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OCCHIO AI GIGANTI MIND THE GIANTS

Periodico semestrale anno VII n° 12 - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Bergamo

Global Occhio ai giganti! Appaiono all’orizzonte nuove potenze economiche in grado di modificare il panorama degli equilibri mondiali Mind the giants! New economic powers are emerging that could affect the world balance Projects Grandi architetture e grandi studi per una società sempre più impegnata in trasformazioni gigantesche Huge architectural projects and huge firms to serve a society increasingly committed to massive transformations News Nasce la “Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti” The “Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti” is officially founded Il presidente della Camera al concerto per i 140 anni di Italcementi President of the Italian Parliament at the Concert to celebrate Italcementi’s 140th Anniversary Halyps: 70° Anniversario e Olimpiadi Halyps: 70th Anniversary and Olympics

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www.italcementigroup.com

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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House l’Arca Edizioni spa Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Franca Rottola, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Bergamo Law Court

■ ■ ■ ■ Global

■ ■ ■ ■ ■ Projects

Occhio ai giganti Mind the Giants

Osiamo uno scenario positivo

Aiming at a Positive Scenario

Dominick Salvatore

I giganti del futuro

Giants of the Future

Mario Deaglio

La crescita viene dall’Oriente

Growth is coming from the East

Luigi Passamonti

Le materie della crescita

The Materials of Growth

Norbert Walter

Una nuova Europa per il nuovo Mondo A New Europe for the New World

Architecture: the studio-firm

Testi a cura di / Texts by Carlo Paganelli

Verso altezze da record

Toward Record Heights

Progetto di C.Y. Lee & Partners

Project by C.Y. Lee & Partners

Dimensioni coraggiose

Bold Dimensions

Progetto di Massimiliano Fuksas

Project by Massimiliano Fuksas

Monumentale bellezza

Monumental Beauty

Progetto di Alsop Consortium

Project by Alsop Consortium

Abitare il cielo

Living High in the Sky

Progetto di Kohn Pedersen Fox Associates

Project by Kohn Pedersen Fox Associates

Un gigante contro la globalizzazione

A Giant against Globalization

Progetto di Paul Rudolph Architects

Project by Paul Rudolph Architects

Sessanta piani di tecnologia

Sixty Floors of Technology

Progetto di Foster & Partners

Project by Foster & Partners

Microcittà nella grande metropoli

Micro City in the Big City

Progetto di John Portman & Associates

Project by John Portman & Associates

Megastrutture per il Terzo Millennio

Mega-structures for the Third Millennium

Progetto di Foster & Partners

Project by Foster & Partners

Come una visione montana

Like a Mountain Vision

Nasce la “Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti”

"Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti" is born

Il presidente della Camera al concerto per i 140 anni di Italcementi

President of the Italian Parliament at the Concert to celebrate Italcementi’s 140th Anniversary

Gli “stati generali” di Italcementi riuniti a Bruxelles

Italcementi’s “Chiefs of Staff” gather in Brussels

Halyps: 70° Anniversario e Olimpiadi

Halyps: 70th Anniversary and Olympics

Cover, Taipei, axonometry of the TAIPEI 101 Tower

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Project by Pei Cobb Freed & Partners/ Caputo Partnership/Sistema Duemila

28 32 36 46 54 62 68

Architettura: lo studio-azienda

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Luigi Prestinenza Puglisi

Copertina, Taipei, assonometria della Torre TAIPEI 101

www.italcementigroup.com

André-Yves Portnoff

Progetto di Pei Cobb Freed & Partners/ Caputo Partnership/Sistema Duemila

■ ■ ■ ■ News

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The New Giants Take Center Stage

I nuovi giganti, protagonisti in scena

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Chiuso in tipografia febbraio 2005 Printed February, 2005


I nuovi giganti, protagonisti in scena The New Giants Take Center Stage

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he Times They Are A-Changin’, il mondo sta cambiando. E nuovi interpreti si stanno affacciando con passi da gigante sulla scena economica mondiale. Da sempre la competizione era riservata a un confronto fra le sponde ovest ed est dell’oceano Atlantico, ma dall’avvento della globalizzazione gli scenari stanno evolvendo. Europa e America settentrionale – come sottolinea Mario Deaglio – non sono più i primi attori del palcoscenico mondiale dell’economia. Parafrasando Karl Marx, nuovi fantasmi – dalle forme ancora da definire in tutti i dettagli – si aggirano, complice anche la scomparsa dell’Urss, sui mercati economici: oltre il 50% della crescita mondiale è infatti ora attribuibile a Cina, India e alle “tigri asiatiche”. Se la Cina è già un gigante, con una crescita quasi “double digit” del Pil, altri Paesi si apprestano a diventarlo. E se oltre a Pechino decolleranno anche Russia, India e Brasile – rimarca Dominick Salvatore – gli equilibri mondiali potrebbero essere modificati profondamente. Bisognerà fare i conti costantemente con la concorrenza industriale cinese, con quella dei servizi che giunge dall’India, mentre da Russia e Brasile arriveranno le nuove sfide mondiali per l’industria di base e le materie prime, petrolio in particolare per quel che riguarda Mosca. D’altra parte l’irruzione della Cina sui mercati occidentali è sancita anche dalla fine dell’Accordo Multifibre che dall’inizio del 2005 ha completamente liberalizzato gli scambi nel settore tessile. E questo sarà un primo banco di prova di come la liberalizzazione dei mercati saprà produrre risposte alla concorrenza dei nuovi giganti. Di come – ad esempio – l’Europa saprà sfruttare i riflessi della liberalizzazione, intendendola come opportunità e non solo come minaccia. In questo quadro – è l’analisi di Norbert Walter – la nuova Europa allargata dovrà imparare a ritagliarsi un proprio posto, a trovare una collocazione e un proprio ruolo non solo a livello economico ma anche politico. E se il modello di riferimento rimane quello naturale di matrice occidentale, non bisognerà dimenticare di guardare alle sfide che arrivano da oriente, rispondendo alla concorrenza più su un piano di qualità che non di quantità. Affrontando magari nuovi schemi di collaborazione che sappiano mettere a frutto le prerogative di ogni area. Ma, uscendo dallo scenario puramente economico, quello che dobbiamo comprendere, o meglio – come dicono nelle loro analisi André-Yves Portnoff e Luigi Passamonti – quello che dobbiamo sperare, è che la crescita dei nuovi giganti mondiali rappresenta una necessità, perché la pace e la stabilità che ne derivano danno la possibilità di un futuro migliore. E così le leggi del libero mercato dovranno viaggiare di pari passo con lo sviluppo della democrazia nei “nuovi giganti”. Dovranno anche sapere coniugare crescita economica con altre esigenze e priorità, in primo luogo quelle ambientali e sanitarie. E ai giganti dell’architettura, anche in questo caso prerogativa dello sviluppo asiatico, è dedicata la sezione Projects. Il grattacielo Taipei 101, alla ricerca di primati spinti verso il cielo (oltre mezzo chilometro di struttura configurata come un enorme bambù) è l’esempio di un modernismo sempre più spinto che cerca di coniugare persone e idee, così come accade nella Torre Daewoo a Suyong Bay o nella Millennium Tower di Tokyo.


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he Times They Are A-Changin’, the world is changing. Moreover, new players are making giant strides on the world economic scene. In the past, the competition was always between the east and west banks of the Atlantic Ocean, but the situation has been changing ever since the advent of globalization. As Mario Deaglio points out, Europe and North America are no longer the leading performers on the world economic stage. Paraphrasing Karl Marx, new specters—whose true colors have yet to emerge totally—are making their presence felt on the economic markets, due partly to the disappearance of the USSR: over 50% of world growth may now be assigned to China, India and the “Asian tigers.” While China is already a giant with an almost “double digit” growth rate in its GDP, other countries are about to reach the same level. And if, in addition to Beijing, Russia, India and Brazil also take off—so Dominick Salvatore notes—profound changes in the world balance might well ensue. Chinese industry and the Indian services sector will provide constant competition from now on, and Russia and Brazil will pose new challenges in the fields of base industry and raw materials, particularly oil in the case of Moscow. China’s sudden eruption onto western markets has, after all, been helped along by the end of the Multifiber Agreement (MFA), which resulted in total trade liberalization in the textiles sector since the beginning of 2005. And this will provide the first real testing ground to see how the liberalization of markets might provide solutions to competition from the new giants. For instance, we will see how Europe will be able to take advantage of spin-offs from this liberalization process, seen as providing opportunities and not just threats. In this general framework—as Norbert Walter analyzes it—new enlarged Europe will have to learn to find its own niche, its own place and role, not just on an economic level but also from a political viewpoint. And while the reference model will still inevitably be of a western matrix, we will need to pay due heed to challenges from the east, matching the competition more in terms of quality than quantity, possibly exploring new forms of cooperation capable of taking advantage of privileges in all areas. But leaving aside the purely economic scene, what we need to realize or rather—as André-Yves Portnoff and Luigi Passamonti point out in their analysis—what we should hope is that the growth of new world giants continues, since the peace and stability they bring with them will open up fresh prospects for a brighter future. Therefore, the laws of the free market will move hand-in-hand with the democratic development of the “new giants.” They must also be able to combine economic growth with other demands and priorities, first and foremost in health-care and environmental sectors. The Projects section is also devoted to the giants of architecture, once again a prerogative of Asian growth. As it strives to attain record new heights (a bamboo-shaped tower over half-a-kilometer high), the Taipei 101 skyscraper is an example of bold modernism striving to combine people and ideas, as is also the case with the Daewoo Tower in Suyong Bay or Tokyo’s Millennium Tower.

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Global

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Per anni la competizione economica mondiale è rimasta circoscritta a un confronto fra le sponde ovest ed est dell’oceano Atlantico, ma nell’era della globalizzazione lo scenario si è fatto complicato e appare contrastante. Le economie occidentali non sono più il vero “motore” della crescita: oltre il 50% del prodotto lordo mondiale è infatti ora attribuibile a Cina, India e alle “tigri asiatiche”. E altri nuovi giganti si affacciano all’orizzonte. Cosa accadrà allo scacchiere internazionale della politica e dell’economia? arcVision risponde. For years world economic competition was confined to the west and east banks of the Atlantic Ocean, but in today’s age of globalization the situation is more complex and multifaceted. Western economies are no longer the real “driving force” behind growth: over 50% of the world gross domestic product is actually due to China, India and the “Asian tigers.” And other new giants are appearing on the horizon. So how are things going to be played out on the international checkerboard of politics and economics? arcVision provides some answers.

Osiamo uno scenario positivo Aiming at a Positive Scenario di André-Yves Portnoff* by André-Yves Portnoff*

Fare innovazione per creare ricchezza Producing innovation to create wealth

finanziarie o fisiche, ma quelli che non hanno un grande progetto che li guida.

André-Yves Portnoff

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e si tiene conto soltanto dell’attualità, lo scenario che appare più probabile quello che si ricava per deduzione dalle forti tendenze attuali - ci porta a pensare che stiamo andando dritti verso una serie di ripetute catastrofi e, forse, anche verso un disastro ancora più grande di portata globale. Ma se guardiamo ai prossimi vent’anni, quale sarà il ruolo dell’Europa, stretta tra un’America decisa a sfruttare solo la propria superiorità economica e militare, una Cina che imporrà i propri standard in quanto principale mercato mondiale, altre potenze come l’India o l’Indonesia che reclameranno i propri spazi, senza dimenticare i vecchi Giappone e Corea del Sud (magari riunificata a quella del Nord), nonché una Russia che potrebbe rispolverare i vecchi sogni di gloria degli zar bianchi e rossi? Le maggiori case automobilistiche, i più grandi costruttori di computer, i principali produttori d’acciaio e di cemento saranno cinesi. Quale peso potremo avere, quando tenteremo di alzare la voce a sostegno di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente, della salute e della libertà dell’uomo? Come impedire il peggio in tali condizioni?

Niente è sicuro, neanche il peggio1: constatazione più profonda di quanto non sembri, che il filosofo Edgar Morin ripete da anni e che ci mette in guardia dal falso realismo, dal pericolo della cecità che ci spinge a sacrificare vigliaccamente il futuro, a cedere alla pressione dell’immediato. Nel 1940 la Realpolitik imponeva di collaborare con il Reich, che sembrava destinato a dominare l’Europa per decenni, quando non ne aveva che per altri cinque anni. Certo l’affermazione “la Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio” non sarà nuova, ma oggi, in un mondo più complesso che mai che vede agire sul proprio palcoscenico molteplici attori, la storia avanza a bruschi sbalzi. Come evitare il peggio? Guardandolo negli occhi! L’interesse della futurologia, come ama sottolineare Hugues de Jouvenel, è di rifiutare qualsivoglia sottomissione a un supposto destino per esplorare i fattori su cui possiamo agire per orientare il presente verso quel futuro che ci siamo prefissi come obiettivo2. Se sappiamo dove vogliamo andare, abbiamo qualche chance d’arrivarci. Altrimenti, nessuna. I soggetti più fragili non sono quindi quelli che hanno meno risorse

Partiamo dall’avvenire Nel contesto attuale di grande incertezza, per avviare un esercizio di analisi previsionale è raccomandabile partire da due esercizi complementari. Il primo consiste nell’immaginare quale concatenazione di avvenimenti potrebbe fare in modo che, fra dieci anni, l’organizzazione di cui ci si preoccupa, azienda, amministrazione, o territorio, non esista più. L’altro esercizio, che esamineremo qui, cerca di descrivere lo scenario “ottimista” che corrisponde alle nostre ambizioni e ai nostri valori. Che cosa vogliamo essere, e in quale contesto mondiale, fra dieci o vent’anni? Fissiamoci un obiettivo, senza temere di sembrare ottimisti o idealisti. Nella nostra Europa, che a questo proposito merita d’essere trattata da “vecchia”, ci si vergogna di essere considerati idealisti. Peter Kestenbaum3, filosofo e consulente americano, ripete ai suoi clienti che se non hanno grandi ambizioni, con loro non c’è niente da fare! Partendo dalla descrizione del mondo che vorremmo, esploriamo a ritroso il cammino che separa questo futuro auspicato dalla situazione attuale. Risalendo nel tempo, scopriremo delle vie che non avremmo visto se fossimo partiti dal presente e che ci fanno domandare dove questo cammino potrà mai condurci. I percorsi che in tal modo tracciamo hanno in sé il grande pregio di condurci là dove vogliamo andare. Naturalmente occorre che tali cammini non siano inverosimili. Le biforcazioni che tracceremo non sono sempre le più probabili, ma la loro probabilità dipende in parte dalle nostre personali decisioni. Un esercizio di questo tipo ci porta tre aiuti essenziali: • Per prima cosa, ci consente di


verificare se il nostro obiettivo non sia del tutto irrealistico. Si colloca nella gamma dei futuri possibili? Se no, allora dovremo riaggiustare il tiro, ma perlomeno avremo modo di orientare il più possibile il nostro cammino verso le nostre ambizioni, anziché allontanarcene troppo a causa di eccessive concessioni all’attualità. • In secondo luogo, potremo agire con una maggiore consapevolezza delle difficoltà che ci attendono e che avremo accettato fissando il nostro obiettivo più o meno in alto. • Infine, aver conosciuto il percorso e le insidie che ci attendono ci consente una linea di azione per avvicinarci il più possibile al nostro obiettivo ideale, che pure, è evidente, non centreremo mai completamente. Ogni esercizio d’analisi previsionale ha il dovere di essere collettivo, quindi in questa sede non posso che tracciarne una visione del tutto personale. In quale mondo vorremmo vivere intorno al 2020? Naturalmente, auspico una situazione internazionale relativamente rasserenata, senza grandi conflitti e caratterizzata da un forte sviluppo economico che rispetti l’ambiente e sia di beneficio per tutti i continenti e per gran parte dell’umanità: povertà in sensibile regresso, Africa compresa, flagelli come l’Aids arginati se non estirpati e nessun insorgere di grandi catastrofi tecnologiche o ecologiche. Quanto alle nostre nazioni europee, vorrei godessero di una espansione tanto economica quanto politica e culturale: una sorta di nuovo Rinascimento. Una Cina superpotenza…democratica Sono solo fantasie? Certamente, ma la cosa interessante qui è esaminare quali fattori potrebbero condizionare il verificarsi di una tale situazione. In particolare, l’economia

