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in.studio+partners M.04.13

La nuova soluzione drenante di Italcementi.

E se un calcestruzzo potesse drenare l’acqua? i.idro DRAIN è un’innovativa formulazione di calcestruzzo in grado di drenare l’acqua. Grazie al suo speciale mix design combina la resistenza di una pavimentazione in calcestruzzo con una capacità drenante 100 volte superiore a quella di un terreno naturale. i.idro DRAIN è particolarmente indicato per marciapiedi, piste ciclabili, parcheggi, strade secondarie, vialetti di parchi e giardini pubblici, aree pedonali, aree di sosta e strade sottoposte a tutela ambientale. i.idro DRAIN è oggi nel mercato delle costruzioni uno fra i prodotti più sostenibili dal punto di vista ambientale.

" Rispetta il ciclo naturale dell’acqua " Ricicla le acque piovane " Ricarica la falda acquifera " Migliora il clima urbano " Riduce l’inquinamento " Migliora la salute delle piante " Aumenta la sicurezza " Facilita la progettazione " Riduce i costi

www.italcementi.it


Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House S.E.R.A. srl Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Bergamo Law Court

La città che pensa

■ Global ■

CITTA’ INTELLIGENTI SMART CITIES

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Visions For A Future City

David Bevilacqua

L'ordito delle comunità

The Warp Of Communities

Joost Brinkman

Amsterdam, per esempio

Amsterdam, for example

Hiroshi Maruyama, Nobuko Asakai, Masahito Sugihara

Città smart e sostenibilità: i giapponesi Smart Cities & Sustainability: the Japanese

L’Architetto e la Smart City

The Architect And The Smart City

Intervista a Odile Decq

Interview with Odile Decq

Città ancora più intelligenti

Smart[er] Cities

Intervista a Nashid Nabian

Interview with Nashid Nabian

Joseph di Pasquale

L’ideale del sostenibile!

The Ideal of Sustainability!

Testi a cura di / Texts by Jacqueline Ceresoli

Ecologia visionaria

Visionary Ecology

Progetto di Vincent Callebaut

Project by Vincent Callebaut

Diversificata ma unitaria

Diversified But Unitary

Progetto di Office for Metropolitan Architecture (OMA)

Project by Office for Metropolitan Architecture (OMA)

Luc Schuiten ■

Visioni per una città futura

Jean-Marc Schivo

Andrea Granelli

Davide Vargas

A Lever Of Growth

Giovanni Vaccarini

■ News

Una leva per lo sviluppo

aV ■

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Francesco Profumo

aV

■ Projects

The City That Thinks

Copertina, schizzo della Città della Poesia progettata da Davide Vargas

Matrice insediativa invertita

Inverted Settlement Matrix

Progetto di Giovanni Vaccarini

Project by Giovanni Vaccarini

Quartiere-gemma

Gem-Neighborhood

Progetto di Estudio Luis De Garrido

Project by Estudio Luis De Garrido

Urbanistica eco-solidale

Eco-Friendly Town-Planning

Progetti di BIG + Grontmij + Spacescape

Projects by BIG + Grontmij + Spacescape

Una ricerca di [sopra]vivenza

A Search for [Sur]vival

Progetto di Davide Vargas

Project by Davide Vargas

Programmazione urbana sostenibile

Sustainable Urban Planning

Progetto di J.M. Schivo & Associati

Project by J.M. Schivo & Associates

La resilienza

Resilience

Progetto di Luc Schuiten

Project by Luc Schuiten

La crisi come opportunità

Crisis As An Opportunity

Il gioco della pittura

The Painting Game

Cover, sketch of the Poetic City designed by Davide Vargas

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Chiuso in tipografia il 30 aprile 2013 Printed April 30, 2013


La città che pensa The City That Thinks

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Parametri di identificazione e misura della Smart City Economia intelligente. Spirito imprenditoriale e innovativo in una città produttiva, con un mercato del lavoro flessibile, capacità di trasformazione e credibilità internazionale, dove da parte delle aziende ci sia un serio impegno a espandere e migliorare la propria attività. Un’economia intelligente nella quale tanto a livello di grandi quanto a livello di medio-piccole imprese vengano condotte iniziative imprenditoriali volte all’innovazione, dove per innovazione si intende non solo l’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e servizi, o nuovi sistemi di produzione o nuovo posizionamento di vecchi prodotti. Innovazione è la capacità di cambiare approccio gestionale, visione dell’organizzazione, valorizzazione delle risorse umane esistenti e capacità di attrarre nuovi talenti, attenzione al lavoratore e ai suoi bisogni tangibili e intangibili. Mobilità intelligente. Città fisicamente accessibile dall’esterno e fruibile al suo interno, che mette a disposizione di tutti i suoi cittadini infrastrutture e sistemi ICT, reti di trasmissione dati sostenibili, innovative e sicure. Il movimento di persone e merci è parte integrante della vita e del lavoro quotidiano nel contesto urbano: il progetto di mobilità intelligente intende accrescerne la fluidità con l’implementazione di spostamenti specifici, flessibili ed efficienti, utilizzando diversi servizi di trasporto e l’ausilio tecnologico di nuovi strumenti di connessione mobile e applicazioni mobili personalizzate. Ambiente intelligente. Habitat naturale piacevole con bassi livelli d’inquinamento e una gestione sostenibile delle risorse e dei rifiuti. Ambiente intelligente inteso come cura, riguardo. Innanzitutto, cura della bellezza del paesaggio, ovvero delle caratteristiche visibili che ne costituiscono la rappresentazione più evidente. Poi cura della qualità degli elementi naturali costitutivi, aria, acqua, suolo, e monitoraggio delle loro modificazioni/alterazioni. E infine, ricerca di una risposta all’inquinamento attraverso un intervento sui processi di utilizzo e trasformazione delle risorse naturali. Gente intelligente. Migliore qualificazione dei cittadini, maggiore apprezzamento di istruzione e cultura, attenzione per la diversità sociale ed etnica, promozione di flessibilità e creatività, spirito cosmopolita e partecipazione alla vita pubblica. Gli individui come protagonisti del cambiamento e non spettatori passivi: capaci di orientare i propri comportamenti verso l’acquisizione, la condivisione, la co-generazione e il trasferimento di conoscenza all’interno del tessuto cognitivo sociale quale sistema dotato di una propria memoria, una specifica visione del mondo e ideologie identitarie. Vivere intelligente. Investimenti in centri culturali ed educativi, con condizioni sanitarie ottimali, misure di sicurezza per i cittadini, qualità delle abitazioni, attrazioni turistiche e coesione sociale. L’uomo moderno è alla ricerca di un migliore stile di vita attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie che semplifichino la sua realtà quotidiana e gli garantiscano maggiore felicità, salute, produttività. Uno stile di vita non limitato al singolo individuo, ma esteso al bene comune di cittadini e visitatori. Amministrazione intelligente. Semplificazione normativa e amministrativa. Ruolo partecipativo dei cittadini ai processi decisionali, all’erogazione di servizi pubblici e sociali di qualità e alla trasparenza gestionale. Una visione strategica dello sviluppo della città fondata su approccio scientifico e costante azione di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica. Questi gli indicatori. Intelligenti. A noi esserne all’altezza.


Identification and measurement parameters of the Smart City Smart economy. An entrepreneurial and innovative spirit in a productive city, with a flexible labor market, the ability to transform and international credibility, in which there is a serious commitment by businesses to expand and improve their activity. A smart economy in which entrepreneurial initiatives aimed at innovation are conducted at both a large and small-medium business level, where innovation means not only the introduction of new products and services on the market, new production systems and new positioning of old products. Innovation is the ability to change the managerial approach, organizational vision, valorization of existing human resources and the capacity to attract new talent, care of the worker and his tangible and intangible needs. Smart mobility. A city that is physically accessible from the outside and usable inside and that offers infrastructures and ICT systems, and sustainable, innovative and safe data transmission networks to all its citizens. Movement of people and goods is an integral part of daily life and work in the urban context: the smart mobility project plans to improve fluidity through the implementation of specific, flexible and efficient movement, utilizing various transport services and the technological support of new mobile connection tools and personalized mobile applications. Smart environment. Appealing natural habitats with low pollution levels and sustainable management of resources and waste. Smart environment interpreted as care and concern. First and foremost care for the beauty of the landscape or the visible features that make up the most evident aspect. Then care for the quality of the constituent natural elements, the air, water and the soil and monitoring of their modification/alteration. Finally, the quest for an answer to pollution via intervention in the processes of use and transformation of natural resources. Smart people. Improve the degree of training of citizens, greater appreciation of education and culture, attention to social and ethnic diversity, promotion of flexibility and creativity, a cosmopolitan spirit and participation in public life. Individuals become the protagonists of change and not passive spectators able to direct their behavior towards the acquisition, sharing, cogeneration and transfer of knowledge within the social cognitive framework, as a system equipped with its own memory, specific vision of the world and identity-forming ideologies. Smart living. Investments in cultural and educational centers, with excellent sanitary conditions, security measures for citizens, quality of habitations, tourist attractions and social cohesion. Modern man is looking for a better lifestyle through the use of the most advanced technology that simplifies his daily reality and offers a happier, healthier and more productive life. A style of life that is not limited to the single individual but extended to the common wellbeing of citizens and visitors. Smart administration. Regulatory and administrative simplification. A participatory role for citizens in decision-making processes, the provision of quality public and social services and transparent management. A strategic vision of the development of the city founded on a scientific approach and constant information, awareness and direct participation of public opinion intervention. These are the indicators. Smart. It’s up to us to meet them.

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Global

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Una leva per lo sviluppo A Lever Of Growth di Francesco Profumo* by Francesco Profumo*

La visione della Smart City quale fondamento di ricerca e innovazione per le grandi sfide socio-economiche di oggi The Smart City vision as the foundation of research and innovation, to address today’s great social and economic challenges

Francesco Profumo

La Smart City come motore di sviluppo economico in un’ottica di sostenibilità. Sistema che integra la rete di dispositivi con la rete di persone. Combinazione dei contenuti scientifici più avanzati con il rispetto della specifica identità dei luoghi in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città. Per riprendere la strada della crescita, come progresso umano prima che come creazione di ricchezza, investendo in innovazione, ricerca e tecnologia. Smart City as a driver for economic development in a sustainable way. A system integrating the network of devices with the network of people. A combination of cutting-edge scientific content with respect for the individual location’s identity, in full harmony with the history, traditions and vocations of our cities. To make a return to the road of human growth before wealth creation, investing in innovation, research and technology.

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a crisi economica ha messo in difficoltà pressoché tutti i grandi paesi industrializzati dell’Occidente. Per farvi fronte, oggi, abbiamo un unico modo: riprendere la strada della crescita, umana prima che economica, facendo rete e puntando su formazione, ricerca e innovazione. L’esigenza che l’Italia ha, di cambiare strutturalmente il proprio sistema economico, ci spinge a tornare a presidiare settori ad alta tecnologia e a elevato valore aggiunto, con imprese di dimensione adeguata e ricche di conoscenza e talenti. Nella costruzione di una visione strategica di medio periodo, dobbiamo perciò realizzare un più virtuoso rapporto con le nuove politiche europee della strategia Horizon 2020, che metterà a disposizione 80 miliardi di euro. È un programma al quale il sistema-paese è chiamato a partecipare attivamente: le imprese, le istituzioni, gli enti di ricerca devono sentirsi direttamente coinvolti. E costituisce un’opportunità irrinunciabile per agganciarci al treno dello sviluppo e del progresso, tornando a puntare sulle nostre eccellenze e capacità imprenditoriali. Va aumentata in tal senso la

competitività dei ricercatori e delle imprese italiane nell’accesso ai fondi messi a disposizione dalla Commissione, e migliorata l’integrazione tra utilizzo di tali fondi e i fondi strutturali. A fronte di un contributo totale al finanziamento del VII Programma Quadro pari al 14%, l’Italia ne ha sfruttato solo l’8% circa; e anche sulle politiche di coesione il nostro Paese è al penultimo posto, davanti alla Romania. Il nostro sistema deve individuare rapidamente gli assets su cui fare leva e i partenariati strategici da favorire nel quadro della “Innovation Union”. L’obiettivo del governo, quindi, è quello di sviluppare una nuova centralità delle politiche per la ricerca e l’innovazione nelle nostre scelte strategiche, e insieme una più incisiva presenza dell’Italia nelle politiche europee in materia di ricerca e innovazione. Il grande programma su cui puntare è quello sulle Smart Cities, che sarà da un lato una fondamentale fonte di sostegno finanziario, dall’altro un’occasione irripetibile per costruire una nuova visione strategica del futuro delle nostre città e offrire agli investitori privati una prospettiva credibile e stabile nel medio periodo.

Sulla visione della Smart City il sistema scientifico e tecnologico deve fondare le proprie capacità di ricerca e innovazione indirizzandole alle grandi sfide sociali ed economiche di oggi: la riduzione delle emissioni attraverso le tecnologie pulite, le infrastrutture intelligenti per la mobilità, la realizzazione di modelli urbani e di abitazione più sostenibili, un welfare equo e tecnologico per la società che invecchia e per le persone in condizioni di disagio. Un ruolo fondamentale sarà svolto dall’Agenda Digitale Italiana, dove le città intelligenti rappresenteranno un importante punto focale di coordinamento di diverse strategie di settore, finalizzato a restituire coerenza e sistematicità all’articolato e spesso confuso sistema di politiche nazionali per la ricerca e l’innovazione. La città intelligente è infatti la proiezione astratta di un’idea di città del futuro, riconducibile a un perimetro applicativo e concettuale che racchiude un ampio fascio di realizzazioni e verticalizzazioni, così come diversi sono i domini cui appartengono le tecnologie che concorreranno alla sua realizzazione: smart-mobility, education, energy, government, living, environment, health, welfare e molto altro ancora. Tali verticalizzazioni non costituiscono né singolarmente né collettivamente una Smart City se non si integrano attraverso una piattaforma di coordinamento, che costituisce l’infrastruttura chiave della Smart City e insieme l’oggetto su cui concentrare l’attenzione politica e gli investimenti pubblici. Al centro della sfida vi è la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando


ridisegnare le modalità di relazione tra formazione, ricerca e sistema delle imprese. Oggi siamo perciò chiamati a un salto di qualità. Dobbiamo individuare le linee di ricerca su cui investire prioritariamente e i partenariati strategici da favorire nel quadro della cooperazione internazionale per la ricerca e la tecnologia. La logica delle reti è la vincente nell’età della conoscenza. E l’Italia deve imparare a lavorare in squadra, a “cooperare per competere”. Il sociologo americano Richard Florida parlava di “creative class” all’inizio degli anni 2000. Ce n’è bisogno ancor più oggi. A patto di metterla nelle condizioni di poter esprimere le proprie competenze in un contesto sociale adeguato alle esigenze della modernità. Il tempo che ci rimane non è molto, ma abbiamo ancora spazi importanti di intervento per il futuro dei giovani, dell’imprenditorialità e quindi del paese.

informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano. Sono due gli aspetti della visione Smart Cities che però vanno sottolineati e tenuti in considerazione. In primo luogo troppo spesso la città è intesa solo come la “città che consuma” e la “città da amministrare”. Ma esiste una terza visione – sempre più critica – ed è quella della “città che produce”. Con l’emergere dell’economia dei servizi, la città è ormai diventata il cuore della nuova economia e richiede nuove infrastrutture e nuove piattaforme di conoscenza (sia di produzione che di condivisione) anche per produrre in maniera più competitiva.

In secondo luogo, il governo si sta impegnando per la costruzione di una “via italiana” alle città intelligenti. L’aspetto forse più caratterizzante le città italiane è il loro cuore antico, il centro storico e il patrimonio culturale diffuso: più che un limite verso la loro modernizzazione si tratta invece di una straordinaria occasione per una forte caratterizzazione identitaria e può diventare il laboratorio a cielo aperto dove sperimentare le tecnologie e le soluzioni più avanzate. Inoltre, le nostre città sono organizzate attorno alle piazze, hanno una forte dimensione turistica, una diffusione capillare della cultura imprenditoriale artigiana e del commercio al dettaglio. Città dunque come straordinari cantieri progettuali

dove sviluppare e testare processi e metodologie di rigenerazione urbana, sensoristica e Internet of Things, nuovi materiali per la protezione degli edifici, architetture digitali di nuova generazione (NGN e Cloud), nuovi sistemi di mobilità di persone e merci, soluzioni innovative di efficienza energetica, orti e serre urbane, solo per citare alcuni esempi di tecnologie “urbane”. Il sistema della ricerca e della formazione, in conclusione, è capace di esprimere qualità ed eccellenza. Adesso però va potenziato e messo al passo con i tempi e le esigenze della modernità. E proprio in questa situazione di difficoltà occorre impegnarsi per esprimere una visione strategica ampia e di medio periodo, con la quale

* Francesco Profumo è un ingegnere e accademico italiano, ex Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del governo Monti. Dal settembre 2003 è stato preside della I Facoltà di Ingegneria al Politecnico di Torino e da ottobre 2005 a novembre 2011 è stato rettore del Politecnico di Torino. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti da parte di università europee, cinesi e sudamericane. È stato coordinatore di diversi progetti nell’ambito delle attività della Commissione europea (Tempus, Comett, Joule, Human Capital and Mobility, Alfa, European Union S&T Grant Program in Japan, Leonardo da Vinci) ed è coordinatore del gruppo Idrogeno del Politecnico di Torino. È stato chairman del G8 University Summit 2009 in Italia (maggio 2009). È membro dell’Accademia delle Scienze in Italia (dal 2007) ed è stato insignito del Lion d’Oro nello stesso anno. Presidente del Management Board del Clean Energy Center (EC2) EU Project in China, presso la Tsinghua University da marzo 2010 a settembre 2011.

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he economic crisis has created difficulties for virtually all the great Western industrialized nations. Today, there is only one way we can react: make a return to the road of growth—human before economic—by networking and focusing on education, research and innovation. Italy needs to restructure its economic system, so we should go back to promoting hi-tech, high added value sectors, with right-sized enterprises equipped with a wealth of expertise and talent. In constructing a mid-term strategic vision, we have to establish a more virtuous relationship with the new European policies of the Horizon 2020 strategy, which will make 80 billion euro of funding available. This is a program our country-system is called to take an active part in: business, government and research bodies must feel directly involved. And it provides us with a vital opportunity to board the train toward growth and progress, making our entrepreneurial excellences and capabilities a priority once again. In this sense, the competitiveness of Italy’s researchers and business organizations in accessing the funds provided by the Commission needs to be enhanced, and the integration between use of these funds and structural funds needs to be improved. On a total 14% contribution to the financing of the VII Framework Program, Italy has used only about 8%; and on cohesion policies too, it comes in second last, just ahead of Romania. Our system must rapidly identify the assets to lever and the strategic partnerships to promote in relation to the “Innovation Union”. The goal of the government, therefore, is to develop a new central role for research and innovation policies in our

strategic decisions, together with a more incisive presence for Italy in European research and innovation policies. The main area to focus on is the Smart Cities program; this will be a fundamental source of financial support and, equally, a unique opportunity to build a new strategic vision of the future of our cities and offer private investors a credible and stable mid-term outlook. The Smart City vision should be the foundation on which our scientific and technological system bases its research and innovation capabilities, steering them to address today’s great social and economic challenges: clean technologies to reduce emissions, intelligent infrastructures for mobility, development of more sustainable urban and housing models, an equitable and technological welfare model for an ageing society and people in difficulty.

A core role will be played by the Italian Digital Agenda, where Smart Cities will be an important focal point for coordination of different sector strategies, with a view to restoring consistency and providing a systematic structure for the sprawling and often confused system of national research and innovation policies. The Smart City is in fact an abstract projection of an idea of a city of the future; its roots lie in an application and conceptual perimeter encompassing a broad range of realizations and verticalized categories as diverse as the domains to which the technologies that will be used to build the Smart City belong: smart mobility, education, energy, government, living, environment, health, welfare and many others. These vertical categories do not constitute, alone or collectively, a Smart City unless they are integrated through a coordination

platform, the key infrastructure of the Smart City and the issue on which political attention and public investment should concentrate. At the heart of the challenge is the construction of a new kind of common asset, a great technological and immaterial infrastructure enabling people and objects to interact, integrating information and generating intelligence, stimulating inclusion and improving our daily lives. Two aspects of the Smart Cities vision need to be emphasized and borne in mind, however. First, the city is seen too often only as the “city that consumes” and the “city to be administered”. But there is a third, increasingly critical vision, the “city that produces”. With the emergence of the services economy, the city today is the heart of the new economy and needs new infrastructure and new knowledge platforms (for both production and


sharing), which will also foster a more competitive way of producing. The second point to remember is that the government is promoting the construction of an “Italian approach” to Smart Cities. Possibly the most characteristic feature of Italian cities is their age, their historic center and great cultural heritage: rather than a constraint on their modernization, this is actually an extraordinary chance for cities to develop a distinctive identity as open-air laboratories where the most advanced technologies and solutions can be tested. Furthermore, our cities are organized around their squares—their piazzas—and have a strong vocation for tourism and a widespread small business and retail culture. Italy’s cities, in other words, are extraordinary project sites where we can develop and test processes and methodologies for urban and sensory regeneration and the Internet of Things, new materials for the protection of buildings, new-generation digital architectures (NGNs and Cloud), new systems for the mobility of people and goods, innovative energy efficiency solutions, urban allotments and hothouses: just some examples of “urban” technologies. To sum up, the research and education system has the power to deliver quality and excellence. Now, however, it needs to be enhanced and brought into line with the exigencies of modern life. And in today’s difficult scenario an effort must be made to formulate a broad, mid-term strategic vision as a basis for re-organizing the relationship between education, research and the corporate system. So today we have to make a qualitative advance. We have to identify priority research areas for investment and the

strategic partnerships to foster within a context of international cooperation on research and technology. The network model is the winner in the knowledge age. And Italy has to learn to work as part of a team, to “cooperate to compete”. The concept of the “creative class” was introduced a few years ago by American sociologist Richard Florida. We need it even more today. As long as we enable it to express its potential in a social context aligned with modern requirements. Time is short, but we still have significant scope to act for the future of young people and entrepreneurship, in other words for the future of Italy.

* Francesco Profumo is an Italian engineer and academic who was Chair of Italy’s National Research Council and Minister for Education, Universities & Research in the Monti Cabinet. He has been Director of the 1st Faculty of Engineering at Turin Polytechnic since September 2003 and was Rector of Turin Polytechnic from October 2005 to November 2011. His work has received wide recognition from universities in Europe, China and South America. He was coordinator of a number of European Commission projects (Tempus, Comett, Joule, Human Capital and Mobility, Alfa, European Union S&T Grant Program in Japan, Leonardo da Vinci) and is coordinator of the Hydrogen group at Turin Polytechnic. He was Chairman of the G8 University Summit 2009 in Italy (May 2009). He has been a member of the Academy of Sciences in Italy since 2007 and was decorated with the Lion d’Oro the same year. He was President of the Management Board of the Clean Energy Center (EC2) EU Project at Tsinghua University in China from March 2010 to September 2011.

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Visioni per una città futura Visions For A Future City di Andrea Granelli* by Andrea Granelli*

La Smart City all’italiana dovrà coniugare contenuti tecnologici più avanzati con il rispetto della specifica identità dei luoghi, per diventare un laboratorio a cielo aperto di nuovi paradigmi The Smart City, Italian-style, should combine cutting-edge technological content with respect for the individual location’s identity, becoming an open-air laboratory for new models

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Andrea Granelli

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el 2008, per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale viveva all’interno delle città. Nel 1900 era solo il 13% e si prevede che entro il 2050 questa percentuale salga fino al 70%. Il fenomeno è diffuso su tutto il pianeta. Legato a questo fenomeno è l’emergere dell’Economia dei Servizi. I servizi non si limitano ad assorbire molti occupati, ma sono da diverso tempo la componente più importante del Pil. Non si tratta solo di un dato puramente quantitativo. La crescita di importanza dei servizi sta cambiando qualitativamente il funzionamento del sistema economico, con modalità che sono ancora in parte inesplorate. E, come è noto, il luogo elettivo di sviluppo dei servizi sono le città. La città diventa dunque il luogo delle grandi opportunità di sviluppo (non solo culturali e sociali ma anche economiche), ma anche il luogo dei grandi problemi della contemporaneità. Nelle città viene prodotto più del 50% del Pil mondiale e questa percentuale cresce nei paesi più sviluppati. I centri urbani occupano più del 2% della superficie terrestre e in città

viene consumato circa il 90% delle risorse prodotte nel mondo. Nelle città avviene il 70–80% del consumo energetico nazionale dei paesi Ocse e gli edifici incidono per il 40% dei consumi energetici mondiali. Oltretutto nelle città vengono prodotti il 45–75% delle emissioni totali di gas serra e il traffico ha un ruolo essenziale. Anche la povertà dilaga, trovando nelle città il suo humus naturale: secondo le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, nel 2028 il 90% della povertà sarà urbana e il 50% dell’umanità vivrà sotto la soglia della povertà in condizioni urbane degradate. La Smart City tra innovazione e utopia Le Smart Cities sono il capitolo recente di un libro che ha origini antiche e che ha cercato – nel suo svolgimento – di definire la città ideale, il luogo desiderato dove si sarebbe voluto (e spesso dovuto) vivere. E questa sua appartenenza al pensiero utopico ne svela alcune dimensioni ideologiche e irrazionali che sono spesso nascoste dal linguaggio asettico e oggettivo della tecnologia. Vi sono due correnti di pensiero rispetto al contributo della tecnologia nella vita quotidiana

e quindi rispetto al ruolo della città come emblema del pieno manifestarsi della tecnica. Una quella più “naturista”, dove è il vivere collettivo che la città (e l’uso spregiudicato della tecnica) ha corrotto, predica il ritorno a uno stato di natura libero e innocente. Altre, come ad esempio quella di Bacone, danno invece alla tecnica – e quindi alla città ideale – il compito di ricomporre uno stato corrotto e degradato dall’animo selvaggio ed egoista dell’uomo. È certamente da questa seconda visione che deriva il concetto di “città intelligente”. Molti grandi pensatori si sono cimentati con la città ideale: pensiamo alla Città delle Donne di Aristofane o alle visioni platoniche – non solo de La Repubblica ma anche di Atlantide – ripresa tra l’altro dal gesuita-scienziato Athanasius Kircher nel suo Mundus subterraneus. Nel dialogo La Repubblica, inizio e matrice di moltissime successive utopie, si parla di una città ideale, cercando di definirne un modello astratto che in qualche modo prescinda da ogni possibilità pratica di realizzazione. Il punto di maggiore contatto con l’idea delle Smart City è però nella Nuova Atlantide di Bacone, opera incompiuta scritta probabilmente tra il 1614 e il 1617. In questa città la scienza è sovrana, e si sperimenta e si studia continuamente. La Nuova Atlantide è il manifesto dell’ideale baconiano della scienza, intesa come sperimentazione che permette all’uomo di dominare la natura piegandola ai suoi fini e ponendola al servizio dei suoi valori morali. La grande assenza contemporanea del pensiero utopico e del sogno – che nasce anche da quella paura del futuro che Remo Bodei ha

chiamato “fissazione in un presente puntiforme” – ha provocato un indubbio impoverimento della progettualità sociale e una perdita della capacità di messa in discussione degli ordini costituiti: da qui la pulsione a costruire nuove utopie. Ed è in questo ambito che si è formato il pensiero delle Smart City, costruito però non da filosofi o pensatori, ma da tecnologi e uomini di marketing di alcune multinazionali del digitale. E poi ha trovato terreno fertile nella Commissione europea che – essendo più lontana dalla vita concreta e dalle differenze culturali e territoriali – ha potuto dedicare non poche risorse a creare modelli e obiettivi di “buon governo” (uno per tutti il Patto di Lisbona), desiderabili certo, ma nella sostanza irraggiungibili. Ma dietro la visione delle Smart Cities non c’è, purtroppo, solo una visione di città ideale, di giusto governo, di impiego corretto di risorse e tecnologie ma – cosa più delicata e problematica – una vera e propria concezione antropologica che vede la città come un luogo che – per “ben funzionare” – deve essere guidato dalle macchine (software di processo, agenti intelligenti, piattaforme di business intelligence). Secondo questa visione, dunque, l’uomo senza tecnica rimane anche senza guida, disorientato, intrinsecamente disordinato e sostanzialmente egoista: una vera idolatria della tecnica. A ben guardare il futuro richiamato dalle riflessioni sulle Smart Cities è più distopico che utopistico. Infatti le soluzioni smart vengono vendute non tanto per dare forma a una città ideale quanto come ricette necessarie per combattere un futuro apocalittico, fatto di carenze energetiche, traffico


invivibile, inquinamento permanente e problemi diffusi di sicurezza. Una proposta per il futuro delle nostre città L’applicazione delle nuove tecnologie alle città è dunque una grande occasione: il tema va però affrontato nel modo giusto e non semplicemente imitando “buone pratiche” oltreconfine. L’approccio, infatti: • non deve essere una pallida imitazione dei modelli americani che partono da una visione distopica del vivere urbano e danno alle tecnologie digitali un potere quasi magico; • non deve neanche coincidere con la risposta ai bandi europei per racimolare le sempre più esigue risorse finanziarie pubbliche a disposizione per l’innovazione. Deve piuttosto diventare

l’occasione per riflettere a fondo sul futuro delle nostre città, riunendo attorno a tavoli progettuali i principali attori (non solo decisori e fornitori) per cogliere a pieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie ma in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città, diverse – non semplicemente più piccole – rispetto alle megalopoli che stanno spuntando come funghi da oriente a occidente. Bisogna dunque puntare a una città a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente. Come disse Adriano Olivetti “Noi sogniamo una comunità libera, ove la dimora dell’uomo non sia in conflitto né con la natura, né con la bellezza”. Una città dunque che non debba puntare necessariamente a diventare un hub nevralgico della competizione globale

e accelerata, ma un luogo dove possano convivere in maniera armonica innovazione e tradizione, attività culturali ed economiche, imprenditoria for-profit e iniziative sociali. Una città dove l’esigenza di una mobilità urbana efficiente e sostenibile si possa integrare in maniera naturale con grandi aree pedonali, dove il controllo dell’inquinamento e la conseguente chiusura al traffico automobilistico dei centri (storici) riproponga la validità di quella città a misura d’uomo che ha visto la sua genesi e soprattutto il suo pieno sviluppo nell’area mediterranea. Quella città dove l’agorà e i “centri commerciali naturali” (e non le superstrade e lo shopping mall integrato con i parcheggi per le auto) ritornino a essere il fulcro naturale della città.

In questo scenario il ruolo della tecnologia è naturalmente essenziale, ma deve rimanere “al suo posto”: troppo spesso, infatti, da strumento si è trasformata in fine. Ritengo molto sbagliato questo approccio un po’ troppo deterministico e tecnologico alle Smart Cities che, partendo da un modello concepito negli Stati Uniti ed esteso alle grandi megalopoli orientali, non solo contempla un solo tipo di città, molto diverso dal nostro, ma ritiene che le nuove tecnologie siano la panacea di tutti i mali e oltretutto non costino nulla. È in questo approccio che si annidano i problemi, non nell’applicazione delle tecnologie al contesto urbano. Ma per cogliere in maniera autentica e duratura le grandi opportunità aperte dalla sempre più esuberante innovazione tecnologica, bisogna (ri)partire dalla vocazione dei territori e dall’agenda politica dei loro amministratori e le tecnologie devono ritornare a essere strumenti (e non fine): per questo vanno comprese in profondità, cogliendone con chiarezza anche le ombre o addirittura i lati oscuri – spesso ignorati ma peraltro in aumento.

* Andrea Granelli è presidente di Kanso, società di consulenza specializzata in innovazione e change management. Da diversi anni lavora su temi legati all’innovazione: è stato in McKinsey e successivamente amministratore delegato di Tin.it e dei laboratori di ricerca del Gruppo Telecom. È in molti comitati scientifici e in commissioni di valutazione. È stato membro del comitato di valutazione del CNR e direttore scientifico della scuola internazionale di design Domus Academy. Scrive periodicamente di innovazione su quotidiani e riviste e ha pubblicato molti libri. Ha inoltre curato la voce “Tecnologie della comunicazione” per la nuova enciclopedia Scienza e Tecnica della Treccani.

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n 2008, for the first time ever, the majority of the world population lived in cities. In 1900 city-dwellers accounted for only 13% of the Earth’s inhabitants; the percentage is expected to rise to 70% by 2050. The phenomenon is planet-wide. A parallel trend is the emergence of the Services Economy. Services are not just an important source of employment, for a long time they have been the most significant component of GDP. This is not simply a quantitative question. The growing role of services is bringing qualitative change to the workings of the economic system, in ways that, in part, are still unexplored. And the elective location for the development of services is, of course, the city. The city, then, is where the major opportunities for growth arise (economic as well as cultural and social growth), and also the origin of the major problems of modern life. Our cities produce more than 50% of world GDP and the percentage is even higher in the developed nations. Urban centers occupy more than 2% of the Earth’s surface and consume about 90% of the resources produced around the world. Cities account for 70–80% of domestic energy consumption in the OECD countries and city buildings are responsible for 40% of world energy consumption. Most significantly, cities produce 45-75% of total greenhouse gas emissions, with city traffic playing an essential role. Poverty is spreading too, finding a natural humus in cities: according to the United Nations and the World Bank, in 2028, 90% of poverty will be urban poverty and 50% of the world population will live below the poverty line in conditions of urban squalor.

The Smart City between innovation and utopia Smart Cities are the latest chapter in a book with ancient roots, which, over time, has attempted to define the ideal city, the place where people dream of living (and often ought to have lived). Their connection with utopian thought reveals a number of ideological and irrational elements frequently masked by the aseptic and objective language of technology. There are two schools of thought regarding the contribution of technology to daily life and, consequently, the role of the city as an emblem of the full realization of technology: a more “naturist” school, which holds that collective life has been corrupted by the city (and by the unprincipled use of technology), whose advocates call for a return to a free and innocent state of nature. The second school, propounded for example

by Bacon, attributes to technology—and thus to the ideal city—the task of improving man’s condition, corrupted and degraded by his wild and selfish spirit. The concept of the “smart city” certainly stems from this second vision. Many great thinkers have examined the notion of an ideal city: Aristophanes with his City of Women or Plato—not just in The Republic but also in Atlantis—reprised by, among others, the Jesuit scientist Athanasius Kircher in his Mundus subterraneus. The Republic, the source and matrix for a great many subsequent utopias, refers to an ideal city, seeking to establish an abstract model that is somehow detached from any practical possibility of realization. The point of closest contact with the idea of the Smart City, however, comes in Bacon’s New Atlantis, an unfinished novel written probably between 1614 and 1617. In this city,

science rules supreme, inspiring continuous experimentation and study. New Atlantis is the manifesto for the Baconian ideal of science as experimentation to enable man to dominate nature, bending it to his will and placing it at the service of his moral values. Without doubt, the great absence today of utopian thought, of a dream—an absence caused in part by a fear of the future described by Remo Bodei as a “fixation in a punctiform present”—has impoverished social planning and development skills and diminished the ability to question our constituted orders: the motor powering the drive to build new utopias. This is the background against which the idea of the Smart City has developed, shaped not by philosophers or thinkers, however, but by technologists and marketing men from digital multinationals. Fertile ground has also been found in the


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European Commission, which—as a body detached from the realities of daily life and from cultural and territorial differences—has been able to devote not insignificant resources to the creation of models and goals of “good governance” (the Lisbon Treaty is just one example), which, though desirable, in practice are impossible to achieve. Unfortunately, the vision of the Smart Cities is not based solely on a vision of an ideal city, good governance, correct use of resources and technologies; at a more delicate and problematic level, it is also informed by a fully formed anthropological picture of the city as a place that, to work properly, needs to be led by machines (process software, intelligent agents, business intelligence platforms). In this vision, without technology man lacks guidance, is disoriented, intrinsically disorganized and substantially selfish: technology is idolized. A closer look shows that the future evoked by reflections on the Smart Cities is more dystopian than utopian. Rather than as tools for shaping an ideal city, smart solutions are sold as the models needed to combat an apocalyptic future of energy shortages, intolerable traffic, permanent pollution and widespread security and safety problems.

A proposal for the future of our cities So the application of today’s new technologies to cities is a great opportunity: but rather than simply imitating international good practice, we have to approach the question in the right way. In other words, our approach: • should not be a pale imitation of American models, rooted in a dystopian vision of urban life attributing almost magical powers to digital technology; • nor should it be limited to responses to European calls for tenders in order to scrape together the increasingly meager public financial resources available for innovation. Rather, it should be an opportunity to reflect on the future of our cities, extending the planning process to all the main players (not just decision-makers and suppliers) so that full advantage can be taken of the potential offered by the new technologies, but in full harmony with the history, traditions and vocations of our cities, which are different from—not just smaller than—the megalopolises springing up like mushrooms from East to West. Our goal should be a city designed for man and respectful of the environment. As Adriano Olivetti said “We dream of a free

community, where man dwells in conflict neither with nature nor with beauty.” A city that does not necessarily strive to become a nerve center of fast-paced global competition, but a place where innovation and tradition, cultural and economic activities, for-profit business and social initiatives can exist amicably side by side. A city where the need for efficient, sustainable urban mobility can be integrated naturally with large pedestrian areas, where pollution control and the consequent exclusion of cars from historic city centers re-establishes the value of the city for man that originated and, above all, flourished in the Mediterranean. The city where the agora and “natural shopping centers” (not dual carriage-ways and malls complete with car-parks) are once again the natural heart of the city. Naturally, technology has an essential role to play in this scenario, but it must “know its place”: too frequently, it has been changed from a means into an end. In my view, this overly deterministic and technological approach to the Smart Cities is quite wrong: starting from a model conceived in the USA and extended to the great Eastern megalopolises, not only is it restricted to a single type of city—one quite different

to our models—it regards new technology as a cure for all ills, above all as a cost-free cure. It is here, in this approach, that the problems lie, not in the application of technologies to the urban context. If we want to achieve a genuine and lasting response to the major opportunities opened up by increasingly exuberant technological innovation, our starting point has to be the vocation of local communities and the political agenda of their administrators, with technology as a means (not an end): this is why technology has to be considered in full, with a clear understanding of its weaknesses and drawbacks, which, though often ignored, are growing.

* Andrea Granelli is Chairman of Kanso, a consultancy specializing in innovation and change management. He has worked in areas relating to innovation for a number of years: he was with McKinsey and later was CEO of Tin.it and the Telecom Group research labs. He sits on many scientific committees and assessment commissions. He was a member of the assessment committee of Italy’s National Research Council and science director at the Domus Academy international design school. He writes regularly about innovation for daily newspapers and magazines and has published several books. He edited the “Communication Technologies” entry for the new Treccani encyclopedia Scienza e Tecnica.


L’ordito delle comunità The Warp Of Communities di David Bevilacqua* by David Bevilacqua*

L’armonizzazione delle scelte tecnologiche, strategiche e operative di tutti gli stakeholder è il primo pilastro del successo nei processi di trasformazione intelligente degli ambienti urbani Harmonization of the technological, strategic and operating preferences of all stakeholders is the first pillar for success in the intelligent transformation of urban environments

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e città sono da sempre un’entità in continua evoluzione: i loro confini si modificano, le comunità che le abitano e le attraversano cambiano volto e composizione, muta il paesaggio economico, culturale, sociale. In passato la trasformazione avveniva con lentezza e se vi era una accelerazione, generalmente era causata da circostanze esterne, quali gli esiti di conflitti o eventi naturali. Due, tre generazioni potevano condividere la stessa esperienza di cittadini. Negli ultimi trent’anni il panorama è radicalmente mutato, in particolare come conseguenza di innovazioni tecnologiche che, succedendosi a ritmo travolgente, hanno introdotto nuove opportunità e trasformato i modelli di vita e lavoro. Allo stesso tempo, sono venuti al pettine nodi cruciali per un futuro sostenibile, quali l’impennata nei processi di urbanizzazione – che ci fa prevedere che il 70% della popolazione mondiale entro il 2050 vivrà in città – la questione energetica, i cambiamenti climatici, i limiti ormai evidenti di un sistema messo seriamente in discussione dalla crisi. Chi amministra le città avendo il compito di affrontare questi problemi è consapevole che le

tecnologie dell’informazione e della comunicazione – e i modelli di business innovativi che esse abilitano – sono un fattore chiave per l’evoluzione degli ambienti urbani. In alcuni casi sono state compiute scelte pionieristiche, che hanno fatto di alcune città fucine di opportunità, comunità ricche di talenti e interconnesse, motore di sviluppo e innovazione per il territorio. In altri casi, si è accumulato il peso di infrastrutture e servizi inadeguati, inquinamento, perdita di identità e di rilevanza economica; nella maggior parte delle realtà sono accadute entrambe le cose, magari in quartieri diversi o interessando fasce di popolazione diverse. Ciò è avvenuto perché, di fronte all’accelerazione tecnologica, troppi hanno ritenuto che la continua disponibilità di nuovi strumenti avrebbe assicurato di per sé migliore qualità della vita e sviluppo. Nello sforzo di adattamento a nuovi scenari, si è trascurata la centralità del “fattore umano”. Si è concepita una rete di dispositivi sempre più pervasiva, efficace, ricca di funzioni, ma si è sottovalutato che sono le persone a utilizzare i dispositivi per vivere, lavorare, apprendere, realizzare i propri progetti.

Laddove si è saputo integrare la rete di dispositivi con la rete di persone, le tecnologie sono diventate una “piattaforma operativa” per dare concretezza con più semplicità ed efficacia alle idee, in un contesto aperto e collaborativo; chi sviluppa le piattaforme ha lavorato insieme con imprese e istituzioni e ha creato intorno a sé un ecosistema virtuoso, fatto di innovazioni da integrare e accelerare facendo leva sulle potenzialità dell’IT. Questo modello di collaborazione fra “portatori di idee” e “portatori di tecnologia” è ciò in cui Cisco crede fermamente e ciò su cui si basa l’approccio al tema Smart City – che noi preferiamo immaginare come Smart and Connected Communities, proprio a sottolineare la centralità delle persone, dei loro bisogni, e non dei “confini amministrativi” che costituiscono il limite visibile di una città. In una comunità intelligente e interconnessa, la rete abilita un interscambio continuo di dati, informazioni e azioni, che ha impatto su tutto ciò che compone il sistema-città: i trasporti, le case e gli uffici, le scuole, le strutture sanitarie, la gestione del territorio, la sicurezza. Ciò intreccia strettamente l’azione di una quantità di soggetti che prevalentemente non si erano mai dovuti confrontare con la necessità di pensare e agire in modo interdipendente e integrato: utility, gestori di servizi, istituzioni, operatori di infrastrutture, privati di ogni settore, forze di polizia e protezione civile. L’armonizzazione delle scelte tecnologiche, strategiche e operative di tutti gli stakeholder è il primo pilastro del successo nei processi di trasformazione intelligente degli ambienti urbani; in questo snodo cruciale l’ICT gioca un ruolo

fondamentale, in quanto è suo compito creare le piattaforme che permettano di coordinare e pianificare lo sviluppo della Smart City, unendo partner pubblici e privati in un ecosistema capace di rispondere ai bisogni in modo integrato ed efficace. Il secondo pilastro del successo dei progetti di trasformazione digitale delle città è il coinvolgimento delle persone. Per questo le piattaforme tecnologiche di cui si è parlato finora, che potremmo definire “le fondamenta della città digitale”, devono restare trasparenti per l’utente – nonostante l’estrema complessità che le caratterizza. Solo a questa condizione, infatti, la comunità digitale può essere vissuta come un insieme di esperienze a disposizione del cittadino e restare aperta a una continua evoluzione, stimolata dalle richieste e dalle proposte provenienti dalla comunità. I cittadini sono i “mattoni della città digitale”, ma il miglioramento della qualità della vita e la possibilità di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale dipendono dalla capacità di dare continuità all’esperienza della comunità digitale in tutti i momenti e le modalità di espressione della vita quotidiana. Idealmente, tutto ciò che viene vissuto deve essere “smart”: i movimenti delle persone nelle città, l’ambiente di apprendimento che i ragazzi trovano a scuola, i luoghi di lavoro, le abitazioni, l’interazione con uffici pubblici e aziende, fino agli strumenti disponibili per segnalare disservizi, proporre innovazioni, produrre nuove applicazioni a partire dai dati prodotti da istituzioni e privati. Per garantire questo livello di continuità è necessario che il ragionamento culturale e tecnologico sulle Smart Cities


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si ampli fino a ricomprendere il territorio e idealmente il paese in cui si trova una città; compito del mondo ICT è anche quello di non limitarsi a proporre soluzioni limitate – per quanto intelligenti – in ambienti limitati, bensì di premere perché gli stakeholder delle città digitali siano consapevoli della necessità di creare una “filiera smart” che metta a sistema e a fattor comune le iniziative di tutti. Un esempio di questo approccio è City Protocol, una iniziativa in cui Cisco è direttamente coinvolta, insieme alla municipalità di Barcellona, a GDF Suez e a decine di città, istituzioni accademiche e di ricerca del mondo. City Protocol è il primo “sistema di certificazione” per le Smart Cities, che si basa sull’identificazione di standard

condivisi e di metodologie specifiche per integrare le diverse piattaforme tecnologiche attive in un ambiente urbano intelligente. Coinvolgendo industrie, enti e agenzie di ricerca, City Protocol si pone l’obiettivo di sviluppare percorsi e soluzioni per costruire le smart communities del futuro, mettendo a frutto le competenze e le esperienze già maturate in progetti concreti di trasformazione delle città. In questo modo, tutti coloro che da oggi in poi vorranno intraprendere questo viaggio potranno avvalersi di modelli collaudati e di nuovi strumenti, che nasceranno dall’azione di una organizzazione creata ad hoc, la City Protocol Society. La City Protocol Society, operativa dalla primavera del 2013, è una comunità aperta a città, aziende, istituzioni ed enti

di ricerca; nasce sul modello della Internet Protocol Society, che ha messo a punto in modo aperto, pubblico e collaborativo il web come oggi lo conosciamo e si occupa del suo sviluppo. Se è vero che le città del mondo non sono tutte uguali, e ciò che funziona in un contesto non è necessariamente adattabile altrove, vi sono certamente degli elementi comuni che possono essere messi alla base di qualunque progetto, garantendo il rispetto di criteri qualitativi e operativi specifici; questo approccio è tanto più efficace in un momento critico dal punto di vista economico quale quello che stiamo attraversando, perché permette anche ai soggetti con minori risorse di non restare tagliati fuori dai grandi cambiamenti urbani del futuro, applicando modelli di business virtuosi

e riducendo i costi di avvio e sperimentazione dei progetti per le smart communities.

* David Bevilacqua è vice presidente della regione Sud Europa di Cisco Systems. Entrato in Cisco nel 1996, è stato general manager per l’area South East Europe e poi responsabile del mercato Enterprise di Cisco Europa; nel 2009 è stato nominato amministratore delegato di Cisco Italia e nel settembre 2012 ha assunto il suo attuale incarico. Ha conseguito un Master presso la Stanford University Graduate School of Business ed è vice presidente di Stanford Club Italia. È presidente di Assolombarda Monza e Brianza e membro del Consiglio della Camera di Commercio di Monza e Brianza. È vice presidente di American Chamber of Commerce in Italy e fa parte del consiglio direttivo di Confindustria Digitale. Nel novembre 2011 ha ricevuto il Premio Eccellenza conferito ogni due anni da Manager Italia, CFMT e Confcommercio.


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ities have always been constantly evolving entities: their boundaries shift, the communities living in and passing through them change in appearance and composition, their economic, cultural and social landscapes shift. In the past, change was a slow process and any acceleration was usually caused by external circumstances, such as the outcome of war or natural events. Two, even three generations could share similar experiences as city-dwellers. Over the last thirty years the situation has changed dramatically, largely as a result of an overwhelmingly rapid succession of technological innovations introducing new opportunities and transforming life styles and employment models. At the same time, a number of issues critical to a sustainable future have emerged: the sharp rise in urbanization—indicating that, by 2050, 70% of the world population will live in cities—the energy question, climate change, the now evident limits of a system seriously affected by the crisis. City administrations responsible for tackling these issues are aware that information and communication technologies—and the innovative business models they enable—are key to the evolution of urban environments. In some cases, pioneering decisions have been taken to transform some cities into powerhouses of opportunities, interconnected communities with a wealth of talent, engines for local growth and innovation. In other cases, there has been a build-up of inadequate infrastructure and services, pollution, loss of identity and economic importance; in most places, both phenomena have been experienced, perhaps in different districts of a city or

among different sections of the local population. The reason is that as the pace of technological development has quickened, too many people believed the continuous availability of new tools would automatically ensure a better quality of life and progress. In the effort to adapt to new scenarios, they neglected the central role of the “human factor”. An increasingly pervasive, effective and function-rich network of devices was imagined, but insufficient attention was paid to the fact that it is people who use the devices to live, work, learn, develop projects. In places where the network of devices has been successfully integrated with the network of people, technologies have become an “operating platform” to give concrete form to ideas simply and effectively, in an open collaborative context; the platform developers work with business and government, creating a virtuous eco-system built on innovation, to be expanded and accelerated by leveraging the potential of IT. This model of collaboration between “bearers of ideas” and “bearers of technology” is something in which Cisco firmly believes, and on which it bases its approach to the Smart City—which we prefer to refer to as Smart and Connected Communities, thereby

highlighting the central place of the residents and their needs, rather than the “administrative boundaries” that constitute the visible limit of a city. In a smart and connected community, the network enables continuous exchanges of data, information and actions, with an impact on all the elements of the city-system: transport, housing, offices, schools, healthcare facilities, territorial management, security. This is closely linked with the activities of parties who, generally speaking, have never been faced with the need to think and act in an interdependent and integrated manner: utilities, service managers, government agencies, infrastructure operators, private bodies in every sector, the police and civil defense. Harmonization of the technological, strategic and operating preferences of all stakeholders is the first pillar for success in the intelligent transformation of urban environments; in this crucial dimension, a vital role is played by ICT, whose task is to create the platforms for coordinating and planning the development of the Smart City, bringing public and private partners together in an eco-system capable of meeting needs in an integrated, effective manner. The second pillar for successful projects for the digital transformation of cities is

engaging people. Consequently, the technological platforms referred to above, which we could call “the foundations of the digital city”, must be transparent to the user, their extreme complexity notwithstanding. Only then can the digital community be a set of experiences available to residents and open to continuous evolution, stimulated by the requirements and suggestions coming from the community. People are the “bricks of the digital city”, but improving the quality of life and making sustainable economic, social and environmental development possible depends on the ability to ensure the continuity of the digital community experience at all times and in every form of expression of daily life. Ideally, everything should be “smart”: travel inside the city, the learning environment in schools, workplaces, housing, interaction with public offices and businesses, up to the tools for reporting service breakdowns, proposing innovation, realizing new applications from the data produced by government agencies and private citizens. To guarantee this level of continuity, cultural and technological discussion about Smart Cities should expand to encompass the region and ideally the country in which a city is located; one task of the


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ICT community is to not restrict itself to proposing limited solutions—however smart—in limited environments, but to make sure that the stakeholders of digital cities are aware of the need to create a “smart supply chain”, pooling everyone’s initiatives into the system. One example of this approach is City Protocol, an initiative in which Cisco is directly involved, together with the municipality of Barcelona, GDF Suez and dozens of cities, academic bodies and research bodies around the world. City Protocol is the first “certification system” for Smart Cities, based on the definition of common standards and specific methodologies to integrate the various technological platforms in a smart urban environment.

By involving industries, government agencies and research bodies, City Protocol intends to develop paths and solutions to build the smart communities of the future, using the competences and experiences already developed in real projects for the transformation of cities. In this way, everyone wishing to move in this direction will have the benefit of tested models and new tools, developed from the action of an organization set up ad hoc, the City Protocol Society. Due to begin operations in the spring of 2013, the City Protocol Society is a community open to cities, business organizations, government and research bodies; its model is the Internet Protocol Society, which, through

open, public collaboration, has established the web in the form we know it today and follows its development. While it is true that not all cities are the same, and that something that works in one place may not necessarily be suitable elsewhere, there are certainly a number of common elements that can provide the foundation for any project, guaranteeing compliance with specific qualitative and operating criteria; this approach is particularly effective at a time of economic crisis like the present: by applying virtuous business models and reducing smart community project start-up and testing costs it ensures that even players with the fewest resources need not

be excluded from the great urban changes of the future.

* David Bevilacqua is Vice President, South Europe, at Cisco Systems. After joining Cisco in 1996, he was General Manager for South East Europe and later head of the Cisco Europe Enterprise market; in 2009 he was appointed CEO of Cisco Italia and moved to his current post in September 2012. He has a Master from Stanford University Graduate School of Business and is Vice President of Stanford Club Italia. He is President of Assolombarda Monza and Brianza and sits on the board of the Monza and Brianza Chamber of Commerce. He is Vice President of the American Chamber of Commerce in Italy and a member of the Steering Committee of Confindustria Digitale. In November 2011 he received the Excellence Award, presented every two years by Manager Italia, CFMT and Confcommercio.


Amsterdam, per esempio Amsterdam, for example di Joost Brinkman* by Joost Brinkman*

Le città sono la piattaforma migliore per creare un movimento volto a un futuro più sostenibile. Il programma Amsterdam Città Intelligente propone esemplificazioni su come accelerare la transizione energetica Cities are the best platform to build a movement towards a more sustainable future. The Amsterdam Smart City program show cases how to accelerate the energy transition

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Joost Brinkman

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on più di metà della popolazione mondiale residente in aree densamente abitate, le città sono la migliore piattaforma per condividere energia, idee ed entusiasmo al fine di sviluppare un movimento volto a un futuro più sostenibile, reso possibile da una nuova generazione di reti elettriche. Alcune delle questioni chiave è come creare iniziative che abbiano un impatto sufficientemente importante per raggiungere obiettivi di energia sostenibile e di riduzione dell’anidride carbonica, in che modo le città possono sensibilizzare i loro abitanti all’urgenza di agire in questo senso e promuovere l’azione, e in che modo le città mobilitano le imprese per realizzare le tecnologie a sostegno di questa transazione energetica. Insieme all’operatore elettrico locale Liander e con il sostegno di Accenture, Amsterdam ha compreso e accettato questa sfida.

Gli obiettivi climatici di Amsterdam La città di Amsterdam ha stabilito alcuni obiettivi climatici con tempistiche ambiziose: • 40% di riduzione della CO2 nel 2025 rispetto ai livelli del 1990;

• 20% di riduzione di energia nel 2025 rispetto ai livelli del 1990; • Piani energetici di CO2 neutrale a livello delle singole municipalità prima del 2015. Nel frattempo, l’ammodernamento delle attuali reti elettriche rappresenta la perfetta opportunità per ottenere reti elettriche intelligenti, e questo anche in ragione del fatto che le stesse sono considerate uno strumento chiave per affrontare le questioni climatiche attraverso l’uso di comunicazioni a due vie, volte a massimizzare l’efficienza energetica e a rispondere alle richieste di fornitura di energia da fonti rinnovabili. Amsterdam Smart City L’organizzazione Amsterdam Innovation Motor (AIM) è stata creata per mantenere e consolidare la posizione di esempio pilota della regione di Amsterdam nell’economia della conoscenza. AIM è gestita dal Consiglio Economico di Amsterdam e promuove innovazione, cooperazione e nuove attività nella regione di Amsterdam. Insieme all’operatore di rete Liander, AIM ha colto queste sfide e opportunità, e ha sviluppato e implementato un programma

volto a ottenere un impatto sostanziale sulla necessità di passare a nuovi tipi di energia. Il programma verte su quattro aree (stili di vita, lavoro, mobilità e spazi pubblici sostenibili), corrispondenti ai maggiori emittenti di CO2. Il programma è supportato da tecnologie intelligenti come i contatori intelligenti o la tecnologia delle reti elettriche intelligenti. Al fine di massimizzare il risultato di questo sforzo congiunto dei partner, vengono coinvolti attivamente gli utenti finali, i quali, in ultima analisi, saranno gli artefici della transizione energetica. Il fine ultimo è dare maggiore impulso alla domanda di tecnologie più sostenibili. Questo articolo descrive il progetto Amsterdam Smart City, i suoi risultati intermedi e le principali politiche e governance, così come le sfide che sono state affrontate. L’approccio di Amsterdam Benché ovunque si trovino singoli individui e aziende disposte a cambiare, le azioni messe in atto fino a ora sono state insufficienti a causa delle limitate capacità e degli interessi divergenti dei diversi stakeholders. Le parti coinvolte non formano una squadra,

e questo risulta in un impatto finale troppo inconsistente. Il divario tra intenzioni e azioni è troppo marcato; il progetto Amsterdam Smart City tenta di colmare questo divario con la creazione di una piattaforma di partner pubblico-privati. Amsterdam Smart City è stato sviluppato come acceleratore di programmi climatici ed energetici, promuovendo la collaborazione tra i vari partner e dando inizio a progetti volti a ridurre le emissioni di CO2 e a incentivare le migliori prassi a livello locale da espandere poi su larga scala. Il fulcro dell’approccio di Amsterdam è che i “Living Lab” sono utilizzati come progetti pilota. Tali progetti vertono su esperienze di vita reale e sul potenziale adattamento di tecnologia e servizi. I principali obiettivi del programma Amsterdam Smart City sono i seguenti: 1. creare collaborazione e partnership publico-private; 2. acquisire know-how in materia di cambiamento comportamentale; 3. ridurre le emissioni di CO2 stimolando le innovazioni tecnologiche in materia di risparmio energetico e generazione di energia;


4. diffondere conoscenza e comunicazione attiva di tale know-how. Nell’arco di due anni Amsterdam Smart City ha dato il via a 16 progetti con oltre 60 diverse aziende partner. I progetti vertono su aree quali stile di vita sostenibile, lavoro sostenibile, mobilità sostenibile e spazi pubblici sostenibili. Amsterdam Smart City è la piattaforma di prova di varie iniziative volte a individuare quali iniziative e processi siano sostenibili per un’implementazione su larga scala. I progetti avviati I numerosi progetti che sono stati avviati finora dal programma Amsterdam Smart City sono fortemente incentrati sugli utenti effettivi: cittadini, piccole-medie imprese, locatari, bambini, ecc. Nel distretto di Geuzenveld, ad esempio, numerose residenze sono state dotate di un contatore intelligente e di un dispositivo di retroazione a risparmio energetico. Nella città di Harlem, 250 residenze hanno testato i sistemi di gestione del consumo energetico mediante prese elettriche intelligenti. Nel settore pubblico, numerose scuole hanno preso parte a una competizione sul risparmio

energetico, con una conseguente riduzione del consumo energetico pari al 10%. Tramite i bambini che insegnano ai genitori come risparmiare energia, è stato senza dubbio centrato l’obiettivo di “apprendere facendo”. Nella via Utrechtsestraat (una tipica via commerciale di Amsterdam), oltre 40 negozianti hanno messo in atto misure volte alla gestione e al risparmio energetico, come l’illuminazione a LED (con un risparmio di energia, rispetto alle classiche lampadine, fino all’80%). I rifiuti sono attualmente ritirati da un solo veicolo elettrico, anziché da vari veicoli diesel. In una casa del XVII secolo, affacciata su un canale, è stata installata da un consorzio di imprese un’innovativa cella di combustibile (con un’efficienza che supera i più moderni impianti di produzione di energia elettrica) come primo test pilota. Questa è solo una descrizione generale di alcuni progetti: maggiori informazioni e una più ampia selezione di progetti sono disponibili sul sito web www.amsterdamsmartcity.nl. Coinvolgimento di partner e cittadini In tutti i progetti pilota si è

stretta una forte collaborazione tra i diversi partner coinvolti nell’iniziativa e, al fine di massimizzarne la diffusione di conoscenza, sono state messe in atto varie attività di comunicazione tanto per i partner quanto per i progetti. Il coinvolgimento dei cittadini dipende dai singoli progetti. Per il programma Amsterdam Smart City, il coinvolgimento degli utenti finali dell’energia (i cittadini) è di vitale importanza in ragione del fatto che le tecnologie testate sono inutili senza l’accettazione e l’esperienza degli utilizzatori finali dell’energia. Promuovere un cambiamento nelle abitudini o nei comportamenti degli utenti induce a un incremento della domanda di tecnologie più sostenibili. In uno dei progetti è stato utilizzato un metodo di “innovazione aperta” per ottenere reazioni e risposte da parte degli abitanti di Amsterdam volte a superare le resistenze che i consumatori di energia hanno nel diventare produttori di energia. Le conoscenze chiave Grazie alle attività del programma Amsterdam Smart City e al loro ampio raggio di intervento, l’intera regione

di Amsterdam finisce col riceverne un beneficio economico. L’impatto è anche maggiore grazie alla collaborazione indiretta derivante dagli effetti dello stesso programma: un enorme e inaspettato riconoscimento e interesse a livello internazionale che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di marketing della città. Gli insegnamenti chiave derivanti complessivamente dal programma Amsterdam Smart City sono i seguenti: • la collaborazione tra i vari stakeholders richiede tempo, e i partner stessi devono essere disposti a collaborare; • la difficoltà maggiore nel mettere in atto le tecnologie non è la tecnologia in se stessa, quanto l’adattamento degli utenti finali; • la facilità di utilizzo e i benefici economici sono i principali strumenti di richiamo per i consumatori; • le innovazioni vere e proprie provengono da piccoli (giovani) innovatori e una collaborazione aperta con grandi imprese può sicuramente accelerarle. L’obiettivo principale dei progetti pilota del programma Amsterdam Smart City è di individuare come si originino

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queste differenti collaborazioni e in che modo sia possibile modificare il comportamento degli utenti finali. La fase successiva Nel 2012 il provider di telecomunicazioni KPN ha aderito alla piattaforma ASC come partner fondatore. Con KPN e la municipalità di Amsterdam, che sostengono attivamente il programma Amsterdam Smart City, la piattaforma ha ora strumenti migliori per ottenere un maggiore impatto. Le iniziative di prova e di apprendimento avranno sempre un ruolo importante; tuttavia, il programma Amsterdam Smart City si è evoluto optando per uno specifico approccio regionale. Unendo il fabbisogno regionale con l’agenda di investimenti locali, si genera il potenziale per creare nuovi prodotti e servizi, e per testarli e adattarli in un ambiente reale, il living lab (laboratorio vivente) urbano.

* Joost Brinkman è senior manager presso la Accenture Sustainability Services ed è stato amministratore delegato del progetto Amsterdam Smart City tra il 2009 e il 2012. Ha ricoperto vari incarichi nell’industria delle utility e dell’energia sin dal 2000: presso Nuon ha lavorato come ingegnere energetico e in qualità di project manager ha gestito vari progetti presso società di servizi quali Alliander, Eneco, Dong e Nuon. Di recente, Brinkman è stato responsabile delle linee guida gestionali e di sviluppo del programma Amsterdam Smart City. È inoltre il principale ideatore della strategia di sostenibilità di Accenture in Olanda, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione dei veicoli elettrici.

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ith more than half the world’s population living in densely populated cities, cities are the best platform to share energy, ideas and enthusiasm to build a movement towards a more sustainable future, enabled by a new generation of grids. Some of the key questions are how to create initiatives with substantial impact to reach sustainable energy and carbon reduction goals, how cities can mobilize their inhabitants to sense the urgency and take action, and how cities mobilize businesses to realize technologies that support the energy transition. Together with the local grid operator Liander and support of Accenture, Amsterdam recognized and acted on this challenge.

Climate goals of Amsterdam The city of Amsterdam has set a number of climate goals with challenging deadlines: • 40% CO2 reduction in 2025 from a 1990 baseline; • 20% energy reduction in 2025 from a 1990 baseline; • Municipal organization CO2 neutral before 2015. At the same time the required upgrade of current electricity grids presents the perfect opportunity to implement Smart Grids, since they are also seen as a key enabler to address climate issues through the use of two way communications to maximize energy efficiency and meet demand with supply from renewable sources.

Amsterdam Smart City Amsterdam Innovation Motor (AIM) was established to maintain and consolidate the trendsetting position of the Amsterdam region in the knowledge economy. AIM is directed by the Amsterdam Economic Board. It promotes innovation, cooperation and new business in the Amsterdam region. Together with grid-operator Liander, AIM recognized these challenges and opportunities and has designed and initiated a program to make a substantial impact on the energy transition need. The program focuses on four areas (sustainable living, working, mobility and public space), corresponding to the largest CO2 emitters. It is supported by intelligent technologies like smart meter or smart grid technology. In order to maximize the result of this joint effort from the partners, the end-users that will ultimately have to make the energy transition are actively involved. The ultimate goal is to create a demand pull for more sustainable technologies. This article describes Amsterdam Smart City, its intermediary results and the main policy and governance, as well as challenges it has faced. The Amsterdam Approach Although individuals and businesses everywhere are willing to change, too little action has been taken so far due to the limited capabilities

and different interests of separate stakeholders. The required parties do not team up, resulting in too little impact being made. There is a clear gap between intentions and actions; by setting up a platform for public and private partnerships Amsterdam Smart City tries to fill this gap. Amsterdam Smart City is designed as an accelerator for climate and energy programs, bringing parties together and initiating projects that reduce CO2 and yield local best practices for full-scale roll out. The essence of the Amsterdam approach is that “Living Labs” are being used for pilot-projects. Pilots focus on real life experience and potential adaptation of technology and services. The main objectives of the Amsterdam Smart City program are to: 1. Create collaboration and public-private partnerships. 2. Gain knowledge in behavioral change. 3. Reduce CO2 by stimulation of technical innovations regarding energy saving and generation. 4. Disseminate knowledge and active communications of these learning’s. Over a period of two years Amsterdam Smart City has initiated 16 projects, with over 60 different participating organizations. The projects are focusing on areas such as sustainable living, sustainable working, sustainable mobility and sustainable public spaces.


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Amsterdam Smart City tests different initiatives to determine which initiatives and processes are suitable for large-scale implementation. Initiated Projects The multiple projects initiated so far by Amsterdam Smart City have a strong focus on the actual users: citizens, small and medium enterprises, tenants, children, etc. For instance, in the Geuzenveld neighborhood a number of inhabitants was provided with a smart meter and an energy feedback device. In the city of Haarlem, 250 households tested energy management systems with smart plugs. In the public space, an energy savings contest between several schools was held, with a 10% energy reduction as result. With kids teaching their parents on energy savings, the goal of “learning by doing” was certainly realized. In the Utrechtsestraat (a genuine Amsterdam shopping street) over 40 shop owners implemented a broad range of energy management and energy saving measures like LED-lighting (saving up to 80% energy compared to classic light bulbs). Also the waste in the street is currently collected by an electrical waste truck, instead of multiple diesel trucks. In a 17th century canal house, a state of the art fuel cell (with an electrical efficiency outperforming most modern energy plants) has been

installed by a consortium of companies as a first test case. This gives just a broad overview of some projects. More projects and background information can be found on www.amsterdamsmartcity.nl. Involvement of Partners and Citizens In all pilots there is a close contact with the partners running the projects. Moreover, in order to maximize knowledge dissemination several types of communication activities have been initiated for both partners and projects. The involvement of citizens depends on the specific project. Involving the energy end-user (citizens) is essential for Amsterdam Smart City, since the tested technologies are useless without the acceptance and experience of the energy end-user. The stimulation of behavioral change creates a demand pull for more sustainable technologies. In one of the projects an “open innovation” method was used to obtain reactions and answers from the inhabitants of Amsterdam to overcome the barriers for energy consumers to become energy producers. Key Learnings Thanks to the activities of Amsterdam Smart City and their broad focus, the entire Amsterdam region receives an economic impulse. The impact is even increased by the indirect collaboration that originates

from the Amsterdam Smart City effects: an unexpected enormous international recognition and interest contribute to the city’s marketing goals. The key learnings for the overall Amsterdam Smart City program are the following: • Cooperation between different stakeholders takes time and stakeholders should be open to cooperate. • The main challenge in implementing new technologies is not the technology but the adaption of the end users. • Ease of use and financial benefits are the key drivers to seduce consumers. • True breakthrough innovations come from small (young) innovators. Open cooperation with large companies can accelerate these innovations. The main goal of Amsterdam Smart City pilots is to learn how these different co-operations are created and how the behavior of end-users can be changed. The Next Step In 2012, telecom provider KPN joined the ASC-platform as founding partner. With KPN and the City of Amsterdam actively supporting Amsterdam Smart City program, the platform is better equipped to make more impact. Testing and learning will always stay relevant. The Amsterdam Smart City program has evolved and has chosen a specific regional approach. By combining regional needs with the local

investment agenda, there is the potential to create new products and services, and to test or scale them up in a practical environment—the urban living lab.

