. Il secondo sottoinsieme riunisce i Sistemi Ambientale (3), I n s e diativo-infrastrutturale (4) e del Paesaggio (5), che costituiscono invece uno strategico momento organizzativo, dove i dati territoriali vengono recepiti e ordinati tematicamente in veri e propri network progettuali: è il caso, esemplificativo, dell’identificazione delle cosidette Reti Ecologiche (Tav. 3) dove tutti i biotopi, habitat naturali e seminaturali, ecosistemi, etc., trovano un’organica sistematizzazione territoriale, così come le aree di potenziale rinaturalizzazione (gli ambiti agricoli intensivi o ambiti naturali residuali fortemente penalizzati, quali quelli di risorgiva), dei Sistemi Residenziale, Produttivo ed Infrastrutturale (Tav. 4), degli Attributi del Paesaggio (Tav. 5). In questo caso, tuttavia, gli Iconemi 8 , i Contesti Figurativi e i Landmark risultano insufficientemente tradotti, nella loro alta valenza simbolica, per dar loro un immediato riscontro sul territorio. Emerge inoltre forte e significativo l’intento del piano di dare un supporto importante alla pianificazione comunale, cronicamente viziata da un’autarchica visione urbanistica spesso altresì priva di una qualsivoglia prospettiva oltrepassante i propri limiti amministrativi, ma non solo. Bene dunque la volontà di questo nuovo piano provinciale di aver scientemente cambiato strada, abbandonando una velleitaria e gattopardesca programmazione urbanistica totale: “pianificare tutto per pianificare poco o nulla!”. Atteggiamento questo al

Territorio

vero assai diffuso anche a livello regionale e inteso spesso, fino ad un recente passato, quale prefigurazione e rivendicazione/assunzione di nuove possibili e future competenze politiche, tecniche ed ammininistrative. Competenze che a questo punto non arriveranno più, anzi si ridurranno drasticamente. Rimane invece l’auspicio che questo PTCP possa essere significativamente approvato, primo fra gli ultimi. anche dal nuovo assetto istituzionale dell’amministrazione provinciale, formato da tutti i sindaci e i consiglieri provinciali, che potranno in tal modo consapevolmente usufruire di un supporto qualitativo fondamentale per una corretta pianificazione del territorio veronese.

03. PTCP, Tav. 1, Pianificazione di livello superiore. Perimetro dei Piani d’Area. 04. PTCP. Tav. 3, Sistema ambientale.

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1 Già un precedente piano provinciale (ai tempi denominato piano territoriale provinciale, PTP) era stato adottato con deliberazione consiliare n. 27 del 10 aprile 2003, ed era stato restituito dalla Regione Veneto il 17.9.2004 per la sua rielaborazione. 2 Nel testo Del. n. 52 del 27 giugno 2013 si ipotizza un annullamento della stessa adozione del PTCP nell’eventualità di un declassamento in ente territoriale di secondo livello con la conseguente perdita della capacità politica di governo dello strumento urbanistico. 3 Il presidente e i consiglieri della provincia verranno così eletti con voto ponderale, in riferimento al dato demografico comunale, dai rispettivi sindaci e consiglieri dei comuni di ciascuna provincia. 4 L’istituzione delle province, sulla falsariga dei Départements francesi, è da collocarsi negli anni che precedono l’Unità d’Italia. Fu Urbano Rattazzi (1808-1873) nel 1859 che propose il nuovo ordinamento amministrativo del Regno Sabaudo fondato su comuni e province. Nel

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1947, con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, i costituenti le confermarono inserendole nella Carta Costituzionale. Nel 1970 il parlamento italiano decise di affiancare ai comuni e province una nuova istituzione: le regioni a statuto ordinario. Fu proprio in quegli anni che, buon primo, Ugo La Malfa propose l’abolizione delle province. Verso la fine degli anni ’90, il tema si riaffacciò con il paradossale risultato di un’abolizione sì, ma del loro limite minimo di 200.000 abitanti e con la costituzione di nuove province, la maggior parte delle quali conosciute a malapena dai propri residenti! 5 La Legge urbanistica generale n. 1150 del 1942 prevedeva due distinti livelli di pianificazione: quello comunale e quello sovracomunale. Il primo comprendeva i piani regolatori comunali e i programmi di fabbricazione, mentre il secondo i piani territoriali di coordinamento e i piani intercomunali. Il piano territoriale di coordinamento doveva essere compilato a cura del Ministero dei Lavori Pubblici e approvato d’intesa con le

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amministrazioni interessate, e fissava direttive generali da seguire nel loro territorio di competenza. I comuni erano tenuti ad uniformare il loro PRG al Piano Territoriale approvato. Il Piano intercomunale era invece disposto dal Ministero dei Lavori Pubblici di propria iniziativa o su richiesta di un comune, e veniva redatto da un comune incaricato, pubblicato e adottato da tutti i comuni interessati. Nessun piano sovracomunale venne mai approvato. 6 Il gruppo di progettazione è formato da Gianluigi Scamperle (capo progetto), G. Borini, D. Ferrari, E. Gasparrini, L. Ghidini, A. Sala, G. Scarsini, con la collaborazione di P. Tertulli e P. Zecchinelli e con il coordinamento della Dirigente di settore Elisabetta Pellegrini. I contributi esterni sono del Museo Civico di Storia Naturale, Università di Verona – Dip. di Scienze Economiche, Studio Nucci & associati, Agenda 21 Consulting s.r.l, Dip. ARPAV di Verona, Studio Legale Barel Malvestio & associati. 7 L.R. 23 aprile 2004 n. 11 (BUR n. 45/2004), Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio, Capo II. Pianificazione provinciale per il governo del territorio, art. 22. Contenuti del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP). 8 L’indimenticato Eugenio Turri descrive bene il concetto di iconema in “Il paesaggio come teatro” (Marsilio, 2001): “Nel suo operare la percezione coglie prioritariamente certe immagini, le fissa, le memorizza, ne fa delle immagini portanti dell’intera visione. Queste immagini di cui si compone il paesaggio sono gli iconemi”.