mondiale dovrebbe sì essere trainata dai grandi mercati di Cina e sicuramente India, ma senza che con ciò questi Paesi arrivino a opprimere le altre potenze. Attualmente la Cina è in grado di fabbricare prodotti molto sofisticati avvalendosi di manodopera a basso costo, grazie sia al minore costo della vita nel Paese sia alla riserva di manodopera a cui può attingere sul mercato interno. Ma non ha raggiunto la creatività di Taiwan, della Corea o dell’Occidente e il suo contributo allo sviluppo del know-how resta ancora marginale. Per cui, a meno di non trasformare il proprio regime da dittatoriale in democratico, è improbabile che possa diventare una grande potenza moderna al livello del Giappone, degli Stati Uniti o dell’Europa. In sessant’anni4, nessuno dei Paesi che ha raggiunto gli standard occidentali ha fatto eccezione a questa regola e molti osservatori si ingannano nel confondere adozione del libero mercato e libertà individuali. Probabilmente il problema si porrà nel corso di questo decennio. Il fatto che attualmente si possa trovare un telefono cellulare nelle tasche di mezzo miliardo di cinesi e che Internet si diffonda con grande rapidità è di stimolo all’esercizio del libero pensiero e, nello stesso tempo, è di incoraggiamento ai cittadini che vogliono beneficiare di quei diritti che da poco, e in modo molto teorico è vero, vengono ora garantiti dalla costituzione cinese. L’attrattiva del guadagno facilmente rintracciabile nella Nomenklatura e nei nuovi “capitalisti rossi” li spinge a proseguire nella diffusione dei mezzi d’informazione nel Paese malgrado il rischio che ciò può comportare per il partito unico. Sfocerà in una crisi alla Tienanmen? E in tal caso vinceranno i riformisti? Se saranno repressi ancora una

volta, lo sviluppo ne subirà le conseguenze e sarà ritardato, considerato anche il fatto che altre due biforcazioni lo minacciano. Se i problemi sociali, soprattutto delle campagne, non saranno tenuti in sufficiente conto, la frattura tra le due Cine, quella delle grandi città costiere e quella dell’interno, potrebbe portare alla moltiplicazione di conflitti sociali repressi con la forza, o addirittura nel sangue e, in definitiva, alla frammentazione dell’impero in più stati, molto sviluppati in periferia, e arretrati all’interno. Questo scenario ben si combina con un altro, quello rappresentato dal rallentamento di uno sviluppo avvelenato dall’aumento della corruzione e dalla presa di controllo su intere regioni da parte dei nuovi signori della guerra di mafia. Bisogna quindi aspettarsi un degrado dell’ambiente, disastri sanitari come già si è visto con l’Aids5 e l’influenza aviaria, scorrerie militari contro gli stati vicini, Taiwan in particolare. Un tale disordine interno costituirebbe un grave fattore di rischio per tutto il mondo. Questi diversi scenari negativi possono però provocare significative reazioni da parte di attori ben affermati sulla scena grazie alla rete di contatti stabiliti tra di loro e con le democrazie avanzate, così stimolando un processo di ricostruzione dell’unità nazionale che giri attorno a uno Stato di diritto democratico e sociale, in grado di reprimere la criminalità organizzata e di operare a lungo termine nell’interesse generale. Ecco che allora si tornerebbe, anche se con un po’ di ritardo, a uno scenario “ottimista”. Ma un’altra questione si pone, e riguarda l’atteso effetto di trascinamento dello sviluppo cinese, che può essere più o meno aperto. Attualmente la Cina si sforza di sviluppare standard propri per la telefonia mobile, la musica, i software open source. Considerando

l’effetto di massa, queste scelte, così come altre opzioni tecniche, influenzeranno notevolmente le valutazioni dell’Occidente. Ma in quale misura la Cina sfrutterà i suoi standard per chiudere le frontiere alle importazioni e alle attività straniere? Un po’ di protezionismo potrebbe favorire il progresso delle giovani società nazionali, ma se le reazioni nazionaliste d’un impero fiero di ritrovare il proprio status di grande potenza lo spingessero verso un eccesso di autarchia, lo sviluppo sarebbe ritardato e gli scambi, sbilanciati, contribuirebbero in minor misura alla dinamica mondiale. Questa sarebbe, al contrario, trascinata con forza da una Cina in armoniosa espansione, mercato di grande valore ma anche nuovo e importante protagonista della creazione di know-how e innovazione. Il contesto mondiale L’avvenire di un Paese, anche enorme come la Cina, non può essere esaminato indipendentemente da quello del mondo intero. L’evoluzione mondiale e quella dei suoi principali attori sono fortemente interdipendenti. Come sarà il mondo intorno al 2020? Qui m’ispiro molto liberamente ai macro-scenari costruiti dal Gruppo Futuribles in diversi studi recenti6. Lo scenario che prolunga l’attuale situazione è caratterizzato dal predominio degli Stati Uniti, dalla smania di rapidi guadagni in un libero mercato e da una scarsa coscienza dei problemi di fondo, ecologici, sanitari e sociali. Gli Stati Uniti, sola superpotenza, giocano la carta d’un mondo unipolare. Ma se insistono nel voler usare la forza per imporre i propri punti di vista senza sufficiente concertazione, finiranno col moltiplicare su terreni poco esplorati operazioni chirurgiche che diffonderanno più germi infettivi di quanti non

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ne elimineranno. Le grandi potenze asiatiche emergenti, ma forse anche un’Europa organizzata, sentendosi umiliate o minacciate nei loro interessi, potrebbero però reagire e potrebbero essere spinte a farlo da incidenti ecologici, sanitari, e tecnologici sempre più frequenti. Quindi, anche senza conflitti militari regionali suscettibili di espansione, lo scenario tendenziale è presumibilmente instabile. E da qui a qualche anno potrebbe sfociare o nell’unanime accordo di molti soggetti per la progressiva istituzione di un vero e proprio sistema di governance mondiale, o nella frantumazione del mondo unipolare in una serie di insiemi regionali che tentano proprie vie d’uscita. In questa seconda ipotesi vincerebbe la tendenza isolazionista – sempre viva negli Stati Uniti – e verrebbe imposto il rimpatrio dei GI’s (soldati semplici dell’esercito americano) per difendere dall’interno una sorta di santuario americano. Naturalmente si tratterebbe ancora di uno scenario instabile, portatore di numerosi pericoli. Blocchi separati che giocano un ruolo a sé, senza concertazione, non possono trovare soluzioni operative a problemi di portata globale. E quindi nuovi protagonisti – Paesi, ma anche organizzazioni di cittadini che sfruttano la forza aggregante di Internet7 – potrebbero decidere di lanciare a propria volta delle dinamiche volte a instaurare uno scenario di governance mondiale. La legge del libero mercato dovrebbe allora venire a patti con altre priorità, in particolare ecologiche e sanitarie. Il rafforzamento delle interazioni tra blocchi accrescerebbe gli scambi di idee e quindi la creatività. Tramite nuove applicazioni del digitale, delle nanotecnologie e delle biotecnologie, l’innovazione alimenterebbe l’economia, più

controllata che nello scenario tendenziale da una società sensibilizzata dalle derive precedenti. Ma tali innovazioni sarebbero più durature e gli investimenti più sicuri, perché solo in casi eccezionali sfocerebbero in fragili bolle speculative o in tracolli come quelli Enron o Parmalat, o ancora in chiusure d’attività dopo l’emergere di fattori di degrado imprevisti o impasse tecniche. Un tale contesto favorirebbe in modo particolare la costituzione di superpotenze stabili, soprattutto in Cina, veri motori dello sviluppo generale. E l’Europa? Non soltanto questo scenario “ottimista” può rivelarsi favorevole agli attori europei, ma il suo verificarsi è fortemente condizionato da un eventuale rafforzamento dell’Europa. Cosa sperare per il nostro continente nel 2020? Che sia una delle principali fonti creative, una forza propositiva per un modello di sviluppo al tempo stesso economico e umano, e che sappia dimostrare con l’esempio che è possibile crescere su questi due piani conseguendo importanti profitti finanziari nel pieno rispetto dei valori umanitari e nel miglioramento della qualità di vita dei propri abitanti. L’Europa ingrandita estenderà la propria influenza a sostegno della democrazia e della risoluzione pacifica dei problemi fino ai confini dell’ex Urss e del Vicino Oriente. L’esempio di una Unione europea consapevole delle proprie radici greco-romane avrà un effetto trainante sui Paesi dell’antico impero romano sull’altro lato del Mare nostrum. La nuova Europa potrà proporre un modello alternativo di sviluppo per numerosi Paesi, e riuscire a garantire pace e prosperità sui propri territori tra nemici secolari, la qual cosa le conferirà una legittimità incontestabile da estendere non

solo ai propri confini orientali ma anche a tutto il mondo che crede in quei valori umanistici che non sono solo europei ma universali, come viene ricordato dall’Unido (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale)8. Questo scenario potrà rivelarsi particolarmente vero se un gruppo di Paesi capiscuola lancerà una federazione europea dotata d’una capacità e d’una volontà decisionale rapide, nonché di importanti mezzi militari. Un’Europa, forte di validi principi e insieme del coraggio di farli propri e di difenderli, sarebbe un valido moderatore nei confronti di una America egemonica nello scenario di continuità, rappresenterebbe un partner prezioso degli Stati Uniti nel caso questi optassero per la consultazione con gli amici naturali e sarebbe infine un mediatore nei conflitti regionali. È realistico ambire a tutto ciò? Forse. In realtà, non abbiamo nessuna possibilità di scelta e la nostra unica risorsa è di ordine umano e culturale. Di fronte a Paesi-continenti forti delle loro dimensioni, la nostra sola carta è di fare come la Toyota che da sessant’anni sfida le tre grandi case automobilistiche di Detroit che in un solo giorno sono in grado di produrre quasi lo stesso numero di vetture che la Toyota produce in un anno: dobbiamo meglio impiegare le nostre intelligenze9. Questo significa sviluppare all’interno delle nostre organizzazioni un management moderno d’ascolto, di stimolazione e di riconoscimento dei talenti di tutti, e condurre tra le nostre aziende una politica di vera partnership, che riprenda l’esempio multicentenario dei distretti italiani con in più i vantaggi introdotti dalle reti digitali. Management partecipativo e partnership tra organizzazioni sono gli strumenti per costruire sinergie, e quindi produrre di più ma con investimenti minori e

decisamente più redditizi. Anche le amministrazioni e le istituzioni politiche dovranno giocare questa carta dell’efficienza, attraverso sinergie e rispetto dei cittadini. Anche in questo caso, di fondamentale importanza è l’innovazione, necessaria per offrire servizi di qualità superiore e personalizzati. Per rimanere concorrenziali, anche i produttori di materiali dovranno vendere soluzioni “su misura”. Il livello dei servizi offerti determina la localizzazione delle attività: se ci si accontenta di vendere delle camicie in stock, queste potranno anche essere prodotte agli antipodi; se si propongono prodotti su misura e consegne in 24 ore, l’atelier di produzione dovrà essere per forza nella regione; se si propongono consegne in un’ora, la fabbricazione dovrà necessariamente avvenire nel quartiere. Anziché allinearci agli standard sociali e politici dei nostri concorrenti più poveri, dobbiamo puntare all’innovazione facendo leva sulle nostre vere ricchezze. Il livello di creatività necessario sarà raggiunto solo se i vertici economici e soprattutto politici cesseranno di fare della “priorità alla ricerca e alla formazione” degli slogan poi dimenticati in ogni scelta budgetaria. Questo implica anche dei profondi cambiamenti nel nostro modo di pensare e nei nostri sistemi. Il problema non è solo di produrre know-how, ma di sfruttarlo: vale a dire di fare innovazione per creare ricchezza. Troppo spesso la società europea si mostra ostile nei confronti dei creativi, dei portatori d’idee nuove, quando questi abbandonano il campo intellettuale per tentare di fondare un’impresa. Lo scenario “ottimista” è allora possibile e noi possiamo esserne i principali attori, a condizione di avere il coraggio di assumerne l’ambizione.


* André-Yves Portnoff è direttore dell’Osservatorio della Rivoluzione dell’Intelligenza a Futuribles, Parigi. Da vent’anni, le sue ricerche sono consacrate all’analisi dei fattori immateriali, alla gestione del cambiamento e alla valutazione del capitale globale delle organizzazioni. Note 1. Edgar Morin, La méthode 5. L’identité humaine, Le Seuil. Parigi 2001. Il metodo 5. L’identità umana, Raffaello Cortina Editore. Milano, 2002. 2. Hugues de Jouvenel, Invitation à la prospective – An Invitation to Foresight, collezione bilingue Perspectives–Futuribles. Parigi, 2004. 3. Peter Kestenbaum, Socrate et le Business, InterEditions. Parigi, 1989. The heart of Business, Saybrook Pub. Co. Dallas, 1987. 4. André-Yves Portnoff, Les conditions politiques du développement, Futuribles N° 281, Dicembre 2002. 5. André-Yves Portnoff, La censure, arme de destruction massive, Futuribles N° 288, Luglio 2003. 6. Bertrand Hervieu e Hugues de Jouvenel, Prospective pour la recherche, collezione bilingue Perspectives–Futuribles. Parigi, 2005 (in corso di pubblicazione). 7. Secondo il suggerimento di JeanFrançois Rischard, Vingt défis pour la planète, vingt ans pour y faire face, Actes Sud. Arles, 2002. 8. Unido, Rapport sur le développement humain, capitolo 1, http://hdr.undp.org/reports/global/2004/ 9. André-Yves Portnoff, Le pari de l’intelligence – Betting on Intelligence, collezione bilingue Perspectives–Futuribles. Paris, 2004. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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f we confine our analysis solely to the present global situation, then the most probable scenario we can envisage—corresponding to an extrapolation of the powerful trends currently under way—is that we are heading toward repeated catastrophes and, perhaps, even toward a disaster of much greater global proportions. But looking forward toward the next twenty

years, while America seems bent on merely imposing its economic and military supremacy, China will probably set the standards as the world’s biggest market. Other countries like India or Indonesia will claim their own share, without forgetting good old Japan and South Korea (possibly united with North Korea), not to mention Russia as it could rekindle the dreams of glory of its old red and white Tsars…will there be any room for Europe? The leading car manufacturers, biggest computer producers, steel and cement manufacturers will be Chinese. Just how much punch will we carry when we raise our voice in support of environmentally friendly development, health issues and human rights? How can we prevent the worst from happening in this kind of situation? Or perhaps the worst is never certain1: a deeper observation than it might sound at first, one which the philosopher Edgar Morin has been repeating for years. It puts us on our guard against false realism, the danger of a short sightedness that can cause us to give up on the future, yielding to the pressure of the present: in 1940 Realpolitik called for collaboration with the Reich, which seemed destined to dominate Europe for decades, when in fact it only had five years left. There is hardly anything new about stating that “the Tarpeian Rock is close to the Capitol,” but nowadays, in a more complex world than ever, with so many players, time moves forward in leaps

and bounds. So how can we prevent the worst from happening? By looking it straight in the eyes! The interesting thing about Futurology, as Hugues de Jouvenel is keen on pointing out, is rejecting any predetermined future and exploring the factors that can be modified in order to guide the present toward the future we have set as our goal2. If we know where we want to go at least we have a chance of getting there. Otherwise, there is no chance. So the worst equipped players are not those with less financial or physical resources, but those with no real driving plot. Setting off from the future In the current climate of great uncertainty, if we are to start making predictions it is a good idea to begin with two complementary exercises. The first involves imagining what chain of future events might result in the dissolution of the organization we are studying— firms, administrations or territories—by the next ten years. The other exercise, which we will be looking at here, attempts to paint an “optimistic” scenario corresponding to our ambitions and values. So what do we hope to be and in what kind of world in ten or twenty years’ time? Let’s set a target, without any fear of looking either optimists or idealists: in our Europe, which in this respect deserves to be treated as “old,” people are often embarrassed at being idealists. Peter Kestenbaum3, an American advisor and philosopher, always tells his clients there is nothing he can do for them, if they have no real ambition! Starting with the description of the world as we would like it, we retrace the steps separating this future we are looking for from the situation as it stands. Moving

back in time, we will find certain paths that we would never have come across starting from the present, and which inevitably make us wonder where in heaven they will lead us. These paths, that should not be improbable, are worth leading us exactly where we want to go. The divarications we will trace are not always the most probable, but their likelihood partly depends on the personal decisions we make. An exercise like this helps us in three essential ways: • Firstly, it lets us assess whether our goal is at all realistic. Does it come within the realms of possible futures? Otherwise, we will have to readjust our goal, but at least we will be able to orient our steps as much as possible toward our ambitions, instead of drifting too far from them by yielding too much to reality. • Secondly, we can then take action with a deeper awareness of the difficulties that lie ahead, accepting them as we set our goals higher. • Finally, knowing where we are heading and the potential pitfalls that await us will let us take action to draw as close as possible to our ideal goal, though we will never reach it perfectly. Any exercise in making predictions has a duty to be collective, but I can only hazard a few personal guesses here. What kind of world would we like to live in 2020? Of course, I hope the international scene will have calmed down considerably, with no major conflicts and plenty of eco-friendly economic growth across every continent to the benefit of all human beings, with considerably less poverty, even in Africa. I also hope issues like AIDS will have been halted in their tracks, if not cured completely, and that there will be no major technological or ecological disasters.