* Joost Brinkman is a Senior Manager at Accenture Sustainability Services and was Managing Director of the Amsterdam Smart City between 2009 and 2012. He has been working in the utility and energy industry since 2000 in several roles: as energy engineer he worked for Nuon and as project manager he led various projects at utility companies like Alliander, Eneco, Dong and Nuon. Recently Mr. Brinkman was responsible for the overall management and development of the Amsterdam Smart City program. He is also the driving force behind the Accenture sustainability strategy in the Netherlands, especially on the introduction of electrical vehicles.


Città smart e sostenibilità: i giapponesi Smart Cities & Sustainability: the Japanese di Hiroshi Maruyama, Nobuko Asakai, Masahito Sugihara* by Hiroshi Maruyama, Nobuko Asakai, Masahito Sugihara*

In Giappone, l’azione combinata di iniziative orientate verso l’esterno e ambiente politico interno ha trasformato il paese in un luogo interessante per le imprese sostenibili e le Smart Cities The combination of Japan’s externally facing drive and its domestic policy environment has transformed the country into an attractive place for sustainable businesses and Smart Cities

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Hiroshi Maruyama

I

l Giappone è stato per lungo tempo uno dei paesi maggiormente attivi nello sviluppo di Smart Cities. L’11 marzo 2011, il terremoto e lo tsunami che hanno colpito la regione di Tohoku, hanno poi dato nuovo impulso all’impegno della nazione in materia di sviluppo urbano intelligente, rendendo il paese il luogo ideale per testare iniziative analoghe a livello globale. Le iniziative di Smart Cities in Giappone si sono affermate definitivamente nel 2010, quando il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria (MECI) ha coniato il termine “comunità intelligente”. L’origine di questo concetto, tuttavia, risale alla creazione della New Energy and Industrial Technologies Development Organization (NEDO), un ente finanziato dal MECI e creato sull’onda delle crisi energetiche degli anni Settanta. Il lavoro di R&S di NEDO comprende il progetto Green Grid Initiative condotto in New Mexico (Usa), così come 57 progetti tecnologici pilota in mercati emergenti quali Cina, Malesia, Myanmar e Tailandia. In questo contesto, il concetto di comunità intelligente ha coinvolto non soltanto le reti elettriche intelligenti, ma anche

Nobuko Asakai

Masahito Sugihara

una gamma più ampia di tecnologie quali edifici intelligenti, residenze smart, veicoli elettrici e piattaforme di integrazione ICT aperte alla comunità. Ne è risultato un forte sostegno governativo per una sempre maggiore integrazione strategica con le migliori best practices a livello internazionale. I principali fattori propulsivi

delle Smart Cities in Giappone sono rappresentati dalla necessità di una crescita nell’export, il desiderio di attrarre gli investimenti globali nell’innovazione e la questione sempre più urgente dell’energia. Con industrie manifatturiere forti e un deciso impegno politico, sembra che le condizioni siano mature per la nascita di Smart Cities in

Percentuale delle imprese tedesche di energia rinnovabile interessate al mercato giapponese N= 124* imprese

Non interessate al mercato giapponese

Interessate al mercato giapponese

72 imprese (58%)

52 imprese (42%)

Giappone. Si può tuttavia fare di più per ottenere una reale innovazione urbana su ampia scala. Entro il 2025, il 30% della popolazione giapponese attualmente impiegata o in cerca di un impiego sarà ultra sessantenne. Per affrontare i temi gemelli di “sostenibilità” ed “economia d’argento”, le città e le organizzazioni dovrebbero andare oltre il tema dell’energia, essere meno “gadget-driven” e più concrete nelle modalità d’azione in un momento di cambiamento demografico. Le città rurali potrebbero sentire l’esigenza di trovare una piattaforma per rivitalizzare le loro economie mentre le organizzazioni dovrebbero creare nuove definizioni di valore per adattarsi a una società in cambiamento. L’azione combinata dell’apertura del Giappone verso l’esterno e il suo ambiente politico interno ha trasformato il paese in un luogo di interesse per le imprese sostenibili, le quali a loro volta dovranno

Voci delle imprese ✓“Interessate al Giappone come nostro prossimo mercato poiché esiste una domanda di prodotti finali di elevata qualità” ✓“Il Giappone possiede oltre 100 integratori BIPV – estremamente interessanti” ✓“Il Giappone è un mercato nascente ed è interessante” ✓“Pensiamo che il mercato giapponese sia destinato a crescere in maniera sostanziale nell’immediato futuro”

* Il numero totale delle imprese tedesche intervistate in occasione della Intersolar Europe 2012 Fonte: inchiesta Accenture per il progetto Invest Japan del MECI.

✓“Stiamo valutando di accedere al mercato giapponese in ragione della potenziale crescita del mercato grazie al nuovo sistema di tariffe incentivanti per le rinnovabili”


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mantenere vivo lo slancio alla sostenibilità delle Smart Cities. In una recente inchiesta per il progetto Invest Japan del Ministero dell’Economia, Commercio e Industria, condotta da Accenture in occasione dell’Intersolar Europe 2012 svoltasi in Germania a sostegno dell’iniziativa governativa giapponese Invest Japan, il 42% degli intervistati tedeschi ha espresso positivo interesse per il Giappone quale destinazione degli investimenti. La crescita green è ora di vitale importanza per attrarre investimenti stranieri diretti in Giappone. Solo nell’ultimo anno, le società che si occupano di solare, quali Gestamp, Sillen, Yingli, Solarworld, hanno annunciato piani di investimento in Giappone, e società come Dyesol e Intelligent Energy Holdings hanno in previsione la creazione di centri di R&S sostenuti dal governo giapponese. Questi progetti di più lungo termine in materia di energia, andamento delle esportazioni e investimenti nell’innovazione sono emersi con forza l’11 marzo 2011. La conseguente fusione nucleare nella centrale di Fukushima ha condotto il Giappone a una crisi energetica a livello nazionale e alla

necessità di ricostruire la regione di Fukushima. Le Smart Cities sono diventate da allora un punto focale nell’agenda politica giapponese. Le città intelligenti non esistono in una situazione di vuoto politico, e l’11 marzo ha innescato un rapido cambiamento. Nel periodo successivo all’11 marzo, il governo ha offerto ai produttori di energia 42 yen per kilowattora di energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, se gli stessi avessero prodotto 10 kW o più. Le tariffe relative all’elettricità sono aumentate in media di 87 yen mensili e l’infuocato dibattito sul futuro del mix energetico del Giappone è un tema centrale delle elezioni del paese. In conseguenza della crisi, l’80% dell’elettricità sarà calcolata in maniera intelligente entro il 2016. L’introduzione dell’energia rinnovabile dovrà essere accelerata con case a emissioni zero ed edifici a emissione zero. Nel 2014 saranno completati quattro progetti pilota nazionali di tecnologia riguardanti le Smart Cities in città quali Yokohama e Toyota City, e i risultati saranno applicati a livello nazionale. Progetti come Aizu Wakamatsu a Fukushima e il progetto

Fujisawa Sustainable Smart Town della Panasonic sono annoverati tra i primi progetti ad andare oltre il tema energia e ad allineare i loro obiettivi a un futuro più a lungo termine. Benché molto diversi per portata e scopo, questi progetti offrono una visione d’insieme di cosa ci si possa aspettare. La città di Aizu Wakamatsu Aizu Wakamatsu, una città di 125.000 abitanti, stava già vivendo un declino industriale prima del terremoto. La capitale storica si trova fuori dall’area di contaminazione radioattiva ed è diventata il rifugio per molti evacuati. Qualche mese dopo il terremoto, Accenture ha siglato una partnership con la municipalità e l’università di Aizu nell’intento di dare nuovo impulso all’industria e trasformare la città di Aizu Wakamatsu in un centro per l’energia rinnovabile e per la fornitura di servizi ICT. Aizu è caratterizzata da una crescita sostenibile ottenuta mediante l’innovazione aperta e le reti ICT. NTT DOCOMO ha lanciato lo sviluppo di una applicazione remota e un centro di prova per dispositivi intelligenti. Il governo giapponese sta sostenendo servizi pilota basati

sulla tecnologia della nuvola a integrazione di sensori all’interno della città. Queste nuove forme di collaborazione tra industria, mondo accademico e governo possono essere la chiave di volta per una transizione da realtà pilota a realtà su vasta scala. Il progetto Fujisawa Sustainable Smart Town Il progetto Fujisawa Sustainable Smart Town (FSST) è un nuovo progetto di sviluppo condotto da Panasonic. FSST sarà creato su un’area dismessa di 19 ettari di proprietà della società Panasonic, dove si prevede entro il 2018 la costruzione di 1.000 case per 3.000 abitanti in totale, destinate alla vendita. Nell’intento di “portare l’energia a nuova vita”, il progetto FSST ha obiettivi ambiziosi, inclusa una riduzione di CO2 del 70% rispetto al 1990, ottenendo tassi di energia rinnovabile pari ad almeno il 30%. Si prevede inoltre un piano Community Continuity Plan (CCP) a garanzia di una linea di energia autosufficiente per tre giorni in caso di emergenza, come l’interruzione di erogazione dell’energia elettrica. Questo obiettivo finale di sicurezza è stato introdotto


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dopo l’11 marzo. L’uso di tecnologie innovative di elevata qualità, sviluppate grazie alle solide basi tecnologiche di Panasonic e volte a soddisfare le necessità di una società in cambiamento, sarà la caratteristica distintiva del progetto FSST. Si prevede un servizio di gestione dell’energia per introdurre in totale circa tre megawatt da pannelli fotovoltaici e circa tre megawatt da batterie di stoccaggio Li-Ion. Un servizio di rete di sicurezza collegherà l’illuminazione con sensori per ottimizzare l’uso dell’energia. Il progetto FSST prevede inoltre di dare un forte impulso a servizi generali di mobilità condivisa che includano biciclette elettriche complete di batterie sostituibili, supportate da stazioni di ricarica della batteria che potranno essere utilizzate per fornire molteplici servizi di erogazione. Il progetto Fujisawa ha lanciato una joint venture per la gestione delle città. Il progetto FSST sarà il primo a lanciare un modello di gestione commercialmente fattibile per i servizi di gestione urbana in Giappone che affronti la sfida a lungo termine di creare un ritorno economico sostenibile per finanziare i servizi stessi. Il servizio di gestione urbana

è pianificato per fornire un accesso centralizzato per otto settori quali energia, mobilità, sicurezza e gestione delle attività, e include un modello di co-proprietà dei beni della città per migliorare il valore della comunità e delle proprietà. La gestione urbana JV è innovativa come un qualsiasi sviluppo tecnologico. Ad esempio, il JV prevede di integrare dati da telecamere di sicurezza, sia statali che private, e sensori di illuminazione a LED. Il piano comprende elementi per incentivare gli abitanti ad aiutare a sorvegliare la comunità. La Panasonic ha espresso l’intenzione di lavorare con un istituto di ricerca per chiarire il tasso SROI (Social Return On Investment – Ritorno sociale sugli investimenti), oppure, in altri termini, il valore pubblico creato mediante la transizione al modello di co-proprietà su scala cittadina. La leadership di Panasonic nel progetto Fujisawa è a riprova del nuovo impulso che l’idea delle città intelligenti ha avuto in Giappone. La sostenibilità ambientale resta un tema centrale, e “l’economia d’argento” sta anch’essa acquistando un’importanza sempre maggiore.

La collaborazione tra il settore pubblico e quello privato potrebbe inoltre aiutare a sviluppare l’infrastruttura urbana in modi consoni a cogliere le sfide energetiche del paese, così come ad attrarre investimenti globali a sostegno dell’esportazione e della performance economica a lungo termine. La lezione appresa in Giappone e nel mondo si sta attualmente applicando in Italia. Gli imperativi chiave comprendono: 1. integrare le Smart Cities all’interno della strategia nazionale riguardante il mix di combustibili; 2. considerare le Smart Cities in un’ottica nazionale e organizzare il programma nazionale in funzione delle stesse; 3. implementare progetti pilota verticali specifici in grado di creare sinergie e vetrine a esemplificazione di possibili applicazioni altrove; 4. coinvolgere i maggiori soggetti high tech a livello nazionale per testare, industrializzare e trovare la soluzione adatta ad aumentare la competitività di tali aziende; 5. non esitare a mettere in atto iniziative al presente, ma impegnarsi anche in strategie di lungo termine.

* Hiroshi Maruyama è amministratore delegato dei gruppi di Servizi e Risorse di Sostenibilità di Accenture. Il suo lavoro prevede la formulazione di master plan per le infrastrutture urbane, compresi i servizi pubblici e le città intelligenti. Ha preso parte a una vasta gamma di progetti di consulenza, principalmente in campo chimico, dell’industria dei materiali e della produzione di energia, occupandosi sia di formulazione di strategie di crescita e ristrutturazione aziendale, sia di rinnovamento aziendale e organizzativo a livello globale. * Nobuko Asakai è la capo area giapponese per il settore Sustainability Services di Accenture. Ha preso parte a progetti di infrastrutture intelligenti sin dal 2008, tra cui i progetti Fujisawa SST, Aizu ed Estonia. È stata inoltre a capo del maggiore progetto pilota di Smart City – Yokohama Smart City – vincitore del summit Barcelona World City nel 2011. * Masahito Sugihara è senior manager del gruppo Strategy di Accenture e ha maturato esperienza sul campo in materia di sostenibilità. Ha trascorso gli ultimi cinque anni a sviluppare esperienze relativamente a IT Green, reti elettriche intelligenti, veicoli elettrici e a energia rinnovabile, tecnologie intelligenti e urbanizzazione sostenibile. Negli ultimi tre anni si è dedicato al progetto Fujisawa Sustainable Smart Town (SST) della società Panasonic, partendo da un progetto iniziale di master plan, sino all’effettivo lancio dell’attività. Ha inoltre sostenuto l’implementazione globale di pannelli fotovoltaici, batterie di stoccaggio e tecnologia HAN (Home Area Network), al fine di promuovere il modello Fujisawa SST a livello mondiale.


J

apan has long been one of the most active countries in the development of Smart Cities. But on March 11, 2011 (3.11), the earthquake and tsunami that struck the Tohoku region gave a new impetus to the nation’s commitment to intelligent urban development, making the country a test bed for similar initiatives worldwide. Japan’s smart city initiatives got fully underway in 2010 when the Ministry of Economy, Trade and Industry (METI) coined the term “smart community”. However, its origins go back to the creation of the New Energy and Industrial Technologies Development Organization (NEDO), a METI financed body that was established in the wake of the energy crises of the 1970s. NEDO’s R&D work has included the Green Grid Initiative in New Mexico, USA, as well as 57 technology pilots in emerging markets such as China, Malaysia, Myanmar, and Thailand. Against this background, the smart community concept has

encompassed not just smart grids but a broader range of technologies such as intelligent buildings, smart homes, electric vehicles and community wide ICT integration platforms. The result is strong government support for integration with international best practices. The principal drivers for Smart Cities in Japan are the need for export growth, the desire to attract global investment in innovation and the increasingly severe issue of energy. With strong manufacturing industries and political commitment, the conditions seem ripe for Smart Cities in Japan. Yet, more can be done to achieve true urban innovation at scale. By 2025, 30% of the Japanese population who are today employed or seeking employment will be over 60. To address the twin themes of “sustainability” and “silver economy” cities and corporations should go beyond energy, be less “gadget” driven, and be pragmatic about how to operate during a time of

Ratio of German Renewable Energy Companies Interested in the Japanese Market

demographic shift. Rural towns may need to find a platform to revitalize their economies, and corporations must create new definitions of value to adapt to a changing society. The combination of Japan’s externally facing drive and its domestic policy environment has transformed Japan into an attractive place for sustainable businesses, which in turn should maintain momentum in Smart Cities. In a recent survey for METI’s Invest Japan project conducted by Accenture at Intersolar Europe 2012 in Germany to support the Japanese government’s Invest Japan initiative, 42% of the German participants expressed positive interest in Japan as an investment destination. Green growth is now central to attracting foreign direct investment into Japan. In the last year alone, solar companies such as Gestamp, Sillen, Yingli, Solarworld, announced plans to launch operations in Japan, and companies such as Dyesol and Intelligent Energy Holdings will

Companies’ Voices

N= 124* Cos. ✓ “Interested in Japan as our next market, since there is a demand for high-end products”

Not interested in the Japan Market:

Interested in the Japan Market:

72 Cos. (58%)

52 Cos. (42%)

✓ “Japan has more than 100 BIPV integrators --- extremely interesting” ✓ “Japan is a starting market and is interesting” ✓ “We assume the Japan market will grow substantially in the near future”

* The total number of German companies interviewed at Intersolar Europe 2012 Source: Accenture survey for METI’s Invest Japan project.

✓ “Thinking about entry into the Japanese market, given the potential market increase from the new Feed-in-Tariff system”

be creating R&D facilities supported by the Japanese government. These longer term issues of energy, export performance and investment in innovation were put into stark relief on March 11, 2011. The consequent nuclear meltdown at the Fukushima power plant presented Japan with a domestic energy crisis and the need to reconstruct the Fukushima region. Smart Cities have since taken center stage on Japan’s agenda. Smart Cities do not exist in a policy vacuum, and 3.11 catalyzed a rapid change. In the aftermath of 3.11, the government offered energy producers 42 yen per kilowatt-hour for solar-generated electricity, should they produce 10 kw or more. Electricity rates have increased 87 yen per month on average and the heated debate over the future of Japan’s energy mix is a central theme in the country’s elections. As a result of the crisis, 80% of electricity will be smartly metered by 2016. The introduction of renewable energy is to be accelerated with Zero Emission Houses (ZEH) and Zero Emission Buildings (ZEB). Four national Smart City technology pilots in cities such as Yokohama and Toyota City, will be completed by 2014, and the findings will be leveraged for a nationwide rollout. Projects like Aizu Wakamatsu in Fukushima and Panasonic’s Fujisawa Sustainable Smart Town are among the first projects to go beyond energy and realign their compass for the longer term future. Although vastly different in scale and scope, these projects offer insight into what is to come. Aizu Wakamatsu City A city of 125,000 residents, Aizu Wakamatsu, was already suffering from industrial decline

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when the earthquake struck. The historic capital sits outside the radiation contamination zone and became home to many evacuees. A few months after the earthquake, Accenture established a partnership with the City and Aizu University in an effort to reinvigorate industry and transform Aizu Wakamatsu city into a center for renewable energy and ICT outsourcing. Sustainable growth through open innovation and ICT characterize Aizu. NTT DOCOMO has launched a remote application development and test center for smart devices. The Japanese government is supporting pilot cloud-based services that integrate sensors throughout the city. Such new forms of collaboration between industry, academia, and government may be key to the transition from pilot to scale. Fujisawa Sustainable Smart Town The Fujisawa Sustainable Smart Town (FSST) is a new development project led by Panasonic. The FSST will be built from scratch on a 19-hectare former factory site owned by Panasonic, and a total of 1,000 homes to be occupied by 3,000 people are

scheduled to be built for sale by 2018. With an aim to “bring energy to life”, the FSST has ambitious targets, including reducing CO2 by 70% compared to 1990 and reaching renewable energy usage rates of at least 30%. Also planned is a Community Continuity Plan (CCP) to secure a 3-day energy lifeline in the event of an emergency such as a power outage. This final goal on safety and security was included after 3.11. The use of high-quality cutting edge technologies, built upon the bedrock of Panasonic’s technical foundation and informed by the needs of changing society is planned to be the hallmark of the FSST. A planned energy management service is projected to introduce a total of approximately 3 megawatts of solar panels and approximately 3 megawatts of li-ion storage batteries. A planned security network service is intended to link lighting with sensors to optimize energy use. The FSST is also planned to boast comprehensive mobility sharing services that include E-bikes with replaceable batteries, backed up by battery swap stations that can be used to provide a variety of delivery services.

The Fujisawa project has launched a joint venture company for town management. The FSST is to be the first to launch a commercially viable management model for town management services in Japan that addresses the long term challenge of creating sustainable revenue to finance such initiatives. The town management service is planned to provide one-stop access for eight services such as energy, mobility, security, and asset management and include a shared ownership model of the town’s assets to improve community and property value. The town management JV is as innovative as any technology development. For example, the JV is expected to integrate data from government and private sector owned security cameras and LED lighting sensors. The plan includes elements to encourage residents to help patrol the community. Panasonic has indicated an intention to work with a research institution to clarify the SROI (Social Return On Investment), or in other words, the public value created through the transition to the shared ownership model at a city scale. Panasonic’s leadership in the Fujisawa project is a testament to the reinvigorated approach to Smart Cities in Japan. Environmental sustainability remains central, and the “silver economy” is also growing in importance. However the collaboration between private and public sectors may also help to redevelop urban infrastructure in ways that address the country’s energy challenges as well as attract global investment that supports Japan’s long term export and economic performance. The lessons learned in Japan and around the world are now being applied in Italy.

The key imperatives include: 1. Integrate Smart Cities as part of a national fuel mix strategy. 2. Look at Smart Cities with the country lens and organize your national program around it. 3. Implement vertical and focused pilots that can create synergies and showcases to demonstrate possibilities elsewhere. 4. Involve the largest and high tech national champions to test, industrialize and find the right way forward, which could increase the competitiveness of those companies. 5. Do not hesitate to implement initiatives now, but commit to a long term strategy.

* Hiroshi Maruyama is a Managing Director in Accenture’s Sustainability Services and Resources groups. His work includes formulation of master plans for urban infrastructure, including public services and intelligent cities. He has been involved in a wide variety of consulting projects, mainly in the chemicals, materials and energy industries, ranging from growth strategy formulation and business regeneration to business and organizational reform at a global level. * Nobuko Asakai is the Japan lead for Accenture’s Sustainability Services. She has been involved in intelligent infrastructure projects since 2008, such as Fujisawa SST, Aizu and Estonia amongst others. She has also led Japan’s largest Smart City pilot—Yokohama Smart City, winner of Barcelona World City summit in 2011. * Masahito Sugihara is a Senior Manager of Accenture’s Strategy group and belongs to sustainability practice. He has spent the last 5 years developing expertise in Green IT, smart grid, renewable, electric vehicles, smart technologies and sustainable urbanization. For the last 3 years, he has been dedicated in the Panasonic Fujisawa Sustainable Smart Town (SST) project, supporting from an initial master plan design to actual business launch. Also, he has been supporting global implementation of solar panels, storage batteries and HAN (Home Area Network) technology, in order to promote the Fujisawa SST model to the entire world.


L’Architetto e la Smart City The Architect And The Smart City Intervista a Odile Decq* Interview with Odile Decq*

Un’architettura correlata sempre meno alla semplice produzione di forme e sempre più alla creazione di relazioni intelligenti che aiutino le persone a vivere meglio An architecture less oriented toward things shape and more toward intelligent matchmaking, helping people live better

prendere, quanto tempo sarà necessario per arrivare a destinazione, ecc. Volendo applicare al territorio urbano la nozione di progresso che vediamo applicata agli oggetti, possiamo dire che la Smart City è qualcosa che in un certo senso facilita la vita dei cittadini.

Odile Decq

S

olitamente parlando di Smart City si pensa a piani, strategie, programmi, piattaforme, tecnologie per l’innovazione. Tra l’altro l’Europa presenta anche una contraddizione per il fatto che quando si parla di città in generale si tratta di città storiche. Con il Museo MACRO a Roma lei ha acquisito una certa esperienza in questo senso. Cosa significa per lei “Smart City”? La Smart City è una questione che interessa il territorio in termini di reti e di infrastrutture. Si tratta di qualcosa che a livello fisico ha sulla città un impatto minore rispetto all’urbanistica; si tratta di qualcosa di correlato alle comunicazioni e alle infrastrutture. Io penso che la Smart City possa anche essere una città storica, il che rappresenterebbe una sfida affascinante in ragione del fatto che ne sembra una contraddizione, ma è proprio questo l’aspetto interessante. Se prendo in considerazione Roma, in qualche modo questa città è già una città intelligente per la struttura stessa delle sue strade e delle sue piazze, e per l’organizzazione territoriale che mette in comunicazione costante i suoi

cittadini. In questo senso, si può dire che è una città intelligente. Oggi, tuttavia, quando si parla di Smart City si fa riferimento all’idea di tecnologia, collegata a sua volta al sistema di comunicazione. Ciò comporta che, a una fermata di autobus, ad esempio, è possibile sapere dal proprio cellulare dove si trova la fermata successiva rispetto al luogo in cui ci si trova: è possibile quindi programmare il proprio viaggio sapendo con quale frequenza passa l’autobus, la direzione da

La domanda sorta di recente è se l’architettura può esserne partecipe... Certamente. Attualmente sto lavorando a un progetto nel nord della Francia, su un’isola all’interno della città, dove lavoriamo all’applicazione di una “smart grid”. L’intelligenza consiste proprio in questo, la messa in rete o la messa in relazione o l’informatizzazione che viene sviluppata all’interno di un quartiere reale su quest’isola. Si tratta, in sostanza, di fornire la possibilità ai singoli individui di semplificare la propria vita rispetto agli oggetti e alle tecnologie di cui hanno bisogno per vivere. Oggigiorno si sperimenta già questo concetto nel concreto, con le auto. L’auto ti parla, ti mette in guardia, ti avvisa se è presente

Great site of Homo Erectus Fossil Museum, Nanjing, China.

un ostacolo quando fai retromarcia, ti avverte della presenza di ostacoli davanti a te, si accende da sola. Fa tutto da sola, tutto; l’auto di oggi è un oggetto “intelligente”. Lo stesso concetto viene applicato alla città, all’organizzazione della città e alle necessità presenti all’interno della città: gli spostamenti, le relazioni tra gli individui, le connessioni tra gli edifici e quindi l’architettura. Di fatto l’architettura, nella sua accezione di forma o oggetto, non è materia specifica delle Smart Cities. È buffo perché quando si parla di Smart Cities e quando si guardano le immagini elaborate dagli architetti si tratta sempre di immagini futuriste perché si tende a elaborare immagini futuriste. Queste immagini, però, non differiscono di molto dalle immagini futuriste degli anni Sessanta. È una forma futurista, se così posso dire, che è stata ereditata dal periodo più futurista che abbiamo avuto, e cioè gli anni Sessanta. Si tratta dello stesso sviluppo che si è avuto negli anni Ottanta, quando si è

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cominciato a lavorare con forme flessibili che i computer hanno poi aiutato a realizzare, e sono stati sviluppati software in grado di ottenere queste forme, ecc. Tutto questo progresso ha creato forme architettoniche più fluide. Ma l’”architettura intelligente” è tutto questo? Non penso, tutto questo è soltanto una forma. Forse i materiali possono essere influenzati dalla “smartness”? I materiali, sì, perché oggi, nella fase di sviluppo dei materiali, si è in grado di aggiungere intelligenza alla materia. Prendiamo ad esempio i tessuti; è incredibile l’evoluzione che si è avuta. Oggi esistono tessuti che puoi indossare e che possono contenere dei trattamenti farmacologici per curare una specifica malattia. Esistono tessuti in grado di contenere sostanze medicinali, oppure di riscaldare a richiesta, a seconda del grado di freddo all’esterno. Se fuori fa freddo, di colpo il tessuto reagisce e ti riscalda, oppure si rinfresca se fuori fa caldo. Oggigiorno esistono tessuti intelligenti che sono veramente incredibili. Sono come i materiali che hanno memoria della forma: prendi un metallo, o un materiale che sembra di metallo, lo metti in forma e questo è in grado di “ricordarsi” della forma in un secondo momento, conservandone memoria, e anche se il pezzo di metallo viene appiattito, riprende di nuovo la forma che gli si era data. Oggi esiste una grande quantità di materiali come questi. La “smartness” viene così applicata alla fisica. Quando si osservano gli sviluppi della fisica ci si rende conto che effettivamente vi è una continua ricerca di nuovi prodotti risultanti da un mix di più materiali diversi a cui viene applicata l’intelligenza.

Great site of Homo Erectus Fossil Museum, Nanjing, China.

Sì, è evidente che i materiali sono importanti, e sono importanti all’interno delle Smart Cities, e della “smart grid”. Pensa che per ottenere tali materiali possa essere interessante fare ricerca come architetto, o fare ricerca su più larga scala? Ritengo che per gli architetti possa essere interessante entrare in contatto con chi fa ricerca sui materiali, come penso pure che chi sta sviluppando questi nuovi materiali abbia bisogno degli architetti per sapere di cosa c’è necessità. Questo in ragione del fatto che il modo di pensare degli architetti si caratterizza per una eccezionale capacità di sintesi di una grande quantità di informazioni, che poi è il principio stesso dell’architettura.

Per questa ragione può essere interessante avviare una collaborazione che permetta di creare sinergie innovative rispetto alla messa in relazione del progetto con la robotica, le biotecnologie, i problemi legati al cambiamento della vita quotidiana, lo stile di vita dei giovani e degli anziani. La sua idea di Smart City come città dove la tecnologia possa essere di aiuto anche agli anziani mi sembra interessante... sarebbe magnifico avere degli esempi. Ben volentieri. Il quartiere di cui parlavo prima, dove sto lavorando, nel nord della Francia. Il sindaco di questa città è un deputato europeo ed è medico. Si interessa agli

anziani e lavora come medico con questa fascia di età. Quando ho parlato con lui, a più riprese mi ha detto: “In realtà non esiste l’anziano come tipologia unica di individuo, ma vi sono vari livelli di anzianità: da chi mantiene inalterata la propria abilità motoria ed è autosufficiente, a chi non lo è. Tra i due estremi, esiste tutta una serie di livelli, e oggi si vive sempre più a lungo, si può vivere fino a centodieci anni, e si considera una persona “anziana” a sessant’anni . Da sessanta a cento fanno quindi quarant’anni con varie tappe possibili di invecchiamento. E poi c’è chi a cento anni è ancora perfettamente autonomo, in grado di spostarsi,


Non è quindi preoccupata per il suo futuro di architetto, ma in linea di principio ritiene che gli architetti abbiano ancora una funzione, un ruolo, all’interno delle Smart Cities? Certamente, il ruolo è proprio quello di riflettere su tutto questo. Ecco perché ritengo che il ruolo dell’architetto sia sempre meno correlato alla semplice produzione di forme e sempre più alla creazione di “relazioni” intelligenti che aiutino le persone a vivere meglio. Pensare alla forma è sicuramente importante, ma non è sufficiente, oggi non è senz’altro più sufficiente... È per questo che sono interessata agli aspetti sociali, ed è per questo che le grandi questioni legate alla scienza e alla tecnologia – dalla medicina all’architettura – mi toccano molto da vicino: perché questo vuol dire lavorare per il bene degli individui.

Phantom Restaurant Opera Garnier, Paris.

in perfette condizioni mentali e sano. Allo stesso tempo, si avverte a quell’età un affaticamento del corpo che necessita di aiuto e non di oggetti. Un altro aspetto da evitare è quello di creare all’interno della città dei luoghi dedicati solo agli anziani. L’idea quindi per il nostro quartiere è quella di dire “ecco, ci sono delle persone specializzate nella gestione degli appartamenti per anziani”: abbiamo quindi l’organizzazione e gli aiuti, ma non vogliamo costruire edifici per soli anziani. Intendiamo vendere a queste imprese vari appartamenti dislocati un po’ dappertutto all’interno del quartiere dove inserire gli anziani. Gli operatori dovranno gestire

gli appartamenti nei vari punti della zona. Questa scelta contribuirà a mischiare gli anziani con i giovani e quindi con le famiglie, con i bambini, al fine di permettere alla città di ricostituirsi come un sistema misto e non separato. Questo è un concetto interessante ed è anche per questa ragione che in quest’isola (anche in ragione del fatto che abbiamo EDF, la società elettrica, come nostro partner) appronteremo delle piccole utilitarie elettriche a disposizione degli abitanti. Questo grazie alla particolare conformazione del luogo, per il fatto che si stratta di un’isola, di un’area delimitata, in qualche modo isolata, e comunque con grandi distanze da percorrere

al suo interno. Invece che utilizzare la propria auto, gli abitanti potranno rivolgersi a una società specifica dedicata agli spostamenti all’interno dell’isola. Sarà come una specie di hotel, dove un concierge sarà in grado di offrire vari servizi, anche l’uso di un’auto elettrica. Sarà semplicemente necessario prenotare l’auto elettrica: il custode te la manda, tu la prendi, la puoi riportare oppure puoi lasciarla in città, come preferisci. In questo modo viene creato tutto un sistema di servizi all’interno del quartiere volto a semplificare la vita degli abitanti: non si tratta solo di un progetto che siamo in grado di realizzare, ma si tratta anche di un progetto appassionante su cui val la pena riflettere.

* Tra le principali esponenti delle avanguardie nell’architettura contemporanea, Odile Decq fonda lo studio ODBC insieme a Benoît Cornette, con cui lavora fino alla sua tragica scomparsa nel 1998. Nel 1990 realizzano la Banque Populaire de l’Ouest a Rennes, edificio più volte premiato che li avvia alla notorietà internazionale. Le loro ricerche sono coronate dal Leone d’Oro alla Biennale di architettura di Venezia nel 1996. Alla morte di Cornette, Odile Decq rimane sola alla guida dello studio ODBC. Il suo profilo sulla scena internazionale è ulteriormente consolidato dal successo ottenuto con il progetto del MACRO, museo d’arte contemporanea della città di Roma, inauguratosi nel maggio 2010. Insignita di numerosi importanti riconoscimenti, è fortemente impegnata nella didattica (Ecole Spéciale d’Architecture di Parigi, che dirige fino al 2012) ed è visiting professor in diverse università straniere, tra cui la prestigiosa Columbia University di New York.

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ormally when we talk about Smart Cities, we think of plans, strategies, programs, platforms and innovative technology. There is also a contradiction in Europe in the fact that cities, in principal, are historical sites. You have significant experience in this field with your MACRO Museum in Rome. What does “Smart City“ mean to you? A Smart City is a regional issue in terms of networks and infrastructure. It’s something that impacts the city on a physical level that is more “lightweight“ than urban development, and linked to communications and infrastructure. For me, a Smart City may also be a historical city, which can be challenging precisely because it seems contradictory—and that is what’s interesting. If I look at Rome, in a way it’s already somewhat of a Smart City because of how the streets and squares are structured, as well as the organization of the city, which puts people in constant communication. One could say that this is a Smart City, but nowadays when we talk about Smart Cities technology is lumped in with it, and technology is linked to the communication system. That means that for buses, for example, you could find out where your nearest bus stop is located on your phone. If you go to the bus stop you can plan your trip, you know how frequently the bus passes, you know where you should go, you know how long it’ll take, and so on. The Smart City is something that in a certain sense facilitates the lives of individuals, to apply the concept of progress to that we have seen before in objects to the urban area.

FRAC Bretagne, Rennes, France.

The question that is raised right away is whether architecture can take part in this... Of course. I am currently working on a project in the north of France on an island in a city, where we’re working on a form of a “smart grid“. It’s a concept of “smartness“, a development of networks, connections setting or information, which is developed in an area on this island. That is to say that it’s possible for people to make their lives easier relative to objects, compared to all the know-how they need to live. Today we already have cars that talk to you, alert you, tells you when you’re backing up that there is an obstacle, that there is something in front of you, lights up by itself—it’s all automatic, so the car of today is really a “smart“ object. This is the same thing that is applied to the city, the city’s organization and the needs that we have within the city itself:

travel, connections between individuals, connections between buildings and thus, architecture. In fact, within the meaning of shape or object, architecture has nothing to do with Smart Cities. We’re talking about Smart Cities, and when we see images by architects, they’re still futuristic because we continue to make futuristic images, but at the same time the futuristic images that are produced are not very much different than those from the Sixties. It’s a futuristic form, if I may, which is inherited from the most futuristic period that we’ve had—the Sixties. It’s the same thing that existed in the Eighties, when we started to work on flexible forms and not long after computers helped make these forms, then software was developed to do so, etc. In turn, that produced more fluid architectural forms. But is this “smart architecture“? No, I don’t think so—it’s just one form of it.

Can materials be affected by “smartness“? Materials, yes—because in today’s day and age we know how to add “smartness“ into materials during their development. For example, in regards to fabrics, you know that there have been amazing developments when you can put them on your body and they can contain medicine for an illness you’re suffering from. It will contain medicine, or be able to keep you warm because it was created to do so, because it is cold outside and it will quickly respond to provide heat—or cool you down when it is hot outside. Today there are smart fabrics that are absolutely incredible. It’s like shape-memory materials: you can take a metal or metal-like material, form it into a shape and it will “remember“ the form that it was given afterwards. Even if you flatten it back out it is able to reproduce the shape on its own... there are plenty of


FRAC Bretagne, Rennes, France.

materials like that today. We put “smartness“ into physical terms. When you seek out physical development you discover that people are indeed looking for new materials that are a blend of different materials, in which “smartness“ can be added. Sure, but materials are clearly important, and they’re significant in view of Smart Cities and in “smart grids“. In making this happen, do you think it would be more interesting to do research as architects or drive research on a larger scale? I think it is interesting for architects to have relationships with people who think about these things. People who think about these things need architects to know what we need too, because the way architects think enables them to synthesize information in full, as it is the very principle of architecture itself. It is for this

reason that it’s interesting. Our minds work in such a way that they allow us to create “sparks“ inside our heads in relation to the project, implemented in conjunction with robotics, biotechnology, the problems of changes in daily life, the lives of young people and the elderly. Your idea of a Smart City as a city where technology can also help the elderly is intriguing. If you had examples of this, that would be great. Of course, there’s the neighborhood that I mentioned before, that I’m working on in the north of France. The city’s mayor is a member of the European Parliament; he’s involved, he’s a doctor and he’s concerned about the elderly and those who assist them. I’ve spoken with him on several occasions, and he’s said that, “There isn’t just one single kind of senior citizen, there are several classes of

them—including those who are fully mobile and autonomous and those who are not. But between these two there are many different levels, since we can live up to 100, 110 years old and we currently consider people ‘elderly’ at sixty.“ So from 60 to 100 years old there is a 40-year period that can go in any number of ways, and then there are people who at 100 years old are fully autonomous, who still get around, have full mental capacity and are healthy. But at the same time the body gets tired, which requires assistance. The second thing is that we shouldn’t be creating spaces in the city for the elderly. The idea in our neighborhood is to have people specialized in managing apartments for the elderly, so the organization and aid is there, but we won’t build a building for the elderly. We will sell multiple apartments around the neighborhood to these companies in which the elderly can be housed, and they will manage all of the apartments in order to mix the elderly population with non-elderly, therefore with families and children, to allow the city to rebuild itself as a mixed system and not a separate one. This is interesting, and it’s for this reason as well that this island (because we’re working with EDF, the power company) is going to make electric cars available to people; it’s an island, so it is closed off. It’s quite isolated and the distance between things on the island is great, so rather than use their cars there will be a dedicated spot on the island where there will be an attendant (like a hotel concierge) who can provide multiple services, such as that for electric cars. You can reserve an electric car, the attendant will send it to you, then you can take it out and be brought back home,

go around the city, etc. There is a system of services in the neighborhood simply to help people to live, because we can, and it’s exciting to think about these types of things. So as an architect you’re not worried about your future, but in principal do you think that Smart Cities can serve a function, or a role, for architects? Of course, it should be thought about, but it’s for this reason that I think more and more that architects are not just those who give things shape, but rather someone that develops intelligent “matchmaking“ and helps people live better, at least to me. Because shapes are good, but they’re not sufficient, definitely not sufficient... that is why social aspects interest me, and why large issues in science and technology—from medical to architectural—interest me, because it’s work for people.

* A leading exponent of the avantgarde architecture community, Odile Decq founded the ODBC firm with Benoït Cornette, with whom she worked until his premature death in 1998. In 1990 they designed the Banque Populaire de l’Ouest in Rennes, a building that won a number of awards and made Decq and Cornette internationally famous. Their work was crowned with the Leone d’Oro at the Venice Architecture Biennale in 1996. On Cornette’s death, Odile Decq remained alone at the helm of ODBC. She has consolidated her international profile with the success of the project for the MACRO contemporary art museum in Rome, opened in May 2010. Decq has received many important awards and is actively involved in teaching (Ecole Spéciale d’Architecture in Paris, which she headed until 2012). She is a visiting professor at a number of international universities, including Columbia University in New York.

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Città ancora più intelligenti Smart[er] Cities Intervista con Nashid Nabian* Interview with Nashid Nabian*

Urbanizzazione, sostenibilità e simbiosi produttiva tra ambiente costruito e il suo più ampio contesto naturale Urbanization, sustainability, and a productive symbiosis between the built environment and its greater natural context

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Nashid Nabian

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mart Cities. Che significato ha questo concetto nella ricerca presso la GSD di Harvard? L’idea di Smart Cities è un tema multidisciplinare emergente all’interno delle ricerche svolte presso la Graduate School of Design (GSD) di Harvard. I due concetti chiave associati alle Smart Cities, in materia di logica operativa, sono la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale nell’ambito del contesto urbano. Le due parole chiave di questi concetti sono “sufficienza” ed “efficienza”. La questione è: quali risorse si rendono necessarie e in che modo il loro allocamento può essere valutato alla luce di tali criteri? In questo senso, in linea con le iniziative di ricerca della GSD di Harvard, la creazione di città “più” intelligenti sembra il passo logico successivo, o parallelo, al concetto di urbanistica ecologica, un ulteriore progetto di ricerca che verte su temi di sostenibilità ambientale e sociale. La ricerca interdisciplinare presso la GSD relativamente alle Smart[er] Cities – città “più” intelligenti – si può intendere quindi come riflesso dell’influenza catalizzatrice dell’urbanistica ecologica, sostenuta dal preside di facoltà

Mohsen Mostafavi, un concetto presente nei principali contesti intellettuali rappresentati nelle ricerche e nei casi di studio all’interno della GSD, volti a questioni critiche di urbanizzazione, sostenibilità, e simbiosi produttiva tra aree urbanizzate e il loro contesto naturale più ampio. La GSD di Harvard ha iniziato una collaborazione con l’Università di Bergamo sulle Smart[er] Cities. Come ha avuto inizio questa collaborazione? Lo scambio è nato sulla base di un mutuo interesse e impegno sui temi di progettazione delle Smart Cities e delle loro implicazioni sociali. Il lavoro sulle Smart Cities ha visto il coinvolgimento del Dipartimento Urban Planning and Design della Harvard Graduate School of Design, con l’obiettivo di creare un catalogo esauriente di soluzioni innovative a livello tecnologico e intelligenti in materia urbanistica, per uno sviluppo e una crescita urbana sostenibile, e insieme per sviluppare l’applicabilità di tali soluzioni ad aree problematiche identificate come specifiche della Città di Bergamo. I risultati di questa collaborazione saranno integrati

con un’iniziativa attualmente in corso presso l’Università di Bergamo, chiamata CITTÀ 2.(035), focalizzata su una visione innovativa dell’area di Bergamo per l’anno 2035. Le Smart[er] Cities, intese come contesto emergente e di svolta, considerano la produzione di conoscenza Mode 2 il paradigma preliminare per la produzione di rigorosi progetti urbanistici accademici basati sulla ricerca, e ricerche basate su progetti urbanistici. I confini convenzionali tra le varie discipline vengono rinegoziati al fine di ottenere il massimo coinvolgimento e una collaborazione più efficiente tra urbanistica e architettura, ingegneria del software e dell’hardware, architettura industriale e interattiva, e le Belle Arti, per citarne alcune. Le prospettive sono veramente promettenti e ricche di spunti, specialmente per i pianificatori delle aree urbane e gli urbanisti. Il concetto di Smart City viene spesso associato (soltanto) all’importanza sempre maggiore delle Information and Communication Technologies, che potrebbe essere percepita come troppo “complicata” dagli stakeholders europei, e in particolare italiani, anche tenendo conto del background storico delle città italiane. Stiamo seguendo – e personalmente sostengo – il modello europeo delle cinque dimensioni delle Smart Cities – Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, and Smart People (gestione intelligente, economia intelligente, ambiente intelligente, stile di vita intelligente e persone intelligenti). La governance della Smart City

dovrebbe essere sia decentrata che centralizzata. Dovrebbe beneficiare di una logica operativa ibrida, orientata sia dall’alto verso il basso, che viceversa. Prendendo spunto dai principi che sottendono il concetto di “progettazione anticipatoria” (anticipatory design), un termine coniato da Buckminster Fuller, la gestione della Smart City dovrebbe essere connotata dall’anticipazione. La gestione anticipatoria significa pensare a tutto tondo, nonché agire anticipatamente e avere una visione di un futuro che sia il migliore possibile. Ciò non significa semplicemente teorizzare su come le cose dovrebbero essere, quanto adottare un approccio proattivo, coinvolto e coinvolgente, basato sull’azione. Per quanto riguarda la smart economy, dobbiamo partire dalla considerazione che, a questo punto, la popolazione mondiale si è concentrata stabilmente nelle metropoli, e siamo testimoni di un aumento sostanziale della dimensione media delle aree urbane nel mondo intero. In questo contesto, la capacità delle città di essere competitive e di avere una crescita sostenibile fa sì che l’attenzione di funzionari e politici si concentri sull’assicurare il livello desiderato di qualità in relazione a tutto ciò che riguarda una smarter economy. L’ambiente intelligente si riferisce alle relazioni tra Smart City e natura, e ciò comporta un’attenzione specifica al punto di vista ambientale in fase di creazione e gestione delle dinamiche urbane e del loro impatto ecologico. Lo stile di vita dei contesti urbani può essere reso anch’esso più intelligente, e gli interventi possono variare da extra large a extra small, a copertura di tutte le possibilità di scala. L’intervento extra large è rivolto alla città stessa, la taglia large è per gli


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spazi pubblici urbani, la medium è rivolta all’edilizia, la small riconduce all’artefatto urbano e all’arredamento, e l’extra small è per gli oggetti rinnovati, nell’ottica di renderli più intelligenti. Lo smart living, considerato come una dimensione delle Smart Cities, comporta l’innescarsi di cambiamenti comportamentali positivi, sia nelle azioni di vita quotidiana che nei processi decisionali all’interno dei contesti urbani, includendo decisioni legate tanto alla mobilità individuale quanto alle riforme istituzionali, quali l’offerta di servizi sanitari così come la promozione di stili di vita urbana più sani. Il concetto e la logica operativa delle Smart Cities sono promotori di sostenibilità sociale mediante la creazione di comunità equilibrate, civilizzate e a misura d’uomo, in contesti urbani ben mantenuti. L’obiettivo è di dare voce alle persone, in particolare ai cittadini, e promuovere l’impegno della comunità per eliminare la fonte dei problemi urbani. A questo proposito, ad esempio, l’arte pubblica svolge un ruolo importante nella trasformazione degli spazi condivisi della città in spazi di interazione e luoghi di discussione tra cittadini su temi specifici legati al territorio.

In che modo vede la relazione tra industria e mondo accademico, in termini di progetti di R&S all’interno delle Smart Cities, e il processo di trasferimento tecnologico e di conoscenza dal mondo accademico a quello della vita reale, orientato al mercato e basato sull’economia? I risultati della cooperazione tra la GSD di Harvard e l’Università di Bergamo relativamente alle Smart Cities saranno integrati in un progetto di ricerca, in fase di sviluppo, condotto dall’Università di Bergamo e chiamato Bergamo 2.(035) che verte su una visione “smart”, innovativa e basata sulla tecnologia, per l’area di Bergamo nel prossimo futuro. In termini di relazione tra industria e accademia, nell’ambito dei progetti di Ricerca & Sviluppo riguardanti le Smart Cities, direi che la natura delle aree critiche affrontate mediante la ricerca sulla Smart City conduce a un coinvolgimento proattivo dell’industria, sia in termini di fornitura della conoscenza contestuale necessaria, sia di supporto finanziario a tale iniziativa. Questo è esattamente quanto è successo nel corso della nostra visita a Bergamo qualche mese fa. Il nostro

gruppo ha incontrato numerose istituzioni e personalità che dispongono dell’autorità e del potere politico, culturale, finanziario e sociale per “far succedere” le cose, tanto all’interno della città quanto in un contesto più ampio. Penso, quindi, che il progetto Bergamo 2.(035), per quanto riguarda la Ricerca & Sviluppo, sia un esempio perfetto di collaborazione tra industria e mondo accademico all’interno del contesto delle Smart Cities. Sarà ovviamente necessario porre attenzione alle modalità di sviluppo del progetto. Il processo di trasferimento tecnologico e di conoscenza tra il mondo accademico da una parte, e quello dell’industria dall’altra, è una questione di importanza vitale. In relazione alle Smart Cities i progetti proposti dovranno trovare in futuro una piattaforma e un meccanismo in termini di realizzazione. E questo comporta l’esistenza di determinate piattaforme istituzionali e socio-culturali che permettano la trasmissione di tecnologia e conoscenza tra il mondo accademico da un lato e quello delle reali prassi urbane dall’altro. Tutto ciò sarà però inattuabile senza una focalizzazione consapevole e intenzionale sulla gestione strategica

e imprenditoriale e sulla messa a punto e l’implementazione di strategie industriali accuratamente finalizzate.

* Nashid Nabian, nata e cresciuta a Teheran, Iran, ha conseguito un Master in Ingegneria Edile presso l’Università Shahid Beheshti. Ha proseguito gli studi post-laurea presso la facoltà di Architettura del Paesaggio e Urbanistica dell’Università Daniels di Toronto, dove ha conseguito un Master in Urbanistica che le è valso il riconoscimento della Toronto Association of Young Architects per la sua tesi sulla riqualifica del Waterfront di Toronto. Dal 2003 al 2012, è stata socia dell’Arsh Design Studio, uno studio di architettura, con base a Teheran, i cui progetti sono riconosciuti sia a livello nazionale sia internazionale: Dollat II, un appartamento residenziale progettato dall’Arsh Design Studio è stato selezionato per concorrere nell’edizione 2010 del Premio Agha Khan per l’Architettura, mentre Offices/2 Brothers, un edificio ad uso uffici progettato dell’Arsh Design Studio, è stato selezionato per concorrere al WAF Award del 2011. Nel 2012, dopo la divisione dell’Arsh Design Studio in due studi distinti, è stata co-fondatrice dello (Shift)Process Practice con Rambod Eilkhani. La ricerca di Nashid si focalizza sull’innovazione digitale nell’architettura del paesaggio e nell’urbanistica, in particolar modo degli spazi pubblici, e sul modo in cui le nuove tecnologie possono influenzare l’esperienza spaziale, facendo emergere le necessità e i desideri dei residenti o degli utenti. Attualmente è ricercatore presso il MIT SENSEable City Lab ed è docente universitaria presso il Dipartimento di Architettura della Graduate School of Design (GSD) di Harvard.


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mart Cities. What’s the meaning for the research at Harvard GSD? Smart Cities is an emerging multidisciplinary discourse within the research at Harvard Graduate School of Design (GSD). The two key concepts associated with Smart Cities as a logic of operation are environmental sustainability and social sustainability within the urban context. The two keywords to these concepts are “sufficiency” and “efficiency.” The question is, what resources need to be allocated and how can their allocation be examined against those criteria? For that matter, as a research initiative at the Harvad Graduate School of Design, Smart[er] Cities seems a logical step following or parallel to ecological urbanism, another ongoing research initiative that looks at issues of environmental and social sustainability. The interdisciplinary research at the GSD on Smart[er] Cities is therefore a reflection of the catalytic influence of ecological urbanism, advocated by Dean Mohsen Mostafavi, which is among main intellectual frameworks represented in the research and practices across the GSD that address pressing issues of urbanization, sustainability, and a productive symbiosis between the built environment and its greater natural context.

Harvard GSD has started a collaboration with the University of Bergamo on Smart[er] Cities. What’s the origin of this exchange? The exchange was born of a kind of mutual interest and commitment to design issues of Smart Cities, and their social implications. The work on Smart Cities has seen the involvement of the Urban Planning and Design Department at the Harvard Graduate School of Design, with the goal of creating an exhaustive catalog of technologically enhanced, smart urban solutions based on their intrinsic value for sustainable urban development and growth, as well as their applicability to problem areas identified as specific to the City of Bergamo. The outcome of this collaborative exercise will be integrated into an ongoing initiative at the University of Bergamo titled CITTÀ 2.(035), which is focused on a smartened-up vision of the Bergamo region for the year 2035. Smart[er] Cities as an emerging and cutting-edge trans-disciplinary framework looks into Mode 2 knowledge production as the preliminary paradigm for producing rigorous academic research-driven design and design-driven research. Conventional disciplinary

boundaries are re-negotiated for maximum engagement and a more efficient collaboration encompassing urban design and architecture; software and hardware engineering, industrial and interactive design, and fine arts, to name a few. The field is quite promising and up for grabs, particularly for urban planners and urban designers. The concept of Smart City is often associated (only) to the growing importance of Information and Communication Technologies, which could be perceived as too “unfamiliar” by European and in particular Italian stakeholders, also taking into consideration the historical background of Italian cities. We have been following—and I personally support—the European model of the five dimensions of Smart Cities—Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, and Smart People. The governance of the Smart City should be simultaneously distributed and centralized. It should benefit from a hybrid of top-down and bottom-up logic of operation. Borrowing from the principals of “anticipatory design,” a term coined by Buckminster Fuller, the governance of the Smart

City should be an anticipatory governance. Anticipatory governance means to think comprehensively, and to anticipate and envision the best possible future. It does not merely theorize about how things ought to be; instead, it takes a hands-on, involved, and action-based approach. With reference to smart economy, we have to consider that, at this point, the global population has been steadily concentrating in cities, and we are witnessing a substantial increase in the average size of urban areas all around the world. Against this background, the city’s capacity for competitiveness and sustainable growth has focused the attention of officials and policymakers on securing a desired level of quality in areas related to a smarter economy. Smart environment refer to the relationship between the Smart City and nature, and this exacts a particular focus on environmental sensing to make sense of urban dynamics and its ecological impact. Also the living condition of urbanites can be smartened up and interventions can range from extra large to extra small to cover the possibilities across all scales: extra large is the city itself, large is the public urban space, medium is the building,


small is the urban artifact and furniture, and the extra small is the object that is retrofitted to be smartened up. Smart living as a dimension of Smart Cities looks into making positive behavioral changes in urbanites’ daily operations and decision-making, ranging from individual mobility decisions to institutional reforms such as providing medical services, as well as orchestrating healthier urban lifestyles. Smart Cities as a concept and a logic of operation promotes

social sustainability through creating livable, civilized, and balanced communities in well-maintained urban settings; the goal is empowering people and in particular citizens and fostering community engagement in order to eliminate the source of urban problems. In this regard, for example, public art has a great role to play in transforming shared spaces of the city to spaces of interaction and localized, situated discussion boards among citizens.

How do you see the relationship between industry and academia in terms of R&D projects in the context of Smart Cities, and the process of technology and knowledge transfer from the academic realm to the market-oriented and economy-driven world of real-life situations? The outcome of the cooperation between Harvard GSD and the University of Bergamo on Smart Cities is going to be integrated into an ongoing research project, conducted by the University of Bergamo and titled Bergamo 2.(035), that focuses on a technologically driven smartened up vision for the Bergamo region in the near future. In terms of the relationship between industry and academia in the context of R&D projects focused on Smart Cities, I would say that the nature of the problem areas addressed through Smart City research exacts a pro-active involvement from industry both in terms of providing required contextual knowledge as well as financial support of such initiative. This is exactly what happened during the visit we had in Bergamo few months ago. Our team met with a very impressive roster of institutions and individuals who have the social, financial, cultural and political agency and power to make things happen in the city and its greater context. Therefore, I think a perfect example of collaboration between industry and academia in the context of Smart Cities related R&D is the Bergamo 2.(035) project. Of course, we have to carefully think how the project can move forward. Technology and knowledge transfer between academia on one hand and industry on the other is a critical issue. In the context of Smart Cities,

proposed projects for the future need to find a platform and mechanism in terms of realization. This exacts the existence of certain socio-cultural and institutional platforms that allow for technology and knowledge transfer between the world of academia on one hand and the world of real urban practices. This will not be possible without a conscious focus on strategic management and entrepreneurship and accurately targeted business strategies.

* Nashid Nabian was born and raised in Tehran, Iran, and earned a Master’s in Architectural Engineering at Shahid Beheshti University. She pursued her post-graduate studies at the University of Toronto’s Daniels Faculty of Architecture, Landscape and Design, where she earned a Master of Urban Design degree, and received the Toronto Association of Young Architects award for her thesis on the enhancement of the Toronto Waterfront. From 2003 to 2012, she has been partner at Arsh Design Studio, a Tehran-based architecture office both nationally and internationally recognized for its projects: Dollat II, a residential apartment by Arsh Design Studio, has been short-listed for the 2010 cycle of the Agha Khan Architecture award, while Offices/2 Brothers, an office building by Arsh Design Studio, was short-listed for 2011 WAF award. In 2012 after Arsh Design Studio was divided to two separate offices, she co-founded (Shift)Process Practice with Rambod Eilkhani. Nashid’s research focuses on the digital augmentation of architecture and constructed landscapes, particularly public spaces, and how novel technologies can impact the spatial experience by soliciting the needs and desires of inhabitants or users. Currently, she is a post-doctoral fellow at MIT SENSEable City Lab, while holding a lecturer position in the Department of Architecture at Harvard Graduate School of Design (GSD).

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Projects

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Il mai sopito anelito a una città ideale si è andato configurando negli anni più come ricerca di una città intelligente. Ma oggi, tale accezione sembra diventata in parte limitata e limitante come dimostrano gli approcci più contemporanei che, oltre al pragmatismo della funzionalità ed economicità degli insediamenti urbani, tornano a mettere in primo piano una visione più olistica, comprensiva anche delle necessità sociali e spirituali dei cittadini. The never appeased yearning for an ideal city has been developing over the years as search for a smart city. But today, this sense seems to have become partly limited and limiting as evidenced by the more contemporary approaches that, in addition to the pragmatism of functionality and economy of urban settlements, put back in the spotlight a more holistic vision, comprehensive of the social and spiritual needs of citizens.

L’ideale del sostenibile! Modello neo-illuminista o evoluzione culturale?

The Ideal of Sustainability! Neo-enlightenment model or cultural evolution? Joseph di Pasquale*

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ono passati 200 anni esatti tra la presa della Bastiglia a Parigi nel 1789 e la caduta del muro di Berlino nel 1989. In questo relativamente breve lasso di tempo un grande sconvolgimento ha attraversato la conoscenza umana. Il mito illuminista della scienza e la fede nella possibilità che questa potesse di fatto risolvere ogni problema ha fatto sì che in tutti gli ambiti della conoscenza si siano ricercate delle regole universali, codificabili e dimostrabili che potessero togliere dall’indeterminatezza dell’arbitrio individuale la responsabilità delle soluzioni per affidarle all’oggettività di una apposita e specifica scienza ideata e codificata allo scopo. Questo è avvenuto per tutti gli ambiti dell’attività umana incluse ovviamente l’economia e l’urbanistica che proprio a partire dal XIX secolo hanno preteso di assimilarsi a delle scienze esatte con analisi, codificazione dei fenomeni, postulazione di leggi, e individuazione di teorie applicative. Di conseguenza in ogni settore la definizione di un ideale ha coinciso con l’elaborazione di un modello di tipo matematico-scientifico. Oggi nell’ambito degli studi economici si fa strada l’idea che sia stato profondamente sbagliato il voler considerare l’economia come una scienza esatta interpretando forzosamente fenomeni sostanzialmente governati dalla somma di decisioni umane libere alla stregua di fenomeni deterministici, e cioè governati da leggi fisiche riducibili a numeri ed equazioni di fatto manipolabili in senso astratto. Secondo questa linea di pensiero è proprio qui che risiede l’origine del primato perverso acquisito in economia dal mondo finanziario le cui tragiche conseguenze l’Occidente ha pagato con periodiche crisi di sistema e che oggi stiamo sperimentando nella forma più acuta e forse letale in cui l’economia finanziaria rischia di divorare l’economia reale. In un certo senso la stessa cosa è successa in questi duecento anni per la città. Prima del XIX secolo non esisteva l’urbanistica, cioè la “scienza della città”. Una volta stabilita una relazione deterministica tra città, territorio e sistema economico il processo di trasformazione in “scienza” della materia urbana era di fatto già implicitamente iniziato. Come per l’economia è infatti iniziata una progressiva trasformazione dell’analisi urbana attraverso l’uso di strumenti numerici. Da qui la definizione della qualità in termini di “standard”, di percentuali, di rapporti, di dimensioni e misure minime. Tutta la normativa che ne è seguita e che ancora oggi governa l’attività edilizia e urbanistica, è andata in questa direzione e così come in

economia l’aberrazione di questo approccio ha provocato la sovrapposizione alla realtà di un’economia fasulla e fittizia, in urbanistica è avvenuta la stessa cosa. Le città ideali di origine illuminista che si sono succedute nel XIX e nel XX secolo, da New Harmony di Robert Owen alla Ville Radieuse di Le Corbusier, si sono rivelate modelli tanto attraenti a livello teorico quanto fallimentari e astratti nella loro concreta applicazione mancando totalmente l’obiettivo di raggiungere l’ideale di una nuova e superiore qualità urbana. Milioni e milioni di persone, la maggior parte dei cittadini del mondo, vivono oggi in periferie disumane, risultato di quelle teorizzazioni e di quei modelli, senza identità e omologate a livello globale, dove anche se gli standard e le norme vengono perfettamente rispettati, la qualità urbana complessiva è comunque insoddisfacente, e sempre decisamente perdente se messa a confronto con la città storica, con quella città cioè costruita prima che la “scienza urbana” facesse la sua apparizione. L’errore come per l’economia sta nel considerare la materia urbana una scienza. In realtà l’essenza del tema urbano è molto più complessa e, se ha delle implicazioni di tipo tecnico, queste non sono di tipo scientifico ma più di tipo tecnologico o multi-tecnologico dove il rapporto con la scienza esiste ma è indiretto e strumentale. La tecnologia a differenza della scienza non procede per modelli ma per approssimazioni successive innovando, cioè facendo nuove, le tecnologie precedenti, modificandole e migliorandole. L’obiettivo non è di interpretare in senso astratto la realtà, ma di soddisfare desideri ed esigenze pratiche. Ma come è definibile oggi il desiderio diffuso di città ideale? Nell’indagine sulla qualità della vita nelle città elaborata dalla rivista “The Economist” nel 2009 sulla base di dati raccolti dalla società di consulenza Mercer Consulting di New York, gli oltre trecento criteri adottati per la valutazione sono riconducibili principalmente a tre grandi categorie: la disponibilità di beni e servizi, la sicurezza personale e l’efficienza dei sistemi di trasporto. La disponibilità di beni e servizi è evidentemente connessa in modo essenziale con l’effettiva possibilità di far arrivare nel centro urbanizzato i terminali del sistema produttivo non solo del territorio circostante ma anche dell’intera rete infrastrutturale che innerva il sistema economico. Questa è quella che potremmo definire la “tecnologia urbana” sulla base della quale sono state edificate e si sono sviluppate le città storiche fino a tutto il XIX secolo.


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Questa tecnologia come spesso accade è di derivazione militare, furono infatti i romani a inventare un sistema di accampamenti militari interconnessi tra loro con rapide vie di comunicazione appositamente costruite per consentire il trasferimento veloce di truppe da un accampamento all’altro. Dopo la caduta di Roma, la progressiva cristianizzazione dell’impero e la sempre maggior diffusione di un’idea di “dignità della persona e dell’individuo”, l’energia umana fornita dagli schiavi divenne di fatto “culturalmente insostenibile”. Questo costituì un enorme problema energetico ma allo stesso tempo un formidabile stimolo inventivo. Fu così che tra il IX il X secolo in Europa si iniziarono a scoprire e sfruttare per la prima volta le “energie rinnovabili”: l’eolico e l’idromeccanico. Nacquero e si diffusero rapidamente i mulini sui fiumi e i mulini a vento. Nel XIII secolo in Inghilterra un mulino ad acqua fu collegato a un meccanismo per follare la lana ed ebbe inizio così l’era industriale. L’infrastruttura stradale romana e le nuove fonti di energia furono le basi per la nascita di un nuovo e straordinario sistema produttivo, commerciale e finanziario mai visto prima nella storia dell’umanità che già nel XII secolo aveva tutti i caratteri di complessità e globalizzazione di un autentico sistema capitalistico e industriale moderno. Gli “accampamenti” romani si trasformarono quindi in vere e proprie città, luoghi di scambio, di commercio, di studio, di formazione, e sedi di scuole, banche, mercati e università. La città divenne quindi non solo la massima aspirazione per gli ideali di ricchezza e di sicurezza, ma anche il riferimento per tutti quei valori non materiali che potremmo definire spirituali quali la conoscenza, la ricerca, la cultura, l’arte. Ci sono oggi molte analogie con quel momento della storia che fu fondativo o rifondativo di un ideale di città. Con la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda si è resa disponibile un’infrastruttura rivoluzionaria nata come tecnologia di comunicazione per scopi militari, il World Wide Web. In quindici anni Internet sta di fatto rivoluzionando il mondo dell’economia globale. Tutto si sta riorganizzando in base a questa nuova modalità di trasferimento delle informazioni, del denaro, e delle risorse. Anche oggi ci troviamo in una situazione dove le fonti di energia tradizionali stanno diventando “culturalmente insostenibili” a causa della coscienza diffusa delle conseguenze dannose di uno sviluppo scorretto sull’ambiente e in ultima analisi sul genere umano stesso. Siamo quindi nel pieno di una grande rivoluzione

energetica per scoprire o riscoprire fonti di energia “rinnovabili”, per ricercare tecnologie e materiali “sostenibili” in tutti i settori. La combinazione di una nuova e rivoluzionaria infrastruttura e la rivoluzione in campo energetico sono le premesse di una profonda trasformazione economica e sociale della società che ridefinirà completamente il nostro modo di vivere e lavorare nonché l’organizzazione anche fisica del territorio e della città. La “città sostenibile”, la “Smart City” è oggi la nuova forma di idealità applicata alla concezione della città. Come architetti e come intellettuali, abbiamo oggi l’opportunità e la responsabilità storica di definire le modalità con cui questa aspirazione ideale diventerà realtà, di scegliere in sostanza se rinnovare l’assegno in bianco firmato due secoli fa nei confronti della “scienza”, oppure non farlo e riconsiderare il concetto di progresso nel complesso di una più ampia “sostenibilità culturale” che deve comprendere anche aspetti altri rispetto alle sole componenti tecnico-scientifiche. Questo significa innanzitutto rifiutare l’idea che la sola “tecnica della sostenibilità” e cioè gli ambiti legati all’energia e alla tecnologia possano esaurire il problema. Come pure significa impedire che la diffusione di una nuova normativa di tipo tecnico-scientifico pretenda di costituire la via esaustiva al raggiungimento di un nuovo ideale di sostenibilità e di qualità urbana. Siamo di fronte al pericolo concretissimo della nascita di una nuova casta di tecnici taumaturghi, sacerdoti scientisti della “sostenibilità”, che se supportati da un apparato normativo vincolante pretenderanno nuovamente di avere l’unica chiave, l’unico modello di riferimento per la soluzione nuovamente “scientifica” di tutti i problemi urbani. Come anche il sociologo ed epistemologo austriaco Paul K. Feyerabend ha messo bene in evidenza nella sua critica al metodo scientifico (Contro il metodo, 1975) il pensiero post-moderno o postilluminista è nella situazione di chi è ormai cosciente che oltre al “fenomeno” riducibile in numeri, la totalità della realtà comprende anche altri aspetti che di fatto costituiscono una parte essenziale della realtà stessa. Si tratta quindi di recuperare la storia, la filosofia, l’arte, la sociologia, la psicologia, le tradizioni, le identità culturali e, perché no, anche la cultura della spiritualità e della religione, tutti ambiti nei quali a nulla servono gli strumenti dei “tecnici”, ma che costituiscono criterio di assoluta priorità e di assoluta essenzialità nel processo di approssimazione della città reale verso un autentico e completo ideale di sostenibilità culturale.