Montresor & Arduini a Bussolengo

Testo: Cecilia Pierobon

Cura: Francesca Rebesani

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PARETE MOBILE

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PARETE MOBILE

“L’architettura è un pretesto. Importante è la vita, importante è l’uomo.” Così parlava Oscar Niemeyer, maestro tra gli architetti del XX secolo. La riflessione che si può trarre da questa semplice affermazione racchiude una grande verità: non può esistere architettura che prescinda dall’uso che l’uomo può farne, e dalla vita che si svolge al suo interno. Questa indiscutibile premessa si presta a raccontare le opere dello Studio Associato Montresor & Arduini: attraverso un’analisi anche sommaria delle numerose realizzazioni emerge infatti come, sia nelle scelte morfologiche che nell’attenzione per i dettagli e le finiture, la cura dei progettisti risulti diretta alle esigenze d’uso e di pieno godimento di luoghi e ambienti. Nato nel 2002 dopo alcuni anni di collaborazione tra il più maturo Ferdinando Montresor e il più giovane Fabio Arduini, lo studio pone le sue basi su una precedente esperienza professionale, sorta a Bussolengo nel 1972 come naturale proseguimento di un comune percorso universitario di tre amici. Senza tentennamenti, favoriti da una rete di conoscenze nell’ambito del paese e da una situazione economica allora in piena espansione, che trovava proprio nello sviluppo edilizio la sua espressione più eclatante, il Gruppo3 – questa era la denominazione originaria, formata dai tre

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pianta piano terra scala 1:250 1. sezione 2. spogliatoio 3. servizi 4. dormitorio 5. attività libere


neoarchitetti Loi, Montresor e Savorelli – dopo uno di questi, l’architetto Fabio Arduini, viene una cospicua produzione di opere di vario genere creato il nuovo studio associato. Attualmente, durata per più di un decennio, culminata nella oltre ai titolari, lo studio si avvale della progettazione della nuova Chiesa di Cristo Risorto collaborazione costante dell’architetto Katre a Bussolengo, nel 1986 si è di comune accordo Kuller e saltuariamente di quella degli architetti smembrato, dando origine a tre studi autonomi. Stefano De Rossi e Michele Irlandini per la parte Uno di questi, esecutiva, oltre a quella « L’ultimo decennio ha visto nascere del perito agrario Giusto quello dell’architetto le realizzazioni più interessanti, Ferdinando Montresor, Variara specificatamente ha proseguito dedicata alla laddove a un più approfondito e l’attività nella sede paesaggistica ed alla critico approccio progettuale si è storica, contando progettazione di parchi aggiunta una cura quasi maniacale e giardini. sulla collaborazione di alcuni giovani e Oggi lo studio del dettaglio costruttivo » valenti neolaureati. prosegue l’attività Un nuovo lungo periodo di lavoro, protrattosi prevalentemente a livello provinciale e regionale, fino ai primi anni del nuovo millennio, ha con alcune divagazioni caraibiche. L’ambito ulteriormente evidenziato le capacità professionali di intervento abbraccia le principali tipologie dei collaboratori a tal punto che, nel 2002 con di progettazione, dal residenziale al restauro, dall’architettura degli interni all’urbanistica, dall’edilizia scolastica a quella direzionale e commerciale. Operativi principalmente per la committenza privata, non mancano alcune opere pubbliche di rilievo, quali ad esempio la nuova casa di riposo di Bussolengo, il restauro della chiesa di Castelrotto e la scuola materna di Balconi di Pescantina (2003-07): un’architettura dalla interessante complessità planivolumetrica, la cui razionale organizzazione interna, imperniata sulle attività che quotidianamente si svolgono nell’edificio scolastico e incentrata sull’ampio atrio centrale, viene scandita da blocchi geometrici ben distinti, consentendo una lettura dell’insieme al contempo facile e suggestiva. I dormitori dei bambini,

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207,2

27,0

+910

VESPAIO AREATO H cm 30 - 40

+740

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20,035,0

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+166 COPERTURA IN ALLUMINIO VERNICIATO COLORE VERDE MONTATO SU STRUTTURA IN LEGNO MASSICCIO E FERRO CON INTERPOSTA COIBENTAZIONE TERMICA

-24 -50

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R = 486 438,6

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324,6

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+668 +621 +960

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+555

+555 +480

PROSPETTO NORD-EST

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04 +202 +159

PROSPETTO NORD-EST

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401,5 33,0

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240,0 15,8 30,7 26,0

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+740 +260

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COPERTURA IN ALLUMINIO VERNICIATO COLORE VERDE MONTATO SU STRUTTURA IN LEGNO MASSICCIO E FERRO CON INTERPOSTA COIBENTAZIONE TERMICA

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±0

SEZIONE C-C

R = 486

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240,0 29,9 19,5 30,0 60,5 34,5

15,8 30,7 26,0 -50

TERRENO ATTUALE

TERRENO ATTUALE

+910

401,5

19,5 30,0 60,5 34,5

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350,1

SEZIONE C-C

40,3

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10,1 40,0 350,1

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+549

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+590

+445

VESPAIO AREATO H cm 30 - 40

TERRENO ATTUALE TERRENO ATTUALE

+555

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+590

153,2

+703

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-24 -50

01. Lo studio al lavoro, in alto, e pianta della Scuola materna di Balconi. 02-04. Scuola materna di Balconi di Pescantina: interno dei dormitori, veduta esterna, sezione e alzato.


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pianta piano primo scala 1:250

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13. camera 14. bagno 15. terrazza 16. ripostiglio

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pianta piano terra scala 1:250

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1. ingresso 2. sala TV 3. salotto 4. sala pranzo 5. cucina 6. salotto esterno 7. piscina 8. zona barbeque 9. camera 10. lavanderia 11. bagno 12. garage

C

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05. Villa a Santo Domingo. Pianta piano terra e primo. 06-09. Villa a Santo Domingo. Schizzo di studio, veduta dalla piscina e controcampo dal soggiorno, veduta dal fronte di accesso.

