ENERGIA ENERGY
Periodico semestrale anno X n° 19 - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Bergamo
Global Il futuro energetico del pianeta. Un’azione coerente di governi, imprese e collettività alla ricerca di nuove soluzioni sostenibili The world’s energy future: concerted action by government, industry and the community for new sustainability-driven solutions Projects Il rapporto tra energia ed edificio come elemento espressivo di un’architettura legata al risparmio energetico e all’utilizzo di fonti rinnovabili The relationship between energy and a building as the expression of an architectural approach geared to energy saving and use of renewable sources News Sviluppo Sostenibile: un percorso comune Sustainable Development: a common track Un 2007 all’insegna della globalità 2007: a year driven by globality Roma e Parigi: capitali di nuove frontiere ambientali Rome and Paris: leading-edge capitals of the environment
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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House l’Arca Edizioni spa Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Law Court of Bergamo
100: Petrolio bollente?
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Nariman Behravesh Emilio Rossi
Più energia o più efficienza?
More Energy or Smarter Use?
Andris Piebalgs
La prossima rivoluzione industriale nei sogni dell’Europa
The Next Industrial Revolution in the Dreams of Europe
Alberto Clò
Petrolio: una fiammata dura a morire
Oil: the Die-Hard Flame
Luis E. Echávarri
Quale strada per il futuro
Which Way Forward?
Leonardo Maugeri
La difficile equazione dell’energia sostenibile
The Problematic Sustainable Energy Equation
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Sostenibilità e qualità architettonica
Sustainability and Architectural Quality
Testi a cura / Texts by Carlo Paganelli
Una crescita verticale
A Vertical Growth
Progetti di T.R. Hamzah & Yeang
Projects by T.R. Hamzah & Yeang
Viaggio al centro della Terra
Journey to the Center of the Earth
Progetto di Hans Hollein
Project by Hans Hollein
La giustizia ha il vento in poppa
Justice Has the Wind in Its Sails
Progetto di Richard Rogers Partnership – VK Studio
Project by Richard Rogers Partnership – VK Studio
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M’illumino di bianca luce
Lit with Whiteness
Progetto di Richard Meier & Partners Architects
Project by Richard Meier & Partners Architects
L’atomo nella sua forma
The Atom in Its Form
Progetto di Claude Vasconi
Project by Claude Vasconi
“Non finito” eco-efficiente
Eco-Efficient “Unfinished” Work
Progetto di Mario Cucinella Architects
Project by Mario Cucinella Architects
Rullaggio in progress
Taxiing in Progress
Progetto di Murphy/Jahn
Project by Murphy/Jahn
Sole a geometria variabile
The Sun in Varying Forms
Progetto di Barbi Arca Studio
Project by Barbi Arca Studio
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Sviluppo Sostenibile: un percorso comune
Sustainable Development: a common track
Un 2007 all’insegna della globalità
2007: a year driven by globality
Roma e Parigi: capitali di nuove frontiere ambientali
Rome and Paris: leading-edge capitals of the environment
Partial view of the SIEEB in Beijing designed by Mario Cucinella
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Mauro Spagnolo
Veduta di scorcio del SIEEB di Pechino dell'architetto Mario Cucinella
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100: the Boiling Point for Oil?
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Chiuso in tipografia il 7 gennaio 2008 Printed January 7, 2008
100: Petrolio bollente? 100: the Boiling Point for Oil?
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a nuova fiammata dei prezzi del greggio a 100 dollari al barile, le drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici, la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera da un lato; la inarrestabile richiesta di energia guidata dalle leggi della globalizzazione degli (ormai ex) paesi emergenti e le richieste di maggiore benessere reale di quelle popolazioni dall’altro. Se si tenta a questo punto di mettere in equilibrio il bilancio energetico del nostro pianeta, non si può che prendere atto che un problema con così tante variabili non può essere risolto affidandosi a modelli semplicistici basati solo sul tema della sostituzione delle fonti. Con il petrolio che per le sue caratteristiche fisiche ed economiche è destinato a rimanere ancora il “king maker” dell’economia, ogni ipotesi di sostanziale rimpiazzo del combustibile fossile nei processi energetici a breve risulta una pura utopia. Gli stessi modelli econometrici che in questi anni avevano predetto un rallentamento della domanda di petrolio in funzione dell’aumento dei prezzi sono stati smentiti nei fatti: a fronte di un prezzo del greggio triplicato nel corso degli ultimi quattro anni la domanda ha continuato a correre, con una stima che nel giro dei prossimi anni (il 2012 per la IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia dell’Ocse) la domanda supererà l’offerta lungo un percorso sempre più divergente. Neppure la soglia psicologica dei 100 dollari a barile (che in valori reali riporta all’incirca ai valori della crisi petrolifera degli anni 80) può essere una valida diga. E in questo contesto non si può dimenticare di quanto il petrolio, oltre che al proprio valore intrinseco, rappresenta di per sé un valore autonomo in campo finanziario (i futures sul greggio sono uno strumento di creazione di ricchezza, indipendentemente dall’andamento del prezzo fisico) e naturalmente in campo geo-politico. Affrontare il tema con la sola visibilità delle residue disponibilità di petrolio non risolve il problema, indipendentemente dalla quantificazione di giacimenti ancora disponibili o dal grado del tasso di recupero del greggio (che resta comunque fermo a un 30% circa). Se i ritmi di crescita delle nuove aree emergenti si confermeranno nei prossimi anni, allora domani anche Cindia (e dopodomani i paesi africani) raggiungeranno quei consumi che sono oggi appannaggio dei paesi evoluti. Vuol dire che anche la Cina dagli attuali due barili all’anno per ogni abitante passerà ai 16 degli europei (per non parlare dei 26 degli statunitensi) che attualmente vengono consumati. Sintomatico in questo senso che proprio una società cinese, Petrochina, abbia recentemente scalzato dal trono di prima società energetica mondiale (per valore di capitalizzazione) la statunitense ExxonMobil. Per il petrolio la sorte è comunque segnata se si persegue solo sulla strada di target di consumi come quelli attuali. Il problema energetico forse merita un orizzonte di analisi più ampio: non solo sulla necessaria diversificazione delle fonti possibili e compatibili con la crescita, ma soprattutto su come dovrà essere modificato il consumo di energia, verso soluzioni complesse e integrate che ne riducano l’impiego totale. Il commissario Ue Andris Piebalgs in questo numero di arcVision rimarca l’ambizioso impegno dell’Unione al 20-20-2020 (20% in meno di emissioni, 20% di energie rinnovabili entro il 2020 per il vecchio continente), mentre analisti come Nariman Behravesh ed Emilio Rossi stimano una vita residua ancora lunga per il petrolio. Secondo Leonardo Maugeri, la ragione per cui le fonti fossili coprono ancora oggi più dell’80% dei consumi mondiali di energia è talmente solida da sfidare ogni più rosea aspettativa sulle fonti alternative e per il greggio, sottolinea Alberto Clò, le possibilità sono ancora significative a patto che si torni a investire in output e distribuzione. In questo quadro, vent’anni dopo il disastro di Chernobyl, la questione nucleare – come sostiene Luis E. Echávarri – torna a proporsi come possibile alternativa. Il dibattito è quanto mai attuale, il tempo per trovare una soluzione impellente. Il dibattito sull’energia, poi, intesa come fondamento delle moderne società industriali, si estende e coinvolge la qualità della vita e, inevitabilmente, la scienza dell’abitare e dell’architettura. Sempre più la forma architettonica degli edifici deve confrontarsi con problematiche che richiedono un lavoro specialistico svolto da gruppi multidisciplinari. Nella sezione Projects di questo numero abbiamo tentato di immaginare l’interazione futura tra consumi d’energia e mondo delle costruzioni. Su quali basi si potrà edificare un rapporto efficace fra risparmio energetico e qualità architettonica?
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he new leap in crude oil prices to 100 dollars a barrel, the dramatic consequences of climate change, the need to cut carbon dioxide emissions on one side. The relentless thirst for energy among the (now former) emerging countries, driven by the laws of globalization and their inhabitants’ demand for greater real wealth on the other. If we were to draw up an energy balance sheet for the planet, the obvious conclusion would be that simplistic models of energy sources replacement are no solution to a problem with so many variables. Since oil’s physical and economic characteristics mean it will continue to be the “king-maker” of the economy, proposals for a rapid and substantial replacement of fossil fuel in energy processes belong to the realms of utopia. The econometric models that have been predicting a downturn in demand for oil in response to rising prices have been proved wrong: although crude prices have tripled in the last four years, demand has continued to race ahead and, before long (by 2012 according to the OECD’s International Energy Agency), will be outstripping supply at an ever faster pace. Even the psychological threshold of 100 dollars/barrel (comparable, in real terms, with the values of the oil crisis in the 1980s) will fail to provide an effective barrier. Nor should we forget that, in addition to its intrinsic value, oil is a commodity with an active derivatives market (crude futures are wealth creators, independently of physical oil prices), and a sensitive geo-political factor. Looking at the question purely in terms of residual oil reserves is not a solution, irrespective of the quantification of available deposits or crude oil recovery rates (steady, in any case, at around 30%). If the new emerging regions continue to grow at current rates, Chindia (and after them the African nations) will not take long to reach the consumption levels that so far have been a privilege of the developed nations. In other words, China, too, will move from today’s two barrels/year per inhabitant to Europe’s 16 barrels (not to mention the USA’s 26 barrels). A preliminary sign came recently when China’s Petrochina ousted US corporation ExxonMobil from its throne as the world’s energy number one, in terms of capitalization. The die is cast for oil, however, if we can successfully maintain a consumption-target strategy. Perhaps the energy question deserves a broader-based analysis: not only on the need for diversification of possible, growth-compatible sources, but above all on ways to change consumption in favor of complex, integrated solutions that lower total use. In this edition of arcVision, EU commissioner Andris Piebalgs looks at the Community’s ambitious 20-20-2020 pledge (20% fewer emissions, 20% of renewable energy by 2020 in Europe), while analysts Nariman Behravesh and Emilio Rossi believe oil still has a long life expectancy. According to Leonardo Maugeri, the reason why fossil fuels continue to account for more than 80% of world energy consumption is so solid that it overshadows even the brightest expectations regarding alternative sources, and Alberto Clò says possibilities for crude oil are still significant, provided we resume investment in output and distribution. And twenty years after the Chernobyl disaster, nuclear energy is once again a possible alternative, with advocates like Luis E. Echávarri. The debate could not be more topical as the timeframe for a solution tightens. On a wider level, the debate over energy’s fundamental role in today’s industrial societies involves the quality of life and, inevitably, the architecture and housing sciences. Increasingly, the issues facing building architecture require specialist solutions developed by interdisciplinary groups. The Projects section of this edition looks at possible future interaction between energy consumption and the construction industry. What is the foundation for an effective relationship between energy saving and architectural quality?
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Più energia o più efficienza? More Energy or Smarter Use? di Nariman Behravesh e Emilio Rossi* by Nariman Behravesh and Emilio Rossi*
Il potenziale esaurimento delle risorse del pianeta e gli effetti sul clima spingono a ricercare con urgenza soluzioni innovative The potential depletion of world resources and the impact on climate are driving urgent calls for innovative solutions
Nariman Behravesh
Crescita della domanda di energia, esaurimento delle risorse del pianeta, cambiamenti climatici, ascesa del prezzo del petrolio, fonti energetiche rinnovabili. Siamo destinati a un futuro senza oro nero? O le apocalittiche previsioni di un imminente picco della curva di produzione del greggio mascherano invece scarsi investimenti e gravi deficit tecnologici? Il nucleare rappresenta realmente la migliore soluzione a zero emissioni? Il dibattito è ancora aperto. Resta il fatto che nuove scoperte, maggiore sfruttamento, energie alternative e innovazione tecnologica nulla potranno senza una cooperazione internazionale più ampia ed efficace. Growing demand for energy, depletion of the planet’s resources, climate change, rising oil prices, renewable energy sources. Are we facing a future without oil? Or are the apocalyptic forecasts of an imminent peak in the crude production curve a cover for insufficient investment and serious technological shortcomings? Is nuclear energy really the best emission-free option? The debate continues. The fact remains that new discoveries, more effective utilization, alternative sources and technological innovation are nothing without wider and more constructive international cooperation.
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egli ultimi due decenni, “sostenibilità” è diventata poco a poco una parola chiave per l’intero settore del mercato mondiale dell’energia. Un ampio consenso è stato ormai raggiunto tra politici, imprenditori e consumatori sul fatto che le modalità con cui l’umanità attualmente produce e consuma energia comportano un rischio molto elevato di esaurimento delle risorse del pianeta in un periodo di tempo relativamente breve. L’energia è essenziale per la vita umana e, sebbene il progresso tecnologico consenta una riduzione significativa del contenuto energetico per unità di prodotto, è impensabile un mondo privo di forme di energia sofisticate, per lo meno allo stato delle conoscenze tecnologiche attuali e di quelle ipotizzabili per il prossimo futuro. Questa semplice considerazione però non tocca tutti gli aspetti che si celano dietro la parola “sostenibilità”. Un altro elemento chiave della “sostenibilità” è la crescente preoccupazione per i cambiamenti climatici globali e i loro effetti sulle attività umane. In questo ambito, gli scienziati (con l’eccezione di alcuni scettici) sono concordi nel ritenere che le emissioni
Emilio Rossi
di anidride carbonica che derivano dalla produzione, trasformazione e consumo delle fonti energetiche stiano alterando il normale corso dei cicli climatici del pianeta. Il potenziale esaurimento delle risorse mondiali e le conseguenze climatiche richiedono con urgenza delle soluzioni innovative per il futuro dell’energia mondiale. Il presumibile esaurimento delle riserve di idrocarburi può ormai essere considerato un dato di fatto. Sarebbe meglio chiedersi, dunque, quando avverrà. Tra un paio di decenni? Tra un secolo? O forse, ancora più tardi? Qualunque sia la risposta, dobbiamo considerare una serie di condizioni fondamentali relative a ciò che accadrà nel lungo termine (diciamo tra cinquant’anni o oltre). • Dovrà essere adottato un nuovo approccio al consumo energetico. Una serie di studi, effettuati da organismi quali l’UN-IPCC (Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite), la IEA dell’Ocse (Agenzia Internazionale per l’Energia), la Commissione europea e l’EIA (Agenzia statistica del Dipartimento dell’Energia Usa), considerano la conservazione dell’energia un dovere di tutti e il fattore più
importante per ridurre in modo significativo l’intensità energetica e le emissioni di anidride carbonica. La conservazione delle fonti energetiche richiede grandi investimenti, specialmente in impianti ed edifici di uso finale, sebbene secondo la IEA e altri studi, gli utili compenseranno abbondantemente l’investimento iniziale. La conservazione richiede anche un cambiamento delle abitudini legate all’uso dell’energia, con particolare attenzione al comportamento del singolo consumatore così come ai processi di produzione industriale, per minimizzare gli scarti e massimizzare il recupero dei materiali. • Sarà necessaria una combinazione di diverse fonti energetiche per ridurre l’uso dei combustibili fossili nella produzione di energia. Attualmente l’attenzione si concentra in particolare sulle fonti rinnovabili, tra le quali il nucleare rappresenta una possibile soluzione a zero emissioni, sebbene manchi ancora del necessario sostegno popolare. • In ogni caso, prima che l’energia solare, l’eolica, l’idrogeno e le biomasse possano sostituire completamente gli idrocarburi come fonti energetiche poco costose sono necessari dei progressi tecnologici di grande portata. Affinché queste tre condizioni si realizzino è necessario prendere provvedimenti e agire con urgenza, anche se dovremo sicuramente affrontare un lungo periodo di transizione in cui gli idrocarburi diventeranno sempre meno disponibili e di conseguenza sempre più costosi. La maggior parte degli studi internazionali sul futuro energetico del pianeta e sul potenziale esaurimento dei combustibili fossili indicano però che le riserve di petrolio
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e gas naturale non saranno un problema almeno fino al 2030, considerando che nel frattempo si diffonderanno maggiormente nuove tecnologie e nuovi processi di raffinazione del petrolio (idrocarburi liquidi da gas naturale, petrolio non convenzionale, bio-fuels, nuove riserve). Uno dei principali studi viene dalla stessa industria petrolifera ed è stato condotto e recentemente pubblicato dal NPC (National Petroleum Council), un’organizzazione di 175 organismi che dipendono dal governo americano, sotto la direzione di Lee Raymond, ex amministratore delegato
della ExxonMobil. Il gruppo che ha prodotto il rapporto comprendeva anche centri di ricerca privati, istituzioni accademiche, banche, agenzie governative e gruppi ambientalisti quali Resources for the Future e Alliance to Save Energy. Secondo il rapporto, carbone, petrolio e gas naturale rimarranno indispensabili nei prossimi decenni per rispondere alla prevista crescita globale della domanda di energia, ma “l’offerta globale di petrolio e gas naturale da fonti convenzionali…non potrà stare al passo…con la crescita della richiesta nei prossimi 25 anni”.
In sintesi, la stessa industria petrolifera sostiene la necessità di ricercare nuove fonti di energia. Il rapporto, che ha richiesto quasi due anni di lavoro, fa eco alle preoccupazioni per l’incombente esaurimento di petrolio e gas naturale precedentemente espresse dalla IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia dell’Ocse. Ovviamente qualsiasi stima relativa alla domanda futura di energia e di idrocarburi è soggetta a supposizioni e previsioni che implicano un certo numero di fattori che possono impattare significativamente sulle
proiezioni stesse relative alla domanda di energia e alla sua composizione per fonti. Il mondo dell’energia raramente si sviluppa secondo percorsi prevedibili ed è soggetto a svariate influenze, che rendono complicato determinare in che modo ogni singolo fattore agirà sulla situazione futura, e tanto meno la combinazione di tutti i fattori in gioco. Fattori globali economici, politici e demografici Negli ultimi 25 anni, l’innovazione finanziaria, specialmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha prodotto consistenti flussi di capitale
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da destinare agli investimenti, mentre l’integrazione europea e l’unione monetaria hanno gettato le basi per una finanza pubblica più sana, inflazione contenuta e tassi di interesse più bassi in Europa. L’avvento della moneta unica europea ha inoltre consentito ai paesi dell’Unione di diversificare le proprie attività di riserva in valuta estera, riducendo così i rischi in ambito finanziario. Allo stesso tempo, la perdurante tendenza verso la globalizzazione ha consentito alle grandi multinazionali di rilocalizzare le proprie attività produttive in aree a basso costo della manodopera e delle risorse naturali, contribuendo al contenimento dei prezzi nonostante gli aumenti sostanziali di petrolio e materie prime. Il boom cinese basato sul basso costo del lavoro è solo un esempio del sostanziale contributo alla disinflazione mondiale fornito dai paesi in via di sviluppo. Per completare il quadro, la caduta del comunismo e la fine della Guerra fredda hanno portato a un “dividendo di pace”, sotto forma di una riduzione delle spese per la difesa e più intensi rapporti di collaborazione e scambi commerciali tra i blocchi un tempo antagonisti. La fine della Guerra fredda ha inoltre facilitato il passaggio all’economia di mercato in molti paesi industriali occidentali traducendosi in una incisiva deregolamentazione, privatizzazione delle proprietà statali, maggiore flessibilità del mercato del lavoro, liberalizzazione commerciale, ecc.
Considerati i precedenti storici, è possibile fare delle ragionevoli ipotesi sui possibili scenari dei prossimi 25 anni, fino al 2030. I soggetti che si sono avventurati sul terreno delle previsioni per la domanda futura di energia, quali l’UN-IPCC, la EIA americana, la IEA dell’Ocse e Global Insight, hanno formulato ciascuno le proprie proiezioni in materia di crescita economica, che differiscono però sia per dimensioni della crescita sia per il diverso contributo delle singole aree del pianeta. In generale però ci si aspetta che la crescita annuale del Prodotto interno lordo mondiale si stabilizzi tra il 3,5% e il 4%, accompagnata da un’ulteriore progressiva liberalizzazione dei mercati e del commercio mondiale. Lo sviluppo del mercato economico e finanziario in Cina, e nell’Asia in generale, consentirà un progressivo aumento della produttività totale, compensando in questo modo il minore contributo dei singoli fattori produttivi. Per contro, minori e più lenti saranno i miglioramenti di efficienza sui mercati europei dei capitali e del lavoro, e il problema sarà aggravato dalla frammentazione politica dell’Europa e dei paesi europei: con il risultato che l’Europa non raggiungerà il suo pieno potenziale di crescita. Infine, l’instabilità politica continuerà a frenare l’Africa e il Medio Oriente, che rimarrà un’area di importanza fondamentale per il mercato del petrolio e dell’energia. Un altro elemento chiave
nelle previsioni relative alla domanda energetica è la crescita demografica. Numerosi osservatori usano proiezioni demografiche basate sui rapporti delle Nazioni Unite, che prevedono un aumento medio annuo dell’1% fino al 2030, per un totale di 8,1 miliardi di persone (dai 6,4 miliardi del 2004). Sviluppo tecnologico L’attuale livello di know-how tecnologico senza precedenti è il risultato di un processo di evoluzione sostanzialmente costante dall’inizio dell’era industriale fatto di progressi continui piuttosto che svolte epocali. Negli ultimi 25 anni sono state introdotte numerose innovazioni tecnologiche correlate all’energia, con un significativo effetto positivo sull’equilibrio tra domanda e offerta. Queste innovazioni hanno interessato sostanzialmente tutti gli ambiti del settore energetico: la produzione di energia primaria ha registrato rapidi incrementi di produttività nell’attività estrattiva, grazie a piattaforme per profondità sempre maggiori, sistemi di trivellazione orizzontale, miglior recupero delle riserve di petrolio, come pure l’iniziale sviluppo e produzione di idrocarburi non convenzionali. Nel campo della generazione e trasformazione di energia, si è ottenuto un miglioramento dell’efficienza dal 52% al 58% (potere calorifico inferiore, al netto delle perdite di calore dell’impianto); la commercializzazione di
turbine a gas a ciclo combinato (CCGT) ha conquistato importanti quote di mercato e la capacità delle turbine eoliche è passata da meno di 100 kW a quasi 5 MW per unità, senza considerare l’avviamento di turbine eoliche off-shore. La tecnologia ha inoltre consentito una riduzione dei costi di trasporto del gas naturale liquefatto (LNG) insieme a una serie di miglioramenti di efficienza dei prodotti di consumo (lampadine, elettrodomestici bianchi, automobili, ecc.). Non c’è alcun motivo per ritenere che questa tendenza debba arrestarsi. Se non altro, il probabile aumento del prezzo degli idrocarburi favorirà ulteriori attività di Ricerca & Sviluppo nel settore energia, che probabilmente contribuiranno a produrre una decisa accelerazione del progresso tecnologico. I progressi nella scienza dei materiali, nelle nuove tecnologie delle batterie, nel costo del kWh di energia solare e nella tecnologia dei bio-fuels, nello sviluppo commerciale dell’energia prodotta dalle maree e nella diffusione capillare di contatori intelligenti per gas ed elettricità sembrano ormai a portata di mano. Prevedere il prezzo del petrolio e la domanda globale di energia Il primo fattore da considerare nel tentativo di descrivere uno scenario globale dei mercati energetici del futuro è il prezzo del petrolio e i suoi effetti sulla domanda e sulla produzione
tanto dello stesso petrolio quanto delle altre fonti di energia che in relazione a questo possono diventare più o meno competitive, modificando di conseguenza il quadro degli investimenti in ricerca in una o nell’altra fonte. Diversi istituti di ricerca si sono cimentati in previsioni sul prezzo del petrolio raggiungendo risultati dissimili, anche se tutti distribuiti comunque entro una banda di oscillazione non troppo ampia. In particolare, secondo le previsioni di Global Insight il petrolio, sostanzialmente su alti livelli in termini nominali, registrerà invece una lenta flessione in termini reali. Tale ipotesi si basa su una serie di considerazioni, prima fra tutte il fatto che il costo attuale del petrolio è in qualche modo influenzato da un “effetto paura” dettato dalla cosiddetta sindrome del “picco del petrolio”. In secondo luogo, se da un lato la produzione di greggio convenzionale non-OPEC avrà molto probabilmente un picco prima del 2020, dall’altro il greggio convenzionale OPEC, le frazioni liquide del gas naturale (NGL) OPEC e non-OPEC, più
l’aumento dei bio-fuels e di altre fonti energetiche (GTL-idrocarburi liquidi da gas naturale, petrolio pesante, sabbie bituminose) aiuteranno a soddisfare la domanda. La Figura 1 illustra il contributo relativo alla produzione globale di petrolio. Sulla base dei recenti sviluppi economici, politici, demografici, tecnologici, dell’aumento del prezzo del petrolio e dello scenario descritto precedentemente, riteniamo abbastanza probabile un trend della domanda globale di energia fino al 2030, come descritto nella Figura 2. Bisogna sottolineare che le proiezioni proposte dalla IEA dell’Ocse, dalla EIA americana, da Global Insight e altri autorevoli organismi si muovono all’interno di una oscillazione piuttosto modesta, anche se si registrano alcune differenze, specialmente nel contributo relativo di alcune fonti. Il dato più rilevante che emerge dall’analisi delle diverse previsioni, come risulta chiaramente anche dalla Figura 2, è che gas naturale, petrolio e carbone sono le tre fonti che aumenteranno
Figura 1 – PREVISIONI DELLA PRODUZIONE MONDIALE DI PETROLIO (in milioni di barili al giorno)
maggiormente in termini assoluti. In altre parole, i combustibili fossili continueranno a fare la parte del leone nello scenario del consumo energetico mondiale. Le fonti rinnovabili (che nel grafico comprendono anche le biomasse) registreranno l’incremento più sostenuto, ma il loro contributo totale alla copertura della domanda energetica nel 2030 rappresenterà poco più del 10%. L’uso dell’energia nucleare è il dato su cui le stime discordano maggiormente, specialmente dopo il 2015. Se secondo la IEA e Global Insight entrerà realmente in funzione solo un numero limitato degli impianti pianificati e in fase di progetto – e il loro contributo consisterà prevalentemente nella sostituzione degli impianti in via di smantellamento – la EIA americana ne prevede invece una crescita più sostenuta a partire dal 2015, pur riconoscendo che il contributo del nucleare rimarrà comunque marginale. Un’altra importante indicazione che emerge dalla Figura 2 è che l’influenza di ciascuna
fonte sul totale non subirà variazioni considerevoli rispetto alla situazione odierna. Aumenterà la contribuzione del gas naturale, ma le fonti rinnovabili non sembrano raggiungere quel livello di diffusione che potrebbe garantire una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica. La sensazione è, dunque, che, nonostante il Protocollo di Kyoto e le preoccupazioni che circolano tra scienziati, politici e consumatori, gli appelli per nuove fonti di energia pulita e per un cambiamento nel comportamento dei consumatori non porteranno a nessuna reale novità nel mondo dell’energia…e che in realtà stiano solo facendo “molto rumore per nulla”.
*Nariman Behravesh è direttore del Dipartimento di Economia Globale e vice presidente esecutivo di Global Insight. Prima di collaborare con Global Insight, è stato direttore del Dipartimento di Economia Internazionale di Standard & Poor’s. Emilio Rossi è direttore dell’European Consulting per Global Insight, sede di Milano, Italia.
Figura 2 – ANDAMENTO DELLA DOMANDA ENERGETICA
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n the last two decades, “sustainability” has gradually become a keyword for the world energy markets and stakeholders. A wide consensus has been reached among policy makers, business and consumers that the way mankind is currently producing and using energy will lead to a very high risk of depletion of world resources within a relatively short space of time. Energy is essential to human life and, although technological progress has enabled a significant reduction in energy content per unit of production and use, a world lacking sophisticated forms of energy is inconceivable, at least as far as current and foreseeable technological knowledge is concerned. But this simple consideration does not cover all the issues behind the word “sustainability”. Another key element of “sustainability” is the increasing concern over global climate change and its impact on human activities. In this area, it is the scientists (with the exception of some skeptics) who have reached a consensus that carbon emissions from the production, transformation and consumption of energy sources are altering the normal course of world climate cycles. The potential depletion of world resources and the impact on climate are driving urgent calls for innovative solutions for the future of world energy. The eventual exhaustion of hydrocarbon reserves can be taken as fact. The question is, when will it occur? In a few decades? In a century? Or, maybe, even later? Whatever the answer, we need to consider a number of key conditions regarding the very long term (say 50 years or longer). • A new approach to energy consumption will have to be
achieved. A number of studies, from authorities including the UN-IPCC (United Nations Intergovernmental Panel on Climate Change), the OECD-IEA (International Energy Agency), the EC (European Commission) and the US-EIA (Energy Information Administration), consider energy conservation a must and the single most important factor that can curb significantly energy intensity as well as carbon emissions. Energy conservation requires large investments, especially in end-use equipment and buildings, although, according to the IEA and other studies, the returns will more than compensate for the initial investment. Conservation also requires a change of habits in the use of energy, with attention on the behavior of the individual consumer as well as on industrial production processes, in order to minimize waste and maximize recycling. • A portfolio of different sources will be needed to reduce the use of fossil fuels in
the production of energy. The current focus is on renewable sources, with nuclear representing a possible emission-free solution, but popular support needs to be built up. • Nevertheless, major technological breakthroughs will be required before solar, wind, hydrogen and biomass fully substitute hydrocarbons as non-expensive energy sources. While action is taken to put these three conditions in place, we shall experience a long period of transition during which hydrocarbons will become less and less available and consequently more and more expensive. However, the majority of international studies on the world’s energy future and the potential shortage of oil and gas conclude that oil and natural gas reserves will actually not become a problem until at least 2030, as new technology and new ways to produce oil become more common (natural gas to liquids, unconventional
oil, bio-fuels, new reserves). One of the main studies comes from the oil industry itself—it was produced and recently released by the NPC, the National Petroleum Council, a body of 175 authorities that reports to the US government, under the direction of Lee Raymond, former CEO of ExxonMobil. The team that produced the report also included private research centers, academic institutions, banks, government agencies and environmental groups like Resources for the Future and the Alliance to Save Energy. According to the report, coal, oil and natural gas will remain indispensable in the next few decades to meet total projected growth in energy demand, but, it concludes, “the global supply of oil and natural gas from the conventional sources ... is unlikely to meet ... growth in demand over the next 25 years”. In a nutshell, the oil industry itself is advocating the need to search for new energy sources. The report, which took
almost two years to produce, echoes the concern about impending oil and natural gas shortages previously voiced by the International Energy Agency of the OECD. Naturally, any estimate of future energy and hydrocarbon requirements is subject to assumptions and forecasts regarding a number of factors with a significant impact on projected energy demand and its composition by fuel. The energy world rarely develops in a predictable manner and is subject to varying influences, making it difficult to determine how any single factor will affect the future, let alone the combination of all the factors in play. Global economic, political and demographic drivers Over the last 25 years, financial innovation, especially in the United States and the United Kingdom, has freed up significant amounts of capital for investment, while European integration and monetary union has set the stage for healthier public finances, lower inflation and lower interest rates in Europe. The advent of the single European currency has also allowed countries to diversify their foreign reserve assets, thus lowering risks in the financial environment. At the same time, the constant trend toward globalization has allowed corporations to re-locate their production facilities to areas where resources (both natural and labor) are cheaper, helping to keep prices down despite substantial rises in oil and commodities prices. The Chinese boom based on cheap labor is just one example of how the developing countries are contributing to worldwide disinflation. To complete the picture, the fall of Communism and the end of the Cold War has brought
a “peace dividend”, in the form of a reduction in defense expenditure and a higher level of collaboration and trade between the formerly antagonist blocks. The end of the Cold War has also facilitated the shift toward market-driven economies in many Western industrial countries. This has translated into significant deregulation, sales of state ownership in companies, greater flexibility on labor markets, freer trade, etc. Given this historical background, some reasonable assumptions may be made regarding the probable economic scenario for the next 25 years, or until 2030. The bodies that have ventured into forecasting future energy demand, such as the UN-IPCC, the US-EIA, the OECD-IEA and Global Insight, have each formulated their own economic growth projections, which differ with regard both to the scale of growth and to the contribution of each world region to growth. Overall, however, the expectation is that the annual growth in world GDP will stabilize between 3.5% and 4%, accompanied by further gradual liberalization of markets and global trade. Economic and financial market developments in China and in Asia generally will allow for progressive increases in Total Factor Productivity, thus offsetting declining contributions from factor inputs. On the other side of the coin, efficiency improvements will be slow in coming in Europe’s capital and labor markets, and the problem will be exacerbated by the political fragmentation of Europe and European countries, with the result that Europe will not achieve its full growth potential. Finally, political instability will continue to hamper Africa and the Middle East, which
will remain a crucial region for the oil and energy markets. Another key element in forecasting energy demand is population growth. Most observers use population projections based on UN reports, which forecast an annual average increase of 1% until 2030, for a total of 8.1 billion people (from 6.4 billion in 2004). Technological developments The unprecedented level of technological knowledge currently available is the result of a process of fairly steady evolution since the start of the industrial age. Evolution has been the trend, rather than breakthroughs. In the last 25 years, many energy-related technological improvements have been introduced, with a significantly positive effect on the demand/supply balance. These improvements have taken place in basically all energy areas. Production of primary energy has seen rapid productivity gains in extraction, greatly increased water depths for platforms, horizontal drilling and enhanced recovery for oil reserves, as well as initial development and production of unconventional hydrocarbons. In the field of power generation and energy transformation, an increase in efficiency from 52% to 58% (lower calorific value, net of plant) has been achieved, commercialization of combined-cycle gas turbines (CCGTs) has obtained substantial market share and wind-turbine capacity has increased from less than 100 kW to nearly 5 MW per unit, while off-shore wind turbines have also gone into operation. Technology has also brought cost reductions in transport of liquefied natural gas (LNG), while a range of efficiency gains has been achieved in many consumer
goods (light bulbs, white goods, automobiles, etc.). There is no reason to expect this trend to stop. If anything, the probable increase in the price of hydrocarbons will allow for additional R&D in the energy field, most likely bringing even faster technological progress. Developments in materials science, in new battery technology, in the cost per kWh of solar power and in bio-fuel technology, commercial development of tidal power and widespread penetration of smart meters for both gas and power are on the cards. Forecasting oil prices and global energy demand The first factor to forecast when attempting to depict a future global scenario of energy markets is the price of oil, which affects demand as well as the production of oil and other energy sources, the latter becoming relatively more or less competitive, thus changing the picture for investment in research in each of the sources. Different institutions provide different oil price forecasts, however the range within which the oil price path moves is not enormous. In particular, the Global Insight forecast expects the oil price to stay at high levels in nominal terms, and so slowly decrease in real terms. This is based on a number of considerations. First, that the current oil price is somehow driven by a “fear premium” related to the so-called “oil peak” views. Second, if on the one side, non-OPEC conventional crude oil production will most likely peak before 2020, on the other OPEC conventional crude oil, OPEC and non-OPEC natural gas liquids (NGL), plus increasing bio-fuels and other supply sources (gas-to-liquids—GTL, heavy oils, tar sands) will help to
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meet demand. Figure 1 shows the relative contribution to oil production. On the basis of recent economic, political, demographic, technological and oil price developments and the scenario outlined above, we are looking at a foreseeable trend in global energy demand until 2030 as illustrated in Figure 2. It should be said that the projections from the OECD-IEA, the US-EIA, Global Insight and the other most reliable forecasters move within a reasonably narrow range, albeit with some differences, especially in the relative contribution of some sources. The most striking evidence that emerges from analysis of the
various forecasts, and is also clear in Figure 2, is that natural gas, oil and coal will be the three sources that increase the most in absolute terms. In other words, fossil fuels will continue to account for the lion’s share of the world energy consumption pie. Renewables (which in the graph also include biomass) will show the fastest increase, but their total contribution to meeting energy demand in 2030 will still be little more than 10%. Use of nuclear power is the factor on which estimates differ most, especially after 2015. While the IEA and Global Insight believe that few of the planned plants currently being discussed will come into operation and that
Figure 1 – GLOBAL OIL SUPPLY OUTLOOK (Million barrels per day)
their contribution will mostly be a replacement for the plants being decommissioned, the US-EIA expects faster growth after 2015; yet the US-EIA, too, believes the contribution of nuclear will remain marginal. Another important indication that emerges from Figure 2 is that the share of each source over the total will not vary greatly with respect to today. Natural gas will increase its share, but renewables do not appear to achieve the level of penetration that could assist a significant reduction in CO2 emissions. It would seem then that despite the Kyoto Protocol and concerns over emissions among scientists, policy makers and
consumers, the calls for new clean sources and for a change in consumer behavior will not actually bring about much real change in the energy world … that they are in fact “much ado about nothing”.