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* Joseph di Pasquale (1968), architetto e urban designer, professore a contratto alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, master in Film Making alla New York Film Academy 2001. All’inizio della pratica professionale si interessa al tema della qualità architettonica e ambientale degli insediamenti produttivi di grandi dimensioni. Nel 2007 vince il concorso per l’ampliamento del parco Minitalia a Capriate San Gervasio (BG) e nel 2008 quello per la nuova ecotown di Jingwu in Cina, in cui applica le teorie sull’ecodensità che definisce nel testo “La cittá densa”. L’incontro con la Cina lo porta a interessarsi del rapporto tra globalizzazione e identità culturale elaborando il concetto di “sostenibilità culturale”. Nel 2009 vince il concorso per la sede del Guangdong Plastic Exchange a Canton, Cina, con un progetto ispirato al tema dell’esogramma come segno/simbolo della figurazione architettonica locale. Tra il 2008 e il 2012 tiene varie conferenze e lezioni in diverse università e convegni tra Cina, Europa e Brasile sul tema “globalitarismo architettonico vs sostenibilità culturale”.


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xactly 200 years passed from the storming of the Bastille in Paris in 1789 to the fall of the Berlin Wall in 1989. Shockwaves have shot through human knowledge over this relatively short period of time. The Enlightenment myth of science and the belief that it could solve all our problems has meant that there has been an attempt to discover universal, codifiable and demonstrable rules in every realm of knowledge capable of removing the indeterminacy of individual randomness from the responsibility for coming up with solutions, so that they can be grounded in a special, specific science specially devised and coded for this purpose. This has indeed happened in every field of human endeavor, obviously including economics and townplanning, which, starting from the 19th century, have aimed to take on the same nature as the exact sciences with their own studies, codifying of phenomena, laying down of laws and identifying of practical theories. This has meant that the defining of an ideal in every single field has coincided with the developing of a mathematical-scientific style model. Nowadays there is a growing belief in the field of economic studies that it is a deeply flawed idea to compare economics to an exact science, attempting to interpret phenomena, which are basically governed by the sum of freely-taken human decisions, as if they were deterministic phenomena, i.e. governed by physical laws that may be reduced to numbers and equations capable of being manipulated on an abstract level. According to this line of thinking, this actually explains why the financial world has perversely been given pride of place in economics, with the tragic consequences this has had for the West with its periodic systemic crises, something which we are currently experiencing for ourselves in its most acute and perhaps lethal form, as financial economics is threatening to devour the real economy. In some respects the same thing has happened to our cities over the last 200 years. Town-planning or, in other words, the “science of the city”, did not even exist before the 19th century. Once a deterministic relationship was established between the city, territory and economic system, the process of transforming urban issues into a “science” had already implicitly begun. As in the case of economics, a gradual transformation of urban studies was set under way using numerical tools. This led to quality being defined in terms of standards, percentages, relations, dimensions and minimum measurements. All the rules and regulations that this entailed, and which still control building and town-planning work, was

directed along these lines and, just as in economics the aberration of this approach resulted in the superimposing on reality of fake and fictitious economics, the same thing has happened in townplanning. The ideal cities envisaged by the Enlightenment that came into being in the 19th and 20th centuries, from Robert Owen’s New Harmony to Le Corbusier’s Ville Radieuse, turned out to be as attractive on a theoretical level as they were abstract failures in practice, totally missing the target of achieving the ideal of a new and superior quality of urban life. Millions and millions of people, most of the world’s citizens, now live in inhumane suburbs based on the aforementioned theories and models, totally lacking in identity and globally standardized, where, even if the standards and regulations are abided by to the letter, overall urban quality is nevertheless unsatisfactory and most definitely a failure compared to our historical cities or, in other words, those cities built before “urban science” made its appearance. Just as in the case of economics, the mistake lies in treating urban issues as a science. In actual fact the essence of urban issues is much more intricate and if it does have technical implications they are not of a scientific nature but more technological or multitechnological, with the relationship with science only existing indirectly and instrumentally. Unlike science, technology does not develop along the lines of models but in terms of successive approximations, innovating (i.e. making new) previous technology, modifying and improving upon it. The aim is not to make abstract interpretations of reality but to satisfy practical desires and requirements. So how might we define the widespread desire for an ideal city nowadays? In a survey into the quality of life in cities carried out by “The Economist“ in 2009 based on data collected by Mercer Consulting from New York, the over three-hundred criteria adopted for assessment purposes may mainly be traced back to three main categories: the availability of goods and services, personal safety and the efficiency of transport systems. The availability of goods and services is clearly essentially connected to the actual possibility of enabling the end products of the manufacturing system to actually reach urban centers, not just the surrounding territory but the entire infrastructure and network running through the economic system. This is what we might describe as “urban technology“ based on which our historical cities were constructed and developed right through until the end of the 19th century.


As is often the case, this technology derives from the military, and it was actually the Romans who invented a system of interconnected military camps joined together by specially constructed high-speed communication routes allowing troops to be rapidly transferred from one camp to another. After the fall of Rome, the gradual evangelization of the Empire and increasing spread of an idea of “personal and individual dignity”, human energy provided by slaves eventually became “culturally unsustainable”. This caused a huge energy problem but, at the same time, it really encouraged invention. It explains why “renewable energy sources” began to be discovered and exploited in Europe in the 9th10th centuries: wind power and hydro-mechanics. Watermills along rivers and windmills were developed and soon became widespread. A water mill was even connected to a mechanism for fulling wool in Great Britain in the 13th century, marking the real beginning of the industrial age. Roman road infrastructure and new energy sources were the foundations for the birth of a new and extraordinary manufacturing, business and financial system, never previously seen in the history of mankind, which even in the 12th century already had all the complexity and globalization of an authentic modern industrial and capitalist system. So Roman “camps” were transformed into proper cities; trading, exchange, business, and education places and the locations for schools, banks, markets and universities. And the city not only became the highest aspiration in terms of the ideals of wealth and safety, but also a benchmark for all those intangible values that we might describe as spiritual, such as knowledge, research, culture and art. Nowadays there are plenty of similarities with that period in history that grounded or regrounded a certain ideal of the city. With the fall of the Berlin Wall and the end of the Cold War, a revolutionary infrastructure became available originally designed as a piece of communication technology for military purposes: the World Wide Web. Over the last fifteen years the Internet has been genuinely revolutionizing the world of the global economy. Everything is being reorganized according to this new means of transferring information, money and resources. Once again we find ourselves in a situation in which conventional energy sources are becoming “culturally unsustainable”, because of a widespread awareness of the harmful consequences of the improper exploitation of the environment and, ultimately, of mankind itself.

This means we are in the very midst of a great energy revolution striving to discover or rediscover “renewable” energy sources, in order to come up with “sustainable” materials and technology in every single sector. The combination of a new and revolutionary infrastructure and the revolution underway in the realm of energy provide the premises for a profound economic and social transformation of our society, which will totally redefine our way of living and working, not to mention the physical layout of the land and cities. The “sustainable city” and “Smart City” are now the latest form of idealism applied to the concept of a city. As architects and intellectuals, we now have the opportunity and historical responsibility to define the ways in which this ideal aspiration actually takes shape and, fundamentally, of deciding whether to actually re-sign that blank check handed over to “science” two centuries ago or, on the other hand, not to sign it and review the concept of progress as part of a more extensive notion of “cultural sustainability” that must also take into account other aspects and not just scientific-technical considerations. First and foremost this means rejecting the idea that only “the sustainability method” and, hence, those realms connected with energy and technology can solve the problem. It also means preventing the spread of a new kind of scientifictechnical thinking that aims to provide the exclusive means of achieving a new ideal in terms of sustainability and quality. We are faced with the very real danger of a new cast of wonder-working technicians coming into being, the scientists-priests of “sustainability”, who, with the backing of constrictive rules and regulations, will once again claim to hold the only key and only means of “scientifically” solving all urban issues. As the Austrian sociologist and epistemologist, Paul K. Feyerabend, has also clearly pointed out in his critique of scientific method (Against Method, 1975), postmodern or post-Enlightenment thinking is now in the situation of realizing that alongside “phenomena” that can be reduced in numbers, reality in its totality also includes aspects that actually form an essential part of reality itself. So it is really a matter of reviving history, philosophy, art, sociology, psychology, traditions and cultural identities and, why not, a culture of spirituality and religion, all realms in which the tools of “technicians“ serve no purpose but which constitute the criterion of absolute priority and absolute essentiality in the process of gradually developing real cities into an authentic and complete ideal of cultural sustainability.

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* Joseph di Pasquale (1968), architect and urban designer, adjunct professor in the Faculty fo Architecture of Milan Polytechnic and master in Film Making at the New York Film Academy 2001. At the beginning of his career he was interested in the issue of the architectural and environmental quality of large manufacturing sites. In 2007 he won a competition to extend the Mini Italy Park in Capriate San Gervasio (Bergamo) and in 2008 to extend the new eco-town of Jingwu in China, to which he applied the theories of ecodensity referred to in the book entitled “La città densa”. Encountering China led him to develop an interest in the relationship between globalization and cultural identity, elaborating upon the concept of “cultural sustainability”. In 2009 he won the competition to design the headquarters of the Guangdong Plastic Exchange in Canton, China, with a project inspired by the idea of an hexagram as a sign/symbol of local architectural design. In 2008-2012 he held various conferences and lectures at different universities and conventions in China, Europe and Brazil based on the theme of “architectural globalization versus cultural sustainability”.


Ecologia visionaria Visionary Ecology Hong Kong, Giungla Profumata Hong Kong, Perfumed Jungle Progetto di Vincent Callebaut Project by Vincent Callebaut

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Nel nuovo paesaggio urbano proposto da Vincent Callebaut spiccano le torri-organiche, che affondano le loro fondamenta-radici nel mare. La loro struttura, come quella degli alberi, si sviluppa attorno a un tronco centrale e va via via ramificandosi.

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ong Kong è tra i territori più popolosi della terra, con una densità di 30.000 abitanti per chilometro quadrato. Il suo lungomare ha subito nel corso di 150 anni numerose trasformazioni e il continuo recupero di terreno dal mare ha avvicinato la metropoli a Kowloon. Tale sfruttamento ambientale ha fortemente compromesso l’equilibrio naturale con il territorio e la comunità locale ha promosso un concorso per riqualificare il suo lungomare. Per rispondere a questa speculazione selvaggia si propone il recupero di aree ambientali, con il progetto fantascientifico della “Giungla Urbana”, presentata a un concorso internazionale promosso dal governo cittadino che ha stupito per originalità, anche se non è ancora fattibile nel mondo reale, ma presenta soluzioni interessanti che potrebbero essere realizzate nel futuro. Il progetto prevede di ridefinire l’area lagunare di fronte al quartiere degli affari e creare una nuova porta d’accesso alla città asiatica, icona della globalizzazione e considerata un pessimo esempio di rapido sviluppo urba-

nistico non ecosostenibile. Il visionario Vincent Callebaut (Belgio,1977), architetto innovativo non soltanto sul piano formale, bensì per la ricerca di edifici biotecnologici efficaci per garantire l’equilibrio ambientale, ha presentato un piano eco-futuristico che si distingue per la proposta di ri-addomesticare la natura, ottenendo anche un ampliamento del territorio. Il suo “porto profumato” è simile a una città incantata, forse ispirata ai paesaggi di Moebius o a quelli di Avatar (2010, Cameron ), nel cuore del Mar della Cina meridionale, per dare più spazio alle aree verdi e divenire nel tempo una lussureggiante “giungla urbana” attraverso un processo sofisticato di rinaturalizzazione di un paesaggio troppo urbanizzato. Inoltre si prevede l’estensione del Lungomare Centrale, con l’obiettivo di aumentare la disponibilità di aree edificabili senza compromettere il paesaggio. Si tratta di una politica architettonica eco-friendly, basata su un’ecologia visionaria, ideata per mitigare gli errori umani legati all’ambiente, basata sul senso di responsabilità sociale. La


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giungla profumata non è da sottovalutare perché progetta nuovi spazi autosufficienti e in grado di produrre più energia e biodiversità di quanta ne consumiamo. Callebaut, pronipote dell’architettura utopistica degli Archigram degli anni Sessanta e figlio dell’architettura fantasy contemporanea, si distingue per strutture alveolari, alla base del progetto, e per torri-albero tecno-organiche dotate di una pelle vegetale che contribuiranno alla purificazione sistematica dell’aria di Hong Kong. Con questo progetto l’architetto intende riscrivere il mondo acquatico attraverso la creazione di spazi liquidi ad alta fluidità sul terreno del Lungomare Centrale. È accattivante la proposta di una rete irregolare di cellule, a partire dalla riva del Victoria Harbor, che dovrebbe consentire all’acqua di infiltrarsi all’interno del tessuto urbano, creando un nuovo substrato ecologico, permeabile a fauna e flora. Le cellule si sovrapporranno formando file alternate con l’obiettivo di ridisegnare il paesaggio con spazi sempre aperti e fluttuanti, dotati di piscine, piccoli porti, viali lun-

gomare, percorsi pedonali e ciclabili, lagune di purificazione biologica, musei oceanografici e anche opere sottomarine. Questa “maglia” ecocompatibile formerà una nuova topografia dell’ambiente, una sorta di quinta vegetale acquatica terrazzata, ispirata ai terrazzamenti tradizionali per la coltivazione del riso in Asia. Il nuovo distretto ecologico, circondato dalle verdi colline visibili dal Victoria Peak e dal fiume Jang Xi, chiamato anche Perla del Nord , si struttura in verticale con torri-organiche , che affonderanno le loro fondamenta-radici nel mare. La loro struttura assomiglia a quella degli alberi e si sviluppa attorno al tronco centrale che si ramifica col passare del tempo. Attorno ai rami, attraverso uno schema irregolare, sono inserite le strutture dedicate ai servizi e all’intrattenimento, racchiuse in facciate vegetalizzate, reti rivestite da “cuscini” di humus e fertilizzanti. La parte interna delle torri, il tronco, sarà destinata alle funzioni residenziali. Il progetto della “Perfumed Jungle”, se si realizzerà, trasformerà Hong Kong nella prima metropoli ecologica.

In the new urban landscape proposed by Vincent Callebaut the main emergence are the organic techno-towers, whose rootsfoundations entrench in the sea. Just like trees, their structures extend out from a central branch through a gradual process of ramification.

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Studi per la struttura alveolare su cui si fonda il progetto. Studies for the honeycomb-shaped structure which is at the base of the project.

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ong Kong is one of the most highly populated places on earth with a density of 30,000 inhabitants per square kilometer. Over a period of 150 years its seafront has undergone numerous transformations and the constant salvaging of land from the sea has brought the metropolis closer to Kowloon. This kind of environmental exploitation has seriously jeopardized the natural balance with the surrounding territory, so the local community has organized a competition to redevelop its seafront. To cope with uncontrolled speculation, the idea is to salvage certain environmental areas through a science-fiction style project for an “Urban Jungle” entered in an international competition promoted by the City Council that is astonishing in terms of its originality, although, as of yet, not feasible in the real world but offering interesting solutions that might actually be implemented in future. The project sets out to redefine the lagoon area opposite the business district and creates a new entrance way to this ancient city: an icon of globalization considered to be a terrible example of high-speed non-eco-sustainable urban growth. The visionary architect Vincent Callebaut (Belgium, 1977), who was not just innovative on a stylistic level but also for his research into efficient biotechnological buildings designed to guarantee the environmental balance, has presented an ecofuturistic plan that stands out for its intent to re-tame nature, even managing to extend the land. His “Perfumed Port” is rather like an enchanted city—possibly inspired by the landscapes designed by Moebius or even those from the film Avatar (2010, Cameron)—right in the middle of the South China Sea, designed to provide more space for greenery and gradually turned into a luscious “urban jungle” based on a sophisticated process of re-naturalizing a piece of over-urbanized landscape. There are also plans to expand the Central Seafront with a view to providing more areas for building on without jeopardizing the landscape. This is an eco-friendly architectural policy based on visionary ecology designed to mitigate human errors linked with the environment in accordance with a proper sense of social responsibility. The

perfumed jungle should not be underestimated, because it provides new self-sufficient spaces, capable of generating more energy and biodiversity than we actually consume. Callebaut, a descendant of the utopian architecture designed by Archigram in the 1960s and of modernday fantasy architecture, catches the eye with the honeycomb-shaped structures underscoring the entire project and the techno-organic tree-towers covered with a vegetable skin that will help systematically purify Hong Kong’s air. With the aid of this project the architect sets out to rewrite the aquatic world by creating highly fluid liquid spaces along the ground of the central seafront. There is an intriguing project featuring an irregular network of cells starting from the waterfront of Victoria Harbor, which ought to allow water to filter inside the urban fabric, thereby creating a new ecological substrate permeable to flora and fauna. These cells overlap to create alternating rows in order to redesign the landscape by means of spaces that are permanently open and fluctuating, equipped with swimming pools, small harbors, seafront promenades, pedestrian and cycle paths, biological purification lagoons, oceanographic museums and even underwater works. This eco-compatible “web” will constitute a new kind of environmental topography, a sort of terraced aquatic vegetable curtain inspired by traditional terraces for farming rice in Asia. The new ecological district, surrounded by green hills visible from Victoria Peak and Jang Xi river, also known as the Pearl of the North, is structured vertically by means of organic towers, whose foundations-roots will be entrenched in the sea. The structure, similar to that of trees, develops around a central trunk that gradually branches out over time. Facilities devoted to services and entertainment, enclosed behind landscaped facades, networks covered by “cushions” of humus and fertilizers, are all incorporated around the branches based on an irregular pattern. The inner section of the towers, the trunk, will serve residential purposes. The “Perfumed Jungle” project, if it is actually built, will turn Hong Kong into the first ecological metropolis.


Esploso assonometrico della stratificazione strutturale e funzionale della Giungla Profumata. Nelle pagine seguenti, particolare delle tecno-torri organiche che con la loro pelle vegetale contribuiranno alla purificazione dell’aria della metropoli. Axonometric blow-up of the structural and functional layers of the Perfumed Jungle. Following pages, detail of the organic techno-towers whose vegetable skins will help purify the metropolis’ air.

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Diversificata ma unitaria Diversified But Unitary Dubai, Waterfront City, la città a misura d’uomo Dubai, Waterfront City, a city designed for people Progetto di Office for Metropolitan Architecture (OMA) Project by Office for Metropolitan Architecture (OMA)

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Il nuovo skyline disegnato dalla Waterfront City di Dubai.

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Dubai, Waterfront City è una città nuova sorta a ridosso del deserto, sull’acqua, come un miraggio, con un suo skyline riconoscibile e progettata con la densità di Manhattan, per ospitare circa 300.000 abitanti, dall’Office for Metropolitan Architecture (OMA), celebre studio olandese fondato nel 1975 da Rem Koolhaas. Il masterplan copre un’area di 11.800.000 metri quadrati e comprende l’elemento iconico della City: l’isola a forma quadrata posta al centro (superficie di 7.000.000 di metri quadrati), che si sviluppa su una griglia di cinque per cinque strade ed è circondata da una serie di canali artificiali e da quattro quartieri: Boulevard, Madinat Al Soor, Resort e Marina. Nakeel è l’imprenditore immobiliare cha ha commissionato a OMA la progettazione del piano urbanistico (2007) con la specifica richiesta di pensare a una città ad elevata densità, eco-friendly e indipendente dall’uso delle auto. Il risultato è una città progettata a misura d’uomo, in cui i transiti tra i diversi isolati sono agevolati da aree ciclabili, percorribili a piedi o con mezzi pubblici. Per assicurare il massimo ombreggiamento e il controllo climatico ottimale dell’ambiente urbanizzato, la massa degli edifici più alti è concentrata nella posizione meridionale per sfruttare al meglio il flusso dei venti e garantire la refrigerazione dell’area. Waterfront City è smart perché è concepita come un’architettura ambientale, quasi una forma di Land Art in cui funzionalità e vivibilità sono due aspetti necessari e compatibili, contro la speculazione ambientale. Tale sensibilità è dimostrata anche dall’edificazione del grande parco centrale, situato intorno all’area dell’imponente Moschea e altri luoghi iconici di attrazione turistica. Questa oasi di verde è il polmone della city che favorisce meditazione, quiete, frescura per i turisti e gli abitanti. Inoltre garantiscono la protezione dal

sole le vie di ogni isolato dotate di portici e di alberi. I cinque quartieri che costituiscono Waterfront City possiedono un proprio carattere individuale, come alternativa all’urbanistica omologata dilagante nel nuovo millennio. Questo è un dettaglio urbanistico non trascurabile per una città diversificata ma unitaria nel suo progetto complessivo. Waterfront City sarebbe piaciuta a Etienne Ledoux (1736-1806), architetto francese illuminista che progettava architetture “parlanti”: la sua casa ideata per i sorveglianti del fiume, cilindrica, attraversata dalle acque del fiume stesso, potrebbe aver ispirato Koolhaas nella realizzazione dell’edificio sferico di quasi 200 metri di diametro che domina il Golfo Persico, diventato l’elemento iconico, connotativo dell’isola. L’edificio comprende un centro congressi, residenze, camere d’albergo e negozi. Waterfront City è diventato un centro vitale e propulsivo che attira investitori internazionali e produce lavoro nell’ambito immobiliare, commerciale e turistico. Situata al confine occidentale di Dubai, Waterfront City occupa una posizione strategica per gli Emirati Arabi e i traffici internazionali. I cinque quartieri sono connessi con un sistema di trasporto pubblico efficiente tra cui la nuova metropolitana. La chicca urbanistico-ambientale della nuova città iperattiva 24 ore su 24 è il collegamento diretto con l’aeroporto internazionale Al Maktoum International Airport, principale scalo aereo dell’Emirato, inaugurato nel giugno del 2010 e dedicato al defunto sceicco Maktoum bin Rashid Al Maktoum, l’ex governatore di Dubai, che ha una capacità di oltre 12 milioni di passeggeri l’anno. Nel 2027, crisi finanziaria permettendo, sarà ultimata anche la progettazione del World Center, progetto residenziale e commerciale, che lo renderà il più grande aeroporto del mondo, collegato a Dubai attraverso un sistema ferroviario espresso.


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aterfront City in Dubai is a new city built on water out in the desert like a mirage with its own highly distinctive and carefully designed skyline and the same density of Manhattan. It was designed by the Office for Metropolitan Architecture (OMA), a famous Dutch firm set up by Rem Koolhaas in 1975, to accommodate a population of 300,000. The master plan covers an area of 11,800,000 m² and includes the City’s iconic feature: a square-shaped island located in the middle (surface area of 7,000,000 m²) spread across a grid of five roads by five roads and surrounded by a number of man-made canals and four different neighborhoods: Boulevard, Madinat Al Soor, Resort and Marina. Nakeel is the property developer who commissioned OMA to design the urban master plan (2007) specifically requesting a design for a highdensity city that is eco-friendly and car-free. The result is a city designed for people, in which interaction between the various blocks is ensured by special cycle areas that can be walked across or travelled through using public transport. To provide as much shade as possible and also optimum climate control over the urbanized environment, the mass of the tallest buildings is focused to the south to ideally exploit the flow of winds and guarantee the area is kept cool. Waterfront City is smart because it is designed like a piece of environmental architecture, almost a form of Land Art, in which functionality and inhabitability are two necessary and compatible aspects, safeguarding against environmental speculation. This sensibility is also demonstrated in how the big central park has been constructed around the area where the imposing Mosque and other iconic tourist attractions are located. This oasis of greenery acts as the city’s lungs, encouraging meditation, peace and quiet and freshness for both tourists and locals. The streets in every block are furnished with porticos and trees to provide shel-

ter against the sun. The five neighborhoods forming Waterfront City have their own distinctive nature, as an alternative to the kind of standardized town-planning now found everywhere in this new millennium. This is an urban detail that should not be overlooked in a city whose overall design is extremely diversified yet unified. Etienne Ledoux (1736-1806), the French Enlightenment architect who designed “talking“ architecture, would have liked Waterfront City: the cylindrical house designed for people in charge of monitoring the river, which water from the river actually flows through, might well have inspired Koolhaas’s design for a spherical building with a diameter of almost 200 meters that looms up over the Persian Gulf and has become the island’s most distinctive, iconic feature. The building includes a conference center, residential quarters, hotel rooms and shops. Waterfront City has become a pulsating driving force that will attract international investors and create plenty of jobs in the real estate, commercial and tourist industries. Located on the western border of Dubai, Waterfront City has a strategic location for the Arab Emirates and also international traffic and trade. The five neighborhoods are connected together by an efficient public transport system including a new underground railway network. The standout urban-environmental feature of this new city, which is truly hyperactive on a 24-hour basis, is the direct link to Al Maktoum International Airport, the main airport in the Emirates that opened in June 2010 and is dedicated to Sheik Maktoum bin Rashid Al Maktoum, the former governor of Dubai who has since passed away, which can handle over 12 million passengers a year. Financial recession permitting, the design of the World Center will be completed by 2027, a residential and commercial project that will make this the biggest airport in the world, connected to Dubai by an express railway network.

The new skyline defined by the Waterfront City in Dubai.

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Nella pagina a fianco, il territorio desertico attraversato dal Palm Cove Canal su cui si sviluppa il masterplan di OMA e vista aerea dell’intero insediamento con l’isola quadrata di Waterfront City.

Sotto, planimetria di Waterfront City, che si compone di cinque elementi collegati tra loro e con il resto del nuovo insediamento urbano: Isola, Boulevard, Madinat al Soor, Resort, Marina.

Opposite page, the desert land crossed by Palm Cove Canal on which OMA’s masterplan is developed, and aerial view of the whole settlement showing the square island of Waterfront City.

Below, site plan of Waterfront City, which is composed of five elements connected together and to the rest of the new urban settlement: Island, Boulevard, Madinat al Soor, Resort, Marina.

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L’isola (1.310x1.310 m) al centro di Waterfront City è circondata da canali artificiali ottenuti dallo svuotamento del terreno perimetrale. Sotto, l’ingresso dal mare. The island (1,310x1,310 m) in the center of Waterfront City is surrounded by man-made canals created hollowing out the perimeter land. Below, the seaside access.

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Matrice insediativa invertita Inverted Settlement Matrix Agritettura Agritecture Progetto di Giovanni Vaccarini Project by Giovanni Vaccarini

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Sotto, da sinistra, cartografia, vista zenitale e vista a volo d’uccello di Agritettura, il progetto del suolo che integra gli spazi aperti dell’agricoltura alla disciplina architettonica. Nella pagina a fianco, rendering a livello del terreno. Below from the left, map of the area, zenithal and bird’s eye view of Agritecture, the project integrating agriculture open spaces to the architectonic activity. Opposite page, rendering at street level.

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l territorio è il risultato di interventi continui, di processi di manipolazione e trasformazione in cui il naturale e l’artificiale si montano e si confondono, la superficie è il testo in cui è inciso lo stratificarsi di storie ed eventi. Questa superficie estremamente variegata (dune, rilievi, pieghe, lacerazioni, incisioni) è il risultato di de-formazioni e dis-locazioni nel tempo e nello spazio che riflettono le molteplici azioni socio-economiche montate nel corso del tempo. Essa è il materiale principale di un progetto di suolo in cui pochi sono i momenti in cui il nostro modificare (progettare) lo spazio trova esiti completamente volumetrizzati. Il progetto è sempre un intervento interstiziale, un progetto di “infiltrazioni” in cui la modellazione della superficie del terreno è la componente instabile e rivelatrice di nuove emergenti forme di spazio. Se l’architettura appare come un’entità “verticale” sempre intimamente legata (strutturata) sopra il suolo che essa occupa e il suolo (l’orizzontalità) appare come un passivo piano “terra”, nell’idea di progetto di “superficie” il suolo diventa parte attiva nella costruzione di spazi in cui l’architettura appare come una figura fluttuante costituita della stessa materia del suolo; una sua estensione. Gli strumenti di controllo, le strategie con cui montare, “significare” parti estese ed eterogenee di questo territorio ibrido, sono da ricercare di volta in volta nel montaggio di procedure note (elementari): partizione, addizione, scavo, riporto, in grado di ricostruire un racconto nuovo di questi spazi. Agritettura Con “agritettura” si intende un processo integrato e sistemico tra le regole proprie dell’insediare spazi aperti (agricoltura) e quelle proprie della disciplina architettonica. La crasi tra architettura e agricoltura segna un nuovo campo di azione in cui l’ipotesi insediativa non parte dal

costruito verso la colonizzazione del vuoto, ma parte proprio da questo vuoto come nuovo ordine possibile. Un processo di riappropriazione del vuoto sul pieno. L’idea è quella di pensare questi spazi proprio partendo dalla loro caratteristica di vuoto, non “vuoto urbano”, ovvero lacuna di un pieno, ma uno spazio unico generatore di una categoria di spazio governata dal vuoto. Un’operazione di deurbanizzazione. Non è la città (l’urbano) che con le sue regole si espande e colonizza un vuoto indefinito, ma lo spazio vuoto, con una propria identità, che inizia la colonizzazione degli spazi interstiziali della città. Un’inversione della matrice insediativa: città-natura. Il suolo con la sua tessitura diventa la matrice semantica e figurativa di insediamenti puntuali, edifici a torre generati dal tessuto dei campi agricoli come “naturale” continuazione del sistema dei campi e degli spazi aperti. Il disegno del tessuto insediativo con la sua reiterazione individua una sequenza non lineare di spazi in cui la folie del Piermarini si insedia con un processo di inclusione proprio delle strutture organiche. Giovanni Vaccarini … Il ricorso all’architettura sembra ancora l’unico modo di incidere in modo appropriato sul DISORDINE naturale. È un modo di dire che l’ORDINE biologico (…) non è stato ancora percepito come una nuova possibilità di concezione (…) Il giardino è il luogo privilegiato dei cambiamenti (…) La storia dei giardini mostra che l’uomo ha costantemente lottato contro questi cambiamenti. Tutto si svolge come se l’uomo tentasse di opporsi all’entropia generale che regge l’universo. Gilles Clement Le jardin en mouvement, Parigi 1994.


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Agritettura considera la superficie come parte attiva nella costruzione di spazi in cui l’architettura appare come una figura fluttuante costituita della stessa materia del suolo e come una sua estensione.

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Agritecture considers the ground surface as an active part in constructing spaces in which architecture appears like a fluctuating image made of the soil itself and as an extension of it.

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he territory is the result of ongoing projects, processes of manipulation and transformation in which the natural and artificial are combined together and blended. The surface is the text on which the layering of history and events is etched. This extremely varied surface (dunes, reliefs, unfolds, lacerations, incisions) is the result of de-formations and dislocations in space and time, which reflect all the multiple socio-economic interventions which have added up over time. It is the main material involved in a ground project during which our modifying (designing) of space has very few opportunities to fully express itself. A project is always an interstitial intervention, “infiltrations” in which the shaping of the surface of the ground is the unstable elements revealing new emerging forms of space. If architecture looks like a “vertical” entity, always intimately tied (structured) above the ground it takes up, and the land (horizontality) looks like a passive layer of “soil”, then in the idea of a “surface” project the ground becomes an active part in constructing spaces in which architecture appears like a fluctuating figure made of soil itself; it is an extension of it. The control instruments, the strategies used for assembling and “signifying” extensive and heterogeneous parts of this hybrid land, must be sought out each time in the combination of well-known (elementary) procedures: division, addition, excavation and restoring, capable of reconstructing a new account of these spaces. Agritecture By “agritecture” we mean an integrated and systematic process encompassing the rules for setting out open spaces (agriculture) and those specifically associated with architecture. The crasis between architecture and agriculture marks a new field of action in which the idea of settlements is not

based around constructing to colonize empty space but actually starts from this void as a possible new kind of order. A process of appropriating empty space out of solid structure. The idea is to envisage these spaces starting from their distinctive trait of being empty, not an “urban void” or space within something solid, but a unique space generating a category of space controlled by the void. A de-urbanization of operation. It is not the city (urban environment) which expands and colonizes an indistinct void according to its own rules, but the empty space with its own specific identity that begins the process of colonizing the city’s interstitial spaces. An inversion in the settlement matrix: city-nature. The ground with its own texture becomes the semantic and figurative matrix of pinpoint settlements, tower buildings generated from the fabric of farmlands as a “natural” continuation of the system of fields and open spaces. The design of the settlement fabric (individually reiterated) identifies a nonlinear sequence of spaces which Piermarini’s “folie” fits into through the kind of inclusion process associated with organic structures. Giovanni Vaccarini …The resorting to architecture still seems to be the only way of making an appropriate mark on natural DISORDER. It is a way of saying that the biological ORDER (…) still has not been perceived as a new conceptual possibility (…) The garden is the privileged place for changes (…) The history of gardens shows that man has constantly battled against these changes. Everything happens as if man were trying to oppose the general entropy governing the universe. Gilles Clement Le jardin en mouvement, Paris 1994.


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Quartiere-gemma Gem-Neighborhood Mondragon, riqualificazione di archeologia industriale Mondragon, redevelopment of an industrial archaelogical site Progetto di Estudio Luis De Garrido Project by Estudio Luis De Garrido

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Rendering dell’insediamento Geoda 2055 e della Torre Homenaje. Il complesso è ordinato secondo una maglia 3D formata da cubi di 30x30x30 m destinati a varie funzioni, organizzati in modo regolare e addossati alle superfici orizzontali e verticali di una vecchia cava. Renderings of Geoda 2055 settlement and of the Torre Homenaje. The complex is set out over a 3D web formed of cubes, with various functions, measuring 30x30x30 m, arranged in a regular pattern next to the horizontal and vertical surfaces of a former quarry.

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ella periferia della città basca di Mondragon ( Spagna), a ridosso di un’antica cava, il progetto Geoda 2055 non prevede soltanto la riqualificazione e valorizzazione di un sito di archeologia industriale carico di valori storici e simbolici, ma si presenta come una sperimentazione di un nuovo quartiere autosufficiente sul piano energetico-idrico, ecosostenibile e come un modello di architettura naturale bioclimatica. Visto dall’alto, l’intero complesso s’incastra perfettamente nella collina, evidenziando la rottura di una montagna e ricorda le opere di Land Art di Michael Heizer. Il quartiere, caratterizzato da tipologie variabili e flessibili, edificabili con processi tecnologicamente avanzati, è stato progettato da Luis De Garrido (1960), architetto spagnolo, interamente votato alla bioedilizia, da vent’anni impegnato nella ricerca ingegneristica e architettonica ecosostenibile e direttore di un master dal titolo “Edifici di Costruzioni Intelligenti Sostenibili“ (MEICS) all’università di Valencia, dove vive e lavora. Il nome del quartiere s’ispira alla forma di un geode e di altre pietre di cui è ricco il territorio basco, infatti la pelle trasparente delle architetture ricorda una enorme gemma e ogni cubo assomiglia a un cristallo prezioso emerso dalle viscere della terra. Il quartiere-gemma progettato in un contesto ostile e complesso si distingue per una griglia tridimensionale di volumi cubici in vetro (30x30x30 metri), organizzati secondo una disposizione regolare e addossati alle superfici orizzontali e verticali della cava. Si contano 13 blocchi con 81 case ciascuno, per un totale di 1.053 “viviendas”. La “Torre Homenaje” – icona scenografica del territorio – ospita uffici, sale congressi e una sala spettacoli, due ristoranti, un centro commerciale e il Museo “J.M. Arizmendiarrieta”. Tutte le strutture han-

no le stesse forme e dimensioni, anche se sono state progettate sette diverse tipologie di cubi in base alle diverse funzioni. L’area dedicata ai servizi comprende quattro corpi edilizi, che, a quota stradale, appaiono indipendenti ma sono collegati nei due livelli inferiori. Diventa un landmark del territorio la torre-grattacielo, all’ingresso del quartiere, che di notte si trasforma in un corpo illuminante e segnala l’architettura naturale-artificiale agli automobilisti che passano sulla vicina autostrada e modifica radicalmente la percezione del territorio. In estate, il quartiere attiva il sistema di erogazione dell’acqua a spruzzo, per raffreddare naturalmente; sembra una cascata, in cui sembrano fluttuare i blocchi cubici di vetro simili a gemme incastonate nella terra. Tutti i cubi hanno facciate in doppia pelle di vetro, dotate di sistemi multimediali, che in inverno creano una sorta di effetto serra, mentre in estate proteggono l’interno dai raggi del sole. Questi edifici hanno un patio centrale coperto, patii laterali aperti verso l’esterno, chiudibili a seconda della stagione, e coperture sistemate a giardino con captatori solari fotovoltaici. Il quartiere è dotato di accorgimenti bioclimatici per la produzione, l’ottimizzazione e la conservazione dell’energia (fotovoltaico, termico, geotermico, passivo), recupero delle acque piovane e reflue grigie. Tutti i materiali sono riciclati, biodegradabili e recuperabili. Anche negli altri progetti di De Garrido, i principi di base dell’edilizia ecosostenibile sono: ottimizzazione di risorse e materiali naturali, eliminazione o almeno diminuzione di residui ed emissioni, diminuzione del consumo energetico e uso di energia rinnovabile, costruzione e manutenzione dell’edificio a costi contenuti con l’obiettivo di garantire vivibilità e qualità ambientale.


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he Geoda 2055 project in the suburbs of the Basque city of Mondragon (Spain), close to an old quarry, is not just the redevelopment and enhancement of an industrial archaeological site full of symbolic and historical value, it is also a means of experimenting with a new kind of neighborhood that is self-sufficient from an energy-water viewpoint, ecosustainable, and even offers a model of natural bioclimatic architecture. Viewed from above, the entire complex slots perfectly into the hillside, focusing on the rupture of a mountain and evokes Michael Heizer’s Land Art works. The neighborhood, featuring all kinds of different and flexible types of buildings constructed using technologically cutting-edge procedures, was designed by Luis De Garrido (1960), a Spanish architect, who focuses solely on bio-building and has been engaged in eco-sustainable engineering and architectural research for over twenty years, even running a master’s course in “Sustainable Intelligent Building Constructions” (MEICS) at the University of Valencia, where he lives and works. The neighborhood’s name is inspired by the shape of a geode and other stones found in the Basque countryside. In actual fact the architecture’s transparent skin calls to mind a giant gem and each cube looks like some sort of precious crystal emerging from the depths of the earth. This gem-neighborhood designed in a hostile and intricate setting catches the eye for a three-dimensional grid of glass cube-shaped structures (30x30x30 m), arranged in a regular layout and set against the horizontal and vertical surfaces of the mine. There are 13 blocks, each containing 81 houses for a total of 1,053 “viviendas”. “Homenaje Tower” – a striking icon on the landscape – holds offices, conference rooms and an entertainment facility, two restaurants, a commercial center and the

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Sotto, planimetria generale. Nella pagina a fianco, piante tipo delle residenze con gli schemi dei livelli medi di umidità in inverno (sopra) e in estate (sotto). Below, site plan. Opposite page, typical floor plans of the residences with diagrams showing the average levels of humidity in winter (above), and in summer (below).

“J.M. Arizmendiarrieta” Museum. All the structures are the same shape and size, even though seven different types of cubes were designed to cater for different functions. The services area includes four building structures, which, at street level, appear to be separate but are actually connected together across the two lower levels. The tower-skyscraper at the entrance to the neighborhood will become a local landmark that turns into a brightly lit body at night-time attracting the attention of drivers on the nearby motorway to this natural-artificial piece of architecture and radically altering how the land is perceived. In summer the neighborhood will draw on a water sprinkler system to cool down everything naturally; it looks like a waterfall in which the cube-shaped glass blocks appear to flutter like gems encrusted in the earth. All the cubes have double-glazed facades fitted with multimedia systems that create a sort of greenhouse effect in winter, while in summer they shelter the interior against the sun’s rays. These buildings have a covered central patio, side patios open towards the outside that can be closed at certain times of year, and roofs landscaped like gardens with photovoltaic solar captors. The neighborhood is equipped with bioclimatic means of generating, optimizing and storing energy (photovoltaic, thermal, geothermal, passive) and also recovering rain and waste water. All the materials are recycled, biodegradable and salvageable. Just like the rest of De Garrido’s projects, the basic principles of eco-sustainable building are: the optimizing of natural resources and materials, elimination or at least decrease in leftovers and emissions, reduction in energy consumption and the use of renewable energy, and the low-cost construction and maintenance of the building for the purpose of guaranteeing a high-quality environment that is pleasant to live in.


AVERAGE LEVELS OF HUMIDITY

External glass panels are closed, converting terraces in efficient insulators.

Air vents are closed.

The central patio is converted in a huge greenhouse, providing the common areas with an adequate temperature.

WINTER MORNING

Indirect solar lighting. Thanks to the chosen materials, the walls transpire naturally and continuously, allowing for a natural ventilation with no energy loss. Direct solar radiation reflects on mirrors in the internal patio.

Lateral counter-doors are open to let in direct solar radiation.

Indirect solar lighting.

Direct solar radiation filters through the whole central patio, so that all residences can have natural light and are heated thanks to the greenhouse effect.

Direct solar radiation filters through every residence.

External glass panels are closed, converting terraces in greenhouses.

AVERAGE LEVELS OF HUMIDITY

Cross-ventilation through northern stair. Indirect solar lighting. The building has a high thermal inertia and so it stays hot by day and night with minimum energy consumption.

Fresh air vents are open in the central patio. Just a portion of solar radiation filters, enough to naturally light the central patio.

Glass panels ventilated facade to avoid that the morning/evening solar radiation warms the building.

External glass panels are open, converting terraces in solar protections.

Side walls shelter the building from direct solar radiation.

SUMMER MORNING

External glass panels are open, converting terraces in solar protections.

The central patio stays fresh and shaded.

Between glass and counter-doors, the air warms up and ascends quickly, exiting through the upper chimneys and insulating the building.

The side counter-doors are closed, avoiding direct solar radiation in the patio.

Fresh airs runs through all the residences.

Thanks to the chosen materials, the walls transpire naturally and continuously, allowing for a natural ventilation with no energy loss.

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Urbanistica eco-solidale Eco-Friendly Town-Planning Stoccolma, la Valle dell’Energia Stockholm, Energy Valley Progetti di BIG + Grontmij + Spacescape Projects by BIG + Grontmij + Spacescape

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Rendering del progetto per la Sfera di Stoccolma che servirà a ricucire una porzione di territorio urbano, interrotto da un nodo infrastrutturale, tramite la realizzazione di un parco circolare e una sfera flottante.

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l governo svedese da anni investe nelle nuove idee e nella ricerca di soluzioni che primeggiano nell’ambito scientifico, tecnologico, medico e sono votate per tradizione all’architettura intelligente e all’urbanistica eco-solidale. Si ricorda che fu lo svedese Svante Arrhenius, fisico, chimico nonché premio Nobel (1903), a scoprire nel 1896 l’effetto serra, individuando il legame tra anidride carbonica e la temperatura della Terra. Nel 2011, il gruppo BIG + Grontmij + Spacescape, grandi innovatori nell’ambito di una progettazione crossover tra urbanistica, paesaggio, architettura e arte, hanno vinto il primo premio di un concorso a inviti per il masterplan Stockholmsporten, con il progetto di Energy Valley, nel nome un destino, dicevano gli antichi. Infatti questo svincolo futuristico, inserito in un percorso circolare, connotato da una sfera flottante che produce energia e che riflet-

te il paesaggio circostante, si propone come un nuovo e scenografico portale d’ingresso della città. Esso trasformerà il punto nevralgico di intersezione di quattro diverse aree con inclusi, in una zona green, pedonale e ciclabile, paesaggi naturali e un grande parco circolare per ricucire una porzione di territorio urbano prima non utilizzato, con l’obiettivo di produrre benessere ed energia elettrica sufficiente per la struttura e per 235 case dei quartieri circostanti. Il progetto è pensato per lo svincolo stradale di Hjulsta, 15 km a nord di Stoccolma, risolvendo con una struttura ingegneristica- scultorea-ambientale il problema di uno svincolo stradale tra due autostrade europee, la E18 e il passante E4, con un incrocio a tre livelli. Questa valle artificiale è il più importante intervento infrastrutturale pianificato in Svezia, resosi necessario in seguito alla crescita e allo sviluppo di Stoccolma. Inoltre, il progetto


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connette l’adiacente area ricreativa di Jarvafaltet con altri ambienti naturali, attraverso un percorso continuo per riqualificare l’intera zona. Al concorso hanno partecipato anche i norvegesi Snøhetta, Kristine Jensen, paesaggista danese, e gli svedesi Erik Giudice Architects, ma lo studio BIG ha convinto la giuria perché, si legge nella relazione: “La fantastica forma rotonda di questa proposta è una soluzione ingegnosa che interagisce con la geometria dello svincolo e, allo stesso tempo, crea un contesto urbano che lega le diverse aree circostanti. A ciò si aggiungono grandi potenzialità di incrementare la qualità e le attività del luogo”. La sfera flottante come una bolla d’ossigeno è sicuramente la parte più futuristica del progetto che si librerà al di sopra dell’incrocio autostradale con il 30% della superficie ricoperta da una pellicola fotovoltaica che garantirà l’energia necessaria al suo stesso mante-

nimento. La Energy Valley riconnette aree diverse in maniera democratica e non gerarchica grazie a un percorso circolare, pedonale e ciclabile, lungo il quale si affacciano edifici e funzioni pubbliche, un centro commerciale e sportivo, un hammam e una moschea, che attireranno visitatori della città e della periferia. Il centro è stato trasformato in un grande parco a forma di torta farcita di pini e querce, di prati verdi e colline, con molteplici essenze erbacee, zone lussureggianti grazie a specchi d’acqua, ambienti naturali-artificiali diversificati, di forte impatto sensoriale. I quartieri circostanti avranno lo spazio necessario per crescere, ampliando così la possibilità di espansione dell’infrastruttura fino a limitare una nuova valle. La sfera flottante sull’Energy Valley, la cui superficie rispecchia Stoccolma, diventerà un landmark che offrirà a chi guida verso o fuori dalla città una visuale a 180 gradi dell’area.

Rendering of the project Stockholm Sphere which will re-connect an urban piece of land now divided by an infrastructural junction thanks to the realization of a loop park and a floating sphere.

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or years now the Swedish government has been investing in new ideas and the quest for solutions at the cutting edge in the fields of science, technology and medicine, traditionally opting for intelligent, ecofriendly architecture. It is worth remembering that it was the Swedish physicist, chemist and Nobel Prize winner (1903), Svante Arrhenius, who discovered the greenhouse effect in 1896, identifying the link between carbon dioxide and the Earth’s temperature. In 2011, the BIG + Grontmij + Spacescape group, major innovators in the realm of crossover design between town-planning, landscaping, architecture and art, won first prize in an invitational competition to design the master plan for Stockholmsporten with their project entitled Energy Valley, whose name says it all as the ancients used to say. Indeed this futuristic hub, incorporated in a circular pathway characterized by a floating sphere that generates energy

and reflects the surrounding landscape, is intended to provide a striking new entrance way to the city. It will literally transform a strategic intersection point between four different areas including pedestrian and cycle paths, natural landscapes and a large circular park all incorporated in a green zone to stitch back together parts of the urban environment previously unused, for the purpose of enhancing well-being and generating enough electricity for the facility itself and for 235 houses in surrounding neighborhoods. The project is designed for the Hjulsta motorway junction 15 km north of Stockholm, drawing on an engineeringsculptural-environmental structure for handling a road junction between two European motorways (the E18 and E4 bypass), with a crossroads on three different levels. This man-made valley is the most important infrastructural project designed in Sweden, rendered neces-


sary due to the growth and development of Stockholm. The project also connects the neighboring Jarvafaltet recreation area to other natural settings by means of a seamless pathway designed to enhance the entire area. The Norwegian Snøhetta, Danish landscapist Kristine Jensen, also entered the competition along with the Swedish firm Erik Giudice Architects, but the BIG firm won over the panel of judges because, as it states in the report: “The fantastic round form of this design is an ingenious solution interacting with the geometric layout of the junction and, at the same time, creating an urban context binding together the various surrounding areas. Added to that there is great potential for raising the general standard and various activities in the location.” A floating sphere acting as a sort of oxygen bubble is certainly the most futuristic part of the project, which will hover above the motorway intersection with 30% of its

surface covered by a photovoltaic film providing the energy required for its own upkeep. Energy Valley reconnects different areas democratically on a non-hierarchical basis, thanks to a circular pedestrian and cycle path with public functions and buildings running along it, as well as a shopping mall and sports center, a hammam and a mosque, which will attract visitors from both the city and suburbs. The center has been converted into a big cake-shaped park full of pine trees and oaks, green fields and hills, including lots of different grasses and luscious areas full of pools of water, different natural-artificial settings that really strike the senses. The surrounding neighborhoods will have the space required to expand the infrastructure right out to the new valley. The sphere floating over Energy Valley, whose surface mirrors Stockholm will become a landmark offering drivers heading into or out of the city a 180° view across the area.

63 Viste del modello e, nella pagina a fianco, viste aeree dell’area e planimetria generale del progetto della Energy Valley all’ingresso nord di Stoccolma. Views of the model, and, opposite page, aerial views of the area and site plan of the Energy Valley project at the northern entrance of Stockholm.


Barriera infrastrutturale Infrastructural barrier

Collegamenti desiderati Desired connections

Anello verde The green loop

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Rumore Noise

Terreno di scavo Excavation soil

Avvallamento per riduzione rumore Valley for noise reduction

Cellule fotovoltaiche Photovoltaic cells

Energia solare Solar energy

Produzione annuale di energia Annual energy production

Peso Weight

Sollevamento Lift

Impatto del vento Wind impact


Punti chiave con gli edifici pubblici Key points with public buildings

Sviluppo urbano Urban development

Paesaggio centrale The central landscape 65

Come creare un segno se tutto ciò che puoi vedere è il cielo? How do you create a landmark when all you can see is the sky?

I dintorni come segno The surrounding as a landmark

Forza del vento Wind power

Materiale di superficie Surface material

Abbagliamento Glare

Distribuzione energia Energy distribution

Pressione interna Internal pressure

Fondazione Foundation

Sicurezza Safety


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Una ricerca di [sopra]vivenza A Search For [Sur]vival Città della Poesia Poetic City Progetto di Davide Vargas Project by Davide Vargas

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roadacre city. La Ville Radieuse. Le prefigurazioni di città future si fermano agli anni Settanta. Plug-in city. New Babylon. Instant city. No-stop city. Scenari e provocazioni attraversati tutti da un anelito ad “andare” verso il futuro. Mi faccio la domanda: perché oggi nessuno guarda con la stessa energia al futuro? C’è una riflessione di Alessandro Baricco, dice che il futuro è finito. Più o meno che il futuro viene considerato come una grande discarica dove depositare tutti i problemi che non riusciamo a risolvere. Dallo smaltimento dei rifiuti o delle scorie ai dolori dell’economia. “Andiamo avanti e poi ci pensiamo”. Più o meno funziona così. Solo che la discarica-futuro si è riempita e tracima verso il presente avvelenandolo. Anzi, rendendolo invivibile. Ecco l’impossibilità di fare progetti futuri. Al massimo smart-city. O città di baratto. Allora ho pensato alla poesia. L’unica cosa che tiene dentro il passato, il presente e il futuro. Non mescolati, ma proprio tutt’uno. Sono la stessa cosa. Quindi sono qui e ora. La poesia ce lo fa vedere. È come quando uno di noi si mette davanti al mare e al massimo riesce a dire tre parole sensate. Montale davanti allo stesso mare tira fuori poesie indimenticabili. Chi è più dentro la realtà? E poi dicono che i poeti hanno la testa tra le nuvole. “Soltanto poeticamente l’uomo abita davvero questa terra” [O. Elitis]. La poesia trasforma la realtà. Crea realtà. Unica. Altro non è che proiezione di sé. Quello che ci vuole per trasformare le città che viviamo. O fondarle. Che è la stessa cosa. La città della poesia è utopia e realtà al tempo stesso. Certamente una cosa concreta. Ogni uomo può attraversarla e viverla. In ogni uomo che sia vigile la città della poesia fa nascere il seme della costruzione. Nuovi pensieri. Nuovi stili di vita. Così si “realizza” la città della poesia. È un pensiero e un sentimento. Ogni uomo è poeta. Un po’. La città della poesia è ovunque.

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roadacre City. La Ville Radieuse. Prefigurations of future cities stop at the 1970s. Plug-in city. New Babylon. Instant city. No-stop city. Scenarios and provocations, all pervaded by a yearning to “go” towards the future. I wonder: why does nobody gaze so energetically into the future today? In a reflection by Alessandro Baricco, he says the future is finished. More or less that the future is seen as a big rubbish dump, in which to dispose of all the problems we can’t solve. From refuse or dross disposal to the woes of the economy. “We’ll move on and think about it later”. That’s how it works, more or less. Except that the rubbish dump-future has filled up and is overflowing into the present, poisoning it. Indeed making it uninhabitable. Hence the impossibility of designing future projects. At the most a smart-city. Or swindle-city. And so I thought of poetry. The only thing that can incorporate past, present and future. Not mixed, but all together. They are the same thing. So they are here and now. Poetry shows this. As when one of us stands in front of the sea and at the most manages to make a few sensible remarks. Montale, in front of that same sea conjures up unforgettable poems. Who is the deepest into reality? And to think that poets are said to have their heads in the clouds. “Only poetically does man really inhabit this earth” [O. Elitis]. Poetry transforms reality. Creates reality. Unique. It is simply its own projection. What it takes to transform the cities we live in. Or to found them. Which is the same thing. The poetic city is at once utopia and reality. Certainly a concrete thing. Everybody can go through and experience it. In every vigilant person the poetic city sows the seed of construction. New thoughts. New lifestyles. That’s how the poetic city is “realized”: a thought and a feeling. Everybody is a poet. To some extent. The poetic city is everywhere.


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La poesia è una città Non è città sognata. È città di vuoti e di edifici. E di relazioni. Esistono ancora nella città pause, spazi, silenzi? Intervalli di “senso” nella trama disordinata. Dove ritrovare un che. Nelle città esistono spesso i “vuoti”. Ferite aperte nei tessuti. Ma nella città della poesia anche i vuoti si trasformano in “qualità”. Il vuoto come condizione. Il vuoto come soggetto. “È come una preghiera al Vuoto/E il vuoto gira il suo volto verso noi e sussurra: Non sono vuoto, sono aperto” [Tomas Tranströmer]. La città della poesia è sovversiva. Perché non promette la felicità. Bensì l’esperienza. La poesia è città. Territorio. Mondo.

Poetry is a city It is not a dreamed city. It is a city of voids and buildings. And relations. Do pauses, spaces and silences still exist in the city? Intervals of “sense” in an untidy pattern. In which to rediscover something. “Voids” often exist in cities. Open wounds in their fabric. But in the poetic city the voids, too, are transformed into “quality”. The void as a condition. Void as subject. “It is like a prayer to Emptiness/And emptiness turns its face towards us and whispers: I am not empty, I am open” [Tomas Transrömer]. The poetic city is subversive. Because instead of happiness, it promises experience. Poetry is city. Territory. World.

Freno al consumo del cielo La città della poesia NON consuma cielo. I profili delle nostre città sono sporcati dagli abusi sui tetti. Abbaini oltre misura, sottotetti sopraelevati, altane richiuse. Un campionario di aggregazioni senza regola né rispetto per il tracciato altimetrico della città. Cielo sottratto. La città della poesia riscopre il cielo. Progetta la linea di contatto. Di più. La città della poesia percorre il cielo.

Sky consumption curbed The poetic city does NOT consume sky. The skylines of our cities are soiled by abuse of their rooftops. Outsized attics, raised penthouses, closed roof terraces. A samplerange of aggregations without rules or respect for the city’s altimetric pattern. Stolen sky. The poetic city rediscovers the sky. It draws the contact line. Yet more. The poetic city runs through the sky.

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I colori della città della poesia Come le installazioni di Dan Flavin. Sei tu che entri nella massa del colore. Solida e vaporosa allo stesso tempo. Ne respiri libero [Allen Ginsberg: (…) respiro, io voglio respirare libero] ogni particella. Sei tu stesso il colore. Nella città della poesia sei TU che fai ogni cosa. Niente è esterno.

The poetic city’s colors Like Dan Flavin’s installations. It is you that enter the mass of color. Solid yet vaporous. You breathe it freely [Allen Ginsberg: (…) I breathe, I want to breathe every particle freely]. You yourself are color. In the poetic city it is YOU that does everything. Nothing is external.


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Le cose della città della poesia Ogni cosa è linguaggio. Edifici. Spazi. Vuoti. Sopra e sotto. Entità minute. Un flusso di significati viene dal retroterra della forma visibile. È la forma stessa. Visibile il senso. Perché ogni cosa vuole che tu ne sveli il senso. Te lo chiede come una invocazione. [Cammino nella palude della città scivolando sui basoli lisci come pelli di mammifero marino e inarcando la schiena di continuo per non precipitare e in questa tensione sento parlare le pietre i ferri e i canali i vetri degli edifici inzuppati. È questa la città della poesia. Voci, versi scritti sulle strisce di pelle intonacate o scabre. Parole che trovo e riconosco. Verbi. Immagini. Conoscenza umana. Linguaggio, dicevamo. E fare.]

The poetic city’s things Everything is language. Buildings. Spaces. Voids. Above and below. Minute entities. A flow of meanings comes from the hinterland of visible form. It is form itself. The sense visible. Because everything wants you to disclose its sense. Asking you as an invocation. [I walk through the city swamp sliding on the volcanic paving stones smooth as sea mammals’s skins and bending my back all the time so as not to crash and in this tension I hear the stones irons canals glass speaking in the soaked buildings. This is the poetic city. Voices, verses written on plastered or rugged strips of skin. Words that I find and recognize. Verbs. Images. Human knowledge. Language, we were saying. And doing.]

La città della poesia racconta verità – svela i segreti Prendi i cigli delle strade. I deserti delle periferie. Nella città ci sono i luoghi dei falliti. Le bettole, i manicomi, le mense, la strada, le ferrovie. Ci sono i falliti. Uomini e donne traditi. Ubriaconi e disperati. Miserie. Ma c’è uno sguardo nella città della poesia. Narrante in presa diretta. Assente il giudizio morale. Che registra gli uomini e ne scava la dolente umanità. Lo sguardo di un poeta. “Non vi venga l’idea che io sono un poeta” dice Bukowski. Lo sguardo dell’uomo.

The poetic city recounts truth – reveals secrets Take the shoulders of roads. The suburban deserts. In the city there are places of failed people. The taverns, mental hospitals, canteens, road, railways. There are failed people. Men and women betrayed. Drunk and desperate. Poverty. But there is a glimpse into the poetic city. A live narrator. Moral judgement missing. Which records human beings and penetrates their sorrowful humanity. The eyes of a poet. “Don’t start thinking I am a poet”, says Bukowski. People’s eyes.

La pianta della città della poesia Come la scheda madre di un transistor. Mappa di circuiti. Rete di vettori. Rimandi. Viaggi. Flussi di parole. Come la scheda estratta da Hal.

The poetic city’s plan Like the motherboard of a transistor. Map of circuits. Network of vectors. References. Journeys. Flows of words. Like the motherboard extracted from Hal.


La città della poesia è una demolizione Nella città esistente. Come un’esplosione. Nei suoi squarci nasce la possibilità che lo sguardo possa immaginare. Cosa? Tessiture di costruzioni. Come inserire una parola in una frase. La parola mancante. Giusta. Ineliminabile. Quella solo quella. La frase diventa poesia. Come la città. La città della poesia è un insieme di “punti di vista”. Laterali. In altura. Oltre lo scontato. Soprattutto: creativi. Di fronte all’orrore c’è lo scatto. L’orrore c’è. E chi può negarlo? Non è sotto gli occhi di tutti il “disfacimento”? Ma ogni cosa si trasforma. Per dirla meglio: ogni cosa l’uomo è in grado di trasformare. Come sempre l’uomo. Il suo passaggio su questa terra. La sua consapevolezza. La sua capacità di attribuire senso alla realtà. Anzi. Di creare realtà. Cosa c’è di più reale se non la proiezione del proprio “io” più profondo?

The poetic city is a demolition In the existing city. Like an explosion. In its gashes the eye might be able to imagine. What? Textures of constructions. Like fitting a word into a sentence. The missing word. Right. Indestructible. That and only that. The sentence becomes poetry. Like the city. The poetic city is a set of “points of view”. Lateral. On higher ground. Beyond the obvious. Above all: creative. Opposite horror the sudden movement. The horror is there. Who can deny it? Is not the “disintegration” visible to all? But everything is transformed. Or rather: everything that humans are capable of transforming. As always, human beings. Their passage on this earth. Their awareness. Their capacity to attribute sense to reality. Or rather, to create reality. What is more real than the projection of one’s innermost “self”?

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La città della poesia infine È fatta di incroci. Non è detto che stiano sullo stesso piano. Ma non importa. Percorsi che si intrecciano. O si sfiorano appena. Ma ogni tocco d’aria provoca modificazioni. Apre visuali. Oltre le barriere. Coordinate di incroci. Orizzontali. Verticali. Alternati. Come la siepe di Leopardi che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Le barriere sono occasioni. Quando smetti di sbattervi la testa contro capisci che se solo ti sposti di lato. Gli incroci punti di domande a se stessi. Scelta. Istinto. Voce del sentire. Gli incroci sono la struttura. Intorno ad essa la città della poesia costruisce se stessa. Come una maglia generatrice. Nessun riferimento a icone possedute. [il gesto primario del tracciamento di assi ortogonali determina la croce] Nessuna analogia. Né simboli. Ogni cosa è da inventare. Scoprire. Disvelare. Costruire. E niente dura per sempre. [Andiamo dove la terra finisce. Come un fiume. Seguiamo la corrente e imbocchiamo gli affluenti. Questo è il percorso. Si fa camminando. Con mete mobili. Andiamo lungo le sponde della città e della terra. Oltre i domini. Dove si incontrano gli elementi – la terra, l’acqua, il cielo – accade qualcosa. Un caprifoglio si lascia scoprire nell’incavo delle rocce, dove la terra rossa si sfoglia toccando le acque e il fiume sfrangia le sue membra poderose prima di mescolarsi all’infinito].

The poetic city after all It is made of crossings. Not necessarily on the same plane. But it does not matter. Routes interweaving. Or barely touching one another. But every touch of air causes changes. Opens vistas. Beyond barriers. Coordinates of crossings. Horizontal. Vertical. Alternate. Like Leopardi’s hedge, which for its part, excludes most of the horizon. Barriers are opportunities. When you stop banging your head against them you realize you’re only moving sideways. The crossings as questions to themselves. Choice. Instinct. Voice of feeling. Crossings are structure. Around it the poetic city builds itself. Like a generating grid. No reference to icons possessed. [the primary act of tracing orthogonal axes determines the cross] No analogy, nor symbols. Everything to be invented. Discovered. Disclosed. Constructed. And nothing lasts forever. [We go where the land ends. Like a river. We follow the current and turn into its affluents. This is the route. Done by walking. With mobile destinations. Going along the banks of the city and the earth. Beyond dominions. Where elements–earth, water and sky–meet, something happens. A honeysuckle lets itself be discovered in the hollow of a rock, where the red earth peels off touching the waters and the river spreads its mighty limbs before mingling with infinity].


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La città della poesia è un ambiente Il palazzo ducale di Urbino è il prototipo di ambiente. Microcosmo urbano, luogo dove l’incontro di polarità fa nascere una nuova civiltà. Laurana, Duca di Montefeltro, Piero della Francesca. Si può costruire la città della poesia. La propria. E quella collettiva. Anni fa raccontai ad un giovane architetto che mi avevano colpito i fiori freschi che Ettore Sottsass teneva nello studio. Dopo molti anni mi dice: “Tu non mi hai detto di fare altrettanto ma io ho cominciato a mettere i fiori freschi nello studio”. Così vanno le cose con la poesia. Roba che si riverbera nel quotidiano delle persone. Qui conduce. Davide Vargas

The poetic city is an environment The Ducal Palace in Urbino is the prototype of an environment. An urban microcosm, a place where the meeting of polarities brings a new civilization into being. Laurana, the Duke of Montefeltro, Piero della Francesca. The poetic city can be built. Yours. And the collective. Years ago I told a young architect that I had been struck by the fresh flowers that Ettore Sottsass kept in his studio. Many years later he said to me: “You didn’t tell me to do the same, but I too started putting fresh flowers in my studio.” That’s the way it is with poetry. Stuff that reverberates in a person’s everyday life. That leads. Davide Vargas

“Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?” Pier Paolo Pasolini, Il Decamerone, 1971.

“Why create a work when it is so nice to dream about it only?“ Pier Paolo Pasolini, Il Decamerone, 1971.


Programmazione urbana sostenibile Sustainable Urban Planning Earth City, il sistema della città ecologica Earth City, Eco City System Progetto di J.M. Schivo & Associati Project by J.M. Schivo & Associates

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Città In un momento di crisi economica globale il rilancio dell’economia passa necessariamente attraverso un nuovo modo di immaginare la città, i suoi processi produttivi ed energetici, la sua socialità. Earth City–Eco City System si configura come un innovativo strumento destinato alle amministrazioni pubbliche, governi e investitori privati che intendano perseguire una strategia di programmazione urbana sostenibile fortemente articolata, basandosi su dati acquisiti e in tempi contenuti con caratteristiche in linea con i criteri di valutazione individuati dalla UE per definire il modello di Smart City. Si tratta infatti di un sistema programmato in equili-

brio con l’ambiente naturale, fondato sul rispetto delle locali condizioni geografiche, climatiche e culturali e caratterizzato da precisi limiti dimensionali e da un ottimale rapporto fra densità del costruito e reti di spazi pubblici definiti dalla struttura degli isolati urbani a destinazione mista. È composto da un numero definito di distretti strettamente correlati, ma può adattarsi a situazioni più ampie e complesse. La densità ottimale del costruito favorisce un ricco sistema di rapporti di prossimità permettendo ai suoi abitanti di vivere in un ambiente a completa accessibilità pedonale e incoraggiando l’uso di mezzi elettrici condivisi con il supporto di un’efficiente rete di trasporto pubblico per gli


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spostamenti più lunghi. La concezione del suo progetto energetico parte dalla considerazione del massimo sfruttamento delle più attuali tecnologie di autoproduzione, riuso e conservazione delle risorse disponibili avendo come obiettivo principale la creazione di un ambiente urbano che riduca al minimo il consumo delle risorse naturali, preservi la biodiversità del sito, attraverso il suo centro costituito da un sistema verde che rappresenta oltre il 40% dell’area complessiva, e garantisca riserve produttive e di acqua. L’integrazione di elementi naturali in un “sistema nervoso” formato da reti tecnologiche intelligenti, caratterizzate da elementi adeguatamente connessi in rete e basate sul minimo consumo di risorse, massimizza la so-

stenibilità in tempi certi di Earth City rendendola struttura efficiente ed efficace secondo il concetto di energia “justin-time”, energia dove e quando serve. Attraverso l’utilizzo di tutte le principali fonti di approvvigionamento da energie rinnovabili e delle tecnologie del riuso il sistema arriva così a coprire una percentuale, variabile a seconda del sito, compresa fra il 60 e il 90% del fabbisogno energetico e ad ottenere una minore emissione di CO2 di circa 90.000 t/anno. Inoltre le sole aree boschive producono 830 tonnellate di ossigeno pari a circa 27 kg di ossigeno per abitante e le aree a verde coltivato a fini alimentari sono in grado di provvedere al 30% dei fabbisogni agroalimentari degli abitanti.

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DEVELOPMENT REMODELED Change the vision of the city

TOTAL GREEN 2.420.000 MQ (47% Total surface) Agriculture Wilderness Park Lawn

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City At a time of global economic crisis, the economy can only be boosted by coming up with a new way of envisaging the city, its manufacturing/energy processes and its social relations. Earth City–Eco City System is designed to be an innovative means for Public Administrations, Governments and private investors to pursue a strategy of highly elaborate sustainable urban planning based on accumulated data and working on a tight schedule, also complying with the assessment guidelines set by the EU for defining a model for a Smart City. It is actually a programed system in balance with the natural environment based on respect for local geographical, climatic and cultural conditions and featuring very precise size constraints and optimal interaction between the density of the builtscape and networks of public spaces determined by the structure of mixed-purpose urban blocks. It is composed of a definite number of strictly correlated districts, but it can also adapt to more extensive and elaborate situations. Optimum density of the built environment favors an extensive system of proximity relations allowing local inhabitants to live in a fully pedestrian setting and encouraging the use of shared electric transport with the backing of an efficient public transport network for longer journeys.