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in posizione marginale rispetto alla centralità dell’impianto, sono caratterizzati dalla copertura a mezza volta in legno naturale e dalla luce soffusa, creando un ambiente intimo e raccolto, una sorta di guscio avvolgente a protezione del sonno dei piccoli. Un analogo gioco di volumi e gerarchia funzionale degli ambienti è riscontrabile nella progettazione di ville unifamiliari, sia nei progetti locali, come Villa VL a Sona (2009- in progress), sia nell’esempio “fuori dalle mura” della villa a Santo Domingo (2009-10). In entrambi i casi, è il contesto – nelle sue rispettive valenze – ad essere privilegiato: dallo studio dell’orientamento e delle vedute sull’intorno nascono edifici che si caratterizzano per l’articolata scansione di elementi prismatici, accostati e diversificati per finitura esterna. Nell’isola caraibica, su di un lotto all’interno di un golf club, l’alternanza di volumi chiusi e ampie aperture, oltre a creare un dialogo espressivo con le emergenze paesaggistiche e un adeguato controllo

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climatico, consente una facile lettura degli ambiti d’uso: la zona giorno si caratterizza per la predominanza delle partizioni vetrate che consentono un serrato dialogo con il giardino e la piscina, mantenendo i vani accessori in posizione arretrata rispetto al fronte principale. L’ultimo decennio ha visto nascere le realizzazioni più interessanti, laddove, a un più approfondito e critico approccio progettuale, si è aggiunta una cura quasi maniacale del dettaglio costruttivo e decorativo, normalmente applicata nell’approccio costruttivo e ancor più dettagliata nei numerosi interventi

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10-11. Villa VL a Sona. Veduta del cantiere e schizzo di studio. 12-14. Uffici Edilnord, Bussolengo. Vedute degli allestimenti interni.


15. Palazzo Sampò. Bussolengo. Veduta interna della cucina. 16-17. Disegni costruttivi e veduta della zona benessere.

295,0 95,4

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71,7

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CENTRO STANZA

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porta in vetro temperato sp. mm 10

213,2

258,3

29,9

pannello ispezionabile

(foto Bonomo)

65,0

251,6

20,7

48,6

11,5

37,3

61,1

+4,317

61,1

20,7

41,4

19,7

19,7

17,2

D7 P.F. +4,12

2,5

10,0

13,6

81,8 95,4

83,0 96,6

295,0 487,0

13,6

scala 1:20

PROSPETTO

scala 1:20

SEZIONE G-G

D1

35,0 2,0

2,0 31,0

cerniera oleodinamica BILOBA UNICA

cerniera oleodinamica BILOBA UNICA 487,0

56,8

71,5

G

H

PROSPETTO

vetro temperato sp. mm 10 fisso

85,9

295,0 73,8 69,3

2,0

73,8 71,8

73,8 71,8

2,0

73,8 69,3

2,0

3,5

82,9

cassetto

cassetto

29,1

cassetto

4.12

cassetto

13,6

16,5

81,8

2,0

5,0

8,0

2,5

P.F.

E

cassetto

487,0

2,0

3,0

CENTRO STANZA

82,7

65,1

cassetto

37,0 43,0

78,3 82,3

3,5

16,7 4,0

D6

36,9

D4

142,0

188,0

56,1 61,1

+4,731

3,0

cassetto

190,0

65,0

4,524

49,6

140,2

7,0

2,0

16,5

95,5

48,6 41,6 36,1 3,5

13,6

VASCA HAFRO - BOLLA 190

8,0

213,2

3,0

3,5

foro passante D=mm 6 superiore D=mm 12 inferiore

E

E

cassetto

251,6 82,7

cassetto

VASCA HAFRO BOLLA

scala 1:20

SEZIONE H-H

109,7

22,9

piatto sp. mm 5

95,0

86,2

95,0

4.317

3,5

52,5

cassetto

52,5 37,0 3,0

41,4

cassetto

33,9

2,0

188,0 114,6

41,4

D5

4.317

295,0

3,0

cassetto

VASCA HAFRO - BOLLA 190

tubolare 60x80x3 listello mm 40x40

cassetto

146,0

117,2

30,3

65,0

19,7

19,7

2,0

D6 P.F.

F

F

233,5

35,0

4.524

4.317 6,0

scala 1:20

137,0

213,5

4.12

ZOCCOLINO IN MARMO CHIARO H =cm 19,7 tubolare 40x40x3 147,5

137,9 D7

D7

ZOCCOLINO IN MARMO CHIARO H =cm 19,7

90,0

SEZIONE E-E

147,5

50,0

50,0

50,0

10,8

50,0

50,0

marmo scuro superficia spazzolata e fiammata sp. mm 2

scala 1:20

16

di arredo d’interni, tra cui alcuni di spazi per il terziario (edificio commerciale Blu Ice a Pescantina, uffici Edilnord e Agenzia Immobiliare RB a Bussolengo). Nel restauro di palazzo Sampò a Bussolengo (2010-2013), l’edificio sette-ottocentesco, già oggetto di consistenti manomissioni, è stato recuperato nello schema tipologico generale con l’inserimento di una nuova scala-ascensore, e introducendo negli ambienti interni un linguaggio legato al vivere contemporaneo. Nell’ampio giardino del palazzo, cintato da alte mura, sono state conservate le essenze di pregio, inserite entro un articolato disegno di percorsi che ricomprende gli accessi, una fontana, la piscina trattata come una vasca ornamentale e un padiglione-barchessa.

17

— 78

40,4

2014 #03

G

parete doccia

H

15

50,0

P.F.