* Nariman Behravesh is Chief Global Economist and Executive Vice President for Global Insight. Before joining Global Insight, Dr. Behravesh was Chief International Economist for Standard & Poor’s. Emilio Rossi is Managing Director European Consulting for Global Insight, based in Milan, Italy.
Figure 2 – TREND IN ENERGY DEMAND
La prossima rivoluzione industriale nei sogni dell’Europa The Next Industrial Revolution in the Dreams of Europe di Andris Piebalgs* by Andris Piebalgs*
La Ue vuole guidare da subito la lotta mondiale al riscaldamento globale The EU wants to take the immediate lead in the world struggle against global warming
Andris Piebalgs
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i troviamo di fronte a un periodo di estrema complessità per il settore dell’energia mondiale e per l’umanità intera. La domanda di energia è destinata a una crescita superiore al 50% entro il 2030, mentre la popolazione mondiale dovrebbe aumentare da 6,6 a più di 9 miliardi. Se l’attività industriale manterrà i ritmi attuali, il drastico aumento della domanda energetica finirà col costituire una minaccia per l’economia globale e per il clima: maggiore consumo energetico significa infatti aumento delle emissioni di anidride carbonica e si stima che entro il 2030 le emissioni di CO2 avranno subito un incremento del 110%. I cambiamenti climatici sono già sotto gli occhi di tutti: i segnali che confermano l’esistenza del problema sono inequivocabili e la comunità scientifica è concorde. Il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (UN-IPCC) ha lanciato messaggi molto forti a riguardo: diventa sempre più evidente che senza un’azione vera ed efficace, gli effetti sull’ambiente, sull’economia e sul nostro stile di vita saranno terribili. I cambiamenti climatici sono già al centro dell’agenda politica della maggior parte
dei paesi sviluppati, sebbene i loro effetti colpiscano principalmente le nazioni più povere del mondo. Dobbiamo renderci conto che abbiamo a disposizione solo un brevissimo lasso di tempo per affrontare il problema: sarebbe già troppo tardi anche solo se il mondo aspettasse un decennio, o poco più, per intervenire. Ciò significherebbe aver lasciato ai nostri figli e ai nostri nipoti la pesante eredità dei cambiamenti climatici che, a quel punto, non potranno più essere risolti. Siamo giunti a una svolta e fortunatamente sembrano esserci discrete possibilità che il mondo agisca all’unisono per affrontare questa sfida. Possiamo solo sperare che le azioni non siano troppo modeste e che non arrivino troppo tardi. Ma credo che riusciremo a vincere la battaglia, per un motivo che è stato espresso recentemente e molto chiaramente da Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University, in una serie di conferenze sul tema. Il professor Sachs rileva che già negli anni Novanta il pianeta si era trovato ad affrontare un problema simile con i cloro-fluoro-carburi (CFC) che stavano distruggendo lo
strato di ozono dell’atmosfera e in quella occasione la funzione della cooperazione internazionale era stata determinante. Sachs ricorda che le azioni intraprese per risolvere la questione dei CFC seguirono un processo a cinque fasi. Nella prima fase, il mondo scientifico identificò il problema. Nella seconda, gli interessi colpiti – in questo caso i produttori di CFC e aerosol – contestarono pubblicamente e attivamente gli scienziati. Fortunatamente la natura e le leggi della fisica hanno un sistema per superare gli interessi costituiti: nel caso dei CFC, furono le foto del buco nello strato d’ozono scattate dalla Nasa. La terza fase fu dunque quella dell’accettazione pubblica, ovvero la presa di coscienza da parte di tutti del fatto che il problema toccava ognuno di noi e avrebbe avuto effetti sulla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti. Questa consapevolezza rappresentò un primo invito all’azione, cui seguì la mobilitazione degli scienziati, in cerca di soluzioni. Per giungere così, infine, alla fase cruciale, quando le aziende, precedentemente scettiche, sussurrarono all’orecchio dei politici, “va bene, potete raggiungere un accordo, siamo in grado di gestire il problema”. E a quel punto, si riuscì ad arrivare rapidamente a un accordo internazionale. Il dibattito sui cambiamenti climatici sta seguendo lo stesso percorso. Sebbene il riscaldamento globale sia stato identificato per la prima volta nel 1896, solo recentemente – dopo gli uragani, il progressivo scioglimento dei ghiacciai e gli allarmanti e statisticamente significativi aumenti delle temperature medie – è stato accettato dalla comunità globale. E ora si comincia a comprendere che i cambiamenti climatici rappresentano,
in effetti, un problema che ci colpisce tutti personalmente. Dopo un’iniziale reazione di scetticismo nei confronti della scienza, alimentata anche dagli interessi in gioco, si sta diffondendo finalmente in tutto il pianeta una coscienza pubblica della necessità di agire, che trova concorde anche il mondo scientifico. Credo di poter dire che stiamo entrando nella fase finale in cui le aziende cominciano a sussurrare all’orecchio dei politici “va bene, potete raggiungere un accordo, siamo in grado di gestire il problema”. L’Unione europea è determinata ad assumersi pienamente le proprie responsabilità nella lotta al riscaldamento globale. Considerato che il Vecchio Continente è uno dei maggiori consumatori mondiali di energia e uno dei principali produttori di gas a effetto serra, appare ovvia la necessità di una nuova politica europea in materia di energia per affrontare questa sfida. La Ue ha adottato un piano d’azione globale per pilotare una nuova politica energetica europea. L’obiettivo è quello di garantire la sostenibilità dell’energia che usiamo, la sicurezza dell’approvvigionamento e la competitività dell’economia. Ci siamo impegnati nella più ampia riforma della politica energetica europea mai intrapresa, una riforma che porterà a una fondamentale inversione di rotta. Il punto di partenza è un obiettivo strategico: un nuovo orientamento della politica energetica che possa consentire alla Ue di ridurre le proprie emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Questo significa trasformare l’Europa in un’economia altamente efficiente sotto il profilo energetico e a basse emissioni di CO2, innescando una sorta di nuova rivoluzione industriale
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nella politica energetica europea. Questi sono i provvedimenti auspicati dalla Commissione. • Revisione del sistema di scambio delle quote di emissione (ETS-Emissions Trading Scheme) e prolungamento di questo a oltre il 2012; integrazione di tutti gli emendamenti necessari a garantire l’obiettivo di riduzione del 20% dei gas serra entro il 2020; intensificazione degli sforzi per il raggiungimento di un accordo globale sui cambiamenti climatici. • Presentazione della nuova “Direttiva Ombrello sulle Energie Rinnovabili”. Il documento darà un contributo concreto all’accettazione da parte del Consiglio europeo degli obiettivi nazionali legalmente vincolanti in materia di energie rinnovabili. L’obiettivo del 20% di energie rinnovabili entro il 2020 è molto ambizioso e sono in parecchi a pensare che sarà molto difficile da raggiungere. Ma se permettiamo a noi stessi di accettare l’idea che un simile livello di energia rinnovabile sia “impossibile”, dobbiamo anche accettare l’idea che lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti l’eredità del riscaldamento globale. Se tutta l’Europa seguisse l’esempio di Germania e Danimarca nell’utilizzo delle energie rinnovabili, il traguardo del 20% sarebbe a nostra portata di mano. Nonostante altre voci discordanti secondo le quali sarà comunque un obiettivo troppo costoso, dal mio punto di vista resta il fatto che non possiamo permetterci di non intraprendere questo passo. • Implementazione di una serie di iniziative sull’efficienza energetica, dagli standard minimi di produzione a una migliore etichettatura, dai codici di costruzione aggiornati e migliorati a sistemi di trasporto
più efficienti nelle città europee. Il potenziale in questo ambito è enorme, non solo per quanto riguarda la riduzione delle emissioni ma anche per l’incremento della competitività europea. Tra i diversi progetti in corso, la Commissione intende inoltre gettare le basi di un nuovo accordo internazionale sull’efficienza energetica. Tale accordo potrebbe consentire all’Ocse e ad alcuni paesi chiave tra quelli in via di sviluppo di concordare approcci comuni per il contenimento dei consumi di energia. Il potenziale risparmio energetico e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica sono enormi: una maggiore efficienza energetica potrebbe ridurre le emissioni nella Ue del 20% circa rispetto allo scenario di partenza. • Avvio dei lavori della Commissione per rispondere all’invito del Consiglio europeo per il lancio di un’Iniziativa strategica europea in materia di tecnologie energetiche. Questo è un aspetto fondamentale della nuova politica energetica europea e personalmente ritengo possa essere la chiave di volta per trasformare le problematiche connesse ai cambiamenti climatici e alla sicurezza energetica in un vantaggio competitivo. Come in tutte le rivoluzioni industriali, il successo nella lotta al cambiamento climatico sarà determinato dalla tecnologia. Questo significa una nuova generazione di impianti a efficienza energetica, tecnologie di sequestro dell’anidride carbonica e nuovi materiali per permettere l’abbattimento dei costi dell’energia eolica e fotovoltaica, per citare solo alcune delle innovazioni tecnologiche possibili. Non ha infatti alcun senso che l’Europa guidi il pianeta nella lotta ai cambiamenti climatici ma non sia poi all’avanguardia
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nel creare la prossima generazione di tecnologie a bassa emissione di anidride carbonica. La quota di risorse economiche messe a disposizione per finanziare la ricerca in materia di energia, incluse le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e il sequestro di CO2, sarà ampliata significativamente nel 7° Programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico (FP7) della Ue. • Da ultimo, vorrei sottolineare la necessità di una politica estera comune in materia di energia che accresca la capacità dell’Unione di sostenere e promuovere la cooperazione con il resto del mondo. La politica energetica è una delle maggiori sfide che ci troviamo ad affrontare e in questo quadro rientra il lancio voluto dalla Commissione di un partenariato Ue-Africa per l’energia. La nostra attenzione si concentra sul rafforzamento
del dialogo tra Africa e Unione europea sull’accesso all’energia e sulla sicurezza energetica, sull’aumento degli investimenti per le infrastrutture energetiche, compresa la promozione dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, e sulla creazione di un ambiente favorevole a integrare la questione dei cambiamenti climatici e dell’energia nell’agenda di cooperazione allo sviluppo. Il riscaldamento globale è una sfida planetaria e la sicurezza energetica può essere incrementata esclusivamente a fronte di una vera azione internazionale. L’Unione europea, in quanto mercato energetico integrato più grande del mondo, può dettare il passo su questi temi ma deve riuscire a conquistare altri partner. L’interesse mostrato dall’Unesco rispecchia la necessità della più ampia coalizione internazionale per affrontare problemi quali la
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riduzione dei gas a effetto serra, il miglioramento dell’efficienza energetica, lo sviluppo di fonti di energia sostenibili e azioni per contrastare la scarsità di energia. Abbiamo una responsabilità collettiva nei confronti di tutti i nostri concittadini per preparare le basi a un futuro migliore. Il mercato e le tecnologie da sole non risolveranno tutti i nostri problemi. Se vogliamo invertire le attuali tendenze abbiamo bisogno di politiche forti e una reale volontà. L’industria, come sempre, non è una soluzione; ci vuole l’azione. La nostra nuova Politica Energetica per l’Europa è la risposta dell’Unione europea: una risposta ambiziosa, un piano d’azione per contrastare la minaccia dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale. Potrebbe essere considerata come l’inizio di una nuova rivoluzione industriale nell’uso dell’energia nei paesi dell’Unione europea.
* Andris Piebalgs ha assunto il ruolo di commissario per l’Energia nel novembre 2004. Dall’allargamento della Ue del 1° maggio 2004, quando i commissari dei nuovi stati membri sono entrati a far parte della Commissione europea, ha diretto il Gabinetto del commissario lettone Sandra Kalniete. Prima di entrare a far parte della Commissione europea, ha lavorato in ambiente diplomatico per quasi dieci anni, prima come ambasciatore lettone in Estonia e poi come ambasciatore lettone presso l’Unione europea, fino al 2003. Successivamente è stato sottosegretario di stato per gli Affari Europei presso il Ministero lettone degli Affari Esteri. In Lettonia Piebalgs è stato ministro dell’Istruzione dal 1990 al 1993 e ministro delle Finanze dal 1994 al 1995.
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hese are challenging times for the world’s energy sector and for mankind. Demand for energy is set to increase by more than 50% by 2030, the global population is expected to grow from 6.6 billion to more than 9 billion people. If business continues as usual, this dramatic increase in energy demand will pose a threat to the global economy and to the climate, since increased energy consumption will be accompanied by a rise in CO2 emissions. By 2030, CO2 emissions would have increased by 110%. Climate change is already visible to us all. Evidence about its reality is overwhelming and the scientific community unanimous. The Intergovernmental Panel on Climate Change (UN-IPCC) has issued strong messages. It is becoming increasingly clear that without real and effective action, the impact on our environment, our economy, and our way of life will be tremendous. Climate change is already at the top of the political agenda in most developed countries, yet its effects are felt first of all by the world’s poorest nations. We have to realize that we have only a brief window of opportunity to deal with this problem. If the world waits a decade or more, it will be too late. We will have left our children and grandchildren the legacy of climate change and by that time there will be absolutely nothing they can do about it. We are turning a corner, and the signs are that the world will act together to meet this challenge. We can only hope
that the action is not too little nor too late. But I believe that we will succeed, for a reason perhaps best expressed by Jeffrey Sachs, the Director of the Earth Institute of Columbia University, in a recent series of lectures. He points out that in the 1990s the world dealt with a similar problem—chlorofluorocarbons, or CFCs, which were destroying the Earth’s ozone layer—through international cooperation. As Sachs observes, arriving at action to deal with CFCs was a five-stage process. First, science identified the problem. Second, the vested interests—the makers of CFCs and aerosols in this case—publicly and actively disputed the scientists. But nature, the laws of physics, has a way of overcoming vested interests. In the case of CFCs, it was the NASA photo of the hole in the ozone layer. So the third stage was public acceptance—the realization that the problem was a personal one that would affect the lives of our own children and grandchildren. This fuelled a call for action. Then came the scientists, searching for solutions. And finally, the crucial stage, when the previously skeptical companies whispered to the politicians, “it’s OK, you can reach an agreement, we can handle this”. And from there, an international agreement was quickly reached. The climate change debate is following the same path. Although global warming was first identified in 1896, only recently—after hurricanes,
glaciers melting in front of our eyes and statistically meaningful and worrying increases in average temperatures—has it been accepted by the global community. And it is now beginning to be widely understood that climate change is, indeed, a personal issue. So, after the initially skeptical response to science, fuelled by vested interests, public acceptance about the need to act is now spreading, right across the globe. Science has followed and I believe that we are entering the final phase when business is beginning to whisper in the ears of the politicians, “it’s OK, you can reach an agreement, we can handle this”. The European Union is resolved to take its responsibility in the struggle against global warming seriously. Given that it is one of the world’s largest energy consumers and a major emitter of greenhouse gases, the need for a new European Energy Policy to meet these challenges is self-evident. The EU adopted a comprehensive action plan to steer a new energy policy for Europe. It aims to ensure the sustainability of the energy we use, the security of supply and the competitiveness of the economy. We have embarked on the widest ranging reform of Europe’s energy policy ever attempted, a reform that will bring a fundamental change of direction. The point of departure is a strategic objective: redirecting our energy policy to enable the EU to achieve a 20% reduction in greenhouse gas emissions by 2020, compared to 1990 levels. This means transforming Europe into a highly energy efficient and low CO2 energy economy, which is nothing less than a new industrial revolution in the European energy policy. These are the steps the Commission prescribes.
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• Commission’s review of the Emissions Trading Scheme (ETS), extending it beyond 2012 and amending it to provide the 20% greenhouse gas cuts we are looking to achieve by 2020. Further commitment to redouble its efforts to reach a global agreement on climate change. • Adoption of a new “Umbrella Renewables Directive”. This will give very concrete effect to the European Council’s acceptance of legally binding national renewable energy targets. A 20% renewable energy target by 2020 is very ambitious. I have heard some people say it will be very difficult to achieve. But if we allow ourselves to accept that such levels of renewable energy are “impossible”, we also have to accept that we will leave our children and grandchildren the legacy of global warming. If the whole of Europe were to follow Germany and Denmark’s lead on renewable energy, for example, we would reach our 20% objective. I have heard other people argue that it will be too expensive. In my view, we cannot afford not to take this step. • Implementation of a whole series of initiatives on energy efficiency; from minimum product standards to better labeling, improved building codes, more efficient transport systems in Europe’s cities. The potential here is huge, not just in terms of reducing emissions, but equally in improving European competitiveness. In addition, the Commission intends to draw up the basis for a new international agreement on energy efficiency. This could bring together the OECD and key developing countries to agree on common approaches to save energy. The potential energy saving and CO2 reduction is enormous—improved energy
efficiency could cut emissions in the EU by around 20% compared to the baseline scenario. • Development of a comprehensive work plan to respond to the call of the European Council for a European Strategic Energy Technology Initiative. This is a cornerstone of Europe’s new Energy Policy and in my view the key to turning the challenge of climate change and energy security into a competitive advantage. Like all industrial revolutions, success in combating climate change will be technology driven. This means a new generation of energy efficient equipment, carbon sequestration technologies and new materials to bring down the cost of wind and photovoltaic, to name but a few. It makes no sense for Europe to lead the world in dealing with climate change but not take the lead in developing the next generation of low carbon technology. The financial means made available to fund energy research, including renewable energy, energy efficiency and carbon sequestration, will be significantly increased in the 7th Framework Program for Research and Development (FP7) in the EU. • Finally, I would like to emphasize the need for a common external EU energy policy which is enhancing the EU’s ability to engage in cooperation with the rest of the world. Energy Policy is one of the greatest challenges we face and, in this regard, the Commission has proposed the launch of an EU-Africa Energy Partnership. Our attention focuses on strengthening EU-African dialogue on access to energy and energy security, increasing investment in energy
infrastructure, including promotion of energy efficiency and renewable energy, placing capacity building in the areas of energy and climate change high on our development aid agenda. Global warming is a global challenge and energy security can only be increased through real international action. As the world’s largest integrated energy market, the EU can set the pace on these issues, but it needs to bring other partners on board. The interest shown by UNESCO in this subject reflects the need for the broadest international coalition to address issues such as reduction of greenhouse gases, improvement of energy efficiency, development of sustainable energy sources and action to tackle energy poverty. We have a collective responsibility toward all our citizens to prepare a better future. Markets and technologies alone will not solve all our problems. Strong policies and a real political will are needed to reverse the current trends. Business as usual is not an option. Action is
needed. Our new Energy Policy for Europe is the European Union’s response. It is truly ambitious, it is an action plan to overcome the threats of climate change and global warming. It could be regarded as the beginning of a new industrial revolution in energy use in the EU.
* Andris Piebalgs took up the post of Energy Commissioner in November 2004. Since the enlargement of the EU on May 1, 2004, when the Commissioners of the new Member States joined the European Commission, he has headed the Cabinet of Latvian Commissioner Sandra Kalniete. Before joining the European Commission, he worked in the diplomatic community for almost a decade, as Latvian Ambassador to Estonia, then Latvian Ambassador to the European Union, until 2003. Subsequently, he was Undersecretary of State for EU affairs at the Latvian Ministry of Foreign Affairs. Previously, Mr. Piebalgs was Latvia’s Minister of Education from 1990 to 1993 and Minister of Finance from 1994 to 1995.
Petrolio: una fiammata dura a morire Oil: the Die-Hard Flame di Alberto Clò* by Alberto Clò*
I rincari non dipendono dall’esaurirsi delle riserve, ma dalla scarsità di investimenti per l’output Price increases caused by insufficient investment in output rather than by a depletion of reserves
Alberto Clò
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all’inizio del nuovo millennio, il mondo dell’energia sta attraversando una nuova crisi con prezzi del petrolio, pivot nell’insieme delle fonti, aumentati di 3-4 volte a punte prossime ai 100 dollari al barile (doll/bbl). Le ragioni all’origine appaiono, tuttavia, molto più complesse che in passato e il percorso per porvi rimedio molto più impervio, così che lo spettro di un suo possibile aggravarsi si paventa come sempre più verosimile. In gioco sono gli equilibri economici, politici, ambientali dell’intero pianeta, per tre ragioni: 1) la biunivoca rafforzata relazione tra energia e crescita, col ridursi delle disuguaglianze tra Sud e Nord del mondo; 2) le tensioni politiche che attraversano la generalità delle aree da cui dipende e sempre più dipenderà l’offerta incrementale di idrocarburi; 3) l’impatto sui cambiamenti climatici delle fonti fossili che, nonostante le diffuse speranze sul contributo delle risorse rinnovabili, sono finora le uniche in grado di dare soddisfazione alla fame di energia. Il cambiamento centrale alla dinamica dei mercati energetici è il venir meno delle condizioni
che avevano consentito la precedente fase di bassi e stabili prezzi del petrolio – 16,5 doll/bbl nella media 1986-1999 – che ha alimentato uno dei più robusti cicli espansivi dal secondo dopoguerra. Tre in particolare: netta caduta e poi lenta ripresa della domanda di petrolio; drastica riduzione dei costi di produzione, per le innovazioni tecnologiche nella ricerca, estrazione, raffinazione di petrolio; formarsi di un consistente surplus di capacità produttiva in tutte le filiere energetiche (petrolio, metano, elettricità), da cui originarono le pressioni per la liberalizzazione dei mercati. Dall’inizio del millennio le cose si capovolgono lungo la sequenza: minori prezzi, minore redditività, minori investimenti, maggior domanda, maggiori prezzi del petrolio, del metano (ancorati ai primi), dell’elettricità, sempre più prodotta col metano. Se questi rialzi siano legati al ciclo degli investimenti e destinati, quindi, a rientrare col loro auspicato ma incerto espandersi, è l’interrogativo da cui discende l’ampio spettro di previsioni dei futuri prezzi reali: tra chi ne profetizza livelli superiori anche di molto ai 100 doll/bbl e chi un loro graduale rientro a 35-40.
La risposta dipende dall’intensità relativa dei processi di aggiustamento della domanda e dell’offerta di petrolio (e di energia in genere) ai più elevati prezzi reali. Se, in sostanza, si ripeteranno le dinamiche che consentirono nelle passate crisi, in poco più di un decennio (1974-1986), un ritorno dei prezzi ai valori di partenza. A giudicare da quanto sta avvenendo la risposta è negativa. A rendere il rialzo dei prezzi strutturale va contribuendo, infatti, una minor elasticità dei prezzi sia della domanda sia dell’offerta di petrolio e di metano. Per quanto riguarda la domanda, i motivi sono: • la robustezza della crescita economica mondiale, la più elevata da una generazione in qua, che continua a sospingere verso l’alto la domanda di energia, specie dell’area asiatica, nonostante i suoi maggiori prezzi; • il restringersi, nei paesi industrializzati, degli spazi di sostituzione del petrolio che consentirono in passato, col ricorso al carbone e al nucleare, di abbatterne drasticamente la domanda; • il basso impatto inflazionistico del caro-petrolio per il minor peso dell’energia nella formazione del reddito dei paesi industrializzati e per i controbilancianti effetti dei bassi prezzi delle merci importate dall’area asiatica. La conclusione è che l’economia mondiale va reggendo molto meglio che in passato alla nuova crisi petrolifera. Il previsto calo della domanda, principale deterrente all’aumento dei prezzi, non si è verificato, registrandosi invece un suo aumento in soli 8 anni (1999-2007) di oltre 10 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g), più dell’intera produzione dell’Arabia Saudita. La fame di energia – che proietta una
crescita della sua domanda nell’ordine del 60% tra il 2004 e il 2030 a oltre 17 miliardi di tep (tonnellate equivalenti petrolio) e di quella di petrolio del 40% da 82 a 115 mil. bbl/g – appare molto più forte dell’antidoto degli alti prezzi. A essa il mondo deve dare risposta, anche perché nell’era della globalizzazione tutti beneficiano della crescita dell’economia mondiale. Alla robustezza della domanda fa riscontro, ed è questo il nocciolo della questione, un’offerta che stenta a crescere. La ragione non è riconducibile, come sovente paventato, alla scarsità di petrolio, ma ai bassi investimenti per renderlo disponibile. Come accaduto in ogni passata crisi, anche nell’attuale si sono puntualmente levati timori che il rialzo dei prezzi sia l’inevitabile effetto del manifestarsi della sua scarsità assoluta con “l’inevitabile e ormai imminente” picco della sua curva di produzione, secondo l’ormai famosa teoria del geofisico americano Marion King Hubbert. Non v’è dubbio che ciò sia avvenuto o stia avvenendo per un gran numero di giacimenti e/o di paesi produttori, ma trarne la conclusione che questo possa valere anche per la complessiva produzione mondiale è privo d’ogni fondamento logico-fattuale. Pochi dati ne rendono conto. L’ammontare delle risorse ultime di petrolio convenzionale – il confine massimo del suo potenziale estrattivo – è stimato tra 2.300 e 2.900 miliardi di barili, di cui 1.200-1.300 classificati come riserve provate, tecnicamente ed economicamente estraibili, rispetto a una produzione annua sui 32 miliardi. A queste risorse devono poi aggiungersi quelle non convenzionali (sabbie e scisti bituminosi,
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greggi extra-pesanti, orimulsion), stimate tra i 1.300 miliardi di barili tecnicamente recuperabili e un loro confine massimo di 6.000 miliardi. Ancor più ampie sono quelle di metano. Conclusione: la base mineraria di idrocarburi su cui il mondo può fare affidamento, unitamente agli sviluppi della tecnologia per accrescerne il grado di sfruttamento, consente di far conto su un flusso potenziale di offerta in grado di soddisfare pienamente l’attesa crescita della domanda. La bassa propensione a investire dell’industria petrolifera non
dipende, quindi, da limiti strutturali posti dalla natura, ma da altre motivazioni. In primo luogo, la bassa possibilità di accesso, per le compagnie occidentali, alle risorse convenzionali di idrocarburi controllate per l’80%-90% dalle compagnie di Stato dei paesi produttori; quindi, i sempre più elevati e imprevedibili costi e tempi dei progetti nelle aree di frontiera verso cui le imprese sono state costrette gioco forza a orientarsi. Il terzo motivo consiste nel prevalere, nella filosofia
decisionale delle imprese occidentali, di logiche finanziarie più che industriali. Da cui la preferenza verso ottiche di ritorno di breve periodo; politiche di crescita lungo linee esterne, tramite fusioni ed acquisizioni, che bruciano enormi risorse finanziarie senza accrescere d’un solo barile le riserve; generose politiche di remunerazione degli azionisti. Ultima ragione, non per importanza, è lo stato di profonda crisi in cui versa la più parte delle compagnie di Stato dei paesi produttori: perché guidate da interessi politici più che da logiche economiche; assillate, tranne rari casi, da grandi difficoltà tecnologiche e manageriali; afflitte, paradossalmente, da scarsità finanziarie a causa del massiccio drenaggio di risorse da parte delle costose e inefficienti politiche sociali interne. Venezuela, Messico, Kuwait, Federazione Russa, Nigeria, Iraq, Iran, Indonesia, Gabon – che contano per oltre 1/3 della produzione mondiale di idrocarburi e per la metà delle relative riserve – vanno registrando una stagnazione/declino della loro produzione, nonostante un rapporto riserve/produzione superiore ai 60 anni per il petrolio e 120 anni per il metano. La loro capacità di espandere l’offerta attraverso un rapido e forte aumento degli investimenti è, allo stato delle cose, altamente incerta e improbabile. Due gli effetti della bassa propensione a investire. Il primo è la difficoltà a espandere la capacità produttiva nell’intera filiera degli idrocarburi. Quella inutilizzata di petrolio è crollata di circa 5 volte a 2-3 mil. bbl/g, vale a dire appena il 2%-3% dell’offerta mondiale. È evidente come in condizioni
di tale rigidità dell’offerta ogni minima ragione di tensione – reale o politica, effettiva o anche solo temuta – impatta sui prezzi del petrolio in modo tanto più esasperato quanto più le transazioni finanziarie, prettamente speculative, prevalgono su quelle reali. Il secondo effetto è l’incapacità della più parte delle grandi imprese petrolifere a rimpiazzare la loro produzione: così che la loro base mineraria si va vieppiù restringendo. Se questa tendenza non verrà rapidamente invertita, sarà sempre più a rischio non tanto il loro futuro ma, ancor prima, quello dei sistemi energetici nella loro globalità. Il mondo intero si trova inerte e inerme di fronte ai principali attori della scena petrolifera governati da obiettivi/decisori – politici per le compagnie di Stato dei paesi produttori; finanziari per quelle internazionali – indifferenti all’esigenza di garantire un pieno e stabile equilibrio dei mercati energetici nelle loro due componenti essenziali: petrolio e metano. Chi e come risolvere questa contraddizione è l’interrogativo di fondo della crisi in cui versiamo. L’inversione delle tendenze in atto poggia sul verificarsi di condizioni interne ed esterne all’operato delle grandi compagnie internazionali. Sul piano interno si imporrebbe una profonda revisione delle loro strategie in più direzioni. Primo: forte impegno nell’innovazione tecnologica, per ridurre i costi di accesso agli idrocarburi e accrescerne il tasso di recupero minerario. Secondo: maggior creatività progettuale nel ricercare più avanzate “piattaforme contrattuali” con gli stati produttori che sappiano individuare nuovi punti di reciproco interesse.
Terzo: recuperare una gestione industriale e non finanziaria del portafoglio di business, rafforzando la propensione al rischio storicamente connaturata al mondo degli idrocarburi. Solo chi avrà il coraggio di differenziarsi dal pensiero dominante, che privilegia la finanza sull’industria e l’interesse degli azionisti su quello delle stesse aziende, avrà un solido e duraturo futuro. Gli altri soccomberanno o ne saranno spinti ai margini. Di non minore rilevanza sono le condizioni esterne all’operato delle grandi imprese. In particolare: la possibilità, a oggi invero scarsa, che si realizzino le condizioni politiche per un massiccio ritorno dei capitali, delle tecnologie, delle risorse professionali dell’industria occidentale nei paesi produttori, specie del Medio Oriente, necessitando il mondo intero sempre più di quel petrolio. La cooperazione internazionale è la prima risposta alle criticità e alle sfide energetiche che il mondo si trova ad affrontare. La contrapposizione è per tutti perdente e costosa, anche se di ciò non pare esservi una coerente consapevolezza tra i governi del mondo.
* Alberto Clò è professore straordinario di Economia Industriale presso l’Università di Bologna. Ha fondato nel 1980 la rivista Energia di cui è direttore responsabile. Ha scritto numerosi libri e oltre 100 saggi e articoli sulle problematiche dell’economia industriale ed energetica e collabora con diversi quotidiani e riviste economiche. Negli anni 1995-1996 è stato ministro dell’Industria e ad interim del Commercio con l’Estero, e presidente del Consiglio dei ministri dell’Industria e dell’Energia dell’Unione europea durante il semestre di presidenza italiana. Nel 1996 è stato insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica italiana. È attualmente consigliere indipendente di Eni, ASM Brescia, Società Autostrade, Italcementi e De Longhi.