420.000 MQ 1.350.000 MQ 370.000 MQ 280.000 MQ

The energy project is designed with a view to making the best possible use of the most cutting-edge self-production, reutilization and conservation technology for the available resources, with the main goal being to create a cityscape reducing the consumption of natural resources to a minimum, preserving the biodiversity of the site thanks to a downtown district composed of a system of greenery/landscaping representing over 40% of the overall area, and guaranteeing production supplies and water. Incorporating natural features in a “nerve system” composed of intelligent technological networks featuring suitably networked elements and based on the minimum consumption of resources, maximizes the sustainability of Earth City within definite guidelines, making it an effective and efficient structure based on the concept of “just-in-time” energy where and when it is needed. By using all the main renewable energy sources and reutilization technology available, the system can cover a percentage of the overall energy demand ranging (depending on the site) between 60-90% and reducing the amount of CO2 emissions by approximately 90,000 tonnes/year. Moreover, the wooded areas alone generate 830 tons of oxygen equivalent to approximately 27 kg of oxygen per inhabitant, and the areas of greenery farmed for food purposes can supply 30% of the local inhabitants’ farm-food requirements.


BIODIVERSITY

EARTH CITY Green system

To the city

To the city

Intensive green

830t

Oxygen production

135HA -7.000t CO2

Urban Park

65HA

Biological cultivations

42HA

To the city

Ecological corridor

30%

Inhabitants’ agricultural need

Water

630.000 MQ

Diameter 900m

79 90%

ENERGY NETWORK

Rainwater recovery from land

INTERMODAL PUBLIC NETWORK

INDIVIDUAL SYSTEM SHARED

UNDERGROUND PRIVATE PARKING


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Energia Earth City è un innovativo concept per una città di fondazione immaginata come contenitore di soluzioni mirate a governare la complessità del sistema urbano. Energy = management city complexity E=mc2 La gestione del sistema città nel suo intero ciclo di vita tende al minor consumo di energia possibile. Earth City implementa questo approccio in tutte le fasi progettuali, realizzative e gestionali e in tutti i settori sociali, economici e ambientali. Le keywords energetiche di Earth City sono: • Smarts Grids • Innovation technology • Massima quota di Fonti Energetiche Rinnovabili • Comportamento sostenibile degli abitanti. La struttura urbana è stata concepita come un insieme di infrastrutture composte da elementi fissi in rete che, adeguatamente connessi, riescono a renderla efficaciency, ossia sia efficace che efficiente. Earth City vuole sfruttare il potenziale delle ICT (information and communication technologies) per risolvere le sfide sociali emergenti. Piattaforme tecnologiche a elevata innovazione e strettamente integrate: • Integrazione fra generazione distribuita dell’energia, fonti rinnovabili e utenze (residenziale, terziario) • ICT applicata alla gestione dei distretti energetici al fine di ottimizzare scambi energetici nelle diverse forme: termica elettrica, frigorifera, combinata (co-trigenerazione). L’Energy Just-in-Time è caratterizzata da elementi quali affidabilità, riduzione delle inefficienze di produzione e distribuzione dell’energia in un’ottica di approvvigionamento a filiera corta con forti riduzioni degli sprechi nella trasmissione dell’energia stessa. Earth City realizza una generazione distribuita dell’energia attraverso la costruzione di una innovativa Smart Grid sottesa da una ferrea logica just-in-time: produrre e consumare l’energia che serve al momento giusto. Tale concetto è stato affrontato dando specifiche risposte progettuali ai seguenti obiettivi: • Ottimizzare l’efficienza energetica della struttura urbana • Ottimizzare l’efficienza energetica nell’approvvigionamento energetico • Minimizzare il fabbisogno energetico degli edifici • Rendere sostenibili tutte le fasi del processo costruttivo • Massimizzare le FER per il sistema dei trasporti • Prevedere un sistema dei trasporti con bassi consumi di energia primaria • Prevedere la mobilità intermodale (Minimizzare i bisogni di trasporto e ottimizzare il sistema dei trasporti) • Contenere la produzione dei rifiuti e valorizzarli energeticamente – Riciclo rifiuti NETWORK PUBLIC ELECTRIC TRASPORTATION

• Ridurre i consumi di acqua • Sfruttare al massimo le fonti energetiche rinnovabili – Energia fotovoltaica, eolica, geotermica. Sistemi passivi e ciclo costruttivo: insieme di accorgimenti progettuali, impiego di tecnologie e materiali da riciclo per favorire minori consumi energetici variabili in funzione delle condizioni climatiche locali (circa 7% rispetto ai consumi tradizionali di energia con conseguenti minori emissioni). Riciclo rifiuti: impianto di cogenerazione da 2 MW per produzione di energia elettrica e termica (produzione di energia annua circa 12.000 MWh). Energia fotovoltaica: installazioni su coperture e facciate per una potenza complessiva di oltre 35 MW (circa 30% del fabbisogno complessivo di energia). Energia eolica: utilizzo di micropale da 5 kW e di grandi turbine da 1 MW (circa 40% dell’energia annua necessaria). Energia geotermica: sonde verticali e orizzontali sfruttano la temperatura del terreno a 20 metri di profondità e quella di superficie. L’energia prodotta non emette CO2, quindi ogni kW risparmiato equivale a CO2 non emessa (riduzione dei consumi per riscaldamento e raffrescamento pari al 50%). I consumi stimati ammontano a oltre 150.000 MWh annui totali comprendendo quelli abitativi, di uffici, commercio, strutture collettive, infrastrutture. Le tecnologie adottate e i cicli progettuali e costruttivi portano ad un contributo sostanziale a tali consumi in termini di risparmi sull’energia e sugli agenti inquinanti a livello globale (CO2 e TEP). Il sistema è concepito per arrivare a coprire il 100% del fabbisogno energetico tra autoproduzione e risparmio di energia necessaria annua e a una minor emissione di oltre 100.000 tonnellate di CO2 all’anno. Detta percentuale può variare fra il 60 e il 100% a seconda delle tecnologie impiegate e delle caratteristiche ambientali e climatiche del sito. La dotazione di aree verdi boschive e di aree verdi coltivabili fornisce un ulteriore contributo di autosufficienza e autoproduzione. A fronte di una presenza di 42 ettari di aree agricole e di 47 ettari di verde a bosco si ottiene una quantità misurabile di benessere abitativo in termini di ossigeno prodotto e di ulteriore CO2 non immessa in atmosfera. Le sole aree boschive producono 290 tonnellate di ossigeno pari a circa 10 Kg di ossigeno per ognuno dei 30.000 abitanti oltre a 2.500 tonnellate di CO2 risparmiata. Le aree a verde coltivato a fini alimentari, pari a 42 ettari, sono in grado di provvedere per il 30% dei fabbisogni agroalimentari degli abitanti.


Energy Energy City is an innovative concept for a grounding city envisaged as the container of solutions aimed at controlling the complexity of the urban system. Energy = management city complexity E=mc2. The overall management of the city system throughout its entire life cycle tends towards the lowest possible energy consumption. The city implements this approach in all its various design, construction and managerial phases and in every social, economic and environmental sector. Earth City’s keywords in terms of energy are: • Smarts Grids • Innovation technology • Maximum share of Renewable Energy Sources • People’s sustainable behavior. The urban structure is envisaged as a set of infrastructures composed of fixed networked elements, suitably interconnected, that make it efficaciency or, in other words, effective and efficient. Earth City aims to exploit the potential of ICTs (information and communication technologies) to handle emerging social challenges. Highly innovative and tightly integrated technological platforms: • Integration between energy generation/supply, renewable sources and users (housing, services) • ICT applied to the management of energy districts to optimize energy exchanges in their various forms: electricalthermal, refrigeration, combined (co-trigeneration). Energy Just-in-Time features such distinctive traits as reliability, reduction of energy generation/supply inefficiency, based on notable reductions in waste during the transmission of energy itself. Earth City generates and supplies electricity through the construction of an innovative Smart Grid working on a just-in-time basis: generating and consuming the energy required at the right time. This concept is tackled providing specific design solutions to meet the following targets: • Optimizing the urban structure’s energy efficiency • Optimizing the energy efficiency of the electricity supply • Minimizing the energy requirements of buildings • Making every stage in the construction process sustainable • Maximizing FERs for the transport system • Providing a transport system with low primary energy consumption • Providing intermodal transport (Minimize transport needs and optimize transport systems) • Constraining the generation of waste and exploiting it

for energy purposes – recycling waste • Reducing water consumption • Exploiting renewable energy sources to the maximum – Photovoltaic, wind, geothermal energy. Passive systems and the construction cycle: set of design measures, use of recycling technology and materials to facilitate lower energy consumption varying in accordance with the local weather conditions (approximately 7% compared to conventional energy consumption resulting in lower emissions). Recycling waste: MW co-generation system for generating electrical-thermal energy (yearly electricity generation of approximately 12,000 MWh). Photovoltaic energy: installations on roofs and facades to provide an overall power supply of over 35 MW (approximately 30% of overall energy requirements) . Wind power: use of 5 kW micro-blades and large 1 MW turbines (approximately 40% of yearly energy requirements). Geo-thermal energy: vertical and horizontal probes exploiting the ground’s temperature at a depth of 20 m and at the surface. The energy generated does not give off CO2, so every kilowatt saved corresponds to CO2 not emitted (50% reduction in consumption for heating and cooling purposes). Estimated consumption amounts to over 150,000 MWh annual total, including consumption by housing, offices, retail, community facilities, infrastructures. The technology adopted and design/construction cycles result in notable energy savings in this consumption and also reductions in polluting substances on a global level (CO2 and TEP). The system is designed to cover 100% of energy needs based on self-generation and required annual energy savings. It will also reduce CO2 emissions by over 100,000 tons a year. It may vary between 60-100% of this figure, according to the technology used and environmental-climatic features of the site. Wooded areas of greenery and landscaped areas used for farming provide a further contribution to self-sufficiency and self-production. The presence of 42 hectares of farmland and 47 hectares of woods will improve the living conditions in terms of the oxygen produced and reduction in CO2 given off into the air. The areas of woodlands alone generate 290 tons of oxygen equal to approximately 10 Kg of oxygen for each of the 30,000 inhabitants, plus a saving in terms of CO2 of 2,500 tons. The land farmed for food purposes, equal to 42 hectares, can provide 30% of the local population's farm-food requirements.

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Il quartiere Earth City–Eco City System presenta tre settori urbanizzati in cui trovano posto servizi, attività lavorative e residenze. Il sistema fortemente integrato si sviluppa come una concatenazione di funzioni, spazi, piazze e percorsi e si articola in una serie di unità di dimensioni più limitate, autosufficienti energeticamente, che applicano la stessa filosofia generale: energy just-in-time e +bitwatt. La flessibilità del sistema e le sue contenute dimensioni fanno sì che possa trovare applicazione oltre che nel contesto urbano di Earth City anche in realtà territoriali già parzialmente edificate o in aree dismesse da riqualificare pur conservando inalterate le sue caratteristiche: - il verde e l’acqua come struttura portante di tutto il sistema: verde intenso, verde agricolo, verde urbano attrezzato e verde sportivo - i servizi di quartiere: cinque tipologie di spazi rappresentano il sistema di servizi a garanzia di un mix di funzioni oggi indispensabile per favorire un corretto rapporto tra abitanti e spazio pubblico - le residenze: cinque tipologie abitative, caratterizzate da alta flessibilità interna e sostenibilità ambientale, rispondono alle richieste di un’utenza sempre più diversificata e multietnica ricreando la complessità di relazioni fra residenti tipica di un quartiere consolidato con la presenza di spazi per attività diverse, tetti-giardino coltivabili, piccoli servizi di prossimità, laboratori e spazi culturali - l’arredo urbano: gli stessi criteri generali sono applicati al quartiere con la previsione di una serie di funzioni leggere e mobili, connesse alle piazze, che garantiscono la continua flessibilità del sistema e delle attività commerciali di base - i trasporti: la compattezza dell’impianto del quartiere privilegia gli spostamenti a piedi a cui si aggiungono mezzi elettrici condivisi per un’agevole fruibilità dell’insieme - l’energia: l’uso su larga scala delle fonti rinnovabili unito a criteri di risparmio energetico e razionale distribuzione dell’energia permea l’intero sistema - la condivisione partecipata. Jean-Marc Schivo

The Neighborhood Earth City–Eco City System has three urbanized sectors providing room for services, work activities and housing. This highly integrated system develops like a chain of functions, spaces, squares and pathways and is organized in a set of smaller energy-self-sufficient units applying the same basic philosophy: energy just-in-time and +bit-watt. The flexibility of the system and its constrained size mean that it can be incorporated not only in the urban setting of Earth City but also in areas already partially built-up or abandoned areas to be redeveloped while maintaining their distinctive traits: - greenery and water as the bearing structure for the entire system: intense greenery, farm landscaping, fullyfurnished urban landscaping and sports-oriented greenery - neighborhood services: the services system is represented by five types of space guaranteeing the kind of mix of functions now indispensable for encouraging proper interaction between inhabitants and public space - housing: five types of housing featuring high internal flexibility and environmental sustainability, meeting the needs of an increasingly wide range of multi-ethnic users and recreating the complex relations between residents typical of a consolidated neighborhood equipped with spaces for various different activities, cultivatable garden-roofs, small local services, workshops and cultural facilities - urban furnishing: the same general guidelines are enforced in the neighborhood to provide a set of easy-toread, mobile functions connected to the local squares, guaranteeing a consistently flexible system and basic commercial operations - transport: the compact nature of the neighborhood layout encourages walking and is also backed up by shared electric transport to make it easier to take advantage of the overall system - energy: the large-scale use of renewable sources combined with guidelines for energy-saving and the rational supply of energy characterizes the entire system - participated sharing. Jean-Marc Schivo


DISTRICT ZONING – DISTRIBUTION OF BUILDING TYPES

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ECO CITY SYSTEM – EARTH CITY Energy buildings strategy High performance building


La resilienza Resilience La città vegetale Vegetable City Progetto di Luc Schuiten Project by Luc Schuiten

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l concetto di città vegetale, o di città resiliente, è nato da una riflessione di architettura su possibili forme di habitat e di funzionamenti urbani futuristici. Una tale formulazione è stata elaborata pensando alla realtà e alle necessità materiali e intellettuali del vivente. Libera da tutti i vincoli dello sviluppo imposto dal capitalismo, questa proiezione visionaria del nostro ambiente si interroga sui modi di vita nella prospettiva di una evoluzione sostenibile. Oggi, lo stato del pianeta pone dei problemi sul suo futuro. La rivoluzione causata dall’investimento nell’industria giunge ora alla fine. Lo sfruttamento delle riserve naturali e umane attraverso il globo, l’erosione della biodiversità, la capitalizzazione individuale delle risorse del pianeta, sono altrettanti segnali che caratterizzano la china sulla quale il modernismo è precipitato. La società che si è determinata nella frenesia della produzione ha creato una rappresentazione illusoria del progresso. La padronanza tecnica che ieri garantiva la crescita dei beni, dava la sicurezza di un potere incontestato e illimitato delle nostre

società industriali. Sotto l’impulso di prospettive di vita migliore, dove la ricerca della ricchezza materiale garantiva di sfuggire alla precarietà, esse non hanno visto il flagello distruttore che nascondeva il loro sogno. Al di fuori di ogni concertazione sociale, di ogni legislazione, nella precarietà delle procedure tecniche, ha preso vita un Alien. Come una cellula che ignora la sua appartenenza a un unico organismo, ognuno ha portato avanti la sua battaglia per se stesso o per la sua famiglia, senza coscienza degli sconvolgimenti degli equilibri naturali e sociali causati dagli strascichi di questi comportamenti nelle trasformazioni dei legami individuali e nel rapporto con il modo vivente. Da parecchi anni, la moltiplicazione delle catastrofi ambientali e i rapporti internazionali sui cambiamenti climatici e la biodiversità danno sempre più spazio a visioni negative e allarmistiche di un pianeta colpito nella sua integrità dalle aggressioni umane e prospettano la paura di un futuro solo negativo come progetto di società. Per rimediare a questo difetto nefasto in


CITTÀ INTELLIGENTI SMART CITIES

una prospettiva positiva del nostro futuro, ho voluto, al contrario, mostrare il più bel futuro possibile per il nostro pianeta, il mondo in cui vorrei vivere. A tal fine ho esplorato le piste già tracciate dal biomimetismo, proponendo di concentrarci attorno a una creatività positiva, di aprire dei futuri possibili che rendano impazienti di farvi parte e di progettare delle città dove sia bello respirare, rendendo il loro spazio ai canti degli uccelli, agli orti e ai meandri dei fiumi e dei ruscelli. Città fatte di spazi che incarnano uno dei principi fondamentali del vivente: la vita crea le condizioni propizie alla vita. Oltre a questo, esse propongono anche di ridurre la frontiera tra artificiale e naturale, e di riconciliare gli aggressori e gli aggrediti attorno alla coscienza rinnovata di un’ampia relazione di interdipendenza, di un rispetto e di una meraviglia comuni per la vita sulla Terra. Oltrepassare i limiti di ciò che si conosce e concepire un altrove è una delle avventure intellettuali più appassionanti. L’uso delle conoscenze teoriche e tecniche che ab-

biamo per applicarle a delle prospettive di sviluppo più adatte alla realtà della Terra e alle nostre necessità di vita sono gli elementi alla base di questo lavoro. Un architetto non fa che disegnare degli edifici pensati per essere realizzati più tardi. In questa formazione professionale ho integrato totalmente il ruolo del disegno, proiezione di un futuro prossimo. In questo senso esso prefigura il futuro, lo anticipa per poterlo modificare, modellare. Nessuna realizzazione umana si produce senza che venga progettata con una forma o l’altra di disegno. Il progetto di un architetto è l’anticipazione di un nuovo spazio da costruire, anche se si tratta ancora di un’aspirazione, viene percepito in poco tempo come un possibile divenire. Da qui mi è nata la coscienza che disegnare l’evoluzione della città come la immaginavo avrebbe coinvolto nel progetto già un po’ di futuro che, grazie al realismo del disegno, sarebbe diventato sempre più credibile, segnando già una prima tappa verso un avvenire sostenibile.

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he concept of a vegetable or resilient city derives from conceptual thinking on possible forms of habitat and futuristic urban mechanisms. This formulation was developed by contemplating reality and thinking about the material and intellectual needs of people living in cities. Freed from all the constraints of the kind of growth imposed by capitalism, this visionary projection for our environment ponders over lifestyles from the perspective of sustainable growth. The current state of the planet poses problems concerning its future. The revolution caused by investment in industry is now reaching its end. The exploitation of natural and human reserves across the globe, the eroding away of biodiversity, and individual capitalization of the planet’s resources, are all signs of a slippery slope that modernism is sliding down. The kind of society that has emerged from frantic obsession with production has created an illusory representation of progress. The technical mastery that once guaranteed more goods/products could be produced conveyed a reassuring sense of unbridled and boundless power in our industrial societies. Driven along by the prospect of a better life, in which the quest for material wealth made it possible to escape precariousness, they were blissfully unaware of the destructive scourge hidden away in their dream. Apart from any kind of social consultation, legislation and precarious technical procedures, an alien came into being. Like a cell that is unaware of the fact that it belongs to one single organism, everybody fought their own battle for either themselves or their family, without considering the upheaval being caused to the natural and social balances by the repercussions of this kind of behavior in terms of changes to individual bonds and interaction with the living world. For some years now, a vast array of environmental disasters and international reports on climate change and biodiversity are giving greater credence to negative and alarmist visions of a planet, whose integrity is being threatened by human aggression, and there is a growing fear of a future in which society can only be envisaged negatively. In order to rectify this ominous vision to open up the way to brighter prospects for our future, I, on the other hand, wanted to envisage the best possible future for our planet, the kind of world in which I would like to live. To do this I explored the pathways already trodden by biomimetics, suggesting we focus on a plausible kind of creativity opening up the way to possible futures that we will be impatient to be part of and designing cities in which breathing is a pleasure, leaving room for birdsong, allotments and meandering rivers and streams. Cities whose spaces embody one of the basic principles of the living

world: life creates the ideal conditions for life. In addition to this, they also suggest breaking down the boundary between the artificial and natural and getting both the aggressors and oppressed to develop a renewed awareness of their interdependency and a shared respect and astonishment about life on Earth. Moving beyond the bounds of what is known in order to envisage an alternative place is one of the most passionate intellectual adventures of all. Applying our theoretical and technical know-how for the purposes of developing along more suitable lines for both life on Earth and our everyday needs are aspects lying at the very foundations of this work. An architect merely designs buildings envisaged to be constructed at a later date. I have fully integrated the role of design in this professional training program projected towards the near future. In this respect it actually envisages and anticipates the future in order to alter and shape it. No human construction is ever made without first designing some form or other. And architect’s project envisages a new space to be built, and even if it is still only an aspiration, it is perceived as something possible. This led me to an awareness that designing along the lines I envisage cities evolving would inevitably engage a bit of the future in the project, which, thanks to the realism of the design work, would inevitably become increasingly credible, already marking the first step towards a sustainable future.


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Trasporti I mezzi di trasporto della città sono parte integrante della problematica urbanistica. Sono indissociabili dal concetto stesso di città. I mezzi di circolazione che utilizziamo attualmente sono il risultato di meccanismi storici e ancestrali di comportamenti umani. Alla necessità di spostarsi, si è aggiunta la volontà di sedurre e d’affermare la propria supremazia sugli altri individui. Il veicolo indica il rispetto, l’ammirazione e la conquista di uno status sociale. D’altro canto, lo sfruttamento esponenziale dei carburanti avrà ormai svuotato entro qualche decennio le riserve petrolifere che hanno impiegato milioni di anni per formarsi. A parte la bicicletta, tutti i mezzi di trasporto che utilizziamo, pesano circa 10 volte il peso dei loro passeggeri. Per ridurre i consumi, bisognerà ridurre il peso del contenitore. Ho quindi immaginato dei piccoli apparecchi morbidi e leggeri che funzionano con un motore elettrico captando energia da un binario integrato nella strada. Per rispondere a ogni necessità di trasporto, sono proposti altri mezzi di spostamento complementari a questo sistema, sia per gli spostamenti privati, sia per il trasporto di merci – assistenti alla camminata, biciclette, apparecchi aerei ecc. Siamo costretti a cercare delle nuove formule di funzionamento. La fortuna che abbiamo oggi è di non poterci sottrarre a questa necessità e avere allo stesso tempo la possibilità di creare un vivere altrimenti.

Transport Inner-city means of transport are an integral part of townplanning issues. They cannot be dissociated from the very concept of a city. The means of transport we currently use are actually the product of age-old human behavioral patterns. The need to move around combines with the need to seduce and assert our supremacy over other individuals. A vehicle stands for respect, admiration and the conquering of a certain social status. On the other hand, the exponential exploitation of fuels will empty oil reserves that took millions of years to form within the space of just a few decades. Apart from the bicycle, every means of transport we use weighs approximately 10 times more than its passengers. In order to reduce consumption, we need to reduce the weight of the receptacle. This is why I have envisaged small, soft, light-weight appliances operating using an electric engine capturing energy from tracks incorporated in the road. Other means of transport complementary to this system are also proposed to cater for every imaginable transport need, both for personal reasons and for transporting goods— walking aids, bicycles, overhead mechanisms etc. We are forced to try and come up with new operating means. The fortunate thing is that we can no longer ignore this situation and, at the same time, we have the chance to create an alternative way of life.

Il tramodulare Il tram è uno dei mezzi di trasporto urbano più economici in termini di energia e meno inquinante. Lungi dall’essere alla fine della sua evoluzione, può ancora essere migliorato in peso e in flessibilità. Ho immaginato un modello di piccole vetture autonome, che possono circolare da sole, senza conduttore, ed essere assemblate con altre per formare un convoglio. La vettura comporta sette posti, tre persone sedute davanti e quattro dietro, in piedi ma appoggiandosi in modo comodo. La base del veicolo è un piano in metallo sul quale è appoggiata una carrozzeria in legno e fibra di resina vegetale. Piccoli motori elettrici posizionati nelle ruote, permettono di contenere il peso limitato del veicolo. La salita dei passeggeri avviene su un via parallela a quella di circolazione, dato che il veicolo si ferma solo su richiesta e se ci sono ancora dei posti disponibili. Un sistema elettronico comanda le destinazioni, le fermate dei veicoli e le richieste di fermata in funzione delle destinazioni. Le antenne fanno da segnali luminosi di colori appropriati per differenziare le destinazioni. La flessibilità oraria della circolazione, il deposito dei veicoli vuoti, la loro distribuzione sulla rete, l’invio di veicoli richiesti, sia partendo dalle fermate sia da casa, sono gestiti da una centrale informatica. Nelle ore di maggiore traffico, i tramodulari vengono raggruppati in convogli e formano un tram simile a quelli tradizionali. Questo sistema presenta il vantaggio di adattarsi a qualsiasi rete tranviaria su corsia privilegiata esistente.

The Modulartram The tram is the most economic means of transport in terms of energy and also the least polluting. Far from having reached the end of its developmental phase, it can still be improved in terms of weight and flexibility. I have envisaged a model with small independent carriages that can circulate on their own without a driver or be assembled with others to form a convoy. Each carriage has room for seven people, three sitting at the front and four standing comfortably at the rear. The base of the vehicle is a metal surface with bodywork made of wood and vegetable resin fiber. Small electric engines placed on the wheels allow the weight to be kept down to a minimum. Passengers get on the tram along a path running parallel to the road, bearing in mind that the vehicle only stops on request and if there is any room available on board. An electronic system controls the destinations, the vehicle stops and stop requests based on the various destinations. Aerials act as luminous signals in different colors for different destinations. The flexibility of the operating timetable, the depot for empty vehicles, their distribution along the network and the sending out of vehicle requests either from the tram stops or from home, are controlled by a computerized operating unit. During the rush-hour, the modulartram are grouped into convoys to form a tram similar to a conventional vehicle. This system has the advantage of being adaptable to any existing tram network running on a dedicated lane.


Bruxelles nel 2100 Anticipare e immaginare significa sempre prendere dei rischi. Immaginare a distanza di cent’anni, vuol dire figurarsi il mondo prima del 1914 quando si viveva sotto l’Impero napoleonico. Oppure è intravedere l’Europa unita e comunicante quando sta per scoppiare la più terribile e prima guerra mondiale mai conosciuta. E oggi, alla soglia delle difficoltà ecologiche che si annunciano, è arrivare a concepire che un giorno possano essere sconfitte da un’umanità in grado di risolvere i numerosi problemi che ci siamo creati. In un’ottica di sviluppo sostenibile, queste prospettive archiarborescenti non propongono la distruzione del patrimonio esistente ma sono, al contrario, la proiezione di un’integrazione di pensieri nuovi nella storia urbana e nella continuità dei cambiamenti successivi che hanno segnato la sua evoluzione. Lentamente, poco a poco, questa città divenuta troppo urbana e minerale, diminuirà le sue superfici d’asfalto e di pavé, riscoprirà i suoi fiumi, le sue valli, i suoi stagni e ritroverà una qualità di vita che aveva perduto. L’aggiunta di involucri esterni e di innesti realizzati con strutture vegetali e materiali biomimetici negli edifici esistenti permette di incentivare la trasmissione dell’idea di cambiamento necessario nel funzionamento dell’habitat e delle abitudini di consumo. Queste rappresentazioni di case contigue, caratteristiche di Bruxelles, si focalizzano sulla riflessione in questa città – in occasione della prima esposizione “Vegetal City” – mettendo a confronto i visitatori con la visione alternativa dei luoghi familiari. La nuova città si sarà progressivamente dotata di due livelli diversi di circolazione. Sul piano stradale esistente circoleranno veicoli leggeri e silenziosi di tutte le categorie per spostamenti rapidi ed efficienti. In altezza, nuovi sistemi di circolazione pedonale si svilupperanno sui tetti giardino disseminati nella città. Questi parchi sospesi del centro urbano sono destinati agli incontri, alla convivialità e alla dimensione ludica dell’esistenza. Dato che il consumo si è liberato da una dimensione compulsiva, la società ha potuto sviluppare un tipo di offerta completamente alternativa finalizzata a favorire l’autonomia e la soddisfazione personale. Passerelle leggere collegano i vari edifici offrendo nuovi percorsi attraverso uno spazio completamente libero dagli ostacoli visivi dei fronti costruiti, per lasciar vedere il cielo, l’orizzonte e il paesaggio dei tetti e dei giardini. È grazie al paziente lavoro di un giardiniere costruttore con l’innesto, la margotta e la talea, che la città si rigenererà in un insieme di villaggi abitabili. Si tratta nel contempo di processi di ecologia sociale e naturale che portano alla formazione di organizzazioni morbide, creano la diversità, i sistemi complessi, le affinità, le simpatie. Brussels in 2100 Anticipating and imagining inevitably means taking risks. Imagining a hundred years later means envisaging the world before 1914 under the rule of Napoleon’s Empire or, alternatively, glimpsing a sense of a united inter-communicating Europe just as the first and most terrible World War ever known is about to break out. Nowadays, on the threshold of imminent ecological issues, it means trying to imagine how these problems might one day be defeated by mankind after it has learned how to solve all the critical issues we have created. From the point of sustainable growth, these highly ramified prospects do not envisage the destruction of our existing heritage, on the contrary, they project that new thoughts on urban history will come together within the framework of changes that have thus far marked its evolution.

Slowly and very gradually our over-urban, mineral cities will see their paved and asphalted surfaces diminish, as their rivers, valleys and pools are rediscovered, restoring a quality of life that had been lost. The addition of outside shells and attachments made of vegetable-based structures and bio-mimetic materials onto existing buildings will encourage the conveying of the notion of change required for the smooth-running of our habitat and our consumer habits. These representations of adjacent houses characteristic of Brussels focus on studies into this kind of city – in the event of the first “Vegetal City” exhibition – allowing visitors to glimpse an alternative vision of familiar places. The new city will gradually be furnished with two different levels of circulation. Lightweight and silent vehicles (of every imaginable type) designed for fast and efficient movement will travel on the existing road level. Up above systems of pedestrian circulation will be developed across garden roofs spread right across the city. These suspended parks in the city center are designed for accommodating meetings, socializing and the playful side of life. Given that consumerism has, in some sense, been liberated from its compulsive nature, society has been able to develop an entirely alternative offer aimed at encouraging personal satisfaction and independence. Lightweight walkways and footbridges will connect the various buildings offering new paths through space that is now completely free from visual obstacles posed by building fronts, so that the sky, horizon and landscape of roofs and gardens can be properly admired. It is thanks to the patient work of a gardener-constructor based on grafts, layers and cuttings that the city will be regenerated into a combination of inhabitable villages. These are, simultaneously, social and natural ecological processes leading to the formation of soft and gentle organizations creating diversity, complex systems, affinities and similarities.

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La città scavata Oggi, questa città sostenibile può essere realizzata con un costo molto inferiore a quello delle città attuali grazie al ruolo preponderante e strutturante del trasporto pubblico. Lo schema direttore è di Jean-Louis Maupu, ingegnere e autore del libro La ville creuse pour un urbanisme durable. Questa città non è compatta né dispersa. Si costruisce solo con la prossimità all’anello di rete tranviaria, raddoppiato da un asse stradale sotterraneo di servizio, con un perimetro da 10 a 20 km per una popolazione dai 20 ai 100.000 abitanti. La città è formata da una maglia di quartieri misti e conviviali organizzati attono a un grande incavo vegetale. Essa può svilupparsi tessendo delle nuove maglie. La città è autonoma in energia, ogni fila di case termina con una unità centrale di energia mista – solare, eolica e gas metano prodotto dalla decomposizione dei rifiuti organici della città. Le case, con serre e giardini d’inverno posizionati seguendo regole ben precise di un’urbanistica solare, sono realizzati in terra cruda.

The Excavated City Nowadays a sustainable city can be built at a lower cost than that of present-day cities, thanks to the preponderant, structuring role of public transport. The scheme is headed by Jean-Louis Maupu, an engineer and the author of the book La ville creuse pour un urbanisme durable. This kind of city is neither densely packed nor dispersed. It is constructed near the loop of a tram network, doubled up by an underground service roadway with a perimeter measuring 10-12 km, serving a population of between 20-100,000 inhabitants. The city is composed of a web of mixed, convivial neighborhoods set around a large landscaped hollow. It may be extended by weaving in new webs. The city is selfcontained from an energy viewpoint and each row of houses culminates in a mixed-energy power unit (solar, wind and methane gas) produced from the city’s decomposing organic waste. The houses, complete with their own greenhouses and winter gardens carefully set out following the very specific guidelines of solar town-planning, are made using mud and clay construction techniques.

Visione spazio-temporale di Shanghai durante un secolo A Shanghai, ancor più che altrove, la mutazione della città è permanente. Mai immobile, la megalopoli si sviluppa inesorabilmente a grande velocità verso il suo futuro. La maggior parte delle creazioni grafiche, pittoriche, fotografiche che conosciamo sono di fatto dei fermo immagine, non integrano l’elemento essenziale della vita, il tempo che passa, anche se esistono delle possibilità di introdurre nei quadri la nozione di un passato, di un presente e di un futuro. In alto e in basso al disegno, un cursore indica lo scorrere degli anni in un’ipotesi di sviluppo della città su un modello biomimetico. Il quadro si legge come un testo da sinistra a destra. Mostra una città soffocata dall’inquinamento che evolve verso un’aria pulita e luminosa. Con il passare degli anni, i progressi nel campo delle biotecnologie modellano la nuova città; edifici torre a ossatura in biocemento sul modello delle conchiglie, membrane in biovetro nate dalla tecnologia dei radiolari e l’onnipresenza del vegetale integrato a tutti gli edifici, garantiscono il buon funzionamento dei numerosi ecosistemi.

Spatio-temporal vision of Shanghai over a century More than any other city, Shanghai has changed in a permanent way. Never immobile, this megalopolis is relentlessly growing at a startling rate as it heads towards its future. Most of the graphic, pictorial and photographic creations we are familiar with consist of still-shots that do not incorporate such an essential aspect of life as passing time, even though there are actually ways of introducing a notion of the past, present and future into paintings. At the top and bottom of the drawing, a cursor indicates the passing years, showing how the city might develop based on a biomimetic model. The painting may be read from left to right like a piece of writing. It shows a city being suffocated by pollution that is developing towards a state of clean and luminous air. As time passes, progress in the field of biotechnology shapes the new city; tower buildings with bio-concrete frameworks designed rather like shells, bio-glass membranes developed out of radiolarian technology, and the constant presence of vegetation integrated in all the buildings, ensure the smooth-running of numerous ecosystems.


La città delle onde Se in un paesaggio costiero, il mare come la sabbia hanno la tendenza ad assumere le forme delle onde sotto l’azione del vento, è seguendo la stessa forma naturale che si svilupperanno le abitazioni biomimetiche sottomesse alle stesse condizioni climatiche. Gli edifici, dove gli incavi delle onde sono orientati a sud, verso un piano d’acqua situato più in basso, sono provvisti di facciate vetrate e pannelli solari dalle prestazioni migliorate per la riflessione dei raggi sul piano dell’acqua. Questa città in movimento si rinnova continuamente in una lenta progressione attorno a un lago, dove la transumanza degli abitanti avviene al ritmo della durata di vita della struttura principale della città: l’albero. La parte abitata di questa foresta urbana occupa circa un quarto del contorno del lago, la restante parte è costituita da un foresta giunta a maturità che lascia spazio per la costruzione di nuove abitazioni. La porzione principale di territorio è occupata dalla giovane foresta in sviluppo, sotto la stretta sorveglianza di architetti giardinieri. Infine, nell’ultima parte si trovano gli alberi morti, in decomposizione, il cui humus serve ad arricchire la terra delle nuove foreste. Questa città funziona come un super organismo dotato delle caratteristiche d’autoregolazione, d’omeostasi e di metabolismo. È una rete complessa dove le simbiosi hanno un ruolo primordiale. Luc Schuiten

The City of Waves Just as the sea and sand tend to take on the shape of waves as the wind blows along the coastline, so these bio-mimetic houses, which are subject to the same climatic conditions, trace the same natural form. The buildings, where the indentations caused by the waves face south towards a pool of water set at a lower level, are fitted with glass facades and solar panels that are even more effective due to rays reflecting on the surface of the water. This city in motion is constantly renewed in slow progression around the lake, where the local habitants move around at the same rhythm as the lifecycle of the city’s main structure: the tree. The inhabited part of this urban forest takes up approximately one quarter of the area around the lake, the remaining part consists of a forest that is now fully grown leaving room for the construction of new housing. The main portion of land is taken up by a young forest that is still growing, under the careful supervision of gardener-architects. Finally, dead and decomposing trees are found in the last section, whose humus helps nourish the soil in the new forests. This city functions like a super organism capable of self-regulation, homeostasis and metabolism. It is an elaborate and inseparable network in which various symbioses play a primeval role. Luc Schuiten

Una volta superata la frattura tra la specie umana e il resto dei viventi, non resta altro che una grande famiglia, rafforzata da milioni di miliardi di membri collegati nel tempo e nello spazio. Non resta che un immenso albero genealogico vecchio di circa 4 miliardi di anni, radicato su un piccolissimo pianeta. Gauthier Chapelle, biologo. Having moved beyond the fracture between the human species and the rest of living beings, all that is left is one big family strengthened by millions upon millions of members connected across space and time. All that is left is a huge family tree stretching back across approximately 4,000,000,000 years, whose roots are entrenched in a tiny planet. Gauthier Chapelle, biologist.

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La crisi come opportunità Crisis As An Opportunity

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La crisi come opportunità Convegno annuale della Fondazione Italcementi: “Dalla crisi una spinta verso un’Europa più forte ed efficace?” Crisis As An Opportunity Fondazione Italcementi annual convention: “The crisis as a stimulus for a stronger and more effective Europe?” Il gioco della pittura The Painting Game

attuale grave crisi economica spingerà i partner europei a rendere più efficaci le istituzioni comunitarie? È partito da questo spunto l’annuale convegno della Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti, svoltosi lo scorso 19 gennaio a Bergamo. Il tema del dibattito è stato tratto dalle parole di Jacques Delors, all’epoca Presidente della Commissione Europea, quando già venticinque anni fa – su “L’embarras de la souveraineté” (articolo pubblicato su Politique Internationale, n.41, 1988) – sembrava dipingere condizioni politico-istituzionali oggi molto attuali, con l’Europa ancora in difficoltà nell’elaborazione e attuazione di strumenti e misure necessarie per fare fronte con decisione alla più grave crisi economica del Dopoguerra. “L’obiettivo dell’Europa non è l’accondiscendenza verso misure impopolari, ammoniva Delors nel suo straordinario articolo” ha sottolineato Giampiero Pesenti, presidente del Gruppo Italcementi. “Un ammonimento dato dalla consapevolezza che la ‘costruzione’ europea conteneva anche il rischio di diventare capro espiatorio nei momenti di difficoltà o davanti ai limiti e alle incertezze degli Stati Nazionali. È la condivisione di questa visione, di questa percezione del rischio di uno scivolamento del concetto di Europa verso un mero sinonimo di austerità, che ha portato a focalizzare l’appuntamento annuale della Fondazione Italcementi su un tema strategico come la cessione di sovranità nazionale alle diverse istituzioni europee, e soprattutto sulle misure necessarie per una maggiore efficacia di strumenti e di decisioni”. Mentre l’incertezza e la mancanza di fiducia costituiscono un costante elemento di freno, che confina le imprese e molte famiglie in un permanente “momento di attesa”, le difficoltà a rilanciare competitività e crescita hanno viceversa creato lo spazio per un rinnovato dibattito che – a partire dal trasferimento di potere dagli Stati Nazionali all’Europa in cambio di aiuti – mira a definire un possibile passo verso l’unione politica. “Che dalla crisi dell’Eurozona nascano elementi di accelerazione verso nuove e più efficaci forme di integrazione che ci permettano di superare questo difficile momento, è elemento essenziale per uscire realmente dall’attuale fase di generale preoccupazione” ha argomentato Giovanni Giavazzi, Presidente della Fondazione Italcementi, “ma soprattutto è solo un soprassalto di coesione, risoluzione e completezza di azioni, pari in tutto e per tutto alle esigenze del momento, che deve e può superare le pur complesse

attuali prospettazioni”. La discussione, che si è avvalsa delle analisi e dei dati forniti dal Presidente Istat Enrico Giovannini e dal Presidente Ipsos Nando Pagnoncelli, ha visto la partecipazione di alcuni tra i maggiori protagonisti e osservatori del mondo accademico, economico e delle istituzioni. Dal Ministro degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi, agli economisti Luigi Zingales (inserito nella Top 100 Global Thinkers 2012 dalla rivista americana Foreign Policy), Hans-Werner Sinn (tra gli autori della lettera aperta al Cancelliere Merkel sugli aiuti diretti del fondo salva-stati) e Ramon Marimon (professore ed ex Segretario di Stato del Governo spagnolo), fino all’imprenditore già Vice Presidente di Confindustria per l’Europa Andrea Moltrasio. Animatore del dibattito è stato il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi. Enrico Giovannini e Nando Pagnoncelli hanno tratteggiato, con dati statistici e ricerche demoscopiche, il rapporto tra istituzioni europee e cittadini. “Abbiamo di fronte a noi un quadro molto complesso, che chiaramente non può essere gestito come nel passato” ha detto Enrico Giovannini “e soprattutto non può essere gestito in modo individualistico, inteso non solo in senso sovranazionale (nessun paese europeo può sperare di risolvere questi problemi da solo), ma anche in quello di singole persone, imprese, istituzioni”. Si tratta, inoltre, di individuare non solo gli scenari a lungo termine, ma anche di stabilire strategie per l’immediato: “Anche se tutta l’Europa iniziasse a ‘fare le cose giuste’, qualunque esse siano, il tempo nel quale si vedrebbero gli effetti sarebbe non breve. E allora non basta intervenire per risolvere i problemi, ma bisogna anche indicare cosa si fa nel ‘tempo di mezzo’, cioè tra l’oggi e il momento in cui i diversi interventi, efficaci nel medio termine, potrebbero produrre effetti indesiderati nel breve”. “L’atteggiamento verso l’UE è cambiato nel tempo” ha spiegato Nando Pagnoncelli “in particolare dall’introduzione della moneta unica a oggi e in seguito alla crisi che tuttora viviamo: le politiche di austerità e l’importanza data alla dimensione finanziaria dell’economia non sono sempre comprese e accettate; in mancanza di un’integrazione che vada al di là della moneta, il senso di appartenenza all’UE appare più legato ai cicli economici che a condivise convinzioni di tipo politico, culturale, ideale”. Se l’Europa è vista con distacco e diffidenza sul piano della sfida economica – emerge dalla ricerca IPSOS presentata da Pagnoncelli – valori fondanti come democrazia, pace, libera circolazione e protezione sociale si confermano

tra i significati positivi condivisi dai cittadini europei. Luigi Zingales, professore di Impresa e Finanza presso la Chicago University Booth School of Business, si è chiesto “Perché l’Italia ha smesso di crescere? La tentazione è quella di dire ‘è colpa dell’euro’, sostenendo che la ragione sarebbe da ricercare nel momento in cui l’Italia si agganciava alla moneta unica, abbandonando la lira e le sue svalutazioni, quindi impedendo quella spinta competitiva che aveva sostenuto per anni l’export italiano”. Ma non è questa la vera ragione, ha spiegato Zingales: “Il problema dell’export italiano dal ‘94 in poi è causato dalle continue svalutazioni precedenti. La svalutazione è come una droga: dà un temporaneo stato di euforia, ma causa danni all’organismo nel lungo periodo. Perché dico questo? Perché le continue svalutazioni degli anni ‘70 e degli anni ‘80 hanno favorito, nell’industria italiana, un’industria poco tecnologica e poco posizionata nella parte meno elastica della domanda”. La ricetta? “Quello che dobbiamo fare è spostarci verso le imprese a più alta tecnologia. Le imprese che non ce la fanno e chiudono devono lasciare spazio a quelle che invece hanno i numeri per riuscire. Se però in questo processo non abbiamo imprese che si espandono, che nascono, allora non andiamo da nessuna parte”. Zingales si è interrogato sul perché la produttività in Italia sia così bassa, individuando alcuni fattori di debolezza del sistema Italia. “Guardiamo all’investimento in educazione: guardando le statistiche, mi sono reso conto che nel Sud Italia il 50% della forza lavoro di oggi non ha più della terza media. È difficile cercare di muovere il paese verso le tecnologie avanzate, quando metà della forza lavoro non ha più della terza media. E se guardiamo agli investimenti in educazione, in istruzione, l’Italia non fa particolarmente bene, ma non fa neanche particolarmente male”. Dove sono allora i maggiori problemi? “Il grosso disastro degli ultimi venti anni è che grazie all’Europa noi abbiamo avuto il lusso di poter spendere senza guardare il vincolo di bilancio, perché la riduzione della spesa di interessi ha permesso all’Italia di spendere di più, spingendo la politica a conquistare consenso con la spesa pubblica senza dover pagarne il conto. La cattiva notizia è che non possiamo farlo più. La buona notizia è che non possiamo farlo più. Perché buona? Perché non potendo farlo, saremo costretti a tagliare la spesa pubblica, a rendere lo stato più efficiente e questo, inevitabilmente, renderà le nostre imprese più efficienti”. Zingales ha concluso dicendosi molto fiducioso:


Da sinistra / From left, Andrea Moltrasio, Hans-Werner Sinn, Luigi Zingales, Mario Calabresi, Ramon Marimon, Nando Pagnoncelli.

“La mia fiducia nasce dalla disperazione, perché questa disperazione, questo momento così difficile può veramente aiutarci a cambiare. Questa crisi, sicuramente una crisi estremamente profonda che costa tanto a tutti noi, è un’occasione troppo grande per essere sprecata”. Secondo Ramon Marimon, “quando si ha una politica monetaria unica come nell’Eurozona, ci deve essere un livello di condivisione degli oneri e di redistribuzione. Bisogna limitare il debito sovrano, bisogna tener conto delle passività sociali e poi chiaramente – ormai abbiamo imparato la lezione – bisogna evitare che il debito privato diventi poi debito pubblico. Se vogliamo risolvere la crisi ora, dobbiamo agire più velocemente”. Le “munizioni” ci sono, ma occorrono coraggio e volontà per mettere in atto le misure necessarie. “Perché? Perché noi dobbiamo far fronte a un problema veramente grave, un grave rischio. Dobbiamo non solo rimuovere le barriere, ma anche costruire le capacità: le capacità umane, le capacità dello stato, la capacità del business e delle aziende per esportare”. Agire sul fronte della competitività, ma non solo. “Anche a livello sociale bisogna intervenire. Io penso che l’Europa abbia preso un grandissimo impegno, un impegno importantissimo per la crescita e per la pace”. La ricetta per superare questo momento di profonda crisi? Più Europa. “Dobbiamo sviluppare l’unione monetaria per risolvere i problemi monetari. Abbiamo fatto finora un ottimo lavoro, ora però bisogna guardare avanti: la lezione che ci ha dato la crisi dell’euro è che dobbiamo creare anche un’unione fiscale proprio come strumento per risolvere i problemi fiscali”. L’economista tedesco Hans-Werner Sinn, Presidente dell’Ifo Institute – Leibniz Institute for Economic Research all’Università di Monaco – ha proposto una analisi senza sconti. “Dal 1995, quando è stato annunciato l’euro, fino a oggi il tasso di crescita italiano è stato il più basso di tutti

i paesi europei”. L’analisi è severa, ma Sinn ha indicato la propria ricetta: “Se renderete più flessibile il mercato del lavoro con un riaggiustamento, l’Italia sarà in grado di generare occupazione e quindi crescita. La verità è questa: che non è possibile imporla con programmi di crescita, bisogna passare attraverso un periodo di austerità, altrimenti non è possibile. La Germania ha fatto il proprio periodo di austerità. Abbiamo avuto la nostra crisi e sorprendentemente questa non è stata avvertita al di fuori della Germania. Voi magari non ve ne siete resi conto, ma c’è stata una crisi severa in Germania e da quella crisi, da quella austerità i politici poi sono stati in grado di fare le riforme necessarie”. All’approfondimento dei tre economisti, ha fatto seguito l’analisi di un imprenditore che ha portato a Bruxelles la voce dell’industria italiana: “La natura della crisi, cioè l’eccesso di debito – ha affermato Andrea Moltrasio nel corso del dibattito – ha reso protagonista l’istituzione europea BCE, che ha promosso la stabilità finanziaria, la difesa dell’euro e la salvaguardia delle banche con abilità e vigore. Nello stesso tempo le politiche di stimolo dell’economia reale e le politiche fiscali e di welfare hanno accentuato le differenze tra gli stati membri della UE anche perché si sono presentati davanti alla crisi con situazioni molto diverse tra loro. Il ritorno agli egoismi nazionali si scontra con la necessità di un’azione europea unitaria nella complessità della globalizzazione. Esempi chiarissimi riguardano le questioni relative al cambiamento climatico e alla competitività delle imprese. Serve comunque costruire un ‘demos del cuore’ come diceva Padoa Schioppa, per riformare le istituzioni democratiche europee, sottolineando i valori identitari oltre a evidenziare gli interessi comuni”. La visione delle istituzioni è stata infine portata dal Ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero Milanesi, che dopo la sua lunga

esperienza a Bruxelles è stato chiamato a far parte del governo Monti in un momento chiave per il futuro del paese e della stessa Unione Europea. “Questa crisi ha portato un elemento virtuoso nella sua drammaticità, ed è stata l’accelerazione di quel processo d’integrazione, per non dire di federalizzazione, dell’Europa. Nel corso di questi mesi l’Unione Europea in realtà ha posto in essere nuovi istituti, nuove norme, nuovi modi di operare che sono molto più coerenti nei risultati di quanto fossero prima. È un by-product: avremmo fatto a meno volentieri del ‘prodotto principale’ della crisi, che è drammatica, ma alla fine abbiamo risultati interessanti”. L’Unione Europea, ha detto il ministro, “è come un condominio: tutti gli stati condividono quella sovranità che è stata trasferita a livello dell’Unione. E come Italia, non dimentichiamo che siamo tra i quattro condomini che hanno il maggior numero di millesimi”. Solo insieme i “condomini” potranno uscire dalla crisi. “Il rigore e la disciplina nei bilanci sono un pre-requisito imprescindibile, ma l’obiettivo è la crescita. E la crescita non è un prodotto dei singoli stati europei. La crescita non può che essere un prodotto collettivo”.

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W

ill the current economic crisis stimulate European partners to make EU institutions more effective? This was the starting point for the annual convention of the Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti that took place January 19 at Bergamo. The theme of the debate was drawn from the words of Jacques Delors, ex-President of the European Commission, who speaking twenty five years ago on “L’embarras de la

souveraineté” (article published in Politique Internationale, n.41, 1988) seemed to be describing the political-institutional conditions that are now very real, with Europe still facing difficulties in developing and implementing the necessary tools and measures to fight with conviction the most severe economic crisis of the post-war period. “Europe’s aim is not the indulgence of unpopular measures, Delors urged in his extraordinary article,” noted Giampiero Pesenti, President of the Italcementi Group. “A warning based on awareness that the European ‘construction’ also brought the risk of becoming a scapegoat in hard times or when faced with the limits and uncertainties of the Nation States. It is the sharing of this vision, this perception of the risk of a slipping of the concept of Europe towards a mere synonym of austerity, that led the annual Fondazione Italcementi event to focus on a strategic theme such as the transfer of national sovereignty to the various European institutions, but particularly on the necessary measures for more effective use of strategies and decision making.” Whilst uncertainty and lack of faith constitutes a constant restriction that imprisons businesses and many families in a permanent “waiting state”, the difficulties in re-launching competitiveness and growth have on the other hand created the opportunity for a renewed debate that—starting with transfer of power from the Nation States to Europe in exchange for help—aims to define a possible route towards political union. The President of the Fondazione Italcementi, Mr. Giovanni Giavazzi stated, “New elements of acceleration towards new and more effective forms of integration have come from the crisis of the Eurozone that allow us to overcome this difficult time; it is an essential element in really coming out of the current phase of general concern. But apart from anything only a jump start of cohesion,


resolution and completeness of actions, in all respects up to the needs of the moment, must and can surpass the nevertheless complex current prospects.” Some of the most important protagonists and observers of the academic, economic and institutional world attended the discussion that benefited from the analysis and data supplied by the President of Istat, Enrico Giovannini, and the President of Ipsos, Nando Pagnoncelli. From the Minister of European Affairs, Mr. Enzo Moavero Milanesi, to economists Mr. Luigi Zingales (included in the Top 100 Global Thinkers 2012 by the American magazine Foreign Policy), Hans-Werner Sinn (one of the authors of the open letter to Chancellor Merkel on the direct assistance of the European Financial Stability Facility) and Ramon Marimon (professor and ex-Secretary of State of the Spanish Government), to the entrepreneur and ex-Vice President of Confindustria for Europe, Andrea Moltrasio. The debate was chaired by the Editor of “La Stampa”, Mario Calabresi. Enrico Giovannini and Nando Pagnoncelli illustrated the relationship between European institutions and citizens with statistical data and demoscopic research. Mr. Giovannini stated, “We are faced with a very complex situation that clearly cannot be managed as it was in the past. In particular, it cannot be managed in an individualistic fashion, not only in a supranational sense (no European country can hope to resolve these problems alone), but also in terms of individuals, businesses and institutions.” It is also important not only to focus on the long term but also to devise strategies for now. Mr. Giovannini continued, “Even if all of Europe starts to ‘do the right thing’, whatever this may be, results will not come in the short term. So it is not enough to intervene to resolve the problems, you also need to indicate what to do at ‘half time’, that is, between today and the time when the various interventions, effective in the medium term, may produce undesired short-term effects.” Nando Pagnoncelli explained, “The attitude towards the EU has changed over time, particularly from the introduction of a single currency to today and as a result of the crisis that we are all experiencing: austerity strategies and the importance given to the financial dimension of the economy are not always understood and accepted; in the absence of integration that goes beyond the currency, the sense of belonging to the EU seems to be more closely linked to economic cycles than shared

political, cultural and idealistic beliefs.” If Europe is viewed with detachment and diffidence in terms of the economic challenge, as suggested by the IPSOS research presented by Mr. Pagnoncelli, founding values such as democracy, peace, freedom of movement and social protection are confirmed as significant positives shared by European citizens. Luigi Zingales, business and finance Professor at the Chicago University Booth School of Business, asked, “Why has Italy stopped growing? The temptation is to say that ‘it’s the euro’s fault’, claiming that the answer is to be found at the time in which Italy locked into the single currency, abandoning the lira, so impeding that competitive impetus that promoted Italian export for years.” As Mr. Zingales explained, this is not the real reason, “The problem with Italian export from ‘94 onwards was caused by continuous previous devaluations. Devaluation is like a drug: it creates a temporary state of euphoria but causes long-term damage to the organism. Why do I say this? Because the continual devaluations of the ‘70s and the ‘80s favored an Italian industry that is not very technological or well positioned in the area that is less responsive in terms of demand.” The answer? “We need to move towards more technological businesses. The businesses that don’t make it and close shop need to leave space for those that have the numbers to succeed. If during this process we don’t see businesses that expand and are created, we are not going anywhere.” Mr. Zingales explored why productivity is so low in Italy, highlighting certain weak points in the Italian system. “Thinking about investment in education: looking at the statistics I realized that 50% of the work force in South Italy does not have more than a junior high school certificate. It’s hard to try to push the country towards advanced technology, when half of the work force doesn’t have any more than junior high school education. If we consider investment in education and training, Italy does not show up very well, but does not do too badly either.” Where are the main problems then? According to Mr. Zingales, “The biggest disaster of the last twenty years is that thanks to Europe we have had the luxury of being able to spend without worrying about budget restrictions because the reduction in interest costs has allowed Italy to spend more, pushing the government to win consensus through public spending without paying the bill. The bad news is that we cannot do this anymore. The good news is that we cannot do this anymore. Why good? Because in not

being able to do so, we will be forced to cut public spending, to make the state more efficient and this will inevitably make our businesses more efficient.” Mr Zingales concluded declaring that he is very confident: “My faith comes from desperation, because this desperation, this very difficult time can really help us to change. This crisis, without a doubt an extremely significant one that affects us all a lot, is too big an opportunity to be wasted.” According to Ramon Marimon, “A single monetary strategy such as in the Eurozone must be accompanied by a degree of burden sharing and redistribution. National debt needs to be restricted, social liabilities need to be kept under control and then clearly—we have learnt the lesson by now—you need to make sure that private debt doesn’t turn into public debt. If we want to end the crisis, we have to act faster.” The weapons exist, but courage is needed to put the necessary measures in place. Mr Marimon continued, “Why? Because we need to address a serious problem, a serious risk. Not only do we need to remove the barriers, but we must also build capability, human capability, the capability of the state, the capability of business and the firms to export this.” Action in terms of competition and in other areas. He continued, “You also need to act at a social level. I think that Europe has taken on a great commitment, a highly important commitment for growth and peace.” The recipe to overcoming this time of serious crisis? More Europe. “We must develop the monetary union to resolve currency problems. To date we have done an excellent job, but we now need to look ahead: the lesson that the euro crisis has taught us is that we also need to create a fiscal union precisely as a tool to resolve fiscal problems.” The German economist Hans-Werner Sinn, President of the Ifo Institute – Leibniz Institute for Economic Research at the University of Munich, suggested the need for a brutal analysis. “Since 1995, when the euro was introduced, until today the Italian growth rate has been the lowest of all European countries.” The analysis is severe, but Mr. Sinn spelt out the winning recipe, “If you made the work force more flexible with an adjustment, Italy would be able to generate employment and so growth. The truth is this: you cannot impose this with growth programs, you need to pass through a period of austerity, otherwise it’s not possible. Germany has experienced its own period of austerity. We have had our crisis and surprisingly this has not been felt outside of Germany. Perhaps you are not aware, but there has also been a severe crisis in Germany, from that

austerity the politicians were then able to undertake the necessary reforms.” The analysis of the three economists, was followed by that of a businessman that brought the voice of Italian industry to Brussels: during the course of the debate Andrea Moltrasio stated, “The nature of the crisis, that is the excessive debt, has made the European institution, the BCE, a protagonist that has skillfully and vigorously promoted financial stability, the defense of the euro and the protection of the banks. At the same time the stimulus strategies of the real economy and the fiscal and welfare policies have accentuated the differences between the member states of the EU also given the fact that they have been subject to the crisis with very different conditions from one to the other. The return of national egoism is counterproductive to the need for united European action in the context of globalization. There are extremely clear examples relative to issues connected with climatic change and the competitiveness of business. What is required however is the creation of a ‘demos del cuore’ (demos of the heart) in the words of Padoa Schioppa, to reform the European democratic institutions, highlighting identity affirmation values as well as drawing attention to common interests.” The Minister of European Affairs, Enzo Moavero Milanesi, who after his long experience in Brussels was asked to join the Monti government in a key moment for the future of the country and the European Union itself, then represented the institutional perspective. He stated, “This crisis has brought a positive element with its dramatic nature, and this has been the acceleration of the process of integration, not to mention federalization, of Europe. Over these months, the European Union has in reality created new institutions, norms and new ways of working that are much more consistent in results that those that existed before. This is a by-product: we could willingly have done without the ‘main product’ of the crisis, its dramatic nature, but in the end we have interesting results.“ The Minister continued, “The European Union is like a condominium: all the states share the power that has been transferred to the level of the Union. And as Italy, let’s not forget that we are amongst the four condominiums that have the greatest number of ownership shares.” Only together can the "condominiums" come out of the crisis. “Budgetary severity and discipline are unquestionable pre-requisites, but the objective is growth. And growth is not the product of the single European states. Growth has to be a collective product.”


artVision

Il gioco della pittura The Painting Game

I

bambini dell’era high-tech non giocano più con i soldatini che hanno appassionato intere generazioni di loro coetanei nel ventesimo secolo. Internet e televisione hanno preso il posto delle interminabili battaglie pomeridiane tra eserciti misteriosi combattute sul tavolo di cucina prima di fare i compiti. Ci voleva un artista visionario e controcorrente come Paolo Ceribelli per riportarli alla ribalta e farli diventare un elemento significativo del complesso linguaggio della contemporaneità. I soldatini di plastica colorata sono la cifra stilistica della sua ricerca visiva, fortemente riconoscibile. Allineandoli sulla tela con pazienza certosina, Ceribelli schiera armate immaginarie che vanno a comporre planisferi fantastici. Un gesto che, al di la del sicuro impatto estetico, rivela una interessante componente concettuale. Una riflessione critica, ironica e leggera ma proprio per questo efficace, sui fanatismi ideologici e religiosi, sui paradossi politici, che sono all’origine dell’ingiustizia sociale e degli arbitrari equilibri di potere che governano il pianeta. Appresa la lezione del grande maestro Lucio Fontana e dei suoi discepoli Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, le opere di Ceribelli vanno oltre la superficie e si proiettano nello spazio, superando i limiti di una costruzione prospettica dipinta. La tela si anima di tanti piccoli elementi: soldatini, aerei, carri armati, jeep. L’opera diventa tridimensionale e, in virtù di una sapiente gestione del colore, acquista anche una valenza cinetica. Planisferi e bandiere, che sono il tema ricorrente del suo lavoro, insieme all’apparente serialità della tecnica utilizzata, potrebbero far pensare a quella “ripetizione differente” coniugata da Renato Barilli per definire il lavoro di Alighiero Boetti. Ma nel caso di Ceribelli – come spiega bene Chiara Canali introducendo il catalogo di una mostra dell’artista – “a differenza di quanto avveniva per gli arazzi di Boetti che venivano riprodotti artigianalmente, artista e artefice corrispondono in un processo in cui l’immagine, dopo essere stata ideata, diventa espediente ludico e si concretizza nelle mani dell’artista. Il risultato è fortemente pittorico, espressivo, nonostante sia ottenuto attraverso un procedimento rigidamente meccanico, matematico, eseguito manualmente dall’artista incollando un soldatino dopo l’altro sulla tela”. Paolo Ceribelli nasce a Milano nel 1978. Inizia il suo percorso artistico con una serie di lavori centrati sulla stilizzazione delle più comuni azioni quotidiane; sperimenta la tecnica a olio – dipingendo con le mani – e in seguito si dedica alla scultura in gesso. Nel 1998 la mostra personale Ignoti

Embargo, 100 x 130 cm.

El General, 158 x 205 cm. Plastic soldiers on canvas, Anno 2012.

raccoglie il suo lavoro. Nel 1999 collabora con un gruppo di writers e alcune associazioni no profit con i quali intraprende, nelle aree industriali dismesse, un lavoro fotografico sull’arte murale. Influenzato da questa esperienza riprende a lavorare su tela con nuovi materiali, tra i quali il silicone e lo stucco murale. Nel 2000, il progetto astratto Attirare lo sguardo che vede un ampio uso di colori acrilici a spruzzo e di silicone, viene esposto in Italia e all’estero. Nel progetto Superm-Art del 2002,

l’interesse per i gesti quotidiani, colti nella loro ripetitività, si esprime in una tecnica mista che impiega collage di materiale pubblicitario legato alla grande distribuzione e pittura acrilica. Nel 2006 nasce Soldiers (soldati) che rappresenta la vera svolta creativa di Ceribelli, nelle tecniche, nel linguaggio e nei contenuti. “Con i suoi minuscoli soldati in plastica colorata, l’artista lancia una provocazione, descrivendo una geografia di relazioni territoriali che si regge sull’uso indiscriminato di masse

militari, anonime e indifferenziate. La scelta di questo materiale – spiega il critico Giuseppe Blando – nasce anche dalla riflessione sull’inopportunità di utilizzare per i giochi infantili la simulazione della guerra. La serie World Flags è costituita da sagome che ricalcano le bandiere degli stati dove la presenza dei soldati assume una valenza decorativa e assegna alle superfici una densità mobile […] I soldatini utilizzati formano dei flussi, come tessere di mosaico che costituiscono circuiti a forma di spirale, simbolo di crescita e sviluppo, costituita da piccoli soldati in marcia, rivelando l’idea di un vitalistico processo di distruzione. In Circles of Africa, il continente africano si forma attraverso una serie di cerchi concentrici che si espandono attraverso un moto centrifugo verso l’esterno, disegnando la traccia di un tiro a segno, mentre in Tutto torna, il moto che domina la scena esalta un movimento spiraliforme che incanta. I soldati sono così trasformati in segno, scheggia di vita, simbolo di gioco, evocando potenziale morte o distruzione. La rappresentazione assume un valore politico, un’ironica critica nei confronti dei sistemi codificati, come se l’artista, con il suo intervento, potesse modificare e rendere diverso il mondo reale e l’attuale assetto geopolitico essere


Circles, 120 x 120 cm.

Tutto torna, 170 x 170 cm.

modificato attraverso un processo creativo. Il linguaggio utilizzato è graffiante e non permette un’univoca interpretazione, sebbene sia da escludere la specifica volontà di assegnare il senso di ‘gioco’ ai conflitti che imperversano sulla terra. Ceribelli, con l’uso quasi ossessivo di soldatini di plastica colorata che vanno a formare originali mappe geografiche ribadisce la presenza geostorica di un pensiero costante e dominante di guerra e, contemporaneamente, ne affievolisce l’angosciante presenza con la trasfigurazione fantastica del soldato utilizzato come se si trattasse di una pennellata di colore”. Giuliano Papalini

In 2006 Ceribelli produced Soldiers, the real creative turning point in his technique, language and content. “The tiny colored plastic soldiers are a provocation, describing a geography of territorial relations based on indiscriminate use of anonymous, non-differentiated military masses. The choice of this material,” explains critic Giuseppe Blando, “is also a reflection on the unsuitability of simulating war in children’s games. The World Flags series consists of shapes reproducing the flags of the nations where the presence of the toy soldiers acquires a decorative aspect and gives the surfaces a mobile density […] Ceribelli’s toy soldiers form flows, like mosaic tesserae creating spiral-shaped circuits, the symbol of growth and development, built from small marching soldiers, the expression of the idea of a vitalistic process of destruction. In Circles of Africa, the African continent is formed through a series of concentric circles which expand outward in centrifugal fashion, resembling a shooting target, whereas in Tutto torna, the movement that dominates the piece enhances an intriguing spiral motif. The soldiers are transformed into a sign, a spark of life, a symbol of play, evoking potential death and destruction. Ceribelli’s representation acquires a political value, an ironical criticism of encoded systems, as if, through his work, the artist could modify and change the real world, as if the current geopolitical situation could be altered by a creative process. His language is abrasive and is open to interpretation, although the intention of attributing the sense that war is a ‘game’ can be ruled out. With his almost obsessive use of colored plastic toy soldiers to form original geographical maps, Ceribelli emphasizes the geo-historic presence of a constant and dominant thought of war, and, simultaneously, mitigates its alarming presence through the fantastic transfiguration of the toy soldier into a brushstroke of paint.” Giuliano Papalini

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I

n our hi-tech age, children no longer play with the toy soldiers that fascinated entire generations of kids in the 20th century. The Internet and television have taken the place of the interminable battles fought out between mysterious armies on the kitchen table before getting down to homework. It took a visionary and unconventional artist like Paolo Ceribelli to bring them back to the front line and turn them into a significant element of today’s complex language. Colored plastic toy soldiers are the stylistic cipher of his highly distinctive visual research. Lining them up on the canvas with meticulous patience, Ceribelli sets out imaginary armies to build fantastical world maps. Over and beyond its clear aesthetic impact, his approach reveals an interesting conceptual component. A critical and ironic meditation, whose light-heartedness makes it all the more effective, on the ideological and religious fanaticism, the political paradoxes, at the root of the social injustice and arbitrary power balances that govern our planet. Applying the teachings of the great master Lucio Fontana and his disciples Enrico Castellani and Agostino

Blue Needlework, 80 x 90 cm.