7


8

As regards nations here in Europe, I hope they blossom economically, politically and culturally: a sort of new Renaissance. China as a superpower… and democratic Is this just fantasizing? Yes it is, but the interesting thing is to take a look at what might affect the outcome of a situation like this. In particular, the world economy would need to be towed along by the big markets of China and, undoubtedly, India too, but without these nations overwhelming other powers. At the moment China can manufacture highly sophisticated products, taking advantage of a low-paid labor force linked to both the nation’s lower cost of living and the vast locally available labor pool. But it is not yet as creative as Taiwan, Korea or the West, and its innovative contributions are still marginal. So unless its dictatorial regime turns democratic, it is unlikely to develop into a major super-power on a par with Japan, the United States or Europe. In sixty years4, none of the countries that have risen up to western level has been an exception to this rule, and many observers fail to make a proper distinction between a free market and personal freedom. This issue will most probably come to the fore over the coming decade. The fact that half-a-billion Chinese carry mobile phones in their pockets and that the Internet is spreading at a startling rate is encouraging many people to exercise free will and, at the same time, this supports people who want to take advantage of those human rights, which, at least on a theoretical level, are now guaranteed by the Chinese constitution. The enticement of making money, which can be seen throughout the

Nomenclature and new “red capitalists”, is encouraging the spread of means of information throughout the country, despite the risk that this might imply for the single party. Could this result in a Tiananmen-style crisis? And would the reformists win this time? If they are once again repressed, development will suffer the consequences and thus be delayed. It is also worth bearing in mind that it is being threatened by two other divarications: if sufficient heed is not paid to social problems, particularly in rural areas, then a wide divide may open up between the two Chinas (the coastal cities and inland areas) causing social unrest that may be quashed using force, perhaps also entailing bloodshed, and this would certainly split the empire into layers—highly developed in the suburbs, backward inland. This scenario blends with another: the slowdown in growth due to the rise in corruption and the taking over of entire regions by the new mafia warlords. This means we ought to prepare ourselves for environmental degradation, health disasters—as we have already seen with AIDS5 and bird flu—and military forays against neighbors, particularly Taiwan. This kind of internal disorder would be a major risk factor for the entire world. These various negative scenarios might cause plenty of reactions from the global players firmly established thanks to the wide digital network connecting them one to another and to advanced democracies, thus triggering off a process of reconstructing national unity revolving around a state of democratic-social rights, capable of repressing organized crime and working for the long-term general interest. This would take us back to an “optimistic” scenario, albeit after a certain delay. But this raises another issue

concerning the expected driving effect of China’s economic development that might be more or less open. At the moment China is striving to develop its own standards for mobile phones, music, and open-source software. Considering mass effects, these decisions (together with other technical options) will have a strong influence on western options. But just to what extent will China impose its own standards to close its borders to imports and foreign business? A bit of protectionism might help drive along newly founded domestic enterprises, but if the nationalist reactions of an empire proud of regaining its former status as a great power were to lead to excessive autarchy, then growth would be delayed and trading (imbalanced) would play a lesser part in world development. In contrast, global development would be driven along powerfully by a smoothly developing China—a leading market, but also a major contributor to knowledge and innovation. The World Scene The future of even the larger countries like China cannot be examined in isolation from the overall world situation. The way the world and its key players evolve is all closely interrelated. What will the world be like around the year 2020? Here I am drawing freely on the macro-scenarios devised by the Futuribles Group in a number of recent studies6. The scenario that contemplates sustaining the current situation will see the continuing dominance of the United States, the quest for a quick profit on a free market, and the mediocre treatment of background ecological, health and social issues. The United States, the only superpower, will bet on a one-way world. But if

they insist on using force to impose their points of view without any proper consultation, they will end up “multiplying surgical operations on poorly explored terrains that will spread more infectious germs than they get rid of.” Feeling humiliated or seeing their own interests threatened, the newly emerging major Asian powers, and perhaps a better organized Europe might react to such a situation, also urged by constantly rising ecological, health and technological disasters. Even without the deterioration of regional conflicts, the prospective scenario is likely to be unstable. A few years from now it might lead to either a unanimous agreement between a number of players to gradually establish a proper world governance, or, the division of the one-way world into a number of regional units trying to come through on their own. In this second hypothesis, the isolationist tendency (always waiting in the wings in the United States) would triumph and the GI’s would be brought home to defend an American sanctuary. Of course this would still be an unstable scenario bringing with it many dangers. Separate blocks playing their own separate roles with no consultation would not find solutions to global-scale issues. Players in the form of both nations but also people’s organizations using the aggregative power of the Internet7 might decide to launch a new form of global governance. The laws of the free market would then be forced to come to terms with other priorities, notably in the fields of ecology and health care. Strengthening relations between different blocks would encourage the exchange of ideas and hence creativity. New applications of digital


technology, nanotechnology, and biotechnology would allow innovation to boost the economy, which would be more controlled than in the prospective scenario implying a society all too aware of previous mishaps. But innovations like these would now be more durable and investments would be safer, since only under very exceptional circumstances would they result in delicate speculative bubbles, collapses like those of Enron or Parmalat or businesses shutting down, resulting from unexpected sudden degradation or technical impasses. This kind of situation would particularly favor the establishing of stable superpowers, notably in China, the key motors of world growth. So what about Europe? This “optimistic” scenario would not just favor European players, it is also likely to be dependent upon Europe itself rising to power. So what are the prospects for our continent in 2020? It is to be hoped that it will prove to be creative suggesting a growth that is simultaneously economically viable and humanitarian, setting an example of how development can occur on these two levels producing plenty of high financial profits while respecting humanitarian values and improving its inhabitants’ general standard of living. Enlarged Europe will extend its influence in terms of democracy and peaceful problem-solving as far as former USSR and Near East boundaries. The example of a European Union aware of its own GreekRoman roots will exercise a

positive influence on nations that once belonged to the ancient Roman Empire on the other side of Mare nostrum. New Europe will provide an alternative growth model for many nations. If it were able to establish peace and prosperity between age-old enemies within its own boundaries, it would undoubtedly gain the legitimacy required to promote humanistic values to its eastern outskirts and further across the globe, values which, as UNIDO (United Nations Industrial Development Organization)8 points out, are universal not European. This is all the more likely to happen if a group of cutting-edge nations were able to form a European Federation with the desire and capability to make quick decisions and equipped with significant military power. A Europe not just with principles but also the courage to take responsibility for them and defend them would be a moderator in relation to the hegemonic force of the United States under a “business-asusual” scenario; an invaluable partner for America if it were to consult with its natural friends; and a mediator in regional conflicts. Is this a realistic prospect? Yes, it is. And indeed we have no choice in the matter. Our only resources are people and culture. Faced with continentalsize nations our only trump card is to copy Toyota, which for six decades now has been challenging the three giants from Detroit that manufacture almost as many cars in one day as Toyota in an entire year: we need to use our brains more

effectively9. This means making sure our organizations develop modern management guidelines based on listening, encouragement, and recognizing everybody’s talents; a policy of business partnerships needs to be developed in our companies drawing on the centuries-old example of Italian districts further enhanced by introducing digital networks. Participative management and partnerships between organizations are the way to create synergies and to raise productivity from lower investments with greater profits. Administrations and policies in general must also play this same trump card of efficiency through synergic relations and respect for the general public. This also calls for the kind of innovation required to provide higher quality, personalized services. To remain competitive also materials manufacturers will have to sell “customized” solutions. The standard of services on offer will dictate where operations are located. Stock supplies of clothes can be manufactured anywhere, but designer products delivered in 24 hours must come from the local region; delivery within an hour means the production work must be in the neighborhood. Instead of falling in line with the socio-political standards of our poorer rivals, we must focus on innovation, relying on our own real resources. The degree of creativity required will only be achieved if our economic executives and, first and foremost, our politicians stop using “priority for research

and training” as a slogan and actually start incorporating it when making budget decisions. This also implies profound changes in our way of thinking and operating. It is not just a question of producing knowhow but of actually employing or, in other words, producing innovation to create wealth. Too often European society seems hostile to creative people and developers of new ideas when they neglect their intellectual side and concentrate on trying to set up businesses. The “optimistic” scenario is thus possible and we could be its leading players, provided we are brave enough to be so ambitious.

* André-Yves Portnoff is director of the Observatory of the Intelligence Revolution at Futuribles, Paris. For the last twenty years he has been researching into immaterial factors, the management of change and assessment of the global capital of organizations. Notes 1. Edgar Morin, La méthode 5. L’identité humaine, Le Seuil. Paris, 2001. Il metodo 5. L’identità umana, Raffaello Cortina Editore. Milan, 2002. 2. Hugues de Jouvenel, Invitation à la prospective – An Invitation to Foresight, bilingual collection Perspectives–Futuribles. Paris, 2004. 3. Peter Kestenbaum, Socrate et le Business, InterEditions. Paris, 1989. The heart of Business, Saybrook Pub. Co. Dallas, 1987. 4. André-Yves Portnoff, Les conditions politiques du développement, Futuribles N° 281, December 2002. 5. André-Yves Portnoff, La censure, arme de destruction massive, Futuribles N° 288, Juillet 2003. 6. Bertrand Hervieu et Hugues de Jouvenel, Prospective pour la recherche, bilingual collection Perspectives–Futuribles. Paris, 2005 (forthcoming). 7. Selon la suggestion de Jean-François Rischard, Vingt défis pour la planète, vingt ans pour y faire face, Actes Sud. Arles, 2002. 8. Onudi, Rapport sur le développement humain, chapitre 1. http://hdr.undp.org/reports/global/2004/ 9. André-Yves Portnoff, Le pari de l’intelligence – Betting on Intelligence, bilingual collection Perspectives–Futuribles. Paris, 2004.

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I giganti del futuro Giants of the Future di Dominick Salvatore* by Dominick Salvatore*

Che accadrà all’economia mondiale se decollano Cina, Russia, India, e Brasile? What will happen to the world economy if China, Russia, India, and Brazil thrive?

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Dominick Salvatore

I

l mondo sta cambiando. All’orizzonte appaiono nuovi giganti economici che ridimensioneranno l’importanza economica di quelli tradizionali e potrebbero modificare profondamente il panorama degli equilibri mondiali. I giganti d’oggi li conosciamo: Stati Uniti, Unione europea e Giappone. Sebbene sia rischioso fare previsioni per il medio e lungo termine, i giganti del futuro saranno, o potrebbero essere, Cina, Russia, India, e Brasile. Esaminiamo meglio la situazione di questi Paesi. La tabella che segue indica la grandezza e l’importanza dei possibili giganti del futuro rispetto a quelli d’oggi. Dal

punto di vista della popolazione è evidente che Cina e India sono dei veri giganti rispetto a tutti gli altri; la Russia lo è invece dal punto di vista dell’estensione geografica. Tuttavia, popolazione ed estensione geografica non sono i fattori economici più importanti. Dopotutto, questi fattori esistono da molto tempo, mentre è solo da poco che si considera seriamente la possibilità che Cina, India, Russia e Brasile possano essere annoverati insieme a Stati Uniti, Unione europea e Giappone tra i giganti economici del futuro, con tutte le importanti conseguenze sugli equilibri economici e finanziari mondiali che ne deriverebbero.

La misura più significativa dell’importanza economica di una nazione è il Pil o prodotto lordo interno, dato dal valore totale di tutti i beni e servizi prodotti da una nazione durante l’anno. Tuttavia, per poter paragonare la dimensione economica delle varie nazioni in modo coerente, è necessario misurare il Pil in termini di potere d’acquisto (Purchasing Power Parity o PPP). Dalla tabella, vediamo come l’economia più grande al mondo (in termini di potere d’acquisto) sia quella americana, seguita dall’Unione europea a 15 Paesi (l’Ue a 25 Paesi supera di poco l’economia statunitense), Cina, Giappone, India, Russia e Brasile. Quindi, dal punto di vista del Pil (PPP), la Cina è ormai da considerarsi un gigante economico a tutti gli effetti, avendo essa superato lo stesso Giappone. Tuttavia, la ricchezza e il tenore di vita di una nazione dipendono dal Pil pro capite (sempre in termini di potere di acquisto o PPP) e non dal Pil totale. Risulta evidente come, in termini di Pil pro capite, i giganti del futuro siano molto lontani, da 3 a 13 volte, dai giganti d’oggi. Un altro fattore cruciale per il futuro è rappresentato dai forti divari nei tassi di crescita dei vari Paesi. Crescendo al tasso

L’ECONOMIA DEI GIGANTI DEL FUTURO E DEI GIGANTI DI OGGI NEL 2002 Popolazione (milioni)

Cina Russia India

Superficie (000 Km2)

Pil (PPP) (miliardi $)

1.281

9.598

5.625

144

17.075

1.127

Media Annua di Crescita (%) (1996-2002)

Crescita (%) nel 2003

4.390

8,1

9,1

7.820

2,7

7,3

Pil (PPP) pro Capita ($)

1.048

3.287

2.691

2.570

5,6

7,4

Brasile

174

8.547

1.266

7.250

2,1

-0,2

Usa

288

9.629

10.110

35.060

3,9

3,4

Ue (15)

378

3.210

9.514

25.169

2,5

1,1

Ue (25)

451

3.959

10.147

22.499

2,6

1,7

Giappone

127

378

3.315

26.070

1,0

1,7

Fonte: Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, 2004.

annuo medio registrato dal 1996 al 2002, il Pil della Cina raggiungerebbe quello degli Stati Uniti intorno all’anno 2020 e quello dell’Ue a 25 Paesi nel 2112 – sempre che anche questi ultimi continuino a crescere ai precedenti tassi medi. Per quanto riguarda gli altri Paesi, l’India impiegherebbe più del doppio della Cina, non ci sarebbe convergenza per la Russia, mentre per il Brasile la distanza aumenterebbe ulteriormente. È importante ribadire che tutto questo accadrebbe solo se il tasso di crescita futura si mantenesse pari a quello medio del passato. In realtà, non c’è nessuna ragione per cui ciò debba verificarsi. Ad esempio, la situazione sarebbe completamente diversa se la Russia e l’India continuassero a crescere ai ritmi vertiginosi del 2003 (vedi l’ultima colonna della tabella). Va anche precisato che per colmare l’attuale divario nel Pil pro capite tra i giganti ricchi di oggi e quelli del futuro occorrerebbero varie generazioni e quindi molto dipenderà non solo dal tasso di crescita del Pil totale, ma anche dal tasso di crescita della popolazione nei vari Paesi. Ma guardiamo più da vicino i giganti del futuro, analizzandone le prospettive di rapida crescita e le conseguenze che questa potrebbe avere sugli equilibri economici e finanziari mondiali. Cina La spettacolare crescita della Cina negli ultimi dieci anni ha fatto sì che la Cina sia già oggi un gigante economico. Questo è stato possibile soprattutto grazie all’apertura della nazione al mercato mondiale. Senza tale apertura, la Cina non avrebbe ricevuto gli ingenti afflussi di capitali e di tecnologie, così come non avrebbe conquistato


quei mercati per i propri prodotti che hanno in pratica reso possibile la sua rapida crescita. Le aspettative di medio termine sono di una continuazione di tale eccezionale crescita. I problemi all’orizzonte che potrebbero turbare queste aspettative sono, nell’ordine: 1) una forte crisi finanziaria e un conseguente crollo del sistema bancario cinese come risultato degli enormi debiti non esigibili che gravano sulle banche; 2) un collasso delle infrastrutture nelle aree litorali di forte crescita, sotto il peso d’immensi afflussi di immigrati dalle zone interne più povere e di bassa crescita; 3) instabilità politica e sociale qualora la liberalizzazione politica rimanesse ritardata rispetto a quella economica. Se questi problemi saranno risolti, la Cina continuerà la sua corsa, Shanghai diventerà uno dei più importanti centri finanziari mondiali insieme a New York, Londra e Francoforte e la moneta cinese (lo yuan o renminbi) potrebbe sorpassare lo yen e diventare la terza moneta internazionale più importante dopo il dollaro e l’euro. Certo è che se la Cina dovesse continuare la sua sfrenata crescita, c’è da chiedersi quale sarà l’effetto di tale crescita sulla disponibilità mondiale di materie prime. Per esempio, quale sarà il prezzo del petrolio se ci saranno in Cina tante automobili per ogni milione di abitanti quante ve ne sono oggi negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone? C’è anche da chiedersi come la Cina userà il suo nuovo status di superpotenza economica e politica. La storia ci insegna che la Cina non è mai stata aggressiva in passato, e si spera che questo continui a essere il caso anche in futuro.