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ince the start of the new millennium, the energy industry has been in the throes of a new crisis: the price of oil, the world’s pivotal source of energy, has tripled or quadrupled to close on 100 dollars per barrel (doll/bbl). The underlying causes of the present crisis, however, are far more complex than in the past and the way toward a solution far more arduous, suggesting that a possible worsening of the crisis looks increasingly likely. The economic, political and environmental equilibriums of the entire planet are at stake, for three reasons: 1) the closer bilateral relationship between energy and growth, and the gradual disappearance of the inequalities between North and South; 2) the political tensions in the areas on which the incremental supply of hydrocarbons depends and increasingly will depend; 3) the impact on climate change of fossil fuels, which so far, despite the widespread hopes resting on renewable sources, are the only sources able to satisfy our hunger for energy. The fundamental change in the dynamics of the energy market is the disappearance of the conditions underpinning the previous period of stable low oil prices—an average of 16.5 doll/bbl from 1986-1999—which drove one of the most vigorous growth cycles of the postwar years. Three conditions in particular: a rapid fall in oil demand followed by a slow recovery; a sharp reduction in production costs as a result of advances in oil prospecting, extraction and refining technology; the creation of significant surplus production capacity in all energy sectors (oil, gas, electricity), leading to growing pressure for market deregulation. With the new century this situation has reversed as the
result of the following sequence of trends: lower prices, lower profitability, lower investment, higher demand, higher prices for oil, for gas (linked to oil prices) and for electricity, whose production depends increasingly on gas. Whether or not these higher prices are tied to the investment cycle and will therefore fall when, hopefully but not certainly, investments increase, is the question on which the broad spectrum of real price forecasts hangs: from the predictions of prices well above 100 doll/bbl to those that expect a gradual downturn to 35-40 doll/bbl. The answer depends on the degree to which oil demand and supply (and energy demand and supply in general) adjust to higher real prices. In other words, on whether we can expect a repetition in the dynamics that, in the previous crisis, brought prices back down to their original levels in just over ten years (1974-1986). Judging by current events, the answer is no. The upward trend in prices is turning into a structural phenomenon, due to the lower price elasticity of both oil and gas demand and supply. The reasons for this, as far as demand is concerned, are as follows: • the strength of world economic growth, the highest for a generation, which continues to push up demand for energy, especially in Asia, despite higher prices; • the increasingly limited opportunities, in the industrialized nations, to use alternatives to oil, such as coal and nuclear power, which in the past produced significant reductions in oil demand; • the low inflationary impact of high oil prices due to the lower incidence of energy in income creation in the industrialized nations and the counterbalancing effects of the
low prices of Asian imports. The conclusion is that the world economy is withstanding the new oil crisis much better today than in the past. The expected drop in demand, the main deterrent against higher prices, has not happened, indeed demand has risen in just 8 years (1999-2007) by more than 10 million barrels/day (mil. bbl/d), more than the entire output of Saudi Arabia. The thirst for energy—with a projected growth in demand in the order of 60% between 2004 and 2030 to more than 17 billion toe (tonnes of oil equivalent) and in oil of 40% from 82 to 115 mil. bbl/d—seems to be much stronger than the antidote of high prices. The world needs to find an answer to this, given that in our age of globalization we all benefit from world economic growth. Although demand is strong, supply, and this is the real problem, is struggling to grow. The cause is not an oil shortage, as is often claimed, but the low level of investment in making oil available. As in every previous crisis, commentators have promptly voiced fears that the price rise is the inevitable consequence of an absolute shortage in reserves and “the inevitable and now imminent” peaking of the production curve notably theorized by US geophysicist Marion King Hubbert. Unquestionably, this has happened or is happening in many oil fields and/or producer countries, but there is no logical or factual justification for concluding that it applies to world production as a whole. A few figures illustrate the point. Ultimate resources of conventional oil—the maximum limit of extractable potential—are estimated at between 2,300 and 2,900 billion barrels, of which 1,200-1,300 are classified as proven reserves,
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whose extraction is technically and economically feasible. This compares with annual production of around 32 billion barrels. In addition to these resources, non-conventional sources (tar sands, oil shale, extra-heavy oil, orimulsion) are estimated at a technically extractable 1,300 billion barrels, with a maximum limit of 6,000 billion. Methane gas resources are even larger. In conclusion: the world’s workable mineral base of hydrocarbons, together with the technological advances enhancing exploitation, mean potential supply is sufficient to meet the expected rise in demand in full. So the oil industry’s low propensity to invest does not spring from natural structural limits, but from other considerations. First, Western industry’s low level of access to conventional hydrocarbon resources, controlled 80%-90% by the state-owned companies of the producer countries; second, the growing and unpredictable project times and costs in the frontier areas where the West necessarily has to focus. The third reason is that in Western business, financial considerations tend to take priority over industrial considerations. This produces a preference for short-term returns; for growth policies through external lines, through mergers and acquisitions that consume huge financial resources without expanding reserves by a single barrel; for generous shareholder remuneration policies. The last and equally important reason is the profound crisis troubling the majority of the state companies in the producer countries: companies run according to political rather than economic criteria; plagued, except in rare cases, by enormous technological and managerial difficulties;
hampered, paradoxically, by financial shortages as a result of the massive drain on resources of expensive and inefficient domestic social policies. Venezuela, Mexico, Kuwait, the Russian Federation, Nigeria, Iraq, Iran, Indonesia, Gabon—who account for more than 1/3 of world hydrocarbon production and for half of world reserves—are all reporting stagnating or declining production, despite a reserves/production ratio of more than 60 years for oil and 120 years for gas. Their ability to increase supply through rapid and significant investment hikes is extremely uncertain and unlikely in the present circumstances. The low propensity to invest has two results. One is the difficulty of the entire hydrocarbon industry to expand production capacity. Unused oil production capacity has fallen five-fold to 2-3 mil. bbl/d, a bare 2%-3% of worldwide supply. Clearly, with such limited room for maneuver, even the smallest tension—real or political, actual or even just feared—has an impact on oil prices whose effect is directly proportional to the degree to which financial speculation prevails over real finance. The second result of low investment is that the majority of the major oil companies are unable to replace their production, and consequently their mineral base is gradually drying up. Without rapid action to reverse this trend, these companies, but
above all our energy systems as a whole, face an uncertain future. An inert world watches helplessly as the main players on the oil stage are driven by goals and decision makers—political for the state companies of the producer countries, financial for the international corporations—who are indifferent to the need to ensure a full and stable equilibrium in the two key sectors of the energy markets: oil and gas. Who can resolve this contradiction, and how, is the question at the root of today’s crisis. A reversal in current trends depends on a series of internal and external conditions impacting the operations of the large multinationals. Internally, a sweeping strategy review is needed on many fronts. First: a serious commitment to technological innovation to cut the cost of sourcing hydrocarbons and enhance the mineral recovery rate. Second: greater creativity in stipulating more advanced types of “contractual platform” that identify new areas of mutual interest with the producer states. Third: a return to industrial rather than financial management of business portfolios, strengthening the risk propensity historically associated with the hydrocarbons industry. Only players with the courage to abandon the mainstream where finance takes precedence over industry, shareholder interests over those of the companies themselves,
will have a solid, lasting future. Everyone else will go under or find themselves relegated to the sidelines. Equally important are the external conditions needed to influence the large companies. Specifically, the development of political conditions for a full-scale return of western capital, technology and professional resources to the producer countries, especially in the Middle East, given that the entire world has increasing need of their oil; although it has to be said that today the possibility of this happening is remote. International cooperation is the first step toward resolving the critical issues and energy challenges facing the world. The alternative for everyone is negative and costly, even though the world’s governments do not all seem to be aware of this.
* Alberto Clò is an Adjunct Professor of Industrial Economics at Bologna University. In 1980 he founded Energia magazine, of which he is Editor in Chief. He is author of many books and more than 100 essays and articles dealing with industrial and energy economy issues and writes for a number of daily newspapers and business journals. From 1995-1996 he was Italian Minister of Industry and Interim Minister of Foreign Trade, and President of the EU Council of Industry and Energy Ministers during Italy’s six-month term of presidency. In 1996 he was decorated with the Order of Merit of the Italian Republic with the rank of Cavaliere di Gran Croce. He is currently an independent director of ENI, ASM Brescia, Società Autostrade, Italcementi and De Longhi.
Quale strada per il futuro Which Way Forward? di Luis E. Echávarri* by Luis E. Echávarri*
Il fascino sottile dell’energia nucleare in Europa The subtle charm of nuclear energy in Europe
Luis E. Echávarri
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egli ultimi anni, la crescente dipendenza economica dell’Unione europea dalle importazioni di energia è diventata una delle principali preoccupazioni dei responsabili delle politiche energetiche. Secondo i dati forniti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia dell’Ocse (IEA) e dalla Commissione europea, questa dipendenza è destinata a crescere dal 50% di oggi a circa il 75% entro il 2030. In questo scenario, molti paesi hanno avviato politiche energetiche volte ad aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti e a diminuire la dipendenza energetica. È chiaro che conservazione ed efficienza energetica rivestiranno un ruolo fondamentale nell’implementazione di tali politiche, insieme allo sviluppo di fonti di energia pulita, tra cui le energie rinnovabili e il nucleare. Ridurre il consumo e utilizzare l’energia in modo più efficiente sono i due fattori chiave per la sicurezza futura degli approvvigionamenti, considerato che l’elevata domanda dei mercati internazionali provoca significativi rialzi dei prezzi e in alcuni casi particolari può addirittura mettere a rischio la garanzia di accesso a forniture adeguate. Anche un maggior
utilizzo di fonti domestiche rinnovabili aiuta a ridurre questa dipendenza. Un altro fattore chiave delle politiche energetiche del futuro è rappresentato dal cambiamento climatico. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera continua ad aumentare costantemente raggiungendo, secondo molti osservatori, livelli di criticità: si tratta di un elemento da tenere in grande considerazione nella corsa alla conservazione e all’efficienza energetica come pure nel crescente ricorso alle fonti rinnovabili e al peso sempre più rilevante che queste vanno acquistando nell’abbattimento delle emissioni di CO2 del settore energetico, largamente responsabile delle concentrazioni globali dei gas a effetto serra. Nonostante gli sforzi dei governi dei paesi Ocse per implementare politiche di conservazione ed efficienza energetica aggressive, si prevede tuttavia che la domanda di energia continuerà ad aumentare, in particolare sotto la spinta di paesi in via di sviluppo come la Cina e l’India, dove l’impiego di energie rinnovabili sarà più lento rispetto all’area dell’Ocse. Secondo le previsioni della IEA, anche se i governi adotteranno politiche migliorative dell’efficienza nella
produzione e nell’utilizzo di energia, la domanda energetica mondiale aumenterà di oltre il 50% da oggi al 2030 e la domanda di elettricità crescerà di oltre il 70% nello stesso periodo. Sebbene non sarà certo l’Unione europea a guidare l’aumento della domanda di elettricità, si prevede che il suo fabbisogno crescerà di circa il 17% entro il 2030 e, se si considera la necessità di sostituire le centrali elettriche obsolete che nel 2030 saranno giunte al termine del loro ciclo di vita, va da sé la necessità di sviluppare nuove capacità di produzione. Copertura del carico base Per quanto riguarda il settore dell’elettricità, le nuove politiche devono tenere in considerazione le richieste di carichi base e di punta. Anche se le fonti rinnovabili ricoprono già una quota importante della produzione totale di energia elettrica e, come si è visto, rivestiranno un ruolo ancor più significativo in futuro, le loro caratteristiche, come l’intermittenza e la distribuzione, le rendono inadatte alla produzione di elettricità per i carichi base; fa eccezione l’energia da biomassa, ma non rappresenta l’opzione preferibile in Europa, dove la disponibilità di cereali da utilizzare come combustibili è limitata. L’energia idroelettrica potrebbe essere utilizzata per il carico base, ma le possibilità di espansione nell’Unione europea sono molto limitate. Pertanto, in termini pratici, la vera partita per l’investimento in elettricità di carico base si gioca tra carbone, gas naturale ed energia nucleare. Stando agli studi della IEA e della NEA (Agenzia per l’Energia Nucleare) dell’Ocse, e nella prospettiva della sicurezza degli approvvigionamenti, il carbone è molto appetibile e competitivo. Il problema è rappresentato dal fatto che
emette grandi quantità di anidride carbonica, tra i 1000 g e i 1200 g di CO2 equivalente per kWh, il che significa che un maggior ricorso al carbone porterebbe a un aumento delle emissioni di CO2, a meno di rendere commercialmente disponibili tecnologie di cattura e sequestro dell’anidride carbonica attualmente non presenti sul mercato. Per quanto riguarda il gas naturale, gli studi indicano che, nonostante sia preferibile al carbone in termini di emissioni (circa 400 g di CO2 equivalente per kWh), il fatto che il suo prezzo sia legato in certa misura a quello del petrolio pone molte incertezze sui costi dell’elettricità generata nel medio e lungo termine. Inoltre, un maggior ricorso al gas naturale accrescerebbe la dipendenza dai paesi non-Ocse, una prospettiva certo non allettante dal punto di vista della sicurezza degli approvvigionamenti. Come conseguenza, l’energia nucleare sembra essere la soluzione migliore per fornire il carico base di elettricità. Innanzitutto è già presente un’industria forte e matura: oltre il 30% dell’elettricità totale prodotta nell’Unione europea proviene dalle centrali nucleari, nonostante negli ultimi 20 anni non sia stato praticamente costruito nessun nuovo impianto. L’energia nucleare è poi essenzialmente una fonte domestica: il combustibile rappresenta meno del 20% del costo totale della produzione di elettricità nucleare e la stessa materia prima, l’uranio, ne rappresenta il 5%. In termini di sicurezza degli approvvigionamenti, secondo l’Agenzia di Approvvigionamento dell’Euratom, oltre il 50% degli approvvigionamenti di uranio dell’Unione europea e il 70% dei suoi approvvigionamenti del
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servizio di arricchimento sono forniti da paesi Ocse: l’uranio è disponibile in abbondanza e i suoi principali produttori sono due paesi dell’Ocse, Australia e Canada. In termini di impatto sui cambiamenti climatici, anche considerando l’intero ciclo del combustibile, le emissioni sono pari a solo 8 g di CO2 eq/kWh. Per quanto riguarda i costi, infine, gli studi dell’Ocse indicano che, anche con un prezzo del petrolio (che incide sul prezzo del gas naturale) di circa $40/45 al barile, l’elettricità nucleare resta molto competitiva, nonostante gli elevati costi di investimento. Un futuro nucleare? Data la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e un elevato prezzo del petrolio, si sta diffondendo in tutta Europa un rinnovato interesse per l’energia nucleare. Il primo paese a tornare all’energia nucleare è stata la Finlandia, che ha deciso qualche anno fa di costruire un nuovo reattore con tecnologia franco/tedesca. I suoi 1600 MWe di capacità installata saranno operativi nel 2011 e il suo esempio dovrebbe essere seguito di lì a breve da un’unità simile già in costruzione in Francia. Questi due paesi hanno rotto il ghiaccio che circonda la costruzione di nuovi reattori in Europa, aprendo la strada ad altri paesi interessati. La Repubblica Slovacca ha deciso di completare la costruzione dei due impianti di Mochovce, interrotta alcuni anni addietro, la Romania sta completando Cernavoda, mentre la Bulgaria ha definito di recente la costruzione di quattro nuovi reattori con tecnologia russa. Ci sono poi altri paesi che stanno prendendo seriamente in considerazione l’installazione di nuovi impianti; tra questi in particolare il Regno Unito,
le cui riserve di gas sono state intensamente sfruttate e i cui vecchi reattori nucleari, che forniscono circa il 20% dell’elettricità del paese, dovranno essere sostituiti nei prossimi dieci anni. Tutto ciò significa che l’energia nucleare, che già costituisce una forte realtà industriale e commerciale a livello europeo, potrà rivestire un ruolo anche più significativo in futuro, riducendo la vulnerabilità degli approvvigionamenti di energia della Ue e le emissioni di gas a effetto serra. Lo sviluppo dell’energia nucleare solleva tuttavia questioni e preoccupazioni di tipo sociale che hanno bisogno di essere affrontate. La comunità politica deve coinvolgere la società civile nel dibattito sulle scelte energetiche e creare un “level playing field” (condizioni e regole uniformi) su cui valutare ogni tecnologia e fonte energetica. Se si è concordi sul fatto che l’energia è una necessità fondamentale per il benessere sociale, la crescita industriale e un futuro sostenibile, e tutte le fonti disponibili dovranno essere impiegate per soddisfarne la domanda, è allora di vitale importanza che venga avviato un ampio e aperto dibattito sul ruolo dell’energia nucleare perché la società ne comprenda con chiarezza rischi e benefici rispetto alle altre alternative. Preoccupazioni sociali La società deve essere consapevole delle implicazioni di ogni scelta energetica e della
conseguente necessità di assumere tutte le decisioni atte a rendere queste scelte fattibili e sostenibili. Nel caso dell’energia nucleare, lo smaltimento definitivo dei rifiuti ad alta attività e a lungo ciclo di vita sembra essere una delle principali preoccupazioni sociali. Da un punto di vista tecnico, la ricerca condotta dai paesi dell’Ocse negli ultimi 30 anni indica chiaramente che la soluzione è già nota. Sia nel caso dei cicli del combustibile nucleare aperti, senza rigenerazione o riciclaggio, sia nel caso dei cicli chiusi, con rigenerazione e riciclaggio, la presenza di depositi geologici profondi garantisce che la popolazione locale e le generazioni future non siano esposte a nessun eccessivo pericolo. La metodologia per valutare la sicurezza di questi depositi, in aree con formazioni geologiche stabili e con l’ausilio di un appropriato sistema di barriere ingegneristiche, è già disponibile. Inoltre, la riutilizzabilità e recuperabilità delle scorie depositate negli appositi siti consentono un controllo nel lungo periodo e l’opportunità di trarre vantaggio dai progressi della tecnologia per un uso più efficiente dei materiali e/o per l’eliminazione definitiva dei rifiuti. La Finlandia rappresenta un chiaro esempio di approccio vincente a questo problema. Prima di decidere di costruire un nuovo reattore, governo e parlamento hanno condotto lunghe e approfondite consultazioni con tutte le parti
sociali, vagliando con attenzione ogni passaggio/intervento necessario alla costruzione di un deposito per il combustibile nucleare esaurito, il primo di questo tipo in Europa e nel mondo. Altre importanti questioni collegate all’energia nucleare sono la sicurezza e la proliferazione di armi nucleari. Per quanto riguarda la sicurezza, i dati relativi ai paesi dell’Ocse (con oltre 350 reattori in funzione) sono ragguardevoli, a dimostrazione dell’efficace combinazione di industria responsabile e sistema di regolamentazione indipendente. La non-proliferazione non è un problema che riguarda direttamente i paesi europei, considerato il loro forte sostegno al Trattato di Non-proliferazione. Va inoltre sottolineato che il rafforzamento del sistema internazionale di controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e i nuovi approcci al ciclo del combustibile, con garanzie di approvvigionamento per i paesi del terzo mondo, offrono una maggiore assicurazione che i materiali commerciali e la tecnologia saranno accessibili a tutti, ma non verranno utilizzati per scopi non civili. Un dibattito europeo sulle scelte energetiche con il coinvolgimento e la partecipazione di tutti gli stakeholder è uno strumento fondamentale per discutere delle alternative possibili, esaminandole dalla prospettiva dello sviluppo sostenibile e considerando i fattori sociali,
ambientali ed economici all’interno di una cornice globale. Un tale dibattito rappresenta un passo fondamentale verso l’implementazione di una forte politica energetica europea in grado di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e di affrontare con successo le questioni climatiche globali. Il nucleare ha dimostrato la propria efficacia tecnica ed economica in diversi decenni di sviluppo industriale e commerciale offrendo al contempo interessanti vantaggi ambientali. La società dovrà mettere sul piatto della bilancia rischi e benefici di tutte le alternative possibili per delineare infine il mix energetico del futuro in grado di soddisfare appieno le sue necessità.
* Luis E. Echávarri è direttore generale dell’Agenzia per l’Energia Nucleare (NEA) dell’Ocse. Prima di entrare nella NEA, è stato direttore generale del Forum spagnolo sull’Industria Nucleare. In precedenza, ha occupato diverse posizioni di responsabilità come direttore tecnico e poi commissario presso il Consiglio di Sicurezza Nucleare spagnolo (CSN). Ha lavorato diversi anni per la Divisione Nucleare della Westinghouse Electric di Madrid ed è stato successivamente project manager delle centrali nucleari di Lemóniz, Sayago e Almaraz. Dal 1997 ha rappresentato la NEA/Ocse al Consiglio Direttivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) e nel 2003 è diventato membro del Consiglio consultivo sulla sicurezza nucleare dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA).
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n recent years, the increasing dependence of the European Union economy on energy imports has become one of the main concerns of energy policy makers. According to data from the International Energy Agency (OECD-IEA) and from the European Commission, this dependence is set to grow from 50% today to about 75% in the year 2030. In this situation, many countries are pursuing energy policies designed to increase the security of their energy supplies and diminish their energy dependency. It is very clear that energy conservation and efficiency are going to be essential for implementing such policies, together with the development of carbon-free energy sources including renewable and nuclear energies. Reducing consumption and using energy more efficiently are key factors for the future security of supply, since high demand on the international markets raises prices significantly, and in some specific cases may even jeopardize guaranteed access to adequate supply. Greater use of renewable domestic sources also helps reduce dependency. Another key factor in future energy policies is climate change, given that the concentration of CO2 in the atmosphere is rising continuously and, according to many observers, reaching critical levels. This is another element in the drive for energy conservation and efficiency as well as for increased reliance
on renewable sources, an important element in reducing the CO2 emissions of the energy sector, which account for such a significant portion of global greenhouse gas emissions. Yet despite the efforts of OECD member country governments to implement aggressive energy conservation and efficiency policies, it is expected that energy demand will continue to grow, driven in particular by the developing countries such as China and India, where deployment of renewable energies will be slower than in the OECD area. According to IEA forecasts, even if governments adopt policies to improve efficiency in energy production and use, world energy demand will grow by more than 50% from now to the year 2030 and electricity demand will grow more than 70% over the same period. Although the European Union will clearly not be leading the rise in demand for electricity, its requirement is expected to grow by at least 17% by 2030. Taking into account the need to replace obsolete power plants that reach the end of their useful life by 2030, this implies a significant need for new generation capacity. Base load needs As far as the electricity sector is concerned, new policies should consider both base and peak load requirements. While renewable sources already cover an important share of total power production
and, as we have seen, will play a still more significant role in the future, their characteristics—intermittence and distribution—make them unsuitable for base load electricity production; biomass is the exception, but is not a major option in Europe where land availability for energy crops is limited. Hydropower could be used for base load, but the possibilities for its expansion in the European Union are very limited. Thus, in practical terms, the real contest for investment in base load electricity is between coal, natural gas and nuclear power. Based on the studies of the OECD’s IEA and NEA (Nuclear Energy Agency), and from the security of supply standpoint, coal is very attractive and competitive. It is, however, a large CO2 emitter—between 1000g and 1200g CO2 equivalent per kWh—implying that increased reliance on coal leads to increased CO2 emissions, unless carbon capture and sequestration is commercially available, which is not the case today. As regards natural gas, the studies indicate that although it is better than coal in terms of emissions—around 400g CO2 equivalent per kWh—the fact that its price is linked to some extent to the price of oil introduces many uncertainties regarding gas-generated electricity costs in the medium and long term. Furthermore, increased reliance on natural gas raises dependence on non-OECD countries, not an attractive prospect from the security of supply standpoint. Therefore nuclear power appears very well placed for providing base load electricity. First, a strong, mature industry is already in place. More than 30% of total electricity produced in the European Union comes from nuclear
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power plants, in spite of the fact that almost no new facilities have been built in the last 20 years. Nuclear energy is essentially a domestic source. Fuel accounts for less than 20% of total nuclear electricity generation cost and the raw material itself, uranium, accounts for some 5%. In terms of security of supply, according to the Euratom Supply Agency more than 50% of the EU uranium supply and 70% of its enrichment service supply are provided by OECD countries. Uranium is plentiful and its main producers are two OECD countries, Australia and Canada. In terms of impact on climate change, even considering the whole fuel cycle, emissions are a mere 8g CO2 eq/kWh. As for cost, OECD studies indicate that even with the price of oil (which affects the price of natural gas) at about $40/45 per barrel, nuclear electricity is very competitive, despite a high capital investment cost requiring considerable financial outlay. A nuclear future? Given the need to reduce CO2 emissions and the high price of oil, renewed interest in nuclear power is spreading throughout Europe. The first country to return to nuclear energy was Finland, which decided a few years ago to build a new reactor with French/German technology. Its 1600 MWe of installed capacity could be in operation in 2011; it should be followed soon afterwards by a similar unit already under construction in France. These two countries have broken the ice surrounding new reactor construction in Europe, paving the way for other interested countries. The Slovak Republic has decided to complete construction of the two Mochovce units, halted some years back; Romania is
completing Cernavoda; and Bulgaria decided recently to build four new reactors with Russian technology. Other countries are also seriously considering the construction of new units, notably the United Kingdom whose gas reserves have been significantly depleted and whose old nuclear reactors, which provide close to 20% of its electricity, will need to be replaced in the next ten years. All this means that nuclear power, a robust industrial and commercial reality in Europe, could play an even more significant role in the future in reducing the vulnerability of the EU’s energy supply and greenhouse gas emissions. However, the development of nuclear power raises social issues and concerns that need to be addressed. The political community must involve civil society in the debate about energy choices, and create a level playing field for evaluation of each technology and source. Recognizing that energy is an absolute requirement for social welfare, industrial growth and a sustainable future, and that all sources will be necessary to meet demand, a broad, open debate on the role of nuclear energy is essential to develop society’s understanding of its risks and benefits as compared to alternatives. Societal concerns Society should be aware of the implications of each energy choice and of the need to take the corresponding decisions to make those choices viable and sustainable. In the case of nuclear power, ultimate disposal of long-lived, high-level waste appears to be one of society’s main concerns. From a technical viewpoint, the research conducted by OECD countries over the past 30 years indicates clearly that the solution is already known. In the case of
both open nuclear fuel cycles, without reprocessing or recycling, and closed cycles, with reprocessing and recycling, deep geological repositories guarantee that the surrounding population and future generations will not be subject to any undue risk. The methodology to evaluate the safety of these repositories, in areas with stable geological formations and using appropriately engineered barriers, is already available. Furthermore, retrievability and/or recuperability of waste deposited in the repositories allows for long-term control and opportunities to take advantage of technological progress for more efficient use of materials and/or the ultimate disposal of waste. Finland exemplifies a successful approach in this area. Before deciding whether to construct a new reactor, the Government and Parliament held lengthy and very comprehensive consultations with all stakeholders in society, which also considered the steps involved in construction of a repository for commercial spent nuclear fuel, the first of its type in Europe and the world. Other important issues raised by nuclear power are safety and proliferation of nuclear weapons. Regarding safety, the record of the OECD countries (with more than 350 reactors in operation) is very impressive, and the combination of a responsible industry and an independent regulatory system has proved highly effective. Non-proliferation is not a direct problem for European countries since they are firm supporters of the Non-Proliferation Treaty. It should also be stressed that the reinforcement of the international system of safeguards though the International Atomic Energy Agency (IAEA) and the new
approaches to the fuel cycle, with fuel supply guarantees for third countries, provide enhanced assurance that commercial materials and technology will be accessible to everyone, but will not be diverted for non-civilian uses. A European debate on energy choices with the participation of all stakeholders in society is a fundamental tool for discussing options, examining them from the perspective of sustainable development, and considering social, environmental and economic factors within a comprehensive assessment framework. Such a debate is an essential step toward implementation of a robust European energy policy guaranteeing security of supply and addressing global climate issues. Nuclear power has demonstrated its technical and economic performance over several decades of industrial and commercial development and offers significant environmental benefits. Society will need to balance the risks and benefits of alternatives and ultimately decide on future energy mixes to meet its needs.
* Luis E. Echávarri is Director-General of the Organization for Economic Co-operation and Development Nuclear Energy Agency (NEA). Before joining the NEA, Mr. Echávarri was Director-General of the Spanish Nuclear Industry Forum. Previously, he held several senior positions, as Technical Director and then Commissioner, at the Spanish Nuclear Safety Council (CSN). Mr. Echávarri spent several years at the Madrid Westinghouse Electric nuclear office, and was later appointed Project Manager of the Lemóniz, Sayago and Almaraz nuclear power plants. Mr. Echávarri has represented the OECD/NEA on the Governing Board of the International Energy Agency (IEA) since 1997 and became a member of the IAEA-International Atomic Energy Agency’s International Nuclear Safety Advisory Group in 2003.
La difficile equazione dell’energia sostenibile The Problematic Sustainable Energy Equation di Leonardo Maugeri* by Leonardo Maugeri*
La soluzione è negli investimenti in efficienza e tecnologia Solving the problem by investing in efficiency and technology
Leonardo Maugeri
L’
obiettivo di tendere a un’economia a minor contenuto di fonti fossili è possibile, ma non facile. E passa per una porta stretta. Perché la ragione per cui le fonti fossili coprono ancora oggi più dell’80% dei consumi di energia primaria del mondo è talmente solida da sfidare ogni più rosea aspettativa sulle fonti alternative: le fonti fossili sono in grado di offrire enormi quantità di energia a prezzi relativamente bassi. E nessun’altra fonte fino a oggi si è dimostrata in grado di fare altrettanto. Di tutti i loro vantaggi, questi sono sicuramente quelli essenziali e dirimenti. Ce ne sono altri, comunque, che non possono essere trascurati. Le fonti fossili sono disponibili quando ve ne è necessità, possono essere comprate e accumulate in attesa dell’uso futuro, possono essere trasportate da un paese all’altro. Inoltre, sono sufficientemente duttili da fornire più forme di energia: dal calore per il riscaldamento all’elettricità, ai carburanti per il trasporto. Tutto ciò senza menzionare la loro importanza nella petrolchimica di cui costituiscono le materie prime di riferimento. Il petrolio è la fonte in cui queste doti
risultano impareggiabili e per questo è diventato il “re” dell’energia. Niente di simile è alla portata delle fonti alternative a quelle fossili. Con l’eccezione del nucleare e – in misura minore – dell’idroelettrico, il primo problema di queste fonti è quello di produrre quantità di energia limitate, sia per i vincoli posti dalle tecnologie e dalle conoscenze disponibili, sia per fattori oggettivi – su cui tornerò tra poco. Ciò prescinde dal problema del loro costo specifico, pure assai più alto per la maggior parte delle fonti alternative rispetto a quello delle fonti fossili. In altri termini, anche assumendo che si dia molto più spazio alle fonti alternative per ragioni di sensibilità ambientale e che il costo maggiore di queste fonti debba essere pagato dalla comunità – di per sé una linea d’azione condivisibile – il problema di fondo rimane: le quantità di energia che oggi possono fornirci sono relativamente modeste. Sicuramente non in grado di rispondere ai bisogni di energia di cui l’umanità avrà bisogno nel corso dei prossimi due decenni. Se l’energia solare copre oggi lo 0,4 per mille dei consumi mondiali di energia primaria,
non è solo perché non si è ancora riusciti a portarla a un livello di economicità tale da renderla conveniente. Tra i principali problemi dell’energia solare vi sono la sua “bassa densità” e la modesta efficienza dei pannelli disponibili oggi e per il prossimo futuro (per i migliori pannelli fotovoltaici commerciali si arriva al 15%, anche se alcune società sembrano aver raggiunto pannelli commerciali con efficienza superiore al 20%). Pertanto per produrre con il solare quantità significative di energia elettrica occorrono spazi enormi: in zone a insolazione favorevole, come per esempio il Sud dell’Europa, una centrale da 500 MW a gas naturale richiede 6 ettari di terreno; una a solare fotovoltaico, richiederebbe 600-1000 ettari! Un discorso analogo vale per l’energia eolica, utilizzata per generare elettricità, che nel mondo copre meno dello 0,1% dei consumi primari di energia e lo 0,6% della produzione di elettricità. Oggi in termini di costo è molto più conveniente di quella solare e sta attraversando un boom mondiale che sembra far ben sperare. Il vento – come il sole – è una fonte intermittente di energia, che può mancare quando l’elettricità serve; le zone caratterizzate da venti costanti compresi tra i 4 e i 25 metri al secondo (quelli compatibili con il funzionamento di una turbina eolica) sono in molti casi non adatte all’installazione di impianti eolici. Inoltre, i più grandi di questi – quelli con rotori di diametro superiore ai 100 metri – possono alimentare generatori con potenza massima di pochi megawatt, 5 o 6 al massimo (ed è già un grande balzo in avanti rispetto ad appena 15 anni fa) e devono essere molto distanziati tra loro,
per evitare che ogni impianto faccia da barriera a quello successivo (tra 2 generatori da 2 megawatt è necessaria una distanza “di rispetto” tra 300 e 800 metri a seconda delle condizioni ambientali). Ne consegue che per ottenere la stessa potenza installata in una comune centrale elettrica alimentata da fonti fossili è necessario costruire parchi eolici con centinaia di impianti lungo distese di molte decine di chilometri. Infine gli impianti eolici sono già incorsi negli strali di gruppi ambientalisti o di comunità che li hanno dovuti ospitare, a causa del loro impatto visivo, delle interferenze elettromagnetiche che determinano, dell’inquinamento acustico e delle trappole mortali che costituiscono per molti uccelli. Tutti questi problemi costituiscono un limite oggettivo alla possibilità dell’energia eolica di incidere in maniera adeguata sul mix dei consumi energetici mondiali. Altre fonti di energia più pulita di quella fossile, da quella delle maree alla geotermia, sono lontanissime dal poter offrire un contributo significativo al paniere energetico mondiale. Le biomasse che il mondo consuma oggi in maniera massiccia (10% dei consumi di energia primaria) sono costituite per la gran parte (70%) da legno, residui vegetali e perfino sterco essiccato, ovvero materie prime relativamente sporche, tipiche di popolazioni povere. La frontiera più avanzata delle biomasse, i biocarburanti, sta sì registrando un grande boom, ma con tante ombre e nubi che si stagliano all’orizzonte. Utilizzando colture tradizionali, occorrono enormi spazi coltivati per ottenere quantità modeste di biocarburanti e un impiego massiccio di fertilizzanti e acqua che renderebbe lo sviluppo di carburanti biologici su larga
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scala problematico sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Inoltre, la concorrenza dei biocarburanti con gli usi agro-alimentari dei terreni e delle colture (es. cereali) avrebbe un effetto potenzialmente devastante sui costi di tanti generi alimentari. Le prime avvisaglie si sono già avvertite, e siamo solo all’inizio di un boom. Nel frattempo, le uniche fonti alternative a quelle fossili in grado di incidere in modo significativo sul paniere energetico globale sono in crisi. Lo è il nucleare che, nonostante le prospettive di un rinascimento rilanciate anche di recente da importanti testate internazionali (da Fortune all’Economist), continua a recedere nel contributo alla produzione di energia elettrica del mondo. E il rinascimento di cui si parla sembra più scritto sulla carta che destinato a materializzarsi. I siti in costruzione nel mondo non bastano a compensare le chiusure di impianti ormai vecchi, che nel prossimo decennio saranno molti; e per quanto la vita di molti di essi possa essere allungata per legge, altri dovranno inevitabilmente chiudere. Troppi fattori, poi, giocano contro il nucleare, almeno per i prossimi due decenni: l’opposizione di molte comunità locali (soprattutto nel mondo industrializzato) alla costruzione di nuove centrali, la mancata soluzione del problema dello stoccaggio geologico delle scorie ad alta radioattività (nel mondo non esiste ancora un sito del genere), i lunghissimi tempi necessari per la certificazione e l’avvio commerciale delle prime centrali a sicurezza passiva, unitamente ai timori di proliferazione di armamenti nucleari e di attacchi terroristici. Non ultimi, fattori spesso dimenticati: le future generazioni si troveranno a
pagare i costi non contabilizzati correttamente dello smantellamento delle vecchie centrali; le centrali costruite negli ultimi 15 anni hanno richiesto in media 200 mesi per essere avviate alla produzione (con l’eccezione di Giappone e Cina); e, ancora una volta, i budget ottimistici sulla base dei quali sono stati avviati i lavori si sono dimostrati irrisori. La centrale in costruzione in Finlandia, per esempio, ha visto il suo budget iniziale più che raddoppiare in pochi anni, riproponendo il dilemma se il nucleare – a costi reali (e non ipotetici) – sia conveniente o meno. Ciò detto, penso che l’equazione dell’energia sostenibile del nostro secolo non potrà fare a meno del nucleare: ma, visto lo stato delle cose, un vero rinascimento non potrà che trovare spazio dopo il 2025-2030. Anche l’energia idroelettrica non è in buona salute. La costruzione di grandi dighe è ormai sotto attacco in vaste aree del pianeta per motivi ambientali e sociali. I nuovi progetti si concretizzano in paesi in via di sviluppo, prevalentemente in Cina e America Latina, mentre siccità e pioggia insufficiente minano la produttività di molti impianti esistenti. L’altro motivo per cui la porta di un futuro a minore intensità di carbonio è stretta è che petrolio, carbone e gas naturale non sono destinati a esaurirsi in tempi brevi, come molti hanno vaticinato negli ultimi tempi. In altri termini, non c’è alcun problema di risorse. L’apparente deficit di questi anni, soprattutto del petrolio, è frutto soltanto degli scarsi investimenti nell’esplorazione e nello sviluppo che ha caratterizzato gli anni 80 e 90, sull’onda di un eccesso di offerta e di prezzi del greggio così bassi da non giustificare la creazione di nuova capacità produttiva.