Bonalumi, Ceribelli’s works move beyond the surface and project into space, overcoming the limits of a painted perspective. He animates the canvas with a multitude of tiny objects: toy soldiers, aircraft, tanks, jeeps. The work becomes three-dimensional, while his skilful management of color gives it a kinetic valence. World maps and flags, the recurring themes of his work, together with the apparent seriality of his technique, might bring to mind the term “different repetition” coined by Renato Barilli to describe the work of Alighiero Boetti. But in Ceribelli’s case—as Chiara Canali points out in her introduction to the catalogue of an exhibition of his work—“unlike Boetti’s Arazzi, which are handcrafted reproductions, the artist and the executor correspond in a process where, once conceived, the image becomes a recreational expedient and takes shape in the hands of the artist. Although the result is achieved through a strictly mechanical and mathematical procedure, manually executed by

gluing one soldier after another on the canvas, it is highly pictorial and expressive.” Paolo Ceribelli was born in 1978, in Milan. He began his career as an artist with a series of works stylizing common daily actions; he experimented with oils—using his hands—and later concentrated on plaster sculpture. In 1998 he presented a one-man show, Ignoti. In 1999 he worked with a group of writers and no-profit associations on a photographic project on mural art, in abandoned industrial areas. Influenced by this experience he returned to canvas, using new materials, including silicon and wall stucco. In 2000, his abstract project Attirare lo sguardo, which made extensive use of acrylic spray paints and silicon, was exhibited in Italy and abroad. In Superm-Art from 2002, his interest in daily gestures, portrayed in their repetitiveness, was expressed in a mixed technique using collages of mass merchandising advertising material and acrylic paints.


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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House S.E.R.A. srl Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Bergamo Law Court

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La resilienza

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La crisi come opportunità

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Il gioco della pittura

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Cover, sketch of the Poetic City designed by Davide Vargas

4 8 12 16 20 25 30 ■

34 38 46 52 56 60 68 76 84 ■

92 95

Chiuso in tipografia il 30 aprile 2013 Printed April 30, 2013


La città che pensa The City That Thinks

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Parametri di identificazione e misura della Smart City Economia intelligente. Spirito imprenditoriale e innovativo in una città produttiva, con un mercato del lavoro flessibile, capacità di trasformazione e credibilità internazionale, dove da parte delle aziende ci sia un serio impegno a espandere e migliorare la propria attività. Un’economia intelligente nella quale tanto a livello di grandi quanto a livello di medio-piccole imprese vengano condotte iniziative imprenditoriali volte all’innovazione, dove per innovazione si intende non solo l’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e servizi, o nuovi sistemi di produzione o nuovo posizionamento di vecchi prodotti. Innovazione è la capacità di cambiare approccio gestionale, visione dell’organizzazione, valorizzazione delle risorse umane esistenti e capacità di attrarre nuovi talenti, attenzione al lavoratore e ai suoi bisogni tangibili e intangibili. Mobilità intelligente. Città fisicamente accessibile dall’esterno e fruibile al suo interno, che mette a disposizione di tutti i suoi cittadini infrastrutture e sistemi ICT, reti di trasmissione dati sostenibili, innovative e sicure. Il movimento di persone e merci è parte integrante della vita e del lavoro quotidiano nel contesto urbano: il progetto di mobilità intelligente intende accrescerne la fluidità con l’implementazione di spostamenti specifici, flessibili ed efficienti, utilizzando diversi servizi di trasporto e l’ausilio tecnologico di nuovi strumenti di connessione mobile e applicazioni mobili personalizzate. Ambiente intelligente. Habitat naturale piacevole con bassi livelli d’inquinamento e una gestione sostenibile delle risorse e dei rifiuti. Ambiente intelligente inteso come cura, riguardo. Innanzitutto, cura della bellezza del paesaggio, ovvero delle caratteristiche visibili che ne costituiscono la rappresentazione più evidente. Poi cura della qualità degli elementi naturali costitutivi, aria, acqua, suolo, e monitoraggio delle loro modificazioni/alterazioni. E infine, ricerca di una risposta all’inquinamento attraverso un intervento sui processi di utilizzo e trasformazione delle risorse naturali. Gente intelligente. Migliore qualificazione dei cittadini, maggiore apprezzamento di istruzione e cultura, attenzione per la diversità sociale ed etnica, promozione di flessibilità e creatività, spirito cosmopolita e partecipazione alla vita pubblica. Gli individui come protagonisti del cambiamento e non spettatori passivi: capaci di orientare i propri comportamenti verso l’acquisizione, la condivisione, la co-generazione e il trasferimento di conoscenza all’interno del tessuto cognitivo sociale quale sistema dotato di una propria memoria, una specifica visione del mondo e ideologie identitarie. Vivere intelligente. Investimenti in centri culturali ed educativi, con condizioni sanitarie ottimali, misure di sicurezza per i cittadini, qualità delle abitazioni, attrazioni turistiche e coesione sociale. L’uomo moderno è alla ricerca di un migliore stile di vita attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie che semplifichino la sua realtà quotidiana e gli garantiscano maggiore felicità, salute, produttività. Uno stile di vita non limitato al singolo individuo, ma esteso al bene comune di cittadini e visitatori. Amministrazione intelligente. Semplificazione normativa e amministrativa. Ruolo partecipativo dei cittadini ai processi decisionali, all’erogazione di servizi pubblici e sociali di qualità e alla trasparenza gestionale. Una visione strategica dello sviluppo della città fondata su approccio scientifico e costante azione di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica. Questi gli indicatori. Intelligenti. A noi esserne all’altezza.


Identification and measurement parameters of the Smart City Smart economy. An entrepreneurial and innovative spirit in a productive city, with a flexible labor market, the ability to transform and international credibility, in which there is a serious commitment by businesses to expand and improve their activity. A smart economy in which entrepreneurial initiatives aimed at innovation are conducted at both a large and small-medium business level, where innovation means not only the introduction of new products and services on the market, new production systems and new positioning of old products. Innovation is the ability to change the managerial approach, organizational vision, valorization of existing human resources and the capacity to attract new talent, care of the worker and his tangible and intangible needs. Smart mobility. A city that is physically accessible from the outside and usable inside and that offers infrastructures and ICT systems, and sustainable, innovative and safe data transmission networks to all its citizens. Movement of people and goods is an integral part of daily life and work in the urban context: the smart mobility project plans to improve fluidity through the implementation of specific, flexible and efficient movement, utilizing various transport services and the technological support of new mobile connection tools and personalized mobile applications. Smart environment. Appealing natural habitats with low pollution levels and sustainable management of resources and waste. Smart environment interpreted as care and concern. First and foremost care for the beauty of the landscape or the visible features that make up the most evident aspect. Then care for the quality of the constituent natural elements, the air, water and the soil and monitoring of their modification/alteration. Finally, the quest for an answer to pollution via intervention in the processes of use and transformation of natural resources. Smart people. Improve the degree of training of citizens, greater appreciation of education and culture, attention to social and ethnic diversity, promotion of flexibility and creativity, a cosmopolitan spirit and participation in public life. Individuals become the protagonists of change and not passive spectators able to direct their behavior towards the acquisition, sharing, cogeneration and transfer of knowledge within the social cognitive framework, as a system equipped with its own memory, specific vision of the world and identity-forming ideologies. Smart living. Investments in cultural and educational centers, with excellent sanitary conditions, security measures for citizens, quality of habitations, tourist attractions and social cohesion. Modern man is looking for a better lifestyle through the use of the most advanced technology that simplifies his daily reality and offers a happier, healthier and more productive life. A style of life that is not limited to the single individual but extended to the common wellbeing of citizens and visitors. Smart administration. Regulatory and administrative simplification. A participatory role for citizens in decision-making processes, the provision of quality public and social services and transparent management. A strategic vision of the development of the city founded on a scientific approach and constant information, awareness and direct participation of public opinion intervention. These are the indicators. Smart. It’s up to us to meet them.

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Global

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Una leva per lo sviluppo A Lever Of Growth di Francesco Profumo* by Francesco Profumo*

La visione della Smart City quale fondamento di ricerca e innovazione per le grandi sfide socio-economiche di oggi The Smart City vision as the foundation of research and innovation, to address today’s great social and economic challenges

Francesco Profumo

La Smart City come motore di sviluppo economico in un’ottica di sostenibilità. Sistema che integra la rete di dispositivi con la rete di persone. Combinazione dei contenuti scientifici più avanzati con il rispetto della specifica identità dei luoghi in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città. Per riprendere la strada della crescita, come progresso umano prima che come creazione di ricchezza, investendo in innovazione, ricerca e tecnologia. Smart City as a driver for economic development in a sustainable way. A system integrating the network of devices with the network of people. A combination of cutting-edge scientific content with respect for the individual location’s identity, in full harmony with the history, traditions and vocations of our cities. To make a return to the road of human growth before wealth creation, investing in innovation, research and technology.

L

a crisi economica ha messo in difficoltà pressoché tutti i grandi paesi industrializzati dell’Occidente. Per farvi fronte, oggi, abbiamo un unico modo: riprendere la strada della crescita, umana prima che economica, facendo rete e puntando su formazione, ricerca e innovazione. L’esigenza che l’Italia ha, di cambiare strutturalmente il proprio sistema economico, ci spinge a tornare a presidiare settori ad alta tecnologia e a elevato valore aggiunto, con imprese di dimensione adeguata e ricche di conoscenza e talenti. Nella costruzione di una visione strategica di medio periodo, dobbiamo perciò realizzare un più virtuoso rapporto con le nuove politiche europee della strategia Horizon 2020, che metterà a disposizione 80 miliardi di euro. È un programma al quale il sistema-paese è chiamato a partecipare attivamente: le imprese, le istituzioni, gli enti di ricerca devono sentirsi direttamente coinvolti. E costituisce un’opportunità irrinunciabile per agganciarci al treno dello sviluppo e del progresso, tornando a puntare sulle nostre eccellenze e capacità imprenditoriali. Va aumentata in tal senso la

competitività dei ricercatori e delle imprese italiane nell’accesso ai fondi messi a disposizione dalla Commissione, e migliorata l’integrazione tra utilizzo di tali fondi e i fondi strutturali. A fronte di un contributo totale al finanziamento del VII Programma Quadro pari al 14%, l’Italia ne ha sfruttato solo l’8% circa; e anche sulle politiche di coesione il nostro Paese è al penultimo posto, davanti alla Romania. Il nostro sistema deve individuare rapidamente gli assets su cui fare leva e i partenariati strategici da favorire nel quadro della “Innovation Union”. L’obiettivo del governo, quindi, è quello di sviluppare una nuova centralità delle politiche per la ricerca e l’innovazione nelle nostre scelte strategiche, e insieme una più incisiva presenza dell’Italia nelle politiche europee in materia di ricerca e innovazione. Il grande programma su cui puntare è quello sulle Smart Cities, che sarà da un lato una fondamentale fonte di sostegno finanziario, dall’altro un’occasione irripetibile per costruire una nuova visione strategica del futuro delle nostre città e offrire agli investitori privati una prospettiva credibile e stabile nel medio periodo.

Sulla visione della Smart City il sistema scientifico e tecnologico deve fondare le proprie capacità di ricerca e innovazione indirizzandole alle grandi sfide sociali ed economiche di oggi: la riduzione delle emissioni attraverso le tecnologie pulite, le infrastrutture intelligenti per la mobilità, la realizzazione di modelli urbani e di abitazione più sostenibili, un welfare equo e tecnologico per la società che invecchia e per le persone in condizioni di disagio. Un ruolo fondamentale sarà svolto dall’Agenda Digitale Italiana, dove le città intelligenti rappresenteranno un importante punto focale di coordinamento di diverse strategie di settore, finalizzato a restituire coerenza e sistematicità all’articolato e spesso confuso sistema di politiche nazionali per la ricerca e l’innovazione. La città intelligente è infatti la proiezione astratta di un’idea di città del futuro, riconducibile a un perimetro applicativo e concettuale che racchiude un ampio fascio di realizzazioni e verticalizzazioni, così come diversi sono i domini cui appartengono le tecnologie che concorreranno alla sua realizzazione: smart-mobility, education, energy, government, living, environment, health, welfare e molto altro ancora. Tali verticalizzazioni non costituiscono né singolarmente né collettivamente una Smart City se non si integrano attraverso una piattaforma di coordinamento, che costituisce l’infrastruttura chiave della Smart City e insieme l’oggetto su cui concentrare l’attenzione politica e gli investimenti pubblici. Al centro della sfida vi è la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando


ridisegnare le modalità di relazione tra formazione, ricerca e sistema delle imprese. Oggi siamo perciò chiamati a un salto di qualità. Dobbiamo individuare le linee di ricerca su cui investire prioritariamente e i partenariati strategici da favorire nel quadro della cooperazione internazionale per la ricerca e la tecnologia. La logica delle reti è la vincente nell’età della conoscenza. E l’Italia deve imparare a lavorare in squadra, a “cooperare per competere”. Il sociologo americano Richard Florida parlava di “creative class” all’inizio degli anni 2000. Ce n’è bisogno ancor più oggi. A patto di metterla nelle condizioni di poter esprimere le proprie competenze in un contesto sociale adeguato alle esigenze della modernità. Il tempo che ci rimane non è molto, ma abbiamo ancora spazi importanti di intervento per il futuro dei giovani, dell’imprenditorialità e quindi del paese.

informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano. Sono due gli aspetti della visione Smart Cities che però vanno sottolineati e tenuti in considerazione. In primo luogo troppo spesso la città è intesa solo come la “città che consuma” e la “città da amministrare”. Ma esiste una terza visione – sempre più critica – ed è quella della “città che produce”. Con l’emergere dell’economia dei servizi, la città è ormai diventata il cuore della nuova economia e richiede nuove infrastrutture e nuove piattaforme di conoscenza (sia di produzione che di condivisione) anche per produrre in maniera più competitiva.

In secondo luogo, il governo si sta impegnando per la costruzione di una “via italiana” alle città intelligenti. L’aspetto forse più caratterizzante le città italiane è il loro cuore antico, il centro storico e il patrimonio culturale diffuso: più che un limite verso la loro modernizzazione si tratta invece di una straordinaria occasione per una forte caratterizzazione identitaria e può diventare il laboratorio a cielo aperto dove sperimentare le tecnologie e le soluzioni più avanzate. Inoltre, le nostre città sono organizzate attorno alle piazze, hanno una forte dimensione turistica, una diffusione capillare della cultura imprenditoriale artigiana e del commercio al dettaglio. Città dunque come straordinari cantieri progettuali

dove sviluppare e testare processi e metodologie di rigenerazione urbana, sensoristica e Internet of Things, nuovi materiali per la protezione degli edifici, architetture digitali di nuova generazione (NGN e Cloud), nuovi sistemi di mobilità di persone e merci, soluzioni innovative di efficienza energetica, orti e serre urbane, solo per citare alcuni esempi di tecnologie “urbane”. Il sistema della ricerca e della formazione, in conclusione, è capace di esprimere qualità ed eccellenza. Adesso però va potenziato e messo al passo con i tempi e le esigenze della modernità. E proprio in questa situazione di difficoltà occorre impegnarsi per esprimere una visione strategica ampia e di medio periodo, con la quale

* Francesco Profumo è un ingegnere e accademico italiano, ex Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del governo Monti. Dal settembre 2003 è stato preside della I Facoltà di Ingegneria al Politecnico di Torino e da ottobre 2005 a novembre 2011 è stato rettore del Politecnico di Torino. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti da parte di università europee, cinesi e sudamericane. È stato coordinatore di diversi progetti nell’ambito delle attività della Commissione europea (Tempus, Comett, Joule, Human Capital and Mobility, Alfa, European Union S&T Grant Program in Japan, Leonardo da Vinci) ed è coordinatore del gruppo Idrogeno del Politecnico di Torino. È stato chairman del G8 University Summit 2009 in Italia (maggio 2009). È membro dell’Accademia delle Scienze in Italia (dal 2007) ed è stato insignito del Lion d’Oro nello stesso anno. Presidente del Management Board del Clean Energy Center (EC2) EU Project in China, presso la Tsinghua University da marzo 2010 a settembre 2011.

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he economic crisis has created difficulties for virtually all the great Western industrialized nations. Today, there is only one way we can react: make a return to the road of growth—human before economic—by networking and focusing on education, research and innovation. Italy needs to restructure its economic system, so we should go back to promoting hi-tech, high added value sectors, with right-sized enterprises equipped with a wealth of expertise and talent. In constructing a mid-term strategic vision, we have to establish a more virtuous relationship with the new European policies of the Horizon 2020 strategy, which will make 80 billion euro of funding available. This is a program our country-system is called to take an active part in: business, government and research bodies must feel directly involved. And it provides us with a vital opportunity to board the train toward growth and progress, making our entrepreneurial excellences and capabilities a priority once again. In this sense, the competitiveness of Italy’s researchers and business organizations in accessing the funds provided by the Commission needs to be enhanced, and the integration between use of these funds and structural funds needs to be improved. On a total 14% contribution to the financing of the VII Framework Program, Italy has used only about 8%; and on cohesion policies too, it comes in second last, just ahead of Romania. Our system must rapidly identify the assets to lever and the strategic partnerships to promote in relation to the “Innovation Union”. The goal of the government, therefore, is to develop a new central role for research and innovation policies in our

strategic decisions, together with a more incisive presence for Italy in European research and innovation policies. The main area to focus on is the Smart Cities program; this will be a fundamental source of financial support and, equally, a unique opportunity to build a new strategic vision of the future of our cities and offer private investors a credible and stable mid-term outlook. The Smart City vision should be the foundation on which our scientific and technological system bases its research and innovation capabilities, steering them to address today’s great social and economic challenges: clean technologies to reduce emissions, intelligent infrastructures for mobility, development of more sustainable urban and housing models, an equitable and technological welfare model for an ageing society and people in difficulty.

A core role will be played by the Italian Digital Agenda, where Smart Cities will be an important focal point for coordination of different sector strategies, with a view to restoring consistency and providing a systematic structure for the sprawling and often confused system of national research and innovation policies. The Smart City is in fact an abstract projection of an idea of a city of the future; its roots lie in an application and conceptual perimeter encompassing a broad range of realizations and verticalized categories as diverse as the domains to which the technologies that will be used to build the Smart City belong: smart mobility, education, energy, government, living, environment, health, welfare and many others. These vertical categories do not constitute, alone or collectively, a Smart City unless they are integrated through a coordination

platform, the key infrastructure of the Smart City and the issue on which political attention and public investment should concentrate. At the heart of the challenge is the construction of a new kind of common asset, a great technological and immaterial infrastructure enabling people and objects to interact, integrating information and generating intelligence, stimulating inclusion and improving our daily lives. Two aspects of the Smart Cities vision need to be emphasized and borne in mind, however. First, the city is seen too often only as the “city that consumes” and the “city to be administered”. But there is a third, increasingly critical vision, the “city that produces”. With the emergence of the services economy, the city today is the heart of the new economy and needs new infrastructure and new knowledge platforms (for both production and


sharing), which will also foster a more competitive way of producing. The second point to remember is that the government is promoting the construction of an “Italian approach” to Smart Cities. Possibly the most characteristic feature of Italian cities is their age, their historic center and great cultural heritage: rather than a constraint on their modernization, this is actually an extraordinary chance for cities to develop a distinctive identity as open-air laboratories where the most advanced technologies and solutions can be tested. Furthermore, our cities are organized around their squares—their piazzas—and have a strong vocation for tourism and a widespread small business and retail culture. Italy’s cities, in other words, are extraordinary project sites where we can develop and test processes and methodologies for urban and sensory regeneration and the Internet of Things, new materials for the protection of buildings, new-generation digital architectures (NGNs and Cloud), new systems for the mobility of people and goods, innovative energy efficiency solutions, urban allotments and hothouses: just some examples of “urban” technologies. To sum up, the research and education system has the power to deliver quality and excellence. Now, however, it needs to be enhanced and brought into line with the exigencies of modern life. And in today’s difficult scenario an effort must be made to formulate a broad, mid-term strategic vision as a basis for re-organizing the relationship between education, research and the corporate system. So today we have to make a qualitative advance. We have to identify priority research areas for investment and the

strategic partnerships to foster within a context of international cooperation on research and technology. The network model is the winner in the knowledge age. And Italy has to learn to work as part of a team, to “cooperate to compete”. The concept of the “creative class” was introduced a few years ago by American sociologist Richard Florida. We need it even more today. As long as we enable it to express its potential in a social context aligned with modern requirements. Time is short, but we still have significant scope to act for the future of young people and entrepreneurship, in other words for the future of Italy.

* Francesco Profumo is an Italian engineer and academic who was Chair of Italy’s National Research Council and Minister for Education, Universities & Research in the Monti Cabinet. He has been Director of the 1st Faculty of Engineering at Turin Polytechnic since September 2003 and was Rector of Turin Polytechnic from October 2005 to November 2011. His work has received wide recognition from universities in Europe, China and South America. He was coordinator of a number of European Commission projects (Tempus, Comett, Joule, Human Capital and Mobility, Alfa, European Union S&T Grant Program in Japan, Leonardo da Vinci) and is coordinator of the Hydrogen group at Turin Polytechnic. He was Chairman of the G8 University Summit 2009 in Italy (May 2009). He has been a member of the Academy of Sciences in Italy since 2007 and was decorated with the Lion d’Oro the same year. He was President of the Management Board of the Clean Energy Center (EC2) EU Project at Tsinghua University in China from March 2010 to September 2011.

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Visioni per una città futura Visions For A Future City di Andrea Granelli* by Andrea Granelli*

La Smart City all’italiana dovrà coniugare contenuti tecnologici più avanzati con il rispetto della specifica identità dei luoghi, per diventare un laboratorio a cielo aperto di nuovi paradigmi The Smart City, Italian-style, should combine cutting-edge technological content with respect for the individual location’s identity, becoming an open-air laboratory for new models

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Andrea Granelli

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el 2008, per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale viveva all’interno delle città. Nel 1900 era solo il 13% e si prevede che entro il 2050 questa percentuale salga fino al 70%. Il fenomeno è diffuso su tutto il pianeta. Legato a questo fenomeno è l’emergere dell’Economia dei Servizi. I servizi non si limitano ad assorbire molti occupati, ma sono da diverso tempo la componente più importante del Pil. Non si tratta solo di un dato puramente quantitativo. La crescita di importanza dei servizi sta cambiando qualitativamente il funzionamento del sistema economico, con modalità che sono ancora in parte inesplorate. E, come è noto, il luogo elettivo di sviluppo dei servizi sono le città. La città diventa dunque il luogo delle grandi opportunità di sviluppo (non solo culturali e sociali ma anche economiche), ma anche il luogo dei grandi problemi della contemporaneità. Nelle città viene prodotto più del 50% del Pil mondiale e questa percentuale cresce nei paesi più sviluppati. I centri urbani occupano più del 2% della superficie terrestre e in città

viene consumato circa il 90% delle risorse prodotte nel mondo. Nelle città avviene il 70–80% del consumo energetico nazionale dei paesi Ocse e gli edifici incidono per il 40% dei consumi energetici mondiali. Oltretutto nelle città vengono prodotti il 45–75% delle emissioni totali di gas serra e il traffico ha un ruolo essenziale. Anche la povertà dilaga, trovando nelle città il suo humus naturale: secondo le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, nel 2028 il 90% della povertà sarà urbana e il 50% dell’umanità vivrà sotto la soglia della povertà in condizioni urbane degradate. La Smart City tra innovazione e utopia Le Smart Cities sono il capitolo recente di un libro che ha origini antiche e che ha cercato – nel suo svolgimento – di definire la città ideale, il luogo desiderato dove si sarebbe voluto (e spesso dovuto) vivere. E questa sua appartenenza al pensiero utopico ne svela alcune dimensioni ideologiche e irrazionali che sono spesso nascoste dal linguaggio asettico e oggettivo della tecnologia. Vi sono due correnti di pensiero rispetto al contributo della tecnologia nella vita quotidiana

e quindi rispetto al ruolo della città come emblema del pieno manifestarsi della tecnica. Una quella più “naturista”, dove è il vivere collettivo che la città (e l’uso spregiudicato della tecnica) ha corrotto, predica il ritorno a uno stato di natura libero e innocente. Altre, come ad esempio quella di Bacone, danno invece alla tecnica – e quindi alla città ideale – il compito di ricomporre uno stato corrotto e degradato dall’animo selvaggio ed egoista dell’uomo. È certamente da questa seconda visione che deriva il concetto di “città intelligente”. Molti grandi pensatori si sono cimentati con la città ideale: pensiamo alla Città delle Donne di Aristofane o alle visioni platoniche – non solo de La Repubblica ma anche di Atlantide – ripresa tra l’altro dal gesuita-scienziato Athanasius Kircher nel suo Mundus subterraneus. Nel dialogo La Repubblica, inizio e matrice di moltissime successive utopie, si parla di una città ideale, cercando di definirne un modello astratto che in qualche modo prescinda da ogni possibilità pratica di realizzazione. Il punto di maggiore contatto con l’idea delle Smart City è però nella Nuova Atlantide di Bacone, opera incompiuta scritta probabilmente tra il 1614 e il 1617. In questa città la scienza è sovrana, e si sperimenta e si studia continuamente. La Nuova Atlantide è il manifesto dell’ideale baconiano della scienza, intesa come sperimentazione che permette all’uomo di dominare la natura piegandola ai suoi fini e ponendola al servizio dei suoi valori morali. La grande assenza contemporanea del pensiero utopico e del sogno – che nasce anche da quella paura del futuro che Remo Bodei ha

chiamato “fissazione in un presente puntiforme” – ha provocato un indubbio impoverimento della progettualità sociale e una perdita della capacità di messa in discussione degli ordini costituiti: da qui la pulsione a costruire nuove utopie. Ed è in questo ambito che si è formato il pensiero delle Smart City, costruito però non da filosofi o pensatori, ma da tecnologi e uomini di marketing di alcune multinazionali del digitale. E poi ha trovato terreno fertile nella Commissione europea che – essendo più lontana dalla vita concreta e dalle differenze culturali e territoriali – ha potuto dedicare non poche risorse a creare modelli e obiettivi di “buon governo” (uno per tutti il Patto di Lisbona), desiderabili certo, ma nella sostanza irraggiungibili. Ma dietro la visione delle Smart Cities non c’è, purtroppo, solo una visione di città ideale, di giusto governo, di impiego corretto di risorse e tecnologie ma – cosa più delicata e problematica – una vera e propria concezione antropologica che vede la città come un luogo che – per “ben funzionare” – deve essere guidato dalle macchine (software di processo, agenti intelligenti, piattaforme di business intelligence). Secondo questa visione, dunque, l’uomo senza tecnica rimane anche senza guida, disorientato, intrinsecamente disordinato e sostanzialmente egoista: una vera idolatria della tecnica. A ben guardare il futuro richiamato dalle riflessioni sulle Smart Cities è più distopico che utopistico. Infatti le soluzioni smart vengono vendute non tanto per dare forma a una città ideale quanto come ricette necessarie per combattere un futuro apocalittico, fatto di carenze energetiche, traffico


invivibile, inquinamento permanente e problemi diffusi di sicurezza. Una proposta per il futuro delle nostre città L’applicazione delle nuove tecnologie alle città è dunque una grande occasione: il tema va però affrontato nel modo giusto e non semplicemente imitando “buone pratiche” oltreconfine. L’approccio, infatti: • non deve essere una pallida imitazione dei modelli americani che partono da una visione distopica del vivere urbano e danno alle tecnologie digitali un potere quasi magico; • non deve neanche coincidere con la risposta ai bandi europei per racimolare le sempre più esigue risorse finanziarie pubbliche a disposizione per l’innovazione. Deve piuttosto diventare

l’occasione per riflettere a fondo sul futuro delle nostre città, riunendo attorno a tavoli progettuali i principali attori (non solo decisori e fornitori) per cogliere a pieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie ma in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città, diverse – non semplicemente più piccole – rispetto alle megalopoli che stanno spuntando come funghi da oriente a occidente. Bisogna dunque puntare a una città a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente. Come disse Adriano Olivetti “Noi sogniamo una comunità libera, ove la dimora dell’uomo non sia in conflitto né con la natura, né con la bellezza”. Una città dunque che non debba puntare necessariamente a diventare un hub nevralgico della competizione globale

e accelerata, ma un luogo dove possano convivere in maniera armonica innovazione e tradizione, attività culturali ed economiche, imprenditoria for-profit e iniziative sociali. Una città dove l’esigenza di una mobilità urbana efficiente e sostenibile si possa integrare in maniera naturale con grandi aree pedonali, dove il controllo dell’inquinamento e la conseguente chiusura al traffico automobilistico dei centri (storici) riproponga la validità di quella città a misura d’uomo che ha visto la sua genesi e soprattutto il suo pieno sviluppo nell’area mediterranea. Quella città dove l’agorà e i “centri commerciali naturali” (e non le superstrade e lo shopping mall integrato con i parcheggi per le auto) ritornino a essere il fulcro naturale della città.

In questo scenario il ruolo della tecnologia è naturalmente essenziale, ma deve rimanere “al suo posto”: troppo spesso, infatti, da strumento si è trasformata in fine. Ritengo molto sbagliato questo approccio un po’ troppo deterministico e tecnologico alle Smart Cities che, partendo da un modello concepito negli Stati Uniti ed esteso alle grandi megalopoli orientali, non solo contempla un solo tipo di città, molto diverso dal nostro, ma ritiene che le nuove tecnologie siano la panacea di tutti i mali e oltretutto non costino nulla. È in questo approccio che si annidano i problemi, non nell’applicazione delle tecnologie al contesto urbano. Ma per cogliere in maniera autentica e duratura le grandi opportunità aperte dalla sempre più esuberante innovazione tecnologica, bisogna (ri)partire dalla vocazione dei territori e dall’agenda politica dei loro amministratori e le tecnologie devono ritornare a essere strumenti (e non fine): per questo vanno comprese in profondità, cogliendone con chiarezza anche le ombre o addirittura i lati oscuri – spesso ignorati ma peraltro in aumento.

* Andrea Granelli è presidente di Kanso, società di consulenza specializzata in innovazione e change management. Da diversi anni lavora su temi legati all’innovazione: è stato in McKinsey e successivamente amministratore delegato di Tin.it e dei laboratori di ricerca del Gruppo Telecom. È in molti comitati scientifici e in commissioni di valutazione. È stato membro del comitato di valutazione del CNR e direttore scientifico della scuola internazionale di design Domus Academy. Scrive periodicamente di innovazione su quotidiani e riviste e ha pubblicato molti libri. Ha inoltre curato la voce “Tecnologie della comunicazione” per la nuova enciclopedia Scienza e Tecnica della Treccani.

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n 2008, for the first time ever, the majority of the world population lived in cities. In 1900 city-dwellers accounted for only 13% of the Earth’s inhabitants; the percentage is expected to rise to 70% by 2050. The phenomenon is planet-wide. A parallel trend is the emergence of the Services Economy. Services are not just an important source of employment, for a long time they have been the most significant component of GDP. This is not simply a quantitative question. The growing role of services is bringing qualitative change to the workings of the economic system, in ways that, in part, are still unexplored. And the elective location for the development of services is, of course, the city. The city, then, is where the major opportunities for growth arise (economic as well as cultural and social growth), and also the origin of the major problems of modern life. Our cities produce more than 50% of world GDP and the percentage is even higher in the developed nations. Urban centers occupy more than 2% of the Earth’s surface and consume about 90% of the resources produced around the world. Cities account for 70–80% of domestic energy consumption in the OECD countries and city buildings are responsible for 40% of world energy consumption. Most significantly, cities produce 45-75% of total greenhouse gas emissions, with city traffic playing an essential role. Poverty is spreading too, finding a natural humus in cities: according to the United Nations and the World Bank, in 2028, 90% of poverty will be urban poverty and 50% of the world population will live below the poverty line in conditions of urban squalor.

The Smart City between innovation and utopia Smart Cities are the latest chapter in a book with ancient roots, which, over time, has attempted to define the ideal city, the place where people dream of living (and often ought to have lived). Their connection with utopian thought reveals a number of ideological and irrational elements frequently masked by the aseptic and objective language of technology. There are two schools of thought regarding the contribution of technology to daily life and, consequently, the role of the city as an emblem of the full realization of technology: a more “naturist” school, which holds that collective life has been corrupted by the city (and by the unprincipled use of technology), whose advocates call for a return to a free and innocent state of nature. The second school, propounded for example

by Bacon, attributes to technology—and thus to the ideal city—the task of improving man’s condition, corrupted and degraded by his wild and selfish spirit. The concept of the “smart city” certainly stems from this second vision. Many great thinkers have examined the notion of an ideal city: Aristophanes with his City of Women or Plato—not just in The Republic but also in Atlantis—reprised by, among others, the Jesuit scientist Athanasius Kircher in his Mundus subterraneus. The Republic, the source and matrix for a great many subsequent utopias, refers to an ideal city, seeking to establish an abstract model that is somehow detached from any practical possibility of realization. The point of closest contact with the idea of the Smart City, however, comes in Bacon’s New Atlantis, an unfinished novel written probably between 1614 and 1617. In this city,

science rules supreme, inspiring continuous experimentation and study. New Atlantis is the manifesto for the Baconian ideal of science as experimentation to enable man to dominate nature, bending it to his will and placing it at the service of his moral values. Without doubt, the great absence today of utopian thought, of a dream—an absence caused in part by a fear of the future described by Remo Bodei as a “fixation in a punctiform present”—has impoverished social planning and development skills and diminished the ability to question our constituted orders: the motor powering the drive to build new utopias. This is the background against which the idea of the Smart City has developed, shaped not by philosophers or thinkers, however, but by technologists and marketing men from digital multinationals. Fertile ground has also been found in the


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European Commission, which—as a body detached from the realities of daily life and from cultural and territorial differences—has been able to devote not insignificant resources to the creation of models and goals of “good governance” (the Lisbon Treaty is just one example), which, though desirable, in practice are impossible to achieve. Unfortunately, the vision of the Smart Cities is not based solely on a vision of an ideal city, good governance, correct use of resources and technologies; at a more delicate and problematic level, it is also informed by a fully formed anthropological picture of the city as a place that, to work properly, needs to be led by machines (process software, intelligent agents, business intelligence platforms). In this vision, without technology man lacks guidance, is disoriented, intrinsically disorganized and substantially selfish: technology is idolized. A closer look shows that the future evoked by reflections on the Smart Cities is more dystopian than utopian. Rather than as tools for shaping an ideal city, smart solutions are sold as the models needed to combat an apocalyptic future of energy shortages, intolerable traffic, permanent pollution and widespread security and safety problems.

A proposal for the future of our cities So the application of today’s new technologies to cities is a great opportunity: but rather than simply imitating international good practice, we have to approach the question in the right way. In other words, our approach: • should not be a pale imitation of American models, rooted in a dystopian vision of urban life attributing almost magical powers to digital technology; • nor should it be limited to responses to European calls for tenders in order to scrape together the increasingly meager public financial resources available for innovation. Rather, it should be an opportunity to reflect on the future of our cities, extending the planning process to all the main players (not just decision-makers and suppliers) so that full advantage can be taken of the potential offered by the new technologies, but in full harmony with the history, traditions and vocations of our cities, which are different from—not just smaller than—the megalopolises springing up like mushrooms from East to West. Our goal should be a city designed for man and respectful of the environment. As Adriano Olivetti said “We dream of a free

community, where man dwells in conflict neither with nature nor with beauty.” A city that does not necessarily strive to become a nerve center of fast-paced global competition, but a place where innovation and tradition, cultural and economic activities, for-profit business and social initiatives can exist amicably side by side. A city where the need for efficient, sustainable urban mobility can be integrated naturally with large pedestrian areas, where pollution control and the consequent exclusion of cars from historic city centers re-establishes the value of the city for man that originated and, above all, flourished in the Mediterranean. The city where the agora and “natural shopping centers” (not dual carriage-ways and malls complete with car-parks) are once again the natural heart of the city. Naturally, technology has an essential role to play in this scenario, but it must “know its place”: too frequently, it has been changed from a means into an end. In my view, this overly deterministic and technological approach to the Smart Cities is quite wrong: starting from a model conceived in the USA and extended to the great Eastern megalopolises, not only is it restricted to a single type of city—one quite different

to our models—it regards new technology as a cure for all ills, above all as a cost-free cure. It is here, in this approach, that the problems lie, not in the application of technologies to the urban context. If we want to achieve a genuine and lasting response to the major opportunities opened up by increasingly exuberant technological innovation, our starting point has to be the vocation of local communities and the political agenda of their administrators, with technology as a means (not an end): this is why technology has to be considered in full, with a clear understanding of its weaknesses and drawbacks, which, though often ignored, are growing.

* Andrea Granelli is Chairman of Kanso, a consultancy specializing in innovation and change management. He has worked in areas relating to innovation for a number of years: he was with McKinsey and later was CEO of Tin.it and the Telecom Group research labs. He sits on many scientific committees and assessment commissions. He was a member of the assessment committee of Italy’s National Research Council and science director at the Domus Academy international design school. He writes regularly about innovation for daily newspapers and magazines and has published several books. He edited the “Communication Technologies” entry for the new Treccani encyclopedia Scienza e Tecnica.


L’ordito delle comunità The Warp Of Communities di David Bevilacqua* by David Bevilacqua*

L’armonizzazione delle scelte tecnologiche, strategiche e operative di tutti gli stakeholder è il primo pilastro del successo nei processi di trasformazione intelligente degli ambienti urbani Harmonization of the technological, strategic and operating preferences of all stakeholders is the first pillar for success in the intelligent transformation of urban environments

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e città sono da sempre un’entità in continua evoluzione: i loro confini si modificano, le comunità che le abitano e le attraversano cambiano volto e composizione, muta il paesaggio economico, culturale, sociale. In passato la trasformazione avveniva con lentezza e se vi era una accelerazione, generalmente era causata da circostanze esterne, quali gli esiti di conflitti o eventi naturali. Due, tre generazioni potevano condividere la stessa esperienza di cittadini. Negli ultimi trent’anni il panorama è radicalmente mutato, in particolare come conseguenza di innovazioni tecnologiche che, succedendosi a ritmo travolgente, hanno introdotto nuove opportunità e trasformato i modelli di vita e lavoro. Allo stesso tempo, sono venuti al pettine nodi cruciali per un futuro sostenibile, quali l’impennata nei processi di urbanizzazione – che ci fa prevedere che il 70% della popolazione mondiale entro il 2050 vivrà in città – la questione energetica, i cambiamenti climatici, i limiti ormai evidenti di un sistema messo seriamente in discussione dalla crisi. Chi amministra le città avendo il compito di affrontare questi problemi è consapevole che le

tecnologie dell’informazione e della comunicazione – e i modelli di business innovativi che esse abilitano – sono un fattore chiave per l’evoluzione degli ambienti urbani. In alcuni casi sono state compiute scelte pionieristiche, che hanno fatto di alcune città fucine di opportunità, comunità ricche di talenti e interconnesse, motore di sviluppo e innovazione per il territorio. In altri casi, si è accumulato il peso di infrastrutture e servizi inadeguati, inquinamento, perdita di identità e di rilevanza economica; nella maggior parte delle realtà sono accadute entrambe le cose, magari in quartieri diversi o interessando fasce di popolazione diverse. Ciò è avvenuto perché, di fronte all’accelerazione tecnologica, troppi hanno ritenuto che la continua disponibilità di nuovi strumenti avrebbe assicurato di per sé migliore qualità della vita e sviluppo. Nello sforzo di adattamento a nuovi scenari, si è trascurata la centralità del “fattore umano”. Si è concepita una rete di dispositivi sempre più pervasiva, efficace, ricca di funzioni, ma si è sottovalutato che sono le persone a utilizzare i dispositivi per vivere, lavorare, apprendere, realizzare i propri progetti.

Laddove si è saputo integrare la rete di dispositivi con la rete di persone, le tecnologie sono diventate una “piattaforma operativa” per dare concretezza con più semplicità ed efficacia alle idee, in un contesto aperto e collaborativo; chi sviluppa le piattaforme ha lavorato insieme con imprese e istituzioni e ha creato intorno a sé un ecosistema virtuoso, fatto di innovazioni da integrare e accelerare facendo leva sulle potenzialità dell’IT. Questo modello di collaborazione fra “portatori di idee” e “portatori di tecnologia” è ciò in cui Cisco crede fermamente e ciò su cui si basa l’approccio al tema Smart City – che noi preferiamo immaginare come Smart and Connected Communities, proprio a sottolineare la centralità delle persone, dei loro bisogni, e non dei “confini amministrativi” che costituiscono il limite visibile di una città. In una comunità intelligente e interconnessa, la rete abilita un interscambio continuo di dati, informazioni e azioni, che ha impatto su tutto ciò che compone il sistema-città: i trasporti, le case e gli uffici, le scuole, le strutture sanitarie, la gestione del territorio, la sicurezza. Ciò intreccia strettamente l’azione di una quantità di soggetti che prevalentemente non si erano mai dovuti confrontare con la necessità di pensare e agire in modo interdipendente e integrato: utility, gestori di servizi, istituzioni, operatori di infrastrutture, privati di ogni settore, forze di polizia e protezione civile. L’armonizzazione delle scelte tecnologiche, strategiche e operative di tutti gli stakeholder è il primo pilastro del successo nei processi di trasformazione intelligente degli ambienti urbani; in questo snodo cruciale l’ICT gioca un ruolo

fondamentale, in quanto è suo compito creare le piattaforme che permettano di coordinare e pianificare lo sviluppo della Smart City, unendo partner pubblici e privati in un ecosistema capace di rispondere ai bisogni in modo integrato ed efficace. Il secondo pilastro del successo dei progetti di trasformazione digitale delle città è il coinvolgimento delle persone. Per questo le piattaforme tecnologiche di cui si è parlato finora, che potremmo definire “le fondamenta della città digitale”, devono restare trasparenti per l’utente – nonostante l’estrema complessità che le caratterizza. Solo a questa condizione, infatti, la comunità digitale può essere vissuta come un insieme di esperienze a disposizione del cittadino e restare aperta a una continua evoluzione, stimolata dalle richieste e dalle proposte provenienti dalla comunità. I cittadini sono i “mattoni della città digitale”, ma il miglioramento della qualità della vita e la possibilità di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale dipendono dalla capacità di dare continuità all’esperienza della comunità digitale in tutti i momenti e le modalità di espressione della vita quotidiana. Idealmente, tutto ciò che viene vissuto deve essere “smart”: i movimenti delle persone nelle città, l’ambiente di apprendimento che i ragazzi trovano a scuola, i luoghi di lavoro, le abitazioni, l’interazione con uffici pubblici e aziende, fino agli strumenti disponibili per segnalare disservizi, proporre innovazioni, produrre nuove applicazioni a partire dai dati prodotti da istituzioni e privati. Per garantire questo livello di continuità è necessario che il ragionamento culturale e tecnologico sulle Smart Cities


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si ampli fino a ricomprendere il territorio e idealmente il paese in cui si trova una città; compito del mondo ICT è anche quello di non limitarsi a proporre soluzioni limitate – per quanto intelligenti – in ambienti limitati, bensì di premere perché gli stakeholder delle città digitali siano consapevoli della necessità di creare una “filiera smart” che metta a sistema e a fattor comune le iniziative di tutti. Un esempio di questo approccio è City Protocol, una iniziativa in cui Cisco è direttamente coinvolta, insieme alla municipalità di Barcellona, a GDF Suez e a decine di città, istituzioni accademiche e di ricerca del mondo. City Protocol è il primo “sistema di certificazione” per le Smart Cities, che si basa sull’identificazione di standard

condivisi e di metodologie specifiche per integrare le diverse piattaforme tecnologiche attive in un ambiente urbano intelligente. Coinvolgendo industrie, enti e agenzie di ricerca, City Protocol si pone l’obiettivo di sviluppare percorsi e soluzioni per costruire le smart communities del futuro, mettendo a frutto le competenze e le esperienze già maturate in progetti concreti di trasformazione delle città. In questo modo, tutti coloro che da oggi in poi vorranno intraprendere questo viaggio potranno avvalersi di modelli collaudati e di nuovi strumenti, che nasceranno dall’azione di una organizzazione creata ad hoc, la City Protocol Society. La City Protocol Society, operativa dalla primavera del 2013, è una comunità aperta a città, aziende, istituzioni ed enti

di ricerca; nasce sul modello della Internet Protocol Society, che ha messo a punto in modo aperto, pubblico e collaborativo il web come oggi lo conosciamo e si occupa del suo sviluppo. Se è vero che le città del mondo non sono tutte uguali, e ciò che funziona in un contesto non è necessariamente adattabile altrove, vi sono certamente degli elementi comuni che possono essere messi alla base di qualunque progetto, garantendo il rispetto di criteri qualitativi e operativi specifici; questo approccio è tanto più efficace in un momento critico dal punto di vista economico quale quello che stiamo attraversando, perché permette anche ai soggetti con minori risorse di non restare tagliati fuori dai grandi cambiamenti urbani del futuro, applicando modelli di business virtuosi

e riducendo i costi di avvio e sperimentazione dei progetti per le smart communities.

* David Bevilacqua è vice presidente della regione Sud Europa di Cisco Systems. Entrato in Cisco nel 1996, è stato general manager per l’area South East Europe e poi responsabile del mercato Enterprise di Cisco Europa; nel 2009 è stato nominato amministratore delegato di Cisco Italia e nel settembre 2012 ha assunto il suo attuale incarico. Ha conseguito un Master presso la Stanford University Graduate School of Business ed è vice presidente di Stanford Club Italia. È presidente di Assolombarda Monza e Brianza e membro del Consiglio della Camera di Commercio di Monza e Brianza. È vice presidente di American Chamber of Commerce in Italy e fa parte del consiglio direttivo di Confindustria Digitale. Nel novembre 2011 ha ricevuto il Premio Eccellenza conferito ogni due anni da Manager Italia, CFMT e Confcommercio.


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ities have always been constantly evolving entities: their boundaries shift, the communities living in and passing through them change in appearance and composition, their economic, cultural and social landscapes shift. In the past, change was a slow process and any acceleration was usually caused by external circumstances, such as the outcome of war or natural events. Two, even three generations could share similar experiences as city-dwellers. Over the last thirty years the situation has changed dramatically, largely as a result of an overwhelmingly rapid succession of technological innovations introducing new opportunities and transforming life styles and employment models. At the same time, a number of issues critical to a sustainable future have emerged: the sharp rise in urbanization—indicating that, by 2050, 70% of the world population will live in cities—the energy question, climate change, the now evident limits of a system seriously affected by the crisis. City administrations responsible for tackling these issues are aware that information and communication technologies—and the innovative business models they enable—are key to the evolution of urban environments. In some cases, pioneering decisions have been taken to transform some cities into powerhouses of opportunities, interconnected communities with a wealth of talent, engines for local growth and innovation. In other cases, there has been a build-up of inadequate infrastructure and services, pollution, loss of identity and economic importance; in most places, both phenomena have been experienced, perhaps in different districts of a city or

among different sections of the local population. The reason is that as the pace of technological development has quickened, too many people believed the continuous availability of new tools would automatically ensure a better quality of life and progress. In the effort to adapt to new scenarios, they neglected the central role of the “human factor”. An increasingly pervasive, effective and function-rich network of devices was imagined, but insufficient attention was paid to the fact that it is people who use the devices to live, work, learn, develop projects. In places where the network of devices has been successfully integrated with the network of people, technologies have become an “operating platform” to give concrete form to ideas simply and effectively, in an open collaborative context; the platform developers work with business and government, creating a virtuous eco-system built on innovation, to be expanded and accelerated by leveraging the potential of IT. This model of collaboration between “bearers of ideas” and “bearers of technology” is something in which Cisco firmly believes, and on which it bases its approach to the Smart City—which we prefer to refer to as Smart and Connected Communities, thereby

highlighting the central place of the residents and their needs, rather than the “administrative boundaries” that constitute the visible limit of a city. In a smart and connected community, the network enables continuous exchanges of data, information and actions, with an impact on all the elements of the city-system: transport, housing, offices, schools, healthcare facilities, territorial management, security. This is closely linked with the activities of parties who, generally speaking, have never been faced with the need to think and act in an interdependent and integrated manner: utilities, service managers, government agencies, infrastructure operators, private bodies in every sector, the police and civil defense. Harmonization of the technological, strategic and operating preferences of all stakeholders is the first pillar for success in the intelligent transformation of urban environments; in this crucial dimension, a vital role is played by ICT, whose task is to create the platforms for coordinating and planning the development of the Smart City, bringing public and private partners together in an eco-system capable of meeting needs in an integrated, effective manner. The second pillar for successful projects for the digital transformation of cities is

engaging people. Consequently, the technological platforms referred to above, which we could call “the foundations of the digital city”, must be transparent to the user, their extreme complexity notwithstanding. Only then can the digital community be a set of experiences available to residents and open to continuous evolution, stimulated by the requirements and suggestions coming from the community. People are the “bricks of the digital city”, but improving the quality of life and making sustainable economic, social and environmental development possible depends on the ability to ensure the continuity of the digital community experience at all times and in every form of expression of daily life. Ideally, everything should be “smart”: travel inside the city, the learning environment in schools, workplaces, housing, interaction with public offices and businesses, up to the tools for reporting service breakdowns, proposing innovation, realizing new applications from the data produced by government agencies and private citizens. To guarantee this level of continuity, cultural and technological discussion about Smart Cities should expand to encompass the region and ideally the country in which a city is located; one task of the


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ICT community is to not restrict itself to proposing limited solutions—however smart—in limited environments, but to make sure that the stakeholders of digital cities are aware of the need to create a “smart supply chain”, pooling everyone’s initiatives into the system. One example of this approach is City Protocol, an initiative in which Cisco is directly involved, together with the municipality of Barcelona, GDF Suez and dozens of cities, academic bodies and research bodies around the world. City Protocol is the first “certification system” for Smart Cities, based on the definition of common standards and specific methodologies to integrate the various technological platforms in a smart urban environment.

By involving industries, government agencies and research bodies, City Protocol intends to develop paths and solutions to build the smart communities of the future, using the competences and experiences already developed in real projects for the transformation of cities. In this way, everyone wishing to move in this direction will have the benefit of tested models and new tools, developed from the action of an organization set up ad hoc, the City Protocol Society. Due to begin operations in the spring of 2013, the City Protocol Society is a community open to cities, business organizations, government and research bodies; its model is the Internet Protocol Society, which, through

open, public collaboration, has established the web in the form we know it today and follows its development. While it is true that not all cities are the same, and that something that works in one place may not necessarily be suitable elsewhere, there are certainly a number of common elements that can provide the foundation for any project, guaranteeing compliance with specific qualitative and operating criteria; this approach is particularly effective at a time of economic crisis like the present: by applying virtuous business models and reducing smart community project start-up and testing costs it ensures that even players with the fewest resources need not

be excluded from the great urban changes of the future.

* David Bevilacqua is Vice President, South Europe, at Cisco Systems. After joining Cisco in 1996, he was General Manager for South East Europe and later head of the Cisco Europe Enterprise market; in 2009 he was appointed CEO of Cisco Italia and moved to his current post in September 2012. He has a Master from Stanford University Graduate School of Business and is Vice President of Stanford Club Italia. He is President of Assolombarda Monza and Brianza and sits on the board of the Monza and Brianza Chamber of Commerce. He is Vice President of the American Chamber of Commerce in Italy and a member of the Steering Committee of Confindustria Digitale. In November 2011 he received the Excellence Award, presented every two years by Manager Italia, CFMT and Confcommercio.


Amsterdam, per esempio Amsterdam, for example di Joost Brinkman* by Joost Brinkman*

Le città sono la piattaforma migliore per creare un movimento volto a un futuro più sostenibile. Il programma Amsterdam Città Intelligente propone esemplificazioni su come accelerare la transizione energetica Cities are the best platform to build a movement towards a more sustainable future. The Amsterdam Smart City program show cases how to accelerate the energy transition

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Joost Brinkman

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on più di metà della popolazione mondiale residente in aree densamente abitate, le città sono la migliore piattaforma per condividere energia, idee ed entusiasmo al fine di sviluppare un movimento volto a un futuro più sostenibile, reso possibile da una nuova generazione di reti elettriche. Alcune delle questioni chiave è come creare iniziative che abbiano un impatto sufficientemente importante per raggiungere obiettivi di energia sostenibile e di riduzione dell’anidride carbonica, in che modo le città possono sensibilizzare i loro abitanti all’urgenza di agire in questo senso e promuovere l’azione, e in che modo le città mobilitano le imprese per realizzare le tecnologie a sostegno di questa transazione energetica. Insieme all’operatore elettrico locale Liander e con il sostegno di Accenture, Amsterdam ha compreso e accettato questa sfida.

Gli obiettivi climatici di Amsterdam La città di Amsterdam ha stabilito alcuni obiettivi climatici con tempistiche ambiziose: • 40% di riduzione della CO2 nel 2025 rispetto ai livelli del 1990;

• 20% di riduzione di energia nel 2025 rispetto ai livelli del 1990; • Piani energetici di CO2 neutrale a livello delle singole municipalità prima del 2015. Nel frattempo, l’ammodernamento delle attuali reti elettriche rappresenta la perfetta opportunità per ottenere reti elettriche intelligenti, e questo anche in ragione del fatto che le stesse sono considerate uno strumento chiave per affrontare le questioni climatiche attraverso l’uso di comunicazioni a due vie, volte a massimizzare l’efficienza energetica e a rispondere alle richieste di fornitura di energia da fonti rinnovabili. Amsterdam Smart City L’organizzazione Amsterdam Innovation Motor (AIM) è stata creata per mantenere e consolidare la posizione di esempio pilota della regione di Amsterdam nell’economia della conoscenza. AIM è gestita dal Consiglio Economico di Amsterdam e promuove innovazione, cooperazione e nuove attività nella regione di Amsterdam. Insieme all’operatore di rete Liander, AIM ha colto queste sfide e opportunità, e ha sviluppato e implementato un programma

volto a ottenere un impatto sostanziale sulla necessità di passare a nuovi tipi di energia. Il programma verte su quattro aree (stili di vita, lavoro, mobilità e spazi pubblici sostenibili), corrispondenti ai maggiori emittenti di CO2. Il programma è supportato da tecnologie intelligenti come i contatori intelligenti o la tecnologia delle reti elettriche intelligenti. Al fine di massimizzare il risultato di questo sforzo congiunto dei partner, vengono coinvolti attivamente gli utenti finali, i quali, in ultima analisi, saranno gli artefici della transizione energetica. Il fine ultimo è dare maggiore impulso alla domanda di tecnologie più sostenibili. Questo articolo descrive il progetto Amsterdam Smart City, i suoi risultati intermedi e le principali politiche e governance, così come le sfide che sono state affrontate. L’approccio di Amsterdam Benché ovunque si trovino singoli individui e aziende disposte a cambiare, le azioni messe in atto fino a ora sono state insufficienti a causa delle limitate capacità e degli interessi divergenti dei diversi stakeholders. Le parti coinvolte non formano una squadra,

e questo risulta in un impatto finale troppo inconsistente. Il divario tra intenzioni e azioni è troppo marcato; il progetto Amsterdam Smart City tenta di colmare questo divario con la creazione di una piattaforma di partner pubblico-privati. Amsterdam Smart City è stato sviluppato come acceleratore di programmi climatici ed energetici, promuovendo la collaborazione tra i vari partner e dando inizio a progetti volti a ridurre le emissioni di CO2 e a incentivare le migliori prassi a livello locale da espandere poi su larga scala. Il fulcro dell’approccio di Amsterdam è che i “Living Lab” sono utilizzati come progetti pilota. Tali progetti vertono su esperienze di vita reale e sul potenziale adattamento di tecnologia e servizi. I principali obiettivi del programma Amsterdam Smart City sono i seguenti: 1. creare collaborazione e partnership publico-private; 2. acquisire know-how in materia di cambiamento comportamentale; 3. ridurre le emissioni di CO2 stimolando le innovazioni tecnologiche in materia di risparmio energetico e generazione di energia;


4. diffondere conoscenza e comunicazione attiva di tale know-how. Nell’arco di due anni Amsterdam Smart City ha dato il via a 16 progetti con oltre 60 diverse aziende partner. I progetti vertono su aree quali stile di vita sostenibile, lavoro sostenibile, mobilità sostenibile e spazi pubblici sostenibili. Amsterdam Smart City è la piattaforma di prova di varie iniziative volte a individuare quali iniziative e processi siano sostenibili per un’implementazione su larga scala. I progetti avviati I numerosi progetti che sono stati avviati finora dal programma Amsterdam Smart City sono fortemente incentrati sugli utenti effettivi: cittadini, piccole-medie imprese, locatari, bambini, ecc. Nel distretto di Geuzenveld, ad esempio, numerose residenze sono state dotate di un contatore intelligente e di un dispositivo di retroazione a risparmio energetico. Nella città di Harlem, 250 residenze hanno testato i sistemi di gestione del consumo energetico mediante prese elettriche intelligenti. Nel settore pubblico, numerose scuole hanno preso parte a una competizione sul risparmio

energetico, con una conseguente riduzione del consumo energetico pari al 10%. Tramite i bambini che insegnano ai genitori come risparmiare energia, è stato senza dubbio centrato l’obiettivo di “apprendere facendo”. Nella via Utrechtsestraat (una tipica via commerciale di Amsterdam), oltre 40 negozianti hanno messo in atto misure volte alla gestione e al risparmio energetico, come l’illuminazione a LED (con un risparmio di energia, rispetto alle classiche lampadine, fino all’80%). I rifiuti sono attualmente ritirati da un solo veicolo elettrico, anziché da vari veicoli diesel. In una casa del XVII secolo, affacciata su un canale, è stata installata da un consorzio di imprese un’innovativa cella di combustibile (con un’efficienza che supera i più moderni impianti di produzione di energia elettrica) come primo test pilota. Questa è solo una descrizione generale di alcuni progetti: maggiori informazioni e una più ampia selezione di progetti sono disponibili sul sito web www.amsterdamsmartcity.nl. Coinvolgimento di partner e cittadini In tutti i progetti pilota si è

stretta una forte collaborazione tra i diversi partner coinvolti nell’iniziativa e, al fine di massimizzarne la diffusione di conoscenza, sono state messe in atto varie attività di comunicazione tanto per i partner quanto per i progetti. Il coinvolgimento dei cittadini dipende dai singoli progetti. Per il programma Amsterdam Smart City, il coinvolgimento degli utenti finali dell’energia (i cittadini) è di vitale importanza in ragione del fatto che le tecnologie testate sono inutili senza l’accettazione e l’esperienza degli utilizzatori finali dell’energia. Promuovere un cambiamento nelle abitudini o nei comportamenti degli utenti induce a un incremento della domanda di tecnologie più sostenibili. In uno dei progetti è stato utilizzato un metodo di “innovazione aperta” per ottenere reazioni e risposte da parte degli abitanti di Amsterdam volte a superare le resistenze che i consumatori di energia hanno nel diventare produttori di energia. Le conoscenze chiave Grazie alle attività del programma Amsterdam Smart City e al loro ampio raggio di intervento, l’intera regione

di Amsterdam finisce col riceverne un beneficio economico. L’impatto è anche maggiore grazie alla collaborazione indiretta derivante dagli effetti dello stesso programma: un enorme e inaspettato riconoscimento e interesse a livello internazionale che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di marketing della città. Gli insegnamenti chiave derivanti complessivamente dal programma Amsterdam Smart City sono i seguenti: • la collaborazione tra i vari stakeholders richiede tempo, e i partner stessi devono essere disposti a collaborare; • la difficoltà maggiore nel mettere in atto le tecnologie non è la tecnologia in se stessa, quanto l’adattamento degli utenti finali; • la facilità di utilizzo e i benefici economici sono i principali strumenti di richiamo per i consumatori; • le innovazioni vere e proprie provengono da piccoli (giovani) innovatori e una collaborazione aperta con grandi imprese può sicuramente accelerarle. L’obiettivo principale dei progetti pilota del programma Amsterdam Smart City è di individuare come si originino

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queste differenti collaborazioni e in che modo sia possibile modificare il comportamento degli utenti finali. La fase successiva Nel 2012 il provider di telecomunicazioni KPN ha aderito alla piattaforma ASC come partner fondatore. Con KPN e la municipalità di Amsterdam, che sostengono attivamente il programma Amsterdam Smart City, la piattaforma ha ora strumenti migliori per ottenere un maggiore impatto. Le iniziative di prova e di apprendimento avranno sempre un ruolo importante; tuttavia, il programma Amsterdam Smart City si è evoluto optando per uno specifico approccio regionale. Unendo il fabbisogno regionale con l’agenda di investimenti locali, si genera il potenziale per creare nuovi prodotti e servizi, e per testarli e adattarli in un ambiente reale, il living lab (laboratorio vivente) urbano.

* Joost Brinkman è senior manager presso la Accenture Sustainability Services ed è stato amministratore delegato del progetto Amsterdam Smart City tra il 2009 e il 2012. Ha ricoperto vari incarichi nell’industria delle utility e dell’energia sin dal 2000: presso Nuon ha lavorato come ingegnere energetico e in qualità di project manager ha gestito vari progetti presso società di servizi quali Alliander, Eneco, Dong e Nuon. Di recente, Brinkman è stato responsabile delle linee guida gestionali e di sviluppo del programma Amsterdam Smart City. È inoltre il principale ideatore della strategia di sostenibilità di Accenture in Olanda, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione dei veicoli elettrici.

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ith more than half the world’s population living in densely populated cities, cities are the best platform to share energy, ideas and enthusiasm to build a movement towards a more sustainable future, enabled by a new generation of grids. Some of the key questions are how to create initiatives with substantial impact to reach sustainable energy and carbon reduction goals, how cities can mobilize their inhabitants to sense the urgency and take action, and how cities mobilize businesses to realize technologies that support the energy transition. Together with the local grid operator Liander and support of Accenture, Amsterdam recognized and acted on this challenge.

Climate goals of Amsterdam The city of Amsterdam has set a number of climate goals with challenging deadlines: • 40% CO2 reduction in 2025 from a 1990 baseline; • 20% energy reduction in 2025 from a 1990 baseline; • Municipal organization CO2 neutral before 2015. At the same time the required upgrade of current electricity grids presents the perfect opportunity to implement Smart Grids, since they are also seen as a key enabler to address climate issues through the use of two way communications to maximize energy efficiency and meet demand with supply from renewable sources.

Amsterdam Smart City Amsterdam Innovation Motor (AIM) was established to maintain and consolidate the trendsetting position of the Amsterdam region in the knowledge economy. AIM is directed by the Amsterdam Economic Board. It promotes innovation, cooperation and new business in the Amsterdam region. Together with grid-operator Liander, AIM recognized these challenges and opportunities and has designed and initiated a program to make a substantial impact on the energy transition need. The program focuses on four areas (sustainable living, working, mobility and public space), corresponding to the largest CO2 emitters. It is supported by intelligent technologies like smart meter or smart grid technology. In order to maximize the result of this joint effort from the partners, the end-users that will ultimately have to make the energy transition are actively involved. The ultimate goal is to create a demand pull for more sustainable technologies. This article describes Amsterdam Smart City, its intermediary results and the main policy and governance, as well as challenges it has faced. The Amsterdam Approach Although individuals and businesses everywhere are willing to change, too little action has been taken so far due to the limited capabilities

and different interests of separate stakeholders. The required parties do not team up, resulting in too little impact being made. There is a clear gap between intentions and actions; by setting up a platform for public and private partnerships Amsterdam Smart City tries to fill this gap. Amsterdam Smart City is designed as an accelerator for climate and energy programs, bringing parties together and initiating projects that reduce CO2 and yield local best practices for full-scale roll out. The essence of the Amsterdam approach is that “Living Labs” are being used for pilot-projects. Pilots focus on real life experience and potential adaptation of technology and services. The main objectives of the Amsterdam Smart City program are to: 1. Create collaboration and public-private partnerships. 2. Gain knowledge in behavioral change. 3. Reduce CO2 by stimulation of technical innovations regarding energy saving and generation. 4. Disseminate knowledge and active communications of these learning’s. Over a period of two years Amsterdam Smart City has initiated 16 projects, with over 60 different participating organizations. The projects are focusing on areas such as sustainable living, sustainable working, sustainable mobility and sustainable public spaces.


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Amsterdam Smart City tests different initiatives to determine which initiatives and processes are suitable for large-scale implementation. Initiated Projects The multiple projects initiated so far by Amsterdam Smart City have a strong focus on the actual users: citizens, small and medium enterprises, tenants, children, etc. For instance, in the Geuzenveld neighborhood a number of inhabitants was provided with a smart meter and an energy feedback device. In the city of Haarlem, 250 households tested energy management systems with smart plugs. In the public space, an energy savings contest between several schools was held, with a 10% energy reduction as result. With kids teaching their parents on energy savings, the goal of “learning by doing” was certainly realized. In the Utrechtsestraat (a genuine Amsterdam shopping street) over 40 shop owners implemented a broad range of energy management and energy saving measures like LED-lighting (saving up to 80% energy compared to classic light bulbs). Also the waste in the street is currently collected by an electrical waste truck, instead of multiple diesel trucks. In a 17th century canal house, a state of the art fuel cell (with an electrical efficiency outperforming most modern energy plants) has been

installed by a consortium of companies as a first test case. This gives just a broad overview of some projects. More projects and background information can be found on www.amsterdamsmartcity.nl. Involvement of Partners and Citizens In all pilots there is a close contact with the partners running the projects. Moreover, in order to maximize knowledge dissemination several types of communication activities have been initiated for both partners and projects. The involvement of citizens depends on the specific project. Involving the energy end-user (citizens) is essential for Amsterdam Smart City, since the tested technologies are useless without the acceptance and experience of the energy end-user. The stimulation of behavioral change creates a demand pull for more sustainable technologies. In one of the projects an “open innovation” method was used to obtain reactions and answers from the inhabitants of Amsterdam to overcome the barriers for energy consumers to become energy producers. Key Learnings Thanks to the activities of Amsterdam Smart City and their broad focus, the entire Amsterdam region receives an economic impulse. The impact is even increased by the indirect collaboration that originates

from the Amsterdam Smart City effects: an unexpected enormous international recognition and interest contribute to the city’s marketing goals. The key learnings for the overall Amsterdam Smart City program are the following: • Cooperation between different stakeholders takes time and stakeholders should be open to cooperate. • The main challenge in implementing new technologies is not the technology but the adaption of the end users. • Ease of use and financial benefits are the key drivers to seduce consumers. • True breakthrough innovations come from small (young) innovators. Open cooperation with large companies can accelerate these innovations. The main goal of Amsterdam Smart City pilots is to learn how these different co-operations are created and how the behavior of end-users can be changed. The Next Step In 2012, telecom provider KPN joined the ASC-platform as founding partner. With KPN and the City of Amsterdam actively supporting Amsterdam Smart City program, the platform is better equipped to make more impact. Testing and learning will always stay relevant. The Amsterdam Smart City program has evolved and has chosen a specific regional approach. By combining regional needs with the local

investment agenda, there is the potential to create new products and services, and to test or scale them up in a practical environment—the urban living lab.

* Joost Brinkman is a Senior Manager at Accenture Sustainability Services and was Managing Director of the Amsterdam Smart City between 2009 and 2012. He has been working in the utility and energy industry since 2000 in several roles: as energy engineer he worked for Nuon and as project manager he led various projects at utility companies like Alliander, Eneco, Dong and Nuon. Recently Mr. Brinkman was responsible for the overall management and development of the Amsterdam Smart City program. He is also the driving force behind the Accenture sustainability strategy in the Netherlands, especially on the introduction of electrical vehicles.