TECE DRAINLINE con inserto piastrellabile L = cm 90

SEZIONE F-F

50,0

41,4

50,0

D6 17,2

20,7

3,9 4,0

4,0

3,9

19,7

19,7

20,7

20,7

489,0 37,8

F


1 D = mm10

D = mm 25 16,7

2,0

8,6

1,7

3,7 0,8

1,2

3,0

PIANTA

15 maschiatura in legno

tavola in abete finita come trave

smussatura mm 3

9,1 4,6

15

marmo chiaro barra filettata inserita con resina nel marmo

6,0

2,0

15,1

3,1 2,0

5,0

15

6,5

0,8

marmo scuro superficia spazzolata e fiammata sp. mm 2

9,0

14

guaina PVC

0,8

3,0

0,8 0,1

1,4

3,0

2,2

2,0

4,0

9,0

4,0

spessore mm 8

7,6

21,7 19,7

7,6

16

rinfianco in malta

16,7 4,0

16

trave in legno

2,5

trave in legno

pianta piano secondo scala 1:250 14. sala giochi 15. camera 16. bagno

18-19. Palazzo Sampò, Bussolengo. Vedute dall’interno e dall’esterno della barchessa in relazione al giardino. 20. Piante dei piani terra, primo e planimetria generale. 21. Ferdinando Montresor. 22. Fabio Arduini.

3,7

DETTAGLIO D7

1:5

15

cerniera oleodinamica BILOBA UNICA

15

16

porta in vetro temperato sp. mm 10

1

cerniera oleodinamica BILOBA UNICA

PROSPETTO

SEZIONE 1-1

DETTAGLIO D3

scala 1:2

2,5

tavola in abete

cerniera oleodinamica BILOBA UNICA

3,0

3,0

2,0

95,3 81,8

45,0 13,6

12

2,0

4.731

95,9

4,5

4,5

95,5

6,5

6,5

295,0

4,0

4,0

2,0

piatto mm 2

tubolare 60x80x3 tubolare 60x60x3

96,3

2,0

tubolare mm 10x40x2

rubinetteria HAFRO-PRESTIGE

4.12 cerniera oleodinamica BILOBA UNICA

10,0

16,0

G

H

9,5

trave in legno

13,6

82,6 1,2

4,0

9

vetro temperato sp. mm 10

75,6

98,0 163,8

167,8

1,0

sezione

R=

10

18

79,5

prospetto

DETTAGLIO D1 quantità 4 E

94,0

8

pianta piano primo scala 1:250 8. palestra 9. studio 10. antibagno padronale 11. zona relax 12. camera matrimoniale 13. guardaroba

VASCA HAFRO BOLLA vetro temperato sp. mm 10 1,0

bordo vasca HARFA - BOLLA 84,6

3,5

1,4

4.317

13

2,0

24,2 156,0

D5

4.317

11

62,9

tubolare in acciaio inox mm 60x80x3

piatto sp. mm 5

147,5

D6

30,7

pianta piano secondo scala 1:250 14. sala giochi 15. camera 16. bagno

1,8

8,0

62,0

saldatura lamiera piegata per fissaggio vetro sp. mm 2

PANNELLO ISPAZIONABILE

8,0

86,2

4.731

PANNELLO ISPAZIONABILE

147,5

233,5

65,0

30,7

15

tubolare 40x40x3

16

F

16

15

SUPPORTO METALLICO OGETTO DI DIVERSA FORNITURA- DA NON REALIZZARE

15

6,0

DETTAGLIO D4

35,0

4.524

90,0

4.12

14 tubolare mm 40x40x3

tubolare mm 40x40x3

15

7,5

2

2,0

piatto sp. mm3

5

1,5

1,5 2,0

G

H

15

16 piatto sp. mm3

TECE DRAINLINE con inserto piastrellabile L = cm 90

3

pianta DETTAGLIO D6

7

12 9 10

8

4

6

pianta piano primo 1 scala 1:250 8. palestra 19 9. studio 10. antibagno padronale 11. zona relax 12. camera matrimoniale 13. guardaroba

21

planimetria generale scala 1:500 A - villa B - barchessa C - piscina

B 11

pianta piano terra scala 1:250 1. ingresso 2. cucina 3. retrocucina 4. soggiorno e sala pranzo 5. sala TV 6. sala biliardo 7. bagno

13

C

3

2 5 7

4

pianta piano terra scala 1:250 1. ingresso 2. cucina 3. retrocucina 4. soggiorno e sala pranzo 5. sala TV 6. sala biliardo 7. bagno

A

6 1

20

22

planimetria generale scala 1:500 A - villa B - barchessa C - piscina

B

98

— 79


{DiverseArchitetture}

“E se provassi a...?”

La nascita di una società di artigianato digitale, Plumake, dalla tenacia di un gruppo di giovani e la rete aziendale del loro territorio

Testo: Dalila Mantovani Foto: Lorenzo Linthout

Nome plumake Luogo grezzana Attività ARTIGIANATO DIGITALE Contatto www.plumAKE.IT

01

— 80

2014 #03


La sede di Plumake si trova nella zona

Il loro progetto è stato accolto e

industriale di Grezzana, in provincia di

supportato dall’associazione Innoval –

tipico industriale: un porticato di ingresso

l’obiettivo di promuovere le nuove aziende

Verona. Lo spazio che ci accoglie è quello in lamiera, un grande salone interno

caratterizzato dal pavimento in cemento e da grandi lucernari a soffitto, finiture

poco ricercate e tanto rumore. Alla prima

apparenza potrebbe risultare un laboratorio artigianale come tanti altri, ma quello che caratterizza questo spazio non è l’arredo, quanto l’idea e la filosofia che lo hanno generato.