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Di sicuro, la Cina già oggi possiede un forte potere economico. La sua competitività economica sui mercati internazionali è ormai leggendaria e fa paura un po’ a tutti. La nazione ha anche resistito, almeno fino ad ora, a tutte le pressioni che le altre potenze hanno esercitato per ottenere una rivalutazione dello yuan (che sembra sottovalutato rispetto al dollaro di circa il 3040 per cento). Questo anche a fronte di enormi e crescenti surplus commerciali nei confronti degli Stati Uniti e di un monumentale accumulo di dollari, che un domani la Cina potrebbe immettere sui mercati finanziari, destabilizzando il dollaro ed eventualmente provocando una crisi economica mondiale. Ogni volta che avviene un riassetto nell’equilibrio economico, finanziario e politico mondiale, ci sono rischi e opportunità. Russia Anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia rimane una grande nazione in termini d’estensione geografica, popolazione e potenzialità economica. Di sicuro essa può

diventare un gigante economico nel futuro, grazie alle sue immense risorse naturali (petrolio e minerali) e umane (forza lavoro con un’alta preparazione tecnica). Tuttavia, per poter realizzare queste grandi potenzialità la nazione deve: 1) ristrutturare la sua economia orientandola più verso il mercato (da questo punto di vista, finora la Russia è in ritardo rispetto all’Ungheria, alla Repubblica Ceca e alla Polonia); 2) consolidare la democrazia e il rispetto delle leggi e dei contratti (rule of law), senza i quali l’economia non può crescere; 3) migliorare le infrastrutture economiche, che sono state tanto trascurate in passato da essere ora vicine al collasso. La rapida crescita della Russia negli ultimi anni si è basata troppo sulle esportazioni di petrolio e sul suo alto prezzo. Poco peso è stato dato allo sviluppo del resto dell’economia, in particolare alla produzione ed esportazione di prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico. Non è facile passare da un’economia

pianificata a un’economia di mercato in un Paese immenso, specialmente quando manca una memoria storica. Molto è stato fatto, ma ancora molto rimane da fare per permettere alla Russia di esprimere tutte le sue grandi potenzialità e poter quindi prendere il suo giusto posto tra i giganti economici del prossimo decennio. Per il momento, il Pil russo è circa il 70 per cento di quello italiano e il Pil pro capite solo un terzo. Anche nel caso di una rapida crescita, è improbabile che la Russia possa avere un forte impatto sugli equilibri economici e finanziari mondiali nei prossimi anni, eccetto forse nel settore industriale di base e attraverso l’effetto sul prezzo del petrolio. India Fino a tre o quattro decenni fa, l’India offriva uno spettacolo di squallida povertà, con poche speranze di sviluppo e rapida crescita. L’introduzione e la divulgazione della “rivoluzione verde” hanno reso l’India autosufficiente nella produzione del cibo negli anni Ottanta. Poi, a cominciare dagli anni Novanta, l’India ha iniziato a crescere


processo di crescita continuativa che permette di essere ottimisti sul suo futuro. L’effetto che tale crescita avrà sugli equilibri mondiali molto probabilmente si manifesterà nella concorrenza internazionale nei prodotti e servizi ad alta tecnologia legati principalmente al software e all’outsourcing di servizi commerciali e finanziari.

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rapidamente. Sebbene la nazione sia ancora molto povera (il suo Pil pro capite e tenore di vita è appena superiore alla metà del pur basso livello cinese), l’India sembra aver trovato la strada della crescita economica. Se l’India continuerà il suo progresso allo stesso ritmo di quello degli ultimi anni, anch’essa troverà il suo posto tra i nuovi giganti economici. L’aspetto interessante è che l’India ha trovato la strada della crescita nelle nuove tecnologie legate al software, cosa alquanto difficile per una nazione così povera. Eppure, ci

sono oggi in India milioni di persone con un’alta preparazione tecnica. Centinaia di migliaia di questi sono impiegati nel settore del software, tanto che molte delle grandi compagnie americane ed europee hanno trasferito in India non solo molte delle loro attività d’elaborazione dei dati e di consulenza, soprattutto nella zona di Bangalore, ma anche attività di ricerca nell’alta tecnologia. Sebbene l’India abbia ancora tanta strada da percorrere prima di arrivare allo status di superpotenza economica, essa sembra aver innescato quel

Brasile Con la sua grande estensione geografica, la sua numerosa popolazione e l’enorme ricchezza di risorse naturali, il Brasile è stato considerato da sempre la nazione del futuro. Sebbene il tasso di crescita sia stato basso negli ultimi anni e addirittura negativo nel 2003, il Brasile ha una potenzialità di crescita superiore al 3,5-4%, che è poi il tasso di crescita atteso per il 2004 e il 2005. Per innescare una crescita rapida e continuativa è tuttavia necessario che il Paese continui ad avere quella stabilità politica che ha avuto da qualche anno a questa parte. Se ciò si avvererà e se, inoltre, il Paese 1) ristrutturerà la sua economia e aumenterà la sua efficienza e competitività internazionale, 2) continuerà a investire rapidamente e a ricevere ingenti capitali esteri, 3) aumenterà il tasso di scolarizzazione e la preparazione tecnica delle sue forze lavorative, allora il Brasile finalmente potrà esprimere la sua grande potenzialità e coronare il suo desiderio di ottenere un posto tra i giganti economici del futuro. Ad oggi, il suo Pil è circa l’85 per cento di quello italiano e il suo tenore di vita circa il 30 per cento. L’effetto che il Brasile avrà sugli equilibri mondiali passerà principalmente attraverso la sua competitività nel settore

industriale di base e agricolo, più che in quello finanziario o dell’alta tecnologia. In conclusione, possiamo asserire che la Cina è già oggi un gigante economico e sarà presto inclusa nel gruppo delle nazioni industrializzate più importanti. Russia, India e Brasile sembrano essere sulla stessa strada, sia pure con rilevanti differenze. Tutto questo comporterà importanti conseguenze sugli equilibri economici, finanziari e politici per gli Stati Uniti, l’Unione europea e il Giappone. La principale sfida che i giganti d’oggi dovranno affrontare sarà soprattutto costituita dalla concorrenza industriale cinese e da quella dei servizi dell’India. Russia e Brasile influenzeranno principalmente le industrie mondiali di base, con la Russia a ricoprire un ruolo importante anche sul mercato del petrolio. C’è da augurarsi che tutto questo avvenga nello spirito di pace e cooperazione per il benessere del mondo intero.

* Dominick Salvatore è professore di chiara fama e preside della Facoltà di Economia alla Fordham University di New York e consulente all’Onu, Fmi, Banca Mondiale, Economic Policy Institute di Washington e varie banche e multinazionali. Ha pubblicato 42 libri e circa cento saggi su riviste di economia. È stato presidente dell’Accademia delle Scienze di New York. Tra i riconoscimenti ricevuti: “Achievement Award” della New York University, la Medaglia del Senato italiano e i premi Capalbio Economia, Guido Dorso, Frentano D’Oro, Pio Manzù. Ha insegnato in diverse università ed è editorialista del Sole 24 Ore.


T

he world is changing. New economic giants are emerging that will downsize the economic importance of traditional key players and could deeply affect the balance of the world economy. The giants of the present are quite familiar: United States, European Union and Japan. Although it is risky to make any medium- or longterm forecasts, the giants of the future will be, or might be, China, Russia, India, and Brazil. Let’s take a closer look at the situation in these countries. The table below shows the size and importance of potential giants of the future compared to their present-day counterparts. In population terms, it is obvious that China and India are the real giants comparatively; Russia is, too, in terms of its geographic dimensions. Nevertheless, population and land mass are not the key economic factors. After all, these factors have been in place for a long, long time, but it is only recently that serious consideration has been given to the possibility of including China, India, Russia and Brazil among the economic giants of the future, with all the consequence this entails in terms of world economicfinancial equilibrium.

The most significant measure of a nation’s economic importance is its GDP or gross domestic product, the overall value of all the goods and services a country produces in a year. But to compare the economic size of different nations, the GDP must be measured in terms of Purchasing Power Parity (or PPP). It can be seen from the table that the world’s biggest economy (in terms of purchasing power) is the American economy, followed by the EU with 15 member states (the EU with 25 member states is slightly bigger than the American economy), China, Japan, India, Russia and Brazil. This means that China is already a giant to all extents and purposes from the point of view of its GDP (PPP), and has actually overtaken Japan. Nevertheless, a nation’s wealth and standard of living depend on the GDP per capita (again in terms of purchasing power parity or PPP) and not the overall GDP. It is clear that the giants of the future are poles apart from the present day giants, 3 to 13 times lower in terms of GDP per capita. Another crucial factor for the future is the marked differences in the growth rates of the different nations. If it were to keep on rising at the same average yearly rate recorded from 1996-2002, China’s GDP

would be the same as the United States’ by around the year 2020 and on a par with that of the 25-nation EU by 2112— assuming these nations keep growing at previous average rates. As regards the other nations, India would take twice as long as China, Russia would never manage to converge, and Brazil would actually end up trailing even further behind. It is worth highlighting that all this would only happen if the future growth rate stayed the same as the average rate in the past. But in actual fact, there is no reason why this ought to be the case. For instance, the situation would be totally different if Russia and India kept growing at the startling rates of 2003 (see the final column in the table). It should also be pointed out that it would take several generations to bridge the present gap in GDP per capita between the wealthy giants of the present and future, so a lot will depend not just on the growth rate of the overall GDP but also the growth rate of the population in the various countries. But let’s take a closer look at the giants of the future, analyzing their prospects for rapid growth and the consequences this might have on world economic and financial balances.

THE ECONOMIES OF THE GIANTS OF THE FUTURE AND OF THE GIANTS OF TODAY IN 2002 Population (million)

Surface Area (000sq. km)

GDP (PPP) (billion $)

GDP (PPP) per Capita ($)

Average Annual Growth Rate (%) (1996-2002)

Growth (%) in 2003

China

1,281

9,598

5,625

4,390

8.1

9.1

Russia

144

17,075

1,127

7,820

2.7

7.3

India

1,048

3,287

2,691

2,570

5.6

7.4

Brazil

174

8,547

1,266

7,250

2.1

-0.2

US

288

9,629

10,110

35,060

3.9

3.4

EU (15)

378

3,210

9,514

25,169

2.5

1.1

EU (25)

451

3,959

10,147

22,499

2.6

1.7

Japan

127

378

3,315

26,070

1.0

1.7

Source: World Bank and IMF, 2004.

China China’s spectacular growth over the last decade has resulted in the country already being an economic giant. This has mainly been due to the way the nation has opened up to the world market. Without this openness, China would never have received such vast inflows of money and technology, and likewise it would never have conquered foreign markets with its own products, making such rapid growth possible. The medium-term expectations are for this exceptional growth to continue. Problems on the horizon that might jeopardize these expectations are, in order of priority: 1) a deep-reaching financial crisis and consequent collapse of China’s banking system as a result of massive bad debts weighing on banks; 2) a collapse in the infrastructure in rapidly growing coastal areas under the burden of huge inflows of immigrants from the poorest and slowest-growing inland areas; 3) socio-political instability, if the political system is slower to liberalize than the economy. If these problems are dealt with, China will continue its course, Shanghai will turn into one of the world’s most important financial centers, along with New York, London and Frankfurt, and the Chinese currency (the yuan or renminbi) might overtake the yen and become the third most important international currency after the dollar and euro. One thing for sure is that if China continues its unbridled growth, we might wonder what effect it will have on the world’s resources of raw materials. For instance, what will be the price of oil if there are as many motor cars per million inhabitants in China as in the United States, Europe or Japan? We might also wonder how China will take

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advantage of its new status as an economic and political superpower. History tells us that China has never been very aggressive in the past, so let’s hope this will not change in the future. China, today, certainly has a powerful economy. Its economic competitiveness on international markets is now legendary and a daunting prospect for other nations. So far at least, the country has also managed to withstand pressure from other big players to re-value the yuan (which seems to be about 3040% undervalued compared to the dollar). Meanwhile, it has also built up a large and growing trade surplus with the United States banking a huge amount of dollars that China could release onto the financial markets, destabilizing the dollar and eventually causing a worldwide economic crisis. Risks and opportunities arise whenever the world economic, financial and political balance is redressed. Russia Even after the collapse of the Soviet Union, Russia is still a huge nation in terms of its geographical land mass, population and economic potential. It could certainly become an economic giant in the future, thanks also to its immense natural (oil and minerals) and human (highly skilled labor force) resources. Nevertheless, to take advantage of this great potential, the nation must: 1) restructure its economy along market-oriented lines (in this respect, Russia is behind Hungary, the Czech Republic and Poland); 2) strengthen its democracy and the rule of law, without which its economy cannot grow; 3) improve its economic infrastructures that have been overlooked in the past, to the

extent that they are now on the verge of collapse. Russia’s rapid growth over recent years has been based too much on oil exports and high oil prices. Not enough attention has been paid to developing the rest of the economy, notably the manufacture and export of hightech goods and services. It is not an easy transition to make from a planned economy to a market economy in a huge country, where history has deprived the population of their entrepreneurial skills. Plenty has already been done, but more still remains if Russia is to maximize its great potential and take up its rightful position among the economic giants of the coming decade. At the moment the Russian GDP is about 70 percent of Italy’s and the GDP per capita only about a third. Even if there were to be rapid growth, it is unlikely that Russia will make any real impact on world economic-financial equilibrium over coming years, except perhaps in the base industrial sector and due to the price of oil. India Until about three or four decades ago, India floundered in poverty and squalor, with very little hope of fast growth or development. The introduction and spread of the “green revolution” made India selfsufficient in food production in the 1980s. Then, starting in the 1990s, India began to grow rapidly. Even though it is still a poor nation (its GDP per capita and standard of living are only just over half of those found in China), India seems to have found the path to economic growth. If India continues to progress at the same rate as in recent years, it will also find its place among the new economic giants. The interesting thing is that India’s growth is through new

software-related technology, no easy matter for a poor country. Yet there are now millions of people with notable technical skills in modern-day India. Hundreds of thousands are employed in the software industry, so that lots of big American and European firms have moved not only much of their data-processing and business consultancy services to India, notably the Bangalore area, but also their high-tech research establishments. Although India still has a long way to go before it gains the status of an economic superpower, it appears to have set off on a process of consistent growth that gives reason for optimism over its future. The effect this growth will have on global economies will probably reveal itself in the competitive international market in hightech products and services for the software industry and the outsourcing of business-financial services. Brazil Due to its huge land mass, high population and enormous wealth of natural resources, Brazil has always been seen as the nation of the future. Although its growth rate has been low over recent years and actually recorded negative growth in 2003, Brazil has a potential growth rate of 3.54%: the forecast for 2004 and 2005. To trigger off rapid, constant growth, the country must continue to show the same political stability as it has over the last few years. If this is the case and if, moreover, the country 1) restructures its economy and becomes more internationally competitive and efficient, 2) continues to invest at a notable rate and attract large amounts of foreign investment, 3) improves the literacy rate and the technical expertise of its

labor force, then Brazil will finally manage to express its great potential and achieve its desire to become one of the economic giants of the future. At the moment its GDP is about 85% of that of Italy and its standard of living about 30%. Brazil’s impact on world balances will mainly depend on its competitiveness in the base industrial and farming sectors, rather than finance and hightechnology. In conclusion, it would be right to say that China is already an economic giant and will soon be included in the group of leading industrialized nations. Russia, India and Brazil appear to be on the same path, although each in its own different way. All this will have notable consequences on economic, financial and political balances for the United States, European Union and Japan. The main challenge that the giants of today will be facing is industrial competition from China and competition in the service sector from India. Russia and Brazil will mainly influence the world’s base industries, with Russia also playing a key role on the oil market. It is to be hoped that all this will happen in a spirit of peace and co-operation for the good of all mankind.