Città smart e sostenibilità: i giapponesi Smart Cities & Sustainability: the Japanese di Hiroshi Maruyama, Nobuko Asakai, Masahito Sugihara* by Hiroshi Maruyama, Nobuko Asakai, Masahito Sugihara*

In Giappone, l’azione combinata di iniziative orientate verso l’esterno e ambiente politico interno ha trasformato il paese in un luogo interessante per le imprese sostenibili e le Smart Cities The combination of Japan’s externally facing drive and its domestic policy environment has transformed the country into an attractive place for sustainable businesses and Smart Cities

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Hiroshi Maruyama

I

l Giappone è stato per lungo tempo uno dei paesi maggiormente attivi nello sviluppo di Smart Cities. L’11 marzo 2011, il terremoto e lo tsunami che hanno colpito la regione di Tohoku, hanno poi dato nuovo impulso all’impegno della nazione in materia di sviluppo urbano intelligente, rendendo il paese il luogo ideale per testare iniziative analoghe a livello globale. Le iniziative di Smart Cities in Giappone si sono affermate definitivamente nel 2010, quando il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria (MECI) ha coniato il termine “comunità intelligente”. L’origine di questo concetto, tuttavia, risale alla creazione della New Energy and Industrial Technologies Development Organization (NEDO), un ente finanziato dal MECI e creato sull’onda delle crisi energetiche degli anni Settanta. Il lavoro di R&S di NEDO comprende il progetto Green Grid Initiative condotto in New Mexico (Usa), così come 57 progetti tecnologici pilota in mercati emergenti quali Cina, Malesia, Myanmar e Tailandia. In questo contesto, il concetto di comunità intelligente ha coinvolto non soltanto le reti elettriche intelligenti, ma anche

Nobuko Asakai

Masahito Sugihara

una gamma più ampia di tecnologie quali edifici intelligenti, residenze smart, veicoli elettrici e piattaforme di integrazione ICT aperte alla comunità. Ne è risultato un forte sostegno governativo per una sempre maggiore integrazione strategica con le migliori best practices a livello internazionale. I principali fattori propulsivi

delle Smart Cities in Giappone sono rappresentati dalla necessità di una crescita nell’export, il desiderio di attrarre gli investimenti globali nell’innovazione e la questione sempre più urgente dell’energia. Con industrie manifatturiere forti e un deciso impegno politico, sembra che le condizioni siano mature per la nascita di Smart Cities in

Percentuale delle imprese tedesche di energia rinnovabile interessate al mercato giapponese N= 124* imprese

Non interessate al mercato giapponese

Interessate al mercato giapponese

72 imprese (58%)

52 imprese (42%)

Giappone. Si può tuttavia fare di più per ottenere una reale innovazione urbana su ampia scala. Entro il 2025, il 30% della popolazione giapponese attualmente impiegata o in cerca di un impiego sarà ultra sessantenne. Per affrontare i temi gemelli di “sostenibilità” ed “economia d’argento”, le città e le organizzazioni dovrebbero andare oltre il tema dell’energia, essere meno “gadget-driven” e più concrete nelle modalità d’azione in un momento di cambiamento demografico. Le città rurali potrebbero sentire l’esigenza di trovare una piattaforma per rivitalizzare le loro economie mentre le organizzazioni dovrebbero creare nuove definizioni di valore per adattarsi a una società in cambiamento. L’azione combinata dell’apertura del Giappone verso l’esterno e il suo ambiente politico interno ha trasformato il paese in un luogo di interesse per le imprese sostenibili, le quali a loro volta dovranno

Voci delle imprese ✓“Interessate al Giappone come nostro prossimo mercato poiché esiste una domanda di prodotti finali di elevata qualità” ✓“Il Giappone possiede oltre 100 integratori BIPV – estremamente interessanti” ✓“Il Giappone è un mercato nascente ed è interessante” ✓“Pensiamo che il mercato giapponese sia destinato a crescere in maniera sostanziale nell’immediato futuro”

* Il numero totale delle imprese tedesche intervistate in occasione della Intersolar Europe 2012 Fonte: inchiesta Accenture per il progetto Invest Japan del MECI.

✓“Stiamo valutando di accedere al mercato giapponese in ragione della potenziale crescita del mercato grazie al nuovo sistema di tariffe incentivanti per le rinnovabili”


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mantenere vivo lo slancio alla sostenibilità delle Smart Cities. In una recente inchiesta per il progetto Invest Japan del Ministero dell’Economia, Commercio e Industria, condotta da Accenture in occasione dell’Intersolar Europe 2012 svoltasi in Germania a sostegno dell’iniziativa governativa giapponese Invest Japan, il 42% degli intervistati tedeschi ha espresso positivo interesse per il Giappone quale destinazione degli investimenti. La crescita green è ora di vitale importanza per attrarre investimenti stranieri diretti in Giappone. Solo nell’ultimo anno, le società che si occupano di solare, quali Gestamp, Sillen, Yingli, Solarworld, hanno annunciato piani di investimento in Giappone, e società come Dyesol e Intelligent Energy Holdings hanno in previsione la creazione di centri di R&S sostenuti dal governo giapponese. Questi progetti di più lungo termine in materia di energia, andamento delle esportazioni e investimenti nell’innovazione sono emersi con forza l’11 marzo 2011. La conseguente fusione nucleare nella centrale di Fukushima ha condotto il Giappone a una crisi energetica a livello nazionale e alla

necessità di ricostruire la regione di Fukushima. Le Smart Cities sono diventate da allora un punto focale nell’agenda politica giapponese. Le città intelligenti non esistono in una situazione di vuoto politico, e l’11 marzo ha innescato un rapido cambiamento. Nel periodo successivo all’11 marzo, il governo ha offerto ai produttori di energia 42 yen per kilowattora di energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, se gli stessi avessero prodotto 10 kW o più. Le tariffe relative all’elettricità sono aumentate in media di 87 yen mensili e l’infuocato dibattito sul futuro del mix energetico del Giappone è un tema centrale delle elezioni del paese. In conseguenza della crisi, l’80% dell’elettricità sarà calcolata in maniera intelligente entro il 2016. L’introduzione dell’energia rinnovabile dovrà essere accelerata con case a emissioni zero ed edifici a emissione zero. Nel 2014 saranno completati quattro progetti pilota nazionali di tecnologia riguardanti le Smart Cities in città quali Yokohama e Toyota City, e i risultati saranno applicati a livello nazionale. Progetti come Aizu Wakamatsu a Fukushima e il progetto

Fujisawa Sustainable Smart Town della Panasonic sono annoverati tra i primi progetti ad andare oltre il tema energia e ad allineare i loro obiettivi a un futuro più a lungo termine. Benché molto diversi per portata e scopo, questi progetti offrono una visione d’insieme di cosa ci si possa aspettare. La città di Aizu Wakamatsu Aizu Wakamatsu, una città di 125.000 abitanti, stava già vivendo un declino industriale prima del terremoto. La capitale storica si trova fuori dall’area di contaminazione radioattiva ed è diventata il rifugio per molti evacuati. Qualche mese dopo il terremoto, Accenture ha siglato una partnership con la municipalità e l’università di Aizu nell’intento di dare nuovo impulso all’industria e trasformare la città di Aizu Wakamatsu in un centro per l’energia rinnovabile e per la fornitura di servizi ICT. Aizu è caratterizzata da una crescita sostenibile ottenuta mediante l’innovazione aperta e le reti ICT. NTT DOCOMO ha lanciato lo sviluppo di una applicazione remota e un centro di prova per dispositivi intelligenti. Il governo giapponese sta sostenendo servizi pilota basati

sulla tecnologia della nuvola a integrazione di sensori all’interno della città. Queste nuove forme di collaborazione tra industria, mondo accademico e governo possono essere la chiave di volta per una transizione da realtà pilota a realtà su vasta scala. Il progetto Fujisawa Sustainable Smart Town Il progetto Fujisawa Sustainable Smart Town (FSST) è un nuovo progetto di sviluppo condotto da Panasonic. FSST sarà creato su un’area dismessa di 19 ettari di proprietà della società Panasonic, dove si prevede entro il 2018 la costruzione di 1.000 case per 3.000 abitanti in totale, destinate alla vendita. Nell’intento di “portare l’energia a nuova vita”, il progetto FSST ha obiettivi ambiziosi, inclusa una riduzione di CO2 del 70% rispetto al 1990, ottenendo tassi di energia rinnovabile pari ad almeno il 30%. Si prevede inoltre un piano Community Continuity Plan (CCP) a garanzia di una linea di energia autosufficiente per tre giorni in caso di emergenza, come l’interruzione di erogazione dell’energia elettrica. Questo obiettivo finale di sicurezza è stato introdotto


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dopo l’11 marzo. L’uso di tecnologie innovative di elevata qualità, sviluppate grazie alle solide basi tecnologiche di Panasonic e volte a soddisfare le necessità di una società in cambiamento, sarà la caratteristica distintiva del progetto FSST. Si prevede un servizio di gestione dell’energia per introdurre in totale circa tre megawatt da pannelli fotovoltaici e circa tre megawatt da batterie di stoccaggio Li-Ion. Un servizio di rete di sicurezza collegherà l’illuminazione con sensori per ottimizzare l’uso dell’energia. Il progetto FSST prevede inoltre di dare un forte impulso a servizi generali di mobilità condivisa che includano biciclette elettriche complete di batterie sostituibili, supportate da stazioni di ricarica della batteria che potranno essere utilizzate per fornire molteplici servizi di erogazione. Il progetto Fujisawa ha lanciato una joint venture per la gestione delle città. Il progetto FSST sarà il primo a lanciare un modello di gestione commercialmente fattibile per i servizi di gestione urbana in Giappone che affronti la sfida a lungo termine di creare un ritorno economico sostenibile per finanziare i servizi stessi. Il servizio di gestione urbana

è pianificato per fornire un accesso centralizzato per otto settori quali energia, mobilità, sicurezza e gestione delle attività, e include un modello di co-proprietà dei beni della città per migliorare il valore della comunità e delle proprietà. La gestione urbana JV è innovativa come un qualsiasi sviluppo tecnologico. Ad esempio, il JV prevede di integrare dati da telecamere di sicurezza, sia statali che private, e sensori di illuminazione a LED. Il piano comprende elementi per incentivare gli abitanti ad aiutare a sorvegliare la comunità. La Panasonic ha espresso l’intenzione di lavorare con un istituto di ricerca per chiarire il tasso SROI (Social Return On Investment – Ritorno sociale sugli investimenti), oppure, in altri termini, il valore pubblico creato mediante la transizione al modello di co-proprietà su scala cittadina. La leadership di Panasonic nel progetto Fujisawa è a riprova del nuovo impulso che l’idea delle città intelligenti ha avuto in Giappone. La sostenibilità ambientale resta un tema centrale, e “l’economia d’argento” sta anch’essa acquistando un’importanza sempre maggiore.

La collaborazione tra il settore pubblico e quello privato potrebbe inoltre aiutare a sviluppare l’infrastruttura urbana in modi consoni a cogliere le sfide energetiche del paese, così come ad attrarre investimenti globali a sostegno dell’esportazione e della performance economica a lungo termine. La lezione appresa in Giappone e nel mondo si sta attualmente applicando in Italia. Gli imperativi chiave comprendono: 1. integrare le Smart Cities all’interno della strategia nazionale riguardante il mix di combustibili; 2. considerare le Smart Cities in un’ottica nazionale e organizzare il programma nazionale in funzione delle stesse; 3. implementare progetti pilota verticali specifici in grado di creare sinergie e vetrine a esemplificazione di possibili applicazioni altrove; 4. coinvolgere i maggiori soggetti high tech a livello nazionale per testare, industrializzare e trovare la soluzione adatta ad aumentare la competitività di tali aziende; 5. non esitare a mettere in atto iniziative al presente, ma impegnarsi anche in strategie di lungo termine.

* Hiroshi Maruyama è amministratore delegato dei gruppi di Servizi e Risorse di Sostenibilità di Accenture. Il suo lavoro prevede la formulazione di master plan per le infrastrutture urbane, compresi i servizi pubblici e le città intelligenti. Ha preso parte a una vasta gamma di progetti di consulenza, principalmente in campo chimico, dell’industria dei materiali e della produzione di energia, occupandosi sia di formulazione di strategie di crescita e ristrutturazione aziendale, sia di rinnovamento aziendale e organizzativo a livello globale. * Nobuko Asakai è la capo area giapponese per il settore Sustainability Services di Accenture. Ha preso parte a progetti di infrastrutture intelligenti sin dal 2008, tra cui i progetti Fujisawa SST, Aizu ed Estonia. È stata inoltre a capo del maggiore progetto pilota di Smart City – Yokohama Smart City – vincitore del summit Barcelona World City nel 2011. * Masahito Sugihara è senior manager del gruppo Strategy di Accenture e ha maturato esperienza sul campo in materia di sostenibilità. Ha trascorso gli ultimi cinque anni a sviluppare esperienze relativamente a IT Green, reti elettriche intelligenti, veicoli elettrici e a energia rinnovabile, tecnologie intelligenti e urbanizzazione sostenibile. Negli ultimi tre anni si è dedicato al progetto Fujisawa Sustainable Smart Town (SST) della società Panasonic, partendo da un progetto iniziale di master plan, sino all’effettivo lancio dell’attività. Ha inoltre sostenuto l’implementazione globale di pannelli fotovoltaici, batterie di stoccaggio e tecnologia HAN (Home Area Network), al fine di promuovere il modello Fujisawa SST a livello mondiale.


J

apan has long been one of the most active countries in the development of Smart Cities. But on March 11, 2011 (3.11), the earthquake and tsunami that struck the Tohoku region gave a new impetus to the nation’s commitment to intelligent urban development, making the country a test bed for similar initiatives worldwide. Japan’s smart city initiatives got fully underway in 2010 when the Ministry of Economy, Trade and Industry (METI) coined the term “smart community”. However, its origins go back to the creation of the New Energy and Industrial Technologies Development Organization (NEDO), a METI financed body that was established in the wake of the energy crises of the 1970s. NEDO’s R&D work has included the Green Grid Initiative in New Mexico, USA, as well as 57 technology pilots in emerging markets such as China, Malaysia, Myanmar, and Thailand. Against this background, the smart community concept has

encompassed not just smart grids but a broader range of technologies such as intelligent buildings, smart homes, electric vehicles and community wide ICT integration platforms. The result is strong government support for integration with international best practices. The principal drivers for Smart Cities in Japan are the need for export growth, the desire to attract global investment in innovation and the increasingly severe issue of energy. With strong manufacturing industries and political commitment, the conditions seem ripe for Smart Cities in Japan. Yet, more can be done to achieve true urban innovation at scale. By 2025, 30% of the Japanese population who are today employed or seeking employment will be over 60. To address the twin themes of “sustainability” and “silver economy” cities and corporations should go beyond energy, be less “gadget” driven, and be pragmatic about how to operate during a time of

Ratio of German Renewable Energy Companies Interested in the Japanese Market

demographic shift. Rural towns may need to find a platform to revitalize their economies, and corporations must create new definitions of value to adapt to a changing society. The combination of Japan’s externally facing drive and its domestic policy environment has transformed Japan into an attractive place for sustainable businesses, which in turn should maintain momentum in Smart Cities. In a recent survey for METI’s Invest Japan project conducted by Accenture at Intersolar Europe 2012 in Germany to support the Japanese government’s Invest Japan initiative, 42% of the German participants expressed positive interest in Japan as an investment destination. Green growth is now central to attracting foreign direct investment into Japan. In the last year alone, solar companies such as Gestamp, Sillen, Yingli, Solarworld, announced plans to launch operations in Japan, and companies such as Dyesol and Intelligent Energy Holdings will

Companies’ Voices

N= 124* Cos. ✓ “Interested in Japan as our next market, since there is a demand for high-end products”

Not interested in the Japan Market:

Interested in the Japan Market:

72 Cos. (58%)

52 Cos. (42%)

✓ “Japan has more than 100 BIPV integrators --- extremely interesting” ✓ “Japan is a starting market and is interesting” ✓ “We assume the Japan market will grow substantially in the near future”

* The total number of German companies interviewed at Intersolar Europe 2012 Source: Accenture survey for METI’s Invest Japan project.

✓ “Thinking about entry into the Japanese market, given the potential market increase from the new Feed-in-Tariff system”

be creating R&D facilities supported by the Japanese government. These longer term issues of energy, export performance and investment in innovation were put into stark relief on March 11, 2011. The consequent nuclear meltdown at the Fukushima power plant presented Japan with a domestic energy crisis and the need to reconstruct the Fukushima region. Smart Cities have since taken center stage on Japan’s agenda. Smart Cities do not exist in a policy vacuum, and 3.11 catalyzed a rapid change. In the aftermath of 3.11, the government offered energy producers 42 yen per kilowatt-hour for solar-generated electricity, should they produce 10 kw or more. Electricity rates have increased 87 yen per month on average and the heated debate over the future of Japan’s energy mix is a central theme in the country’s elections. As a result of the crisis, 80% of electricity will be smartly metered by 2016. The introduction of renewable energy is to be accelerated with Zero Emission Houses (ZEH) and Zero Emission Buildings (ZEB). Four national Smart City technology pilots in cities such as Yokohama and Toyota City, will be completed by 2014, and the findings will be leveraged for a nationwide rollout. Projects like Aizu Wakamatsu in Fukushima and Panasonic’s Fujisawa Sustainable Smart Town are among the first projects to go beyond energy and realign their compass for the longer term future. Although vastly different in scale and scope, these projects offer insight into what is to come. Aizu Wakamatsu City A city of 125,000 residents, Aizu Wakamatsu, was already suffering from industrial decline

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when the earthquake struck. The historic capital sits outside the radiation contamination zone and became home to many evacuees. A few months after the earthquake, Accenture established a partnership with the City and Aizu University in an effort to reinvigorate industry and transform Aizu Wakamatsu city into a center for renewable energy and ICT outsourcing. Sustainable growth through open innovation and ICT characterize Aizu. NTT DOCOMO has launched a remote application development and test center for smart devices. The Japanese government is supporting pilot cloud-based services that integrate sensors throughout the city. Such new forms of collaboration between industry, academia, and government may be key to the transition from pilot to scale. Fujisawa Sustainable Smart Town The Fujisawa Sustainable Smart Town (FSST) is a new development project led by Panasonic. The FSST will be built from scratch on a 19-hectare former factory site owned by Panasonic, and a total of 1,000 homes to be occupied by 3,000 people are

scheduled to be built for sale by 2018. With an aim to “bring energy to life”, the FSST has ambitious targets, including reducing CO2 by 70% compared to 1990 and reaching renewable energy usage rates of at least 30%. Also planned is a Community Continuity Plan (CCP) to secure a 3-day energy lifeline in the event of an emergency such as a power outage. This final goal on safety and security was included after 3.11. The use of high-quality cutting edge technologies, built upon the bedrock of Panasonic’s technical foundation and informed by the needs of changing society is planned to be the hallmark of the FSST. A planned energy management service is projected to introduce a total of approximately 3 megawatts of solar panels and approximately 3 megawatts of li-ion storage batteries. A planned security network service is intended to link lighting with sensors to optimize energy use. The FSST is also planned to boast comprehensive mobility sharing services that include E-bikes with replaceable batteries, backed up by battery swap stations that can be used to provide a variety of delivery services.

The Fujisawa project has launched a joint venture company for town management. The FSST is to be the first to launch a commercially viable management model for town management services in Japan that addresses the long term challenge of creating sustainable revenue to finance such initiatives. The town management service is planned to provide one-stop access for eight services such as energy, mobility, security, and asset management and include a shared ownership model of the town’s assets to improve community and property value. The town management JV is as innovative as any technology development. For example, the JV is expected to integrate data from government and private sector owned security cameras and LED lighting sensors. The plan includes elements to encourage residents to help patrol the community. Panasonic has indicated an intention to work with a research institution to clarify the SROI (Social Return On Investment), or in other words, the public value created through the transition to the shared ownership model at a city scale. Panasonic’s leadership in the Fujisawa project is a testament to the reinvigorated approach to Smart Cities in Japan. Environmental sustainability remains central, and the “silver economy” is also growing in importance. However the collaboration between private and public sectors may also help to redevelop urban infrastructure in ways that address the country’s energy challenges as well as attract global investment that supports Japan’s long term export and economic performance. The lessons learned in Japan and around the world are now being applied in Italy.

The key imperatives include: 1. Integrate Smart Cities as part of a national fuel mix strategy. 2. Look at Smart Cities with the country lens and organize your national program around it. 3. Implement vertical and focused pilots that can create synergies and showcases to demonstrate possibilities elsewhere. 4. Involve the largest and high tech national champions to test, industrialize and find the right way forward, which could increase the competitiveness of those companies. 5. Do not hesitate to implement initiatives now, but commit to a long term strategy.

* Hiroshi Maruyama is a Managing Director in Accenture’s Sustainability Services and Resources groups. His work includes formulation of master plans for urban infrastructure, including public services and intelligent cities. He has been involved in a wide variety of consulting projects, mainly in the chemicals, materials and energy industries, ranging from growth strategy formulation and business regeneration to business and organizational reform at a global level. * Nobuko Asakai is the Japan lead for Accenture’s Sustainability Services. She has been involved in intelligent infrastructure projects since 2008, such as Fujisawa SST, Aizu and Estonia amongst others. She has also led Japan’s largest Smart City pilot—Yokohama Smart City, winner of Barcelona World City summit in 2011. * Masahito Sugihara is a Senior Manager of Accenture’s Strategy group and belongs to sustainability practice. He has spent the last 5 years developing expertise in Green IT, smart grid, renewable, electric vehicles, smart technologies and sustainable urbanization. For the last 3 years, he has been dedicated in the Panasonic Fujisawa Sustainable Smart Town (SST) project, supporting from an initial master plan design to actual business launch. Also, he has been supporting global implementation of solar panels, storage batteries and HAN (Home Area Network) technology, in order to promote the Fujisawa SST model to the entire world.


L’Architetto e la Smart City The Architect And The Smart City Intervista a Odile Decq* Interview with Odile Decq*

Un’architettura correlata sempre meno alla semplice produzione di forme e sempre più alla creazione di relazioni intelligenti che aiutino le persone a vivere meglio An architecture less oriented toward things shape and more toward intelligent matchmaking, helping people live better

prendere, quanto tempo sarà necessario per arrivare a destinazione, ecc. Volendo applicare al territorio urbano la nozione di progresso che vediamo applicata agli oggetti, possiamo dire che la Smart City è qualcosa che in un certo senso facilita la vita dei cittadini.

Odile Decq

S

olitamente parlando di Smart City si pensa a piani, strategie, programmi, piattaforme, tecnologie per l’innovazione. Tra l’altro l’Europa presenta anche una contraddizione per il fatto che quando si parla di città in generale si tratta di città storiche. Con il Museo MACRO a Roma lei ha acquisito una certa esperienza in questo senso. Cosa significa per lei “Smart City”? La Smart City è una questione che interessa il territorio in termini di reti e di infrastrutture. Si tratta di qualcosa che a livello fisico ha sulla città un impatto minore rispetto all’urbanistica; si tratta di qualcosa di correlato alle comunicazioni e alle infrastrutture. Io penso che la Smart City possa anche essere una città storica, il che rappresenterebbe una sfida affascinante in ragione del fatto che ne sembra una contraddizione, ma è proprio questo l’aspetto interessante. Se prendo in considerazione Roma, in qualche modo questa città è già una città intelligente per la struttura stessa delle sue strade e delle sue piazze, e per l’organizzazione territoriale che mette in comunicazione costante i suoi

cittadini. In questo senso, si può dire che è una città intelligente. Oggi, tuttavia, quando si parla di Smart City si fa riferimento all’idea di tecnologia, collegata a sua volta al sistema di comunicazione. Ciò comporta che, a una fermata di autobus, ad esempio, è possibile sapere dal proprio cellulare dove si trova la fermata successiva rispetto al luogo in cui ci si trova: è possibile quindi programmare il proprio viaggio sapendo con quale frequenza passa l’autobus, la direzione da

La domanda sorta di recente è se l’architettura può esserne partecipe... Certamente. Attualmente sto lavorando a un progetto nel nord della Francia, su un’isola all’interno della città, dove lavoriamo all’applicazione di una “smart grid”. L’intelligenza consiste proprio in questo, la messa in rete o la messa in relazione o l’informatizzazione che viene sviluppata all’interno di un quartiere reale su quest’isola. Si tratta, in sostanza, di fornire la possibilità ai singoli individui di semplificare la propria vita rispetto agli oggetti e alle tecnologie di cui hanno bisogno per vivere. Oggigiorno si sperimenta già questo concetto nel concreto, con le auto. L’auto ti parla, ti mette in guardia, ti avvisa se è presente

Great site of Homo Erectus Fossil Museum, Nanjing, China.

un ostacolo quando fai retromarcia, ti avverte della presenza di ostacoli davanti a te, si accende da sola. Fa tutto da sola, tutto; l’auto di oggi è un oggetto “intelligente”. Lo stesso concetto viene applicato alla città, all’organizzazione della città e alle necessità presenti all’interno della città: gli spostamenti, le relazioni tra gli individui, le connessioni tra gli edifici e quindi l’architettura. Di fatto l’architettura, nella sua accezione di forma o oggetto, non è materia specifica delle Smart Cities. È buffo perché quando si parla di Smart Cities e quando si guardano le immagini elaborate dagli architetti si tratta sempre di immagini futuriste perché si tende a elaborare immagini futuriste. Queste immagini, però, non differiscono di molto dalle immagini futuriste degli anni Sessanta. È una forma futurista, se così posso dire, che è stata ereditata dal periodo più futurista che abbiamo avuto, e cioè gli anni Sessanta. Si tratta dello stesso sviluppo che si è avuto negli anni Ottanta, quando si è

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cominciato a lavorare con forme flessibili che i computer hanno poi aiutato a realizzare, e sono stati sviluppati software in grado di ottenere queste forme, ecc. Tutto questo progresso ha creato forme architettoniche più fluide. Ma l’”architettura intelligente” è tutto questo? Non penso, tutto questo è soltanto una forma. Forse i materiali possono essere influenzati dalla “smartness”? I materiali, sì, perché oggi, nella fase di sviluppo dei materiali, si è in grado di aggiungere intelligenza alla materia. Prendiamo ad esempio i tessuti; è incredibile l’evoluzione che si è avuta. Oggi esistono tessuti che puoi indossare e che possono contenere dei trattamenti farmacologici per curare una specifica malattia. Esistono tessuti in grado di contenere sostanze medicinali, oppure di riscaldare a richiesta, a seconda del grado di freddo all’esterno. Se fuori fa freddo, di colpo il tessuto reagisce e ti riscalda, oppure si rinfresca se fuori fa caldo. Oggigiorno esistono tessuti intelligenti che sono veramente incredibili. Sono come i materiali che hanno memoria della forma: prendi un metallo, o un materiale che sembra di metallo, lo metti in forma e questo è in grado di “ricordarsi” della forma in un secondo momento, conservandone memoria, e anche se il pezzo di metallo viene appiattito, riprende di nuovo la forma che gli si era data. Oggi esiste una grande quantità di materiali come questi. La “smartness” viene così applicata alla fisica. Quando si osservano gli sviluppi della fisica ci si rende conto che effettivamente vi è una continua ricerca di nuovi prodotti risultanti da un mix di più materiali diversi a cui viene applicata l’intelligenza.

Great site of Homo Erectus Fossil Museum, Nanjing, China.

Sì, è evidente che i materiali sono importanti, e sono importanti all’interno delle Smart Cities, e della “smart grid”. Pensa che per ottenere tali materiali possa essere interessante fare ricerca come architetto, o fare ricerca su più larga scala? Ritengo che per gli architetti possa essere interessante entrare in contatto con chi fa ricerca sui materiali, come penso pure che chi sta sviluppando questi nuovi materiali abbia bisogno degli architetti per sapere di cosa c’è necessità. Questo in ragione del fatto che il modo di pensare degli architetti si caratterizza per una eccezionale capacità di sintesi di una grande quantità di informazioni, che poi è il principio stesso dell’architettura.

Per questa ragione può essere interessante avviare una collaborazione che permetta di creare sinergie innovative rispetto alla messa in relazione del progetto con la robotica, le biotecnologie, i problemi legati al cambiamento della vita quotidiana, lo stile di vita dei giovani e degli anziani. La sua idea di Smart City come città dove la tecnologia possa essere di aiuto anche agli anziani mi sembra interessante... sarebbe magnifico avere degli esempi. Ben volentieri. Il quartiere di cui parlavo prima, dove sto lavorando, nel nord della Francia. Il sindaco di questa città è un deputato europeo ed è medico. Si interessa agli

anziani e lavora come medico con questa fascia di età. Quando ho parlato con lui, a più riprese mi ha detto: “In realtà non esiste l’anziano come tipologia unica di individuo, ma vi sono vari livelli di anzianità: da chi mantiene inalterata la propria abilità motoria ed è autosufficiente, a chi non lo è. Tra i due estremi, esiste tutta una serie di livelli, e oggi si vive sempre più a lungo, si può vivere fino a centodieci anni, e si considera una persona “anziana” a sessant’anni . Da sessanta a cento fanno quindi quarant’anni con varie tappe possibili di invecchiamento. E poi c’è chi a cento anni è ancora perfettamente autonomo, in grado di spostarsi,


Non è quindi preoccupata per il suo futuro di architetto, ma in linea di principio ritiene che gli architetti abbiano ancora una funzione, un ruolo, all’interno delle Smart Cities? Certamente, il ruolo è proprio quello di riflettere su tutto questo. Ecco perché ritengo che il ruolo dell’architetto sia sempre meno correlato alla semplice produzione di forme e sempre più alla creazione di “relazioni” intelligenti che aiutino le persone a vivere meglio. Pensare alla forma è sicuramente importante, ma non è sufficiente, oggi non è senz’altro più sufficiente... È per questo che sono interessata agli aspetti sociali, ed è per questo che le grandi questioni legate alla scienza e alla tecnologia – dalla medicina all’architettura – mi toccano molto da vicino: perché questo vuol dire lavorare per il bene degli individui.

Phantom Restaurant Opera Garnier, Paris.

in perfette condizioni mentali e sano. Allo stesso tempo, si avverte a quell’età un affaticamento del corpo che necessita di aiuto e non di oggetti. Un altro aspetto da evitare è quello di creare all’interno della città dei luoghi dedicati solo agli anziani. L’idea quindi per il nostro quartiere è quella di dire “ecco, ci sono delle persone specializzate nella gestione degli appartamenti per anziani”: abbiamo quindi l’organizzazione e gli aiuti, ma non vogliamo costruire edifici per soli anziani. Intendiamo vendere a queste imprese vari appartamenti dislocati un po’ dappertutto all’interno del quartiere dove inserire gli anziani. Gli operatori dovranno gestire

gli appartamenti nei vari punti della zona. Questa scelta contribuirà a mischiare gli anziani con i giovani e quindi con le famiglie, con i bambini, al fine di permettere alla città di ricostituirsi come un sistema misto e non separato. Questo è un concetto interessante ed è anche per questa ragione che in quest’isola (anche in ragione del fatto che abbiamo EDF, la società elettrica, come nostro partner) appronteremo delle piccole utilitarie elettriche a disposizione degli abitanti. Questo grazie alla particolare conformazione del luogo, per il fatto che si stratta di un’isola, di un’area delimitata, in qualche modo isolata, e comunque con grandi distanze da percorrere

al suo interno. Invece che utilizzare la propria auto, gli abitanti potranno rivolgersi a una società specifica dedicata agli spostamenti all’interno dell’isola. Sarà come una specie di hotel, dove un concierge sarà in grado di offrire vari servizi, anche l’uso di un’auto elettrica. Sarà semplicemente necessario prenotare l’auto elettrica: il custode te la manda, tu la prendi, la puoi riportare oppure puoi lasciarla in città, come preferisci. In questo modo viene creato tutto un sistema di servizi all’interno del quartiere volto a semplificare la vita degli abitanti: non si tratta solo di un progetto che siamo in grado di realizzare, ma si tratta anche di un progetto appassionante su cui val la pena riflettere.

* Tra le principali esponenti delle avanguardie nell’architettura contemporanea, Odile Decq fonda lo studio ODBC insieme a Benoît Cornette, con cui lavora fino alla sua tragica scomparsa nel 1998. Nel 1990 realizzano la Banque Populaire de l’Ouest a Rennes, edificio più volte premiato che li avvia alla notorietà internazionale. Le loro ricerche sono coronate dal Leone d’Oro alla Biennale di architettura di Venezia nel 1996. Alla morte di Cornette, Odile Decq rimane sola alla guida dello studio ODBC. Il suo profilo sulla scena internazionale è ulteriormente consolidato dal successo ottenuto con il progetto del MACRO, museo d’arte contemporanea della città di Roma, inauguratosi nel maggio 2010. Insignita di numerosi importanti riconoscimenti, è fortemente impegnata nella didattica (Ecole Spéciale d’Architecture di Parigi, che dirige fino al 2012) ed è visiting professor in diverse università straniere, tra cui la prestigiosa Columbia University di New York.

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ormally when we talk about Smart Cities, we think of plans, strategies, programs, platforms and innovative technology. There is also a contradiction in Europe in the fact that cities, in principal, are historical sites. You have significant experience in this field with your MACRO Museum in Rome. What does “Smart City“ mean to you? A Smart City is a regional issue in terms of networks and infrastructure. It’s something that impacts the city on a physical level that is more “lightweight“ than urban development, and linked to communications and infrastructure. For me, a Smart City may also be a historical city, which can be challenging precisely because it seems contradictory—and that is what’s interesting. If I look at Rome, in a way it’s already somewhat of a Smart City because of how the streets and squares are structured, as well as the organization of the city, which puts people in constant communication. One could say that this is a Smart City, but nowadays when we talk about Smart Cities technology is lumped in with it, and technology is linked to the communication system. That means that for buses, for example, you could find out where your nearest bus stop is located on your phone. If you go to the bus stop you can plan your trip, you know how frequently the bus passes, you know where you should go, you know how long it’ll take, and so on. The Smart City is something that in a certain sense facilitates the lives of individuals, to apply the concept of progress to that we have seen before in objects to the urban area.

FRAC Bretagne, Rennes, France.

The question that is raised right away is whether architecture can take part in this... Of course. I am currently working on a project in the north of France on an island in a city, where we’re working on a form of a “smart grid“. It’s a concept of “smartness“, a development of networks, connections setting or information, which is developed in an area on this island. That is to say that it’s possible for people to make their lives easier relative to objects, compared to all the know-how they need to live. Today we already have cars that talk to you, alert you, tells you when you’re backing up that there is an obstacle, that there is something in front of you, lights up by itself—it’s all automatic, so the car of today is really a “smart“ object. This is the same thing that is applied to the city, the city’s organization and the needs that we have within the city itself:

travel, connections between individuals, connections between buildings and thus, architecture. In fact, within the meaning of shape or object, architecture has nothing to do with Smart Cities. We’re talking about Smart Cities, and when we see images by architects, they’re still futuristic because we continue to make futuristic images, but at the same time the futuristic images that are produced are not very much different than those from the Sixties. It’s a futuristic form, if I may, which is inherited from the most futuristic period that we’ve had—the Sixties. It’s the same thing that existed in the Eighties, when we started to work on flexible forms and not long after computers helped make these forms, then software was developed to do so, etc. In turn, that produced more fluid architectural forms. But is this “smart architecture“? No, I don’t think so—it’s just one form of it.

Can materials be affected by “smartness“? Materials, yes—because in today’s day and age we know how to add “smartness“ into materials during their development. For example, in regards to fabrics, you know that there have been amazing developments when you can put them on your body and they can contain medicine for an illness you’re suffering from. It will contain medicine, or be able to keep you warm because it was created to do so, because it is cold outside and it will quickly respond to provide heat—or cool you down when it is hot outside. Today there are smart fabrics that are absolutely incredible. It’s like shape-memory materials: you can take a metal or metal-like material, form it into a shape and it will “remember“ the form that it was given afterwards. Even if you flatten it back out it is able to reproduce the shape on its own... there are plenty of


FRAC Bretagne, Rennes, France.

materials like that today. We put “smartness“ into physical terms. When you seek out physical development you discover that people are indeed looking for new materials that are a blend of different materials, in which “smartness“ can be added. Sure, but materials are clearly important, and they’re significant in view of Smart Cities and in “smart grids“. In making this happen, do you think it would be more interesting to do research as architects or drive research on a larger scale? I think it is interesting for architects to have relationships with people who think about these things. People who think about these things need architects to know what we need too, because the way architects think enables them to synthesize information in full, as it is the very principle of architecture itself. It is for this

reason that it’s interesting. Our minds work in such a way that they allow us to create “sparks“ inside our heads in relation to the project, implemented in conjunction with robotics, biotechnology, the problems of changes in daily life, the lives of young people and the elderly. Your idea of a Smart City as a city where technology can also help the elderly is intriguing. If you had examples of this, that would be great. Of course, there’s the neighborhood that I mentioned before, that I’m working on in the north of France. The city’s mayor is a member of the European Parliament; he’s involved, he’s a doctor and he’s concerned about the elderly and those who assist them. I’ve spoken with him on several occasions, and he’s said that, “There isn’t just one single kind of senior citizen, there are several classes of

them—including those who are fully mobile and autonomous and those who are not. But between these two there are many different levels, since we can live up to 100, 110 years old and we currently consider people ‘elderly’ at sixty.“ So from 60 to 100 years old there is a 40-year period that can go in any number of ways, and then there are people who at 100 years old are fully autonomous, who still get around, have full mental capacity and are healthy. But at the same time the body gets tired, which requires assistance. The second thing is that we shouldn’t be creating spaces in the city for the elderly. The idea in our neighborhood is to have people specialized in managing apartments for the elderly, so the organization and aid is there, but we won’t build a building for the elderly. We will sell multiple apartments around the neighborhood to these companies in which the elderly can be housed, and they will manage all of the apartments in order to mix the elderly population with non-elderly, therefore with families and children, to allow the city to rebuild itself as a mixed system and not a separate one. This is interesting, and it’s for this reason as well that this island (because we’re working with EDF, the power company) is going to make electric cars available to people; it’s an island, so it is closed off. It’s quite isolated and the distance between things on the island is great, so rather than use their cars there will be a dedicated spot on the island where there will be an attendant (like a hotel concierge) who can provide multiple services, such as that for electric cars. You can reserve an electric car, the attendant will send it to you, then you can take it out and be brought back home,

go around the city, etc. There is a system of services in the neighborhood simply to help people to live, because we can, and it’s exciting to think about these types of things. So as an architect you’re not worried about your future, but in principal do you think that Smart Cities can serve a function, or a role, for architects? Of course, it should be thought about, but it’s for this reason that I think more and more that architects are not just those who give things shape, but rather someone that develops intelligent “matchmaking“ and helps people live better, at least to me. Because shapes are good, but they’re not sufficient, definitely not sufficient... that is why social aspects interest me, and why large issues in science and technology—from medical to architectural—interest me, because it’s work for people.

* A leading exponent of the avantgarde architecture community, Odile Decq founded the ODBC firm with Benoït Cornette, with whom she worked until his premature death in 1998. In 1990 they designed the Banque Populaire de l’Ouest in Rennes, a building that won a number of awards and made Decq and Cornette internationally famous. Their work was crowned with the Leone d’Oro at the Venice Architecture Biennale in 1996. On Cornette’s death, Odile Decq remained alone at the helm of ODBC. She has consolidated her international profile with the success of the project for the MACRO contemporary art museum in Rome, opened in May 2010. Decq has received many important awards and is actively involved in teaching (Ecole Spéciale d’Architecture in Paris, which she headed until 2012). She is a visiting professor at a number of international universities, including Columbia University in New York.

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Città ancora più intelligenti Smart[er] Cities Intervista con Nashid Nabian* Interview with Nashid Nabian*

Urbanizzazione, sostenibilità e simbiosi produttiva tra ambiente costruito e il suo più ampio contesto naturale Urbanization, sustainability, and a productive symbiosis between the built environment and its greater natural context

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Nashid Nabian

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mart Cities. Che significato ha questo concetto nella ricerca presso la GSD di Harvard? L’idea di Smart Cities è un tema multidisciplinare emergente all’interno delle ricerche svolte presso la Graduate School of Design (GSD) di Harvard. I due concetti chiave associati alle Smart Cities, in materia di logica operativa, sono la sostenibilità ambientale e la sostenibilità sociale nell’ambito del contesto urbano. Le due parole chiave di questi concetti sono “sufficienza” ed “efficienza”. La questione è: quali risorse si rendono necessarie e in che modo il loro allocamento può essere valutato alla luce di tali criteri? In questo senso, in linea con le iniziative di ricerca della GSD di Harvard, la creazione di città “più” intelligenti sembra il passo logico successivo, o parallelo, al concetto di urbanistica ecologica, un ulteriore progetto di ricerca che verte su temi di sostenibilità ambientale e sociale. La ricerca interdisciplinare presso la GSD relativamente alle Smart[er] Cities – città “più” intelligenti – si può intendere quindi come riflesso dell’influenza catalizzatrice dell’urbanistica ecologica, sostenuta dal preside di facoltà

Mohsen Mostafavi, un concetto presente nei principali contesti intellettuali rappresentati nelle ricerche e nei casi di studio all’interno della GSD, volti a questioni critiche di urbanizzazione, sostenibilità, e simbiosi produttiva tra aree urbanizzate e il loro contesto naturale più ampio. La GSD di Harvard ha iniziato una collaborazione con l’Università di Bergamo sulle Smart[er] Cities. Come ha avuto inizio questa collaborazione? Lo scambio è nato sulla base di un mutuo interesse e impegno sui temi di progettazione delle Smart Cities e delle loro implicazioni sociali. Il lavoro sulle Smart Cities ha visto il coinvolgimento del Dipartimento Urban Planning and Design della Harvard Graduate School of Design, con l’obiettivo di creare un catalogo esauriente di soluzioni innovative a livello tecnologico e intelligenti in materia urbanistica, per uno sviluppo e una crescita urbana sostenibile, e insieme per sviluppare l’applicabilità di tali soluzioni ad aree problematiche identificate come specifiche della Città di Bergamo. I risultati di questa collaborazione saranno integrati

con un’iniziativa attualmente in corso presso l’Università di Bergamo, chiamata CITTÀ 2.(035), focalizzata su una visione innovativa dell’area di Bergamo per l’anno 2035. Le Smart[er] Cities, intese come contesto emergente e di svolta, considerano la produzione di conoscenza Mode 2 il paradigma preliminare per la produzione di rigorosi progetti urbanistici accademici basati sulla ricerca, e ricerche basate su progetti urbanistici. I confini convenzionali tra le varie discipline vengono rinegoziati al fine di ottenere il massimo coinvolgimento e una collaborazione più efficiente tra urbanistica e architettura, ingegneria del software e dell’hardware, architettura industriale e interattiva, e le Belle Arti, per citarne alcune. Le prospettive sono veramente promettenti e ricche di spunti, specialmente per i pianificatori delle aree urbane e gli urbanisti. Il concetto di Smart City viene spesso associato (soltanto) all’importanza sempre maggiore delle Information and Communication Technologies, che potrebbe essere percepita come troppo “complicata” dagli stakeholders europei, e in particolare italiani, anche tenendo conto del background storico delle città italiane. Stiamo seguendo – e personalmente sostengo – il modello europeo delle cinque dimensioni delle Smart Cities – Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, and Smart People (gestione intelligente, economia intelligente, ambiente intelligente, stile di vita intelligente e persone intelligenti). La governance della Smart City

dovrebbe essere sia decentrata che centralizzata. Dovrebbe beneficiare di una logica operativa ibrida, orientata sia dall’alto verso il basso, che viceversa. Prendendo spunto dai principi che sottendono il concetto di “progettazione anticipatoria” (anticipatory design), un termine coniato da Buckminster Fuller, la gestione della Smart City dovrebbe essere connotata dall’anticipazione. La gestione anticipatoria significa pensare a tutto tondo, nonché agire anticipatamente e avere una visione di un futuro che sia il migliore possibile. Ciò non significa semplicemente teorizzare su come le cose dovrebbero essere, quanto adottare un approccio proattivo, coinvolto e coinvolgente, basato sull’azione. Per quanto riguarda la smart economy, dobbiamo partire dalla considerazione che, a questo punto, la popolazione mondiale si è concentrata stabilmente nelle metropoli, e siamo testimoni di un aumento sostanziale della dimensione media delle aree urbane nel mondo intero. In questo contesto, la capacità delle città di essere competitive e di avere una crescita sostenibile fa sì che l’attenzione di funzionari e politici si concentri sull’assicurare il livello desiderato di qualità in relazione a tutto ciò che riguarda una smarter economy. L’ambiente intelligente si riferisce alle relazioni tra Smart City e natura, e ciò comporta un’attenzione specifica al punto di vista ambientale in fase di creazione e gestione delle dinamiche urbane e del loro impatto ecologico. Lo stile di vita dei contesti urbani può essere reso anch’esso più intelligente, e gli interventi possono variare da extra large a extra small, a copertura di tutte le possibilità di scala. L’intervento extra large è rivolto alla città stessa, la taglia large è per gli


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spazi pubblici urbani, la medium è rivolta all’edilizia, la small riconduce all’artefatto urbano e all’arredamento, e l’extra small è per gli oggetti rinnovati, nell’ottica di renderli più intelligenti. Lo smart living, considerato come una dimensione delle Smart Cities, comporta l’innescarsi di cambiamenti comportamentali positivi, sia nelle azioni di vita quotidiana che nei processi decisionali all’interno dei contesti urbani, includendo decisioni legate tanto alla mobilità individuale quanto alle riforme istituzionali, quali l’offerta di servizi sanitari così come la promozione di stili di vita urbana più sani. Il concetto e la logica operativa delle Smart Cities sono promotori di sostenibilità sociale mediante la creazione di comunità equilibrate, civilizzate e a misura d’uomo, in contesti urbani ben mantenuti. L’obiettivo è di dare voce alle persone, in particolare ai cittadini, e promuovere l’impegno della comunità per eliminare la fonte dei problemi urbani. A questo proposito, ad esempio, l’arte pubblica svolge un ruolo importante nella trasformazione degli spazi condivisi della città in spazi di interazione e luoghi di discussione tra cittadini su temi specifici legati al territorio.

In che modo vede la relazione tra industria e mondo accademico, in termini di progetti di R&S all’interno delle Smart Cities, e il processo di trasferimento tecnologico e di conoscenza dal mondo accademico a quello della vita reale, orientato al mercato e basato sull’economia? I risultati della cooperazione tra la GSD di Harvard e l’Università di Bergamo relativamente alle Smart Cities saranno integrati in un progetto di ricerca, in fase di sviluppo, condotto dall’Università di Bergamo e chiamato Bergamo 2.(035) che verte su una visione “smart”, innovativa e basata sulla tecnologia, per l’area di Bergamo nel prossimo futuro. In termini di relazione tra industria e accademia, nell’ambito dei progetti di Ricerca & Sviluppo riguardanti le Smart Cities, direi che la natura delle aree critiche affrontate mediante la ricerca sulla Smart City conduce a un coinvolgimento proattivo dell’industria, sia in termini di fornitura della conoscenza contestuale necessaria, sia di supporto finanziario a tale iniziativa. Questo è esattamente quanto è successo nel corso della nostra visita a Bergamo qualche mese fa. Il nostro

gruppo ha incontrato numerose istituzioni e personalità che dispongono dell’autorità e del potere politico, culturale, finanziario e sociale per “far succedere” le cose, tanto all’interno della città quanto in un contesto più ampio. Penso, quindi, che il progetto Bergamo 2.(035), per quanto riguarda la Ricerca & Sviluppo, sia un esempio perfetto di collaborazione tra industria e mondo accademico all’interno del contesto delle Smart Cities. Sarà ovviamente necessario porre attenzione alle modalità di sviluppo del progetto. Il processo di trasferimento tecnologico e di conoscenza tra il mondo accademico da una parte, e quello dell’industria dall’altra, è una questione di importanza vitale. In relazione alle Smart Cities i progetti proposti dovranno trovare in futuro una piattaforma e un meccanismo in termini di realizzazione. E questo comporta l’esistenza di determinate piattaforme istituzionali e socio-culturali che permettano la trasmissione di tecnologia e conoscenza tra il mondo accademico da un lato e quello delle reali prassi urbane dall’altro. Tutto ciò sarà però inattuabile senza una focalizzazione consapevole e intenzionale sulla gestione strategica

e imprenditoriale e sulla messa a punto e l’implementazione di strategie industriali accuratamente finalizzate.

* Nashid Nabian, nata e cresciuta a Teheran, Iran, ha conseguito un Master in Ingegneria Edile presso l’Università Shahid Beheshti. Ha proseguito gli studi post-laurea presso la facoltà di Architettura del Paesaggio e Urbanistica dell’Università Daniels di Toronto, dove ha conseguito un Master in Urbanistica che le è valso il riconoscimento della Toronto Association of Young Architects per la sua tesi sulla riqualifica del Waterfront di Toronto. Dal 2003 al 2012, è stata socia dell’Arsh Design Studio, uno studio di architettura, con base a Teheran, i cui progetti sono riconosciuti sia a livello nazionale sia internazionale: Dollat II, un appartamento residenziale progettato dall’Arsh Design Studio è stato selezionato per concorrere nell’edizione 2010 del Premio Agha Khan per l’Architettura, mentre Offices/2 Brothers, un edificio ad uso uffici progettato dell’Arsh Design Studio, è stato selezionato per concorrere al WAF Award del 2011. Nel 2012, dopo la divisione dell’Arsh Design Studio in due studi distinti, è stata co-fondatrice dello (Shift)Process Practice con Rambod Eilkhani. La ricerca di Nashid si focalizza sull’innovazione digitale nell’architettura del paesaggio e nell’urbanistica, in particolar modo degli spazi pubblici, e sul modo in cui le nuove tecnologie possono influenzare l’esperienza spaziale, facendo emergere le necessità e i desideri dei residenti o degli utenti. Attualmente è ricercatore presso il MIT SENSEable City Lab ed è docente universitaria presso il Dipartimento di Architettura della Graduate School of Design (GSD) di Harvard.


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mart Cities. What’s the meaning for the research at Harvard GSD? Smart Cities is an emerging multidisciplinary discourse within the research at Harvard Graduate School of Design (GSD). The two key concepts associated with Smart Cities as a logic of operation are environmental sustainability and social sustainability within the urban context. The two keywords to these concepts are “sufficiency” and “efficiency.” The question is, what resources need to be allocated and how can their allocation be examined against those criteria? For that matter, as a research initiative at the Harvad Graduate School of Design, Smart[er] Cities seems a logical step following or parallel to ecological urbanism, another ongoing research initiative that looks at issues of environmental and social sustainability. The interdisciplinary research at the GSD on Smart[er] Cities is therefore a reflection of the catalytic influence of ecological urbanism, advocated by Dean Mohsen Mostafavi, which is among main intellectual frameworks represented in the research and practices across the GSD that address pressing issues of urbanization, sustainability, and a productive symbiosis between the built environment and its greater natural context.

Harvard GSD has started a collaboration with the University of Bergamo on Smart[er] Cities. What’s the origin of this exchange? The exchange was born of a kind of mutual interest and commitment to design issues of Smart Cities, and their social implications. The work on Smart Cities has seen the involvement of the Urban Planning and Design Department at the Harvard Graduate School of Design, with the goal of creating an exhaustive catalog of technologically enhanced, smart urban solutions based on their intrinsic value for sustainable urban development and growth, as well as their applicability to problem areas identified as specific to the City of Bergamo. The outcome of this collaborative exercise will be integrated into an ongoing initiative at the University of Bergamo titled CITTÀ 2.(035), which is focused on a smartened-up vision of the Bergamo region for the year 2035. Smart[er] Cities as an emerging and cutting-edge trans-disciplinary framework looks into Mode 2 knowledge production as the preliminary paradigm for producing rigorous academic research-driven design and design-driven research. Conventional disciplinary

boundaries are re-negotiated for maximum engagement and a more efficient collaboration encompassing urban design and architecture; software and hardware engineering, industrial and interactive design, and fine arts, to name a few. The field is quite promising and up for grabs, particularly for urban planners and urban designers. The concept of Smart City is often associated (only) to the growing importance of Information and Communication Technologies, which could be perceived as too “unfamiliar” by European and in particular Italian stakeholders, also taking into consideration the historical background of Italian cities. We have been following—and I personally support—the European model of the five dimensions of Smart Cities—Smart Governance, Smart Economy, Smart Environment, Smart Living, and Smart People. The governance of the Smart City should be simultaneously distributed and centralized. It should benefit from a hybrid of top-down and bottom-up logic of operation. Borrowing from the principals of “anticipatory design,” a term coined by Buckminster Fuller, the governance of the Smart

City should be an anticipatory governance. Anticipatory governance means to think comprehensively, and to anticipate and envision the best possible future. It does not merely theorize about how things ought to be; instead, it takes a hands-on, involved, and action-based approach. With reference to smart economy, we have to consider that, at this point, the global population has been steadily concentrating in cities, and we are witnessing a substantial increase in the average size of urban areas all around the world. Against this background, the city’s capacity for competitiveness and sustainable growth has focused the attention of officials and policymakers on securing a desired level of quality in areas related to a smarter economy. Smart environment refer to the relationship between the Smart City and nature, and this exacts a particular focus on environmental sensing to make sense of urban dynamics and its ecological impact. Also the living condition of urbanites can be smartened up and interventions can range from extra large to extra small to cover the possibilities across all scales: extra large is the city itself, large is the public urban space, medium is the building,


small is the urban artifact and furniture, and the extra small is the object that is retrofitted to be smartened up. Smart living as a dimension of Smart Cities looks into making positive behavioral changes in urbanites’ daily operations and decision-making, ranging from individual mobility decisions to institutional reforms such as providing medical services, as well as orchestrating healthier urban lifestyles. Smart Cities as a concept and a logic of operation promotes

social sustainability through creating livable, civilized, and balanced communities in well-maintained urban settings; the goal is empowering people and in particular citizens and fostering community engagement in order to eliminate the source of urban problems. In this regard, for example, public art has a great role to play in transforming shared spaces of the city to spaces of interaction and localized, situated discussion boards among citizens.

How do you see the relationship between industry and academia in terms of R&D projects in the context of Smart Cities, and the process of technology and knowledge transfer from the academic realm to the market-oriented and economy-driven world of real-life situations? The outcome of the cooperation between Harvard GSD and the University of Bergamo on Smart Cities is going to be integrated into an ongoing research project, conducted by the University of Bergamo and titled Bergamo 2.(035), that focuses on a technologically driven smartened up vision for the Bergamo region in the near future. In terms of the relationship between industry and academia in the context of R&D projects focused on Smart Cities, I would say that the nature of the problem areas addressed through Smart City research exacts a pro-active involvement from industry both in terms of providing required contextual knowledge as well as financial support of such initiative. This is exactly what happened during the visit we had in Bergamo few months ago. Our team met with a very impressive roster of institutions and individuals who have the social, financial, cultural and political agency and power to make things happen in the city and its greater context. Therefore, I think a perfect example of collaboration between industry and academia in the context of Smart Cities related R&D is the Bergamo 2.(035) project. Of course, we have to carefully think how the project can move forward. Technology and knowledge transfer between academia on one hand and industry on the other is a critical issue. In the context of Smart Cities,

proposed projects for the future need to find a platform and mechanism in terms of realization. This exacts the existence of certain socio-cultural and institutional platforms that allow for technology and knowledge transfer between the world of academia on one hand and the world of real urban practices. This will not be possible without a conscious focus on strategic management and entrepreneurship and accurately targeted business strategies.

* Nashid Nabian was born and raised in Tehran, Iran, and earned a Master’s in Architectural Engineering at Shahid Beheshti University. She pursued her post-graduate studies at the University of Toronto’s Daniels Faculty of Architecture, Landscape and Design, where she earned a Master of Urban Design degree, and received the Toronto Association of Young Architects award for her thesis on the enhancement of the Toronto Waterfront. From 2003 to 2012, she has been partner at Arsh Design Studio, a Tehran-based architecture office both nationally and internationally recognized for its projects: Dollat II, a residential apartment by Arsh Design Studio, has been short-listed for the 2010 cycle of the Agha Khan Architecture award, while Offices/2 Brothers, an office building by Arsh Design Studio, was short-listed for 2011 WAF award. In 2012 after Arsh Design Studio was divided to two separate offices, she co-founded (Shift)Process Practice with Rambod Eilkhani. Nashid’s research focuses on the digital augmentation of architecture and constructed landscapes, particularly public spaces, and how novel technologies can impact the spatial experience by soliciting the needs and desires of inhabitants or users. Currently, she is a post-doctoral fellow at MIT SENSEable City Lab, while holding a lecturer position in the Department of Architecture at Harvard Graduate School of Design (GSD).

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Projects

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Il mai sopito anelito a una città ideale si è andato configurando negli anni più come ricerca di una città intelligente. Ma oggi, tale accezione sembra diventata in parte limitata e limitante come dimostrano gli approcci più contemporanei che, oltre al pragmatismo della funzionalità ed economicità degli insediamenti urbani, tornano a mettere in primo piano una visione più olistica, comprensiva anche delle necessità sociali e spirituali dei cittadini. The never appeased yearning for an ideal city has been developing over the years as search for a smart city. But today, this sense seems to have become partly limited and limiting as evidenced by the more contemporary approaches that, in addition to the pragmatism of functionality and economy of urban settlements, put back in the spotlight a more holistic vision, comprehensive of the social and spiritual needs of citizens.

L’ideale del sostenibile! Modello neo-illuminista o evoluzione culturale?

The Ideal of Sustainability! Neo-enlightenment model or cultural evolution? Joseph di Pasquale*

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ono passati 200 anni esatti tra la presa della Bastiglia a Parigi nel 1789 e la caduta del muro di Berlino nel 1989. In questo relativamente breve lasso di tempo un grande sconvolgimento ha attraversato la conoscenza umana. Il mito illuminista della scienza e la fede nella possibilità che questa potesse di fatto risolvere ogni problema ha fatto sì che in tutti gli ambiti della conoscenza si siano ricercate delle regole universali, codificabili e dimostrabili che potessero togliere dall’indeterminatezza dell’arbitrio individuale la responsabilità delle soluzioni per affidarle all’oggettività di una apposita e specifica scienza ideata e codificata allo scopo. Questo è avvenuto per tutti gli ambiti dell’attività umana incluse ovviamente l’economia e l’urbanistica che proprio a partire dal XIX secolo hanno preteso di assimilarsi a delle scienze esatte con analisi, codificazione dei fenomeni, postulazione di leggi, e individuazione di teorie applicative. Di conseguenza in ogni settore la definizione di un ideale ha coinciso con l’elaborazione di un modello di tipo matematico-scientifico. Oggi nell’ambito degli studi economici si fa strada l’idea che sia stato profondamente sbagliato il voler considerare l’economia come una scienza esatta interpretando forzosamente fenomeni sostanzialmente governati dalla somma di decisioni umane libere alla stregua di fenomeni deterministici, e cioè governati da leggi fisiche riducibili a numeri ed equazioni di fatto manipolabili in senso astratto. Secondo questa linea di pensiero è proprio qui che risiede l’origine del primato perverso acquisito in economia dal mondo finanziario le cui tragiche conseguenze l’Occidente ha pagato con periodiche crisi di sistema e che oggi stiamo sperimentando nella forma più acuta e forse letale in cui l’economia finanziaria rischia di divorare l’economia reale. In un certo senso la stessa cosa è successa in questi duecento anni per la città. Prima del XIX secolo non esisteva l’urbanistica, cioè la “scienza della città”. Una volta stabilita una relazione deterministica tra città, territorio e sistema economico il processo di trasformazione in “scienza” della materia urbana era di fatto già implicitamente iniziato. Come per l’economia è infatti iniziata una progressiva trasformazione dell’analisi urbana attraverso l’uso di strumenti numerici. Da qui la definizione della qualità in termini di “standard”, di percentuali, di rapporti, di dimensioni e misure minime. Tutta la normativa che ne è seguita e che ancora oggi governa l’attività edilizia e urbanistica, è andata in questa direzione e così come in

economia l’aberrazione di questo approccio ha provocato la sovrapposizione alla realtà di un’economia fasulla e fittizia, in urbanistica è avvenuta la stessa cosa. Le città ideali di origine illuminista che si sono succedute nel XIX e nel XX secolo, da New Harmony di Robert Owen alla Ville Radieuse di Le Corbusier, si sono rivelate modelli tanto attraenti a livello teorico quanto fallimentari e astratti nella loro concreta applicazione mancando totalmente l’obiettivo di raggiungere l’ideale di una nuova e superiore qualità urbana. Milioni e milioni di persone, la maggior parte dei cittadini del mondo, vivono oggi in periferie disumane, risultato di quelle teorizzazioni e di quei modelli, senza identità e omologate a livello globale, dove anche se gli standard e le norme vengono perfettamente rispettati, la qualità urbana complessiva è comunque insoddisfacente, e sempre decisamente perdente se messa a confronto con la città storica, con quella città cioè costruita prima che la “scienza urbana” facesse la sua apparizione. L’errore come per l’economia sta nel considerare la materia urbana una scienza. In realtà l’essenza del tema urbano è molto più complessa e, se ha delle implicazioni di tipo tecnico, queste non sono di tipo scientifico ma più di tipo tecnologico o multi-tecnologico dove il rapporto con la scienza esiste ma è indiretto e strumentale. La tecnologia a differenza della scienza non procede per modelli ma per approssimazioni successive innovando, cioè facendo nuove, le tecnologie precedenti, modificandole e migliorandole. L’obiettivo non è di interpretare in senso astratto la realtà, ma di soddisfare desideri ed esigenze pratiche. Ma come è definibile oggi il desiderio diffuso di città ideale? Nell’indagine sulla qualità della vita nelle città elaborata dalla rivista “The Economist” nel 2009 sulla base di dati raccolti dalla società di consulenza Mercer Consulting di New York, gli oltre trecento criteri adottati per la valutazione sono riconducibili principalmente a tre grandi categorie: la disponibilità di beni e servizi, la sicurezza personale e l’efficienza dei sistemi di trasporto. La disponibilità di beni e servizi è evidentemente connessa in modo essenziale con l’effettiva possibilità di far arrivare nel centro urbanizzato i terminali del sistema produttivo non solo del territorio circostante ma anche dell’intera rete infrastrutturale che innerva il sistema economico. Questa è quella che potremmo definire la “tecnologia urbana” sulla base della quale sono state edificate e si sono sviluppate le città storiche fino a tutto il XIX secolo.


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Questa tecnologia come spesso accade è di derivazione militare, furono infatti i romani a inventare un sistema di accampamenti militari interconnessi tra loro con rapide vie di comunicazione appositamente costruite per consentire il trasferimento veloce di truppe da un accampamento all’altro. Dopo la caduta di Roma, la progressiva cristianizzazione dell’impero e la sempre maggior diffusione di un’idea di “dignità della persona e dell’individuo”, l’energia umana fornita dagli schiavi divenne di fatto “culturalmente insostenibile”. Questo costituì un enorme problema energetico ma allo stesso tempo un formidabile stimolo inventivo. Fu così che tra il IX il X secolo in Europa si iniziarono a scoprire e sfruttare per la prima volta le “energie rinnovabili”: l’eolico e l’idromeccanico. Nacquero e si diffusero rapidamente i mulini sui fiumi e i mulini a vento. Nel XIII secolo in Inghilterra un mulino ad acqua fu collegato a un meccanismo per follare la lana ed ebbe inizio così l’era industriale. L’infrastruttura stradale romana e le nuove fonti di energia furono le basi per la nascita di un nuovo e straordinario sistema produttivo, commerciale e finanziario mai visto prima nella storia dell’umanità che già nel XII secolo aveva tutti i caratteri di complessità e globalizzazione di un autentico sistema capitalistico e industriale moderno. Gli “accampamenti” romani si trasformarono quindi in vere e proprie città, luoghi di scambio, di commercio, di studio, di formazione, e sedi di scuole, banche, mercati e università. La città divenne quindi non solo la massima aspirazione per gli ideali di ricchezza e di sicurezza, ma anche il riferimento per tutti quei valori non materiali che potremmo definire spirituali quali la conoscenza, la ricerca, la cultura, l’arte. Ci sono oggi molte analogie con quel momento della storia che fu fondativo o rifondativo di un ideale di città. Con la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda si è resa disponibile un’infrastruttura rivoluzionaria nata come tecnologia di comunicazione per scopi militari, il World Wide Web. In quindici anni Internet sta di fatto rivoluzionando il mondo dell’economia globale. Tutto si sta riorganizzando in base a questa nuova modalità di trasferimento delle informazioni, del denaro, e delle risorse. Anche oggi ci troviamo in una situazione dove le fonti di energia tradizionali stanno diventando “culturalmente insostenibili” a causa della coscienza diffusa delle conseguenze dannose di uno sviluppo scorretto sull’ambiente e in ultima analisi sul genere umano stesso. Siamo quindi nel pieno di una grande rivoluzione

energetica per scoprire o riscoprire fonti di energia “rinnovabili”, per ricercare tecnologie e materiali “sostenibili” in tutti i settori. La combinazione di una nuova e rivoluzionaria infrastruttura e la rivoluzione in campo energetico sono le premesse di una profonda trasformazione economica e sociale della società che ridefinirà completamente il nostro modo di vivere e lavorare nonché l’organizzazione anche fisica del territorio e della città. La “città sostenibile”, la “Smart City” è oggi la nuova forma di idealità applicata alla concezione della città. Come architetti e come intellettuali, abbiamo oggi l’opportunità e la responsabilità storica di definire le modalità con cui questa aspirazione ideale diventerà realtà, di scegliere in sostanza se rinnovare l’assegno in bianco firmato due secoli fa nei confronti della “scienza”, oppure non farlo e riconsiderare il concetto di progresso nel complesso di una più ampia “sostenibilità culturale” che deve comprendere anche aspetti altri rispetto alle sole componenti tecnico-scientifiche. Questo significa innanzitutto rifiutare l’idea che la sola “tecnica della sostenibilità” e cioè gli ambiti legati all’energia e alla tecnologia possano esaurire il problema. Come pure significa impedire che la diffusione di una nuova normativa di tipo tecnico-scientifico pretenda di costituire la via esaustiva al raggiungimento di un nuovo ideale di sostenibilità e di qualità urbana. Siamo di fronte al pericolo concretissimo della nascita di una nuova casta di tecnici taumaturghi, sacerdoti scientisti della “sostenibilità”, che se supportati da un apparato normativo vincolante pretenderanno nuovamente di avere l’unica chiave, l’unico modello di riferimento per la soluzione nuovamente “scientifica” di tutti i problemi urbani. Come anche il sociologo ed epistemologo austriaco Paul K. Feyerabend ha messo bene in evidenza nella sua critica al metodo scientifico (Contro il metodo, 1975) il pensiero post-moderno o postilluminista è nella situazione di chi è ormai cosciente che oltre al “fenomeno” riducibile in numeri, la totalità della realtà comprende anche altri aspetti che di fatto costituiscono una parte essenziale della realtà stessa. Si tratta quindi di recuperare la storia, la filosofia, l’arte, la sociologia, la psicologia, le tradizioni, le identità culturali e, perché no, anche la cultura della spiritualità e della religione, tutti ambiti nei quali a nulla servono gli strumenti dei “tecnici”, ma che costituiscono criterio di assoluta priorità e di assoluta essenzialità nel processo di approssimazione della città reale verso un autentico e completo ideale di sostenibilità culturale.

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* Joseph di Pasquale (1968), architetto e urban designer, professore a contratto alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, master in Film Making alla New York Film Academy 2001. All’inizio della pratica professionale si interessa al tema della qualità architettonica e ambientale degli insediamenti produttivi di grandi dimensioni. Nel 2007 vince il concorso per l’ampliamento del parco Minitalia a Capriate San Gervasio (BG) e nel 2008 quello per la nuova ecotown di Jingwu in Cina, in cui applica le teorie sull’ecodensità che definisce nel testo “La cittá densa”. L’incontro con la Cina lo porta a interessarsi del rapporto tra globalizzazione e identità culturale elaborando il concetto di “sostenibilità culturale”. Nel 2009 vince il concorso per la sede del Guangdong Plastic Exchange a Canton, Cina, con un progetto ispirato al tema dell’esogramma come segno/simbolo della figurazione architettonica locale. Tra il 2008 e il 2012 tiene varie conferenze e lezioni in diverse università e convegni tra Cina, Europa e Brasile sul tema “globalitarismo architettonico vs sostenibilità culturale”.