Plumake è una giovane azienda, fondata

nel dicembre del 2013, con 20 soci di cui la maggior parte sotto i 35 anni: si definisce un laboratorio di artigianato digitale, il

che significa - per i meno ferrati del settore

Innovazione Valpantena Lessinia- che ha che intendono svilupparsi e insediarsi

nel territorio della Valpantena. Grazie

all’appoggio di questa associazione, che

riunisce diverse realtà imprenditoriali della zona, e la voglia di continuare a crescere di

Riccardo e Fabio, viene finalmente fondata la Società Plumake, che vanta diversi fondatori

01. Dettaglio della produzione di un oggetto con una stampante 3D. 02. La targa-insegna di Plumake, realizzata su legno con macchina a taglio laser. 03. Fresa a controllo numerico. 04. L’ufficio Plumake.

tra cui importanti nomi delle aziende del

veronese. Dall’inizio del 2014 comincia una nuova era per Plumake, si uniscono al team

Alberto, Mattia e Davide che aggiungono le loro competenze all’interno dell’azienda,

dovute a esperienze precedenti in settori

– che sviluppa sistemi digitali (hardware e software) per la produzione di pezzi

attraverso la stampa 3D. Questo sistema di

stampa funziona inviando un file di disegno

digitale alla stampante, la quale, attraverso un estrusore che cola un filo di plastica colorato, sovrappone mano a mano diversi strati che danno forma tridimensionale all’oggetto, così come avviene con

l’inchiostro per le stampanti 2D. In questo modo è possibile realizzare, in maniera

piuttosto rapida, qualunque oggetto la nostra

mente sia in grado di immaginare e farne l’uso più svariato, con costi alla portata delle tasche di tutti.

Nella sala principale troviamo, infatti,

oggetti di qualunque genere realizzati

con questa tecnologia: pezzi commissionati da architetti, come i plastici di alcuni

progetti, prototipi di elementi di arredo, o piccoli giocattoli e monili in plastica per collane e braccialetti.

L’idea di costruire la prima stampante 3D è

venuta a Riccardo Bertagnoli e Fabio Righetti – studenti di ingegneria - durante la pausa estiva dalle lezioni, appena due anni fa.

02

affini o ad abilità differenti sempre in campo digitale.

Riescono a trovare la sede dell’azienda,

quella attuale - decisamente troppo ampia – e devono inoltre ristrutturarla per renderla usufruibile. Sotto il motto di “l’unione fa la forza” tutti si rimboccano le maniche

contribuendo alla realizzazione di questo progetto, in particolare i diversi soci

dell’associazione Innoval, il cui appoggio al progetto Plumake è continuo e duraturo

da tempo. Ma le idee in questo posto non si fermano mai!

A maggio Plumake decide di avanzare

Attraverso sistemi open–source che si possono

con la ristrutturazione degli spazi messi

la loro idea.

associazione: è Verona Fab-Lab, il primo

trovare sul web hanno cominciato a realizzare

98

03

loro a disposizione e di fondare una nuova

— 81

04


{DiverseArchitetture} Fab-Lab di Verona. Un Fab-Lab non è altro

che un laboratorio dotato di macchinari per l’artigianato – digitale e meccanico - che vengono messi a disposizione di tutti gli

associati e possono essere utilizzati per

realizzare qualunque loro progetto o idea. In pochi mesi Verona Fab-Lab conta 130

associati, una macchina a taglio laser, una fresa a controllo numerico a 3 assi, una a

5 assi, diversi strumenti da falegnameria e ovviamente due stampanti 3D.

Il vero scopo del Fab-Lab, così come

il motore che ha dato vita a Plumake, è la condivisione di idee e di progetti, più

che dei singoli macchinari, la sinergia e l’incontro che si crea tra le persone, la

creatività e i saperi diversi, perché è solo

dalla condivisione o dal confronto di una idea con altre esperienze che il progetto di ognuno può arricchirsi e continuare a migliorare.

La filosofia di condivisione espressa da

Plumake e dal Verona Fab-Lab, rispecchia

a pieno il bisogno di fare rete e di unire

le forze in un periodo di scarse risorse e

di prolificare di idee. Il mondo digitale e

dei digital makers è forse quello che, oggi,

offre le migliori possibilità di realizzarsi.

05

05. Stampanti 3D in funzione. 06. Panoramica del laboratorio.

È un settore veloce, dinamico e globale, in rapida e continua evoluzione, senza

limiti di creatività o di possibilità di

realizzare cose, utilizza strumenti liberi alla portata di tutti, rintracciabili sul web. Questi caratteri sono quelli che ne

contraddistinguono la forza e fanno la vera risorsa di questo nuovo mercato.

“Cambia il modo in cui si producono le

cose, si fanno le fabbriche e si produce

ricchezza” (cit. World Wide Rome – the Makers Edition 2012) e nonostante io per prima sia

una nostalgica dei libri e delle tecnologie rudimentali, non posso che sposare questa

filosofia e prendere atto del cambiamento che sta portando. Plumake l’ha capito prima di tutti.

06

— 82

2014 #03


Ci metto La Face

Storia di un cervello in fuga: Verona-Porto, andata e ritorno, e l’invenzione di un portale che vuole far dialogare architettura, comunicazione e imprenditorialità

Nome giulia la face Luogo Verona Attività sito internet Contatto www.ristrutturazione chilometrizero.it

01

Testo: Luisella Zeri

Foto: Lorenzo Linthout

Giulia ha trentaquattro anni e una passione

innata per il restauro e la sua città. Giulia si è buttata a capofitto nel recupero,

nell’uso dei nuovi mezzi di comunicazione e nell’energia generata dall’incontro e

98

dall’unione delle competenze. Giulia crede

una giovane architetto veronese, laureata

ogni giorno abbiamo a che fare, possa essere

di Milano e specializzata con un Master

fermamente che la crisi economica, con cui

vinta. Quella di Giulia La Face è la storia di un cervello in fuga, o “in circolo” come ama definirsi, partito dall’Italia per trovare

fortuna e tornato dopo quasi dieci anni con energia nuova da mettere a frutto. Giulia è

— 83

presso il polo di Mantova del Politecnico internazionale di secondo livello nella

gestione del patrimonio architettonico. Il

progetto Erasmus l’ha portata a trasferirsi in Portogallo, dove prima ha studiato e

poi ha cominciato la propria esperienza


{DiverseArchitetture} professionale nel settore pubblico. Questa

viaggio in Sicilia, dove ha toccato con mano

approfondire la sua più grande passione,

beni culturali italiani, Giulia ha sentito

esperienza lavorativa le ha permesso di il restauro, in maniera molto concreta, affrontando per l’ente di tutela e per

l’amministrazione comunale di Porto la

conservazione del Centro storico attraverso l’utilizzo di fondi comunitari.