Un fenomeno del genere, d’altra parte, ha caratterizzato anche l’uranio e altre materie prime, la cui esplosione di prezzo nei primi anni di questo decennio ha infine avviato un forte rilancio di investimenti. Allo stesso tempo, la più inquinante delle fonti di energia – il carbone – è tutt’altro che in declino e sarà difficile ridimensionarne il consumo per un motivo molto semplice: esso è utilizzato prevalentemente (quasi per il 90%) da paesi che ne detengono grandi riserve a basso costo sul territorio (è il caso di Cina e Stati Uniti). Che per queste ragioni, ne faranno difficilmente a meno. Anche per questo, l’aumento di emissioni annuali di CO2 previsto per la Cina al 2020 rispetto a oggi – oltre 3,5 miliardi di tonnellate all’anno – è di circa 6 volte superiore all’obiettivo di riduzione, molto ambizioso, che l’Unione europea si sta dando per il 2020. Il gas naturale, poi, sta vivendo un boom meritato che non si ferma, forte del fatto di essere la fonte fossile migliore sotto il profilo ambientale. Il vero rischio che stiamo correndo, quindi, è che il grande sforzo in corso in tutto il mondo sulle energie rinnovabili e pulite rischi di compensare appena i problemi del nucleare e dell’idroelettrico, senza intaccare minimamente il peso delle fonti fossili. Che, anzi, potrebbero crescere ancora. Una nuova sensibilità energetica e ambientale, pertanto, deve fondarsi realisticamente non sull’obiettivo impossibile di tagliare drasticamente l’uso delle fonti fossili, ma su come utilizzarle al meglio sia in termini di efficienza sia sotto il profilo ambientale. Allo stesso tempo, essa deve prescindere dalle ondate di isteria provocate dai prezzi alti del petrolio e del
gas, destinate a svanire nel momento in cui quei prezzi tornassero su livelli più moderati mettendo una pietra tombale sulle energie alternative. Non è con le spinte emotive di breve periodo che si può sviluppare una vera transizione energetica. In realtà, sia il modo migliore per convivere con le fonti fossili, sia la possibilità di sviluppo delle fonti a esse alternative, posano su due grandi pilastri: la ricerca scientifica e tecnologica e l’efficienza energetica. Occorre uno sforzo gigantesco della ricerca scientifica per puntare a tecnologie innovative che rendano le fonti alternative al petrolio effettivamente “alternative” – ovvero competitive in termini di costo e di quantità – nel medio-lungo periodo. Ma tale sforzo deve essere orientato anche a rendere meno inquinanti e perniciose per il clima le tradizionali fonti fossili. E poiché i risultati della ricerca scientifica non potranno essere immediati, è necessaria in parallelo un’azione incisiva sul fronte dell’efficienza energetica, che non potrà essere lasciata al volontarismo dei singoli, ma dovrà essere puntellata da leggi e vincoli precisi. Non si tratta di cambiare il nostro tenore di vita, ma di eliminare sprechi assurdi a cui ci hanno abituato prezzi dell’energia bassi per troppi decenni. Pochi esempi danno il senso di quello che potrebbero comportare consumi più responsabili: se gli statunitensi avessero un parco auto con la stessa efficienza di quello europeo (che pure non è eccelso) potrebbero risparmiare oltre 4 milioni di barili di petrolio al giorno, molto più di quanto oggi consumi un paese in forte crescita come l’India oppure più di quanto greggio produce l’Iran. Se la Cina avesse centrali a carbone di ultima generazione
potrebbe tagliare del 20-30 per cento i propri consumi di energia. Sposare l’efficienza energetica come programma da attuare subito, in sostanza, non significa riportare indietro le lancette dello sviluppo. Significa ricorrere alla più potente e meno costosa fonte alternativa al petrolio, tagliando drasticamente non solo le emissioni di gas serra, ma anche di tutti gli inquinanti locali che affliggono il nostro vivere quotidiano. Ma è soprattutto un prerequisito per poter chiedere in modo credibile ai paesi in via di sviluppo di partecipare allo sforzo di salvaguardia ambientale e climatica del nostro pianeta. Senza dimenticare che se questi si limitassero a imitare i comportamenti energetici seguiti dall’Occidente nel XX secolo, condannerebbero il pianeta a una sorte infausta.
* Leonardo Maugeri è direttore Strategie e Sviluppo dell’Eni. Tra i più noti esperti mondiali di energia, ha scritto diversi libri, tra cui l’ultimo, The Age of Oil, pubblicato negli Usa, è stato tradotto e pubblicato in Italia da Feltrinelli (L’Era del Petrolio, 2006). I suoi articoli sono stati pubblicati sulle più prestigiose testate internazionali, da Newsweek a Foreign Affairs, da Science a Forbes e al Wall Street Journal. È editorialista del Sole 24 Ore, e membro del World Economic Laboratory del MIT, dell’International Councillors Board del Center for Strategic & International Studies (CSIS) e dell’Energy Advisory Board (Consiglio consultivo sull’energia) di Accenture.
A
chieving an economy with a lower fossil fuel content is possible, but not easy. And the window of opportunity is very narrow. The reason why fossil fuels continue to account for more than 80% of world primary energy consumption is so solid that it withstands even the most optimistic expectations regarding alternative fuels: fossil sources offer enormous quantities of energy at relatively low prices. And so far no other source has been able to match them. These are certainly the two absolute advantages offered by fossil sources. Yet there are others we should not neglect. Fossil fuels are available when we need them, they can be purchased and stored for future use, they can be transported from one country to another. They are sufficiently ductile to support different forms of energy: heating, electricity, transport fuel. Not to mention their importance in the petrochemicals industry, where they are the primary raw material. For all these reasons, oil is incomparable, and this is why it “reigns” supreme. No such benefits are offered by non-fossil sources. With the exception of nuclear and—to a lesser extent—hydroelectric power, the first problem with the alternatives is that they produce limited quantities of energy, due both to technological constraints and limited available knowledge, and to a series of objective factors, of which more later. Then there is the question of the alternatives’ specific cost, which, in the majority of cases, is very much higher than the cost of fossil fuels. In other words, even assuming that far greater space is given to alternative sources for environmental reasons and that their higher cost will be paid by the community—an assumption that would find
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a consensus—the basic problem remains: the quantities of energy they can deliver today are relatively modest, and certainly not sufficient to meet the world’s energy requirement over the next twenty years. If solar energy today covers 0.04% of world primary energy consumption, it is not only because we have not attained a sufficient level of cost-effectiveness. One of the main problems with solar energy is its “low density” and the modest efficiency of the panels available today and in the near future (the best photovoltaic panels on the market offer 15% efficiency, although some companies seem be marketing panels offering more than 20%). Consequently, huge amounts of space are needed to produce sufficient quantities of solar power: in areas with high levels of sunlight like Southern Europe, a 500 MW natural gas station takes up 6 hectares; a photovoltaic solar plant would require from 600-1000 hectares! The same applies to use of wind energy for electric power generation; worldwide, wind power accounts for less than 0.1% of primary energy consumption and 0.6% of electricity production. In cost terms, it is far more competitive than solar energy and is enjoying a promising world boom. The wind—like the sun—is an intermittent source of energy and may not be available when power is needed; many areas with constant winds between 4 and 25 meters/second (the level needed to operate a wind turbine) are not suitable for wind farm installations. Moreover, the largest wind plants—with a rotor diameter of more than 100 meters—can supply generators with a maximum power of only 5 to 6 megawatts at most (already
a major advance compared with the situation just 15 years ago) and have to be installed at a great distance one from the other to prevent each turbine acting as a barrier to its neighbor (depending on environmental conditions, a distance of between 300 and 800 meters is needed between two 2-megawatt generators). So to achieve the same installed power as a normal fossil fuel power station, you need a wind farm of hundreds of turbines installed in an area extending over dozens of kilometers. Finally, in the areas where they have been installed, wind plants have already encountered bitter opposition from environmentalists and local residents due to their visual impact, electromagnetic interference, acoustic pollution and the fact that they are death traps for many species of birds. All these difficulties represent an objective limit on wind energy’s potential to account for a significant portion of world energy consumption. Other sources that are cleaner than fossil fuel, from tides to geothermal energy, are very far from offering a significant contribution to the world energy requirement. The biomass widely used in the world today (10% of primary energy consumption) consists largely (70%) of wood, vegetable matter and even dried excrement, that is, relatively dirty raw materials, typical of poorer populations. True, there is a boom in biofuels, the leading edge of
biomass, but drawbacks exist here, too. If traditional crops are used, huge stretches of land need to be cultivated to obtain even modest quantities, and require extensive application of fertilizer and water, raising doubts about the environmental sustainability of large-scale development of biological fuels. Moreover, the competition between biofuels and agricultural/food crops (cereals, for example) would have a potentially devastating effect on the cost of many foodstuffs. We have already seen the first signs of this, and the boom is only just beginning. Meanwhile, the only non-fossil alternatives that could have a significant impact on global energy are in crisis. Despite the prospects of a renaissance outlined only recently by leading international journals (from Fortune to The Economist), the contribution of nuclear power to world electricity production continues to dwindle. The resurgence seems to be on paper rather than in fact. The nuclear plants under construction around the world are insufficient to compensate for the closure of the many plants that will become obsolete over the next ten years; and even though laws may be passed to extend the working life of some of these sites, others will inevitably close. Too many factors work against nuclear, at least for the next twenty years: the opposition of many local communities to construction of new nuclear
plants (especially in the industrialized nations); the failure to resolve the problem of geological storage of high level radioactive waste (no such site yet exists in the world); the very lengthy procedures for certification and commercial start-up of the first passively safe plants, together with concerns over the possible proliferation of nuclear armaments and terrorist attacks. Nor we should forget a series of factors that are often overlooked: the future generations will find themselves paying the incorrectly estimated decommissioning costs for old plants; commissioning the nuclear installations built in the last 15 years has taken an average 200 months (with the exception of Japan and China); and, in this case too, the optimistic initial budgets have proved grossly inadequate. The cost initially budgeted for the plant under construction in Finland, for example, has more than doubled in just a few years, reviving the old debate over whether or not nuclear energy is a practical option in terms of real, not hypothetical costs. That said, I believe that the century’s sustainable energy equation cannot do without nuclear: but given present circumstances, a true renaissance will only be possible after 2025-2030. Hydroelectric energy is in a poor state of health, too. Today there is widespread environmental and social opposition to construction of major dams all over the world. Most new projects are in
developing nations, chiefly China and South America, while drought and low rainfall are undermining the productivity of many existing plants. The other reason why opportunities for a less carbon-intensive future are so scarce is that, contrary to many recent prophecies, our oil, coal and natural gas reserves will not dry up in the short term. In other words, we are not facing a shortage of resources. The recent apparent deficit, in oil in particular, is due simply to low investment in exploration and development during the 1980s and 1990s, a time of surplus supply and crude prices that were too low to justify new production capacity. Uranium and other raw materials have experienced similar trends, with the soaring prices of the last few years now finally driving a sharp resumption of investment activity. At the same time, the world’s most polluting energy source—coal—is very far from
going into decline and reducing consumption will be difficult, for the very simple reason that almost 90% of coal use is concentrated in countries that possess large low-cost reserves (China and the USA) and, consequently, will be unwilling to do without. For this reason too, the expected rise in China’s annual CO2 emissions from now to 2020—more than 3.5 billion tonnes a year—is around 6 times greater than the very ambitious reduction the EU is targeting for 2020. Meanwhile the understandable boom in natural gas shows no sign of slackening, given its position as the most environment-friendly fossil fuel. So the real danger is that the enormous efforts being made all over the world for clean, renewable energy may only just manage to offset the problems with nuclear and hydroelectric power, and have absolutely no impact on use of fossil fuels, whose importance may indeed increase further.
Realistically speaking, the energy and environment debate should focus not on the impossible goal of achieving dramatic cuts in fossil sources, but on ways to optimize their use in terms of efficiency and environmental impact. Equally, it should remain detached from the hysterical outbursts provoked by high oil and gas prices, which will evaporate should prices return to more moderate levels, putting a nail in the coffin of alternative energy sources. Short-term emotional responses are not a foundation for a real transition in energy. In practice, the best way to live with fossil fuels, and opportunities to develop alternative sources, depend on two key elements: scientific and technological research, and energy efficiency. We need a huge effort from the scientific community to develop innovative technologies that make alternatives to oil truly “alternative”—that is, competitive in terms of cost and quantity—over the medium/long-term. Their work should also focus on curbing the pernicious impact of traditional fossil fuels on the climate. And since the scientists will not be able to give us immediate results, incisive action is also needed to improve efficiency, not simply through the voluntary action of the individual, but through specific laws and restrictions. This is not a question of changing our standards of living, but of eliminating the unacceptable waste that too many years of low energy prices have accustomed us to. A few examples illustrate the possibilities of a more responsible approach to consumption: if the efficiency of American automobiles were on a par with the efficiency of European vehicles (which itself could be
improved), the USA could save more than 4 million barrels of oil a day, far more than the volumes consumed today by a rapidly expanding India and more than Iran’s crude output. If China installed latest-generation coal-fired power stations, it could cut its energy consumption by 20-30 per cent. In short, advocating an immediate program for energy efficiency does not mean delaying development. It means using the most powerful and less expensive alternative source to oil, with dramatic reductions not only in greenhouse gas emissions but also in all the local pollutants that afflict our daily lives. Above all, it gives us credibility when we ask the developing countries to join us in safeguarding the planet’s environment and climate. Not forgetting that if those nations were simply to imitate the energy patterns adopted by the West in the XX century, they would condemn the Earth to a dreadful fate.
* Leonardo Maugeri is ENI Vice President for Strategy & Development. One of the world’s most distinguished energy experts, he has written several books, the most recent of which, The Age of Oil, published in the USA, has been translated and published in Italy by Feltrinelli (L’Era del Petrolio, 2006). Maugeri’s articles have been published in leading international journals, from Newsweek and Foreign Affairs to Science, Forbes and Wall Street Journal. He is a leader writer for Il Sole 24 Ore newspaper, and a member of the MIT World Economic Laboratory, the International Councillors Board of the Center for Strategic & International Studies (CSIS) and the Accenture Energy Advisory Board.
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Projects
ENERGIA ENERGY
Il risparmio energetico degli edifici è un argomento nodale che coinvolge tutti i settori del costruire, soprattutto il mondo del progetto, che s’interroga su come impostare il rapporto fra risparmio energetico e qualità architettonica. La stessa identità dell’edificio, rispetto ai canoni convenzionali che lo associano alla sua destinazione d’uso, risulta superata. Sempre più l’involucro architettonico deve confrontarsi con problematiche che richiedono un lavoro specialistico svolto da gruppi interdisciplinari. In tale contesto, l’architetto diviene, oltre che progettista, anche organizzatore di una polifonia certamente suggestiva, ma ancora tutta da codificare nella prassi metodologica. Energy saving in buildings is a key issue involving every sector of the construction industry, particularly the world of design, which is busy pondering over how to relate energy saving to architectural quality. Conventional guidelines associating a building’s identity exclusively with its practical purpose are now outdated and superseded. The architectural shell must increasingly come to terms with issues requiring specialist intervention by interdisciplinary teams. This means that in addition to being designers, architects must also be capable of coordinating a highly striking but as of yet still uncoded array of methodological skills.
Sostenibilità e qualità architettonica Sustainability and Architectural Quality Mauro Spagnolo *
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inalmente, dopo almeno due decenni di inascoltati appelli provenienti da sparute nicchie di “esperti” e ricercatori, anche nel Bel Paese si è acquisita la convinzione che l’edificio partecipa attivamente al nefasto fenomeno del cambiamento climatico. Anzi la partecipazione del comparto edilizio, in tutte le sue fasi di vita, è tutt’altro che secondaria partecipando per più del 40% alle emissioni globali. Si tratta di una conquista “sociale” molto recente e comunque in rilevante ritardo rispetto a buona parte dei paesi della Ue storica. Ma il nostro è un paese straordinario e, grazie prima di tutto a direttive europee che ci hanno “imposto” qualche ravvedimento, a leggi nazionali di ancora improbabile applicazione per l’assenza dei decreti attuativi, e a una schiera di norme regionali, provinciali e regolamenti edilizi comunali, oggi abbiamo improvvisamente scoperto quanto è delicato il rapporto tra energia ed edificio e che da questo deriva buona parte del futuro del nostro pianeta e della qualità della vita dei nostri figli. Grazie, infatti, a questa accelerazione, fenomeno a noi italiani particolarmente congeniale, prendiamo atto che oggi il “risparmio energetico degli edifici” è l’argomento nodale di piattaforme politiche, impegni di Amministratori, forum su quotidiani e palinsesti televisivi. Meglio tardi che mai, si potrebbe commentare. Ma non è oro tutto quel che luccica. A fronte di questa ben augurata corsa all’efficienza energetica dobbiamo rilevare due aspetti critici, forse meno conosciuti perché raramente trattati dalla kermesse mediatica, ma sui quali riteniamo indispensabile un’attenta riflessione. Il primo è la mancanza di una politica unitaria e nazionale di riferimento. In questa fase di grande confusione, in cui, per esempio, l’obbligo della certificazione energetica è “tamponato” da un fumoso “obbligo” di attestato energetico, in cui l’assenza dei decreti attuativi (Dlgs 192 e 311) offre spazio a comprensibili iniziative autonome delle Regioni che hanno facoltà di “recepire” direttamente la direttiva europea con il risultato, però, che presto avremo 20 normative diverse sul territorio nazionale. È un potere che le Regioni hanno e sembra che, una dopo l’altra, lo vogliano esercitare. E lo possono fare. Una sorta di federalismo energetico che potrebbe portarci a un ulteriore caos e rallentamento nello sviluppo di un settore che, per altro, già è caratterizzato da innumerevoli problemi. E questo l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo sa bene e lo sta denunciando da mesi ai massimi livelli politici. Ma il Ministero per le Attività Produttive, che ha competenza a riguardo, appare un muro di gomma e continua a sciorinare rinvii alle scadenze, più
volte annunciate, degli attesissimi decreti attuativi. L’altro aspetto critico è costituito dalla mancanza di indicazioni certe sulla necessità di integrare nell’involucro edilizio le nuove tecnologie su cui l’efficientazione energetica si basa. Questo approccio potrebbe generare delle creature edilizie completamente sgraziate e poco sensibili alle esigenze linguistiche del contesto in cui si vanno ad inserire. Si tratta di un problema solitamente poco approfondito in quanto spesso – forse in modo comprensibile – le attenzioni delle politiche ambientali e delle amministrazioni sono quasi totalmente rivolte allo sviluppo quantitativo degli impianti e, più raramente, a quello qualitativo. A fronte infatti di un’indubbia e tanto auspicata diffusione di queste tecnologie nelle applicazioni edilizie e urbane, esiste il notevole rischio, per ciò che attiene l’involucro, di un’indiscriminata applicazione senza regole certe, regole che stabiliscano, in termini di qualità urbana, i vincoli sul linguaggio architettonico. Quindi la grande scommessa del risparmio e dell’efficientazione energetica nell’edilizia può esser vinta, ma solo attraverso la capacità di ricorrere, in modo integrato e spesso interattivo, all’insieme delle tecnologie e delle metodiche progettuali che costituiscono la sconfinata sfera del costruire sostenibile. Stiamo parlando, ad esempio, della tecnologia che ci consente di sfruttare la differenza di temperatura tra l’atmosfera e il sottosuolo – detta geotermia – consentendo di riscaldare o raffrescare a seconda delle esigenze e delle stagioni; della straordinaria tecnologia della co- e tri-generazione che, recuperando semplicemente l’energia termica diversamente dissipata da una caldaia, produce caldo o freddo; oppure dei numerosi dispositivi bioclimatici inseriti nell’involucro, come le schermature solari, le pareti o i tetti ventilati, i sistemi di coibentazione di serramenti e vetri ad altissima resistenza termica; della domotica e degli utilizzatori ad alta efficienza energetica, fino ad arrivare alle avveniristiche applicazioni edili della cella a combustibile. In realtà il concetto di integrazione architettonica, in particolar modo per il fotovoltaico, è contemplato ormai in quasi tutte le norme nazionali, regionali e nei regolamenti edilizi comunali con relativi incentivi economici e premi in cubature. Ma in nessuna di queste norme esistono “indicazioni certe” e indiscutibili su ciò che si intende per “impianto qualitativamente integrato”, una linea di confine precisa a prova di polemiche e “furbetti”. In questo senso il rischio è costituito, a fronte di una salutare limitazione della quota dei gas climalteranti, dalla possibilità di fare il pieno di ulteriori brutture per le nostre città, rischiando di potenziare, ancora una volta, elementi di “discontinuità urbana”.
Il problema non può esser risolto cercando semplicemente di sovrapporre le tecnologie energetiche sulla costruzione o, ancor peggio, di mascherarlo all’interno delle strutture dell’edificio. Occorre piuttosto esaltarne le potenzialità formali e tecnologiche, ponendo addirittura la componente energetica alla base del linguaggio progettuale. Da qui l’esigenza di uno strettissimo connubio tra tecnologia ed edificio. Sono convinto che tale componente possa apportare interessanti valenze architettoniche da aggiungere a quelle energetiche. Il problema consiste proprio nell’“inventare” un nuovo linguaggio architettonico di riferimento per l’integrazione delle tecnologie energetiche negli elementi che appartengono alle nostre città come gli edifici, le infrastrutture e l’arredo urbano. Entro breve ritengo possibile che, per esempio, il modulo fotovoltaico possa trasformarsi, opportunamente integrato, in elemento espressivo e caratterizzante per l’architettura come, in periodi diversi, lo sono stati l’acciaio, il cemento, il vetro e l’alluminio. La situazione energetica mondiale fa sì che questa “rivoluzione” edilizia sia, in tempi brevi, inevitabile. Con essa dovranno confrontarsi, direttamente o indirettamente, tutti i progettisti e l’industria edile, ma anche i politici e le amministrazioni pubbliche. Si tratta di un cambiamento che inciderà profondamente su tutti i livelli del processo produttivo edile. Forse la trasformazione più evidente è quella generata dall’avvento del solare attivo, fotovoltaico e termico. Dal punto di vista più strettamente progettuale, infatti, l’integrazione del fotovoltaico presuppone, rispetto alla semplice sovrapposizione dei moduli sugli edifici, uno studio più approfondito dei dettagli costruttivi e una maggiore attenzione esecutiva e di montaggio dei singoli componenti. In questi ultimi, infatti, coesistono requisiti strutturali ed elettrici che non devono reciprocamente ostacolarsi. Una volta garantiti i requisiti tecnici, l’integrazione fotovoltaica consente all’architetto la massima libertà di espressione progettuale: la componente fotovoltaica potrà essere esaltata o nascosta aprendo, come abbiamo già accennato, nuove opportunità di linguaggio architettonico e tecnologico. La ricerca sistematica sull’applicazione di nuove tecnologie, materiali e processi operativi sta trasformando la costruzione edile in un procedimento tipico della produzione industriale. Gli edifici che sono stati maggiormente oggetto di questa ricerca sono quelli legati al terziario, ai sistemi di trasporto, alle nuove funzioni urbane. Si pensi agli edifici multipiano, alle stazioni ferroviarie e agli aeroporti, alle ampie strutture destinate alle esposizioni o a quelle per la grande distribuzione commerciale. Questa nuova identità di edificio tecnologico pre-
suppone, da un punto di vista progettuale, due elementi basilari. Da una parte la costruzione edile si trasforma in un’operazione di vera e propria industrializzazione. Dalle prime esperienze della seconda metà dell’Ottocento, infatti, quando la standardizzazione presupponeva la semplice ripetizione dei singoli componenti edili, si è passati alla realizzazione di sistemi più complessi con veri e propri componenti prefabbricati, fino ad arrivare a sistemi industriali integrati che presuppongono un alto contenuto tecnologico. Dall’altra il progetto si basa su una metodologia sistematica che sintetizza tutte le componenti tecnologiche dell’intervento. In tal modo tutti i problemi legati all’organizzazione dello spazio, le prestazioni strutturali e le esigenze impiantistiche debbono essere affrontati in modo simultaneo e nell’ambito di ogni fase progettuale. Ciò sta rivoluzionando radicalmente la logica della progettazione convenzionale attraverso la ricerca di una nuova metodologia di progettazione che, basandosi sulla conoscenza delle singole discipline settoriali, consenta di affrontare, in modo interattivo e approfondito, l’intero iter progettuale. La diffusione dell’informatizzazione e, più recentemente, dell’automazione, ha fatto sì che le prestazioni richieste a un edificio siano sempre più specifiche e avanzate. La stessa identità dell’edificio, rispetto ai canoni convenzionali che lo associano esclusivamente alla sua destinazione d’uso, risulta superata. Rispetto agli altri prodotti industriali, l’involucro architettonico deve confrontarsi inoltre con problematiche più ampie come quelle energetiche e ambientali. Tutto ciò attualmente ha portato, almeno nei casi di edifici con importanti valenze architettoniche, a un lavoro molto specialistico di gruppi interdisciplinari che realizzano fasi progettuali con livelli di complessità organizzativa e di efficienza tali da consentire il confronto tra l’edificio e i prodotti di pura tecnologia avanzata. Un elemento significativo per la comprensione della nuova filosofia progettuale è confermato dalla pianificazione della sua vita “economica”: essendo l’edificio divenuto un prodotto industriale, paragonabile a un’automobile o a un frigorifero, anche per esso sarà pianificata la demolizione e il riciclo, laddove possibile, dei suoi materiali. La strada che abbiamo iniziato a percorrere è indubbiamente quella giusta, ma in ripida salita. Appare sempre più urgente, quindi, la definizione di strumenti, unici e a scala nazionale, che definiscano, attraverso una metodica comparativa, i numerosi parametri che concorrono a determinare il livello di sostenibilità dell’edificio e della sua integrazione nel contesto urbano. Un percorso indispensabile per regalare alle future generazioni, oltre a un’aria più pulita, città più vivibili. E noi questo ci auguriamo.
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*Mauro Spagnolo, architetto e giornalista pubblicista, è nato a Roma nel 1957. Progettista di architetture legate al risparmio energetico e all’utilizzo di energia da fonte rinnovabile, dal 1983 collabora con periodici e riviste di architettura, pubblicando numerosi articoli scientifici. Suoi i libri: L’integrazione dei sistemi fotovoltaici nell’edilizia e nelle infrastrutture urbane edito nel 1999 da ENEA-Ministero dell’Ambiente e Ministero dell’Industria, il Sole nella città edito nel 2002 da Franco Muzzio Editore, ed Efficienza energetica nella progettazione edito da Dei nell’ottobre 2007. Nel 2001 ha vinto il concorso per “l’alta valenza architettonica per edifici fotovoltaici” indetto dal Ministero dell’Ambiente con la copertura solare delle tribune dello stadio di Trevignano Romano. È coordinatore scientifico di vari corsi di formazione nell’ambito di ISES Italia, è stato docente di “Impianti e compatibilità ambientale” presso la facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università “La Sapienza” di Roma ed è docente in master di 2° livello presso numerose facoltà di Architettura e di Ingegneria. È il coordinatore scientifico del Corso di Alta Formazione in Efficienza Energetica negli Edifici presso il Dipartimento di Meccanica e Aeronautica della facoltà di Ingegneria a La Sapienza. Attualmente è il direttore responsabile del quotidiano telematico rinnovabili.it.
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Projects
ENERGIA ENERGY
Il risparmio energetico degli edifici è un argomento nodale che coinvolge tutti i settori del costruire, soprattutto il mondo del progetto, che s’interroga su come impostare il rapporto fra risparmio energetico e qualità architettonica. La stessa identità dell’edificio, rispetto ai canoni convenzionali che lo associano alla sua destinazione d’uso, risulta superata. Sempre più l’involucro architettonico deve confrontarsi con problematiche che richiedono un lavoro specialistico svolto da gruppi interdisciplinari. In tale contesto, l’architetto diviene, oltre che progettista, anche organizzatore di una polifonia certamente suggestiva, ma ancora tutta da codificare nella prassi metodologica. Energy saving in buildings is a key issue involving every sector of the construction industry, particularly the world of design, which is busy pondering over how to relate energy saving to architectural quality. Conventional guidelines associating a building’s identity exclusively with its practical purpose are now outdated and superseded. The architectural shell must increasingly come to terms with issues requiring specialist intervention by interdisciplinary teams. This means that in addition to being designers, architects must also be capable of coordinating a highly striking but as of yet still uncoded array of methodological skills.
Sostenibilità e qualità architettonica Sustainability and Architectural Quality Mauro Spagnolo *
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inalmente, dopo almeno due decenni di inascoltati appelli provenienti da sparute nicchie di “esperti” e ricercatori, anche nel Bel Paese si è acquisita la convinzione che l’edificio partecipa attivamente al nefasto fenomeno del cambiamento climatico. Anzi la partecipazione del comparto edilizio, in tutte le sue fasi di vita, è tutt’altro che secondaria partecipando per più del 40% alle emissioni globali. Si tratta di una conquista “sociale” molto recente e comunque in rilevante ritardo rispetto a buona parte dei paesi della Ue storica. Ma il nostro è un paese straordinario e, grazie prima di tutto a direttive europee che ci hanno “imposto” qualche ravvedimento, a leggi nazionali di ancora improbabile applicazione per l’assenza dei decreti attuativi, e a una schiera di norme regionali, provinciali e regolamenti edilizi comunali, oggi abbiamo improvvisamente scoperto quanto è delicato il rapporto tra energia ed edificio e che da questo deriva buona parte del futuro del nostro pianeta e della qualità della vita dei nostri figli. Grazie, infatti, a questa accelerazione, fenomeno a noi italiani particolarmente congeniale, prendiamo atto che oggi il “risparmio energetico degli edifici” è l’argomento nodale di piattaforme politiche, impegni di Amministratori, forum su quotidiani e palinsesti televisivi. Meglio tardi che mai, si potrebbe commentare. Ma non è oro tutto quel che luccica. A fronte di questa ben augurata corsa all’efficienza energetica dobbiamo rilevare due aspetti critici, forse meno conosciuti perché raramente trattati dalla kermesse mediatica, ma sui quali riteniamo indispensabile un’attenta riflessione. Il primo è la mancanza di una politica unitaria e nazionale di riferimento. In questa fase di grande confusione, in cui, per esempio, l’obbligo della certificazione energetica è “tamponato” da un fumoso “obbligo” di attestato energetico, in cui l’assenza dei decreti attuativi (Dlgs 192 e 311) offre spazio a comprensibili iniziative autonome delle Regioni che hanno facoltà di “recepire” direttamente la direttiva europea con il risultato, però, che presto avremo 20 normative diverse sul territorio nazionale. È un potere che le Regioni hanno e sembra che, una dopo l’altra, lo vogliano esercitare. E lo possono fare. Una sorta di federalismo energetico che potrebbe portarci a un ulteriore caos e rallentamento nello sviluppo di un settore che, per altro, già è caratterizzato da innumerevoli problemi. E questo l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo sa bene e lo sta denunciando da mesi ai massimi livelli politici. Ma il Ministero per le Attività Produttive, che ha competenza a riguardo, appare un muro di gomma e continua a sciorinare rinvii alle scadenze, più
volte annunciate, degli attesissimi decreti attuativi. L’altro aspetto critico è costituito dalla mancanza di indicazioni certe sulla necessità di integrare nell’involucro edilizio le nuove tecnologie su cui l’efficientazione energetica si basa. Questo approccio potrebbe generare delle creature edilizie completamente sgraziate e poco sensibili alle esigenze linguistiche del contesto in cui si vanno ad inserire. Si tratta di un problema solitamente poco approfondito in quanto spesso – forse in modo comprensibile – le attenzioni delle politiche ambientali e delle amministrazioni sono quasi totalmente rivolte allo sviluppo quantitativo degli impianti e, più raramente, a quello qualitativo. A fronte infatti di un’indubbia e tanto auspicata diffusione di queste tecnologie nelle applicazioni edilizie e urbane, esiste il notevole rischio, per ciò che attiene l’involucro, di un’indiscriminata applicazione senza regole certe, regole che stabiliscano, in termini di qualità urbana, i vincoli sul linguaggio architettonico. Quindi la grande scommessa del risparmio e dell’efficientazione energetica nell’edilizia può esser vinta, ma solo attraverso la capacità di ricorrere, in modo integrato e spesso interattivo, all’insieme delle tecnologie e delle metodiche progettuali che costituiscono la sconfinata sfera del costruire sostenibile. Stiamo parlando, ad esempio, della tecnologia che ci consente di sfruttare la differenza di temperatura tra l’atmosfera e il sottosuolo – detta geotermia – consentendo di riscaldare o raffrescare a seconda delle esigenze e delle stagioni; della straordinaria tecnologia della co- e tri-generazione che, recuperando semplicemente l’energia termica diversamente dissipata da una caldaia, produce caldo o freddo; oppure dei numerosi dispositivi bioclimatici inseriti nell’involucro, come le schermature solari, le pareti o i tetti ventilati, i sistemi di coibentazione di serramenti e vetri ad altissima resistenza termica; della domotica e degli utilizzatori ad alta efficienza energetica, fino ad arrivare alle avveniristiche applicazioni edili della cella a combustibile. In realtà il concetto di integrazione architettonica, in particolar modo per il fotovoltaico, è contemplato ormai in quasi tutte le norme nazionali, regionali e nei regolamenti edilizi comunali con relativi incentivi economici e premi in cubature. Ma in nessuna di queste norme esistono “indicazioni certe” e indiscutibili su ciò che si intende per “impianto qualitativamente integrato”, una linea di confine precisa a prova di polemiche e “furbetti”. In questo senso il rischio è costituito, a fronte di una salutare limitazione della quota dei gas climalteranti, dalla possibilità di fare il pieno di ulteriori brutture per le nostre città, rischiando di potenziare, ancora una volta, elementi di “discontinuità urbana”.