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xactly 200 years passed from the storming of the Bastille in Paris in 1789 to the fall of the Berlin Wall in 1989. Shockwaves have shot through human knowledge over this relatively short period of time. The Enlightenment myth of science and the belief that it could solve all our problems has meant that there has been an attempt to discover universal, codifiable and demonstrable rules in every realm of knowledge capable of removing the indeterminacy of individual randomness from the responsibility for coming up with solutions, so that they can be grounded in a special, specific science specially devised and coded for this purpose. This has indeed happened in every field of human endeavor, obviously including economics and townplanning, which, starting from the 19th century, have aimed to take on the same nature as the exact sciences with their own studies, codifying of phenomena, laying down of laws and identifying of practical theories. This has meant that the defining of an ideal in every single field has coincided with the developing of a mathematical-scientific style model. Nowadays there is a growing belief in the field of economic studies that it is a deeply flawed idea to compare economics to an exact science, attempting to interpret phenomena, which are basically governed by the sum of freely-taken human decisions, as if they were deterministic phenomena, i.e. governed by physical laws that may be reduced to numbers and equations capable of being manipulated on an abstract level. According to this line of thinking, this actually explains why the financial world has perversely been given pride of place in economics, with the tragic consequences this has had for the West with its periodic systemic crises, something which we are currently experiencing for ourselves in its most acute and perhaps lethal form, as financial economics is threatening to devour the real economy. In some respects the same thing has happened to our cities over the last 200 years. Town-planning or, in other words, the “science of the city”, did not even exist before the 19th century. Once a deterministic relationship was established between the city, territory and economic system, the process of transforming urban issues into a “science” had already implicitly begun. As in the case of economics, a gradual transformation of urban studies was set under way using numerical tools. This led to quality being defined in terms of standards, percentages, relations, dimensions and minimum measurements. All the rules and regulations that this entailed, and which still control building and town-planning work, was

directed along these lines and, just as in economics the aberration of this approach resulted in the superimposing on reality of fake and fictitious economics, the same thing has happened in townplanning. The ideal cities envisaged by the Enlightenment that came into being in the 19th and 20th centuries, from Robert Owen’s New Harmony to Le Corbusier’s Ville Radieuse, turned out to be as attractive on a theoretical level as they were abstract failures in practice, totally missing the target of achieving the ideal of a new and superior quality of urban life. Millions and millions of people, most of the world’s citizens, now live in inhumane suburbs based on the aforementioned theories and models, totally lacking in identity and globally standardized, where, even if the standards and regulations are abided by to the letter, overall urban quality is nevertheless unsatisfactory and most definitely a failure compared to our historical cities or, in other words, those cities built before “urban science” made its appearance. Just as in the case of economics, the mistake lies in treating urban issues as a science. In actual fact the essence of urban issues is much more intricate and if it does have technical implications they are not of a scientific nature but more technological or multitechnological, with the relationship with science only existing indirectly and instrumentally. Unlike science, technology does not develop along the lines of models but in terms of successive approximations, innovating (i.e. making new) previous technology, modifying and improving upon it. The aim is not to make abstract interpretations of reality but to satisfy practical desires and requirements. So how might we define the widespread desire for an ideal city nowadays? In a survey into the quality of life in cities carried out by “The Economist“ in 2009 based on data collected by Mercer Consulting from New York, the over three-hundred criteria adopted for assessment purposes may mainly be traced back to three main categories: the availability of goods and services, personal safety and the efficiency of transport systems. The availability of goods and services is clearly essentially connected to the actual possibility of enabling the end products of the manufacturing system to actually reach urban centers, not just the surrounding territory but the entire infrastructure and network running through the economic system. This is what we might describe as “urban technology“ based on which our historical cities were constructed and developed right through until the end of the 19th century.


As is often the case, this technology derives from the military, and it was actually the Romans who invented a system of interconnected military camps joined together by specially constructed high-speed communication routes allowing troops to be rapidly transferred from one camp to another. After the fall of Rome, the gradual evangelization of the Empire and increasing spread of an idea of “personal and individual dignity”, human energy provided by slaves eventually became “culturally unsustainable”. This caused a huge energy problem but, at the same time, it really encouraged invention. It explains why “renewable energy sources” began to be discovered and exploited in Europe in the 9th10th centuries: wind power and hydro-mechanics. Watermills along rivers and windmills were developed and soon became widespread. A water mill was even connected to a mechanism for fulling wool in Great Britain in the 13th century, marking the real beginning of the industrial age. Roman road infrastructure and new energy sources were the foundations for the birth of a new and extraordinary manufacturing, business and financial system, never previously seen in the history of mankind, which even in the 12th century already had all the complexity and globalization of an authentic modern industrial and capitalist system. So Roman “camps” were transformed into proper cities; trading, exchange, business, and education places and the locations for schools, banks, markets and universities. And the city not only became the highest aspiration in terms of the ideals of wealth and safety, but also a benchmark for all those intangible values that we might describe as spiritual, such as knowledge, research, culture and art. Nowadays there are plenty of similarities with that period in history that grounded or regrounded a certain ideal of the city. With the fall of the Berlin Wall and the end of the Cold War, a revolutionary infrastructure became available originally designed as a piece of communication technology for military purposes: the World Wide Web. Over the last fifteen years the Internet has been genuinely revolutionizing the world of the global economy. Everything is being reorganized according to this new means of transferring information, money and resources. Once again we find ourselves in a situation in which conventional energy sources are becoming “culturally unsustainable”, because of a widespread awareness of the harmful consequences of the improper exploitation of the environment and, ultimately, of mankind itself.

This means we are in the very midst of a great energy revolution striving to discover or rediscover “renewable” energy sources, in order to come up with “sustainable” materials and technology in every single sector. The combination of a new and revolutionary infrastructure and the revolution underway in the realm of energy provide the premises for a profound economic and social transformation of our society, which will totally redefine our way of living and working, not to mention the physical layout of the land and cities. The “sustainable city” and “Smart City” are now the latest form of idealism applied to the concept of a city. As architects and intellectuals, we now have the opportunity and historical responsibility to define the ways in which this ideal aspiration actually takes shape and, fundamentally, of deciding whether to actually re-sign that blank check handed over to “science” two centuries ago or, on the other hand, not to sign it and review the concept of progress as part of a more extensive notion of “cultural sustainability” that must also take into account other aspects and not just scientific-technical considerations. First and foremost this means rejecting the idea that only “the sustainability method” and, hence, those realms connected with energy and technology can solve the problem. It also means preventing the spread of a new kind of scientifictechnical thinking that aims to provide the exclusive means of achieving a new ideal in terms of sustainability and quality. We are faced with the very real danger of a new cast of wonder-working technicians coming into being, the scientists-priests of “sustainability”, who, with the backing of constrictive rules and regulations, will once again claim to hold the only key and only means of “scientifically” solving all urban issues. As the Austrian sociologist and epistemologist, Paul K. Feyerabend, has also clearly pointed out in his critique of scientific method (Against Method, 1975), postmodern or post-Enlightenment thinking is now in the situation of realizing that alongside “phenomena” that can be reduced in numbers, reality in its totality also includes aspects that actually form an essential part of reality itself. So it is really a matter of reviving history, philosophy, art, sociology, psychology, traditions and cultural identities and, why not, a culture of spirituality and religion, all realms in which the tools of “technicians“ serve no purpose but which constitute the criterion of absolute priority and absolute essentiality in the process of gradually developing real cities into an authentic and complete ideal of cultural sustainability.

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* Joseph di Pasquale (1968), architect and urban designer, adjunct professor in the Faculty fo Architecture of Milan Polytechnic and master in Film Making at the New York Film Academy 2001. At the beginning of his career he was interested in the issue of the architectural and environmental quality of large manufacturing sites. In 2007 he won a competition to extend the Mini Italy Park in Capriate San Gervasio (Bergamo) and in 2008 to extend the new eco-town of Jingwu in China, to which he applied the theories of ecodensity referred to in the book entitled “La città densa”. Encountering China led him to develop an interest in the relationship between globalization and cultural identity, elaborating upon the concept of “cultural sustainability”. In 2009 he won the competition to design the headquarters of the Guangdong Plastic Exchange in Canton, China, with a project inspired by the idea of an hexagram as a sign/symbol of local architectural design. In 2008-2012 he held various conferences and lectures at different universities and conventions in China, Europe and Brazil based on the theme of “architectural globalization versus cultural sustainability”.


Ecologia visionaria Visionary Ecology Hong Kong, Giungla Profumata Hong Kong, Perfumed Jungle Progetto di Vincent Callebaut Project by Vincent Callebaut

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Nel nuovo paesaggio urbano proposto da Vincent Callebaut spiccano le torri-organiche, che affondano le loro fondamenta-radici nel mare. La loro struttura, come quella degli alberi, si sviluppa attorno a un tronco centrale e va via via ramificandosi.

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ong Kong è tra i territori più popolosi della terra, con una densità di 30.000 abitanti per chilometro quadrato. Il suo lungomare ha subito nel corso di 150 anni numerose trasformazioni e il continuo recupero di terreno dal mare ha avvicinato la metropoli a Kowloon. Tale sfruttamento ambientale ha fortemente compromesso l’equilibrio naturale con il territorio e la comunità locale ha promosso un concorso per riqualificare il suo lungomare. Per rispondere a questa speculazione selvaggia si propone il recupero di aree ambientali, con il progetto fantascientifico della “Giungla Urbana”, presentata a un concorso internazionale promosso dal governo cittadino che ha stupito per originalità, anche se non è ancora fattibile nel mondo reale, ma presenta soluzioni interessanti che potrebbero essere realizzate nel futuro. Il progetto prevede di ridefinire l’area lagunare di fronte al quartiere degli affari e creare una nuova porta d’accesso alla città asiatica, icona della globalizzazione e considerata un pessimo esempio di rapido sviluppo urba-

nistico non ecosostenibile. Il visionario Vincent Callebaut (Belgio,1977), architetto innovativo non soltanto sul piano formale, bensì per la ricerca di edifici biotecnologici efficaci per garantire l’equilibrio ambientale, ha presentato un piano eco-futuristico che si distingue per la proposta di ri-addomesticare la natura, ottenendo anche un ampliamento del territorio. Il suo “porto profumato” è simile a una città incantata, forse ispirata ai paesaggi di Moebius o a quelli di Avatar (2010, Cameron ), nel cuore del Mar della Cina meridionale, per dare più spazio alle aree verdi e divenire nel tempo una lussureggiante “giungla urbana” attraverso un processo sofisticato di rinaturalizzazione di un paesaggio troppo urbanizzato. Inoltre si prevede l’estensione del Lungomare Centrale, con l’obiettivo di aumentare la disponibilità di aree edificabili senza compromettere il paesaggio. Si tratta di una politica architettonica eco-friendly, basata su un’ecologia visionaria, ideata per mitigare gli errori umani legati all’ambiente, basata sul senso di responsabilità sociale. La


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giungla profumata non è da sottovalutare perché progetta nuovi spazi autosufficienti e in grado di produrre più energia e biodiversità di quanta ne consumiamo. Callebaut, pronipote dell’architettura utopistica degli Archigram degli anni Sessanta e figlio dell’architettura fantasy contemporanea, si distingue per strutture alveolari, alla base del progetto, e per torri-albero tecno-organiche dotate di una pelle vegetale che contribuiranno alla purificazione sistematica dell’aria di Hong Kong. Con questo progetto l’architetto intende riscrivere il mondo acquatico attraverso la creazione di spazi liquidi ad alta fluidità sul terreno del Lungomare Centrale. È accattivante la proposta di una rete irregolare di cellule, a partire dalla riva del Victoria Harbor, che dovrebbe consentire all’acqua di infiltrarsi all’interno del tessuto urbano, creando un nuovo substrato ecologico, permeabile a fauna e flora. Le cellule si sovrapporranno formando file alternate con l’obiettivo di ridisegnare il paesaggio con spazi sempre aperti e fluttuanti, dotati di piscine, piccoli porti, viali lun-

gomare, percorsi pedonali e ciclabili, lagune di purificazione biologica, musei oceanografici e anche opere sottomarine. Questa “maglia” ecocompatibile formerà una nuova topografia dell’ambiente, una sorta di quinta vegetale acquatica terrazzata, ispirata ai terrazzamenti tradizionali per la coltivazione del riso in Asia. Il nuovo distretto ecologico, circondato dalle verdi colline visibili dal Victoria Peak e dal fiume Jang Xi, chiamato anche Perla del Nord , si struttura in verticale con torri-organiche , che affonderanno le loro fondamenta-radici nel mare. La loro struttura assomiglia a quella degli alberi e si sviluppa attorno al tronco centrale che si ramifica col passare del tempo. Attorno ai rami, attraverso uno schema irregolare, sono inserite le strutture dedicate ai servizi e all’intrattenimento, racchiuse in facciate vegetalizzate, reti rivestite da “cuscini” di humus e fertilizzanti. La parte interna delle torri, il tronco, sarà destinata alle funzioni residenziali. Il progetto della “Perfumed Jungle”, se si realizzerà, trasformerà Hong Kong nella prima metropoli ecologica.

In the new urban landscape proposed by Vincent Callebaut the main emergence are the organic techno-towers, whose rootsfoundations entrench in the sea. Just like trees, their structures extend out from a central branch through a gradual process of ramification.

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Studi per la struttura alveolare su cui si fonda il progetto. Studies for the honeycomb-shaped structure which is at the base of the project.

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ong Kong is one of the most highly populated places on earth with a density of 30,000 inhabitants per square kilometer. Over a period of 150 years its seafront has undergone numerous transformations and the constant salvaging of land from the sea has brought the metropolis closer to Kowloon. This kind of environmental exploitation has seriously jeopardized the natural balance with the surrounding territory, so the local community has organized a competition to redevelop its seafront. To cope with uncontrolled speculation, the idea is to salvage certain environmental areas through a science-fiction style project for an “Urban Jungle” entered in an international competition promoted by the City Council that is astonishing in terms of its originality, although, as of yet, not feasible in the real world but offering interesting solutions that might actually be implemented in future. The project sets out to redefine the lagoon area opposite the business district and creates a new entrance way to this ancient city: an icon of globalization considered to be a terrible example of high-speed non-eco-sustainable urban growth. The visionary architect Vincent Callebaut (Belgium, 1977), who was not just innovative on a stylistic level but also for his research into efficient biotechnological buildings designed to guarantee the environmental balance, has presented an ecofuturistic plan that stands out for its intent to re-tame nature, even managing to extend the land. His “Perfumed Port” is rather like an enchanted city—possibly inspired by the landscapes designed by Moebius or even those from the film Avatar (2010, Cameron)—right in the middle of the South China Sea, designed to provide more space for greenery and gradually turned into a luscious “urban jungle” based on a sophisticated process of re-naturalizing a piece of over-urbanized landscape. There are also plans to expand the Central Seafront with a view to providing more areas for building on without jeopardizing the landscape. This is an eco-friendly architectural policy based on visionary ecology designed to mitigate human errors linked with the environment in accordance with a proper sense of social responsibility. The

perfumed jungle should not be underestimated, because it provides new self-sufficient spaces, capable of generating more energy and biodiversity than we actually consume. Callebaut, a descendant of the utopian architecture designed by Archigram in the 1960s and of modernday fantasy architecture, catches the eye with the honeycomb-shaped structures underscoring the entire project and the techno-organic tree-towers covered with a vegetable skin that will help systematically purify Hong Kong’s air. With the aid of this project the architect sets out to rewrite the aquatic world by creating highly fluid liquid spaces along the ground of the central seafront. There is an intriguing project featuring an irregular network of cells starting from the waterfront of Victoria Harbor, which ought to allow water to filter inside the urban fabric, thereby creating a new ecological substrate permeable to flora and fauna. These cells overlap to create alternating rows in order to redesign the landscape by means of spaces that are permanently open and fluctuating, equipped with swimming pools, small harbors, seafront promenades, pedestrian and cycle paths, biological purification lagoons, oceanographic museums and even underwater works. This eco-compatible “web” will constitute a new kind of environmental topography, a sort of terraced aquatic vegetable curtain inspired by traditional terraces for farming rice in Asia. The new ecological district, surrounded by green hills visible from Victoria Peak and Jang Xi river, also known as the Pearl of the North, is structured vertically by means of organic towers, whose foundations-roots will be entrenched in the sea. The structure, similar to that of trees, develops around a central trunk that gradually branches out over time. Facilities devoted to services and entertainment, enclosed behind landscaped facades, networks covered by “cushions” of humus and fertilizers, are all incorporated around the branches based on an irregular pattern. The inner section of the towers, the trunk, will serve residential purposes. The “Perfumed Jungle” project, if it is actually built, will turn Hong Kong into the first ecological metropolis.


Esploso assonometrico della stratificazione strutturale e funzionale della Giungla Profumata. Nelle pagine seguenti, particolare delle tecno-torri organiche che con la loro pelle vegetale contribuiranno alla purificazione dell’aria della metropoli. Axonometric blow-up of the structural and functional layers of the Perfumed Jungle. Following pages, detail of the organic techno-towers whose vegetable skins will help purify the metropolis’ air.

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Diversificata ma unitaria Diversified But Unitary Dubai, Waterfront City, la città a misura d’uomo Dubai, Waterfront City, a city designed for people Progetto di Office for Metropolitan Architecture (OMA) Project by Office for Metropolitan Architecture (OMA)

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Il nuovo skyline disegnato dalla Waterfront City di Dubai.

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Dubai, Waterfront City è una città nuova sorta a ridosso del deserto, sull’acqua, come un miraggio, con un suo skyline riconoscibile e progettata con la densità di Manhattan, per ospitare circa 300.000 abitanti, dall’Office for Metropolitan Architecture (OMA), celebre studio olandese fondato nel 1975 da Rem Koolhaas. Il masterplan copre un’area di 11.800.000 metri quadrati e comprende l’elemento iconico della City: l’isola a forma quadrata posta al centro (superficie di 7.000.000 di metri quadrati), che si sviluppa su una griglia di cinque per cinque strade ed è circondata da una serie di canali artificiali e da quattro quartieri: Boulevard, Madinat Al Soor, Resort e Marina. Nakeel è l’imprenditore immobiliare cha ha commissionato a OMA la progettazione del piano urbanistico (2007) con la specifica richiesta di pensare a una città ad elevata densità, eco-friendly e indipendente dall’uso delle auto. Il risultato è una città progettata a misura d’uomo, in cui i transiti tra i diversi isolati sono agevolati da aree ciclabili, percorribili a piedi o con mezzi pubblici. Per assicurare il massimo ombreggiamento e il controllo climatico ottimale dell’ambiente urbanizzato, la massa degli edifici più alti è concentrata nella posizione meridionale per sfruttare al meglio il flusso dei venti e garantire la refrigerazione dell’area. Waterfront City è smart perché è concepita come un’architettura ambientale, quasi una forma di Land Art in cui funzionalità e vivibilità sono due aspetti necessari e compatibili, contro la speculazione ambientale. Tale sensibilità è dimostrata anche dall’edificazione del grande parco centrale, situato intorno all’area dell’imponente Moschea e altri luoghi iconici di attrazione turistica. Questa oasi di verde è il polmone della city che favorisce meditazione, quiete, frescura per i turisti e gli abitanti. Inoltre garantiscono la protezione dal

sole le vie di ogni isolato dotate di portici e di alberi. I cinque quartieri che costituiscono Waterfront City possiedono un proprio carattere individuale, come alternativa all’urbanistica omologata dilagante nel nuovo millennio. Questo è un dettaglio urbanistico non trascurabile per una città diversificata ma unitaria nel suo progetto complessivo. Waterfront City sarebbe piaciuta a Etienne Ledoux (1736-1806), architetto francese illuminista che progettava architetture “parlanti”: la sua casa ideata per i sorveglianti del fiume, cilindrica, attraversata dalle acque del fiume stesso, potrebbe aver ispirato Koolhaas nella realizzazione dell’edificio sferico di quasi 200 metri di diametro che domina il Golfo Persico, diventato l’elemento iconico, connotativo dell’isola. L’edificio comprende un centro congressi, residenze, camere d’albergo e negozi. Waterfront City è diventato un centro vitale e propulsivo che attira investitori internazionali e produce lavoro nell’ambito immobiliare, commerciale e turistico. Situata al confine occidentale di Dubai, Waterfront City occupa una posizione strategica per gli Emirati Arabi e i traffici internazionali. I cinque quartieri sono connessi con un sistema di trasporto pubblico efficiente tra cui la nuova metropolitana. La chicca urbanistico-ambientale della nuova città iperattiva 24 ore su 24 è il collegamento diretto con l’aeroporto internazionale Al Maktoum International Airport, principale scalo aereo dell’Emirato, inaugurato nel giugno del 2010 e dedicato al defunto sceicco Maktoum bin Rashid Al Maktoum, l’ex governatore di Dubai, che ha una capacità di oltre 12 milioni di passeggeri l’anno. Nel 2027, crisi finanziaria permettendo, sarà ultimata anche la progettazione del World Center, progetto residenziale e commerciale, che lo renderà il più grande aeroporto del mondo, collegato a Dubai attraverso un sistema ferroviario espresso.


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aterfront City in Dubai is a new city built on water out in the desert like a mirage with its own highly distinctive and carefully designed skyline and the same density of Manhattan. It was designed by the Office for Metropolitan Architecture (OMA), a famous Dutch firm set up by Rem Koolhaas in 1975, to accommodate a population of 300,000. The master plan covers an area of 11,800,000 m² and includes the City’s iconic feature: a square-shaped island located in the middle (surface area of 7,000,000 m²) spread across a grid of five roads by five roads and surrounded by a number of man-made canals and four different neighborhoods: Boulevard, Madinat Al Soor, Resort and Marina. Nakeel is the property developer who commissioned OMA to design the urban master plan (2007) specifically requesting a design for a highdensity city that is eco-friendly and car-free. The result is a city designed for people, in which interaction between the various blocks is ensured by special cycle areas that can be walked across or travelled through using public transport. To provide as much shade as possible and also optimum climate control over the urbanized environment, the mass of the tallest buildings is focused to the south to ideally exploit the flow of winds and guarantee the area is kept cool. Waterfront City is smart because it is designed like a piece of environmental architecture, almost a form of Land Art, in which functionality and inhabitability are two necessary and compatible aspects, safeguarding against environmental speculation. This sensibility is also demonstrated in how the big central park has been constructed around the area where the imposing Mosque and other iconic tourist attractions are located. This oasis of greenery acts as the city’s lungs, encouraging meditation, peace and quiet and freshness for both tourists and locals. The streets in every block are furnished with porticos and trees to provide shel-

ter against the sun. The five neighborhoods forming Waterfront City have their own distinctive nature, as an alternative to the kind of standardized town-planning now found everywhere in this new millennium. This is an urban detail that should not be overlooked in a city whose overall design is extremely diversified yet unified. Etienne Ledoux (1736-1806), the French Enlightenment architect who designed “talking“ architecture, would have liked Waterfront City: the cylindrical house designed for people in charge of monitoring the river, which water from the river actually flows through, might well have inspired Koolhaas’s design for a spherical building with a diameter of almost 200 meters that looms up over the Persian Gulf and has become the island’s most distinctive, iconic feature. The building includes a conference center, residential quarters, hotel rooms and shops. Waterfront City has become a pulsating driving force that will attract international investors and create plenty of jobs in the real estate, commercial and tourist industries. Located on the western border of Dubai, Waterfront City has a strategic location for the Arab Emirates and also international traffic and trade. The five neighborhoods are connected together by an efficient public transport system including a new underground railway network. The standout urban-environmental feature of this new city, which is truly hyperactive on a 24-hour basis, is the direct link to Al Maktoum International Airport, the main airport in the Emirates that opened in June 2010 and is dedicated to Sheik Maktoum bin Rashid Al Maktoum, the former governor of Dubai who has since passed away, which can handle over 12 million passengers a year. Financial recession permitting, the design of the World Center will be completed by 2027, a residential and commercial project that will make this the biggest airport in the world, connected to Dubai by an express railway network.

The new skyline defined by the Waterfront City in Dubai.

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Nella pagina a fianco, il territorio desertico attraversato dal Palm Cove Canal su cui si sviluppa il masterplan di OMA e vista aerea dell’intero insediamento con l’isola quadrata di Waterfront City.

Sotto, planimetria di Waterfront City, che si compone di cinque elementi collegati tra loro e con il resto del nuovo insediamento urbano: Isola, Boulevard, Madinat al Soor, Resort, Marina.

Opposite page, the desert land crossed by Palm Cove Canal on which OMA’s masterplan is developed, and aerial view of the whole settlement showing the square island of Waterfront City.

Below, site plan of Waterfront City, which is composed of five elements connected together and to the rest of the new urban settlement: Island, Boulevard, Madinat al Soor, Resort, Marina.

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L’isola (1.310x1.310 m) al centro di Waterfront City è circondata da canali artificiali ottenuti dallo svuotamento del terreno perimetrale. Sotto, l’ingresso dal mare. The island (1,310x1,310 m) in the center of Waterfront City is surrounded by man-made canals created hollowing out the perimeter land. Below, the seaside access.

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Matrice insediativa invertita Inverted Settlement Matrix Agritettura Agritecture Progetto di Giovanni Vaccarini Project by Giovanni Vaccarini

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Sotto, da sinistra, cartografia, vista zenitale e vista a volo d’uccello di Agritettura, il progetto del suolo che integra gli spazi aperti dell’agricoltura alla disciplina architettonica. Nella pagina a fianco, rendering a livello del terreno. Below from the left, map of the area, zenithal and bird’s eye view of Agritecture, the project integrating agriculture open spaces to the architectonic activity. Opposite page, rendering at street level.

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l territorio è il risultato di interventi continui, di processi di manipolazione e trasformazione in cui il naturale e l’artificiale si montano e si confondono, la superficie è il testo in cui è inciso lo stratificarsi di storie ed eventi. Questa superficie estremamente variegata (dune, rilievi, pieghe, lacerazioni, incisioni) è il risultato di de-formazioni e dis-locazioni nel tempo e nello spazio che riflettono le molteplici azioni socio-economiche montate nel corso del tempo. Essa è il materiale principale di un progetto di suolo in cui pochi sono i momenti in cui il nostro modificare (progettare) lo spazio trova esiti completamente volumetrizzati. Il progetto è sempre un intervento interstiziale, un progetto di “infiltrazioni” in cui la modellazione della superficie del terreno è la componente instabile e rivelatrice di nuove emergenti forme di spazio. Se l’architettura appare come un’entità “verticale” sempre intimamente legata (strutturata) sopra il suolo che essa occupa e il suolo (l’orizzontalità) appare come un passivo piano “terra”, nell’idea di progetto di “superficie” il suolo diventa parte attiva nella costruzione di spazi in cui l’architettura appare come una figura fluttuante costituita della stessa materia del suolo; una sua estensione. Gli strumenti di controllo, le strategie con cui montare, “significare” parti estese ed eterogenee di questo territorio ibrido, sono da ricercare di volta in volta nel montaggio di procedure note (elementari): partizione, addizione, scavo, riporto, in grado di ricostruire un racconto nuovo di questi spazi. Agritettura Con “agritettura” si intende un processo integrato e sistemico tra le regole proprie dell’insediare spazi aperti (agricoltura) e quelle proprie della disciplina architettonica. La crasi tra architettura e agricoltura segna un nuovo campo di azione in cui l’ipotesi insediativa non parte dal

costruito verso la colonizzazione del vuoto, ma parte proprio da questo vuoto come nuovo ordine possibile. Un processo di riappropriazione del vuoto sul pieno. L’idea è quella di pensare questi spazi proprio partendo dalla loro caratteristica di vuoto, non “vuoto urbano”, ovvero lacuna di un pieno, ma uno spazio unico generatore di una categoria di spazio governata dal vuoto. Un’operazione di deurbanizzazione. Non è la città (l’urbano) che con le sue regole si espande e colonizza un vuoto indefinito, ma lo spazio vuoto, con una propria identità, che inizia la colonizzazione degli spazi interstiziali della città. Un’inversione della matrice insediativa: città-natura. Il suolo con la sua tessitura diventa la matrice semantica e figurativa di insediamenti puntuali, edifici a torre generati dal tessuto dei campi agricoli come “naturale” continuazione del sistema dei campi e degli spazi aperti. Il disegno del tessuto insediativo con la sua reiterazione individua una sequenza non lineare di spazi in cui la folie del Piermarini si insedia con un processo di inclusione proprio delle strutture organiche. Giovanni Vaccarini … Il ricorso all’architettura sembra ancora l’unico modo di incidere in modo appropriato sul DISORDINE naturale. È un modo di dire che l’ORDINE biologico (…) non è stato ancora percepito come una nuova possibilità di concezione (…) Il giardino è il luogo privilegiato dei cambiamenti (…) La storia dei giardini mostra che l’uomo ha costantemente lottato contro questi cambiamenti. Tutto si svolge come se l’uomo tentasse di opporsi all’entropia generale che regge l’universo. Gilles Clement Le jardin en mouvement, Parigi 1994.


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Agritettura considera la superficie come parte attiva nella costruzione di spazi in cui l’architettura appare come una figura fluttuante costituita della stessa materia del suolo e come una sua estensione.

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Agritecture considers the ground surface as an active part in constructing spaces in which architecture appears like a fluctuating image made of the soil itself and as an extension of it.

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he territory is the result of ongoing projects, processes of manipulation and transformation in which the natural and artificial are combined together and blended. The surface is the text on which the layering of history and events is etched. This extremely varied surface (dunes, reliefs, unfolds, lacerations, incisions) is the result of de-formations and dislocations in space and time, which reflect all the multiple socio-economic interventions which have added up over time. It is the main material involved in a ground project during which our modifying (designing) of space has very few opportunities to fully express itself. A project is always an interstitial intervention, “infiltrations” in which the shaping of the surface of the ground is the unstable elements revealing new emerging forms of space. If architecture looks like a “vertical” entity, always intimately tied (structured) above the ground it takes up, and the land (horizontality) looks like a passive layer of “soil”, then in the idea of a “surface” project the ground becomes an active part in constructing spaces in which architecture appears like a fluctuating figure made of soil itself; it is an extension of it. The control instruments, the strategies used for assembling and “signifying” extensive and heterogeneous parts of this hybrid land, must be sought out each time in the combination of well-known (elementary) procedures: division, addition, excavation and restoring, capable of reconstructing a new account of these spaces. Agritecture By “agritecture” we mean an integrated and systematic process encompassing the rules for setting out open spaces (agriculture) and those specifically associated with architecture. The crasis between architecture and agriculture marks a new field of action in which the idea of settlements is not

based around constructing to colonize empty space but actually starts from this void as a possible new kind of order. A process of appropriating empty space out of solid structure. The idea is to envisage these spaces starting from their distinctive trait of being empty, not an “urban void” or space within something solid, but a unique space generating a category of space controlled by the void. A de-urbanization of operation. It is not the city (urban environment) which expands and colonizes an indistinct void according to its own rules, but the empty space with its own specific identity that begins the process of colonizing the city’s interstitial spaces. An inversion in the settlement matrix: city-nature. The ground with its own texture becomes the semantic and figurative matrix of pinpoint settlements, tower buildings generated from the fabric of farmlands as a “natural” continuation of the system of fields and open spaces. The design of the settlement fabric (individually reiterated) identifies a nonlinear sequence of spaces which Piermarini’s “folie” fits into through the kind of inclusion process associated with organic structures. Giovanni Vaccarini …The resorting to architecture still seems to be the only way of making an appropriate mark on natural DISORDER. It is a way of saying that the biological ORDER (…) still has not been perceived as a new conceptual possibility (…) The garden is the privileged place for changes (…) The history of gardens shows that man has constantly battled against these changes. Everything happens as if man were trying to oppose the general entropy governing the universe. Gilles Clement Le jardin en mouvement, Paris 1994.


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Quartiere-gemma Gem-Neighborhood Mondragon, riqualificazione di archeologia industriale Mondragon, redevelopment of an industrial archaelogical site Progetto di Estudio Luis De Garrido Project by Estudio Luis De Garrido

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Rendering dell’insediamento Geoda 2055 e della Torre Homenaje. Il complesso è ordinato secondo una maglia 3D formata da cubi di 30x30x30 m destinati a varie funzioni, organizzati in modo regolare e addossati alle superfici orizzontali e verticali di una vecchia cava. Renderings of Geoda 2055 settlement and of the Torre Homenaje. The complex is set out over a 3D web formed of cubes, with various functions, measuring 30x30x30 m, arranged in a regular pattern next to the horizontal and vertical surfaces of a former quarry.

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ella periferia della città basca di Mondragon ( Spagna), a ridosso di un’antica cava, il progetto Geoda 2055 non prevede soltanto la riqualificazione e valorizzazione di un sito di archeologia industriale carico di valori storici e simbolici, ma si presenta come una sperimentazione di un nuovo quartiere autosufficiente sul piano energetico-idrico, ecosostenibile e come un modello di architettura naturale bioclimatica. Visto dall’alto, l’intero complesso s’incastra perfettamente nella collina, evidenziando la rottura di una montagna e ricorda le opere di Land Art di Michael Heizer. Il quartiere, caratterizzato da tipologie variabili e flessibili, edificabili con processi tecnologicamente avanzati, è stato progettato da Luis De Garrido (1960), architetto spagnolo, interamente votato alla bioedilizia, da vent’anni impegnato nella ricerca ingegneristica e architettonica ecosostenibile e direttore di un master dal titolo “Edifici di Costruzioni Intelligenti Sostenibili“ (MEICS) all’università di Valencia, dove vive e lavora. Il nome del quartiere s’ispira alla forma di un geode e di altre pietre di cui è ricco il territorio basco, infatti la pelle trasparente delle architetture ricorda una enorme gemma e ogni cubo assomiglia a un cristallo prezioso emerso dalle viscere della terra. Il quartiere-gemma progettato in un contesto ostile e complesso si distingue per una griglia tridimensionale di volumi cubici in vetro (30x30x30 metri), organizzati secondo una disposizione regolare e addossati alle superfici orizzontali e verticali della cava. Si contano 13 blocchi con 81 case ciascuno, per un totale di 1.053 “viviendas”. La “Torre Homenaje” – icona scenografica del territorio – ospita uffici, sale congressi e una sala spettacoli, due ristoranti, un centro commerciale e il Museo “J.M. Arizmendiarrieta”. Tutte le strutture han-

no le stesse forme e dimensioni, anche se sono state progettate sette diverse tipologie di cubi in base alle diverse funzioni. L’area dedicata ai servizi comprende quattro corpi edilizi, che, a quota stradale, appaiono indipendenti ma sono collegati nei due livelli inferiori. Diventa un landmark del territorio la torre-grattacielo, all’ingresso del quartiere, che di notte si trasforma in un corpo illuminante e segnala l’architettura naturale-artificiale agli automobilisti che passano sulla vicina autostrada e modifica radicalmente la percezione del territorio. In estate, il quartiere attiva il sistema di erogazione dell’acqua a spruzzo, per raffreddare naturalmente; sembra una cascata, in cui sembrano fluttuare i blocchi cubici di vetro simili a gemme incastonate nella terra. Tutti i cubi hanno facciate in doppia pelle di vetro, dotate di sistemi multimediali, che in inverno creano una sorta di effetto serra, mentre in estate proteggono l’interno dai raggi del sole. Questi edifici hanno un patio centrale coperto, patii laterali aperti verso l’esterno, chiudibili a seconda della stagione, e coperture sistemate a giardino con captatori solari fotovoltaici. Il quartiere è dotato di accorgimenti bioclimatici per la produzione, l’ottimizzazione e la conservazione dell’energia (fotovoltaico, termico, geotermico, passivo), recupero delle acque piovane e reflue grigie. Tutti i materiali sono riciclati, biodegradabili e recuperabili. Anche negli altri progetti di De Garrido, i principi di base dell’edilizia ecosostenibile sono: ottimizzazione di risorse e materiali naturali, eliminazione o almeno diminuzione di residui ed emissioni, diminuzione del consumo energetico e uso di energia rinnovabile, costruzione e manutenzione dell’edificio a costi contenuti con l’obiettivo di garantire vivibilità e qualità ambientale.


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he Geoda 2055 project in the suburbs of the Basque city of Mondragon (Spain), close to an old quarry, is not just the redevelopment and enhancement of an industrial archaeological site full of symbolic and historical value, it is also a means of experimenting with a new kind of neighborhood that is self-sufficient from an energy-water viewpoint, ecosustainable, and even offers a model of natural bioclimatic architecture. Viewed from above, the entire complex slots perfectly into the hillside, focusing on the rupture of a mountain and evokes Michael Heizer’s Land Art works. The neighborhood, featuring all kinds of different and flexible types of buildings constructed using technologically cutting-edge procedures, was designed by Luis De Garrido (1960), a Spanish architect, who focuses solely on bio-building and has been engaged in eco-sustainable engineering and architectural research for over twenty years, even running a master’s course in “Sustainable Intelligent Building Constructions” (MEICS) at the University of Valencia, where he lives and works. The neighborhood’s name is inspired by the shape of a geode and other stones found in the Basque countryside. In actual fact the architecture’s transparent skin calls to mind a giant gem and each cube looks like some sort of precious crystal emerging from the depths of the earth. This gem-neighborhood designed in a hostile and intricate setting catches the eye for a three-dimensional grid of glass cube-shaped structures (30x30x30 m), arranged in a regular layout and set against the horizontal and vertical surfaces of the mine. There are 13 blocks, each containing 81 houses for a total of 1,053 “viviendas”. “Homenaje Tower” – a striking icon on the landscape – holds offices, conference rooms and an entertainment facility, two restaurants, a commercial center and the

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Sotto, planimetria generale. Nella pagina a fianco, piante tipo delle residenze con gli schemi dei livelli medi di umidità in inverno (sopra) e in estate (sotto). Below, site plan. Opposite page, typical floor plans of the residences with diagrams showing the average levels of humidity in winter (above), and in summer (below).

“J.M. Arizmendiarrieta” Museum. All the structures are the same shape and size, even though seven different types of cubes were designed to cater for different functions. The services area includes four building structures, which, at street level, appear to be separate but are actually connected together across the two lower levels. The tower-skyscraper at the entrance to the neighborhood will become a local landmark that turns into a brightly lit body at night-time attracting the attention of drivers on the nearby motorway to this natural-artificial piece of architecture and radically altering how the land is perceived. In summer the neighborhood will draw on a water sprinkler system to cool down everything naturally; it looks like a waterfall in which the cube-shaped glass blocks appear to flutter like gems encrusted in the earth. All the cubes have double-glazed facades fitted with multimedia systems that create a sort of greenhouse effect in winter, while in summer they shelter the interior against the sun’s rays. These buildings have a covered central patio, side patios open towards the outside that can be closed at certain times of year, and roofs landscaped like gardens with photovoltaic solar captors. The neighborhood is equipped with bioclimatic means of generating, optimizing and storing energy (photovoltaic, thermal, geothermal, passive) and also recovering rain and waste water. All the materials are recycled, biodegradable and salvageable. Just like the rest of De Garrido’s projects, the basic principles of eco-sustainable building are: the optimizing of natural resources and materials, elimination or at least decrease in leftovers and emissions, reduction in energy consumption and the use of renewable energy, and the low-cost construction and maintenance of the building for the purpose of guaranteeing a high-quality environment that is pleasant to live in.


AVERAGE LEVELS OF HUMIDITY

External glass panels are closed, converting terraces in efficient insulators.

Air vents are closed.

The central patio is converted in a huge greenhouse, providing the common areas with an adequate temperature.

WINTER MORNING

Indirect solar lighting. Thanks to the chosen materials, the walls transpire naturally and continuously, allowing for a natural ventilation with no energy loss. Direct solar radiation reflects on mirrors in the internal patio.

Lateral counter-doors are open to let in direct solar radiation.

Indirect solar lighting.

Direct solar radiation filters through the whole central patio, so that all residences can have natural light and are heated thanks to the greenhouse effect.

Direct solar radiation filters through every residence.

External glass panels are closed, converting terraces in greenhouses.

AVERAGE LEVELS OF HUMIDITY

Cross-ventilation through northern stair. Indirect solar lighting. The building has a high thermal inertia and so it stays hot by day and night with minimum energy consumption.

Fresh air vents are open in the central patio. Just a portion of solar radiation filters, enough to naturally light the central patio.

Glass panels ventilated facade to avoid that the morning/evening solar radiation warms the building.

External glass panels are open, converting terraces in solar protections.

Side walls shelter the building from direct solar radiation.

SUMMER MORNING

External glass panels are open, converting terraces in solar protections.

The central patio stays fresh and shaded.

Between glass and counter-doors, the air warms up and ascends quickly, exiting through the upper chimneys and insulating the building.

The side counter-doors are closed, avoiding direct solar radiation in the patio.

Fresh airs runs through all the residences.

Thanks to the chosen materials, the walls transpire naturally and continuously, allowing for a natural ventilation with no energy loss.

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Urbanistica eco-solidale Eco-Friendly Town-Planning Stoccolma, la Valle dell’Energia Stockholm, Energy Valley Progetti di BIG + Grontmij + Spacescape Projects by BIG + Grontmij + Spacescape

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Rendering del progetto per la Sfera di Stoccolma che servirà a ricucire una porzione di territorio urbano, interrotto da un nodo infrastrutturale, tramite la realizzazione di un parco circolare e una sfera flottante.

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l governo svedese da anni investe nelle nuove idee e nella ricerca di soluzioni che primeggiano nell’ambito scientifico, tecnologico, medico e sono votate per tradizione all’architettura intelligente e all’urbanistica eco-solidale. Si ricorda che fu lo svedese Svante Arrhenius, fisico, chimico nonché premio Nobel (1903), a scoprire nel 1896 l’effetto serra, individuando il legame tra anidride carbonica e la temperatura della Terra. Nel 2011, il gruppo BIG + Grontmij + Spacescape, grandi innovatori nell’ambito di una progettazione crossover tra urbanistica, paesaggio, architettura e arte, hanno vinto il primo premio di un concorso a inviti per il masterplan Stockholmsporten, con il progetto di Energy Valley, nel nome un destino, dicevano gli antichi. Infatti questo svincolo futuristico, inserito in un percorso circolare, connotato da una sfera flottante che produce energia e che riflet-

te il paesaggio circostante, si propone come un nuovo e scenografico portale d’ingresso della città. Esso trasformerà il punto nevralgico di intersezione di quattro diverse aree con inclusi, in una zona green, pedonale e ciclabile, paesaggi naturali e un grande parco circolare per ricucire una porzione di territorio urbano prima non utilizzato, con l’obiettivo di produrre benessere ed energia elettrica sufficiente per la struttura e per 235 case dei quartieri circostanti. Il progetto è pensato per lo svincolo stradale di Hjulsta, 15 km a nord di Stoccolma, risolvendo con una struttura ingegneristica- scultorea-ambientale il problema di uno svincolo stradale tra due autostrade europee, la E18 e il passante E4, con un incrocio a tre livelli. Questa valle artificiale è il più importante intervento infrastrutturale pianificato in Svezia, resosi necessario in seguito alla crescita e allo sviluppo di Stoccolma. Inoltre, il progetto


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connette l’adiacente area ricreativa di Jarvafaltet con altri ambienti naturali, attraverso un percorso continuo per riqualificare l’intera zona. Al concorso hanno partecipato anche i norvegesi Snøhetta, Kristine Jensen, paesaggista danese, e gli svedesi Erik Giudice Architects, ma lo studio BIG ha convinto la giuria perché, si legge nella relazione: “La fantastica forma rotonda di questa proposta è una soluzione ingegnosa che interagisce con la geometria dello svincolo e, allo stesso tempo, crea un contesto urbano che lega le diverse aree circostanti. A ciò si aggiungono grandi potenzialità di incrementare la qualità e le attività del luogo”. La sfera flottante come una bolla d’ossigeno è sicuramente la parte più futuristica del progetto che si librerà al di sopra dell’incrocio autostradale con il 30% della superficie ricoperta da una pellicola fotovoltaica che garantirà l’energia necessaria al suo stesso mante-

nimento. La Energy Valley riconnette aree diverse in maniera democratica e non gerarchica grazie a un percorso circolare, pedonale e ciclabile, lungo il quale si affacciano edifici e funzioni pubbliche, un centro commerciale e sportivo, un hammam e una moschea, che attireranno visitatori della città e della periferia. Il centro è stato trasformato in un grande parco a forma di torta farcita di pini e querce, di prati verdi e colline, con molteplici essenze erbacee, zone lussureggianti grazie a specchi d’acqua, ambienti naturali-artificiali diversificati, di forte impatto sensoriale. I quartieri circostanti avranno lo spazio necessario per crescere, ampliando così la possibilità di espansione dell’infrastruttura fino a limitare una nuova valle. La sfera flottante sull’Energy Valley, la cui superficie rispecchia Stoccolma, diventerà un landmark che offrirà a chi guida verso o fuori dalla città una visuale a 180 gradi dell’area.

Rendering of the project Stockholm Sphere which will re-connect an urban piece of land now divided by an infrastructural junction thanks to the realization of a loop park and a floating sphere.

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or years now the Swedish government has been investing in new ideas and the quest for solutions at the cutting edge in the fields of science, technology and medicine, traditionally opting for intelligent, ecofriendly architecture. It is worth remembering that it was the Swedish physicist, chemist and Nobel Prize winner (1903), Svante Arrhenius, who discovered the greenhouse effect in 1896, identifying the link between carbon dioxide and the Earth’s temperature. In 2011, the BIG + Grontmij + Spacescape group, major innovators in the realm of crossover design between town-planning, landscaping, architecture and art, won first prize in an invitational competition to design the master plan for Stockholmsporten with their project entitled Energy Valley, whose name says it all as the ancients used to say. Indeed this futuristic hub, incorporated in a circular pathway characterized by a floating sphere that generates energy

and reflects the surrounding landscape, is intended to provide a striking new entrance way to the city. It will literally transform a strategic intersection point between four different areas including pedestrian and cycle paths, natural landscapes and a large circular park all incorporated in a green zone to stitch back together parts of the urban environment previously unused, for the purpose of enhancing well-being and generating enough electricity for the facility itself and for 235 houses in surrounding neighborhoods. The project is designed for the Hjulsta motorway junction 15 km north of Stockholm, drawing on an engineeringsculptural-environmental structure for handling a road junction between two European motorways (the E18 and E4 bypass), with a crossroads on three different levels. This man-made valley is the most important infrastructural project designed in Sweden, rendered neces-


sary due to the growth and development of Stockholm. The project also connects the neighboring Jarvafaltet recreation area to other natural settings by means of a seamless pathway designed to enhance the entire area. The Norwegian Snøhetta, Danish landscapist Kristine Jensen, also entered the competition along with the Swedish firm Erik Giudice Architects, but the BIG firm won over the panel of judges because, as it states in the report: “The fantastic round form of this design is an ingenious solution interacting with the geometric layout of the junction and, at the same time, creating an urban context binding together the various surrounding areas. Added to that there is great potential for raising the general standard and various activities in the location.” A floating sphere acting as a sort of oxygen bubble is certainly the most futuristic part of the project, which will hover above the motorway intersection with 30% of its

surface covered by a photovoltaic film providing the energy required for its own upkeep. Energy Valley reconnects different areas democratically on a non-hierarchical basis, thanks to a circular pedestrian and cycle path with public functions and buildings running along it, as well as a shopping mall and sports center, a hammam and a mosque, which will attract visitors from both the city and suburbs. The center has been converted into a big cake-shaped park full of pine trees and oaks, green fields and hills, including lots of different grasses and luscious areas full of pools of water, different natural-artificial settings that really strike the senses. The surrounding neighborhoods will have the space required to expand the infrastructure right out to the new valley. The sphere floating over Energy Valley, whose surface mirrors Stockholm will become a landmark offering drivers heading into or out of the city a 180° view across the area.

63 Viste del modello e, nella pagina a fianco, viste aeree dell’area e planimetria generale del progetto della Energy Valley all’ingresso nord di Stoccolma. Views of the model, and, opposite page, aerial views of the area and site plan of the Energy Valley project at the northern entrance of Stockholm.


Barriera infrastrutturale Infrastructural barrier

Collegamenti desiderati Desired connections

Anello verde The green loop

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Rumore Noise

Terreno di scavo Excavation soil

Avvallamento per riduzione rumore Valley for noise reduction

Cellule fotovoltaiche Photovoltaic cells

Energia solare Solar energy

Produzione annuale di energia Annual energy production

Peso Weight

Sollevamento Lift

Impatto del vento Wind impact


Punti chiave con gli edifici pubblici Key points with public buildings

Sviluppo urbano Urban development

Paesaggio centrale The central landscape 65

Come creare un segno se tutto ciò che puoi vedere è il cielo? How do you create a landmark when all you can see is the sky?

I dintorni come segno The surrounding as a landmark

Forza del vento Wind power

Materiale di superficie Surface material

Abbagliamento Glare

Distribuzione energia Energy distribution

Pressione interna Internal pressure

Fondazione Foundation

Sicurezza Safety


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Una ricerca di [sopra]vivenza A Search For [Sur]vival Città della Poesia Poetic City Progetto di Davide Vargas Project by Davide Vargas

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roadacre city. La Ville Radieuse. Le prefigurazioni di città future si fermano agli anni Settanta. Plug-in city. New Babylon. Instant city. No-stop city. Scenari e provocazioni attraversati tutti da un anelito ad “andare” verso il futuro. Mi faccio la domanda: perché oggi nessuno guarda con la stessa energia al futuro? C’è una riflessione di Alessandro Baricco, dice che il futuro è finito. Più o meno che il futuro viene considerato come una grande discarica dove depositare tutti i problemi che non riusciamo a risolvere. Dallo smaltimento dei rifiuti o delle scorie ai dolori dell’economia. “Andiamo avanti e poi ci pensiamo”. Più o meno funziona così. Solo che la discarica-futuro si è riempita e tracima verso il presente avvelenandolo. Anzi, rendendolo invivibile. Ecco l’impossibilità di fare progetti futuri. Al massimo smart-city. O città di baratto. Allora ho pensato alla poesia. L’unica cosa che tiene dentro il passato, il presente e il futuro. Non mescolati, ma proprio tutt’uno. Sono la stessa cosa. Quindi sono qui e ora. La poesia ce lo fa vedere. È come quando uno di noi si mette davanti al mare e al massimo riesce a dire tre parole sensate. Montale davanti allo stesso mare tira fuori poesie indimenticabili. Chi è più dentro la realtà? E poi dicono che i poeti hanno la testa tra le nuvole. “Soltanto poeticamente l’uomo abita davvero questa terra” [O. Elitis]. La poesia trasforma la realtà. Crea realtà. Unica. Altro non è che proiezione di sé. Quello che ci vuole per trasformare le città che viviamo. O fondarle. Che è la stessa cosa. La città della poesia è utopia e realtà al tempo stesso. Certamente una cosa concreta. Ogni uomo può attraversarla e viverla. In ogni uomo che sia vigile la città della poesia fa nascere il seme della costruzione. Nuovi pensieri. Nuovi stili di vita. Così si “realizza” la città della poesia. È un pensiero e un sentimento. Ogni uomo è poeta. Un po’. La città della poesia è ovunque.

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roadacre City. La Ville Radieuse. Prefigurations of future cities stop at the 1970s. Plug-in city. New Babylon. Instant city. No-stop city. Scenarios and provocations, all pervaded by a yearning to “go” towards the future. I wonder: why does nobody gaze so energetically into the future today? In a reflection by Alessandro Baricco, he says the future is finished. More or less that the future is seen as a big rubbish dump, in which to dispose of all the problems we can’t solve. From refuse or dross disposal to the woes of the economy. “We’ll move on and think about it later”. That’s how it works, more or less. Except that the rubbish dump-future has filled up and is overflowing into the present, poisoning it. Indeed making it uninhabitable. Hence the impossibility of designing future projects. At the most a smart-city. Or swindle-city. And so I thought of poetry. The only thing that can incorporate past, present and future. Not mixed, but all together. They are the same thing. So they are here and now. Poetry shows this. As when one of us stands in front of the sea and at the most manages to make a few sensible remarks. Montale, in front of that same sea conjures up unforgettable poems. Who is the deepest into reality? And to think that poets are said to have their heads in the clouds. “Only poetically does man really inhabit this earth” [O. Elitis]. Poetry transforms reality. Creates reality. Unique. It is simply its own projection. What it takes to transform the cities we live in. Or to found them. Which is the same thing. The poetic city is at once utopia and reality. Certainly a concrete thing. Everybody can go through and experience it. In every vigilant person the poetic city sows the seed of construction. New thoughts. New lifestyles. That’s how the poetic city is “realized”: a thought and a feeling. Everybody is a poet. To some extent. The poetic city is everywhere.


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La poesia è una città Non è città sognata. È città di vuoti e di edifici. E di relazioni. Esistono ancora nella città pause, spazi, silenzi? Intervalli di “senso” nella trama disordinata. Dove ritrovare un che. Nelle città esistono spesso i “vuoti”. Ferite aperte nei tessuti. Ma nella città della poesia anche i vuoti si trasformano in “qualità”. Il vuoto come condizione. Il vuoto come soggetto. “È come una preghiera al Vuoto/E il vuoto gira il suo volto verso noi e sussurra: Non sono vuoto, sono aperto” [Tomas Tranströmer]. La città della poesia è sovversiva. Perché non promette la felicità. Bensì l’esperienza. La poesia è città. Territorio. Mondo.

Poetry is a city It is not a dreamed city. It is a city of voids and buildings. And relations. Do pauses, spaces and silences still exist in the city? Intervals of “sense” in an untidy pattern. In which to rediscover something. “Voids” often exist in cities. Open wounds in their fabric. But in the poetic city the voids, too, are transformed into “quality”. The void as a condition. Void as subject. “It is like a prayer to Emptiness/And emptiness turns its face towards us and whispers: I am not empty, I am open” [Tomas Transrömer]. The poetic city is subversive. Because instead of happiness, it promises experience. Poetry is city. Territory. World.

Freno al consumo del cielo La città della poesia NON consuma cielo. I profili delle nostre città sono sporcati dagli abusi sui tetti. Abbaini oltre misura, sottotetti sopraelevati, altane richiuse. Un campionario di aggregazioni senza regola né rispetto per il tracciato altimetrico della città. Cielo sottratto. La città della poesia riscopre il cielo. Progetta la linea di contatto. Di più. La città della poesia percorre il cielo.

Sky consumption curbed The poetic city does NOT consume sky. The skylines of our cities are soiled by abuse of their rooftops. Outsized attics, raised penthouses, closed roof terraces. A samplerange of aggregations without rules or respect for the city’s altimetric pattern. Stolen sky. The poetic city rediscovers the sky. It draws the contact line. Yet more. The poetic city runs through the sky.

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I colori della città della poesia Come le installazioni di Dan Flavin. Sei tu che entri nella massa del colore. Solida e vaporosa allo stesso tempo. Ne respiri libero [Allen Ginsberg: (…) respiro, io voglio respirare libero] ogni particella. Sei tu stesso il colore. Nella città della poesia sei TU che fai ogni cosa. Niente è esterno.

The poetic city’s colors Like Dan Flavin’s installations. It is you that enter the mass of color. Solid yet vaporous. You breathe it freely [Allen Ginsberg: (…) I breathe, I want to breathe every particle freely]. You yourself are color. In the poetic city it is YOU that does everything. Nothing is external.


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Le cose della città della poesia Ogni cosa è linguaggio. Edifici. Spazi. Vuoti. Sopra e sotto. Entità minute. Un flusso di significati viene dal retroterra della forma visibile. È la forma stessa. Visibile il senso. Perché ogni cosa vuole che tu ne sveli il senso. Te lo chiede come una invocazione. [Cammino nella palude della città scivolando sui basoli lisci come pelli di mammifero marino e inarcando la schiena di continuo per non precipitare e in questa tensione sento parlare le pietre i ferri e i canali i vetri degli edifici inzuppati. È questa la città della poesia. Voci, versi scritti sulle strisce di pelle intonacate o scabre. Parole che trovo e riconosco. Verbi. Immagini. Conoscenza umana. Linguaggio, dicevamo. E fare.]

The poetic city’s things Everything is language. Buildings. Spaces. Voids. Above and below. Minute entities. A flow of meanings comes from the hinterland of visible form. It is form itself. The sense visible. Because everything wants you to disclose its sense. Asking you as an invocation. [I walk through the city swamp sliding on the volcanic paving stones smooth as sea mammals’s skins and bending my back all the time so as not to crash and in this tension I hear the stones irons canals glass speaking in the soaked buildings. This is the poetic city. Voices, verses written on plastered or rugged strips of skin. Words that I find and recognize. Verbs. Images. Human knowledge. Language, we were saying. And doing.]

La città della poesia racconta verità – svela i segreti Prendi i cigli delle strade. I deserti delle periferie. Nella città ci sono i luoghi dei falliti. Le bettole, i manicomi, le mense, la strada, le ferrovie. Ci sono i falliti. Uomini e donne traditi. Ubriaconi e disperati. Miserie. Ma c’è uno sguardo nella città della poesia. Narrante in presa diretta. Assente il giudizio morale. Che registra gli uomini e ne scava la dolente umanità. Lo sguardo di un poeta. “Non vi venga l’idea che io sono un poeta” dice Bukowski. Lo sguardo dell’uomo.

The poetic city recounts truth – reveals secrets Take the shoulders of roads. The suburban deserts. In the city there are places of failed people. The taverns, mental hospitals, canteens, road, railways. There are failed people. Men and women betrayed. Drunk and desperate. Poverty. But there is a glimpse into the poetic city. A live narrator. Moral judgement missing. Which records human beings and penetrates their sorrowful humanity. The eyes of a poet. “Don’t start thinking I am a poet”, says Bukowski. People’s eyes.

La pianta della città della poesia Come la scheda madre di un transistor. Mappa di circuiti. Rete di vettori. Rimandi. Viaggi. Flussi di parole. Come la scheda estratta da Hal.

The poetic city’s plan Like the motherboard of a transistor. Map of circuits. Network of vectors. References. Journeys. Flows of words. Like the motherboard extracted from Hal.


La città della poesia è una demolizione Nella città esistente. Come un’esplosione. Nei suoi squarci nasce la possibilità che lo sguardo possa immaginare. Cosa? Tessiture di costruzioni. Come inserire una parola in una frase. La parola mancante. Giusta. Ineliminabile. Quella solo quella. La frase diventa poesia. Come la città. La città della poesia è un insieme di “punti di vista”. Laterali. In altura. Oltre lo scontato. Soprattutto: creativi. Di fronte all’orrore c’è lo scatto. L’orrore c’è. E chi può negarlo? Non è sotto gli occhi di tutti il “disfacimento”? Ma ogni cosa si trasforma. Per dirla meglio: ogni cosa l’uomo è in grado di trasformare. Come sempre l’uomo. Il suo passaggio su questa terra. La sua consapevolezza. La sua capacità di attribuire senso alla realtà. Anzi. Di creare realtà. Cosa c’è di più reale se non la proiezione del proprio “io” più profondo?

The poetic city is a demolition In the existing city. Like an explosion. In its gashes the eye might be able to imagine. What? Textures of constructions. Like fitting a word into a sentence. The missing word. Right. Indestructible. That and only that. The sentence becomes poetry. Like the city. The poetic city is a set of “points of view”. Lateral. On higher ground. Beyond the obvious. Above all: creative. Opposite horror the sudden movement. The horror is there. Who can deny it? Is not the “disintegration” visible to all? But everything is transformed. Or rather: everything that humans are capable of transforming. As always, human beings. Their passage on this earth. Their awareness. Their capacity to attribute sense to reality. Or rather, to create reality. What is more real than the projection of one’s innermost “self”?

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La città della poesia infine È fatta di incroci. Non è detto che stiano sullo stesso piano. Ma non importa. Percorsi che si intrecciano. O si sfiorano appena. Ma ogni tocco d’aria provoca modificazioni. Apre visuali. Oltre le barriere. Coordinate di incroci. Orizzontali. Verticali. Alternati. Come la siepe di Leopardi che da tanta parte/dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Le barriere sono occasioni. Quando smetti di sbattervi la testa contro capisci che se solo ti sposti di lato. Gli incroci punti di domande a se stessi. Scelta. Istinto. Voce del sentire. Gli incroci sono la struttura. Intorno ad essa la città della poesia costruisce se stessa. Come una maglia generatrice. Nessun riferimento a icone possedute. [il gesto primario del tracciamento di assi ortogonali determina la croce] Nessuna analogia. Né simboli. Ogni cosa è da inventare. Scoprire. Disvelare. Costruire. E niente dura per sempre. [Andiamo dove la terra finisce. Come un fiume. Seguiamo la corrente e imbocchiamo gli affluenti. Questo è il percorso. Si fa camminando. Con mete mobili. Andiamo lungo le sponde della città e della terra. Oltre i domini. Dove si incontrano gli elementi – la terra, l’acqua, il cielo – accade qualcosa. Un caprifoglio si lascia scoprire nell’incavo delle rocce, dove la terra rossa si sfoglia toccando le acque e il fiume sfrangia le sue membra poderose prima di mescolarsi all’infinito].

The poetic city after all It is made of crossings. Not necessarily on the same plane. But it does not matter. Routes interweaving. Or barely touching one another. But every touch of air causes changes. Opens vistas. Beyond barriers. Coordinates of crossings. Horizontal. Vertical. Alternate. Like Leopardi’s hedge, which for its part, excludes most of the horizon. Barriers are opportunities. When you stop banging your head against them you realize you’re only moving sideways. The crossings as questions to themselves. Choice. Instinct. Voice of feeling. Crossings are structure. Around it the poetic city builds itself. Like a generating grid. No reference to icons possessed. [the primary act of tracing orthogonal axes determines the cross] No analogy, nor symbols. Everything to be invented. Discovered. Disclosed. Constructed. And nothing lasts forever. [We go where the land ends. Like a river. We follow the current and turn into its affluents. This is the route. Done by walking. With mobile destinations. Going along the banks of the city and the earth. Beyond dominions. Where elements–earth, water and sky–meet, something happens. A honeysuckle lets itself be discovered in the hollow of a rock, where the red earth peels off touching the waters and the river spreads its mighty limbs before mingling with infinity].


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La città della poesia è un ambiente Il palazzo ducale di Urbino è il prototipo di ambiente. Microcosmo urbano, luogo dove l’incontro di polarità fa nascere una nuova civiltà. Laurana, Duca di Montefeltro, Piero della Francesca. Si può costruire la città della poesia. La propria. E quella collettiva. Anni fa raccontai ad un giovane architetto che mi avevano colpito i fiori freschi che Ettore Sottsass teneva nello studio. Dopo molti anni mi dice: “Tu non mi hai detto di fare altrettanto ma io ho cominciato a mettere i fiori freschi nello studio”. Così vanno le cose con la poesia. Roba che si riverbera nel quotidiano delle persone. Qui conduce. Davide Vargas

The poetic city is an environment The Ducal Palace in Urbino is the prototype of an environment. An urban microcosm, a place where the meeting of polarities brings a new civilization into being. Laurana, the Duke of Montefeltro, Piero della Francesca. The poetic city can be built. Yours. And the collective. Years ago I told a young architect that I had been struck by the fresh flowers that Ettore Sottsass kept in his studio. Many years later he said to me: “You didn’t tell me to do the same, but I too started putting fresh flowers in my studio.” That’s the way it is with poetry. Stuff that reverberates in a person’s everyday life. That leads. Davide Vargas

“Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?” Pier Paolo Pasolini, Il Decamerone, 1971.

“Why create a work when it is so nice to dream about it only?“ Pier Paolo Pasolini, Il Decamerone, 1971.


Programmazione urbana sostenibile Sustainable Urban Planning Earth City, il sistema della città ecologica Earth City, Eco City System Progetto di J.M. Schivo & Associati Project by J.M. Schivo & Associates

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Città In un momento di crisi economica globale il rilancio dell’economia passa necessariamente attraverso un nuovo modo di immaginare la città, i suoi processi produttivi ed energetici, la sua socialità. Earth City–Eco City System si configura come un innovativo strumento destinato alle amministrazioni pubbliche, governi e investitori privati che intendano perseguire una strategia di programmazione urbana sostenibile fortemente articolata, basandosi su dati acquisiti e in tempi contenuti con caratteristiche in linea con i criteri di valutazione individuati dalla UE per definire il modello di Smart City. Si tratta infatti di un sistema programmato in equili-

brio con l’ambiente naturale, fondato sul rispetto delle locali condizioni geografiche, climatiche e culturali e caratterizzato da precisi limiti dimensionali e da un ottimale rapporto fra densità del costruito e reti di spazi pubblici definiti dalla struttura degli isolati urbani a destinazione mista. È composto da un numero definito di distretti strettamente correlati, ma può adattarsi a situazioni più ampie e complesse. La densità ottimale del costruito favorisce un ricco sistema di rapporti di prossimità permettendo ai suoi abitanti di vivere in un ambiente a completa accessibilità pedonale e incoraggiando l’uso di mezzi elettrici condivisi con il supporto di un’efficiente rete di trasporto pubblico per gli


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spostamenti più lunghi. La concezione del suo progetto energetico parte dalla considerazione del massimo sfruttamento delle più attuali tecnologie di autoproduzione, riuso e conservazione delle risorse disponibili avendo come obiettivo principale la creazione di un ambiente urbano che riduca al minimo il consumo delle risorse naturali, preservi la biodiversità del sito, attraverso il suo centro costituito da un sistema verde che rappresenta oltre il 40% dell’area complessiva, e garantisca riserve produttive e di acqua. L’integrazione di elementi naturali in un “sistema nervoso” formato da reti tecnologiche intelligenti, caratterizzate da elementi adeguatamente connessi in rete e basate sul minimo consumo di risorse, massimizza la so-

stenibilità in tempi certi di Earth City rendendola struttura efficiente ed efficace secondo il concetto di energia “justin-time”, energia dove e quando serve. Attraverso l’utilizzo di tutte le principali fonti di approvvigionamento da energie rinnovabili e delle tecnologie del riuso il sistema arriva così a coprire una percentuale, variabile a seconda del sito, compresa fra il 60 e il 90% del fabbisogno energetico e ad ottenere una minore emissione di CO2 di circa 90.000 t/anno. Inoltre le sole aree boschive producono 830 tonnellate di ossigeno pari a circa 27 kg di ossigeno per abitante e le aree a verde coltivato a fini alimentari sono in grado di provvedere al 30% dei fabbisogni agroalimentari degli abitanti.

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DEVELOPMENT REMODELED Change the vision of the city

TOTAL GREEN 2.420.000 MQ (47% Total surface) Agriculture Wilderness Park Lawn

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City At a time of global economic crisis, the economy can only be boosted by coming up with a new way of envisaging the city, its manufacturing/energy processes and its social relations. Earth City–Eco City System is designed to be an innovative means for Public Administrations, Governments and private investors to pursue a strategy of highly elaborate sustainable urban planning based on accumulated data and working on a tight schedule, also complying with the assessment guidelines set by the EU for defining a model for a Smart City. It is actually a programed system in balance with the natural environment based on respect for local geographical, climatic and cultural conditions and featuring very precise size constraints and optimal interaction between the density of the builtscape and networks of public spaces determined by the structure of mixed-purpose urban blocks. It is composed of a definite number of strictly correlated districts, but it can also adapt to more extensive and elaborate situations. Optimum density of the built environment favors an extensive system of proximity relations allowing local inhabitants to live in a fully pedestrian setting and encouraging the use of shared electric transport with the backing of an efficient public transport network for longer journeys.

420.000 MQ 1.350.000 MQ 370.000 MQ 280.000 MQ

The energy project is designed with a view to making the best possible use of the most cutting-edge self-production, reutilization and conservation technology for the available resources, with the main goal being to create a cityscape reducing the consumption of natural resources to a minimum, preserving the biodiversity of the site thanks to a downtown district composed of a system of greenery/landscaping representing over 40% of the overall area, and guaranteeing production supplies and water. Incorporating natural features in a “nerve system” composed of intelligent technological networks featuring suitably networked elements and based on the minimum consumption of resources, maximizes the sustainability of Earth City within definite guidelines, making it an effective and efficient structure based on the concept of “just-in-time” energy where and when it is needed. By using all the main renewable energy sources and reutilization technology available, the system can cover a percentage of the overall energy demand ranging (depending on the site) between 60-90% and reducing the amount of CO2 emissions by approximately 90,000 tonnes/year. Moreover, the wooded areas alone generate 830 tons of oxygen equivalent to approximately 27 kg of oxygen per inhabitant, and the areas of greenery farmed for food purposes can supply 30% of the local inhabitants’ farm-food requirements.