Investita giovanissima di responsabilità

che probabilmente in patria non avrebbe avuto, Giulia ha oggi coraggiosamente 01. La schermata informativa di Rkm0, tre punti per spiegare com’è organizzata l’idea imprenditoriale di Giulia La Face. 02. Ne Gli edifici in evidenza, alcuni potenziali casi di intervento. 03. Gli step attraverso cui interagire con il portale e i suoi utenti. 04. Un’idea luminosa: il sito.

deciso di ricominciare da zero. Pare infatti impossibile, che davanti a un concreto

riconoscimento di competenze e soddisfazioni professionali, si possa decidere di tornare in Italia, un paese che – anche a giudizio

di chi scrive – manca di rispetto e fiducia nei giovani. Eppure, dopo uno stimolante

la condizione desolante in cui versano i

una personalissima “ri-chiamata alle armi”, che l’ha portata a investire le proprie

conoscenze e il proprio talento per il suo paese d’origine.

Nel 2013, è nata così Rkm0 -

Ristrutturazione a chilometri zero, una

piattaforma web che propone una soluzione economica e sociale al problema del

patrimonio costruito da riqualificare.

L’assunto da cui parte il progetto è quello di un panorama edilizio saturo e dimesso a cui va restituito valore. Il portale

si pone come luogo privilegiato per far

ripartire l’economia immobiliare, favorendo innanzitutto connessioni e contatti fra gli

02

03 04

— 84

2014 #03


viene esteso a tutti coloro che nel processo edilizio sono coinvolti. Ciascun soggetto

deciso ad aderire al progetto deve come prima

cosa geo-localizzare la propria posizione; una volta fatto questo, è pronto per farsi trovare ed essere trovato dagli altri soggetti iscritti al portale.

Il progetto attualmente è alla fase di

start-up, le energie di Giulia sono quindi finalizzate a promuovere la piattaforma e

creare interconnessioni fra i vari soggetti

interessati, nell’ottica di ampliare sempre di più le potenzialità di un’idea imprenditoriale che ha l’impronta e la forza per essere estesa a livello globale. In questo frangente la

diversarchitettura di cui La Face è promotrice non cerca solamente di reinventare la

professione per una propria realizzazione

personale. Giulia ha intrapreso una azione

politica, dove il termine assume i contorni

di un impegno portato avanti individualmente per cambiare il mondo che la circonda.

Lasciando soddisfazione professionale e una

05

attori del processo edilizio: professionisti e operatori del mercato nell’ambito

dell’architettura e dell’ingegneria, imprese edili che privilegino l’aspetto della

sostenibilità ambientale, gestori pubblici,

associazioni locali, proprietari, affittuari o utilizzatori privati di spazi che necessitano di ristrutturazione o rinnovo, acquirenti

finali, eventuali investitori o compratori del prodotto.

carriera sicura all’estero, scommettendo su se stessa e sulle potenzialità del proprio

paese. Ristrutturazione a chilometro zero, cerca di smuovere l’edilizia italiana dal

buco nero in cui è impantanata, arricchendo

qualitativamente sia il patrimonio costruito che il pensiero di chi lo approccia,

migliorando il paesaggio e il mondo in cui viviamo.

Fin qui il processo è lineare: generare

occasioni lavorative attraverso un motore di ricerca finalizzato al recupero di edifici

decadenti e trascurati. Qual è però il valore aggiunto di questo sistema social? L’aspetto

importante è proprio quello che dà il nome al

progetto, ovvero la declinazione edilizia del concetto di “chilometro zero”.

07

Questo aspetto cerca di attuare la

promozione e valorizzazione dell’uso e riuso di materiali locali. Per “materiali” non

s’intendono solamente mattoni e malte create

nei luoghi a noi limitrofi: è un concetto che

06

98

— 85

05, 06. Giulia e i suoi strumenti di lavoro: pc, spazi costruiti, e intraprendenza 07. Il logo di Ristrutturazione a chilometri zero.


98

Lorenzo Rosa Fauzza a Verona 1

2 Verona

L’architetto Lorenzo Rosa Fauzza naque in Friuli a Maniago, in provincia di Pordenone, il 26 agosto 1923. Studiò a Firenze e a Venezia, dove si laureò nel 1950 con una tesi in urbanistica sull’esperienza della ricostruzione tedesca, frutto di un periodo di apprendistato a Londra e in Germania. A Venezia, per tramite di Carlo Scarpa, ebbe modo di fare da cicerone a F. L. Wright nel corso di un suo viaggio in Italia. Pur rimanendo sempre un sostenitore del maestro americano, decise però nel ‘56 di intraprendere una fondamentale esperienza lavorativa a Colonia presso lo studio dell’architetto Fritz Ruempler. Dopo il rientro a Verona, dove aveva iniziato la libera professione già nel ‘52, proseguì una intensa attività, non solo in Veneto e nel Friuli ma in tutta Italia e all’estero (tra cui in Egitto, Grecia, Brasile e Thailandia). Nel ‘64 ebbe anche uno studio a Roma, dove l’attività progettuale per gli istituti religiosi era proficua. Amante delle opere lecorbusieriane e dei lavori di Alvar Aalto, ricercò un’architettura essenziale, lineare ed esente da sovrastrutture. Ulteriori elementi ispiratori venivano dall’antichità greca, che ebbe modo di studiare in diversi viaggi, nell’approfondimento delle Sacre Scritture e della vita e degli insegnamenti di San Francesco d’Assisi. Dalla terra d’origine portò con sé, inoltre, l’amore per il focolare, nel quale vedere a un tempo il luogo di riunione della famiglia e un elemento di salvaguardia della tradizione. In questa rassegna presentiamo alcuni dei principali lavori realizzati a Verona (dove morì nel 2008), a fianco dei quali sono scarsamente documentabili molti interventi nel campo dell’arredamento e dell’architettura degli interni. Testi: Andrea Benasi e Alberto Vignolo Foto: Cristina Lanaro