* Dominick Salvatore is Distinguished Professor of Economics at Fordham University in New York and a consultant for the UN, IMF, World Bank, Economic Policy Institute of Washington and a number of banks and multinational companies. He has published 42 books and contributed over a hundred articles for economic journals. He was also President of the New York Academy of Sciences. Salvatore received many awards including the Ph.D. Alumni Achievement Award of CUNY; the Medal of the Italian Senate; and the Capalbio Economics, Guido Dorso, Frentano D’Oro, Pio Manzù Prizes. He has taught at various universities and he is a contributor for the Italian daily newspaper Il Sole 24 Ore.


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La crescita viene dall’Oriente Growth is coming from the East di Mario Deaglio* by Mario Deaglio*

La geografia dello sviluppo mostra un netto spostamento dall’Occidente ai Paesi asiatici A geographical analysis of economic development shows a clear shift from the West toward Asian countries

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Mario Deaglio

A

ll’inizio dell’anno è costume fare almeno un buon proposito. Ebbene, per gli operatori economici italiani il “buon proposito” per il 2005 dovrebbe essere quello di prendere finalmente atto che la geografia economica del mondo è cambiata. Dopo lunghi decenni in cui l’importanza produttiva dei diversi Paesi era rimasta sostanzialmente invariata, il vento del mutamento ha cominciato a soffiare una quindicina di anni fa e non si è ancora fermato. Sembra anzi esser diventato ancora più vorticoso negli ultimi tempi. Questo cambiamento emerge dalla Figura 1, che mette a confronto le quote della produzione mondiale nel 1985 (ultimo anno di “normalità”, con un’Unione Sovietica ancora forte e un mercato finanziario mondiale non ancora pienamente avviato) con la situazione del 2003. In questo periodo, assai breve dal punto di vista delle analisi strutturali, il blocco sovietico si è liquefatto e, a seguito della grave crisi conseguente a questa liquefazione, i Paesi di quell’area hanno visto ridursi di oltre un terzo la propria quota sul prodotto mondiale (dal 15

per cento al 9,5 per cento). Anche il Giappone (in figura compreso tra i “Paesi ricchi”) ha perso duramente punti in questa classifica, fino alla recente, per certi versi sorprendente, ripresa congiunturale. Un calo molto moderato registrano anche Europa, America Settentrionale e America Latina. Le minuscole quote dell’Africa sub-sahariana si sono ridotte di oltre un quarto. Le quote di produzione perse da tutte queste aree sono state guadagnate dall’Asia Meridionale e Orientale (ossia Cina, India e “tigri asiatiche”) la quale sta mettendo a segno un’espansione produttiva che non ha precedenti nella storia e che pare destinata a continuare nel corso del 2005. Una stima preliminare (che potrà variare solo in maniera limitata quando si conosceranno i dati definitivi) mostra che nel 2004 il mondo è cresciuto a un tasso prossimo al 4,5 per cento; una bella crescita, non c’è che dire, che ha aggiunto al totale mondiale una produzione pari a quella complessiva di Gran Bretagna e Irlanda. Ebbene, più di metà di questa crescita si è verificata nella zona compresa tra India, Cina,

Giappone e “tigri asiatiche”. Questi Paesi asiatici realizzano il 55,5 per cento della crescita mondiale (Tabella 1) il che rappresenta all’incirca il doppio del loro peso sulla produzione mondiale. L’Europa Occidentale contribuisce appena per il 7,7 per cento alla crescita mondiale e anche gli Stati Uniti contribuiscono relativamente poco (il 17,7 per cento): il contributo complessivo alla crescita di queste due aree è pari a circa la metà del loro peso economico e risulta pertanto difficile considerarli ancora come il vero “motore” del mondo. Questa situazione si ripete ormai dall’inizio del XXI secolo e fa supporre un mutamento epocale: è la prima volta, almeno dal periodo napoleonico, che la quota maggiore della crescita del pianeta viene realizzata al di fuori dell’area dell’Atlantico Settentrionale, è la prima volta che America Settentrionale e Europa Occidentale non sono più i primi attori. E rischiano di diventare poco più che comparse. Non si vogliono naturalmente dare giudizi di valore su un simile cambiamento nella natura della crescita, la cui rapidità e intensità sconvolge schemi di pensiero consolidati,

come quello di una globalizzazione “ordinata”, tipo anni Novanta, che si espande in tutte le direzioni e ha il suo centro negli Stati Uniti. Siamo invece in presenza di una globalizzazione “disordinata”, con aggregazioni “a isole”: nel corso del 2002-2003, il commercio estero giapponese con l’area cinese (Cina, Hong Kong, Taiwan e Corea del Sud) ha superato in valore gli analoghi movimenti verso gli Stati Uniti; anche le “tigri asiatiche” presentano un analogo orientamento. Si è determinata così la nascita di una gigantesca “isola asiatica” nell’economia mondiale. Del resto, grazie al Trattato Nafta, che ha creato una gigantesca area di libero scambio nell’America Settentrionale, oltre il 40 per cento delle esportazioni degli Stati Uniti si dirige verso il Messico e il Canada, mentre una decina d’anni addietro la percentuale era pari a circa il 25 per cento. Questi due Paesi, a loro volta, presentano un’economia sempre più integrata con quella del loro potente vicino e la quota delle loro esportazioni che si dirige verso il resto del mondo è inferiore a quella di dieci anni fa. L’analisi dei flussi

Figura 1: QUOTE DEL PRODOTTO LORDO MONDIALE su valori a parità di potere d'acquisto

9,5% 2,7% 8,3%

15,0% 3,1% 9,1%

24,0%

12,8%

Paesi ex-socialisti e altri Africa sub-sahariana America latina Cina + India + "Tigri Asiatiche"

60,0%

1985

55,5%

2003

Paesi ricchi


commerciali europei, Russia compresa, mostra inoltre che circa i tre quarti delle esportazioni di questi Paesi rimane nell’ambito europeo; anche qui ci troviamo in presenza di un’”isola”, peraltro di vecchia data. Gli operatori italiani si troveranno pertanto a lavorare in un mondo di “isole economiche”, dove alcuni flussi economico-finanziari (la finanza, il petrolio, molte materie prime, alcuni settori economici avanzati) manterranno una portata globale mentre altri (in particolare quelli che riguardano i beni di consumo durevole, come auto ed elettrodomestici) avranno un carattere spiccatamente “insulare”. Il guaio è che queste isole si collocano non già in un mare tranquillo, bensì in acque congiunturali molto agitate. Gran parte di quest’agitazione deriva da fattori non economici, come il conflitto iracheno che fa aumentare la spesa pubblica americana e riduce la quantità di petrolio che è possibile estrarre, rendendo particolarmente difficile qualsiasi esercizio previsivo per l’economia del 2005. Per questo, se un consiglio può essere tranquillamente dato ai lettori, è di diffidare di previsioni troppo sicure e troppo precise. Anche così è possibile fornire qualche indicazione ragionevole sull’economia del 2005. La prima è quella di un “indurimento” della politica economica americana dopo le elezioni presidenziali. I primi sei mesi di una presidenza sono il periodo ideale per introdurre tutte le innovazioni “spiacevoli”; aspettiamoci quindi un’accelerazione nell’aumento del costo del denaro e un rallentamento della crescita in quel Paese.

Tale rallentamento potrebbe largamente dipendere da un declino dell’attività dell’industria delle costruzioni, assai sensibile alle variazioni del costo del denaro. E ricordiamoci che gli Stati Uniti devono correre per restare fermi: la loro popolazione (immigrazione clandestina compresa) cresce dell’1,8-2 per cento l’anno; se la crescita della produzione, o anche solo del reddito disponibile alle famiglie, dovesse scendere sotto questi livelli non si può escludere che compaiano segni di tensione sociale ed etnica. Dal canto suo, l’Unione europea, forte del proprio allargamento, dovrebbe mostrare una modesta tendenza alla crescita produttiva pur in presenza di un grosso “nodo” tedesco. L’effetto congiunto, psicologico ed economico, dell’ingresso di dieci nuovi Paesi con quasi cento milioni di abitanti dovrebbe ripercuotersi in un aumento di domanda; tale aumento non sarà sostenibile nel tempo se non si risolveranno i problemi relativi al Patto di Stabilità ma dovrebbe, in ogni caso, risultare sensibile (2-2,5 per cento) nel corso del 2005: la tartaruga-Europa potrebbe così, sia pur brevemente, superare l’Achille-Stati Uniti nella gara della crescita. E la modesta marea della crescita in Europa dovrebbe far salire tutte le barche, anche quella un po’ vecchiotta dell’economia italiana. Per le cose dette sopra, però, la vera partita mondiale non si giocherà più qui. Il clima economico mondiale dipenderà dalla capacità della Cina di far rallentare dolcemente la propria economia senza innescare una crisi (secondo stime attendibili, se la crescita cinese scende sotto il 7,5 per cento è difficile ricollocare nel settore privato i

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lavoratori espulsi dal settore pubblico nel tentativo di recuperare efficienza e potrebbero facilmente innescarsi tensioni sociali e politiche). È proprio in Cina che si gioca il vero futuro dell’economia mondiale, oltre che – in maniera indiretta – nelle città irachene sconvolte dagli attentati, in un mondo del petrolio che aspetta un segnale di certezza, su un mercato finanziario mondiale che ha enormi potenzialità, ma non sa bene dove andare.

* Mario Deaglio ama definirsi un “liberale anomalo”. Svolge parallelamente due attività complementari, nell’università (a Torino, dove è ordinario di Economia internazionale) e nel giornalismo economico. Come giornalista ha collaborato con The Economist e con il Secolo XIX, per arrivare alla Stampa, di cui è editorialista. Ha diretto per tre anni Il Sole 24 Ore. Si occupa prevalentemente dei problemi strutturali del capitalismo moderno. È autore di molti volumi, tra cui Come cambia il capitalismo (1982), Economia sommersa e analisi economica (1985), Liberista? Liberale. Un progetto per l’Italia del Duemila (1996), La fine dell’euforia (2001) e il recentissimo Post-Global (2004).

Tabella 1: DA DOVE È VENUTA LA CRESCITA NEL 2004 Cina + India + “Tigri Asiatiche”

44,5%

Giappone

10,5%

Totale Asia meridionale e orientale

55,0%

America latina Africa sub-sahariana Paesi ex-socialisti e altri

7,5% 1,5% 10,8%

Totale altri paesi emergenti

19,8%

Stati Uniti

17,7%

Unione europea Totale “Area atlantica”

7,4% 25,1%


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I

t is customary to make a new year’s resolution at the start of the year. Well, Italian businessmen’s “new year’s resolution” ought to be to realize finally that the geography of world economics has changed. After decades in which there has been almost no change in the status of the various nations in terms of production, the wind of change that started blowing about fifteen years ago, has yet to stop. Indeed, it seems to have recently blown up into a gale. This change is displayed in Figure 1 that compares the share of global GDP in 1985 (the last year of “normality” when the Soviet Union was still strong and the world financial market was not yet in full swing) with the situation in 2003. During this period, quite short in terms of any real structural analysis, the Soviet block crumbled. In the wake of the crisis that ensued, the nations in this region saw their shares in world GDP drop by over a third (from 15% to 9.5%). Even Japan (included in the “wealthy nations” in the Figure 1) lost plenty of ground until its recent, and in some respects surprising, cyclic recovery. There have also been slight declines in Europe, North America and Latin America.

Even the tiny share of SubSaharan Africa has actually fallen by over a quarter. The drop in production in all these areas has been compensated for by increases in Southern and Eastern Asia (namely China, India and the “Asian tigers”), that is undergoing a period of unprecedented expansion and which seems destined to continue throughout 2005. A preliminary estimate, which should be close to the final figures, shows that world growth in 2004 is close to 4.5%; good growth, there is no doubt about it, which has added the equivalent of Great Britain and Ireland’s production to the overall world total. In fact, over half of this growth has come from the area encompassing India, China, Japan, and the “Asian tigers.” These Asian countries account for 55.5% of world growth (Table 1), which means a doubling of their share of world production. Western Europe contributes just 7.7 percent to world growth and even the United States contributes relatively little (17.7 percent): the overall contribution to growth by these two areas is equivalent to about half their economic relevance, so it is still hard to see them as the

Figure 1: SHARE OF GLOBAL GDP on a purchasing-power-parity basis

9.5% 2.7% 8.3%

15.0% 3.1% 9.1%

24.0%

12.8%

Former Socialist Nations and Others Sub-Saharan Africa Latin America China + India + "Asian Tigers"

60.0%

1985

55.5%

2003

Wealthy Nations

“driving force” behind the world economy. This situation has been developing steadily since the start of the 21st century and suggests époquemaking changes lie ahead: it is the first time—at least since the Napoleonic age—that most of the planet’s growth has come from outside the North Atlantic region, and it is also the first time that North America and Western Europe are no longer the leading players. Moreover, there is a danger of them becoming nothing more than extras on the world stage. Of course, the idea is not to pass judgment on this kind of change in the nature of growth, whose sheer speed and intensity are seriously questioning well-established schools of thought, such as the idea of 1990s-style “orderly” globalization, expanding in all directions and centered on the United States. We are actually faced with “disorderly” globalization grouped into “islands”: in 2002-2003 Japanese foreign trade with the Chinese region (China, Hong Kong, Taiwan and South Korea) was higher than similar ventures with the United States; and the “Asian tigers” are showing similar trends. This has resulted in the creation of a huge “Asian island” in the world economy. Nevertheless, due to the NAFTA Treaty, which created a vast area of free trade in North America, over 40 percent of United States’ exports are to Mexico and Canada, whereas about ten years ago the percentage was equal to about 25 percent. In turn, the economies of these two countries are closely integrated with that of their powerful neighbor and the share of their exports heading for the rest of the world is less than that of ten years ago. An analysis of European trade flows, Russia

included, also shows that about three quarters of the exports from these countries stay in Europe; here again we are dealing with an “island,” indeed a very old one. This all means that Italian businessmen are working in a world of “economic islands,” where certain economicfinancial flows (finance, oil, some raw materials, certain advanced economic sectors) will hold onto their global status, while others (notably those involving consumer durables, such as cars and home electrical appliances) will be distinctly “insular.” The trouble is that these islands are not out in calm seas, but in extremely rough economic waters. Much of this upheaval is due to non-economic factors, such as the war in Iraq that is pushing up American public spending and reducing the amount of oil that can be extracted, making it particularly difficult to make any financial forecasts for 2005. If some advice can be given to readers, it would be to mistrust any over-confident forecasts. Despite everything, it is still possible to provide some reasonable indications about the economic situation in 2005. The first is that American economic policy will “toughen up” after the presidential elections. The first six months in office of a president are an ideal time to introduce “unpleasant” innovations; we can expect an acceleration in the cost of borrowing and a slowing down in the country’s growth rate. This slowing down might largely depend on a decline in the building industry that is sensitive to variations in the lending rate. Moreover, let’s not forget that the United States needs to run just to maintain a balance. Their population (including illegal immigration) increases by 1.82.0 percent every year. If the


increase in production or the household disposable income should drop below these levels, then the appearance of socialethnic unrest may be a likely prospect. For its part, the new enlarged European Union should show some signs of slight production growth, despite a question mark over Germany. The combined psychological and economic effect of ten new countries entering the Union, corresponding to almost one hundred million inhabitants, should result in an increase in demand. This kind of increase cannot be sustainable over time, unless problems associated with the Stability Pact are solved. However, the increase ought to turn out to be quite noticeable (2-2.5 percent) during the course of 2005: Europe “the tortoise” might at least for a short while overtake United States “Achilles” in the growth race. In addition, the gentle swell in European growth should help set all the ships sailing, even the rather old-fashioned Italian economy. So, to conclude, the real world game will no longer be played here. The world economic climate will depend on China’s ability to gently slow its own economy down without triggering off a crisis. According to authoritative estimates, if

Chinese growth drops below 7.5%, it will be hard to relocate those workers ejected from the public sector in an attempt to regain efficiency, and this might easily trigger social and political unrest. The real future of the world economy will be played out in China and, indirectly, in the cities of Iraq recently battered by bomb attacks. This is a world reliant on oil that is waiting for a positive sign from the global financial markets that have enormous potential but not sure which direction to take.