BIODIVERSITY

EARTH CITY Green system

To the city

To the city

Intensive green

830t

Oxygen production

135HA -7.000t CO2

Urban Park

65HA

Biological cultivations

42HA

To the city

Ecological corridor

30%

Inhabitants’ agricultural need

Water

630.000 MQ

Diameter 900m

79 90%

ENERGY NETWORK

Rainwater recovery from land

INTERMODAL PUBLIC NETWORK

INDIVIDUAL SYSTEM SHARED

UNDERGROUND PRIVATE PARKING


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Energia Earth City è un innovativo concept per una città di fondazione immaginata come contenitore di soluzioni mirate a governare la complessità del sistema urbano. Energy = management city complexity E=mc2 La gestione del sistema città nel suo intero ciclo di vita tende al minor consumo di energia possibile. Earth City implementa questo approccio in tutte le fasi progettuali, realizzative e gestionali e in tutti i settori sociali, economici e ambientali. Le keywords energetiche di Earth City sono: • Smarts Grids • Innovation technology • Massima quota di Fonti Energetiche Rinnovabili • Comportamento sostenibile degli abitanti. La struttura urbana è stata concepita come un insieme di infrastrutture composte da elementi fissi in rete che, adeguatamente connessi, riescono a renderla efficaciency, ossia sia efficace che efficiente. Earth City vuole sfruttare il potenziale delle ICT (information and communication technologies) per risolvere le sfide sociali emergenti. Piattaforme tecnologiche a elevata innovazione e strettamente integrate: • Integrazione fra generazione distribuita dell’energia, fonti rinnovabili e utenze (residenziale, terziario) • ICT applicata alla gestione dei distretti energetici al fine di ottimizzare scambi energetici nelle diverse forme: termica elettrica, frigorifera, combinata (co-trigenerazione). L’Energy Just-in-Time è caratterizzata da elementi quali affidabilità, riduzione delle inefficienze di produzione e distribuzione dell’energia in un’ottica di approvvigionamento a filiera corta con forti riduzioni degli sprechi nella trasmissione dell’energia stessa. Earth City realizza una generazione distribuita dell’energia attraverso la costruzione di una innovativa Smart Grid sottesa da una ferrea logica just-in-time: produrre e consumare l’energia che serve al momento giusto. Tale concetto è stato affrontato dando specifiche risposte progettuali ai seguenti obiettivi: • Ottimizzare l’efficienza energetica della struttura urbana • Ottimizzare l’efficienza energetica nell’approvvigionamento energetico • Minimizzare il fabbisogno energetico degli edifici • Rendere sostenibili tutte le fasi del processo costruttivo • Massimizzare le FER per il sistema dei trasporti • Prevedere un sistema dei trasporti con bassi consumi di energia primaria • Prevedere la mobilità intermodale (Minimizzare i bisogni di trasporto e ottimizzare il sistema dei trasporti) • Contenere la produzione dei rifiuti e valorizzarli energeticamente – Riciclo rifiuti NETWORK PUBLIC ELECTRIC TRASPORTATION

• Ridurre i consumi di acqua • Sfruttare al massimo le fonti energetiche rinnovabili – Energia fotovoltaica, eolica, geotermica. Sistemi passivi e ciclo costruttivo: insieme di accorgimenti progettuali, impiego di tecnologie e materiali da riciclo per favorire minori consumi energetici variabili in funzione delle condizioni climatiche locali (circa 7% rispetto ai consumi tradizionali di energia con conseguenti minori emissioni). Riciclo rifiuti: impianto di cogenerazione da 2 MW per produzione di energia elettrica e termica (produzione di energia annua circa 12.000 MWh). Energia fotovoltaica: installazioni su coperture e facciate per una potenza complessiva di oltre 35 MW (circa 30% del fabbisogno complessivo di energia). Energia eolica: utilizzo di micropale da 5 kW e di grandi turbine da 1 MW (circa 40% dell’energia annua necessaria). Energia geotermica: sonde verticali e orizzontali sfruttano la temperatura del terreno a 20 metri di profondità e quella di superficie. L’energia prodotta non emette CO2, quindi ogni kW risparmiato equivale a CO2 non emessa (riduzione dei consumi per riscaldamento e raffrescamento pari al 50%). I consumi stimati ammontano a oltre 150.000 MWh annui totali comprendendo quelli abitativi, di uffici, commercio, strutture collettive, infrastrutture. Le tecnologie adottate e i cicli progettuali e costruttivi portano ad un contributo sostanziale a tali consumi in termini di risparmi sull’energia e sugli agenti inquinanti a livello globale (CO2 e TEP). Il sistema è concepito per arrivare a coprire il 100% del fabbisogno energetico tra autoproduzione e risparmio di energia necessaria annua e a una minor emissione di oltre 100.000 tonnellate di CO2 all’anno. Detta percentuale può variare fra il 60 e il 100% a seconda delle tecnologie impiegate e delle caratteristiche ambientali e climatiche del sito. La dotazione di aree verdi boschive e di aree verdi coltivabili fornisce un ulteriore contributo di autosufficienza e autoproduzione. A fronte di una presenza di 42 ettari di aree agricole e di 47 ettari di verde a bosco si ottiene una quantità misurabile di benessere abitativo in termini di ossigeno prodotto e di ulteriore CO2 non immessa in atmosfera. Le sole aree boschive producono 290 tonnellate di ossigeno pari a circa 10 Kg di ossigeno per ognuno dei 30.000 abitanti oltre a 2.500 tonnellate di CO2 risparmiata. Le aree a verde coltivato a fini alimentari, pari a 42 ettari, sono in grado di provvedere per il 30% dei fabbisogni agroalimentari degli abitanti.


Energy Energy City is an innovative concept for a grounding city envisaged as the container of solutions aimed at controlling the complexity of the urban system. Energy = management city complexity E=mc2. The overall management of the city system throughout its entire life cycle tends towards the lowest possible energy consumption. The city implements this approach in all its various design, construction and managerial phases and in every social, economic and environmental sector. Earth City’s keywords in terms of energy are: • Smarts Grids • Innovation technology • Maximum share of Renewable Energy Sources • People’s sustainable behavior. The urban structure is envisaged as a set of infrastructures composed of fixed networked elements, suitably interconnected, that make it efficaciency or, in other words, effective and efficient. Earth City aims to exploit the potential of ICTs (information and communication technologies) to handle emerging social challenges. Highly innovative and tightly integrated technological platforms: • Integration between energy generation/supply, renewable sources and users (housing, services) • ICT applied to the management of energy districts to optimize energy exchanges in their various forms: electricalthermal, refrigeration, combined (co-trigeneration). Energy Just-in-Time features such distinctive traits as reliability, reduction of energy generation/supply inefficiency, based on notable reductions in waste during the transmission of energy itself. Earth City generates and supplies electricity through the construction of an innovative Smart Grid working on a just-in-time basis: generating and consuming the energy required at the right time. This concept is tackled providing specific design solutions to meet the following targets: • Optimizing the urban structure’s energy efficiency • Optimizing the energy efficiency of the electricity supply • Minimizing the energy requirements of buildings • Making every stage in the construction process sustainable • Maximizing FERs for the transport system • Providing a transport system with low primary energy consumption • Providing intermodal transport (Minimize transport needs and optimize transport systems) • Constraining the generation of waste and exploiting it

for energy purposes – recycling waste • Reducing water consumption • Exploiting renewable energy sources to the maximum – Photovoltaic, wind, geothermal energy. Passive systems and the construction cycle: set of design measures, use of recycling technology and materials to facilitate lower energy consumption varying in accordance with the local weather conditions (approximately 7% compared to conventional energy consumption resulting in lower emissions). Recycling waste: MW co-generation system for generating electrical-thermal energy (yearly electricity generation of approximately 12,000 MWh). Photovoltaic energy: installations on roofs and facades to provide an overall power supply of over 35 MW (approximately 30% of overall energy requirements) . Wind power: use of 5 kW micro-blades and large 1 MW turbines (approximately 40% of yearly energy requirements). Geo-thermal energy: vertical and horizontal probes exploiting the ground’s temperature at a depth of 20 m and at the surface. The energy generated does not give off CO2, so every kilowatt saved corresponds to CO2 not emitted (50% reduction in consumption for heating and cooling purposes). Estimated consumption amounts to over 150,000 MWh annual total, including consumption by housing, offices, retail, community facilities, infrastructures. The technology adopted and design/construction cycles result in notable energy savings in this consumption and also reductions in polluting substances on a global level (CO2 and TEP). The system is designed to cover 100% of energy needs based on self-generation and required annual energy savings. It will also reduce CO2 emissions by over 100,000 tons a year. It may vary between 60-100% of this figure, according to the technology used and environmental-climatic features of the site. Wooded areas of greenery and landscaped areas used for farming provide a further contribution to self-sufficiency and self-production. The presence of 42 hectares of farmland and 47 hectares of woods will improve the living conditions in terms of the oxygen produced and reduction in CO2 given off into the air. The areas of woodlands alone generate 290 tons of oxygen equal to approximately 10 Kg of oxygen for each of the 30,000 inhabitants, plus a saving in terms of CO2 of 2,500 tons. The land farmed for food purposes, equal to 42 hectares, can provide 30% of the local population's farm-food requirements.

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Il quartiere Earth City–Eco City System presenta tre settori urbanizzati in cui trovano posto servizi, attività lavorative e residenze. Il sistema fortemente integrato si sviluppa come una concatenazione di funzioni, spazi, piazze e percorsi e si articola in una serie di unità di dimensioni più limitate, autosufficienti energeticamente, che applicano la stessa filosofia generale: energy just-in-time e +bitwatt. La flessibilità del sistema e le sue contenute dimensioni fanno sì che possa trovare applicazione oltre che nel contesto urbano di Earth City anche in realtà territoriali già parzialmente edificate o in aree dismesse da riqualificare pur conservando inalterate le sue caratteristiche: - il verde e l’acqua come struttura portante di tutto il sistema: verde intenso, verde agricolo, verde urbano attrezzato e verde sportivo - i servizi di quartiere: cinque tipologie di spazi rappresentano il sistema di servizi a garanzia di un mix di funzioni oggi indispensabile per favorire un corretto rapporto tra abitanti e spazio pubblico - le residenze: cinque tipologie abitative, caratterizzate da alta flessibilità interna e sostenibilità ambientale, rispondono alle richieste di un’utenza sempre più diversificata e multietnica ricreando la complessità di relazioni fra residenti tipica di un quartiere consolidato con la presenza di spazi per attività diverse, tetti-giardino coltivabili, piccoli servizi di prossimità, laboratori e spazi culturali - l’arredo urbano: gli stessi criteri generali sono applicati al quartiere con la previsione di una serie di funzioni leggere e mobili, connesse alle piazze, che garantiscono la continua flessibilità del sistema e delle attività commerciali di base - i trasporti: la compattezza dell’impianto del quartiere privilegia gli spostamenti a piedi a cui si aggiungono mezzi elettrici condivisi per un’agevole fruibilità dell’insieme - l’energia: l’uso su larga scala delle fonti rinnovabili unito a criteri di risparmio energetico e razionale distribuzione dell’energia permea l’intero sistema - la condivisione partecipata. Jean-Marc Schivo

The Neighborhood Earth City–Eco City System has three urbanized sectors providing room for services, work activities and housing. This highly integrated system develops like a chain of functions, spaces, squares and pathways and is organized in a set of smaller energy-self-sufficient units applying the same basic philosophy: energy just-in-time and +bit-watt. The flexibility of the system and its constrained size mean that it can be incorporated not only in the urban setting of Earth City but also in areas already partially built-up or abandoned areas to be redeveloped while maintaining their distinctive traits: - greenery and water as the bearing structure for the entire system: intense greenery, farm landscaping, fullyfurnished urban landscaping and sports-oriented greenery - neighborhood services: the services system is represented by five types of space guaranteeing the kind of mix of functions now indispensable for encouraging proper interaction between inhabitants and public space - housing: five types of housing featuring high internal flexibility and environmental sustainability, meeting the needs of an increasingly wide range of multi-ethnic users and recreating the complex relations between residents typical of a consolidated neighborhood equipped with spaces for various different activities, cultivatable garden-roofs, small local services, workshops and cultural facilities - urban furnishing: the same general guidelines are enforced in the neighborhood to provide a set of easy-toread, mobile functions connected to the local squares, guaranteeing a consistently flexible system and basic commercial operations - transport: the compact nature of the neighborhood layout encourages walking and is also backed up by shared electric transport to make it easier to take advantage of the overall system - energy: the large-scale use of renewable sources combined with guidelines for energy-saving and the rational supply of energy characterizes the entire system - participated sharing. Jean-Marc Schivo


DISTRICT ZONING – DISTRIBUTION OF BUILDING TYPES

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ECO CITY SYSTEM – EARTH CITY Energy buildings strategy High performance building


La resilienza Resilience La città vegetale Vegetable City Progetto di Luc Schuiten Project by Luc Schuiten

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l concetto di città vegetale, o di città resiliente, è nato da una riflessione di architettura su possibili forme di habitat e di funzionamenti urbani futuristici. Una tale formulazione è stata elaborata pensando alla realtà e alle necessità materiali e intellettuali del vivente. Libera da tutti i vincoli dello sviluppo imposto dal capitalismo, questa proiezione visionaria del nostro ambiente si interroga sui modi di vita nella prospettiva di una evoluzione sostenibile. Oggi, lo stato del pianeta pone dei problemi sul suo futuro. La rivoluzione causata dall’investimento nell’industria giunge ora alla fine. Lo sfruttamento delle riserve naturali e umane attraverso il globo, l’erosione della biodiversità, la capitalizzazione individuale delle risorse del pianeta, sono altrettanti segnali che caratterizzano la china sulla quale il modernismo è precipitato. La società che si è determinata nella frenesia della produzione ha creato una rappresentazione illusoria del progresso. La padronanza tecnica che ieri garantiva la crescita dei beni, dava la sicurezza di un potere incontestato e illimitato delle nostre

società industriali. Sotto l’impulso di prospettive di vita migliore, dove la ricerca della ricchezza materiale garantiva di sfuggire alla precarietà, esse non hanno visto il flagello distruttore che nascondeva il loro sogno. Al di fuori di ogni concertazione sociale, di ogni legislazione, nella precarietà delle procedure tecniche, ha preso vita un Alien. Come una cellula che ignora la sua appartenenza a un unico organismo, ognuno ha portato avanti la sua battaglia per se stesso o per la sua famiglia, senza coscienza degli sconvolgimenti degli equilibri naturali e sociali causati dagli strascichi di questi comportamenti nelle trasformazioni dei legami individuali e nel rapporto con il modo vivente. Da parecchi anni, la moltiplicazione delle catastrofi ambientali e i rapporti internazionali sui cambiamenti climatici e la biodiversità danno sempre più spazio a visioni negative e allarmistiche di un pianeta colpito nella sua integrità dalle aggressioni umane e prospettano la paura di un futuro solo negativo come progetto di società. Per rimediare a questo difetto nefasto in


CITTÀ INTELLIGENTI SMART CITIES

una prospettiva positiva del nostro futuro, ho voluto, al contrario, mostrare il più bel futuro possibile per il nostro pianeta, il mondo in cui vorrei vivere. A tal fine ho esplorato le piste già tracciate dal biomimetismo, proponendo di concentrarci attorno a una creatività positiva, di aprire dei futuri possibili che rendano impazienti di farvi parte e di progettare delle città dove sia bello respirare, rendendo il loro spazio ai canti degli uccelli, agli orti e ai meandri dei fiumi e dei ruscelli. Città fatte di spazi che incarnano uno dei principi fondamentali del vivente: la vita crea le condizioni propizie alla vita. Oltre a questo, esse propongono anche di ridurre la frontiera tra artificiale e naturale, e di riconciliare gli aggressori e gli aggrediti attorno alla coscienza rinnovata di un’ampia relazione di interdipendenza, di un rispetto e di una meraviglia comuni per la vita sulla Terra. Oltrepassare i limiti di ciò che si conosce e concepire un altrove è una delle avventure intellettuali più appassionanti. L’uso delle conoscenze teoriche e tecniche che ab-

biamo per applicarle a delle prospettive di sviluppo più adatte alla realtà della Terra e alle nostre necessità di vita sono gli elementi alla base di questo lavoro. Un architetto non fa che disegnare degli edifici pensati per essere realizzati più tardi. In questa formazione professionale ho integrato totalmente il ruolo del disegno, proiezione di un futuro prossimo. In questo senso esso prefigura il futuro, lo anticipa per poterlo modificare, modellare. Nessuna realizzazione umana si produce senza che venga progettata con una forma o l’altra di disegno. Il progetto di un architetto è l’anticipazione di un nuovo spazio da costruire, anche se si tratta ancora di un’aspirazione, viene percepito in poco tempo come un possibile divenire. Da qui mi è nata la coscienza che disegnare l’evoluzione della città come la immaginavo avrebbe coinvolto nel progetto già un po’ di futuro che, grazie al realismo del disegno, sarebbe diventato sempre più credibile, segnando già una prima tappa verso un avvenire sostenibile.

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he concept of a vegetable or resilient city derives from conceptual thinking on possible forms of habitat and futuristic urban mechanisms. This formulation was developed by contemplating reality and thinking about the material and intellectual needs of people living in cities. Freed from all the constraints of the kind of growth imposed by capitalism, this visionary projection for our environment ponders over lifestyles from the perspective of sustainable growth. The current state of the planet poses problems concerning its future. The revolution caused by investment in industry is now reaching its end. The exploitation of natural and human reserves across the globe, the eroding away of biodiversity, and individual capitalization of the planet’s resources, are all signs of a slippery slope that modernism is sliding down. The kind of society that has emerged from frantic obsession with production has created an illusory representation of progress. The technical mastery that once guaranteed more goods/products could be produced conveyed a reassuring sense of unbridled and boundless power in our industrial societies. Driven along by the prospect of a better life, in which the quest for material wealth made it possible to escape precariousness, they were blissfully unaware of the destructive scourge hidden away in their dream. Apart from any kind of social consultation, legislation and precarious technical procedures, an alien came into being. Like a cell that is unaware of the fact that it belongs to one single organism, everybody fought their own battle for either themselves or their family, without considering the upheaval being caused to the natural and social balances by the repercussions of this kind of behavior in terms of changes to individual bonds and interaction with the living world. For some years now, a vast array of environmental disasters and international reports on climate change and biodiversity are giving greater credence to negative and alarmist visions of a planet, whose integrity is being threatened by human aggression, and there is a growing fear of a future in which society can only be envisaged negatively. In order to rectify this ominous vision to open up the way to brighter prospects for our future, I, on the other hand, wanted to envisage the best possible future for our planet, the kind of world in which I would like to live. To do this I explored the pathways already trodden by biomimetics, suggesting we focus on a plausible kind of creativity opening up the way to possible futures that we will be impatient to be part of and designing cities in which breathing is a pleasure, leaving room for birdsong, allotments and meandering rivers and streams. Cities whose spaces embody one of the basic principles of the living

world: life creates the ideal conditions for life. In addition to this, they also suggest breaking down the boundary between the artificial and natural and getting both the aggressors and oppressed to develop a renewed awareness of their interdependency and a shared respect and astonishment about life on Earth. Moving beyond the bounds of what is known in order to envisage an alternative place is one of the most passionate intellectual adventures of all. Applying our theoretical and technical know-how for the purposes of developing along more suitable lines for both life on Earth and our everyday needs are aspects lying at the very foundations of this work. An architect merely designs buildings envisaged to be constructed at a later date. I have fully integrated the role of design in this professional training program projected towards the near future. In this respect it actually envisages and anticipates the future in order to alter and shape it. No human construction is ever made without first designing some form or other. And architect’s project envisages a new space to be built, and even if it is still only an aspiration, it is perceived as something possible. This led me to an awareness that designing along the lines I envisage cities evolving would inevitably engage a bit of the future in the project, which, thanks to the realism of the design work, would inevitably become increasingly credible, already marking the first step towards a sustainable future.


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Trasporti I mezzi di trasporto della città sono parte integrante della problematica urbanistica. Sono indissociabili dal concetto stesso di città. I mezzi di circolazione che utilizziamo attualmente sono il risultato di meccanismi storici e ancestrali di comportamenti umani. Alla necessità di spostarsi, si è aggiunta la volontà di sedurre e d’affermare la propria supremazia sugli altri individui. Il veicolo indica il rispetto, l’ammirazione e la conquista di uno status sociale. D’altro canto, lo sfruttamento esponenziale dei carburanti avrà ormai svuotato entro qualche decennio le riserve petrolifere che hanno impiegato milioni di anni per formarsi. A parte la bicicletta, tutti i mezzi di trasporto che utilizziamo, pesano circa 10 volte il peso dei loro passeggeri. Per ridurre i consumi, bisognerà ridurre il peso del contenitore. Ho quindi immaginato dei piccoli apparecchi morbidi e leggeri che funzionano con un motore elettrico captando energia da un binario integrato nella strada. Per rispondere a ogni necessità di trasporto, sono proposti altri mezzi di spostamento complementari a questo sistema, sia per gli spostamenti privati, sia per il trasporto di merci – assistenti alla camminata, biciclette, apparecchi aerei ecc. Siamo costretti a cercare delle nuove formule di funzionamento. La fortuna che abbiamo oggi è di non poterci sottrarre a questa necessità e avere allo stesso tempo la possibilità di creare un vivere altrimenti.

Transport Inner-city means of transport are an integral part of townplanning issues. They cannot be dissociated from the very concept of a city. The means of transport we currently use are actually the product of age-old human behavioral patterns. The need to move around combines with the need to seduce and assert our supremacy over other individuals. A vehicle stands for respect, admiration and the conquering of a certain social status. On the other hand, the exponential exploitation of fuels will empty oil reserves that took millions of years to form within the space of just a few decades. Apart from the bicycle, every means of transport we use weighs approximately 10 times more than its passengers. In order to reduce consumption, we need to reduce the weight of the receptacle. This is why I have envisaged small, soft, light-weight appliances operating using an electric engine capturing energy from tracks incorporated in the road. Other means of transport complementary to this system are also proposed to cater for every imaginable transport need, both for personal reasons and for transporting goods— walking aids, bicycles, overhead mechanisms etc. We are forced to try and come up with new operating means. The fortunate thing is that we can no longer ignore this situation and, at the same time, we have the chance to create an alternative way of life.

Il tramodulare Il tram è uno dei mezzi di trasporto urbano più economici in termini di energia e meno inquinante. Lungi dall’essere alla fine della sua evoluzione, può ancora essere migliorato in peso e in flessibilità. Ho immaginato un modello di piccole vetture autonome, che possono circolare da sole, senza conduttore, ed essere assemblate con altre per formare un convoglio. La vettura comporta sette posti, tre persone sedute davanti e quattro dietro, in piedi ma appoggiandosi in modo comodo. La base del veicolo è un piano in metallo sul quale è appoggiata una carrozzeria in legno e fibra di resina vegetale. Piccoli motori elettrici posizionati nelle ruote, permettono di contenere il peso limitato del veicolo. La salita dei passeggeri avviene su un via parallela a quella di circolazione, dato che il veicolo si ferma solo su richiesta e se ci sono ancora dei posti disponibili. Un sistema elettronico comanda le destinazioni, le fermate dei veicoli e le richieste di fermata in funzione delle destinazioni. Le antenne fanno da segnali luminosi di colori appropriati per differenziare le destinazioni. La flessibilità oraria della circolazione, il deposito dei veicoli vuoti, la loro distribuzione sulla rete, l’invio di veicoli richiesti, sia partendo dalle fermate sia da casa, sono gestiti da una centrale informatica. Nelle ore di maggiore traffico, i tramodulari vengono raggruppati in convogli e formano un tram simile a quelli tradizionali. Questo sistema presenta il vantaggio di adattarsi a qualsiasi rete tranviaria su corsia privilegiata esistente.

The Modulartram The tram is the most economic means of transport in terms of energy and also the least polluting. Far from having reached the end of its developmental phase, it can still be improved in terms of weight and flexibility. I have envisaged a model with small independent carriages that can circulate on their own without a driver or be assembled with others to form a convoy. Each carriage has room for seven people, three sitting at the front and four standing comfortably at the rear. The base of the vehicle is a metal surface with bodywork made of wood and vegetable resin fiber. Small electric engines placed on the wheels allow the weight to be kept down to a minimum. Passengers get on the tram along a path running parallel to the road, bearing in mind that the vehicle only stops on request and if there is any room available on board. An electronic system controls the destinations, the vehicle stops and stop requests based on the various destinations. Aerials act as luminous signals in different colors for different destinations. The flexibility of the operating timetable, the depot for empty vehicles, their distribution along the network and the sending out of vehicle requests either from the tram stops or from home, are controlled by a computerized operating unit. During the rush-hour, the modulartram are grouped into convoys to form a tram similar to a conventional vehicle. This system has the advantage of being adaptable to any existing tram network running on a dedicated lane.


Bruxelles nel 2100 Anticipare e immaginare significa sempre prendere dei rischi. Immaginare a distanza di cent’anni, vuol dire figurarsi il mondo prima del 1914 quando si viveva sotto l’Impero napoleonico. Oppure è intravedere l’Europa unita e comunicante quando sta per scoppiare la più terribile e prima guerra mondiale mai conosciuta. E oggi, alla soglia delle difficoltà ecologiche che si annunciano, è arrivare a concepire che un giorno possano essere sconfitte da un’umanità in grado di risolvere i numerosi problemi che ci siamo creati. In un’ottica di sviluppo sostenibile, queste prospettive archiarborescenti non propongono la distruzione del patrimonio esistente ma sono, al contrario, la proiezione di un’integrazione di pensieri nuovi nella storia urbana e nella continuità dei cambiamenti successivi che hanno segnato la sua evoluzione. Lentamente, poco a poco, questa città divenuta troppo urbana e minerale, diminuirà le sue superfici d’asfalto e di pavé, riscoprirà i suoi fiumi, le sue valli, i suoi stagni e ritroverà una qualità di vita che aveva perduto. L’aggiunta di involucri esterni e di innesti realizzati con strutture vegetali e materiali biomimetici negli edifici esistenti permette di incentivare la trasmissione dell’idea di cambiamento necessario nel funzionamento dell’habitat e delle abitudini di consumo. Queste rappresentazioni di case contigue, caratteristiche di Bruxelles, si focalizzano sulla riflessione in questa città – in occasione della prima esposizione “Vegetal City” – mettendo a confronto i visitatori con la visione alternativa dei luoghi familiari. La nuova città si sarà progressivamente dotata di due livelli diversi di circolazione. Sul piano stradale esistente circoleranno veicoli leggeri e silenziosi di tutte le categorie per spostamenti rapidi ed efficienti. In altezza, nuovi sistemi di circolazione pedonale si svilupperanno sui tetti giardino disseminati nella città. Questi parchi sospesi del centro urbano sono destinati agli incontri, alla convivialità e alla dimensione ludica dell’esistenza. Dato che il consumo si è liberato da una dimensione compulsiva, la società ha potuto sviluppare un tipo di offerta completamente alternativa finalizzata a favorire l’autonomia e la soddisfazione personale. Passerelle leggere collegano i vari edifici offrendo nuovi percorsi attraverso uno spazio completamente libero dagli ostacoli visivi dei fronti costruiti, per lasciar vedere il cielo, l’orizzonte e il paesaggio dei tetti e dei giardini. È grazie al paziente lavoro di un giardiniere costruttore con l’innesto, la margotta e la talea, che la città si rigenererà in un insieme di villaggi abitabili. Si tratta nel contempo di processi di ecologia sociale e naturale che portano alla formazione di organizzazioni morbide, creano la diversità, i sistemi complessi, le affinità, le simpatie. Brussels in 2100 Anticipating and imagining inevitably means taking risks. Imagining a hundred years later means envisaging the world before 1914 under the rule of Napoleon’s Empire or, alternatively, glimpsing a sense of a united inter-communicating Europe just as the first and most terrible World War ever known is about to break out. Nowadays, on the threshold of imminent ecological issues, it means trying to imagine how these problems might one day be defeated by mankind after it has learned how to solve all the critical issues we have created. From the point of sustainable growth, these highly ramified prospects do not envisage the destruction of our existing heritage, on the contrary, they project that new thoughts on urban history will come together within the framework of changes that have thus far marked its evolution.

Slowly and very gradually our over-urban, mineral cities will see their paved and asphalted surfaces diminish, as their rivers, valleys and pools are rediscovered, restoring a quality of life that had been lost. The addition of outside shells and attachments made of vegetable-based structures and bio-mimetic materials onto existing buildings will encourage the conveying of the notion of change required for the smooth-running of our habitat and our consumer habits. These representations of adjacent houses characteristic of Brussels focus on studies into this kind of city – in the event of the first “Vegetal City” exhibition – allowing visitors to glimpse an alternative vision of familiar places. The new city will gradually be furnished with two different levels of circulation. Lightweight and silent vehicles (of every imaginable type) designed for fast and efficient movement will travel on the existing road level. Up above systems of pedestrian circulation will be developed across garden roofs spread right across the city. These suspended parks in the city center are designed for accommodating meetings, socializing and the playful side of life. Given that consumerism has, in some sense, been liberated from its compulsive nature, society has been able to develop an entirely alternative offer aimed at encouraging personal satisfaction and independence. Lightweight walkways and footbridges will connect the various buildings offering new paths through space that is now completely free from visual obstacles posed by building fronts, so that the sky, horizon and landscape of roofs and gardens can be properly admired. It is thanks to the patient work of a gardener-constructor based on grafts, layers and cuttings that the city will be regenerated into a combination of inhabitable villages. These are, simultaneously, social and natural ecological processes leading to the formation of soft and gentle organizations creating diversity, complex systems, affinities and similarities.

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La città scavata Oggi, questa città sostenibile può essere realizzata con un costo molto inferiore a quello delle città attuali grazie al ruolo preponderante e strutturante del trasporto pubblico. Lo schema direttore è di Jean-Louis Maupu, ingegnere e autore del libro La ville creuse pour un urbanisme durable. Questa città non è compatta né dispersa. Si costruisce solo con la prossimità all’anello di rete tranviaria, raddoppiato da un asse stradale sotterraneo di servizio, con un perimetro da 10 a 20 km per una popolazione dai 20 ai 100.000 abitanti. La città è formata da una maglia di quartieri misti e conviviali organizzati attono a un grande incavo vegetale. Essa può svilupparsi tessendo delle nuove maglie. La città è autonoma in energia, ogni fila di case termina con una unità centrale di energia mista – solare, eolica e gas metano prodotto dalla decomposizione dei rifiuti organici della città. Le case, con serre e giardini d’inverno posizionati seguendo regole ben precise di un’urbanistica solare, sono realizzati in terra cruda.

The Excavated City Nowadays a sustainable city can be built at a lower cost than that of present-day cities, thanks to the preponderant, structuring role of public transport. The scheme is headed by Jean-Louis Maupu, an engineer and the author of the book La ville creuse pour un urbanisme durable. This kind of city is neither densely packed nor dispersed. It is constructed near the loop of a tram network, doubled up by an underground service roadway with a perimeter measuring 10-12 km, serving a population of between 20-100,000 inhabitants. The city is composed of a web of mixed, convivial neighborhoods set around a large landscaped hollow. It may be extended by weaving in new webs. The city is selfcontained from an energy viewpoint and each row of houses culminates in a mixed-energy power unit (solar, wind and methane gas) produced from the city’s decomposing organic waste. The houses, complete with their own greenhouses and winter gardens carefully set out following the very specific guidelines of solar town-planning, are made using mud and clay construction techniques.

Visione spazio-temporale di Shanghai durante un secolo A Shanghai, ancor più che altrove, la mutazione della città è permanente. Mai immobile, la megalopoli si sviluppa inesorabilmente a grande velocità verso il suo futuro. La maggior parte delle creazioni grafiche, pittoriche, fotografiche che conosciamo sono di fatto dei fermo immagine, non integrano l’elemento essenziale della vita, il tempo che passa, anche se esistono delle possibilità di introdurre nei quadri la nozione di un passato, di un presente e di un futuro. In alto e in basso al disegno, un cursore indica lo scorrere degli anni in un’ipotesi di sviluppo della città su un modello biomimetico. Il quadro si legge come un testo da sinistra a destra. Mostra una città soffocata dall’inquinamento che evolve verso un’aria pulita e luminosa. Con il passare degli anni, i progressi nel campo delle biotecnologie modellano la nuova città; edifici torre a ossatura in biocemento sul modello delle conchiglie, membrane in biovetro nate dalla tecnologia dei radiolari e l’onnipresenza del vegetale integrato a tutti gli edifici, garantiscono il buon funzionamento dei numerosi ecosistemi.

Spatio-temporal vision of Shanghai over a century More than any other city, Shanghai has changed in a permanent way. Never immobile, this megalopolis is relentlessly growing at a startling rate as it heads towards its future. Most of the graphic, pictorial and photographic creations we are familiar with consist of still-shots that do not incorporate such an essential aspect of life as passing time, even though there are actually ways of introducing a notion of the past, present and future into paintings. At the top and bottom of the drawing, a cursor indicates the passing years, showing how the city might develop based on a biomimetic model. The painting may be read from left to right like a piece of writing. It shows a city being suffocated by pollution that is developing towards a state of clean and luminous air. As time passes, progress in the field of biotechnology shapes the new city; tower buildings with bio-concrete frameworks designed rather like shells, bio-glass membranes developed out of radiolarian technology, and the constant presence of vegetation integrated in all the buildings, ensure the smooth-running of numerous ecosystems.


La città delle onde Se in un paesaggio costiero, il mare come la sabbia hanno la tendenza ad assumere le forme delle onde sotto l’azione del vento, è seguendo la stessa forma naturale che si svilupperanno le abitazioni biomimetiche sottomesse alle stesse condizioni climatiche. Gli edifici, dove gli incavi delle onde sono orientati a sud, verso un piano d’acqua situato più in basso, sono provvisti di facciate vetrate e pannelli solari dalle prestazioni migliorate per la riflessione dei raggi sul piano dell’acqua. Questa città in movimento si rinnova continuamente in una lenta progressione attorno a un lago, dove la transumanza degli abitanti avviene al ritmo della durata di vita della struttura principale della città: l’albero. La parte abitata di questa foresta urbana occupa circa un quarto del contorno del lago, la restante parte è costituita da un foresta giunta a maturità che lascia spazio per la costruzione di nuove abitazioni. La porzione principale di territorio è occupata dalla giovane foresta in sviluppo, sotto la stretta sorveglianza di architetti giardinieri. Infine, nell’ultima parte si trovano gli alberi morti, in decomposizione, il cui humus serve ad arricchire la terra delle nuove foreste. Questa città funziona come un super organismo dotato delle caratteristiche d’autoregolazione, d’omeostasi e di metabolismo. È una rete complessa dove le simbiosi hanno un ruolo primordiale. Luc Schuiten

The City of Waves Just as the sea and sand tend to take on the shape of waves as the wind blows along the coastline, so these bio-mimetic houses, which are subject to the same climatic conditions, trace the same natural form. The buildings, where the indentations caused by the waves face south towards a pool of water set at a lower level, are fitted with glass facades and solar panels that are even more effective due to rays reflecting on the surface of the water. This city in motion is constantly renewed in slow progression around the lake, where the local habitants move around at the same rhythm as the lifecycle of the city’s main structure: the tree. The inhabited part of this urban forest takes up approximately one quarter of the area around the lake, the remaining part consists of a forest that is now fully grown leaving room for the construction of new housing. The main portion of land is taken up by a young forest that is still growing, under the careful supervision of gardener-architects. Finally, dead and decomposing trees are found in the last section, whose humus helps nourish the soil in the new forests. This city functions like a super organism capable of self-regulation, homeostasis and metabolism. It is an elaborate and inseparable network in which various symbioses play a primeval role. Luc Schuiten

Una volta superata la frattura tra la specie umana e il resto dei viventi, non resta altro che una grande famiglia, rafforzata da milioni di miliardi di membri collegati nel tempo e nello spazio. Non resta che un immenso albero genealogico vecchio di circa 4 miliardi di anni, radicato su un piccolissimo pianeta. Gauthier Chapelle, biologo. Having moved beyond the fracture between the human species and the rest of living beings, all that is left is one big family strengthened by millions upon millions of members connected across space and time. All that is left is a huge family tree stretching back across approximately 4,000,000,000 years, whose roots are entrenched in a tiny planet. Gauthier Chapelle, biologist.

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La crisi come opportunità Crisis As An Opportunity

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La crisi come opportunità Convegno annuale della Fondazione Italcementi: “Dalla crisi una spinta verso un’Europa più forte ed efficace?” Crisis As An Opportunity Fondazione Italcementi annual convention: “The crisis as a stimulus for a stronger and more effective Europe?” Il gioco della pittura The Painting Game

attuale grave crisi economica spingerà i partner europei a rendere più efficaci le istituzioni comunitarie? È partito da questo spunto l’annuale convegno della Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti, svoltosi lo scorso 19 gennaio a Bergamo. Il tema del dibattito è stato tratto dalle parole di Jacques Delors, all’epoca Presidente della Commissione Europea, quando già venticinque anni fa – su “L’embarras de la souveraineté” (articolo pubblicato su Politique Internationale, n.41, 1988) – sembrava dipingere condizioni politico-istituzionali oggi molto attuali, con l’Europa ancora in difficoltà nell’elaborazione e attuazione di strumenti e misure necessarie per fare fronte con decisione alla più grave crisi economica del Dopoguerra. “L’obiettivo dell’Europa non è l’accondiscendenza verso misure impopolari, ammoniva Delors nel suo straordinario articolo” ha sottolineato Giampiero Pesenti, presidente del Gruppo Italcementi. “Un ammonimento dato dalla consapevolezza che la ‘costruzione’ europea conteneva anche il rischio di diventare capro espiatorio nei momenti di difficoltà o davanti ai limiti e alle incertezze degli Stati Nazionali. È la condivisione di questa visione, di questa percezione del rischio di uno scivolamento del concetto di Europa verso un mero sinonimo di austerità, che ha portato a focalizzare l’appuntamento annuale della Fondazione Italcementi su un tema strategico come la cessione di sovranità nazionale alle diverse istituzioni europee, e soprattutto sulle misure necessarie per una maggiore efficacia di strumenti e di decisioni”. Mentre l’incertezza e la mancanza di fiducia costituiscono un costante elemento di freno, che confina le imprese e molte famiglie in un permanente “momento di attesa”, le difficoltà a rilanciare competitività e crescita hanno viceversa creato lo spazio per un rinnovato dibattito che – a partire dal trasferimento di potere dagli Stati Nazionali all’Europa in cambio di aiuti – mira a definire un possibile passo verso l’unione politica. “Che dalla crisi dell’Eurozona nascano elementi di accelerazione verso nuove e più efficaci forme di integrazione che ci permettano di superare questo difficile momento, è elemento essenziale per uscire realmente dall’attuale fase di generale preoccupazione” ha argomentato Giovanni Giavazzi, Presidente della Fondazione Italcementi, “ma soprattutto è solo un soprassalto di coesione, risoluzione e completezza di azioni, pari in tutto e per tutto alle esigenze del momento, che deve e può superare le pur complesse

attuali prospettazioni”. La discussione, che si è avvalsa delle analisi e dei dati forniti dal Presidente Istat Enrico Giovannini e dal Presidente Ipsos Nando Pagnoncelli, ha visto la partecipazione di alcuni tra i maggiori protagonisti e osservatori del mondo accademico, economico e delle istituzioni. Dal Ministro degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi, agli economisti Luigi Zingales (inserito nella Top 100 Global Thinkers 2012 dalla rivista americana Foreign Policy), Hans-Werner Sinn (tra gli autori della lettera aperta al Cancelliere Merkel sugli aiuti diretti del fondo salva-stati) e Ramon Marimon (professore ed ex Segretario di Stato del Governo spagnolo), fino all’imprenditore già Vice Presidente di Confindustria per l’Europa Andrea Moltrasio. Animatore del dibattito è stato il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi. Enrico Giovannini e Nando Pagnoncelli hanno tratteggiato, con dati statistici e ricerche demoscopiche, il rapporto tra istituzioni europee e cittadini. “Abbiamo di fronte a noi un quadro molto complesso, che chiaramente non può essere gestito come nel passato” ha detto Enrico Giovannini “e soprattutto non può essere gestito in modo individualistico, inteso non solo in senso sovranazionale (nessun paese europeo può sperare di risolvere questi problemi da solo), ma anche in quello di singole persone, imprese, istituzioni”. Si tratta, inoltre, di individuare non solo gli scenari a lungo termine, ma anche di stabilire strategie per l’immediato: “Anche se tutta l’Europa iniziasse a ‘fare le cose giuste’, qualunque esse siano, il tempo nel quale si vedrebbero gli effetti sarebbe non breve. E allora non basta intervenire per risolvere i problemi, ma bisogna anche indicare cosa si fa nel ‘tempo di mezzo’, cioè tra l’oggi e il momento in cui i diversi interventi, efficaci nel medio termine, potrebbero produrre effetti indesiderati nel breve”. “L’atteggiamento verso l’UE è cambiato nel tempo” ha spiegato Nando Pagnoncelli “in particolare dall’introduzione della moneta unica a oggi e in seguito alla crisi che tuttora viviamo: le politiche di austerità e l’importanza data alla dimensione finanziaria dell’economia non sono sempre comprese e accettate; in mancanza di un’integrazione che vada al di là della moneta, il senso di appartenenza all’UE appare più legato ai cicli economici che a condivise convinzioni di tipo politico, culturale, ideale”. Se l’Europa è vista con distacco e diffidenza sul piano della sfida economica – emerge dalla ricerca IPSOS presentata da Pagnoncelli – valori fondanti come democrazia, pace, libera circolazione e protezione sociale si confermano

tra i significati positivi condivisi dai cittadini europei. Luigi Zingales, professore di Impresa e Finanza presso la Chicago University Booth School of Business, si è chiesto “Perché l’Italia ha smesso di crescere? La tentazione è quella di dire ‘è colpa dell’euro’, sostenendo che la ragione sarebbe da ricercare nel momento in cui l’Italia si agganciava alla moneta unica, abbandonando la lira e le sue svalutazioni, quindi impedendo quella spinta competitiva che aveva sostenuto per anni l’export italiano”. Ma non è questa la vera ragione, ha spiegato Zingales: “Il problema dell’export italiano dal ‘94 in poi è causato dalle continue svalutazioni precedenti. La svalutazione è come una droga: dà un temporaneo stato di euforia, ma causa danni all’organismo nel lungo periodo. Perché dico questo? Perché le continue svalutazioni degli anni ‘70 e degli anni ‘80 hanno favorito, nell’industria italiana, un’industria poco tecnologica e poco posizionata nella parte meno elastica della domanda”. La ricetta? “Quello che dobbiamo fare è spostarci verso le imprese a più alta tecnologia. Le imprese che non ce la fanno e chiudono devono lasciare spazio a quelle che invece hanno i numeri per riuscire. Se però in questo processo non abbiamo imprese che si espandono, che nascono, allora non andiamo da nessuna parte”. Zingales si è interrogato sul perché la produttività in Italia sia così bassa, individuando alcuni fattori di debolezza del sistema Italia. “Guardiamo all’investimento in educazione: guardando le statistiche, mi sono reso conto che nel Sud Italia il 50% della forza lavoro di oggi non ha più della terza media. È difficile cercare di muovere il paese verso le tecnologie avanzate, quando metà della forza lavoro non ha più della terza media. E se guardiamo agli investimenti in educazione, in istruzione, l’Italia non fa particolarmente bene, ma non fa neanche particolarmente male”. Dove sono allora i maggiori problemi? “Il grosso disastro degli ultimi venti anni è che grazie all’Europa noi abbiamo avuto il lusso di poter spendere senza guardare il vincolo di bilancio, perché la riduzione della spesa di interessi ha permesso all’Italia di spendere di più, spingendo la politica a conquistare consenso con la spesa pubblica senza dover pagarne il conto. La cattiva notizia è che non possiamo farlo più. La buona notizia è che non possiamo farlo più. Perché buona? Perché non potendo farlo, saremo costretti a tagliare la spesa pubblica, a rendere lo stato più efficiente e questo, inevitabilmente, renderà le nostre imprese più efficienti”. Zingales ha concluso dicendosi molto fiducioso:


Da sinistra / From left, Andrea Moltrasio, Hans-Werner Sinn, Luigi Zingales, Mario Calabresi, Ramon Marimon, Nando Pagnoncelli.

“La mia fiducia nasce dalla disperazione, perché questa disperazione, questo momento così difficile può veramente aiutarci a cambiare. Questa crisi, sicuramente una crisi estremamente profonda che costa tanto a tutti noi, è un’occasione troppo grande per essere sprecata”. Secondo Ramon Marimon, “quando si ha una politica monetaria unica come nell’Eurozona, ci deve essere un livello di condivisione degli oneri e di redistribuzione. Bisogna limitare il debito sovrano, bisogna tener conto delle passività sociali e poi chiaramente – ormai abbiamo imparato la lezione – bisogna evitare che il debito privato diventi poi debito pubblico. Se vogliamo risolvere la crisi ora, dobbiamo agire più velocemente”. Le “munizioni” ci sono, ma occorrono coraggio e volontà per mettere in atto le misure necessarie. “Perché? Perché noi dobbiamo far fronte a un problema veramente grave, un grave rischio. Dobbiamo non solo rimuovere le barriere, ma anche costruire le capacità: le capacità umane, le capacità dello stato, la capacità del business e delle aziende per esportare”. Agire sul fronte della competitività, ma non solo. “Anche a livello sociale bisogna intervenire. Io penso che l’Europa abbia preso un grandissimo impegno, un impegno importantissimo per la crescita e per la pace”. La ricetta per superare questo momento di profonda crisi? Più Europa. “Dobbiamo sviluppare l’unione monetaria per risolvere i problemi monetari. Abbiamo fatto finora un ottimo lavoro, ora però bisogna guardare avanti: la lezione che ci ha dato la crisi dell’euro è che dobbiamo creare anche un’unione fiscale proprio come strumento per risolvere i problemi fiscali”. L’economista tedesco Hans-Werner Sinn, Presidente dell’Ifo Institute – Leibniz Institute for Economic Research all’Università di Monaco – ha proposto una analisi senza sconti. “Dal 1995, quando è stato annunciato l’euro, fino a oggi il tasso di crescita italiano è stato il più basso di tutti

i paesi europei”. L’analisi è severa, ma Sinn ha indicato la propria ricetta: “Se renderete più flessibile il mercato del lavoro con un riaggiustamento, l’Italia sarà in grado di generare occupazione e quindi crescita. La verità è questa: che non è possibile imporla con programmi di crescita, bisogna passare attraverso un periodo di austerità, altrimenti non è possibile. La Germania ha fatto il proprio periodo di austerità. Abbiamo avuto la nostra crisi e sorprendentemente questa non è stata avvertita al di fuori della Germania. Voi magari non ve ne siete resi conto, ma c’è stata una crisi severa in Germania e da quella crisi, da quella austerità i politici poi sono stati in grado di fare le riforme necessarie”. All’approfondimento dei tre economisti, ha fatto seguito l’analisi di un imprenditore che ha portato a Bruxelles la voce dell’industria italiana: “La natura della crisi, cioè l’eccesso di debito – ha affermato Andrea Moltrasio nel corso del dibattito – ha reso protagonista l’istituzione europea BCE, che ha promosso la stabilità finanziaria, la difesa dell’euro e la salvaguardia delle banche con abilità e vigore. Nello stesso tempo le politiche di stimolo dell’economia reale e le politiche fiscali e di welfare hanno accentuato le differenze tra gli stati membri della UE anche perché si sono presentati davanti alla crisi con situazioni molto diverse tra loro. Il ritorno agli egoismi nazionali si scontra con la necessità di un’azione europea unitaria nella complessità della globalizzazione. Esempi chiarissimi riguardano le questioni relative al cambiamento climatico e alla competitività delle imprese. Serve comunque costruire un ‘demos del cuore’ come diceva Padoa Schioppa, per riformare le istituzioni democratiche europee, sottolineando i valori identitari oltre a evidenziare gli interessi comuni”. La visione delle istituzioni è stata infine portata dal Ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero Milanesi, che dopo la sua lunga

esperienza a Bruxelles è stato chiamato a far parte del governo Monti in un momento chiave per il futuro del paese e della stessa Unione Europea. “Questa crisi ha portato un elemento virtuoso nella sua drammaticità, ed è stata l’accelerazione di quel processo d’integrazione, per non dire di federalizzazione, dell’Europa. Nel corso di questi mesi l’Unione Europea in realtà ha posto in essere nuovi istituti, nuove norme, nuovi modi di operare che sono molto più coerenti nei risultati di quanto fossero prima. È un by-product: avremmo fatto a meno volentieri del ‘prodotto principale’ della crisi, che è drammatica, ma alla fine abbiamo risultati interessanti”. L’Unione Europea, ha detto il ministro, “è come un condominio: tutti gli stati condividono quella sovranità che è stata trasferita a livello dell’Unione. E come Italia, non dimentichiamo che siamo tra i quattro condomini che hanno il maggior numero di millesimi”. Solo insieme i “condomini” potranno uscire dalla crisi. “Il rigore e la disciplina nei bilanci sono un pre-requisito imprescindibile, ma l’obiettivo è la crescita. E la crescita non è un prodotto dei singoli stati europei. La crescita non può che essere un prodotto collettivo”.

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W

ill the current economic crisis stimulate European partners to make EU institutions more effective? This was the starting point for the annual convention of the Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti that took place January 19 at Bergamo. The theme of the debate was drawn from the words of Jacques Delors, ex-President of the European Commission, who speaking twenty five years ago on “L’embarras de la

souveraineté” (article published in Politique Internationale, n.41, 1988) seemed to be describing the political-institutional conditions that are now very real, with Europe still facing difficulties in developing and implementing the necessary tools and measures to fight with conviction the most severe economic crisis of the post-war period. “Europe’s aim is not the indulgence of unpopular measures, Delors urged in his extraordinary article,” noted Giampiero Pesenti, President of the Italcementi Group. “A warning based on awareness that the European ‘construction’ also brought the risk of becoming a scapegoat in hard times or when faced with the limits and uncertainties of the Nation States. It is the sharing of this vision, this perception of the risk of a slipping of the concept of Europe towards a mere synonym of austerity, that led the annual Fondazione Italcementi event to focus on a strategic theme such as the transfer of national sovereignty to the various European institutions, but particularly on the necessary measures for more effective use of strategies and decision making.” Whilst uncertainty and lack of faith constitutes a constant restriction that imprisons businesses and many families in a permanent “waiting state”, the difficulties in re-launching competitiveness and growth have on the other hand created the opportunity for a renewed debate that—starting with transfer of power from the Nation States to Europe in exchange for help—aims to define a possible route towards political union. The President of the Fondazione Italcementi, Mr. Giovanni Giavazzi stated, “New elements of acceleration towards new and more effective forms of integration have come from the crisis of the Eurozone that allow us to overcome this difficult time; it is an essential element in really coming out of the current phase of general concern. But apart from anything only a jump start of cohesion,


resolution and completeness of actions, in all respects up to the needs of the moment, must and can surpass the nevertheless complex current prospects.” Some of the most important protagonists and observers of the academic, economic and institutional world attended the discussion that benefited from the analysis and data supplied by the President of Istat, Enrico Giovannini, and the President of Ipsos, Nando Pagnoncelli. From the Minister of European Affairs, Mr. Enzo Moavero Milanesi, to economists Mr. Luigi Zingales (included in the Top 100 Global Thinkers 2012 by the American magazine Foreign Policy), Hans-Werner Sinn (one of the authors of the open letter to Chancellor Merkel on the direct assistance of the European Financial Stability Facility) and Ramon Marimon (professor and ex-Secretary of State of the Spanish Government), to the entrepreneur and ex-Vice President of Confindustria for Europe, Andrea Moltrasio. The debate was chaired by the Editor of “La Stampa”, Mario Calabresi. Enrico Giovannini and Nando Pagnoncelli illustrated the relationship between European institutions and citizens with statistical data and demoscopic research. Mr. Giovannini stated, “We are faced with a very complex situation that clearly cannot be managed as it was in the past. In particular, it cannot be managed in an individualistic fashion, not only in a supranational sense (no European country can hope to resolve these problems alone), but also in terms of individuals, businesses and institutions.” It is also important not only to focus on the long term but also to devise strategies for now. Mr. Giovannini continued, “Even if all of Europe starts to ‘do the right thing’, whatever this may be, results will not come in the short term. So it is not enough to intervene to resolve the problems, you also need to indicate what to do at ‘half time’, that is, between today and the time when the various interventions, effective in the medium term, may produce undesired short-term effects.” Nando Pagnoncelli explained, “The attitude towards the EU has changed over time, particularly from the introduction of a single currency to today and as a result of the crisis that we are all experiencing: austerity strategies and the importance given to the financial dimension of the economy are not always understood and accepted; in the absence of integration that goes beyond the currency, the sense of belonging to the EU seems to be more closely linked to economic cycles than shared

political, cultural and idealistic beliefs.” If Europe is viewed with detachment and diffidence in terms of the economic challenge, as suggested by the IPSOS research presented by Mr. Pagnoncelli, founding values such as democracy, peace, freedom of movement and social protection are confirmed as significant positives shared by European citizens. Luigi Zingales, business and finance Professor at the Chicago University Booth School of Business, asked, “Why has Italy stopped growing? The temptation is to say that ‘it’s the euro’s fault’, claiming that the answer is to be found at the time in which Italy locked into the single currency, abandoning the lira, so impeding that competitive impetus that promoted Italian export for years.” As Mr. Zingales explained, this is not the real reason, “The problem with Italian export from ‘94 onwards was caused by continuous previous devaluations. Devaluation is like a drug: it creates a temporary state of euphoria but causes long-term damage to the organism. Why do I say this? Because the continual devaluations of the ‘70s and the ‘80s favored an Italian industry that is not very technological or well positioned in the area that is less responsive in terms of demand.” The answer? “We need to move towards more technological businesses. The businesses that don’t make it and close shop need to leave space for those that have the numbers to succeed. If during this process we don’t see businesses that expand and are created, we are not going anywhere.” Mr. Zingales explored why productivity is so low in Italy, highlighting certain weak points in the Italian system. “Thinking about investment in education: looking at the statistics I realized that 50% of the work force in South Italy does not have more than a junior high school certificate. It’s hard to try to push the country towards advanced technology, when half of the work force doesn’t have any more than junior high school education. If we consider investment in education and training, Italy does not show up very well, but does not do too badly either.” Where are the main problems then? According to Mr. Zingales, “The biggest disaster of the last twenty years is that thanks to Europe we have had the luxury of being able to spend without worrying about budget restrictions because the reduction in interest costs has allowed Italy to spend more, pushing the government to win consensus through public spending without paying the bill. The bad news is that we cannot do this anymore. The good news is that we cannot do this anymore. Why good? Because in not

being able to do so, we will be forced to cut public spending, to make the state more efficient and this will inevitably make our businesses more efficient.” Mr Zingales concluded declaring that he is very confident: “My faith comes from desperation, because this desperation, this very difficult time can really help us to change. This crisis, without a doubt an extremely significant one that affects us all a lot, is too big an opportunity to be wasted.” According to Ramon Marimon, “A single monetary strategy such as in the Eurozone must be accompanied by a degree of burden sharing and redistribution. National debt needs to be restricted, social liabilities need to be kept under control and then clearly—we have learnt the lesson by now—you need to make sure that private debt doesn’t turn into public debt. If we want to end the crisis, we have to act faster.” The weapons exist, but courage is needed to put the necessary measures in place. Mr Marimon continued, “Why? Because we need to address a serious problem, a serious risk. Not only do we need to remove the barriers, but we must also build capability, human capability, the capability of the state, the capability of business and the firms to export this.” Action in terms of competition and in other areas. He continued, “You also need to act at a social level. I think that Europe has taken on a great commitment, a highly important commitment for growth and peace.” The recipe to overcoming this time of serious crisis? More Europe. “We must develop the monetary union to resolve currency problems. To date we have done an excellent job, but we now need to look ahead: the lesson that the euro crisis has taught us is that we also need to create a fiscal union precisely as a tool to resolve fiscal problems.” The German economist Hans-Werner Sinn, President of the Ifo Institute – Leibniz Institute for Economic Research at the University of Munich, suggested the need for a brutal analysis. “Since 1995, when the euro was introduced, until today the Italian growth rate has been the lowest of all European countries.” The analysis is severe, but Mr. Sinn spelt out the winning recipe, “If you made the work force more flexible with an adjustment, Italy would be able to generate employment and so growth. The truth is this: you cannot impose this with growth programs, you need to pass through a period of austerity, otherwise it’s not possible. Germany has experienced its own period of austerity. We have had our crisis and surprisingly this has not been felt outside of Germany. Perhaps you are not aware, but there has also been a severe crisis in Germany, from that

austerity the politicians were then able to undertake the necessary reforms.” The analysis of the three economists, was followed by that of a businessman that brought the voice of Italian industry to Brussels: during the course of the debate Andrea Moltrasio stated, “The nature of the crisis, that is the excessive debt, has made the European institution, the BCE, a protagonist that has skillfully and vigorously promoted financial stability, the defense of the euro and the protection of the banks. At the same time the stimulus strategies of the real economy and the fiscal and welfare policies have accentuated the differences between the member states of the EU also given the fact that they have been subject to the crisis with very different conditions from one to the other. The return of national egoism is counterproductive to the need for united European action in the context of globalization. There are extremely clear examples relative to issues connected with climatic change and the competitiveness of business. What is required however is the creation of a ‘demos del cuore’ (demos of the heart) in the words of Padoa Schioppa, to reform the European democratic institutions, highlighting identity affirmation values as well as drawing attention to common interests.” The Minister of European Affairs, Enzo Moavero Milanesi, who after his long experience in Brussels was asked to join the Monti government in a key moment for the future of the country and the European Union itself, then represented the institutional perspective. He stated, “This crisis has brought a positive element with its dramatic nature, and this has been the acceleration of the process of integration, not to mention federalization, of Europe. Over these months, the European Union has in reality created new institutions, norms and new ways of working that are much more consistent in results that those that existed before. This is a by-product: we could willingly have done without the ‘main product’ of the crisis, its dramatic nature, but in the end we have interesting results.“ The Minister continued, “The European Union is like a condominium: all the states share the power that has been transferred to the level of the Union. And as Italy, let’s not forget that we are amongst the four condominiums that have the greatest number of ownership shares.” Only together can the "condominiums" come out of the crisis. “Budgetary severity and discipline are unquestionable pre-requisites, but the objective is growth. And growth is not the product of the single European states. Growth has to be a collective product.”


artVision

Il gioco della pittura The Painting Game

I

bambini dell’era high-tech non giocano più con i soldatini che hanno appassionato intere generazioni di loro coetanei nel ventesimo secolo. Internet e televisione hanno preso il posto delle interminabili battaglie pomeridiane tra eserciti misteriosi combattute sul tavolo di cucina prima di fare i compiti. Ci voleva un artista visionario e controcorrente come Paolo Ceribelli per riportarli alla ribalta e farli diventare un elemento significativo del complesso linguaggio della contemporaneità. I soldatini di plastica colorata sono la cifra stilistica della sua ricerca visiva, fortemente riconoscibile. Allineandoli sulla tela con pazienza certosina, Ceribelli schiera armate immaginarie che vanno a comporre planisferi fantastici. Un gesto che, al di la del sicuro impatto estetico, rivela una interessante componente concettuale. Una riflessione critica, ironica e leggera ma proprio per questo efficace, sui fanatismi ideologici e religiosi, sui paradossi politici, che sono all’origine dell’ingiustizia sociale e degli arbitrari equilibri di potere che governano il pianeta. Appresa la lezione del grande maestro Lucio Fontana e dei suoi discepoli Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, le opere di Ceribelli vanno oltre la superficie e si proiettano nello spazio, superando i limiti di una costruzione prospettica dipinta. La tela si anima di tanti piccoli elementi: soldatini, aerei, carri armati, jeep. L’opera diventa tridimensionale e, in virtù di una sapiente gestione del colore, acquista anche una valenza cinetica. Planisferi e bandiere, che sono il tema ricorrente del suo lavoro, insieme all’apparente serialità della tecnica utilizzata, potrebbero far pensare a quella “ripetizione differente” coniugata da Renato Barilli per definire il lavoro di Alighiero Boetti. Ma nel caso di Ceribelli – come spiega bene Chiara Canali introducendo il catalogo di una mostra dell’artista – “a differenza di quanto avveniva per gli arazzi di Boetti che venivano riprodotti artigianalmente, artista e artefice corrispondono in un processo in cui l’immagine, dopo essere stata ideata, diventa espediente ludico e si concretizza nelle mani dell’artista. Il risultato è fortemente pittorico, espressivo, nonostante sia ottenuto attraverso un procedimento rigidamente meccanico, matematico, eseguito manualmente dall’artista incollando un soldatino dopo l’altro sulla tela”. Paolo Ceribelli nasce a Milano nel 1978. Inizia il suo percorso artistico con una serie di lavori centrati sulla stilizzazione delle più comuni azioni quotidiane; sperimenta la tecnica a olio – dipingendo con le mani – e in seguito si dedica alla scultura in gesso. Nel 1998 la mostra personale Ignoti

Embargo, 100 x 130 cm.

El General, 158 x 205 cm. Plastic soldiers on canvas, Anno 2012.

raccoglie il suo lavoro. Nel 1999 collabora con un gruppo di writers e alcune associazioni no profit con i quali intraprende, nelle aree industriali dismesse, un lavoro fotografico sull’arte murale. Influenzato da questa esperienza riprende a lavorare su tela con nuovi materiali, tra i quali il silicone e lo stucco murale. Nel 2000, il progetto astratto Attirare lo sguardo che vede un ampio uso di colori acrilici a spruzzo e di silicone, viene esposto in Italia e all’estero. Nel progetto Superm-Art del 2002,

l’interesse per i gesti quotidiani, colti nella loro ripetitività, si esprime in una tecnica mista che impiega collage di materiale pubblicitario legato alla grande distribuzione e pittura acrilica. Nel 2006 nasce Soldiers (soldati) che rappresenta la vera svolta creativa di Ceribelli, nelle tecniche, nel linguaggio e nei contenuti. “Con i suoi minuscoli soldati in plastica colorata, l’artista lancia una provocazione, descrivendo una geografia di relazioni territoriali che si regge sull’uso indiscriminato di masse

militari, anonime e indifferenziate. La scelta di questo materiale – spiega il critico Giuseppe Blando – nasce anche dalla riflessione sull’inopportunità di utilizzare per i giochi infantili la simulazione della guerra. La serie World Flags è costituita da sagome che ricalcano le bandiere degli stati dove la presenza dei soldati assume una valenza decorativa e assegna alle superfici una densità mobile […] I soldatini utilizzati formano dei flussi, come tessere di mosaico che costituiscono circuiti a forma di spirale, simbolo di crescita e sviluppo, costituita da piccoli soldati in marcia, rivelando l’idea di un vitalistico processo di distruzione. In Circles of Africa, il continente africano si forma attraverso una serie di cerchi concentrici che si espandono attraverso un moto centrifugo verso l’esterno, disegnando la traccia di un tiro a segno, mentre in Tutto torna, il moto che domina la scena esalta un movimento spiraliforme che incanta. I soldati sono così trasformati in segno, scheggia di vita, simbolo di gioco, evocando potenziale morte o distruzione. La rappresentazione assume un valore politico, un’ironica critica nei confronti dei sistemi codificati, come se l’artista, con il suo intervento, potesse modificare e rendere diverso il mondo reale e l’attuale assetto geopolitico essere


Circles, 120 x 120 cm.

Tutto torna, 170 x 170 cm.

modificato attraverso un processo creativo. Il linguaggio utilizzato è graffiante e non permette un’univoca interpretazione, sebbene sia da escludere la specifica volontà di assegnare il senso di ‘gioco’ ai conflitti che imperversano sulla terra. Ceribelli, con l’uso quasi ossessivo di soldatini di plastica colorata che vanno a formare originali mappe geografiche ribadisce la presenza geostorica di un pensiero costante e dominante di guerra e, contemporaneamente, ne affievolisce l’angosciante presenza con la trasfigurazione fantastica del soldato utilizzato come se si trattasse di una pennellata di colore”. Giuliano Papalini

In 2006 Ceribelli produced Soldiers, the real creative turning point in his technique, language and content. “The tiny colored plastic soldiers are a provocation, describing a geography of territorial relations based on indiscriminate use of anonymous, non-differentiated military masses. The choice of this material,” explains critic Giuseppe Blando, “is also a reflection on the unsuitability of simulating war in children’s games. The World Flags series consists of shapes reproducing the flags of the nations where the presence of the toy soldiers acquires a decorative aspect and gives the surfaces a mobile density […] Ceribelli’s toy soldiers form flows, like mosaic tesserae creating spiral-shaped circuits, the symbol of growth and development, built from small marching soldiers, the expression of the idea of a vitalistic process of destruction. In Circles of Africa, the African continent is formed through a series of concentric circles which expand outward in centrifugal fashion, resembling a shooting target, whereas in Tutto torna, the movement that dominates the piece enhances an intriguing spiral motif. The soldiers are transformed into a sign, a spark of life, a symbol of play, evoking potential death and destruction. Ceribelli’s representation acquires a political value, an ironical criticism of encoded systems, as if, through his work, the artist could modify and change the real world, as if the current geopolitical situation could be altered by a creative process. His language is abrasive and is open to interpretation, although the intention of attributing the sense that war is a ‘game’ can be ruled out. With his almost obsessive use of colored plastic toy soldiers to form original geographical maps, Ceribelli emphasizes the geo-historic presence of a constant and dominant thought of war, and, simultaneously, mitigates its alarming presence through the fantastic transfiguration of the toy soldier into a brushstroke of paint.” Giuliano Papalini

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I

n our hi-tech age, children no longer play with the toy soldiers that fascinated entire generations of kids in the 20th century. The Internet and television have taken the place of the interminable battles fought out between mysterious armies on the kitchen table before getting down to homework. It took a visionary and unconventional artist like Paolo Ceribelli to bring them back to the front line and turn them into a significant element of today’s complex language. Colored plastic toy soldiers are the stylistic cipher of his highly distinctive visual research. Lining them up on the canvas with meticulous patience, Ceribelli sets out imaginary armies to build fantastical world maps. Over and beyond its clear aesthetic impact, his approach reveals an interesting conceptual component. A critical and ironic meditation, whose light-heartedness makes it all the more effective, on the ideological and religious fanaticism, the political paradoxes, at the root of the social injustice and arbitrary power balances that govern our planet. Applying the teachings of the great master Lucio Fontana and his disciples Enrico Castellani and Agostino

Blue Needlework, 80 x 90 cm.

Bonalumi, Ceribelli’s works move beyond the surface and project into space, overcoming the limits of a painted perspective. He animates the canvas with a multitude of tiny objects: toy soldiers, aircraft, tanks, jeeps. The work becomes three-dimensional, while his skilful management of color gives it a kinetic valence. World maps and flags, the recurring themes of his work, together with the apparent seriality of his technique, might bring to mind the term “different repetition” coined by Renato Barilli to describe the work of Alighiero Boetti. But in Ceribelli’s case—as Chiara Canali points out in her introduction to the catalogue of an exhibition of his work—“unlike Boetti’s Arazzi, which are handcrafted reproductions, the artist and the executor correspond in a process where, once conceived, the image becomes a recreational expedient and takes shape in the hands of the artist. Although the result is achieved through a strictly mechanical and mathematical procedure, manually executed by

gluing one soldier after another on the canvas, it is highly pictorial and expressive.” Paolo Ceribelli was born in 1978, in Milan. He began his career as an artist with a series of works stylizing common daily actions; he experimented with oils—using his hands—and later concentrated on plaster sculpture. In 1998 he presented a one-man show, Ignoti. In 1999 he worked with a group of writers and no-profit associations on a photographic project on mural art, in abandoned industrial areas. Influenced by this experience he returned to canvas, using new materials, including silicon and wall stucco. In 2000, his abstract project Attirare lo sguardo, which made extensive use of acrylic spray paints and silicon, was exhibited in Italy and abroad. In Superm-Art from 2002, his interest in daily gestures, portrayed in their repetitiveness, was expressed in a mixed technique using collages of mass merchandising advertising material and acrylic paints.


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