3

— 86

2014 #03


1 1974 CASA R.F. Via dei Monti Ottenuta grazie alla completa ristrutturazione di un fabbricato rustico, la casa che l’architetto realizza per la propria famiglia esprime le caratteristiche principali di una personale e già matura poetica: l’intreccio dei volumi sapientemente controllato, le diverse forme tridimensionali delle finestre strettamente relazionate con gli ambienti interni, i camini che vanno a equilibrare i prospetti, i tagli orizzontali nei punti maggiormente significativi, come quello che consente di ricavare una terrazza con una splendida vista sulla Valpolicella. Un’architettura che parte da forme e idee di matrice modernista, andando poi a svilupparsi organicamente per stabilire uno stretto legame con il paesaggio e il luogo.

4

6

5

7

8

98

— 87


3

2 1961-62 STABILIMENTO ABITAL Parona

1980 circa casa a boscomantico Via Barucchi

L’inserimento ambientale in un’area prossima all’Adige di questo grande stabilimento (in seguito oggetto di un consistente ampliamento) ha determinato da parte dei progettisti – Lorenzo Rosa Fauzza assieme all’architetto milanese Mario Gottardi – una disposizione radente dei capannoni, le cui coperture a shed emergono con misura dal profilo del terreno. Verso la strada si eleva il corpo di ingresso su due livelli con gli uffici. Il sistema di semi-prefabbricazione adottato in fase costruttiva fu all’epoca pionieristico.

Realizzata su una sottile striscia di terra compresa tra l’aeroporto di Boscomantico e l’Adige, riunisce alcuni elementi tipici delle architetture residenziali di Rosa Fauzza. Qui si combinano infatti l’impronta di matrice modernista dell’intonaco bianco, dei volumi in aggetto e della articolazione spaziale, con altri tipici della tradizione domestica – il tetto a due falde, il rilievo dato ai camini risolti come svettanti contrafforti. Caratteristica notevole di questa abitazione è la sua posizione che, nella vista dall’altra sponda del fiume, la apparenta a una sorta di “casa del sorvegliante del fiume”, appostata al di sopra delle opere idrauliche di sversamento in Adige della vicina centrale idroelettrica del Chievo.

4 1969-70 SEMINARIO RAGAZZI NOSTRI Quinzano Il progetto di questo edificio, sorto come seminario, è stato in corso d’opera ridestinato a scuola, mantenendone il carattere comunitario in funzione dell’istituto “Ragazzi nostri” dei padri Vincenziani, già attivi a Quinzano con una colonia agricola per gli orfani. L’impianto planimetrico a Y della nuova casa prevedeva nel terzo braccio, non realizzato, una cappella e una sala riunioni. Alle aule e agli spazi collettivi dei piani rialzato e primo si aggiunge un dormitorio al piano secondo; l’ala destinata agli appartamenti dei padri è riconoscibile per la maggiore articolazione dei prospetti, caratterizzati dagli sporti cubici dei balconi, e per il piano attico con una grande terrazza coperta accessibile dagli spazi di soggiorno. Interamente rivestito in mattoni con costolature in calcestruzzo a vista, l’edificio è bene inserito in una ampia area verde, con altri edifici di contorno un tempo adibiti a laboratori per le scuole professional.

— 88

2014 #03


11

9 10

5 1964 CONDOMINIO FORMA 64 Via Santini L’edificio ad appartamenti segue con la sua pianta triangolare la geometria del lotto, chiudendo su via Santini l’isolato da cui sembra quasi volersi “staccare” per protendersi – cosa evidenziata dai forti aggetti dei balconi – verso la collina e il paesaggio circostante, che all’epoca della costruzione faceva da sfondo al volume preminente dell’edificio senza elementi che si frapponessero tra lo stesso e l’orizzonte. Gli alzati, analogamente ai fabbricati di via Monte Cimone, sono caratterizzati dai mattoni a vista delle murature e dal cemento armato di marcapiani e aggetti, una riconoscibile cifra stilistica dell’epoca.

98

— 89


6

7

1983-85 COMPLESSO DEI CAMILLIANI Ponte Crencano

1990 circa CHIESA SACRO CUORE Quartiere Pindemonte

La ristrutturazione e ampliamento della casa di riposo dei Padri Camilliani ha previsto la realizzazione di un corpo di fabbrica a L, prevalentemente addossato alla chiesa preesistente, che comprende una foresteria, una grande sala riunioni (ora palestra), locali di servizio e ambienti di soggiorno per gli anziani nel grande volume gradonato. Questo elemento bianco e modernista, in parte a ponte per consentire la circolazione interna al complesso, culmina nell’espressivo camino della centrale termica, elemento di spicco e riconoscibilità nel paesaggio urbano. Nei confronti della chiesa il nuovo volume determina un raccolto spazio a corte aperta e porticata, che la enuclea e identifica rispetto alla struttura assistenziale.