* Mario Deaglio likes to describe himself as an “abnormal liberal.” He teaches International Economics at the University of Turin and is actively involved in economic journalism. His career as a journalist has seen him contribute to The Economist, Secolo XIX and as a writer of lead articles for La Stampa. He directed Il Sole 24 Ore for three years. His interest centers on the structural problems besetting modern capitalism. He is the author of many publications, including How Capitalism is Changing (1982), The Underground Economy and Economic Analysis (1985), Liberalist? Liberal. A Project for Italy in the New Millennium (1996), The End of Euphoria (2001) and the very recent Post-Global (2004).

Table 1: WHERE GROWTH CAME FROM IN 2004 China + India + “Asian Tigers”

44.5%

Japan

10.5%

Total for Southern and Eastern Asia

55.0%

Latin America Sub-Saharan Africa Former Socialist Nations and Others

7.5% 1.5% 10.8%

Total of Other Emerging Countries

19.8%

United States

17.7%

European Union Total for the “Atlantic Area”

7.4% 25.1%

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Le materie della crescita The Materials of Growth di Luigi Passamonti* by Luigi Passamonti*

Un circolo virtuoso tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo Toward a virtuous circle between developed and developing countries

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Luigi Passamonti

I

prezzi dell’energia (compreso quelli del vecchio carbone) sono raddoppiati negli ultimi cinque anni. Esaminando in particolare il trend dello scorso anno, emerge inoltre che anche i prezzi di diversi minerali non petroliferi hanno registrato impennate: il piombo è cresciuto del 79%, rame e uranio del 62%, zinco e ferro del 20%. Il pensiero degli analisti e del mercato corre alla stagflazione economica degli anni Settanta innescata dall’andamento delle commodities. Il timore è quello di un possibile contagio dell’incremento dei prezzi che potrebbe diffondersi da un ristretto numero di materie prime a una più ampia gamma di prodotti: il conseguente inasprimento della politica monetaria porterebbe come effetto il rallentamento della crescita. In un mondo in cui le enormi disuguaglianze in termini di reddito e opportunità possono essere ridotte nel tempo solo in un contesto di pace e stabilità, le potenziali minacce a una crescita economica sostenuta sono oggetto di immediate preoccupazioni che vanno ben oltre la sfera economica. Se la crescita della Cina si dovesse arrestare a causa del

rallentamento dell’export legato al recente aumento dei prezzi delle materie prime, quale sarebbe l’impatto sul surplus di 150 milioni di lavoratori rurali in un momento in cui il governo sta mettendo a punto un programma per offrire ai giovani 12 milioni di nuovi posti di lavoro l’anno? Come potrebbe presumibilmente evolvere la situazione politica in India e Pakistan se dovessero riemergere i mali del passato decennio, crescita stagnante e difficoltà nella bilancia dei pagamenti? E in Africa, si può seriamente pensare a un rafforzamento delle regole di buon governo, prerequisito fondamentale per uno sviluppo sostenuto, in caso di ulteriore affievolimento dei redditi pro capite? L’inizio del XXI secolo è testimone dell’importante ruolo dato alla crescita economica come obiettivo comune che lega i Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, nonostante le diverse condizioni. I primi hanno bisogno della crescita per contrastare le conseguenze finanziarie legate alla loro pesante contrazione demografica, mentre i secondi perseguono la crescita per migliorare le condizioni di vita

dei propri quattro miliardi di abitanti. Qualsiasi granello di sabbia che possa inceppare l’ingranaggio della fragile macchina della crescita è guardato con grande preoccupazione. Si teme che i benefici della crescita possano essere di breve durata. Cosa la fermerà? Cosa si può fare per evitare che si fermi? Il recente picco nei prezzi delle materie base rivela come i produttori e gli intermediari non siano riusciti a prevedere con esattezza la forza della domanda mondiale dopo il rallentamento del 2000-2001. E restano ancora molte incertezze su come si evolverà la domanda nel prossimo futuro e se le esistenti infrastrutture di produzione e distribuzione saranno in grado di reggere pressioni non preventivate. Secondo le previsioni elaborate da Prometeia, i prezzi delle materie prime potrebbero subire una correzione al ribasso a partire dal 2006. L’analisi della Banca Mondiale stima che l’andamento delle quotazioni sarà stabile nel 2005. Dobbiamo comunque ricordare che l’attuale livello dei prezzi non è senza precedenti, in quanto è stato raggiunto già altre due volte nell’ultimo decennio: nel 1990 e nel 1995. In realtà, la vera anomalia è stata il basso livello toccato nel 2000-2001. C’è da dire, inoltre, che questo andamento delle materie prime va valutato in una prospettiva più ampia. Il mercato mondiale dei prodotti minerari ammonta al 13% degli scambi totali – e quello delle materie prime non petrolifere è solo del 3%. Per di più l’influenza di queste ultime, in termini di Pil mondiale, è piuttosto marginale: meno dell’1%. La vera novità è rappresentata dalla domanda apparentemente insaziabile della Cina, il più grande e con il più alto trend di

crescita fra gli importatori di prodotti minerali “non oil”. Le sue importazioni sono aumentate del 50%, da 15 miliardi di dollari nel 2001 a 23 miliardi di dollari nel 2003, superando per la prima volta quelle degli Usa, che in realtà nello stesso periodo si sono leggermente contratte (mentre quelle dell’Europa sono cresciute di poco). Le importazioni della Cina ammontano già al 15% del volume mondiale dell’import di minerali non petroliferi. Tuttavia, si deve aggiungere che le importazioni di petrolio della Cina sono minime se paragonate a quelle degli Usa e della Ue-15 (rispettivamente meno del 20% e circa l’11%). E il consolidamento della crescita cinese è attualmente in corso, anche se resta da delinearne un tasso sostenibile tale da non creare evidenti squilibri, come nell’attuale situazione, dove la metà della domanda interna deriva da attività di investimento. Un soft landing è importante non solo per la popolazione cinese, ma per tutto il network commerciale – fornitori asiatici e clienti americani (ed europei) – che si è affidato e trae benefici dalla capacità produttiva cinese. Probabilmente, in questo ciclo economico il peggio è passato. Nel lungo termine, si possono individuare due opposte tendenze. Da un lato, con lo sviluppo e la creazione di occupazione principalmente realizzati al di fuori del settore manifatturiero, l’impatto dei mercati e delle materie prime sulla crescita in futuro diminuirà. Il settore dei servizi, che offre le maggiori potenzialità in termini di diversificazione delle conoscenze, miglioramenti della produttività e guadagni derivati dall’integrazione internazionale, rafforzerà il proprio contributo all’attività economica mondiale.


Tra le grandi economie, il cammino della Cina ha segnato il passo in questa evoluzione: il suo settore servizi non rappresenta che la metà della relativa quota di Pil registrata negli altri Paesi industrializzati (con l’India già a metà strada) e, dunque, ci si può solo aspettare che aumenti. Parallelamente, il considerevole progresso delle analisi di politica economica e lo sviluppo registrato negli ultimi due decenni offrono una ragionevole speranza sulla effettiva capacità dello Stato di intervenire puntualmente e con giudizio per proteggere da shock esterni l’attività economica, l’occupazione e i redditi. La prudenza di bilancio fiscale, così come stabilita dal dibattuto Patto di Crescita e Stabilità dell’Unione europea, è una preziosa “polizza assicurativa” per eventuali future avversità. Così come lo sono le misure relative al miglioramento della flessibilità strutturale del sistema economico e che riguardano il mercato del lavoro, l’antitrust, l’efficacia del settore finanziario, l’efficienza amministrativa. Nell’altro scenario, al contrario, possiamo immaginare che non diminuisca la probabilità (e la vastità) di una eventuale crisi del settore commodities. Il fatto è che la maggior parte della crescita di disponibilità di materie prime proverrà da zone non solo con costi elevati, ma anche politicamente rischiose. Russia, Nigeria, Angola, Venezuela, Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Sudan, Papua Nuova Guinea, l’area del Golfo, Zambia: il mondo ha bisogno che questi Paesi mantengano i loro flussi di esportazioni a prezzi ragionevoli e senza improvvisi sconvolgimenti. In questi problematici Paesi sono indispensabili costanti investimenti nonostante il loro

alto rischio politico. Un miglioramento delle funzioni governative, politiche sociali più efficaci, un clima economico più favorevole, attraverso interventi spesso sostenuti da istituzioni internazionali come il Fmi e la Banca Mondiale, mirano a ridurre il potenziale rischio-Paese allo scopo di attirarvi nuovi investimenti. Ma i governi di questi Paesi hanno anche bisogno di avere un proprio posto al tavolo del benessere mondiale. Perché i loro interessi dovrebbero essere dissimili dai nostri? Temi quali l’accesso dei prodotti di questi Paesi ai mercati internazionali, la correttezza degli interventi degli investitori stranieri, la loro consultazione nella valutazione degli impatti domestici dei trend internazionali, sono solo alcuni esempi concreti di come tale interdipendenza debba essere affrontata. Il rischio di una divergenza di interessi, specie se ingenerata dai produttori, potrebbe avere per il mondo un prezzo troppo alto da pagare. La crescita è frutto di un’ampia gamma di azioni decentralizzate da parte di aziende dei più svariati settori, che comportano un maggior valore globale della produzione netta rispetto a quello registrato in periodi precedenti. Pur essendo decentralizzate, tuttavia, queste azioni sono correlate, perché i prodotti venduti da un’azienda sono acquistati da un’altra. E con l’aumento della globalizzazione dei mercati e degli investimenti, le decisioni prese da aziende in un continente influiscono sulle decisioni prese da altre aziende in altri continenti. La crescita richiede perciò un alto grado di sincronizzazione delle decisioni prese da un’ampia cerchia di soggetti indipendenti e implica anche la mobilità di capitali e lavoro da attività in perdita ad altre nuove e più promettenti

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iniziative. La capacità di crescita dipende inoltre da un alto grado di prevedibilità del rapporto causa/effetto, specialmente quando è filtrata attraverso le responsabilità delle istituzioni. Se accettare un assegno scoperto da un nuovo cliente porta a due anni di procedimenti giudiziari, il fornitore non avrà forti incentivi ad aumentare la produzione e contribuire così alla crescita. L’intricato reticolo di mercati e di investimenti, configurato dalle politiche pubbliche, che collega milioni di imprenditori

alla ricerca di nuove opportunità di crescita è una struttura sostanzialmente fragile. Quindi è quasi un miracolo quando la crescita produce, mese dopo mese, anno dopo anno, i suoi frutti, consentendo più alti ricavi e offrendo maggiori e migliori opportunità di lavoro. Ma la crescita è anche una necessità, perché solo la pace e la stabilità che nascono da una crescita sostenuta e diffusa sul territorio possono dare a ogni Paese e a ogni individuo una possibilità di concreta partecipazione a un


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futuro migliore. È indispensabile comprendere che la prosperità di cui godiamo in Europa dipende dal nostro instancabile impegno al rafforzamento del tessuto della crescita, sia domestica che all’estero – anche nei Paesi più remoti e problematici. Rendersi conto dell’impatto che un problema di fornitura in una nazione lontana può avere sul motore della crescita mondiale, in virtù del reciproco rafforzamento di canali reali e psicologici, può servire almeno a ricordare come il mondo dovrebbe essere governato da qui in avanti. La salvaguardia dei nostri attuali standard di vita richiederà una comprensione sempre più profonda dei legami internazionali, una rinnovata capacità di operare in situazioni difficili con alleanze tra partner stranieri e, soprattutto, un forte impegno a rafforzare le fondamenta della crescita sostenibile ovunque nel mondo.

* Luigi Passamonti è senior advisor del vicepresidente per il settore finanziario della Banca Mondiale. Tra i suoi incarichi attuali, vi è quello di promuovere e rafforzare la corporate governance nell’ambito delle istituzioni finanziarie. Nell’Europa Sud-Orientale è attivamente impegnato nella gestione del progetto “Convergenza”, un’iniziativa nata per rafforzare il processo consultivo tra governi e istituzioni finanziarie per la riforma del settore finanziario. Era stato assistente del presidente della Banca Mondiale (1997-1999) e sempre nel Gruppo Banca Mondiale aveva iniziato la propria carriera con l’incarico di avviare e gestire investimenti in istituti finanziari nell’Africa sub-sahariana. Ha rappresentato la International Finance Corporation nel consiglio di diversi istituti finanziari, dove ha giocato un ruolo chiave tra azionisti stranieri e locali. Precedentemente ha ricoperto varie e importanti posizioni nel settore bancario; negli anni Ottanta è stato responsabile delle attività di investment banking in Italia per la J.P. Morgan; ha lavorato come consulente strategico del Boston Consulting Group di Parigi per vari istituti finanziari europei e nel periodo 1990-1992 è stato direttore generale di Basinvest Merchant Bank.