Il problema non può esser risolto cercando semplicemente di sovrapporre le tecnologie energetiche sulla costruzione o, ancor peggio, di mascherarlo all’interno delle strutture dell’edificio. Occorre piuttosto esaltarne le potenzialità formali e tecnologiche, ponendo addirittura la componente energetica alla base del linguaggio progettuale. Da qui l’esigenza di uno strettissimo connubio tra tecnologia ed edificio. Sono convinto che tale componente possa apportare interessanti valenze architettoniche da aggiungere a quelle energetiche. Il problema consiste proprio nell’“inventare” un nuovo linguaggio architettonico di riferimento per l’integrazione delle tecnologie energetiche negli elementi che appartengono alle nostre città come gli edifici, le infrastrutture e l’arredo urbano. Entro breve ritengo possibile che, per esempio, il modulo fotovoltaico possa trasformarsi, opportunamente integrato, in elemento espressivo e caratterizzante per l’architettura come, in periodi diversi, lo sono stati l’acciaio, il cemento, il vetro e l’alluminio. La situazione energetica mondiale fa sì che questa “rivoluzione” edilizia sia, in tempi brevi, inevitabile. Con essa dovranno confrontarsi, direttamente o indirettamente, tutti i progettisti e l’industria edile, ma anche i politici e le amministrazioni pubbliche. Si tratta di un cambiamento che inciderà profondamente su tutti i livelli del processo produttivo edile. Forse la trasformazione più evidente è quella generata dall’avvento del solare attivo, fotovoltaico e termico. Dal punto di vista più strettamente progettuale, infatti, l’integrazione del fotovoltaico presuppone, rispetto alla semplice sovrapposizione dei moduli sugli edifici, uno studio più approfondito dei dettagli costruttivi e una maggiore attenzione esecutiva e di montaggio dei singoli componenti. In questi ultimi, infatti, coesistono requisiti strutturali ed elettrici che non devono reciprocamente ostacolarsi. Una volta garantiti i requisiti tecnici, l’integrazione fotovoltaica consente all’architetto la massima libertà di espressione progettuale: la componente fotovoltaica potrà essere esaltata o nascosta aprendo, come abbiamo già accennato, nuove opportunità di linguaggio architettonico e tecnologico. La ricerca sistematica sull’applicazione di nuove tecnologie, materiali e processi operativi sta trasformando la costruzione edile in un procedimento tipico della produzione industriale. Gli edifici che sono stati maggiormente oggetto di questa ricerca sono quelli legati al terziario, ai sistemi di trasporto, alle nuove funzioni urbane. Si pensi agli edifici multipiano, alle stazioni ferroviarie e agli aeroporti, alle ampie strutture destinate alle esposizioni o a quelle per la grande distribuzione commerciale. Questa nuova identità di edificio tecnologico pre-
suppone, da un punto di vista progettuale, due elementi basilari. Da una parte la costruzione edile si trasforma in un’operazione di vera e propria industrializzazione. Dalle prime esperienze della seconda metà dell’Ottocento, infatti, quando la standardizzazione presupponeva la semplice ripetizione dei singoli componenti edili, si è passati alla realizzazione di sistemi più complessi con veri e propri componenti prefabbricati, fino ad arrivare a sistemi industriali integrati che presuppongono un alto contenuto tecnologico. Dall’altra il progetto si basa su una metodologia sistematica che sintetizza tutte le componenti tecnologiche dell’intervento. In tal modo tutti i problemi legati all’organizzazione dello spazio, le prestazioni strutturali e le esigenze impiantistiche debbono essere affrontati in modo simultaneo e nell’ambito di ogni fase progettuale. Ciò sta rivoluzionando radicalmente la logica della progettazione convenzionale attraverso la ricerca di una nuova metodologia di progettazione che, basandosi sulla conoscenza delle singole discipline settoriali, consenta di affrontare, in modo interattivo e approfondito, l’intero iter progettuale. La diffusione dell’informatizzazione e, più recentemente, dell’automazione, ha fatto sì che le prestazioni richieste a un edificio siano sempre più specifiche e avanzate. La stessa identità dell’edificio, rispetto ai canoni convenzionali che lo associano esclusivamente alla sua destinazione d’uso, risulta superata. Rispetto agli altri prodotti industriali, l’involucro architettonico deve confrontarsi inoltre con problematiche più ampie come quelle energetiche e ambientali. Tutto ciò attualmente ha portato, almeno nei casi di edifici con importanti valenze architettoniche, a un lavoro molto specialistico di gruppi interdisciplinari che realizzano fasi progettuali con livelli di complessità organizzativa e di efficienza tali da consentire il confronto tra l’edificio e i prodotti di pura tecnologia avanzata. Un elemento significativo per la comprensione della nuova filosofia progettuale è confermato dalla pianificazione della sua vita “economica”: essendo l’edificio divenuto un prodotto industriale, paragonabile a un’automobile o a un frigorifero, anche per esso sarà pianificata la demolizione e il riciclo, laddove possibile, dei suoi materiali. La strada che abbiamo iniziato a percorrere è indubbiamente quella giusta, ma in ripida salita. Appare sempre più urgente, quindi, la definizione di strumenti, unici e a scala nazionale, che definiscano, attraverso una metodica comparativa, i numerosi parametri che concorrono a determinare il livello di sostenibilità dell’edificio e della sua integrazione nel contesto urbano. Un percorso indispensabile per regalare alle future generazioni, oltre a un’aria più pulita, città più vivibili. E noi questo ci auguriamo.
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*Mauro Spagnolo, architetto e giornalista pubblicista, è nato a Roma nel 1957. Progettista di architetture legate al risparmio energetico e all’utilizzo di energia da fonte rinnovabile, dal 1983 collabora con periodici e riviste di architettura, pubblicando numerosi articoli scientifici. Suoi i libri: L’integrazione dei sistemi fotovoltaici nell’edilizia e nelle infrastrutture urbane edito nel 1999 da ENEA-Ministero dell’Ambiente e Ministero dell’Industria, il Sole nella città edito nel 2002 da Franco Muzzio Editore, ed Efficienza energetica nella progettazione edito da Dei nell’ottobre 2007. Nel 2001 ha vinto il concorso per “l’alta valenza architettonica per edifici fotovoltaici” indetto dal Ministero dell’Ambiente con la copertura solare delle tribune dello stadio di Trevignano Romano. È coordinatore scientifico di vari corsi di formazione nell’ambito di ISES Italia, è stato docente di “Impianti e compatibilità ambientale” presso la facoltà di Architettura Valle Giulia dell’Università “La Sapienza” di Roma ed è docente in master di 2° livello presso numerose facoltà di Architettura e di Ingegneria. È il coordinatore scientifico del Corso di Alta Formazione in Efficienza Energetica negli Edifici presso il Dipartimento di Meccanica e Aeronautica della facoltà di Ingegneria a La Sapienza. Attualmente è il direttore responsabile del quotidiano telematico rinnovabili.it.
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t last, after two decades of unheard appeals from scanty niches of “experts” and researchers, even Italy now believes that buildings play a part in the woeful phenomenon of climate change. Indeed the building industry, during all the various phases in its lifecycle, has anything but a negligible role to play accounting for at least 40% of global emissions. This new found “social” awareness has come about quite some time after most other historical EU countries. But Italy is an extraordinary country and, thanks above all to European Directives which have “imposed” some changes, National Laws (although unlikely to be enforced in the short term due to a lack of Implementary Decrees), and a hoard of Regional and Provincial Regulations and Municipal Building Rules, we have suddenly discovered there is a very delicate balance between energy and building and that much of our planet’s future and the quality of life of our children depends on it. Thanks to this sudden acceleration in the whole issue, something very congenial to us Italians, we now realize that “energy saving in buildings” is key topic for political platforms, pledges by Public Authorities, newspaper forums and TV programs. Better late than never, it might be said. But not all that glitters is gold. In light of this eagerly awaited speeding up in the race for energy efficiency, two critical issues need to be pointed out, perhaps less familiar because they are rarely mentioned in the media, but which in our opinion must be given very careful consideration. The first is the lack of any unitary national policy to refer to. During this period of great confusion, during which, for instance, the need for Energy Certification is “buffered” by an extremely vague certification “requirement”, whose absence from implementary decrees (Legislative Decree nos. 192 and 311) provides room for understandable autonomous initiatives on the part of Regional Councils, which have the option of directly implementing the European Directive, with the result, however, that we will soon have twenty different sets of regulations around Italy. Regional Councils have this power and it would appear that, one after the other, they intend to exercise it. And they are entitled to do so. A kind of energy federalism which might lead to even more chaos and slow down the development of an industry, which, moreover, is already hampered by numerous problems. And the ANCE, National Association of Building Constructors, is well aware of this and has been pointing it out to the highest political authorities for months now. But despite its authority in this field, the Ministry for Economic Development keeps on putting up a rubber wall and postponing the deadlines frequently being set by the eagerly awaited implementary decrees. The other critical issue concerns the lack of firm guidelines concerning the need to introduce new technology into the building industry, which lies at the very foundations of energy efficiency. This
approach might result in the creation of ugly building creations quite insensitive to the linguistic requirements of the context in which they are to be located. This issue is not usually examined in any great depth because—perhaps understandably—environmental policies and the policies of public authorities are almost entirely directed at the quantitative (and not qualitative) development of new plants and systems. Faced with the inevitable and much desired diffusion of this kind of technology in the building industry, there is a genuine risk that it might be applied indiscriminately without any definite rules or regulations determining, in terms of urban quality, any constraints on architectural language. This means that the great gamble on energy saving and efficiency in building will only be a success if there is an integrated and often interactive resorting to the range of technology and design methods forming the boundless realm of sustainable building. We are talking, for example, about the kind of technology, which allows us to exploit the temperature difference between the atmosphere and subsoil—so called geothermal power—allowing heating or cooling depending on requirements and the time of year; about extraordinary co- and tri-generation technology, which by simply recovering the heat energy given off in various ways by a boiler can generate heat or cold; about all those numerous bio-climatic devices incorporated in building shells, such as sun-screening, ventilated walls or roofs, insulation systems, high performance heat resistant glass or fixtures; about domotics and high energy efficiency utilizers or even futuristic combustible cell building applications. In actual fact the idea of architectural integration, particularly as regards photovoltaic technology, is now taken into account in almost all national, regional and municipal building regulations, incorporating both financial incentives and bonuses in terms of cubage. But none of these regulations contain “definite” and indisputable guidelines about what is meant by a “high quality integrated system”, a very definite boundary which cannot be called into question or sidestepped by “little rogues”. In the face of healthy constraints on the amount of emissions of climate-altering gases, the risk here lies in the possibility of a mass of ugly new constructions appearing in our cities, which once again are likely to foster even more “urban discontinuity”. The problem cannot be solved by simply attempting to superimpose energy-related technology on buildings or, worse still, concealing it away inside building structures. What we actually need to do is bring out all their inherent stylistic and technological potential, even by basing design languages around energy. Hence the need for very close bonds between technology and building. I am convinced that this could result in some interesting architectural features to supplement energy factors. The problem lies in “inventing” a new architectur-
al language to provide a benchmark for incorporating energy-related technology in the various features of our cities, such as buildings, infrastructures and urban furbishing. For example, I believe that photovoltaic technology could soon be transformed, if suitably integrated, into a stylistic feature capable of enhancing architecture, just as steel, concrete, glass and aluminum did at various times in the past. The world energy situation means that this building “revolution” will, very shortly, be inevitable. All architectural designers and the entire building industry will have to either directly or indirectly face up to this state of affairs, as will our politicians and public administrations. This is a change which will deeply affect every level of the building process. Perhaps the most obvious transformation will come from the advent of active, photovoltaic and thermal solar power. From a more strictly design viewpoint, incorporating photovoltaic technology requires, compared to merely placing modules on buildings, a more in-depth study into construction details and greater attention to constructing and assembling the individual components. In actual fact, the latter entail a combination of structural and electrical requirements which must not be allowed to get in each other’s way. Once the technical requirements have been guaranteed, photovoltaic integration will allow architects maximum stylistic freedom in their design work: the photovoltaic components may be either made to stand out or concealed, providing, as we have already said, new opportunities in terms of architectural and technological languages. Systematic research into the application of new technology, materials and operating processes is turning building construction into a standardized industrial manufacturing process. The buildings most frequently involved in this kind of research are those connected with the services sector, transport systems and new urban functions. Examples include multi-story buildings, railway stations and airports, as well as big structures designed for hosting exhibitions or those catering for major retail distribution. This new identity for building technology assumes two basic considerations from a design viewpoint. On one hand, building construction turns into a genuine process of industrialization. From the initial experiments in the latter half of the 19th century, when standardization assumed the simple repetition of individual building components, we have moved on to the construction of more complex systems involving authentic prefabricated components and now have even developed integrated industrial systems calling for a high degree of technology. On the other hand, design is based on a systematic method incorporating all the various technological components of a project. In this way all the problems connected with spatial organization, structural efficiency and plant-engineering demands must be tackled simultaneously at every stage in the design
process. This is radically revolutionizing the very logic of conventional design through research into new design methods, which, based on the know-how involved in the various individual disciplines in this sector, enables the entire design process to be tackled on an interactive and in-depth basis. The spread of computer technology and, more recently, of automation means that buildings are now expected to serve increasingly specific, cutting edge purposes. Conventional guidelines associating a building’s identity exclusively with its practical purpose are now outdated and superseded. Compared to other industrial products, an architectural shell must also come to terms with much broader issues, such as energy and the environment. At least in the case of buildings of notable architectural worth, this is currently resulting in much more specialist work carried out by interdisciplinary teams working on various design processes which are so organizationally complex and efficient that buildings may now even be compared to the products of pure cutting-edge technology. An important factor in understanding this new philosophy of design is the way its economic life is planned for: since a building is now an industrial product comparable to a car or fridge, its demolition and the recycling of its materials must also be provided for where possible. We are unquestionably on the right path, but it is a very steep climb. There is seemingly an increasingly urgent demand for the development of unique, national scale tools for drawing up (based on a comparative method) all the various parameters combining to determine the level of sustainability of a building and how it is integrated in its urban context. This is the only way we will be able to provide future generations with not just cleaner air but also more livable cities. And this is what we are certainly hoping for.
* Mauro Spagnolo, an architect and publicist-journalist, was born in Rome in 1957. He has designed works of architecture connected with energy-saving and the use of renewable energy sources and has been working with architecture magazines and journals, publishing plenty of scientific articles, since 1983. He has also written the following books: L’integrazione dei sistemi fotovoltaici nell’edilizia e nelle infrastrutture urbane published in 1999 by ENEA-Italian Ministry of the Environment and Ministry of Industry, and Sole nella città published in 2002 by Franco Muzzio Publishing House, and Efficienza energetica nella progettazione published by Dei in October 2007. In 2001 he won the competition “for high architectural values in photovoltaic buildings” organized by the Italian Ministry of the Environment with his solar roof for covering the stands of Trevignano Romano stadium. He is the scientific coordinator of various training courses run by ISES Italia; he used to teach “Systems and Environmental Compatibility” in the Valle Giulia Faculty of Architecture at “La Sapienza” University in Rome and is currently a Professor at various advanced Postgraduate Schools of Architecture and Engineering. He is the Scientific Coordinator of the Postgraduate Vocational Training Course in Energy Efficient Buildings at the Department of Mechanics and Aeronautics at “La Sapienza” Faculty of Engineering. He is also the chief editor of the on-line daily paper called rinnovabili.it.
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t last, after two decades of unheard appeals from scanty niches of “experts” and researchers, even Italy now believes that buildings play a part in the woeful phenomenon of climate change. Indeed the building industry, during all the various phases in its lifecycle, has anything but a negligible role to play accounting for at least 40% of global emissions. This new found “social” awareness has come about quite some time after most other historical EU countries. But Italy is an extraordinary country and, thanks above all to European Directives which have “imposed” some changes, National Laws (although unlikely to be enforced in the short term due to a lack of Implementary Decrees), and a hoard of Regional and Provincial Regulations and Municipal Building Rules, we have suddenly discovered there is a very delicate balance between energy and building and that much of our planet’s future and the quality of life of our children depends on it. Thanks to this sudden acceleration in the whole issue, something very congenial to us Italians, we now realize that “energy saving in buildings” is key topic for political platforms, pledges by Public Authorities, newspaper forums and TV programs. Better late than never, it might be said. But not all that glitters is gold. In light of this eagerly awaited speeding up in the race for energy efficiency, two critical issues need to be pointed out, perhaps less familiar because they are rarely mentioned in the media, but which in our opinion must be given very careful consideration. The first is the lack of any unitary national policy to refer to. During this period of great confusion, during which, for instance, the need for Energy Certification is “buffered” by an extremely vague certification “requirement”, whose absence from implementary decrees (Legislative Decree nos. 192 and 311) provides room for understandable autonomous initiatives on the part of Regional Councils, which have the option of directly implementing the European Directive, with the result, however, that we will soon have twenty different sets of regulations around Italy. Regional Councils have this power and it would appear that, one after the other, they intend to exercise it. And they are entitled to do so. A kind of energy federalism which might lead to even more chaos and slow down the development of an industry, which, moreover, is already hampered by numerous problems. And the ANCE, National Association of Building Constructors, is well aware of this and has been pointing it out to the highest political authorities for months now. But despite its authority in this field, the Ministry for Economic Development keeps on putting up a rubber wall and postponing the deadlines frequently being set by the eagerly awaited implementary decrees. The other critical issue concerns the lack of firm guidelines concerning the need to introduce new technology into the building industry, which lies at the very foundations of energy efficiency. This
approach might result in the creation of ugly building creations quite insensitive to the linguistic requirements of the context in which they are to be located. This issue is not usually examined in any great depth because—perhaps understandably—environmental policies and the policies of public authorities are almost entirely directed at the quantitative (and not qualitative) development of new plants and systems. Faced with the inevitable and much desired diffusion of this kind of technology in the building industry, there is a genuine risk that it might be applied indiscriminately without any definite rules or regulations determining, in terms of urban quality, any constraints on architectural language. This means that the great gamble on energy saving and efficiency in building will only be a success if there is an integrated and often interactive resorting to the range of technology and design methods forming the boundless realm of sustainable building. We are talking, for example, about the kind of technology, which allows us to exploit the temperature difference between the atmosphere and subsoil—so called geothermal power—allowing heating or cooling depending on requirements and the time of year; about extraordinary co- and tri-generation technology, which by simply recovering the heat energy given off in various ways by a boiler can generate heat or cold; about all those numerous bio-climatic devices incorporated in building shells, such as sun-screening, ventilated walls or roofs, insulation systems, high performance heat resistant glass or fixtures; about domotics and high energy efficiency utilizers or even futuristic combustible cell building applications. In actual fact the idea of architectural integration, particularly as regards photovoltaic technology, is now taken into account in almost all national, regional and municipal building regulations, incorporating both financial incentives and bonuses in terms of cubage. But none of these regulations contain “definite” and indisputable guidelines about what is meant by a “high quality integrated system”, a very definite boundary which cannot be called into question or sidestepped by “little rogues”. In the face of healthy constraints on the amount of emissions of climate-altering gases, the risk here lies in the possibility of a mass of ugly new constructions appearing in our cities, which once again are likely to foster even more “urban discontinuity”. The problem cannot be solved by simply attempting to superimpose energy-related technology on buildings or, worse still, concealing it away inside building structures. What we actually need to do is bring out all their inherent stylistic and technological potential, even by basing design languages around energy. Hence the need for very close bonds between technology and building. I am convinced that this could result in some interesting architectural features to supplement energy factors. The problem lies in “inventing” a new architectur-
al language to provide a benchmark for incorporating energy-related technology in the various features of our cities, such as buildings, infrastructures and urban furbishing. For example, I believe that photovoltaic technology could soon be transformed, if suitably integrated, into a stylistic feature capable of enhancing architecture, just as steel, concrete, glass and aluminum did at various times in the past. The world energy situation means that this building “revolution” will, very shortly, be inevitable. All architectural designers and the entire building industry will have to either directly or indirectly face up to this state of affairs, as will our politicians and public administrations. This is a change which will deeply affect every level of the building process. Perhaps the most obvious transformation will come from the advent of active, photovoltaic and thermal solar power. From a more strictly design viewpoint, incorporating photovoltaic technology requires, compared to merely placing modules on buildings, a more in-depth study into construction details and greater attention to constructing and assembling the individual components. In actual fact, the latter entail a combination of structural and electrical requirements which must not be allowed to get in each other’s way. Once the technical requirements have been guaranteed, photovoltaic integration will allow architects maximum stylistic freedom in their design work: the photovoltaic components may be either made to stand out or concealed, providing, as we have already said, new opportunities in terms of architectural and technological languages. Systematic research into the application of new technology, materials and operating processes is turning building construction into a standardized industrial manufacturing process. The buildings most frequently involved in this kind of research are those connected with the services sector, transport systems and new urban functions. Examples include multi-story buildings, railway stations and airports, as well as big structures designed for hosting exhibitions or those catering for major retail distribution. This new identity for building technology assumes two basic considerations from a design viewpoint. On one hand, building construction turns into a genuine process of industrialization. From the initial experiments in the latter half of the 19th century, when standardization assumed the simple repetition of individual building components, we have moved on to the construction of more complex systems involving authentic prefabricated components and now have even developed integrated industrial systems calling for a high degree of technology. On the other hand, design is based on a systematic method incorporating all the various technological components of a project. In this way all the problems connected with spatial organization, structural efficiency and plant-engineering demands must be tackled simultaneously at every stage in the design
process. This is radically revolutionizing the very logic of conventional design through research into new design methods, which, based on the know-how involved in the various individual disciplines in this sector, enables the entire design process to be tackled on an interactive and in-depth basis. The spread of computer technology and, more recently, of automation means that buildings are now expected to serve increasingly specific, cutting edge purposes. Conventional guidelines associating a building’s identity exclusively with its practical purpose are now outdated and superseded. Compared to other industrial products, an architectural shell must also come to terms with much broader issues, such as energy and the environment. At least in the case of buildings of notable architectural worth, this is currently resulting in much more specialist work carried out by interdisciplinary teams working on various design processes which are so organizationally complex and efficient that buildings may now even be compared to the products of pure cutting-edge technology. An important factor in understanding this new philosophy of design is the way its economic life is planned for: since a building is now an industrial product comparable to a car or fridge, its demolition and the recycling of its materials must also be provided for where possible. We are unquestionably on the right path, but it is a very steep climb. There is seemingly an increasingly urgent demand for the development of unique, national scale tools for drawing up (based on a comparative method) all the various parameters combining to determine the level of sustainability of a building and how it is integrated in its urban context. This is the only way we will be able to provide future generations with not just cleaner air but also more livable cities. And this is what we are certainly hoping for.
* Mauro Spagnolo, an architect and publicist-journalist, was born in Rome in 1957. He has designed works of architecture connected with energy-saving and the use of renewable energy sources and has been working with architecture magazines and journals, publishing plenty of scientific articles, since 1983. He has also written the following books: L’integrazione dei sistemi fotovoltaici nell’edilizia e nelle infrastrutture urbane published in 1999 by ENEA-Italian Ministry of the Environment and Ministry of Industry, and Sole nella città published in 2002 by Franco Muzzio Publishing House, and Efficienza energetica nella progettazione published by Dei in October 2007. In 2001 he won the competition “for high architectural values in photovoltaic buildings” organized by the Italian Ministry of the Environment with his solar roof for covering the stands of Trevignano Romano stadium. He is the scientific coordinator of various training courses run by ISES Italia; he used to teach “Systems and Environmental Compatibility” in the Valle Giulia Faculty of Architecture at “La Sapienza” University in Rome and is currently a Professor at various advanced Postgraduate Schools of Architecture and Engineering. He is the Scientific Coordinator of the Postgraduate Vocational Training Course in Energy Efficient Buildings at the Department of Mechanics and Aeronautics at “La Sapienza” Faculty of Engineering. He is also the chief editor of the on-line daily paper called rinnovabili.it.
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Una crescita verticale A Vertical Growth Kuala Lumpur, Business & Advanced Technology Center – Singapore, Editt Tower – Londra, Bishopsgate Towers – Francoforte, MAX Tower Kuala Lumpur, Business & Advanced Technology Center – Singapore, Editt Tower – London, Bishopsgate Towers – Frankfurt, MAX Tower Progetti di T.R. Hamzah & Yeang International Projects by T.R. Hamzah & Yeang International
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l grattacielo, una sorta di città nella città, rappresenta la tipologia architettonica più interessata alle problematiche legate alla gestione responsabile dell’energia. Lo sviluppo in altezza, pone in primo piano il rapporto con il clima: la diversificazione delle quote presuppone diverse gestioni della temperatura in ogni ambiente. In tal senso, la progettazione deve necessariamente partire da un’attenta analisi degli aspetti bioclimatici. Strutture estremamente complesse come le grandi torri urbane sono quindi macchine che dovrebbero interagire con l’ambiente attraverso bassi consumi per non gravare sulla quantità energetica disponibile. La ricerca progettuale sviluppata dallo studio T.R. Hamzah & Yeang vede tra le sperimentazioni più eclatanti l’Editt Tower, esempio di una città verticale in grado di prevedere tutti gli aspetti della salvaguardia dell’ambiente e della gestione eco-sostenibile delle risorse energetiche. Destinata ad accogliere attività terziarie, l’Editt Tower è un tipo di progettazione integrata non solo per la presenza di dispositivi di riduzione dei consumi, ma anche per l’individuazione delle qualità ambientali preposte a riequilibrare il rapporto fra ambiente naturale e spazi urbani fortemente caratterizzati da un’altissima densità abitativa. Altro progetto ideato dallo studio il BATC – Business & Advanced Technology Center – un complesso che integra più funzioni, costituito da una torre alta sessanta piani con accanto cinque torri composte di trenta piani ciascuna. Il complesso edilizio è connesso a piazze, percorsi
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Business & Advanced Technology Center, Kuala Lumpur. Complesso formato da una torre principale alta 60 piani e da cinque torri di 30 piani ciascuna. Pagina a fianco, particolare di una torre. Business & Advanced Technology Center, Kuala Lumpur. Complex composed of a main 60-story tower and five 30-story towers. Opposite page, detail of a tower.
pedonali e a strade destinate al traffico motorizzato e nel sottosuolo c’è anche una metropolitana. Nell’area fuoriterra sono inoltre previsti giardini, terrazze riccamente piantumate e corti aperte. La qualità degli spazi interni è assicurata da un sofisticato sistema computerizzato. Infine, il progetto delle Bishopsgate Towers che punta sulla completa autonomia del nuovo insediamento. Si tratta di una vera e propria città verticale attuata attraverso una serie di funzionali collegamenti fra gli elementi costituenti il complesso urbano. La nuova unità è composta da tre torri a uso polifunzionale di cui due alte sessantacinque piani e una alta cinquanta piani. Le torri dispongono di sistemi attivi e passivi per il controllo dell’energia. Il tutto è inserito in spazi caratterizzati da giardini pensili e corti interne. Le Bishopsgate Towers sono un riuscito esempio di architettura sostenibile, poiché composta da materiali potenzialmente riutilizzabili o riciclabili. L’insufficiente presenza di verde urbano che caratterizza la zona destinata alla MAX Tower ha indotto i progettisti a prevedere la presenza di alcuni giardini pensili. Alta cinquanta piani, la torre occupa una superficie di circa novantamila metri quadrati e comprende una sorta di spirale vegetale che inizia dal piano strada e arriva fino alla sommità del complesso, creando così una sorta di eco-sistema permanente che, coadiuvato da griglie frangisole e vetrate speciali, permette la gestione ottimale delle condizioni climatiche degli spazi interni.
In queste pagine, la Editt Tower di Singapore, progettata per l’area tra Waterloo Road e Victoria Street. These pages, Editt Tower, Singapore, designed for the area between Waterloo Road and Victoria Street.
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he skyscraper, a sort of city within the city, is the kind of architectural design most carefully geared to issues related to the responsible management of energy. Vertical elevation focuses on relations with the climate: different heights call for different means of handling temperature at the various levels. In this sense, design must necessarily begin with a careful study of bio-climatic factors. Extremely intricate structures like big urban towers are machines which ought to interact with the environment through low consumption levels, so as not to deplete the available energy resources. Of the various projects designed by T.R. Hamzah & Yeang, Editt Tower is perhaps the most striking example of a vertical city capable of handling every single aspect of safeguarding the environment and managing energy resources in an eco-sustainable way. This makes Editt Tower an example of design which is integrated not just through the presence of devices to reduce consumption, but also by incorporating environmental features designed to balance out relations between the natural environment and urban spaces with extremely high population densities. Another project designed by the firm is the BATC— Business & Advanced Technology Center—a complex incorporating various functions, composed of a 60-story tower with five 30-story towers along side it. The building complex is connected to squares, pedestrian paths and roads for much of vehicles, and there is even an underground line running through the basement. The aboveground area is also planned to be furbished with gardens, richly landscaped terraces and open courtyards. The quality of the interiors is guaranteed by a sophisticated computerized system. Finally, the Bishopsgate Towers project focuses on being totally autonomous and self-contained. This is an authentic vertical city composed of a set of functional links between the urban complex’s constituent elements. The new unit is composed of three multipurpose towers, two of which are 65 stories tall and the other 50 stories high. The towers are fitted with active and passive energy-control systems. Everything is incorporated in spaces featuring hanging gardens and internal courtyards. Bishopsgate Towers are a successful example of sustainable architecture, since they are built out of potentially reusable or recyclable materials. The lack of inner-city landscaping in the area where MAX Tower is planned to be built encouraged the architects to introduce some terraced gardens. Fifty stories high, the tower covers an area of approximately 90.000 m2 and encompasses a sort of vegetable spiral, which starts at street level and rises up to the very top of the complex, thereby creating a sort of permanent ecosystem, which, with the aid of sunscreens and special glass panels, allows optimum management of the climatic conditions inside the interior spaces.
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ENERGIA ENERGY
Viaggio al centro della Terra Journey to the Center of the Earth Saint-Ours-les Roches, Vulcania, parco europeo del vulcanismo Saint-Ours-les Roches, Vulcania, European Volcano Park Progetto di Hans Hollein Project by Hans Hollein
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Dettaglio prospettico del complesso e, pagina a fianco, atrio centrale dove la luce diurna penetra dal cratere fuori terra. Perspective detail of the complex and, opposite page, the central lobby where daytime light flows in through the crater above ground level.
merso con forza e autonomia poetica sulla scena dell’architettura internazionale durante la stagione posmodernista, Hans Hollein con questo importante lavoro conferma la sua visione “magico-classicista” dell’architettura. Nella sua accezione simbolica, Vulcania è il simulacro di una straordinaria fabbrica del fuoco, evocatrice di energia geotermica, dunque energia pulita (a costo contenuto) e soprattutto rinnovabile. Vulcania più assimilabile al mito latino di Vulcano piuttosto che a quello greco di Efesto, divinità metallurgica dell’Olimpo: gli antichi Romani solevano, infatti, riunirsi nel tempio dedicato a Vulcano per prendere importanti decisioni relative ai destini della Repubblica. Un atteggiamento “politico” in cui il mito sconfina nel sociale. Non lontano da Clermond-Ferrand, Vulcania sorge sulla catena dei Puys, territorio collinare dell’Alvernia di origine vulcanica. Felice sintesi fra attrazione turistica e luogo di conoscenza delle scienze della Terra, il complesso nasce da un’idea dell’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. L’iniziativa trovò sostegno politico e finanziamenti da parte di varie istituzioni come il Consiglio regionale dell’Alvernia, il Governo francese e l’Unione europea. Cullato da oltre dieci anni il desiderio di confrontarsi con un progetto ipogeo, Vulcania è stato per Hollein la realizzazione di un sogno, rimasto in sospeso quando non andò in porto la sua proposta di creare sotto il
livello del suolo il Museo Guggenheim di Salisburgo. L’intervento è frutto di un progetto multidisciplinare: oltre a Hans Hollein, vi hanno lavorato l’architetto paesaggista Gilles Clément, Atelier 4 e lo scenografo Rainer Verbizh. Il linguaggio di Hollein punta sull’emozione, sulla teatralità dell’evento architettonico, sull’enfatizzazione formale. In questo caso, il vulcano diviene il suo proprio archetipo geometrico attraverso un grande e affusolato cono di oltre venti metri, rivestito di pietra basaltica. Al suo interno un rivestimento di metallo dorato trasmette verso il basso la luce diurna mentre nelle ore notturne un suggestivo fascio di luce prodotta artificialmente penetra nella profondità dello scavo. Insomma, fra la Natura e l’architettura lo scambio è più che evidente. Hollein ha inoltre realizzato alcune strutture, per esempio la lunga rampa che conduce in quota, impiegando il materiale di scavo. Il viaggio al centro della Terra che il visitatore è invitato a intraprendere ha il suo punto di maggiore emozione allorquando attraversa la zona dove intravede la massa magmatica incandescente, ovviamente simulata per ragioni di sicurezza. Un effetto speciale che evidenzia la matrice “barocca” di un architetto contemporaneo che, in un qualche modo, si ispira ai grandi maestri del passato per rinverdire antiche suggestioni e raccontare all’uomo del presente l’affascinante mistero dei fenomeni legati all’esistenza e ai processi di formazione della Terra.
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Viaggio al centro della Terra Journey to the Center of the Earth Saint-Ours-les Roches, Vulcania, parco europeo del vulcanismo Saint-Ours-les Roches, Vulcania, European Volcano Park Progetto di Hans Hollein Project by Hans Hollein
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Dettaglio prospettico del complesso e, pagina a fianco, atrio centrale dove la luce diurna penetra dal cratere fuori terra. Perspective detail of the complex and, opposite page, the central lobby where daytime light flows in through the crater above ground level.
merso con forza e autonomia poetica sulla scena dell’architettura internazionale durante la stagione posmodernista, Hans Hollein con questo importante lavoro conferma la sua visione “magico-classicista” dell’architettura. Nella sua accezione simbolica, Vulcania è il simulacro di una straordinaria fabbrica del fuoco, evocatrice di energia geotermica, dunque energia pulita (a costo contenuto) e soprattutto rinnovabile. Vulcania più assimilabile al mito latino di Vulcano piuttosto che a quello greco di Efesto, divinità metallurgica dell’Olimpo: gli antichi Romani solevano, infatti, riunirsi nel tempio dedicato a Vulcano per prendere importanti decisioni relative ai destini della Repubblica. Un atteggiamento “politico” in cui il mito sconfina nel sociale. Non lontano da Clermond-Ferrand, Vulcania sorge sulla catena dei Puys, territorio collinare dell’Alvernia di origine vulcanica. Felice sintesi fra attrazione turistica e luogo di conoscenza delle scienze della Terra, il complesso nasce da un’idea dell’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. L’iniziativa trovò sostegno politico e finanziamenti da parte di varie istituzioni come il Consiglio regionale dell’Alvernia, il Governo francese e l’Unione europea. Cullato da oltre dieci anni il desiderio di confrontarsi con un progetto ipogeo, Vulcania è stato per Hollein la realizzazione di un sogno, rimasto in sospeso quando non andò in porto la sua proposta di creare sotto il
livello del suolo il Museo Guggenheim di Salisburgo. L’intervento è frutto di un progetto multidisciplinare: oltre a Hans Hollein, vi hanno lavorato l’architetto paesaggista Gilles Clément, Atelier 4 e lo scenografo Rainer Verbizh. Il linguaggio di Hollein punta sull’emozione, sulla teatralità dell’evento architettonico, sull’enfatizzazione formale. In questo caso, il vulcano diviene il suo proprio archetipo geometrico attraverso un grande e affusolato cono di oltre venti metri, rivestito di pietra basaltica. Al suo interno un rivestimento di metallo dorato trasmette verso il basso la luce diurna mentre nelle ore notturne un suggestivo fascio di luce prodotta artificialmente penetra nella profondità dello scavo. Insomma, fra la Natura e l’architettura lo scambio è più che evidente. Hollein ha inoltre realizzato alcune strutture, per esempio la lunga rampa che conduce in quota, impiegando il materiale di scavo. Il viaggio al centro della Terra che il visitatore è invitato a intraprendere ha il suo punto di maggiore emozione allorquando attraversa la zona dove intravede la massa magmatica incandescente, ovviamente simulata per ragioni di sicurezza. Un effetto speciale che evidenzia la matrice “barocca” di un architetto contemporaneo che, in un qualche modo, si ispira ai grandi maestri del passato per rinverdire antiche suggestioni e raccontare all’uomo del presente l’affascinante mistero dei fenomeni legati all’esistenza e ai processi di formazione della Terra.