Situata al centro del quartiere Pindemonte, è frutto di una ristrutturazione e ampliamento avvenuta all’inizio degli anni novanta. L’edificio originale degli anni trenta è stato modificato con una nuova facciata, realizzata grazie alla costruzione sul fronte di una campata di circa otto metri di profondità, per disporre sopra all’ingresso la cantoria per l’organo. La facciata, rivestita in lastre di pietra bianca, è l’elemento che unifica i corpi di fabbrica laterali (la canonica da un lato e alcuni locali come la sagrestia e la sala riunioni dall’altro). Vengono inoltre realizzati spazi ricreativi all’esterno. Il linguaggio risulta moderno e personale, ideale prosecuzione della ricerca architettonica intrapresa dal progettista (qui affiancato dal fratello ing. Paolo) dagli inizi della carriera. Viene ristrutturato anche il retrostante cinema, che forma con la chiesa e gli spazi di servizio un insieme organico che racchiude il giardino posteriore.

8 1960 CAPPELLA DELLE PICCOLE FIGLIE DI SAN GIUSEPPE Borgo Trento Oltre alla realizzazione della casa generalizia di Roma delle Piccole Figlie di San Giuseppe, Rosa Fauzza interviene nel contesto della casa madre veronese della congregazione religiosa, costruendovi una ampia cappella. L’impianto planimetrico chiude su di un lato il giardino della casa madre, addossandosi sull’altro al pendio coltivato a vigna. L’ingresso è rivolto verso l’edifico esistente, al quale è collegato attraverso un portico di accesso (ora chiuso) e una balconata esterna a sbalzo lungo tutta la navata, alla quota del matroneo; l’abside e il campanile (assai limitato in alzezza per vincoli paesistici) sono invece rivolti verso la città. Esternamente le facciate sono rifinite da campiture in graniglia grigia di differenti toni, con un disegno a losanghe allungate. La continuità tra il prospetto principale e la copertura è ora interrotta dalla realizzazione di una gronda. Lo spazio interno della

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navata era, nel progetto originario, rigorosamente spoglio ed essenziale, con una corona luminosa appesa ad un anello circolare al di sopra dell’altare quale unico e rilevante arredo sacro a inconiciare il Crocifisso. L’interno della chiesa è stato completamente riallestito in occasione del Giubileo del 2000 da parte dell’arch. Renoffio.

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1971 CHIESA CROCE BIANCA Via Lucio III

1988 CASA LAVEZZARI-MAURI Via Archimede

Si tratta dei progetti originari per una nuova chiesa parrocchiale, caratterizzata da una grande facciata-copertura a vela in calcestruzzo, con un forte aggetto verso il sagrato su cui affacciano anche gli spazi accessori. La chiesa è stata poi realizzata dall’arch. Zinnamosca, mantenendo l’impostazione planimetrica e le sostruzioni.

Posta all’interno del tessuto residenziale di Borgo Nuovo, questa casa bifamiliare ripropone in una fase matura lo stile “discreto” dell’architetto friulano. Il blocco stereometrico dell’edificio è articolato in una fitta serie di elementi – il tetto a falde, la finestratura a nastro su un versante, il volume cilindrico sull’altro, l’abaco diversificato delle aperture – che compendiano le molte dimensioni dell’abitare.

10 1975 CASA BIFAMILIARE Via del Fortino L’edificio, dal linguaggio moderno, di pianta sostanzialmente quadrata, è caratterizzato da alcuni elementi quali un grande bow-window quadrato nella facciata principale, l’entrata al primo piano ottenuta traslando il volume retrostante e la terrazza al terzo livello che segna un taglio netto nella copertura. Il camino, in posizione centrale domina l’edificio, spezzando la composizione imperniata sul modulo quadrato, che ritorna in varie dimensioni nelle bucature dei prospetti. I due alloggi sui due piani presentano una fitta serie di articolazioni – rientranze, scale a chiocciola, sporti – che ne arricchiscono l’impianto tradizionale.

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12 1962 LIBRERIA GHELFI & BARBATO Via Mazzini (demolito) A titolo esemplificativo della proficua attività di Rosa Fauzza nel campo dell’architettura degli interni, la risistemazione della storica libreria veronese ha previsto la realizzazione di un soppalco per sfruttare al meglio l’altezza del vano, lasciando alcuni tagli a doppia altezza e ottenendo così un interessante effetto scenografico. Oltre agli arredi interni, viene ridisegnata la vetrina del locale accorpato a quelli preesistenti, con uno sfondamento rispetto al filo della facciata che prelude allo sviluppo in altezza degli spazi.

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1966 CASA FILIPPINI Via XX Settembre

1964 circa ASILO Via Monte Rotondo - Borgo Roma

L’intervento ha riguardato la ristrutturazione di un palazzo affacciato su via XX Settembre, con lo spostamento dei corpi scala e la ridistribuzione interna degli alloggi – tra cui un grande appartamento su due livelli in sommità – inglobando un adiacente fabbricato. La facciata su strada di questa porzione, interamente ricostruita, è la parte più evidente del progetto: interposta tra il palazzo e la sede del Dopolavoro ferroviario, ne stempera il decorativismo per mezzo di un disegno lineare, pur recuperando gli allineamenti del fabbricato storico a cui è aggregata. Nella parte basamentale le travature in calcestruzzo a vista consentono la realizzazione di un’unica grande luce ad uso commerciale.

Realizzata per la Congregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe, per la quale aveva già costruito la Cappella nel complesso della Casa madre, in questa scuola materna Rosa Fauzza declina i caratteri morfologici e materici di alcune contemporanee realizzazioni residenziali. In particolare le soluzioni d’angolo dei mattoni faccia a vista riprendono le “cerniere” del condominio di via Santini, così come l’alternanza di campiture in cotto sottolineate dalle nervature strutturali in c.a. L’impianto a L dell’edificio è sviluppato prevalentemente a livello terreno, mentre al livello superiore sono presenti solo alcune aule e l’alloggio per le suore. Il carattere domestico di questa realizzazione e la sua apparenza da “villino” si pone in netto contrasto con l’alta densità edilizia del quartiere, relazionandosi di contro con l’adiacente spazio a verde del parco.

01. Casa Filippini, rilievo fotografico del prospetto sulla corte dell’edificio storico.

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