E

nergy prices (including the old-fashioned coal) have doubled over the last 5 years. Particularly in the last year, also several non-oil mineral prices have risen fast: lead (+79%), copper and uranium (+62%), zinc and iron (+20%). Analysts and public opinion are revisiting memories of the commodity-led economic stagflation of the 1970s. They worry about a price contagion that would spread from selected commodities to a broader range of products. The ensuing monetary policy tightening would slow down growth. In a world where large inequalities of revenues and opportunities can only be reduced over time in a context of peace and stability, potential threats to sustained economic growth raise immediate concerns that reverberate beyond the economic sphere. If China’s growth were to stall, because its export performance may be affected by the return effect of the recent commodity price surge, what impact would it have on its 150 million surplus rural workers at a time when its leadership is struggling to find 12 million new jobs annually for its young people? How predictably could the political situation in India and Pakistan evolve if the woes of a decade ago, sluggish growth and balance of payment

difficulties, would surface again? And in Africa, could we seriously think that political governance, a pre-requisite for sustained development, will strengthen when per capita income shrinks? The beginning of the 21st century is witnessing the elevation of economic growth as a unifying objective linking industrialized countries to developing countries, despite different conditions. The former need growth to fund the financial consequences of their impending major demographic contraction, while the latter pursue growth to improve life conditions of their 4 billion people. Any grain of sand that could grind to halt the fragile growth engine is looked upon with considerable worry. The benefits of growth are feared to be elusive. What will make growth stop? What can be done to prevent it from stopping? The recent commodity price spike suggests that suppliers and intermediaries have not fully anticipated the strength of world demand coming out of the 2000-2001 slowdown. They are left uncertain as to how demand will evolve in the near future and whether the existing production and distribution infrastructure will be able to cope with unanticipated pressures. Prometeia, the Italian

economic think-tank, projects a possible technical downward correction in commodity prices starting in 2006. The World Bank conjectures that the price level will be stable in 2005. We need to remind ourselves that the present price levels are not unprecedented. They have been reached already twice in the last decade: in 1990 and 1995. Rather, the anomaly has been the depressed level reached in 2000-2001. Also, these commodity trends must be assessed in a broader perspective. World trade in mining products accounts for 13% of total trade—and the non-oil component for only 3%. And in terms of world GDP, the influence of the latter is quite marginal: less than 1%. What is new is the seemingly insatiable demand by China, the largest and also fastest growing importer of non-oil mineral products. Its imports grew 50% from $15 billion in 2001 to $23 billion in 2003, exceeding for the first time those of the US that actually slightly contracted during this period (while Europe’s barely grew). China’s imports account already for 15% of the world’s total non-oil mineral import volume. However, it must be added that China’s oil imports are tiny when compared to the US and the EU-15 (less than 20% and about 11% of their respective levels). And the consolidation of China’s growth is in full train. It has to settle at a rate that may not create obvious imbalances, as is currently the case with over half domestic demand coming from investment activity. The soft landing is important not only for the Chinese citizens but also for the global trade network that has come to rely on and benefit from China’s processing abilities: its Asian suppliers and its US (and European) clients. Probably the worst is past us in


this economic cycle. Over the longer term, we can detect two opposite trends. On one hand, with growth and jobs being mostly created outside the manufacturing sector, the relative impact of markets and resources on growth will decline in the future. The service sector will strengthen its contribution to world economic activity. It offers the biggest potential for knowledge differentiation, productivity improvements and gains from international integration. Among the large economies, China lags noticeably in this trend. Its service sector represents only half the GDP share as that in advanced industrialized economies (with India already half-way)—and, thus, can only be expected to increase. In parallel, the considerable progress made in economic policy analysis and implementation registered over the last two decades gives us considerable hope that the public hand will be able to intervene timely and judiciously to help shield economic activity, jobs and personal revenues from external shocks. Fiscal prudence, as codified by the much-debated EU Stability and Growth Pact, is a precious insurance policy for possible future rainy days. As are the measures being taken to improve the structural flexibility

of the economy: labor market, anti-trust, financial sector effectiveness, administrative efficiency. On the other hand, however, the likelihood (and magnitude) of a potential commodity crisis is not receding. The reality is that most of the growth in commodity supply will come from sources that not only are economically expensive but also politically risky. Russia, Nigeria, Angola, Venezuela, Democratic Republic of Congo, Chad, Sudan, Papua New Guinea, the Gulf area, Zambia: the world needs that these countries keep their exports flowing at reasonable prices without disruption. Continued investment in new capacity is indispensable in these difficult countries, despite their high political risks. Improvements in government functions, better social policies, more effective business climate, often promoted by international institutions such as the IMF and the World Bank, aim at mitigating the country risk so as to attract new investments. But their governments need also to have a stake in the world’s prosperity. Their self-interest should be aligned with ours. Issues of access of their products to international markets, of fair-play of foreign investors in their country, of consultation with them on the impact of international trends

on their domestic situation: these are a few concrete examples of how this interdependence should be governed. The risk of divergence of interests, especially if coordinated on the producers’ side, may prove too costly for the world. Growth is the outcome of a large number of decentralized actions by firms across all economic sectors that result in an overall higher value of net production than what was observed in a prior period. And yet, while being decentralized, these actions are also interrelated because products sold by one firm are purchased by another. And with increased openness to international trade and investment, decisions made by firms in one continent affect the decisions of firms in other continents. Growth requires thus a high degree of synchronization of decisions across a very large number of independent decision-makers. Growth also entails mobility of capital and labor from lossmaking activities to more promising new activities. Growth relies on a high degree of predictability of cause to effect, especially when filtered through the functioning of institutions. If collecting a bounced check from a new client takes two years of judicial proceedings, the supplier will not have strong incentives to scale up production—and thus contribute to growth. The gridlock of trade and investment links shaped by public policies that connects millions of entrepreneurs in the pursuit of growth opportunities is in essence a fragile fabric. It is thus almost a miracle when growth delivers, month after month, year after year, its fruits of higher incomes and more and better jobs. But growth is also a necessity because only peace and stability that come

with sustained and broad-based growth can give every nation and every individual a concrete stake in a better future. And yes, we need to realize that our own prosperity in Europe depends on our relentless work to strengthen the fabric of growth, both at home and abroad—even in remote and controversial countries. The recognition of the impact that a supply problem in a remote country could have on the world growth engine, through mutually reinforcing real and psychological channels, is only a small reminder of how the world should be governed going forward. Safeguarding our present living standards will require an ever keener understanding of global linkages, a renewed ability to operate in difficult environments in alliances with foreign partners and, above all, a strong commitment to strengthen the foundations of sustainable growth everywhere in the world. * Luigi Passamonti is the Senior Advisor to the Financial Sector Vice President at the World Bank. Among his current responsibilities, he is promoting stronger corporate governance in financial institutions. He is also active in South-Eastern Europe where he manages an initiative (“Convergence”) to strengthen the consultation process between governments and financial institutions on financial sector reform. Prior to the present position, he was the Assistant to the President of the World Bank in 1997-1999. He started his career in the World Bank Group with a responsibility to originate and manage investments in financial institutions in Sub-Saharan Africa. He represented the International Finance Corporation on the board of several financial institutions where he played a key role between foreign and local shareholders. Before his official activities, Mr. Passamonti has had a number of senior positions in banking. He was responsible for J.P. Morgan’s investment banking activities in Italy in the 1980s. He then practiced strategy consultancy for European financial institutions with the Boston Consulting Group in Paris. He was General Manager of Basinvest Merchant Bank in 1990-1992.

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Una nuova Europa per il nuovo Mondo A New Europe for the New World di Norbert Walter* by Norbert Walter*

Come il potenziale economico deve tradursi in una maggiore influenza politica Will the new economic potential translate into more political influence?

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Norbert Walter

N

el mese di maggio 2004 dieci nuovi Stati sono entrati a far parte dell’Unione europea. Si tratta di un sostanziale allargamento che ne ha portato la popolazione a 450 milioni di persone, con un aumento del 20%. Altri quattro Paesi candidati sono già in attesa di entrare. Via via che si ingrandisce, l’Unione europea aumenta il proprio potenziale economico e politico ma, allo stesso tempo, diventa sempre più eterogenea. Ne è un esempio significativo il consistente divario di reddito che esiste tra vecchi Stati membri e nuovi, con questi ultimi che – come positivo corollario – mantengono inalterato l’impegno a compiere ogni sforzo per uniformarsi ai criteri richiesti dall’Unione. Se il crescente potere economico della Ue riuscirà a trasformarsi in una maggiore influenza politica sulla scena internazionale, ciò dipenderà soprattutto dalla capacità di tutti gli Stati membri di unire le proprie forze e parlare con un’unica voce. Occorre dunque garantire che la Ue mantenga una capacità d’azione unitaria, seppure con un maggior numero di membri. In questo

senso è di cruciale importanza l’introduzione del sistema di voto a doppia maggioranza (55% degli Stati e 65% della popolazione). La ratifica della Costituzione europea, che ne garantirà l’entrata in vigore, è però lungi dall’essere certa in quanto restano ancora delle consistenti sacche di euroscetticismo in molti Paesi tra quelli chiamati al referendum. Gli Stati Uniti, in quanto unica superpotenza rimasta, restano per l’Unione un modello di riferimento. Le sfide che l’Europa deve affrontare non vengono però soltanto da oltreoceano ma anche da un’Asia in rapida crescita, e in particolare dalla Cina. La Cina è attualmente le sesta potenza economica del mondo in termini di Pil, davanti anche all’Italia. L’Europa potrebbe essere certo più ricca e più competitiva se esistessero gli Stati Uniti d’Europa, ma non è questo il caso e dubito che possa esserlo in futuro. Resta pertanto il fatto che l’Unione europea dovrà lavorare ancora a fondo per coordinare al meglio le proprie politiche comunitarie affinché possa accrescere il suo effettivo potere negoziale con il resto del mondo. Nel settore della politica monetaria la Ue ha

optato per la più rigorosa forma di coordinamento: la creazione di un organismo sovranazionale e indipendente, dando vita alla Banca Centrale Europea (Bce). La Bce e l’euro sono la dimostrazione di quanto possa essere realizzato da un’Europa che marci compatta. L’euro è già fortemente competitivo rispetto al dollaro. L’Unione Monetaria Europea aveva già portato alla necessità di un maggiore coordinamento delle politiche fiscali, poiché in un’unione monetaria mantenere politiche fiscali a livello nazionale può comportare il rischio di un “effetto trascinamento”. E il Patto di Stabilità e Crescita ne è la pietra angolare che si auspica non subisca erosioni. Il Patto potrebbe essere migliorato se l’Unione dovesse riuscire a garantire il consolidamento fiscale nei periodi di crescita e migliorare gli standard statistici per prevenire forme di finanza creativa. Il mercato unico potrebbe essere reso più efficiente favorendo una ulteriore facilitazione nella circolazione dei capitali. Il Piano d’azione per i servizi finanziari (Pasf) ha accresciuto l’integrazione finanziaria nei mercati dell’Unione aiutando così a ridurre gli ostacoli che tuttora società e investitori incontrano nella gestione transfrontaliera di servizi finanziari. Un’ulteriore integrazione creerebbe migliori e più adeguate condizioni di accesso al credito per le aziende, il che sarebbe particolarmente importante per le piccole e medie imprese, che generalmente lamentano mancanza di accesso all’equity capital market. Ulteriori sforzi di armonizzazione sono necessari per quanto riguarda la legislazione e il sistema fiscale (come ad esempio una

comune base per la tassazione societaria). Il coordinamento non è mai fine a se stesso, ma è necessario solo quando i mercati non danno risultati ottimali. Troppo di frequente invece si fa appello alla necessità di armonizzazione, quando il motivo reale è di favorire gli interessi specifici di un particolare Paese. Un esempio recente è la proposta del governo francese per l’introduzione di un livello minimo di imposte sulle società, poiché le tasse considerevolmente più basse dei nuovi Paesi membri danno loro un vantaggio competitivo sui Paesi ad alta tassazione come la stessa Francia. Ma i nuovi Paesi membri hanno un disperato bisogno di tasse più basse per dare impulso alle proprie economie e così promuovere la crescita. In generale, la concorrenza fiscale assicura migliori condizioni di benessere mettendo fuori gioco i sistemi fiscali che non offrono una combinazione ottimale di costi (tasse) e benefici (beni pubblici), un cammino che non dovrebbe trovare ostacoli nel processo di “armonizzazione”. In molti Paesi d’Europa c’è inoltre bisogno di ulteriori riforme a livello nazionale. In particolare, i due motori dell’integrazione europea, Germania e Francia, appaiono riluttanti a favorire ulteriori riforme che li aiuterebbero a riguadagnare un profilo competitivo. Oltre ad apportare riforme fiscali, questi Paesi hanno bisogno di rendere più flessibile il proprio mercato del lavoro e riformare i rispettivi sistemi di previdenza sociale al fine di offrire adeguati incentivi ai lavoratori per (ri-)entrare sul mercato riducendo pertanto i rischi di disoccupazione a lungo termine. Alcuni Paesi hanno anche bisogno di attuare una adeguata riforma del proprio


sistema pensionistico attraverso una maggiore integrazione con forme di previdenza privata. Uno degli sviluppi cruciali che inciderà sul panorama economico del XXI secolo è l’apertura delle economie asiatiche, soprattutto Cina e India, al mercato mondiale. In termini di Pil nominale, la Cina ha già sorpassato l’Italia ed è ora la sesta potenza economica mondiale. Questo fatto comporta alcune fondamentali implicazioni, tra cui la più importante è forse la tendenza all’outsourcing della fase manifatturiera del processo di creazione di valore. L’Europa deve stare attenta a non perdere terreno rispetto alle aziende americane e giapponesi, che stanno investendo sempre di più in queste nazioni. Soprattutto le piccole-medie aziende devono comprendere le potenzialità economiche di tale forma di outsourcing. Nonostante il recente impulso, molti investimenti stranieri in Cina non hanno prodotto i profitti desiderati, in parte a causa di problemi legali: è perciò consigliabile usare ancora una certa cautela e prendere in considerazione altri Paesi come l’India e la Corea. Far sentire la voce dell’Europa Il coordinamento è ancora più urgente a livello politico che nel settore economico. L’Europa deve parlare con una sola voce per essere percepita come un gruppo coeso di Stati sovrani con un interesse comune. Solo facendo questo, l’Europa può avere un ruolo significativo nell’arena internazionale. La Costituzione europea e la regola della doppia maggioranza in essa contenuta giocheranno una parte importante nel raggiungimento di tale unità. La nomina di un rappresentante dei ministri

delle finanze dell’Eurozona, il cosiddetto “Mr. Euro”, è un passo nella direzione giusta, in quanto garantirà continuità e maggiore visibilità sia nella pubblica opinione che all’interno di organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale. Nella sfera geopolitica, l’Europa dovrà rafforzare le proprie capacità militari se vuole trasferire l’obiettivo di un “multilateralismo effettivo” dalla retorica alla realtà, altrimenti sarà sempre costretta a dipendere da un intervento degli Stati Uniti anche per la risoluzione di conflitti che si svolgono alle sue porte. L’Europa può contare sulla propria solida esperienza in operazioni di peace-keeping, ma non deve ridurre solo a questo la sua attività. Le due principali potenze militari europee, Gran Bretagna e Francia, devono assumere un ruolo guida nella definizione di una “dottrina” europea di politica estera e di sicurezza, rafforzando allo stesso tempo la partnership transatlantica con gli Usa. Le considerazioni geopolitiche comprendono poi la questione del possibile ingresso della Turchia nell’Unione europea. Questo ingresso rappresenterebbe un ponte tra Occidente e mondo islamico e contribuirebbe alla stabilità di una regione oggi al centro dell’attenzione geopolitica, non ultimo per le sue importanti riserve energetiche. Ma ci potrebbe anche essere un prezzo da pagare: l’ingresso della Turchia potrebbe rendere l’Unione ancora più eterogenea di quanto già non lo sia rallentando e complicando ulteriormente il processo decisionale. Gli Usa, che incoraggiano fortemente questo ingresso, devono comprendere che l’Ue è qualcosa di più di un’area di libero mercato tipo il Nafta

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(North Atlantic Free Trade Agreement). L’Europa deve ora compiere i giusti passi per tradurre il proprio potenziale in reale forza economica e politica. Impedire che ancora prevalgano logiche legate a specifici interessi nazionali, tagliare i sussidi e rendere così più flessibili i mercati, promuovere interessi e valori comuni attraverso nuove forme di rappresentanza: solo facendo questo l’Unione europea potrà riuscire a diffondere stabilità, assicurare prosperità economica ai propri cittadini e assumere il ruolo internazionale che le compete!

* Norbert Walter è un eminente economista da sempre impegnato a studiare lo sconfinato mondo della finanza e del settore bancario e monetario globale. È capo economista del Gruppo Deutsche Bank dal 1990 e direttore generale di Deutsche Bank Research dal 1992. Ha iniziato la propria carriera all’Institute of World Economy di Kiel come assistente del presidente. Ha guidato il Gruppo di Ricerca e il Dipartimento di Analisi Economica (1975), e infine, nel 1978, è diventato professore e direttore dell’Institute of World Economy. Walter è autore di numerosi articoli apparsi su autorevoli riviste scientifiche internazionali in materia di macroeconomia e economia monetaria. La sua pubblicazione più recente “Der Euro – Kurs auf die Zukunft” (L’euro, strada per il futuro) analizza le conseguenze dell’Unione monetaria europea per il mondo delle imprese e degli investitori.