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Veduta dal basso dell’interno del cratere. A view from below of the inside of the crater.
ans Hollein, who emerged with great force and stylistic autonomy on the international architectural scene during the postmodernist period, confirms his “magical-classicist” vision with this significant work of architecture. Viewed symbolically, Vulcania is a simulacrum of an incredible factory of fire, evoking geothermal energy and hence clean and, above all, renewable energy (at a reasonable price). Vulcania calls to mind the Latin myth of Vulcan or the Greek metallurgical god Hephaestus. Indeed, the ancient Romans used to congregate in the temple devoted to Vulcan to make important decisions concerning the fate of the Republic. A “political” approach in which myth borders on social issues. Not far from Clermond-Ferrand, Vulcania stands along the Chaîne des Puys in the hilly region of Auvergne of volcanic origin. A successful combination of tourist attraction and geoscientific investigations, the complex was the pet project of the former French President, Valéry Giscard d’Estaing. The project found political support and financial backing from various institutions, such as the Auvergne Regional Council, the French Government and the European Union. After toying for over 10 years with the idea of taking on an underground project, Vulcania is Hollein’s dream come true, a dream that remained unfulfilled when his idea to create the Salzburg Guggenheim Museum underground was never carried out. The design is the result of a multidisciplinary project: Hans Hollein worked with the landscape architect Gilles Clément, Atelier 4 and the scenographer Rainer Verbizh. Hollein’s design idiom focuses on emotion, the theatrical nature of an architectural event, and stylistic emphasis. In this case, the volcano turns into its own geometric archetype through a large tapering cone over twenty meters in size, covered with basalt stone. A gilt metal coating on the inside conveys daytime light downwards, while at night-time a striking beam of artificial light penetrates down into the depths of the excavation. Nature and architecture interact in a most evident way. Hollein has also designed some structures, for example the long upward ramp, using excavation material. The journey to the center of the Earth which visitors are invited to undertake has its most emotional point when you cross the section providing glimpses of an incandescent mass of magma (simulated for obvious safety reasons). A special effect highlighting the “baroque” matrix of a modern-day architect, who, in some way, is inspired by the great masters of the past, so as to bring ancient ideas back to life and tell modern-day people about the fascinating mystery of phenomena linked with the existence of the Earth and its formation process.
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Veduta dal basso dell’interno del cratere. A view from below of the inside of the crater.
ans Hollein, who emerged with great force and stylistic autonomy on the international architectural scene during the postmodernist period, confirms his “magical-classicist” vision with this significant work of architecture. Viewed symbolically, Vulcania is a simulacrum of an incredible factory of fire, evoking geothermal energy and hence clean and, above all, renewable energy (at a reasonable price). Vulcania calls to mind the Latin myth of Vulcan or the Greek metallurgical god Hephaestus. Indeed, the ancient Romans used to congregate in the temple devoted to Vulcan to make important decisions concerning the fate of the Republic. A “political” approach in which myth borders on social issues. Not far from Clermond-Ferrand, Vulcania stands along the Chaîne des Puys in the hilly region of Auvergne of volcanic origin. A successful combination of tourist attraction and geoscientific investigations, the complex was the pet project of the former French President, Valéry Giscard d’Estaing. The project found political support and financial backing from various institutions, such as the Auvergne Regional Council, the French Government and the European Union. After toying for over 10 years with the idea of taking on an underground project, Vulcania is Hollein’s dream come true, a dream that remained unfulfilled when his idea to create the Salzburg Guggenheim Museum underground was never carried out. The design is the result of a multidisciplinary project: Hans Hollein worked with the landscape architect Gilles Clément, Atelier 4 and the scenographer Rainer Verbizh. Hollein’s design idiom focuses on emotion, the theatrical nature of an architectural event, and stylistic emphasis. In this case, the volcano turns into its own geometric archetype through a large tapering cone over twenty meters in size, covered with basalt stone. A gilt metal coating on the inside conveys daytime light downwards, while at night-time a striking beam of artificial light penetrates down into the depths of the excavation. Nature and architecture interact in a most evident way. Hollein has also designed some structures, for example the long upward ramp, using excavation material. The journey to the center of the Earth which visitors are invited to undertake has its most emotional point when you cross the section providing glimpses of an incandescent mass of magma (simulated for obvious safety reasons). A special effect highlighting the “baroque” matrix of a modern-day architect, who, in some way, is inspired by the great masters of the past, so as to bring ancient ideas back to life and tell modern-day people about the fascinating mystery of phenomena linked with the existence of the Earth and its formation process.
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Dall’alto, spaccato prospettico, vista dell’ingresso, pianta del piano terra e alcuni particolari degli spazi interni.
Pianta e dettaglio della parete del cratere. Plan and detail of the crater wall.
From top, perspective cutaway, view of the entrance, plan of the ground floor, and details of the interiors.
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Dall’alto, spaccato prospettico, vista dell’ingresso, pianta del piano terra e alcuni particolari degli spazi interni.
Pianta e dettaglio della parete del cratere. Plan and detail of the crater wall.
From top, perspective cutaway, view of the entrance, plan of the ground floor, and details of the interiors.
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Dettagli degli spazi ipogei e viste della grande serra. Details of the underground spaces and views of the large glasshouse.
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Alcuni particolari che rivelano la complessa configurazione altimetrica dell’insieme. Features revealing the intricate altimetric layout of the entire structure.
Dettagli degli spazi ipogei e viste della grande serra. Details of the underground spaces and views of the large glasshouse.
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Alcuni particolari che rivelano la complessa configurazione altimetrica dell’insieme. Features revealing the intricate altimetric layout of the entire structure.
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La giustizia ha il vento in poppa Justice Has the Wind in Its Sails Anversa, Palazzo di Giustizia Antwerp, Law Courts Progetto di Richard Rogers Partnership – VK Studio Project by Richard Rogers Partnership – VK Studio
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Schizzo di progetto e schema dell’angolo d’incidenza dei raggi solari. Pagina a fianco, dettaglio delle “vele” della copertura. Project sketches and diagram of solar incidence angles. Opposite page, detail of the roof “sails”.
in dalla scoperta del vetro, l’architettura ha puntato sulla trasparenza quale elemento di modernità. L’evoluzione tecnologica nata con le istanze del Razionalismo ha permesso, sin dagli anni Venti, la realizzazione di grandi superfici vetrate. Ora gli edifici potrebbero essere quasi interamente costruiti in vetro. Il progetto per il nuovo Palazzo di Giustizia di Anversa punta su due obiettivi: grandi superfici trasparenti come significato simbolico di una giustizia che si vorrebbe cristallina verso i cittadini e una straordinaria forma quale valore aggiunto in uno spazio urbano come scenario di importanti eventi architettonici. Situata sulla riva destra del fiume Schelda, a circa novanta chilometri dal mare, Anversa, città belga ubicata nella regione delle Fiandre, grazie al suo importante porto fluviale è città di antiche tradizioni marinare. Le grandi vele della copertura non sono però solo facile trasfigurazione simbolica dedicata alla nautica bensì soluzione destinata a favorire risparmio energetico e sostenibilità ambientale. L’accentuata verticalità e l’inclinazione delle vele permette maggiore sfruttamento dei raggi solari, sia per l’illuminazione diurna sia per climatizzare naturalmente gli ambienti.
Nel periodo estivo, le prestazioni di controllo solare delle vetrate (prodotte in uno speciale vetro stratificato), contribuiscono in modo efficace all’azione di condizionamento degli spazi interni, mentre d’inverno il vetro “basso-emissivo” garantisce un soddisfacente isolamento termico. La copertura è stata costruita con tecnologia navale, all’interno di un cantiere posto nelle vicinanze dello Schelda. Una volta ultimati, tutti gli elementi sono stati trasportati in loco per mezzo di una grande nave. Le “vele” non sono tutte grandi uguali, quelle più alte, di ventiquattro metri, corrispondono alle sei ampie aule di udienza; quelle minori, alte undici metri, sono invece in corrispondenza di ventisei piccole aule destinate alle procedure veloci. Il complesso, composto di un piano interrato più cinque piani fuori terra, ha una superficie totale di circa 78 metri quadrati. Di particolare pregio compositivo, la struttura d’acciaio e legno crea all’interno degli ambienti una trama reticolare che ritaglia il cielo, dividendolo in tanti spicchi dando al tutto un ordine geometrico, simbolo di una giustizia cristallina a garanzia di equità e giustizia. Il Palazzo di Giustizia come luogo oltre la sua funzione istituzionale: ampio come una piazza coperta, offre spazi d’aggregazione e ristoro attraverso percorsi pubblici, una caffetteria e un luogo di particolare suggestione come la “Salle des Pas Perdus”, grande hall rivestita di vetro da cui s’irradia l’intradosso della copertura.
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La giustizia ha il vento in poppa Justice Has the Wind in Its Sails Anversa, Palazzo di Giustizia Antwerp, Law Courts Progetto di Richard Rogers Partnership – VK Studio Project by Richard Rogers Partnership – VK Studio
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Schizzo di progetto e schema dell’angolo d’incidenza dei raggi solari. Pagina a fianco, dettaglio delle “vele” della copertura. Project sketches and diagram of solar incidence angles. Opposite page, detail of the roof “sails”.
in dalla scoperta del vetro, l’architettura ha puntato sulla trasparenza quale elemento di modernità. L’evoluzione tecnologica nata con le istanze del Razionalismo ha permesso, sin dagli anni Venti, la realizzazione di grandi superfici vetrate. Ora gli edifici potrebbero essere quasi interamente costruiti in vetro. Il progetto per il nuovo Palazzo di Giustizia di Anversa punta su due obiettivi: grandi superfici trasparenti come significato simbolico di una giustizia che si vorrebbe cristallina verso i cittadini e una straordinaria forma quale valore aggiunto in uno spazio urbano come scenario di importanti eventi architettonici. Situata sulla riva destra del fiume Schelda, a circa novanta chilometri dal mare, Anversa, città belga ubicata nella regione delle Fiandre, grazie al suo importante porto fluviale è città di antiche tradizioni marinare. Le grandi vele della copertura non sono però solo facile trasfigurazione simbolica dedicata alla nautica bensì soluzione destinata a favorire risparmio energetico e sostenibilità ambientale. L’accentuata verticalità e l’inclinazione delle vele permette maggiore sfruttamento dei raggi solari, sia per l’illuminazione diurna sia per climatizzare naturalmente gli ambienti.
Nel periodo estivo, le prestazioni di controllo solare delle vetrate (prodotte in uno speciale vetro stratificato), contribuiscono in modo efficace all’azione di condizionamento degli spazi interni, mentre d’inverno il vetro “basso-emissivo” garantisce un soddisfacente isolamento termico. La copertura è stata costruita con tecnologia navale, all’interno di un cantiere posto nelle vicinanze dello Schelda. Una volta ultimati, tutti gli elementi sono stati trasportati in loco per mezzo di una grande nave. Le “vele” non sono tutte grandi uguali, quelle più alte, di ventiquattro metri, corrispondono alle sei ampie aule di udienza; quelle minori, alte undici metri, sono invece in corrispondenza di ventisei piccole aule destinate alle procedure veloci. Il complesso, composto di un piano interrato più cinque piani fuori terra, ha una superficie totale di circa 78 metri quadrati. Di particolare pregio compositivo, la struttura d’acciaio e legno crea all’interno degli ambienti una trama reticolare che ritaglia il cielo, dividendolo in tanti spicchi dando al tutto un ordine geometrico, simbolo di una giustizia cristallina a garanzia di equità e giustizia. Il Palazzo di Giustizia come luogo oltre la sua funzione istituzionale: ampio come una piazza coperta, offre spazi d’aggregazione e ristoro attraverso percorsi pubblici, una caffetteria e un luogo di particolare suggestione come la “Salle des Pas Perdus”, grande hall rivestita di vetro da cui s’irradia l’intradosso della copertura.
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Piante del livello della hall “Salles des Pas Perdus” e del livello delle aule di udienza. Pagina a fianco, schizzo di progetto e veduta complessiva del Palazzo di Giustizia. Plans of the “Salles des Pas Perdus” hall level and court rooms level. Opposite page, project sketch and overall view of the Law Courts.
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E
ver since the discovery of glass, architecture has focused on transparency as a vehicle of modernity. Ever since the 1920s, technological developments deriving from the demands of Rationalism have allowed the construction of wide glass surfaces. Nowadays buildings could be made almost entirely out of glass. The project for new Law Courts in Antwerp has two main targets: wide glass surfaces to symbolize the kind of clear-cut justice people deserve, and a striking form as that something extra in an urban space hosting major architectural events. Situated along the right bank of the River Scheldt, about 90 km from the sea, Antwerp, a Belgian city in the Flanders region, has a long maritime tradition due to its important river port. The large sails forming the roof are not just a rather facile symbolic transfiguration of the sailing world, but a design solution to help save energy and guarantee environmental sustainability. The accentuated verticality and sloping angle of the sails allows sunlight to be exploited more effectively, both for daytime lighting and for a natural climatization of all premises. During summer the effectiveness of the glass windows (made of a special stratified glass) in controlling sunlight
provides an invaluable contribution to air-conditioning the interiors, while in winter the “low-emission” glass guarantees satisfactory heat insulation. The roof was constructed using shipbuilding technology at a yard nearby the River Scheldt. Once completed, all the various elements were transported to the site on a large ship. The “sails” are not all the same size, the taller ones measuring twenty-four meters correspond to the six spacious court rooms; the smaller ones, eleven meters high, correspond to the twenty-six small chambers used for fast procedures. The complex, composed of an underground level plus five levels above ground, covers a total surface area of approximately 78 m2. The steel and wood structure of the interiors features a striking design characterized by a reticular pattern framing the sky in fragmented segments to instill an overall sense of geometric order, thus symbolizing clear-cut justice as a guarantee of fair treatment for all. The Law Courts as more than just a piece of institutional machinery: as spacious as a covered plaza, they provide social and recreational spaces along the public pathways, including a cafeteria and a striking place like the “Salle des Pas Perdus”, a large glass-coated hall from which the roof’s intrados spreads out.
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Piante del livello della hall “Salles des Pas Perdus” e del livello delle aule di udienza. Pagina a fianco, schizzo di progetto e veduta complessiva del Palazzo di Giustizia. Plans of the “Salles des Pas Perdus” hall level and court rooms level. Opposite page, project sketch and overall view of the Law Courts.
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ver since the discovery of glass, architecture has focused on transparency as a vehicle of modernity. Ever since the 1920s, technological developments deriving from the demands of Rationalism have allowed the construction of wide glass surfaces. Nowadays buildings could be made almost entirely out of glass. The project for new Law Courts in Antwerp has two main targets: wide glass surfaces to symbolize the kind of clear-cut justice people deserve, and a striking form as that something extra in an urban space hosting major architectural events. Situated along the right bank of the River Scheldt, about 90 km from the sea, Antwerp, a Belgian city in the Flanders region, has a long maritime tradition due to its important river port. The large sails forming the roof are not just a rather facile symbolic transfiguration of the sailing world, but a design solution to help save energy and guarantee environmental sustainability. The accentuated verticality and sloping angle of the sails allows sunlight to be exploited more effectively, both for daytime lighting and for a natural climatization of all premises. During summer the effectiveness of the glass windows (made of a special stratified glass) in controlling sunlight
provides an invaluable contribution to air-conditioning the interiors, while in winter the “low-emission” glass guarantees satisfactory heat insulation. The roof was constructed using shipbuilding technology at a yard nearby the River Scheldt. Once completed, all the various elements were transported to the site on a large ship. The “sails” are not all the same size, the taller ones measuring twenty-four meters correspond to the six spacious court rooms; the smaller ones, eleven meters high, correspond to the twenty-six small chambers used for fast procedures. The complex, composed of an underground level plus five levels above ground, covers a total surface area of approximately 78 m2. The steel and wood structure of the interiors features a striking design characterized by a reticular pattern framing the sky in fragmented segments to instill an overall sense of geometric order, thus symbolizing clear-cut justice as a guarantee of fair treatment for all. The Law Courts as more than just a piece of institutional machinery: as spacious as a covered plaza, they provide social and recreational spaces along the public pathways, including a cafeteria and a striking place like the “Salle des Pas Perdus”, a large glass-coated hall from which the roof’s intrados spreads out.
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In queste pagine, studio strutturale della complessa membrana della copertura e rapporto fra contesto urbano e nuovo insediamento. These pages, structural study of the intricate roof membrane and the new settlement in its urban setting.
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In queste pagine, studio strutturale della complessa membrana della copertura e rapporto fra contesto urbano e nuovo insediamento. These pages, structural study of the intricate roof membrane and the new settlement in its urban setting.
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Intradosso della copertura a “vele” e prospetto principale. Pagina a fianco, dettagli della configurazione della copertura e dello spazio interno caratterizzato dalle strutture in acciaio con diverse colorazioni destinate a delimitare le varie aree funzionali del Palazzo di Giustizia. Intrados of the “sails” roof and main elevation. Opposite page, details of the large roof layout and interiors featuring different-colored steel structures designed to mark the various functional areas of the Law Courts.
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Intradosso della copertura a “vele” e prospetto principale. Pagina a fianco, dettagli della configurazione della copertura e dello spazio interno caratterizzato dalle strutture in acciaio con diverse colorazioni destinate a delimitare le varie aree funzionali del Palazzo di Giustizia. Intrados of the “sails” roof and main elevation. Opposite page, details of the large roof layout and interiors featuring different-colored steel structures designed to mark the various functional areas of the Law Courts.
ENERGIA ENERGY
M’illumino di bianca luce Lit with Whiteness Bergamo, ITC Lab Italcementi Bergamo, ITC Lab Italcementi Progetto di Richard Meier & Partners Architects Project by Richard Meier & Partners Architects
I
TC Lab, un “cuore di cristallo” che batte nel corpo del Kilometro Rosso, Parco Scientifico Tecnologico sull’autostrada Venezia-Milano. ITC Lab è realizzato in cemento bianco TX Aria® a base di TX Active®, principio fotocatalitico brevettato da Italcementi. È una sostanza per prodotti cementizi in grado di abbattere gli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria. TX Active ® è un prodotto già utilizzato da Richard Meier in occasione della realizzazione della chiesa Dives in Misericordia, costruita a Roma nel 2003. ITC Lab vuole essere la coerente risposta di Italcementi Group alle problematiche della tutela dell’ambiente. Il nuovo edificio accoglie laboratori di ricerca, uffici, una biblioteca scientifica. Nell’ala est sono presenti inoltre una caffetteria e spazi di aggregazione. La struttura, su una superficie di undicimila metri quadrati, di cui settemilacinquecento dedicati ai laboratori di ricerca, accoglie circa tremila persone distribuite secondo gruppi multidisciplinari di società private ed enti pubblici. Una sorta di network attraverso il quale Italcementi Group avrà l’opportunità di confrontarsi con realtà internazionali rappresentate da importanti centri di ricerca e istituti universitari francesi, americani e anche, prossimamente, indiani, con cui ha già intrecciato rapporti attraverso il CTG
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Rendering dell’ITC Lab, una struttura che occupa circa 11.000 mq. Il complesso è in grado di accogliere circa 3.000 persone in gruppi di studio multidisciplinari. Pagina a fianco, il plastico. Rendering of the ITC Lab, a structure covering approximately 11,000 m2. The complex can accommodate approximately 3,000 people forming multidisciplinary study groups. Opposite page, project model.
Centro Tecnico di Gruppo. Il complesso progettato da Meier è – pur mantenendo una sua cristallina autonomia formale rispetto al Kilometro Rosso progettato da Jean Nouvel – in sintonia con la filosofia on the road voluta dall’architetto francese. Si tratta di un’opera piuttosto inedita rispetto all’immaginario meieriano, architetto americano eccellente continuatore della poetica lecorbusieriana di “quando le cattedrali erano bianche”. Planimetricamente configurata a “V”, la pianta dell’edificio scandisce con forza la sua vettorialità, in sintonia con la barriera del Kilometro Rosso concepita come formalizzazione di un’ideale scia rossa, un effetto “retinico” di indubbia suggestione. Sul piano ecosostenibile, ITC Lab (acronimo di: Innovation and Technology Central Laboratory) è una “macchina” che produce buona parte dell’energia che consuma grazie a una serie di collaudati sistemi come i pannelli fotovoltaici, fissati sulla copertura che, convertendo l’irraggiamento solare, producono energia elettrica. Vi sono inoltre alcuni pannelli solari per alimentare l’impianto di riscaldamento. Un ulteriore contributo al risparmio energetico è assicurato dalla presenza di un dispositivo geotermico che sfrutta l’energia solare accumulata nel suolo e negli strati profondi del terreno.
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ENERGIA ENERGY
M’illumino di bianca luce Lit with Whiteness Bergamo, ITC Lab Italcementi Bergamo, ITC Lab Italcementi Progetto di Richard Meier & Partners Architects Project by Richard Meier & Partners Architects
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TC Lab, un “cuore di cristallo” che batte nel corpo del Kilometro Rosso, Parco Scientifico Tecnologico sull’autostrada Venezia-Milano. ITC Lab è realizzato in cemento bianco TX Aria® a base di TX Active®, principio fotocatalitico brevettato da Italcementi. È una sostanza per prodotti cementizi in grado di abbattere gli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria. TX Active ® è un prodotto già utilizzato da Richard Meier in occasione della realizzazione della chiesa Dives in Misericordia, costruita a Roma nel 2003. ITC Lab vuole essere la coerente risposta di Italcementi Group alle problematiche della tutela dell’ambiente. Il nuovo edificio accoglie laboratori di ricerca, uffici, una biblioteca scientifica. Nell’ala est sono presenti inoltre una caffetteria e spazi di aggregazione. La struttura, su una superficie di undicimila metri quadrati, di cui settemilacinquecento dedicati ai laboratori di ricerca, accoglie circa tremila persone distribuite secondo gruppi multidisciplinari di società private ed enti pubblici. Una sorta di network attraverso il quale Italcementi Group avrà l’opportunità di confrontarsi con realtà internazionali rappresentate da importanti centri di ricerca e istituti universitari francesi, americani e anche, prossimamente, indiani, con cui ha già intrecciato rapporti attraverso il CTG
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Rendering dell’ITC Lab, una struttura che occupa circa 11.000 mq. Il complesso è in grado di accogliere circa 3.000 persone in gruppi di studio multidisciplinari. Pagina a fianco, il plastico. Rendering of the ITC Lab, a structure covering approximately 11,000 m2. The complex can accommodate approximately 3,000 people forming multidisciplinary study groups. Opposite page, project model.
Centro Tecnico di Gruppo. Il complesso progettato da Meier è – pur mantenendo una sua cristallina autonomia formale rispetto al Kilometro Rosso progettato da Jean Nouvel – in sintonia con la filosofia on the road voluta dall’architetto francese. Si tratta di un’opera piuttosto inedita rispetto all’immaginario meieriano, architetto americano eccellente continuatore della poetica lecorbusieriana di “quando le cattedrali erano bianche”. Planimetricamente configurata a “V”, la pianta dell’edificio scandisce con forza la sua vettorialità, in sintonia con la barriera del Kilometro Rosso concepita come formalizzazione di un’ideale scia rossa, un effetto “retinico” di indubbia suggestione. Sul piano ecosostenibile, ITC Lab (acronimo di: Innovation and Technology Central Laboratory) è una “macchina” che produce buona parte dell’energia che consuma grazie a una serie di collaudati sistemi come i pannelli fotovoltaici, fissati sulla copertura che, convertendo l’irraggiamento solare, producono energia elettrica. Vi sono inoltre alcuni pannelli solari per alimentare l’impianto di riscaldamento. Un ulteriore contributo al risparmio energetico è assicurato dalla presenza di un dispositivo geotermico che sfrutta l’energia solare accumulata nel suolo e negli strati profondi del terreno.
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Studi di fattibilità e dettagli del plastico. Planimetricamente configurata a “V”, la pianta dell’edificio scandisce con forza la sua vettorialità. Feasibility studies and details of the project model. The V-shaped building base sets out its vector force with great power.
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I
TC Lab, a “heart of glass” in the body of the Kilometro Rosso, a Science & Technology Park along the Venice-Milan freeway. ITC Lab is built in TX Aria ® white cement, based on Italcementi’s patented TX Active ® photocatalytic principle. This material, applied to cement-based products, can reduce organic and inorganic pollutants that are present in the air. TX Active® has already been used by Richard Meier to build the Dives in Misericordia church in Rome in 2003. ITC Lab wants to be the Italcementi Group’s consistent response to environmental issues. The new building houses research laboratories, offices and a science library. The east wing also contains a cafeteria and congregation spaces. The facility, covering a surface of around 11,000 m2 (7,500 of which used for research laboratories), accommodates approximately 3,000 people divided into multidisciplinary teams from private companies and public bodies. The ITC Lab will provide the Italcementi Group an excellent opportunity to develop contacts and network with international enterprises, such as French, American and, in the near future, also Indian research centers and university institutes, with which it has already set up close working relationships through the CTG Group Technical Center. The complex designed by Meier is—despite being stylistically completely separate from the Kilometro Rosso designed by Jean Nouvel—in perfect synch with the on-the-road philosophy which inspired the French architect. In many ways this design is quite different from the rest of the work by this American architect, who has been a wonderful continuer of Le Corbusier’s poetics of “when cathedrals were white”. Shaped like a “V”, the building plan powerfully projects its vectorial lines in tune with the barrier of the Kilometro Rosso which is designed to be a stylistic representation of an ideal red track, a “retinal” effect of striking force. On an eco-sustainability level, ITC Lab (an acronym for: Innovation and Technology Central Laboratory) is a “machine” generating most of the energy it uses from a set of well-tested systems, such as the photovoltaic panels, fitted on the roof, which produce electricity from solar radiation. It is also equipped with a number of solar panels to supply the heating demands of the building. A further contribution to energy-saving comes from the use of a geothermal device exploiting the solar energy accumulating in the ground and in the deepest layers of the soil.
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Studi di fattibilità e dettagli del plastico. Planimetricamente configurata a “V”, la pianta dell’edificio scandisce con forza la sua vettorialità. Feasibility studies and details of the project model. The V-shaped building base sets out its vector force with great power.
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TC Lab, a “heart of glass” in the body of the Kilometro Rosso, a Science & Technology Park along the Venice-Milan freeway. ITC Lab is built in TX Aria ® white cement, based on Italcementi’s patented TX Active ® photocatalytic principle. This material, applied to cement-based products, can reduce organic and inorganic pollutants that are present in the air. TX Active® has already been used by Richard Meier to build the Dives in Misericordia church in Rome in 2003. ITC Lab wants to be the Italcementi Group’s consistent response to environmental issues. The new building houses research laboratories, offices and a science library. The east wing also contains a cafeteria and congregation spaces. The facility, covering a surface of around 11,000 m2 (7,500 of which used for research laboratories), accommodates approximately 3,000 people divided into multidisciplinary teams from private companies and public bodies. The ITC Lab will provide the Italcementi Group an excellent opportunity to develop contacts and network with international enterprises, such as French, American and, in the near future, also Indian research centers and university institutes, with which it has already set up close working relationships through the CTG Group Technical Center. The complex designed by Meier is—despite being stylistically completely separate from the Kilometro Rosso designed by Jean Nouvel—in perfect synch with the on-the-road philosophy which inspired the French architect. In many ways this design is quite different from the rest of the work by this American architect, who has been a wonderful continuer of Le Corbusier’s poetics of “when cathedrals were white”. Shaped like a “V”, the building plan powerfully projects its vectorial lines in tune with the barrier of the Kilometro Rosso which is designed to be a stylistic representation of an ideal red track, a “retinal” effect of striking force. On an eco-sustainability level, ITC Lab (an acronym for: Innovation and Technology Central Laboratory) is a “machine” generating most of the energy it uses from a set of well-tested systems, such as the photovoltaic panels, fitted on the roof, which produce electricity from solar radiation. It is also equipped with a number of solar panels to supply the heating demands of the building. A further contribution to energy-saving comes from the use of a geothermal device exploiting the solar energy accumulating in the ground and in the deepest layers of the soil.
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ENERGIA ENERGY
L’atomo nella sua forma The Atom in Its Form Saclay, Commissione per l’energia atomica (CEA) Saclay, Atomic Energy Commission (CEA) Progetto di Claude Vasconi Project by Claude Vasconi
L
a nuova sede CEA sorge a Saclay, comune di circa tremila abitanti, situato nel dipartimento dell’Essonne, nella regione dell’Île-de-France. La CEA, attiva nei settori dell’energia, delle tecnologie informatiche e mediche, e della sicurezza e difesa nazionale, è presente su tutto il territorio francese con nove grandi centri di ricerca. Il complesso di Saclay è un polo scientifico e tecnologico di eccellenza tra i più importanti di Francia. Ospita numerosi laboratori di ricerca tra cui il centro di ricerche in neurodiagnostica NeuroSpin (Direzione delle Scienze del Vivente della CEA) progettato dallo stesso Claude Vasconi e inaugurato di recente. Linee semplici, volumetria elementare ma non priva di quell’eleganza formale presente in tutte le opere di Claude Vasconi. Sul piano compositivo, il complesso è suddiviso in due blocchi formanti un insieme modulato su un impianto planimetrico semicurvilineo. Probabilmente, nelle sue intenzioni progettuali, Vasconi intendeva comporre un puzzle formato di frammenti di grandi figure geometriche, idealmente sezionate e ricomposte secondo uno schema diverso dall’originario. Una sorta di microcittà della scienza, generata da un gioco di segmenti tangenti. Punto forte dell’intera composizione, la grande facciata vetrata, risolta con un’adeguata tecnologia in grado di
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Facciata nord e, pagina a fianco, particolare dell’intradosso di attraversamento che taglia longitudinalmente il complesso lasciando filtrare la luce naturale. North facade and, opposite page, detail of the intrados cutting through the complex, letting natural light flow inside.
ottenere un alto livello di trasparenza grazie all’uso limitato di strutture portanti reggenti il considerevole peso delle vetrate. Grazie alle ampie superfici trasparenti, il CEA risulta di minimo impatto sull’ambiente circostante. Il paesaggio entra negli ambienti e gli spazi interni interagiscono con l’intorno. Un intorno formato da zone verdi elegantemente piantumate con alberi ad alto fusto. La presenza del verde si percepisce ovunque attraverso una sapiente regia che ha il suo punto di forza nel patio alberato che caratterizza gli spazi al primo e al secondo piano dell’edificio che accoglie gli uffici. Si tratta dunque di un contesto fortemente orientato a restituire un’immagine di felice connubio fra natura ed energia nucleare. Energia considerata “amica” per alcuni e “nemica” per chi invece sostiene la potenziale pericolosità di possibili fuoriuscite di sostanze radioattive. In tal senso, ovvero per restringere al massimo la possibilità di disastri nucleari, si muove la ricerca all’interno della CEA. Vi sono, infatti, circa cinquecento ricercatori riuniti in una grande equipe pluridisciplinare per studiare strategie di ottimizzazione e interventi per rendere sicuro il funzionamento delle centrali nucleari. Ma a Saclay non ci si preoccupa solo di sicurezza ma anche di strategie per rendere sempre più competitiva la produzione di energia ricavata dalla fusione dell’atomo.
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ENERGIA ENERGY
L’atomo nella sua forma The Atom in Its Form Saclay, Commissione per l’energia atomica (CEA) Saclay, Atomic Energy Commission (CEA) Progetto di Claude Vasconi Project by Claude Vasconi
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a nuova sede CEA sorge a Saclay, comune di circa tremila abitanti, situato nel dipartimento dell’Essonne, nella regione dell’Île-de-France. La CEA, attiva nei settori dell’energia, delle tecnologie informatiche e mediche, e della sicurezza e difesa nazionale, è presente su tutto il territorio francese con nove grandi centri di ricerca. Il complesso di Saclay è un polo scientifico e tecnologico di eccellenza tra i più importanti di Francia. Ospita numerosi laboratori di ricerca tra cui il centro di ricerche in neurodiagnostica NeuroSpin (Direzione delle Scienze del Vivente della CEA) progettato dallo stesso Claude Vasconi e inaugurato di recente. Linee semplici, volumetria elementare ma non priva di quell’eleganza formale presente in tutte le opere di Claude Vasconi. Sul piano compositivo, il complesso è suddiviso in due blocchi formanti un insieme modulato su un impianto planimetrico semicurvilineo. Probabilmente, nelle sue intenzioni progettuali, Vasconi intendeva comporre un puzzle formato di frammenti di grandi figure geometriche, idealmente sezionate e ricomposte secondo uno schema diverso dall’originario. Una sorta di microcittà della scienza, generata da un gioco di segmenti tangenti. Punto forte dell’intera composizione, la grande facciata vetrata, risolta con un’adeguata tecnologia in grado di
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Facciata nord e, pagina a fianco, particolare dell’intradosso di attraversamento che taglia longitudinalmente il complesso lasciando filtrare la luce naturale. North facade and, opposite page, detail of the intrados cutting through the complex, letting natural light flow inside.
ottenere un alto livello di trasparenza grazie all’uso limitato di strutture portanti reggenti il considerevole peso delle vetrate. Grazie alle ampie superfici trasparenti, il CEA risulta di minimo impatto sull’ambiente circostante. Il paesaggio entra negli ambienti e gli spazi interni interagiscono con l’intorno. Un intorno formato da zone verdi elegantemente piantumate con alberi ad alto fusto. La presenza del verde si percepisce ovunque attraverso una sapiente regia che ha il suo punto di forza nel patio alberato che caratterizza gli spazi al primo e al secondo piano dell’edificio che accoglie gli uffici. Si tratta dunque di un contesto fortemente orientato a restituire un’immagine di felice connubio fra natura ed energia nucleare. Energia considerata “amica” per alcuni e “nemica” per chi invece sostiene la potenziale pericolosità di possibili fuoriuscite di sostanze radioattive. In tal senso, ovvero per restringere al massimo la possibilità di disastri nucleari, si muove la ricerca all’interno della CEA. Vi sono, infatti, circa cinquecento ricercatori riuniti in una grande equipe pluridisciplinare per studiare strategie di ottimizzazione e interventi per rendere sicuro il funzionamento delle centrali nucleari. Ma a Saclay non ci si preoccupa solo di sicurezza ma anche di strategie per rendere sempre più competitiva la produzione di energia ricavata dalla fusione dell’atomo.
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T 62
he new CEA headquarters are located in Saclay, a town with a population of about three thousand in the Essonne department in the Ile-de-France region. The CEA is active in three main fields—energy, information and health technologies, defense and national security—and is based in nine research centers in France. The complex in Saclay is one of the most important cutting-edge science and technology centers in France. It hosts a number of research facilities, among which the NeuroSpin neuro-imaging research center (CEA’s Life Science Division) again designed by Claude Vasconi and inaugurated recently. All Claude Vasconi’s works have simple lines and a very basic structural form with its own distinctive stylistic elegance. Stylistically speaking, the center is divided into two blocks forming a whole, built on a semi-curved base plan. Vasconi’s underlying design idea was probably to create a puzzle composed of fragments of large geometric figures, ideally sectioned and put back together based on a different scheme than the original plan. A sort of micro-city of science generated from an interplay of tangential segments. The strong part of the entire composition is the large glass facade designed using the kind of technology required to create a high level of transparency, thanks
to the limited use of bearing structures to support the considerable weight of the glass windows. Thanks to the wide transparent glass surfaces, the CEA has very little visual impact on the outside area. The landscape actually enters inside the premises, and the interiors interact with their surroundings which are elegantly designed with carefully planted tall-trunked trees. The presence of greenery clearly emerges through the clever design, whose most distinctive feature is the tree-lined patio characterizing the spaces on the first and second floors of the office block. The setting is very skillfully geared to create an image of a happy combination of nature and nuclear energy. Energy, which is a “friend” to some and an “enemy” to those worried about the potential dangers of radioactive substances escaping. The research work being carried out inside the CEA is partly focused on attempting to limit the possibility of nuclear disasters to a minimum. There are actually approximately five-hundred researchers working in one single multidisciplinary team studying strategies to optimize industrial production and make nuclear power centers as safe as possible. But security is not the only concern at Saclay, where attention is also being focused on developing strategies to make energy generated from atomic fusion increasingly competitive.
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In queste pagine, piante e veduta zenitale del modello di progetto. These pages, plans and aerial view of the model.
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he new CEA headquarters are located in Saclay, a town with a population of about three thousand in the Essonne department in the Ile-de-France region. The CEA is active in three main fields—energy, information and health technologies, defense and national security—and is based in nine research centers in France. The complex in Saclay is one of the most important cutting-edge science and technology centers in France. It hosts a number of research facilities, among which the NeuroSpin neuro-imaging research center (CEA’s Life Science Division) again designed by Claude Vasconi and inaugurated recently. All Claude Vasconi’s works have simple lines and a very basic structural form with its own distinctive stylistic elegance. Stylistically speaking, the center is divided into two blocks forming a whole, built on a semi-curved base plan. Vasconi’s underlying design idea was probably to create a puzzle composed of fragments of large geometric figures, ideally sectioned and put back together based on a different scheme than the original plan. A sort of micro-city of science generated from an interplay of tangential segments. The strong part of the entire composition is the large glass facade designed using the kind of technology required to create a high level of transparency, thanks
to the limited use of bearing structures to support the considerable weight of the glass windows. Thanks to the wide transparent glass surfaces, the CEA has very little visual impact on the outside area. The landscape actually enters inside the premises, and the interiors interact with their surroundings which are elegantly designed with carefully planted tall-trunked trees. The presence of greenery clearly emerges through the clever design, whose most distinctive feature is the tree-lined patio characterizing the spaces on the first and second floors of the office block. The setting is very skillfully geared to create an image of a happy combination of nature and nuclear energy. Energy, which is a “friend” to some and an “enemy” to those worried about the potential dangers of radioactive substances escaping. The research work being carried out inside the CEA is partly focused on attempting to limit the possibility of nuclear disasters to a minimum. There are actually approximately five-hundred researchers working in one single multidisciplinary team studying strategies to optimize industrial production and make nuclear power centers as safe as possible. But security is not the only concern at Saclay, where attention is also being focused on developing strategies to make energy generated from atomic fusion increasingly competitive.
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In queste pagine, piante e veduta zenitale del modello di progetto. These pages, plans and aerial view of the model.
Il complesso in rapporto con un intorno non urbano. The complex in its non-urban settings.
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Atrio d’ingresso che porta ai vari uffici. Entrance lobby leading to the various offices.
Il complesso in rapporto con un intorno non urbano. The complex in its non-urban settings.
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Atrio d’ingresso che porta ai vari uffici. Entrance lobby leading to the various offices.
ENERGIA ENERGY
“Non finito” eco-efficiente Eco-Efficient “Unfinished” Work Pechino, SIEEB – Centro di ricerca italo-cinese per la tutela dell’ambiente e la conservazione dell’energia Beijing, SIEEB – Sino-Italian Ecological and Energy efficient Building Progetto di Mario Cucinella Architects Project by Mario Cucinella Architects
S
ostenibilità, consumi sotto controllo ed energie rinnovabili sono parte integrante delle problematiche dell’architettura contemporanea. Non bisogna però sottostimare il pericolo dell’omologazione. In altre parole: se da una parte il basso consumo energetico stabilisce prassi progettuali comuni, dall’altra è necessario salvaguardare l’elemento creativo che distingue l’opera architettonica dalla banalizzazione del manufatto edilizio. Il SIEEB dimostra che bisogna osare, puntare non sul compromesso, ma sull’innovazione tecnologica e su nuovi percorsi di linguaggio. Il “non finito” è una modalità frequente nell’arte, ma poco praticata nell’architettura. Il suo misterioso fascino sta nella forma “aperta”, ovvero nel prevedere più opzioni e soprattutto fare interagire chi osserva l’opera affinché possa immaginare possibili soluzioni secondo la propria sensibilità e cultura. Il SIEEB è un “non finito” che attinge all’immaginario del cantiere attraverso un’inedita lettura delle possibilità espressive del ponteggio. È interessante osservare come Mario Cucinella sia arrivato a ricreare l’effetto ponteggio integrando perfettamente forma e funzione. Ovvero lavorando sull’uso appropriato della tecnologia fotovoltaica. Le griglie orizzontali che ricreano l’atmosfera del cantiere sono anche supporto per i pannelli fotovoltaici. L’edificio sorge all’interno del campus universitario della Tsinghua University di Pechino ed è frutto di un pro-
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Particolare della facciata che esibisce l’accoppiamento fra diversi materiali. Pagina a fianco, particolare dei pannelli fotovoltaici integrati nel sistema frangisole. Detail of the facade showing the combination of different materials. Opposite page, detail of the photovoltaic panels incorporated in the sunscreen system.
gramma attuato con la cooperazione tra Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e il Ministero cinese della Scienza e della Tecnologia nell’ambito degli accordi di Kyoto per la riduzione delle emissioni di CO2 e di un articolato programma sui problemi dell’ambiente. Un’opera, il SIEEB, che potremmo definire “collettiva” poiché se il progetto architettonico è pienamente attribuibile a Mario Cucinella Architects, gli aspetti scientifici sono stati curati dal Politecnico di Milano. Il complesso, una vera e propria macchina pensata per offrire il massimo di prestazioni con il minimo costo energetico, vive, anzi, vegeta grazie a un metabolismo assimilabile a un vegetale: si comporta, infatti, come una foglia che utilizza e trasforma la luce solare in energia elettrica. Ciò grazie soprattutto alla presenza di grandi giardini pensili esposti a sud e agli oltre 1.000 metri quadrati di pannelli fotovoltaici, in grado di produrre la maggiore quantità di energia richiesta. Il SIEEB è uno dei primi edifici cosiddetti “eco-efficienti” finora realizzati in Cina e rappresenta un’inversione di tendenza in un paese i cui consumi di energia sono destinati ad aumentare significativamente, considerato che la Cina ha una previsione di crescita pari al doppio di quella attuale entro il 2015. Dunque un’operazione che apre la strada verso una architettura più consapevole del suo ruolo di punto sensibile nell’economia energetica del pianeta.
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ENERGIA ENERGY
“Non finito” eco-efficiente Eco-Efficient “Unfinished” Work Pechino, SIEEB – Centro di ricerca italo-cinese per la tutela dell’ambiente e la conservazione dell’energia Beijing, SIEEB – Sino-Italian Ecological and Energy efficient Building Progetto di Mario Cucinella Architects Project by Mario Cucinella Architects
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ostenibilità, consumi sotto controllo ed energie rinnovabili sono parte integrante delle problematiche dell’architettura contemporanea. Non bisogna però sottostimare il pericolo dell’omologazione. In altre parole: se da una parte il basso consumo energetico stabilisce prassi progettuali comuni, dall’altra è necessario salvaguardare l’elemento creativo che distingue l’opera architettonica dalla banalizzazione del manufatto edilizio. Il SIEEB dimostra che bisogna osare, puntare non sul compromesso, ma sull’innovazione tecnologica e su nuovi percorsi di linguaggio. Il “non finito” è una modalità frequente nell’arte, ma poco praticata nell’architettura. Il suo misterioso fascino sta nella forma “aperta”, ovvero nel prevedere più opzioni e soprattutto fare interagire chi osserva l’opera affinché possa immaginare possibili soluzioni secondo la propria sensibilità e cultura. Il SIEEB è un “non finito” che attinge all’immaginario del cantiere attraverso un’inedita lettura delle possibilità espressive del ponteggio. È interessante osservare come Mario Cucinella sia arrivato a ricreare l’effetto ponteggio integrando perfettamente forma e funzione. Ovvero lavorando sull’uso appropriato della tecnologia fotovoltaica. Le griglie orizzontali che ricreano l’atmosfera del cantiere sono anche supporto per i pannelli fotovoltaici. L’edificio sorge all’interno del campus universitario della Tsinghua University di Pechino ed è frutto di un pro-
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Particolare della facciata che esibisce l’accoppiamento fra diversi materiali. Pagina a fianco, particolare dei pannelli fotovoltaici integrati nel sistema frangisole. Detail of the facade showing the combination of different materials. Opposite page, detail of the photovoltaic panels incorporated in the sunscreen system.
gramma attuato con la cooperazione tra Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e il Ministero cinese della Scienza e della Tecnologia nell’ambito degli accordi di Kyoto per la riduzione delle emissioni di CO2 e di un articolato programma sui problemi dell’ambiente. Un’opera, il SIEEB, che potremmo definire “collettiva” poiché se il progetto architettonico è pienamente attribuibile a Mario Cucinella Architects, gli aspetti scientifici sono stati curati dal Politecnico di Milano. Il complesso, una vera e propria macchina pensata per offrire il massimo di prestazioni con il minimo costo energetico, vive, anzi, vegeta grazie a un metabolismo assimilabile a un vegetale: si comporta, infatti, come una foglia che utilizza e trasforma la luce solare in energia elettrica. Ciò grazie soprattutto alla presenza di grandi giardini pensili esposti a sud e agli oltre 1.000 metri quadrati di pannelli fotovoltaici, in grado di produrre la maggiore quantità di energia richiesta. Il SIEEB è uno dei primi edifici cosiddetti “eco-efficienti” finora realizzati in Cina e rappresenta un’inversione di tendenza in un paese i cui consumi di energia sono destinati ad aumentare significativamente, considerato che la Cina ha una previsione di crescita pari al doppio di quella attuale entro il 2015. Dunque un’operazione che apre la strada verso una architettura più consapevole del suo ruolo di punto sensibile nell’economia energetica del pianeta.
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Pianta del complesso e, pagina a fianco, veduta di scorcio dell’edificio. La particolare configurazione delle parti accessorie rende l’edificio in perenne stato di cantiere, creando così un’architettura inusuale e linguisticamente innovativa. Site plan and, opposite page, partial view of the building. The peculiar arrangement of the accessory elements makes the building look like a permanent construction site, thus creating an unusual and linguistically innovative work of architecture.
ustainability, controlled consumption and renewable energy are an integral part of the main issues in modern-day architecture. Nevertheless, the danger of standardization should not be underestimated. In other words: while, on one hand, low energy consumption results in shared design procedures, on the other we need to hold on to creativity, which distinguishes a work of architecture from a bland building. SIEEB shows that you need to be bold, focusing on technological innovation and new languages rather than just settling for compromise. “Unfinished” work is common in art, but little used in architecture. Its mysterious charm lies in its “open” form or, in other words, in the way it caters for a number of options and, above all, makes onlookers interact with the work, so that they can imagine different solutions according to their own sensibility and culture. SIEEB is an “unfinished” construction, which draws on building-site connotations through an unusual approach to the stylistic possibilities of scaffolding. It is interesting to note how Mario Cucinella has managed to re-create the scaffolding effect by perfectly integrating form and function. This has been achieved by focusing on the proper use of photovoltaic technology. The horizontal grids re-creating a building site atmosphere also help support the photovoltaic panels. The building stands on the campus of Tsinghua University in Beijing and is the result of a project carried out in conjunction with the Italian Ministry for the Environment and Territory and the Chinese Ministry of Science and Technology, as part of the Kyoto agreements to reduce CO2 emissions and an elaborate program drawn up to tackle environmental issues. The SIEEB project is what we might call a “joint-venture”, since, although the architectural design is entirely the work of Mario Cucinella Architects, the scientific aspects have been handled by Milan Polytechnic. The complex, an authentic machine designed to offer maximum performance at a minimum cost in terms of energy consumption, lives (or rather vegetates) thanks to its plant-like metabolism: it actually behaves like a leaf, using and turning sunlight into electricity. This is mainly thanks to the presence of large hanging gardens exposed to the south and to over 1,000 m2 of photovoltaic panels, capable of generating as much energy as is required. SIEEB is one of the first so-called “ecoefficient” buildings to be constructed in China and represents a reversal of trend in a country whose energy consumption is expected to grow significantly, since China plans to grow at twice its current rate by the year 2015. This means that this project opens up the way toward a type of architecture which is more aware of its cutting-edge role in the world’s energy economy.
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Pianta del complesso e, pagina a fianco, veduta di scorcio dell’edificio. La particolare configurazione delle parti accessorie rende l’edificio in perenne stato di cantiere, creando così un’architettura inusuale e linguisticamente innovativa. Site plan and, opposite page, partial view of the building. The peculiar arrangement of the accessory elements makes the building look like a permanent construction site, thus creating an unusual and linguistically innovative work of architecture.
ustainability, controlled consumption and renewable energy are an integral part of the main issues in modern-day architecture. Nevertheless, the danger of standardization should not be underestimated. In other words: while, on one hand, low energy consumption results in shared design procedures, on the other we need to hold on to creativity, which distinguishes a work of architecture from a bland building. SIEEB shows that you need to be bold, focusing on technological innovation and new languages rather than just settling for compromise. “Unfinished” work is common in art, but little used in architecture. Its mysterious charm lies in its “open” form or, in other words, in the way it caters for a number of options and, above all, makes onlookers interact with the work, so that they can imagine different solutions according to their own sensibility and culture. SIEEB is an “unfinished” construction, which draws on building-site connotations through an unusual approach to the stylistic possibilities of scaffolding. It is interesting to note how Mario Cucinella has managed to re-create the scaffolding effect by perfectly integrating form and function. This has been achieved by focusing on the proper use of photovoltaic technology. The horizontal grids re-creating a building site atmosphere also help support the photovoltaic panels. The building stands on the campus of Tsinghua University in Beijing and is the result of a project carried out in conjunction with the Italian Ministry for the Environment and Territory and the Chinese Ministry of Science and Technology, as part of the Kyoto agreements to reduce CO2 emissions and an elaborate program drawn up to tackle environmental issues. The SIEEB project is what we might call a “joint-venture”, since, although the architectural design is entirely the work of Mario Cucinella Architects, the scientific aspects have been handled by Milan Polytechnic. The complex, an authentic machine designed to offer maximum performance at a minimum cost in terms of energy consumption, lives (or rather vegetates) thanks to its plant-like metabolism: it actually behaves like a leaf, using and turning sunlight into electricity. This is mainly thanks to the presence of large hanging gardens exposed to the south and to over 1,000 m2 of photovoltaic panels, capable of generating as much energy as is required. SIEEB is one of the first so-called “ecoefficient” buildings to be constructed in China and represents a reversal of trend in a country whose energy consumption is expected to grow significantly, since China plans to grow at twice its current rate by the year 2015. This means that this project opens up the way toward a type of architecture which is more aware of its cutting-edge role in the world’s energy economy.
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Sezione generale e, in basso, schema degli impianti usati per ottenere particolari prestazioni di risparmio energetico. Pagina a fianco, alcuni schemi per il miglior controllo dei raggi solari e dettaglio costruttivo della facciata vetrata. Main section and, bottom, a scheme of the energy-saving devices. Opposite page, screens for a better sunlight control and construction detail of the glass facade.
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Sezione generale e, in basso, schema degli impianti usati per ottenere particolari prestazioni di risparmio energetico. Pagina a fianco, alcuni schemi per il miglior controllo dei raggi solari e dettaglio costruttivo della facciata vetrata. Main section and, bottom, a scheme of the energy-saving devices. Opposite page, screens for a better sunlight control and construction detail of the glass facade.
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In queste pagine, il complesso relazionato con il contesto urbano. These pages, the complex in its urban context.
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In queste pagine, il complesso relazionato con il contesto urbano. These pages, the complex in its urban context.
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ENERGIA ENERGY
Rullaggio in progress Taxiing in progress Bangkok, aeroporto internazionale Suvarnabhumi Bangkok, Suvarnabhumi International Airport Progetto di Murphy/Jahn Project by Murphy/Jahn
I
l progetto di un grande aeroporto, con tutta la complessità che ne sottende la funzione, potrebbe mettere in crisi la componente creativa insita nell’architettura? Nel caso dell’aeroporto internazionale Suvarnabhumi l’interrogativo è più che mai legittimo. Si trattava, infatti, di organizzare una sorta di città in grado di accogliere, a pieno regime, un flusso di circa cento milioni di passeggeri per anno. Una moltitudine stratosferica di persone cui si devono assicurare servizi adeguati, benessere ambientale, facilità di movimento e quant’altro può offrire una struttura dedicata ai grandi viaggi intercontinentali. Il problema si pone sul rapporto fra qualità estetica, funzionalità e, naturalmente, investimento economico. Non va inoltre dimenticato che infrastrutture così mastodontiche presuppongono programmi realizzativi distribuiti in tempi diversi, a volte decine di anni. L’aeroporto di Bangkok inizia la sua gestazione nei primi anni Settanta del secolo scorso con l’acquisto dell’area. L’apertura del cantiere risale al 2002. La prima fase si conclude nel 2006. Un grande aeroporto è una specie di fabbrica infinita, un’impresa in progress con continue addizioni destinate ad accogliere più passeggeri e migliorare i servizi. Situato a circa 30 chilometri dalla capitale tailandese, il Suvarnabhumi sorge su un’area denominata “Palude del Cobra” e occupa una superficie di circa 324 chilometri quadrati. Suvarnabhumi, nome di buon auspicio scelto da Sua Maestà Bhumipol Adulyadej re della Thailandia, vuol
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Sezione e piante del piano partenze. Pagina a fianco, l’interno del terminal con vetrate alte circa 35 m per garantire un volume in grado di produrre un microclima controllato naturalmente. Section and plans of the departures level. Opposite page, the inside of the terminal showing the approximately 35 meter-high glass partitions designed to ensure the micro-climate can be controlled naturally.
dire “Terra d’Oro” con riferimento a un’età dell’oro di pace e prosperità che fa parte della tradizione storica e culturale del paese. La soluzione progettuale scelta da Murphy/Jahn ha puntato sulla massima efficienza energetica (attraverso una copertura a tre strati che permette ventilazione e raffreddamento naturali) e su forme archetipiche di alcune costruzioni locali come la pergola. Insomma, quasi un omaggio al baldacchino regale rivisto in chiave tecnologica attraverso l’uso del metallo e del vetro. In sintesi, si tratta di strutture sostanzialmente composte di travi reticolari di varia forma e grandezza che sorreggono membrane tese. Il tutto completato con elementi in vetro e acciaio. In tale contesto, fra il tecnologico e il tradizionale, non poteva mancare l’introduzione del colore locale. Scelta evidentemente irrinunciabile per un paese che fonda sul turismo di massa gran parte del suo fatturato. Palme, statue votive e decorazioni etniche contribuiscono a consolidare un inconfondibile genius loci asiatico. L’aeroporto è per sua natura luogo visto anche dall’aereo in volo. La sua configurazione planimetrica è quindi in buona percentuale la componente identitaria che lo distingue. Tra i segni di maggior impatto: la doppia croce dei percorsi coperti, la geometrica teoria di spicchi delle coperture e la fitta trama di travi reticolari, leggere ma resistentissime come le canne di bambù.
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Rullaggio in progress Taxiing in progress Bangkok, aeroporto internazionale Suvarnabhumi Bangkok, Suvarnabhumi International Airport Progetto di Murphy/Jahn Project by Murphy/Jahn
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l progetto di un grande aeroporto, con tutta la complessità che ne sottende la funzione, potrebbe mettere in crisi la componente creativa insita nell’architettura? Nel caso dell’aeroporto internazionale Suvarnabhumi l’interrogativo è più che mai legittimo. Si trattava, infatti, di organizzare una sorta di città in grado di accogliere, a pieno regime, un flusso di circa cento milioni di passeggeri per anno. Una moltitudine stratosferica di persone cui si devono assicurare servizi adeguati, benessere ambientale, facilità di movimento e quant’altro può offrire una struttura dedicata ai grandi viaggi intercontinentali. Il problema si pone sul rapporto fra qualità estetica, funzionalità e, naturalmente, investimento economico. Non va inoltre dimenticato che infrastrutture così mastodontiche presuppongono programmi realizzativi distribuiti in tempi diversi, a volte decine di anni. L’aeroporto di Bangkok inizia la sua gestazione nei primi anni Settanta del secolo scorso con l’acquisto dell’area. L’apertura del cantiere risale al 2002. La prima fase si conclude nel 2006. Un grande aeroporto è una specie di fabbrica infinita, un’impresa in progress con continue addizioni destinate ad accogliere più passeggeri e migliorare i servizi. Situato a circa 30 chilometri dalla capitale tailandese, il Suvarnabhumi sorge su un’area denominata “Palude del Cobra” e occupa una superficie di circa 324 chilometri quadrati. Suvarnabhumi, nome di buon auspicio scelto da Sua Maestà Bhumipol Adulyadej re della Thailandia, vuol
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Sezione e piante del piano partenze. Pagina a fianco, l’interno del terminal con vetrate alte circa 35 m per garantire un volume in grado di produrre un microclima controllato naturalmente. Section and plans of the departures level. Opposite page, the inside of the terminal showing the approximately 35 meter-high glass partitions designed to ensure the micro-climate can be controlled naturally.
dire “Terra d’Oro” con riferimento a un’età dell’oro di pace e prosperità che fa parte della tradizione storica e culturale del paese. La soluzione progettuale scelta da Murphy/Jahn ha puntato sulla massima efficienza energetica (attraverso una copertura a tre strati che permette ventilazione e raffreddamento naturali) e su forme archetipiche di alcune costruzioni locali come la pergola. Insomma, quasi un omaggio al baldacchino regale rivisto in chiave tecnologica attraverso l’uso del metallo e del vetro. In sintesi, si tratta di strutture sostanzialmente composte di travi reticolari di varia forma e grandezza che sorreggono membrane tese. Il tutto completato con elementi in vetro e acciaio. In tale contesto, fra il tecnologico e il tradizionale, non poteva mancare l’introduzione del colore locale. Scelta evidentemente irrinunciabile per un paese che fonda sul turismo di massa gran parte del suo fatturato. Palme, statue votive e decorazioni etniche contribuiscono a consolidare un inconfondibile genius loci asiatico. L’aeroporto è per sua natura luogo visto anche dall’aereo in volo. La sua configurazione planimetrica è quindi in buona percentuale la componente identitaria che lo distingue. Tra i segni di maggior impatto: la doppia croce dei percorsi coperti, la geometrica teoria di spicchi delle coperture e la fitta trama di travi reticolari, leggere ma resistentissime come le canne di bambù.
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Veduta a volo d’uccello dell’aeroporto che, a pieno regime, accoglie un movimento annuo di circa 45 milioni di passeggeri. Bird’s-eye view of the airport which, when fully operational, accommodates about 45 million passengers per year.
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C
ould a project for a major airport, with all the complexity that this kind of facility entails, call into question the creative side of architecture? In the case of Suvarnabhumi International Airport, this is a more than legitimate question. The idea was, in fact, to organize a sort of city capable, when fully operational, of handling a flow of approximately 100 million passengers a year. A stratospheric multitude of people who must be provided with the services they require, a pleasant environment, ease of movement and everything else expected of a facility designed to cater for intercontinental travel. The issue hinges on how aesthetic quality, functionality and, of course, financial investments are brought together. Moreover, it must not be forgotten that such massive infrastructures call for development and implementation programs spread over periods of up to even decades. The project for Bangkok airport began to take shape in the early 1970s, when the site was purchased. Building work first began in 2002. The first phase was completed in 2006. So a major airport is an endless building project, an enterprise in progress featuring constant additions designed to accommodate more and more passengers and improve the services it provides. Situated approximately 30 km from the Thai capital, Suvarnabhumi is built on a piece of marshland known as “Cobra Swamp” and extends over approximately 324 km2. His Majesty King Bhumipol Adulyadej chose a name supposed to bring good luck, Suvarnabhumi, which means “Land of Gold” and is reminiscent of a golden era of peace and prosperity that’s part of the cultural and historical legacy of Thailand. Murphy/Jahn’s design focused on maximum energy efficiency (through a triple-layered roof allowing natural ventilation and cooling) and archetypical forms borrowed from certain local constructions such as the pergola. In other words, almost a tribute to the royal baldachin re-worked in a technological key through the use of metal and glass. In brief, the structures are basically composed of reticular beams of various shapes and sizes which support tensile membranes. The entire construction is completed by steel and glass elements. Local color was inevitably introduced into this combination of technology and tradition. Rather inevitable in a nation whose main income is mass tourism. Palm trees, devotional statues and ethnic decorations all combine to reinforce the unmistakable Asian genius loci. An airport is, by its very nature, also somewhere seen from inside a plane. This means a good percentage of its distinctive identity comes from the design of its site plan. Its most striking features include: the double cross of its covered pathways, the geometric pattern of segments forming the roofs and the tightly knit web of lightweight but highly resistant reticular beams like bamboo canes.
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Veduta a volo d’uccello dell’aeroporto che, a pieno regime, accoglie un movimento annuo di circa 45 milioni di passeggeri. Bird’s-eye view of the airport which, when fully operational, accommodates about 45 million passengers per year.
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ould a project for a major airport, with all the complexity that this kind of facility entails, call into question the creative side of architecture? In the case of Suvarnabhumi International Airport, this is a more than legitimate question. The idea was, in fact, to organize a sort of city capable, when fully operational, of handling a flow of approximately 100 million passengers a year. A stratospheric multitude of people who must be provided with the services they require, a pleasant environment, ease of movement and everything else expected of a facility designed to cater for intercontinental travel. The issue hinges on how aesthetic quality, functionality and, of course, financial investments are brought together. Moreover, it must not be forgotten that such massive infrastructures call for development and implementation programs spread over periods of up to even decades. The project for Bangkok airport began to take shape in the early 1970s, when the site was purchased. Building work first began in 2002. The first phase was completed in 2006. So a major airport is an endless building project, an enterprise in progress featuring constant additions designed to accommodate more and more passengers and improve the services it provides. Situated approximately 30 km from the Thai capital, Suvarnabhumi is built on a piece of marshland known as “Cobra Swamp” and extends over approximately 324 km2. His Majesty King Bhumipol Adulyadej chose a name supposed to bring good luck, Suvarnabhumi, which means “Land of Gold” and is reminiscent of a golden era of peace and prosperity that’s part of the cultural and historical legacy of Thailand. Murphy/Jahn’s design focused on maximum energy efficiency (through a triple-layered roof allowing natural ventilation and cooling) and archetypical forms borrowed from certain local constructions such as the pergola. In other words, almost a tribute to the royal baldachin re-worked in a technological key through the use of metal and glass. In brief, the structures are basically composed of reticular beams of various shapes and sizes which support tensile membranes. The entire construction is completed by steel and glass elements. Local color was inevitably introduced into this combination of technology and tradition. Rather inevitable in a nation whose main income is mass tourism. Palm trees, devotional statues and ethnic decorations all combine to reinforce the unmistakable Asian genius loci. An airport is, by its very nature, also somewhere seen from inside a plane. This means a good percentage of its distinctive identity comes from the design of its site plan. Its most striking features include: the double cross of its covered pathways, the geometric pattern of segments forming the roofs and the tightly knit web of lightweight but highly resistant reticular beams like bamboo canes.
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In queste pagine, alcuni dettagli e, nella foto grande, il cortile interno configurato come un giardino pubblico. These pages, details. Main photo, the internal courtyard laid out like a public garden.
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In queste pagine, alcuni dettagli e, nella foto grande, il cortile interno configurato come un giardino pubblico. These pages, details. Main photo, the internal courtyard laid out like a public garden.
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L’uso di travi reticolari evidenzia l’obiettivo di creare una grande infrastruttura con il minimo impatto sul territorio.
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The use of reticular beams highlights the aim of creating a giant infrastructure with minimum impact on the surrounding environment.
Il sistema strutturale a travi reticolari assicura grande soliditĂ e suggestive immagini create dalla luce prodotta durante le ore notturne.
The structural system of reticular beams ensures real solidity and striking night-time light images.
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L’uso di travi reticolari evidenzia l’obiettivo di creare una grande infrastruttura con il minimo impatto sul territorio.
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The use of reticular beams highlights the aim of creating a giant infrastructure with minimum impact on the surrounding environment.
Il sistema strutturale a travi reticolari assicura grande soliditĂ e suggestive immagini create dalla luce prodotta durante le ore notturne.
The structural system of reticular beams ensures real solidity and striking night-time light images.
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ENERGIA ENERGY
Sole a geometria variabile The Sun in Varying Forms Bussolengo, nuova sede Pellini Bussolengo, new Pellini headquarters Progetto di Barbi Arca Studio Project by Barbi Arca Studio
B
ussolengo, cittadina in provincia di Verona, fa parte di quel territorio che, negli ultimi decenni, ha conosciuto un notevole sviluppo industriale. Territorio di fabbriche e “fabbrichette”, alcune anche a conduzione familiare, passata la prima fase dei capannoni tirati su badando alla minima spesa in cambio della massima mancanza di qualità architettonica, ora pensa di migliorare la situazione attraverso una decisa inversione di tendenza. Una committenza di terza o quarta generazione, figli e nipoti di artigiani trasformati nel tempo in piccoli e medi industriali, ora punta sulla modernità, individuando nella qualità architettonica il primario simbolo del successo commerciale acquisito. Pellini Caffè, azienda nata negli anni Venti e che “macina” un fatturato di circa cinquantasette milioni di euro l’anno, ha realizzato un edificio fuori dagli schemi, individuando nella forma ondivaga della facciata una sottile allusione alle profumate volute sprigionate da una tazzina di buon caffè. Dunque, una sorta di traslato simbolico dal prodotto alla forma architettonica, un gioco di forme dove il brand diviene l’elemento ordinatore dell’immagine aziendale e di ogni operazione dove sia fondamentale evocare un segno identitario che diffonda un’idea di qualità globale. La macrodimensione del frangisole oltre ad assicurare
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Il complesso accoglie impianti produttivi e uffici direzionali della Pellini Caffè. Pagina a fianco, scorcio della facciata con il sistema frangisole. The complex holds Pellini Caffè’s production plants and management offices. Opposite page, partial view of the facade showing the sunscreen system.
adeguata protezione dall’irraggiamento solare, una forma di risparmio passivo che limita consumi energetici legati al condizionamento dei locali, ha un forte impatto sull’intorno, un segno certamente destinato nel tempo a suggerire nuove strade agli altri potenziali committenti di complessi aziendali. La hall d’ingresso stupisce per la doppia altezza, uno spazio di ampio respiro simile a un moderno centro congressi: uno spazio pensato anche come luogo di eventi per la comunicazione del prodotto caffè. Strutturato in due blocchi principali, l’edificio accoglie due poli funzionali formati da una struttura compatta destinata ai servizi e uffici amministrativi e da un volume più articolato in cui sono sistemate funzioni specificatamente produttive. L’articolato schema planimetrico, grazie alla presenza del sistema frangisole che unifica il tutto in un unico linguaggio, si presenta meno confuso in alzato, guadagnandone così in compattezza volumetrica. Tale sistema, dotato di inclinazione variabile attraverso un motore elettrico, può cambiare di assetto. La variabilità di apertura presenta più configurazioni che danno all’insieme effetti sempre diversificati, sia di riflessione sia di proiezione della luce degli ambienti verso l’esterno. Insomma, prospetti a geometria variabile per una architettura che vuole essere segno di quel dinamismo che caratterizza il nostro tempo.
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ENERGIA ENERGY
Sole a geometria variabile The Sun in Varying Forms Bussolengo, nuova sede Pellini Bussolengo, new Pellini headquarters Progetto di Barbi Arca Studio Project by Barbi Arca Studio
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ussolengo, cittadina in provincia di Verona, fa parte di quel territorio che, negli ultimi decenni, ha conosciuto un notevole sviluppo industriale. Territorio di fabbriche e “fabbrichette”, alcune anche a conduzione familiare, passata la prima fase dei capannoni tirati su badando alla minima spesa in cambio della massima mancanza di qualità architettonica, ora pensa di migliorare la situazione attraverso una decisa inversione di tendenza. Una committenza di terza o quarta generazione, figli e nipoti di artigiani trasformati nel tempo in piccoli e medi industriali, ora punta sulla modernità, individuando nella qualità architettonica il primario simbolo del successo commerciale acquisito. Pellini Caffè, azienda nata negli anni Venti e che “macina” un fatturato di circa cinquantasette milioni di euro l’anno, ha realizzato un edificio fuori dagli schemi, individuando nella forma ondivaga della facciata una sottile allusione alle profumate volute sprigionate da una tazzina di buon caffè. Dunque, una sorta di traslato simbolico dal prodotto alla forma architettonica, un gioco di forme dove il brand diviene l’elemento ordinatore dell’immagine aziendale e di ogni operazione dove sia fondamentale evocare un segno identitario che diffonda un’idea di qualità globale. La macrodimensione del frangisole oltre ad assicurare
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Il complesso accoglie impianti produttivi e uffici direzionali della Pellini Caffè. Pagina a fianco, scorcio della facciata con il sistema frangisole. The complex holds Pellini Caffè’s production plants and management offices. Opposite page, partial view of the facade showing the sunscreen system.
adeguata protezione dall’irraggiamento solare, una forma di risparmio passivo che limita consumi energetici legati al condizionamento dei locali, ha un forte impatto sull’intorno, un segno certamente destinato nel tempo a suggerire nuove strade agli altri potenziali committenti di complessi aziendali. La hall d’ingresso stupisce per la doppia altezza, uno spazio di ampio respiro simile a un moderno centro congressi: uno spazio pensato anche come luogo di eventi per la comunicazione del prodotto caffè. Strutturato in due blocchi principali, l’edificio accoglie due poli funzionali formati da una struttura compatta destinata ai servizi e uffici amministrativi e da un volume più articolato in cui sono sistemate funzioni specificatamente produttive. L’articolato schema planimetrico, grazie alla presenza del sistema frangisole che unifica il tutto in un unico linguaggio, si presenta meno confuso in alzato, guadagnandone così in compattezza volumetrica. Tale sistema, dotato di inclinazione variabile attraverso un motore elettrico, può cambiare di assetto. La variabilità di apertura presenta più configurazioni che danno all’insieme effetti sempre diversificati, sia di riflessione sia di proiezione della luce degli ambienti verso l’esterno. Insomma, prospetti a geometria variabile per una architettura che vuole essere segno di quel dinamismo che caratterizza il nostro tempo.
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In queste pagine, assonometrie, dettagli costruttivi e veduta di scorcio del complesso. These pages, axonometries, construction details and partial view of the complex.
B 86
ussolengo, a small town in the province of Verona, is part of an area, which has undergone notable industrial growth over the last few decades. An area full of factories and small workshops, even some family-run businesses, that has currently abandoned the idea of building warehouses as cheaply as possible to the detriment of architectural quality and is planning to improve the situation by completely inverting the trend. Third or fourth generation clients, the children and grandchildren of craftsmen who have gradually turned themselves into small or medium size industrialists are now keen to focus on modernity, finding in architectural design an effective means of symbolizing the business success they have attained. Pellini Caffé, a company first established in the 1920s which now “grinds out” a turnover of approximately 57 million euro a year, has constructed an unconventional building, whose wave-shaped facade design is a subtle allusion to the delicious aroma of a good cup of coffee. This is a sort of metaphorical translation of the product into an architectural form, an interplay of forms through which the brand becomes the tool for conveying corporate image and all operations in which utmost importance is given to evoking an identifying sign to project a sense of total quality. In addition to ensuring adequate protection against sunlight—a sort of passive energy-saving reducing energy consumption from air-conditioning—the huge sunscreens also have a striking impact on their surroundings, creating a long-lasting sign to suggest other potential clients to take a new approach to industrial architecture. The entrance hall is a prominent double height space of the same scope as a modern conference center, a space also designed to host promotional events to promote the coffee product. Structured into two main blocks, the building holds two functional centers consisting of a compact structure to accommodate services and administration offices and a more complex structure for specific manufacturing purposes. The elaborate building layout, thanks to the sunscreen system combining everything into one single idiom, looks less confusing in the elevation, thereby gaining in structural compactness. This system, which has an electric engine to adjust its angle of inclination, can change its own set-up and its variable aperture comes in various configurations to create all kinds of different effects, both in terms of reflection and of projecting light from the inside out. So what we have are elevations of varying geometric form creating a work of architecture designed to epitomize the dynamism of the age in which we live.
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In queste pagine, assonometrie, dettagli costruttivi e veduta di scorcio del complesso. These pages, axonometries, construction details and partial view of the complex.
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ussolengo, a small town in the province of Verona, is part of an area, which has undergone notable industrial growth over the last few decades. An area full of factories and small workshops, even some family-run businesses, that has currently abandoned the idea of building warehouses as cheaply as possible to the detriment of architectural quality and is planning to improve the situation by completely inverting the trend. Third or fourth generation clients, the children and grandchildren of craftsmen who have gradually turned themselves into small or medium size industrialists are now keen to focus on modernity, finding in architectural design an effective means of symbolizing the business success they have attained. Pellini Caffé, a company first established in the 1920s which now “grinds out” a turnover of approximately 57 million euro a year, has constructed an unconventional building, whose wave-shaped facade design is a subtle allusion to the delicious aroma of a good cup of coffee. This is a sort of metaphorical translation of the product into an architectural form, an interplay of forms through which the brand becomes the tool for conveying corporate image and all operations in which utmost importance is given to evoking an identifying sign to project a sense of total quality. In addition to ensuring adequate protection against sunlight—a sort of passive energy-saving reducing energy consumption from air-conditioning—the huge sunscreens also have a striking impact on their surroundings, creating a long-lasting sign to suggest other potential clients to take a new approach to industrial architecture. The entrance hall is a prominent double height space of the same scope as a modern conference center, a space also designed to host promotional events to promote the coffee product. Structured into two main blocks, the building holds two functional centers consisting of a compact structure to accommodate services and administration offices and a more complex structure for specific manufacturing purposes. The elaborate building layout, thanks to the sunscreen system combining everything into one single idiom, looks less confusing in the elevation, thereby gaining in structural compactness. This system, which has an electric engine to adjust its angle of inclination, can change its own set-up and its variable aperture comes in various configurations to create all kinds of different effects, both in terms of reflection and of projecting light from the inside out. So what we have are elevations of varying geometric form creating a work of architecture designed to epitomize the dynamism of the age in which we live.
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Due diversi punti di vista dell’edificio e, pagina a fianco, il blocco uffici e prospetto e sezioni della facciata. Two different views of the building and, opposite page, the office block and elevation and sections of the facade.
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Due diversi punti di vista dell’edificio e, pagina a fianco, il blocco uffici e prospetto e sezioni della facciata. Two different views of the building and, opposite page, the office block and elevation and sections of the facade.
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In queste pagine, alcuni dettagli degli spazi interni i cui piani sono collegati da un ascensore idraulico. These pages, details of the interior spaces, whose various levels are connected by a hydraulic lift.
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In queste pagine, alcuni dettagli degli spazi interni i cui piani sono collegati da un ascensore idraulico. These pages, details of the interior spaces, whose various levels are connected by a hydraulic lift.
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Sviluppo Sostenibile: un percorso comune Sustainable Development: a common track
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Sviluppo Sostenibile: un percorso comune Sustainable Development: a common track Un 2007 all’insegna della globalità 2007: a year driven by globality Roma e Parigi: capitali di nuove frontiere ambientali Rome and Paris: leading-edge capitals of the environment
n ipotetico ponte tra paesi industrializzati e paesi emergenti per affrontare i temi dello sviluppo globale su una comune strada di sostenibilità. Questo il filo conduttore del quarto convegno annuale della Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti tenutosi a Bergamo lo scorso 1° dicembre e dedicato a “Sviluppo Sostenibile: un percorso comune per i paesi maturi e le economie emergenti”. Dopo il saluto di apertura del presidente della Fondazione, Giovanni Giavazzi, gli oltre quattrocento ospiti presenti all’incontro hanno seguito l’intervento del Premio Nobel per l’Economia Joseph E. Stiglitz che con il suo progetto “Initiative for Policy Dialogue” ha analizzato a lungo gli effetti della globalizzazione nel tentativo di riconciliarne fallimenti e benefici aiutando i paesi emergenti a esplorare tutte le possibili alternative di politica economica e promuovendo una più ampia e consapevole partecipazione della società civile alle decisioni. Il suo contributo alla teoria delle asimmetrie informative e il loro impatto sul funzionamento dei mercati – premiato con il Nobel nel 2001 – lo ha portato alla conclusione che la globalizzazione è un processo inevitabile e una forza positiva, capace di incentivare la crescita e di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più povere del pianeta.
È però necessario un ripensamento degli accordi commerciali, delle politiche economiche imposte ai paesi in via di sviluppo, degli aiuti internazionali, del sistema finanziario globale. Queste e altre riforme permetterebbero alla globalizzazione di sviluppare tutte le sue potenzialità, nel rispetto della democrazia e della giustizia sociale. Nel corso dell’incontro sono poi intervenuti attraverso contributi video Al Gore, Premio Nobel per la Pace 2007, TaoTao Chen, docente del Center for China in the World Economy alla Tsinghua University di Pechino, Barack Obama, senatore democratico candidato alle presidenziali Usa 2008, e Suketu Metha, scrittore e giornalista, finalista del Premio Pulitzer 2005. In particolare, Al Gore nel suo messaggio ha sottolineato come sul piano ambientale “siamo di fronte a un’emergenza planetaria che minaccia il futuro della civilizzazione e dell’umanità. I membri della comunità imprenditoriale globale, i governi e la società civile hanno tutti una responsabilità per quello che concerne la crisi climatica. Qualche intervento è stato avviato: l’Italia in particolare è al settimo posto a livello mondiale per capacità eolica installata, e dal 1990 ha raddoppiato le proprie risorse rinnovabili complessive. Deve quindi continuare su questa strada,
accelerando il passo, ma è un percorso possibile solo con una partnership più stretta tra governo e industria”. Il convegno della Fondazione Italcementi si è concluso con una tavola rotonda a cui, oltre a Stiglitz, hanno partecipato Tito Boeri, professore di Economia all’Università Bocconi di Milano e Moushira Khattab, segretario generale del National Council for Childhood and Motherhood in Egitto e vice presidente del Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia. Carlo Pesenti, consigliere delegato Italcementi, ha sottolineato nel corso delle conclusioni del convegno la coerenza delle politiche del Gruppo con i principi della sostenibilità: “Per noi questa scelta ha significato la creazione di un gruppo industriale capace di esprimere un pensiero moderno e innovativo e la grande capacità delle diverse realtà presenti nel Gruppo di lavorare insieme per vincere insieme nella competizione del mercato locale. La nostra disponibilità al cambiamento – ha aggiunto – ci ha spinto ad ancorare la nostra politica di sviluppo industriale ad alcuni principi fondanti capaci di mettere in pratica quell’integrazione tra dimensione globale e realtà locale alla base della nostra identità aziendale”. Giampiero Pesenti, presidente Italcementi, nel ringraziare i relatori intervenuti al convegno ha ricordato il legame fra il professor Stiglitz e l’Università di Bergamo che lo aveva insignito di una Laurea Honoris Causa. “È un segno positivo della convergenza di straordinarie qualità: il pensiero dell’autorevole economista, la sua vivacità e generosità intellettuale e lo spirito di iniziativa e di modernità del nostro territorio”. La Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti con questo convegno ha ribadito la propria missione di diffondere e sostenere i principi e i valori dello sviluppo sostenibile delle imprese, temi che sono asse portante delle politiche di crescita del Gruppo Italcementi. Le iniziative di sostenibilità in Italcementi Group si consolidano nel 2000 con l’adesione al World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), organismo al quale aderiscono 180 gruppi internazionali che condividono gli stessi principi in merito allo sviluppo duraturo. Joseph E. Stiglitz durante il suo intervento al convegno. Joseph E. Stiglitz during his speech at the congress.
Nell’ambito del progetto WBCSD, Italcementi sottoscrive l’Agenda for Action, il primo impegno formale che coniuga l’attività delle imprese cementiere con le politiche di sviluppo sostenibile. Sei sono le aree d’intervento ritenute significative per il loro contributo a una società “più sostenibile”: protezione del clima, utilizzo responsabile di combustibili e materie prime, tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, riduzione delle emissioni, gestione dell’impatto sul territorio e sulle comunità locali e attività di reporting e comunicazione. Da diversi anni il Gruppo porta avanti uno specifico Sustainable Development Awareness Program che prevede per le filiali del Gruppo la formazione e la sensibilizzazione sui temi dello sviluppo sostenibile. Tra i progetti più rilevanti realizzati da Italcementi vi è il Programma Zero Infortuni che ha interessato tutte le filiali del Gruppo: lanciato nel 2000 il piano ha consentito una riduzione di oltre il 60% dell’indice della frequenza degli infortuni. La sintesi delle politiche del Gruppo è enunciata nella Carta dei Valori che rappresenta il punto di convergenza tra etica individuale di ciascun dipendente ed etica dell’azienda nel suo insieme. Italcementi fa parte del Dow Jones Sustainability World Index, l’indice mondiale per la responsabilità sociale dell’impresa che raccoglie le società best performer su 2.500 società internazionali presenti negli indici Dow Jones Global, valutate secondo criteri economici, ambientali e sociali.
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hypothetical bridge between industrialized and emerging nations to examine global growth issues along a single path toward sustainability. This was the guideline for the fourth annual congress of the Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti Foundation held in Bergamo last December 1st, which examined the theme “Sustainable Development: a common track for emerging and mature economies”. After the welcome and opening address delivered by the Foundation’s Chairman, Giovanni Giavazzi, the more than four hundred delegates at the congress heard a paper from Economics Nobel Laureate Joseph E. Stiglitz, whose “Initiative for Policy Dialogue” project offered a deep analysis of the errors and benefits of globalization to help the emerging nations explore all the possible economic policy alternatives and enable wider, informed civic participation in policy-making. His contribution to the theory of information asymmetries and their impact on the markets—for which he was awarded the Nobel Prize—led Stiglitz to conclude that globalization is an inevitable process and a positive force that can drive growth and improve the living standards of the world’s poorest peoples. Yet, it requires a review of trade agreements, economic policies imposed on the developing nations, international aid and the global financial system. These and other reforms would
enable globalization to develop its full potential, without prejudice to democracy and social justice. The congress also heard video contributions from Al Gore, the 2007 Nobel Peace Prize winner, TaoTao Chen, a lecturer at the Center for China in the World Economy, Tsinghua University, Beijing, Barack Obama, one of the US senators running for the Democratic Party nomination for the 2008 presidential elections, and Suketu Metha, writer and journalist, short-listed for the 2005 Pulitzer Prize. In his message, Al Gore stressed that as far as the environment is concerned “We are facing a planetary emergency, one that threatens the future of human civilization. Members of the global business community, governments, and civil society all have a responsibility when it comes to the climate crisis. Some action has been taken: Italy, for example, boasts the 7th highest installed wind power capacity in the world and has doubled its overall renewable energy resources since 1990. This is a trend that must continue to accelerate, but it can only advance through better partnership between government and industry”. The Italcementi Foundation congress ended with a round table, where, in addition to Joseph Stiglitz, the panel members were Tito Boeri, Professor of Economics at Milan’s Bocconi University, and Moushira Khattab, Secretary General of Egypt’s National Council for Childhood and Motherhood and Vice Chairman of the United Nations Committee on the Rights of the Child.
Concluding the congress, Italcementi Chief Executive Officer Carlo Pesenti underlined the consistency of the Group’s policies with the principles of sustainability: “By embracing sustainability we have created an industrial group that expresses a modern and innovative attitude and the enormous capacity of the various Group divisions to work together as a winning team on local markets.” “Our openness to change,” Pesenti added, “has led us to anchor our industrial growth policy to a number of fundamental principles as the basis of putting into practice the integration of global and local that lies at the heart of our corporate identity.” Thanking the speakers at the congress, Italcementi Chairman Giampiero Pesenti recalled the ties between Professor Stiglitz and Bergamo University, which has awarded the Nobel Laureate an Honoris Causa Degree. “This reflects a positive combination of outstanding qualities: the thought of a distinguished economist, his lively intellectual generosity and the spirit of initiative and modernity of our local community.” The congress confirmed the commitment of the Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti Foundation to promoting and upholding the principles and values of sustainable development in business, issues that are the cornerstone of Italcementi Group growth strategy. The Italcementi Group consolidated its sustainability activities in 2000 when it joined the World Business
Council for Sustainable Development (WBCSD), an association of 180 international groups who uphold common principles regarding sustainable growth. Within the WBCSD, Italcementi subscribes to the Agenda for Action, the first formal pledge coupling the business operations of cement manufacturers with sustainable development policies. It covers six important areas for a “more sustainable” society: climate protection, responsible use of fuel and raw materials, workplace health and safety, reduction of emissions, management of impact on the territory and local communities, and sustainability reporting and disclosure. Over the last few years, Italcementi has been promoting a special Sustainable Development Awareness Program for Group companies, to provide training and raise sensitivity to sustainability issues. Key projects include the Zero Accidents Program, adopted throughout the Group: introduced in 2000 the program has led to a reduction of more than 60% in the accident frequency rate. The Group’s policies are summarized in the Charter of Values, which is the point of convergence between the ethics of each individual employee and the corporate ethics of the organization as a whole. Italcementi is listed in the Dow Jones Sustainability World Index of the best performers among the 2,500 international business organizations in the Dow Jones Global indices, assessed on economic, environmental and social criteria.
Un 2007 all’insegna della globalità 2007: a year driven by globality
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l Gruppo Italcementi, quinto produttore di cemento a livello mondiale, prosegue nella strategia di ampliamento della propria presenza sui mercati internazionali attraverso un piano di nuove acquisizioni nel settore del cemento in paesi emergenti e il potenziamento della verticalizzazione delle attività nel settore del calcestruzzo. Calcestruzzo Yankee Marzo 2007. Con due distinte operazioni la filiale nordamericana Essroc ha fatto il suo ingresso nel settore del calcestruzzo degli Usa e ha rafforzato la propria presenza sul mercato canadese. Le due acquisizioni, del valore di circa 70 milioni di dollari, si collocano nel programma di rafforzamento della verticalizzazione delle attività a valle della produzione di cemento. Negli Stati Uniti lo sbarco nel settore calcestruzzo è avvenuto attraverso l’acquisto del gruppo Arrow, leader nel settore in West Virginia, con presenze produttive anche in Ohio, West Pennsylvania e South Carolina, cioè nella zona orientale del paese dove Essroc già opera nel settore del cemento con tre impianti.
Arrow, che nel 2006 ha registrato vendite per circa 66 milioni di dollari con una capacità produttiva di circa 560 mila metri cubi di calcestruzzo, ha un dispositivo industriale di 17 centrali fisse più 4 mobili, oltre a 164 autobetoniere. In Canada è stata portata a termine l’acquisizione di Cambridge, società attiva nell’area a ovest di Toronto, in un mercato in cui Essroc è già presente con la cementeria di Picton che può contare su un dispositivo di distribuzione anche per via fluviale. Cambridge, che può contare su 5 centrali e 72 autobetoniere, ha i diritti di estrazione di inerti in due cave, con rilevanti disponibilità future. Ha venduto nel 2006 circa 270 mila metri cubi di calcestruzzo, con un fatturato di circa 25 milioni di dollari. Sul muro cinese Giugno 2007. Ciments Français, subholding per le attività internazionali del Gruppo Italcementi, ha acquisito dal gruppo cinese Zhejiang Guangyu il 100% di Fuping Cement Co. Ltd., società situata nella provincia dello Shaanxi (Cina centrale), per un valore complessivo di circa 70 milioni di dollari.
Con oltre 300 dipendenti, Fuping Cement opera attraverso un moderno impianto a via secca, avviato nel giugno del 2006, e una cava di calcare di proprietà nei pressi della cementeria. L’attuale capacità produttiva di 1,7 Mt di clinker all’anno (con una capacità di macinazione di 2 Mt di cemento), grazie alle autorizzazioni già ottenute, potrà essere raddoppiata nel prossimo futuro. La localizzazione degli impianti pone Fuping Cement in una posizione strategica per servire il mercato della Cina centrale, un’area con un forte potenziale di crescita nel medio-lungo periodo, considerato il locale consumo di cemento inferiore a quello medio cinese e i progetti di sviluppo infrastrutturale già deliberati dal governo. Questa operazione ha consentito al Gruppo Italcementi di fare il proprio ingresso in un mercato come quello cinese che da solo rappresenta circa la metà del mercato mondiale del cemento con significative potenzialità di ulteriore crescita. Secondo stime governative, la produzione è infatti attesa in sensibile incremento dagli 1,06 miliardi di tonnellate registrati nel 2005 agli 1,25 miliardi previsti nel 2010.
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“Quest’acquisizione – ha sottolineato Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi Group – segna l’ingresso del nostro Gruppo nel più grande mercato del cemento nel mondo e riveste quindi una grande importanza strategica. Italcementi Group, in linea con i piani di sviluppo della propria presenza nel mercato asiatico, si propone di diventare uno dei protagonisti del settore in Cina, puntando sulle prospettive di crescita e partecipando al consolidamento del mercato”. Attraverso l’acquisizione di Fuping Cement, il Gruppo, già operativo in India, Kazakistan e Thailandia, rafforzerà la propria presenza nel continente asiatico dove potrà contare su una quota di circa il 20% della propria capacità produttiva totale. Cemento in Kuwait Agosto 2007. Il Gruppo Italcementi, attraverso la controllata egiziana Suez Cement Company, sbarca in Kuwait diventando il primo azionista (51%) di Hilal Cement, società quotata al Kuwait Stock Exchange. Hilal Cement Company, che per l’esercizio 2006 ha registrato un fatturato di circa 65 milioni di dollari e un Ebitda di circa 13,5 milioni di dollari, gestisce due terminal situati nella parte meridionale dell’emirato con una capacità complessiva di circa 1 milione di tonnellate/anno. L’operazione rappresenta la prima acquisizione del controllo di una società quotata al Kuwait Stock Exchange da parte di un gruppo internazionale e uno dei maggiori investimenti diretti stranieri in Kuwait. In Kuwait il settore del cemento prevede per i prossimi anni un significativo tasso di crescita del mercato, con interessanti sviluppi anche nella integrazione a valle nell’attività del calcestruzzo. L’emirato non dispone di materia prima per la produzione di cemento, e l’unico impianto a ciclo completo presente nel paese deve fare ricorso a importazioni di materiali dai paesi limitrofi, con conseguente significativo impatto sui costi di produzione.
Arabia, la porta per il Medio Oriente Settembre 2007. La volontà del Gruppo Italcementi di rafforzare il proprio processo di verticalizzazione nel settore del calcestruzzo e inerti ha conosciuto una nuova e significativa tappa attraverso la costituzione di Arabian Ready Mix Company (ARMC), joint venture paritetica nel settore del calcestruzzo con Arabian Cement Company. L’operazione rientra nell’ambito di un accordo quadro quinquennale siglato nel 2005 tra Italcementi e Arabian Cement Company (ACC), primo produttore di cemento sorto in Arabia, per lo sviluppo congiunto di nuove iniziative nell’area mediorientale. Il primo impianto sarà realizzato in prossimità della città di Jeddah e potrà contare sulla forte domanda generata dalla realizzazione della nuova King Abdullah City, una delle sei nuove città previste dal programma statale nell’ambito di un piano urbanistico destinato a generare nuovo sviluppo economico nel paese. La capacità del nuovo impianto, la cui entrata in funzione è prevista per il prossimo marzo 2008, sarà di un milione di metri cubi di calcestruzzo all’anno. I progetti di sviluppo di ARMC prevedono una veloce estensione dell’attività nell’area occidentale del regno, coinvolgendo nei prossimi tre anni le aree di Jeddah, Mecca, Taif, Yanbu e Medina. Gli investimenti complessivi nel settore ammonteranno a circa 125 milioni di riyals sauditi (circa 25 milioni di euro). ■ ■ ■ ■ ■ ■
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he Italcementi Group, the world’s fifth-largest cement producer, is moving ahead with its strategy for international expansion, through new acquisitions in the cement business in emerging countries and greater verticalization of operations in the ready mixed concrete business.
Stateside concrete March 2007. Two separate operations won the North American subsidiary Essroc entry into the US ready mixed concrete sector and strengthened its position on the Canadian market. The two acquisitions, worth approximately 70 million dollars, are part of the program to enhance verticalization in downstream cement activities. The move on to the US concrete market was achieved through the acquisition of the Arrow group, the industry leader in West Virginia, which also has production facilities in Ohio, West Pennsylvania and South Carolina, in the east of the country where Essroc already has three cement plants. In 2006 Arrow reported sales for approximately 66 million dollars. It has a ready mixed concrete production capacity of approximately 560,000 m3 and a production organization comprising 17 permanent sites, 4 mobile sites and 164 truck mixers. In Canada, Essroc has completed the acquisition of Cambridge, a company active in the region west of Toronto, where Essroc is already present with the Picton cement plant and uses river transport as one of its distribution channels. Cambridge has 5 plants and 72 truck mixers and holds aggregates extraction rights in two quarries offering significant future availability. In 2006 it sold approximately 270,000 m3 of ready mixed concrete, reporting revenues of around 25 million dollars. On the Chinese Wall June 2007. Ciments Français, the subholding for the Italcementi Group’s international operations, acquired 100% of Fuping Cement Co. Ltd., a company located in Shaanxi province (central China), from China’s Zhejiang Guangyu group, for approximately 70 million dollars. With more than 300 employees, Fuping Cement operates through a modern dry-process plant set up in June 2006, with its own lime quarry near the cement facility. Current clinker production capacity is 1.7 Mt/year (with a cement grinding capacity of 2 Mt), and could be doubled in the near future thanks to licenses already obtained by the company. The plant location places Fuping Cement in a strategic position to serve the central Chinese market, an area with high medium/long-term growth potential, given local cement consumption below the national average and the infrastructure development plans already approved by the Government. The Fuping acquisition gives the Italcementi Group entry on to the Chinese market, which alone accounts for approximately half of world cement demand and has significant potential for further growth. According to government estimates, production is expected to show a significant rise, from 1.06 billion metric tons in 2005 to a projected 1.25 billion metric tons in 2010. “The acquisition is Italcementi Group’s first step on to the world’s largest cement market and as such has great strategic importance,”said Italcementi Chief Executive Officer Carlo Pesenti. “As part of its growth
plans on the Asian market, the Italcementi Group aims to become a key player in the Chinese industry, actively benefiting from growth prospects and participating in the consolidation of the market.” The Fuping Cement acquisition will strengthen the Group’s operations in Asia, where it is already active in India, Kazakhstan and Thailand, boosting its regional production capacity to account for approximately 20% of total Group capacity. Cement in Kuwait August 2007. Through the Egyptian subsidiary Suez Cement Company, the Italcementi Group is moving into Kuwait as majority shareholder (51%) of Hilal Cement, a company listed on the Kuwait Stock Exchange. In 2006 Hilal Cement Company reported revenues of approximately 65 million dollars and EBITDA of approximately 13.5 million dollars. It operates two terminals in the south of the emirate, for an overall capacity of approximately 1 million metric tons/year. The transaction marks the first acquisition by an international group of a controlling stake in a company listed on the Kuwait Stock Exchange, and is one of the largest foreign direct investments in Kuwait. The Kuwait cement industry expects significant market growth over the next few years, as well as interesting developments in downstream integration in concrete. The emirate does not have raw materials for cement production, and the only local full-cycle plant necessarily imports materials from neighboring countries, with a significant impact on production costs. Arabia, the gateway to the Middle East September 2007. The Italcementi Group’s program to strengthen verticalization in ready mixed concrete and aggregates made another important advance with the formation of the Arabian Ready Mix Company (ARMC), an equally owned ready mixed concrete joint venture with Arabian Cement Company. The operation is part of a five-year frame agreement signed in 2005 by Italcementi and Arabian Cement Company (ACC), the first cement producer formed in Saudi Arabia, for joint development of new initiatives in the Middle East. The first facility will be constructed near Jeddah where it will benefit from high demand relating to construction of King Abdullah City, one of the six new cities planned by the State as part of an urban development program to foster new economic growth in Saudi Arabia. The new plant is scheduled to begin operations by March 2008 and will have an annual ready mixed concrete capacity of one million m3. The ARMC business plan projects rapid expansion in the west of the kingdom over the next three years, in the areas of Jeddah, Mecca, Taif, Yanbu and Medina. Total investments in the sector will amount to approximately 125 million Saudi riyals (approximately 25 million euro).
Roma e Parigi: capitali di nuove frontiere ambientali Rome and Paris: leading-edge capitals of the environment
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più di cinquant’anni dal gemellaggio firmato nel 1956, Roma e Parigi si trovano allineate anche sul terreno della sostenibilità urbana. È confortante assistere a una crescita dell’impegno delle due municipalità per realizzare città più vivibili attraverso un’urbanistica di qualità, attenta alle nuove dimensioni sociali e ambientali del proprio sviluppo. La nuova sensibilità culturale e professionale dei progettisti, la maggiore consapevolezza da parte dei cittadini, la responsabilizzazione di decisori pubblici e soggetti socio-economici costituiscono una risorsa essenziale per dare una risposta concreta alla “domanda di nuova città”. Nel corso del 2007 – e sarebbe bello pensare che non sia stata una semplice coincidenza – entrambe le città hanno avviato due piani sperimentali di infrastrutture viarie eco-compatibili grazie all’impiego di materiali a base cementizia di nuova generazione a effetto fotocatalitico con una capacità significativa di riduzione degli inquinanti atmosferici. TX Active®...in caput mundi. A Roma, lo scorso 8 settembre, alla presenza del sindaco Walter Veltroni e dell’assessore ai Lavori Pubblici Giancarlo D’Alessandro, è stato “ri-inaugurato” il traforo Umberto I, una delle gallerie storiche e una delle strade più inquinate della città, realizzato tra il 1902 e il 1905
per collegare via Nazionale e via del Tritone rendendo più scorrevole il traffico per il centro. Il progetto di rifacimento, frutto di un accordo tra il Comune di Roma, Italcementi e CIM (Calci Idrate Marcellina), ha permesso di restituire alla città un tunnel antismog. Lunga 348 metri e larga 17, la galleria, scavata sotto il Colle del Quirinale, fu costruita su progetto dell’ingegner Alessandro Viviani,
autore a fine ‘800 del primo piano urbanistico di Roma in funzione della riqualificazione della città nel suo nuovo ruolo di capitale d’Italia. Il valore artistico della costruzione, che vanta imbocchi “firmati” da due celebri architetti quali Pio Piacentini (ingresso di via Nazionale) e Guido Podesti (ingresso di via del Tritone), ha reso necessario un intervento di recupero e ammodernamento per cancellare i segni lasciati dal
Dall’alto. Il taglio del nastro durante la cerimonia di inaugurazione del traforo Umberto I alla presenza del sindaco di Roma Walter Veltroni; l’imbocco da via del Tritone; l’interno del tunnel dopo i lavori di rifacimento e, pagina seguente, l’imbocco da via Nazionale. From top, the ribbon-cutting ceremony for the Umberto I tunnel officiated by Rome Mayor Walter Veltroni; the Via del Tritone entrance; the tunnel vault after renovation work and, following page, the Via Nazionale entrance.
tempo e dall’inquinamento dell’intenso traffico romano. L’intervento, con un investimento globale di circa 500 mila euro, è stato possibile grazie alla sponsorizzazione di Italcementi e CIM: i 9.000 m2 della volta sono stati rivestiti con pittura fotocatalitica Cimax Ecosystem Paint della CIM a base di TX Active®, il principio attivo fotocatalitico brevettato da Italcementi che disinquina l’aria. Al fine di ottimizzare
l’azione della pittura fotoattiva è stato istallato un impianto di illuminazione specifico, prodotto dalla Disano-Illuminazione, in grado di intensificare con la propria luce, anche in galleria, il processo della fotocatalisi. Lo smontaggio degli impianti preesistenti, il cablaggio del nuovo impianto, il montaggio degli apparecchi illuminanti, tutti gli allacciamenti e il collaudo sono stati effettuati dall’Acea, l’Azienda Comunale Energia e Ambiente di Roma. L’intervento prevede anche il monitoraggio e l’analisi dei dati degli inquinanti pre e post operam per testare l’efficienza delle proprietà fotocatalitiche di TX Active® che in passato hanno evidenziato – fuori dalle condizioni ottimali dei laboratori – valori di abbattimento fra il 20% e il 70%, in relazione a condizioni atmosferiche e irraggiamento luminoso. Parigi è sempre Parigi...anche con TX Active®. Lo scorso ottobre a Parigi, in occasione della XII edizione del Festival Fimbacte che promuove l’innovazione e lo sviluppo sostenibile nel settore delle costruzioni, Ciments Calcia, filiale francese di Italcementi Group, ha ricevuto il premio
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“le Roc d’Or” per la strada realizzata con calcestruzzo TX Aria® a Vanves alla periferia sud di Parigi. Il premio, oltre a segnalare un importante esempio di gestione sostenibile dello sviluppo urbano, è anche il riconoscimento del lavoro di squadra di tre società del Gruppo in Francia: Ciments Calcia ha proposto il prodotto al Consiglio regionale dell’Alta Senna, Axim ha fornito gli additivi, mentre Unibéton, operante nel settore del calcestruzzo preconfezionato, ha messo a disposizione il proprio know-how specialistico e le proprie competenze tecniche in fase di messa in opera. Il progetto di rifacimento della via Jean Bleuzen a Vanves (strada provinciale 130) è stato l’occasione per la sperimentazione nell’area parigina di un rivestimento stradale in calcestruzzo TX Aria® col risultato di ridurre i picchi di inquinamento della città. Questa iniziativa, condotta dal Consiglio regionale dell’Alta Senna, si iscrive nel programma di lotta all’inquinamento atmosferico nel contesto urbano di cui uno dei principali obiettivi consiste nel limitare l’impatto ambientale del traffico veicolare. La scelta di via Jean Bleuzen come sito sperimentale è stata dettata dalla presenza di condizioni ottimali per il processo fotocalitico: intenso traffico giornaliero con punte fino a 13.000 veicoli, ampiezza della superficie trattata con calcestruzzo fotoattivo, forte irraggiamento solare e moderata ventilazione grazie alla presenza di edifici su entrambi i lati della strada a formare una barriera ai venti. Nell’accettare di ospitare questo esperimento unico e inedito in Francia, Vanves diventa città pilota della tecnologia in materia di sviluppo sostenibile. ■ ■ ■ ■ ■ ■
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ore than fifty years after their 1956 twinning agreement, Rome and Paris are in alignment once again, this time in the area of urban sustainability. It is a comforting fact that the municipal authorities of the two capitals are strengthening efforts to achieve a more livable city environment through an approach to urban planning that takes the social and environmental dimensions of metropolitan development into account. The new cultural and professional sensitivity of planners, the greater awareness of residents, the assumption of responsibility
by public decision-makers and socio-economic players constitute an essential resource, assisting the search for a tangible response to demand for “a new city form”. During 2007—and it would be nice to think this is not just a coincidence—both Rome and Paris have launched experimental eco-compatible highway projects, using new-generation photocatalytic cements with significant effects in reducing atmospheric pollutants. TX Active®...in caput mundi. On September 8, Mayor Walter Veltroni and Public Works Councilor Giancarlo D’Alessandro were present at the “re-inauguration” of the Umberto I tunnel, an historic Rome tunnel and one of its most polluted roads, built between 1902 and 1905 to link Via Nazionale and Via del Tritone and ease traffic congestion in the city center. The renovation project, completed under an agreement between Rome City Council, Italcementi and CIM (Calci Idrate Marcellina), has provided Rome with an antismog tunnel. Built to a length of 348 meters and a width of 17 meters, the tunnel under the Quirinale Hill was designed by Alessandro Viviani, the engineer responsible for Rome’s first urban plan at the end of the 19th century, as the city assumed its new role as Italy’s capital. A work of artistic value, with “designer” entrances bearing the names of two celebrated architects, Pio Piacentini (the Via Nazionale entrance) and Guido Podesti (the Via del Tritone entrance), the tunnel was in need of a restyling and modernization work to remove the signs left by the passage of time and the pollution caused by the heavy Roman traffic. The project for an overall investment of approximately 500,000 euro was sponsored by Italcementi and CIM: the 9,000 m2 vault has been coated in CIM’s photocatalytic Cimax Ecosystem Paint, based on TX Active®, the Italcementi patented photocatalytic active principle that eliminates atmospheric pollution. To optimize the depolluting action of the photoactive paint, a special lighting plant was installed, produced by Disano-Illuminazione, which intensifies the photocatalysis process, even inside the tunnel. Dismantling of the old plants, cabling for the new system, fitting of the new lights, and all the connections and testing were handled by ACEA, the Rome
municipal energy and environment agency. The project also provides for monitoring and analysis of pollution data pre- and post-operam to test the efficiency of the TX Active® photocatalytic properties, which in previous trials—outside the optimal conditions of a lab environment—delivered a pollution reduction of between 20% and 70%, depending on atmospheric conditions and sunlight. Paris is always Paris...even with TX Active®. In October, at the XII Fimbacte Festival in Paris to promote innovation and sustainable development in the construction business, Ciments Calcia, Italcementi Group’s French subsidiary, was awarded the “Roc d’Or” prize for the road built with TX Aria® ready
mixed concrete in Vanves, a south Paris suburb. While the award highlights a significant example of sustainable urban planning, it also recognizes the teamwork of three Group companies in France: Ciments Calcia proposed the product to the Haute Seine Regional Council, Axim provided the additives, and Unibéton, which operates in ready mixed concrete, provided its specialist knowhow and technical competences during project execution. The re-paving of Rue Jean Bleuzen in Vanves (provincial road 130) was an opportunity to run a trial in the Paris area to test a road covering in TX Aria® concrete, and reduce pollution peaks in the city. Directed by the Haute Seine Regional Council, the project is part of a
Un momento della premiazione al XII Festival Fimbacte a Parigi e un particolare della messa in opera del rivestimento stradale della via Jean Bleuzen a Vanves. The award ceremony at the XII Fimbacte Festival in Paris and the re-paving of Rue Jean Bleuzen in Vanves.
program to reduce urban atmospheric pollution, in part by limiting the impact of pollution from road traffic. Rue Jean Bleuzen was chosen as the trial site since it offers optimal conditions for the photocatalytic process: heavy daily traffic flows with peaks of up to 13,000 vehicles, the width of the surface treated with photoactive concrete, high exposure to sunlight and moderate wind exposure due to buildings on both sides of the road acting as cross-wind barriers. By agreeing to act as the location for the trial, the first of its kind in France, Vanves has become the pilot city for technology to promote sustainable development.