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I

n May 2004, ten new members entered the European Union. It was the biggest enlargement ever, raising the EU’s population by 20% to 450 million. Another four candidate countries are already waiting on the doorstep. As Europe grows larger, its economic and political potential is increasing. The EU, however, is becoming more heterogeneous, too. One striking example is the substantial income gap between old and new member states. The good news is that the process of catching up in the new member countries

remains intact. Whether the EU’s growing economic potential will translate into greater political clout in the international political arena, will depend mainly on whether Europe succeeds in bundling its forces and speaks with one voice. For this, it is important to ensure that the EU remains capable of action with even more members. The introduction of the double majority rule for decisionmaking (55% of countries and 65% of population) is crucial here. Ratification of the European Constitution, the treaty to ensure this, is far from

certain as referenda are to be held in several countries where popular opinion is skeptical. The United States, as the only remaining superpower, serves as a benchmark for the EU. The challenges facing Europe are, however, not only transatlantic. They also lie in fast-growing Asia—particularly in China. China is now the sixth largest economy in the world in terms of nominal GDP, positioned ahead of even Italy. Europe would be better off and could compete effectively if there were a United State of Europe. This is not and will not be the case. Thus, in most fields Europe has to try hard to best coordinate its policies in order to build the necessary negotiating power. In the field of monetary policy the EU opted for the most rigorous form of coordination: the creation of an independent supranational body, the European Central Bank. ECB and euro are symbolic of what Europe can achieve if it unites. The euro is a true challenger to the US dollar. The European Monetary Union has led to a need for further coordination in fiscal policy as, in a monetary union, national fiscal policies may have spill-over effects. The Stability and Growth Pact is therefore an important cornerstone and it should not be watered down. The pact could be improved if the Union were to ensure budgetary consolidation in good times and enhance statistical standards in order to prevent creative accounting. The single market could be made more efficient by further facilitating the mobility of capital. The Financial Services Action Plan (FSAP) has boosted financial integration and thereby helped to reduce the obstacles that corporate and private clients still encounter when attempting to procure

and/or sell financial products across national borders. Further integration would render access to corporate credit easier. This would be very important especially for small and medium-size enterprises (SMEs), which are notoriously short of equity capital. Further harmonization efforts are needed in legislation and taxes (e.g. a common base for corporate taxation). Coordination is not an end in itself; it is only needed when markets do not yield optimal results. All too frequently, it is claimed that harmonization is required, when the real motive is to serve the special interest of a particular country. A recent example is the French government’s proposal that a minimum corporate tax be introduced, because considerably lower taxes in the new member countries give them a competitive advantage over high tax countries like France. But the new countries desperately need the lower taxes to make up for their less developed economic infrastructure and foster growth. Generally, tax competition increases welfare by weeding out tax systems that do not provide an optimal combination of costs (taxes) and benefits (public goods), and this ought not to be impeded by “harmonization.” In addition, further reforms are needed at the national level in many European countries. Notably, the two motors of European integration, Germany and France, are reluctant to push through further reforms that would help them regain a competitive edge. Besides carrying out tax reforms, they need to make their labor markets more flexible and restructure their social security systems so that they provide the right incentives to employees to (re-)enter the


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labor market in order to prevent long-term unemployment. Some countries also need to rebuild their pension system, which should include more private funding. One of the developments that will crucially shape the economic environment of the 21st century is the opening of the Asian economies, notably China and India, to the world market. In terms of nominal GDP, China has already outstripped Italy and is now the sixth largest economy in the world. This has several major implications, of which the trend toward outsourcing laborintensive parts of the valueadded chain is probably the most important. Europe needs to be careful that it is not left behind by American and Japanese companies, which are investing increasingly in these countries. Above all, SMEs have to realize the economic possibilities outsourcing can offer. But despite recent hype, many foreign direct investments in China have not produced the desired profits, partly because of legal problems. Therefore caution is still advisable and

other countries such as India, and Korea, should not be neglected. Making Europe’s voice heard Coordination is needed even more urgently at the political level than in the economic field. Europe has to speak with one voice in order to be perceived as a united group of sovereign states with a common interest. Only by doing so, can Europe take a major role in the international arena. The European Constitution and the double majority rule enshrined in it will play an important part in achieving this unity. The appointment of a representative of the euro-area finance ministers, the so-called “Mr. Euro,” is also a step in the right direction, as it will provide continuity and greater visibility for the general public and in international organizations such as the IMF. In the geopolitical sphere, Europe will have to step up its military capacities if it is to translate the goal of “effective multilateralism” from rhetoric into reality. Otherwise, it will always have to call upon the US to intervene, even in

conflicts happening on its doorstep. Europe can build on its extensive record in peacekeeping operations, but it should not reduce its activities to that. The two pre-eminent military forces, Britain and France, have to take the lead in defining a European “doctrine” of foreign and security policy, while strengthening the transatlantic partnership with the US. The geopolitical considerations include the possible accession of Turkey to the European Union. This would provide a bridge to the Islamic world, thereby promoting stability in a region, which is a focus of today’s geopolitics, not least because of energy supplies located there. But there may also be a price to pay: Turkey’s accession would make the EU much more heterogeneous than it already is, and thereby render decisionmaking more difficult. The US, which strongly encourages the accession, has to understand that the EU is more than a freetrade area like Nafta. Europe now has to take the right steps to translate its potential into real economic

and political strength. It has to stop serving special interests at the national level, by cutting subsidies and making markets more flexible, while promoting its common interest and values through new forms of representation. Only by doing so, can it spread stability, ensure economic prosperity for its citizens, and assume its proper international role!

* Norbert Walter is an outstanding economist who presents his insights into the borderless finance, banking and monetary world as well as into the global business arena in a stimulating manner. Since 1990 he has been the Chief Economist of the Deutsche Bank Group and in 1992 he became General Manager of Deutsche Bank Research. Norbert Walter started his career at the Institute of World Economy in Kiel as Assistant to the Chairman. He was quickly promoted to Head of the Research Group, then Head of the Economic Analysis Department in 1975 and finally Professor and Director at the Institute of World Economy in 1978. Walter is widely published in international journals, on economic and monetary issues worldwide. His latest publication “Der Euro – Kurs auf die Zukunft” (The Euro – Course to the Future) describes the consequences of the European Monetary Union for businesses and investors.


Projects

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Un’economia in fase di crescente integrazione, un nuovo urbanesimo che riscrive le regole per l’ordinamento del territorio, una società sempre più mobile e dinamica, impongono all’architettura di disegnare spazi complessi e grandi strutture, che esigono un fitto reticolo di competenze e una robusta organizzazione professionale. An increasingly integrated economy, a new form of urbanism that is rewriting the rules of territorial order, and a more mobile and dynamic society, are together forcing architecture to design intricate large structures that call for a close-knit web of expertise and solid professional organization.

Architettura: lo studio-azienda Architecture: the studio-firm Luigi Prestinenza Puglisi*

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l problema è in fondo semplice: da un lato gli architetti pensano di dover essere i creatori di opere uniche e quindi di godere di tutte le qualità e i privilegi che si attribuiscono agli artisti. Dall’altro vogliono proporsi come i leader di un processo sempre più complesso che si fonda sul lavoro di gruppo, sullo scambio di numerose competenze, sulla sicurezza dell’ottenimento di risultati certi, standardizzati, trasmissibili. Già dal secondo dopoguerra Gropius aveva intuito che bisognava superare questo dualismo schizofrenico e scegliere. Si ricorderà in proposito che l’architetto tedesco optò per la seconda soluzione. Conseguentemente ripudiò l’immagine dell’artista creativo per fondare uno studio che, già dal nome, si proponeva al pubblico come un collettivo: il TAC, cioè The Architects Collaborative. Ma Gropius, si dirà, era il prodotto di altri tempi segnati da scelte nette e precise. Mentre il modo che gli architetti di oggi hanno trovato di risolvere il dilemma è nel non risolverlo affatto, tentando una brillante quadratura del cerchio. Consiste nel legare il marchio dello studio a una persona: Foster, Alsop, Hadid, Libeskind, Piano, Pelli, Pei, Portman… Il nome, anzi il cognome, non deve però trarre in inganno: la struttura è gestita con criteri industriali o, quantomeno, sempre più lontani da quelli della pratica artigianale alla quale il marchio farebbe pensare. Né, del resto, potrebbe essere diversamente quando le dimensioni dello studio superano le cento unità, quando è formato da più strutture che operano parallelamente in diverse città, quando la star gira vorticosamente da un capo all’altro del pianeta per tenere contatti, promuovere la propria opera, insegnare in università prestigiose che se la contendono. Negli studi più grandi spesso i progetti meno importanti sono licenziati senza che il titolare li abbia mai visti. E anche nelle strutture più piccole molti lavori, se non altro i concorsi, sono appena degnati di un’occhiata veloce da parte della star. Anche perché, nell’ombra o comunque in controluce, provvedono al controllo di qualità i partner che oramai hanno perfettamente imparato a lavorare nel linguaggio o nello stile del titolare. La calcolata schizofrenia di uno studio che sembra basato esclusivamente su una persona ma che investe un lavoro creativo di un gruppo non è un male. Tutt’altro. Fenomeni simili da anni si registrano nel mondo della moda o del design con in più anzi il fatto che al nome della griffe non corrisponde necessariamente quello dello stilista. Non è detto, per capirci, che i vestiti di Fendi li disegnino le

Fendi. Mentre invece è sempre più frequente che le case di moda si disputino i creativi con ingaggi milionari. Torniamo all’architettura. Sicuramente il ridimensionamento della dimensione artigianale porterà alla scomparsa di un modo di progettare gli edifici fondato su un rapporto stretto tra autore e opera che avveniva sul tavolo da disegno. Pensare oggi a personaggi come Scarpa, Albini, Gardella, che l’edificio se lo disegnavano tutto sino al dettaglio costruttivo, risulta molto difficile. È già tanto che gli architetti oggi famosi producano qualche schizzo e controllino a intervalli periodici lo svolgimento del progetto. Paradossalmente, però, proprio perché il rapporto è più fugace diventa più intenso. Nel senso che oggi ci si perde di meno nel mondo affascinante ma non privo di pericoli del bel disegno, si sintetizzano al massimo i concetti, si crea un sistema condiviso dallo studio e riconoscibile dal pubblico. Pensiamo per esempio a Foster. Ha uno studio di oltre seicento persone e un fatturato da multinazionale. Non si può non trovare straordinaria la sua abilità nel mantenere la produzione a un livello così alto, con pochissime cadute e con una capacità costante di essere riconoscibile e nello stesso tempo di innovare: si pensi per tutti agli ultimi edifici curviformi giocati sul rapporto tra forma e prestazioni, soprattutto relative al risparmio energetico. Insieme a Foster mi vengono in mente altri due studi, tra di loro molto diversi, ma entrambi chiaramente orientati nella doppia direzione della salvaguardia dell’identità ultrapersonalizzata del marchio e della messa a punto di una struttura di lavoro solida, affidabile, fondata su criteri di rigida organizzazione industriale. Sono OMA e SOM. OMA, che è l’acronimo dell’Office for Metropolitan Architecture, da subito è diventata sinonimo di Rem Koolhaas tanto che i due nomi sono di fatto interscambiabili, anzi direi che il secondo prevale di gran lunga sul primo. SOM, il vecchio studio di Skidmore, Owings & Merrill, una struttura gigantesca con migliaia di architetti, non disdegna di personalizzare i progetti mettendo in luce i suoi più dotati designer: è successo così per Gordon Bunshaft e oggi sta accadendo lo stesso con David Child, che firma quasi come un professionista indipendente i propri lavori e da protagonista sta occupandosi con Libeskind del progetto per la ricostruzione del Trade Center di New York. Tra le conseguenze di uno star system così individualizzato ma, insieme, gestito con criteri tanto moderni, vi è sicuramente un diverso modo di con-


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cepire il rapporto con il mondo della tecnica e dell’industria. Ripudiati i processi artigianali, l’opera è sempre più il frutto dell’incontro tra la creatività del designer e un know-how specializzato che proviene da competenze esterne allo studio. Da qui il ruolo crescente, anche dal punto di vista dell’impegno creativo, di produttori che operano nel settore dei componenti. E il contributo sempre più rilevante dei consultants e, in primis, dei grandi studi di ingegneria – tra questi spicca sicuramente la Arup – che lavorano gomito a gomito con gli architetti per realizzare strutture o configurazioni estremamente intelligenti e innovative. Affermava con orgoglio Gabriele Del Mese della Arup che il contatto tra competenze diverse porta all’esplorazione di territori nuovi estremamente fecondi che l’ingegnere da solo o l’architetto da solo non avrebbero probabilmente mai scandagliato e percorso. Proprio per questi motivi risulta estremamente riduttiva la critica che oggi, molto di frequente, viene rivolta dai tradizionalisti e dai reazionari allo star system di occuparsi solo dell’immagine esterna, di applicare una carrozzeria a una struttura banale, di affascinare e stupire con segni affascinanti ma megalomani e in fin dei conti superficiali. Personalmente, sono lontano dal sostenere che tutti gli edifici realizzati dagli architetti oggi di moda siano dei capolavori. Alcuni sicuramente sono deboli. Altri solo opere corrette. Altri ancora, ripetitivi, ci fanno pensare a una firma che stancamente riproduce se stessa. Ma come si vede dai progetti che qui presentiamo, non mancano, anzi direi che sono numerose le opere considerevoli. Una critica che oggi, invece, appare non priva di interesse, la propone il critico Sorkin sulle pagine dell’Architectural Record. Sostiene che molte opere che vengono prodotte oggi dallo star system siano interessanti in sé e per sé ma manchino di una dimensione contestuale. Questa critica apre poi un problema ben più generale: spesso, troppo spesso, per realizzare cattivi progetti si chiamano bravi architetti e per realizzarne di pessimi si chiamano le star più brave e più famose. Le quali, di fronte alla possibilità di costruire interventi molto visibili e di intascare le relative parcelle, si creano pochi scrupoli e ripetono così l’errore di presunzione che più colpisce i grandi architetti, quello di poter riscattare una scelta sbagliata con una buona immagine formale. Un errore pernicioso al quale non sfuggì neanche Gropius quando realizzò a New York il Pan Am Building: che poi, detto tra noi, tanto bello non era neanche. Che fare allora? Non saprei. Ma sicuramente direi

che se è bene apprezzare le magnifiche opere che molti di questi progettisti oggi realizzano, non per questo occorre accettare per oro colato tutta la loro produzione. Vorrei fare un’ultima considerazione. È molto raro che i progettisti abbiano la capacità di rinnovarsi, ricreandosi nel tempo. Se Wright riuscì a superare se stesso a settanta anni con la Casa sulla Cascata e Le Corbusier riuscì, da adulto, a pensare a Ronchamp e poi al Padiglione della Philips, altri, pervicacemente rimangono attaccati come patelle allo scoglio del proprio stile, spesso peggiorandolo e diventando la caricatura di se stessi. A questa regola non sfugge lo star system. Non ci vuole molto ad accorgersi che alcuni architetti cominciano a dare segni dell’esaurimento di una vena creativa. Non bisogna però disperarsi. Dietro questi protagonisti scalpitano i giovani: più creativi, più sperimentali, più coraggiosi. Presto prenderanno il posto dei primi e diventeranno anche loro star system. Ai vecchi toccherà fare in modo che ciò avvenga il più tardi possibile. Come? Correndo più veloci. Come dice il proverbio: ogni giorno si svegliano un’antilope e un leone.

* Luigi Prestinenza Puglisi, laureato in architettura e specializzato in pianificazione urbanistica, è critico di architettura e scrive per le riviste Domus, L’Arca, Monument, L’Architettura, Ottagono, Il Progetto, Costruire, Spazio Architettura, Arch’it. Ha scritto testi per la RAI e svolto ricerche per il CNR. Coordina le sezioni “Scritti” e “Grandi Eventi” della Universale di Architettura fondata da Bruno Zevi, le collane “Architettura oggi, nuove tendenze” e “L’architettura in pratica” della Testo&Immagine. Ha scritto Rem Koolhaas, trasparenze metropolitane, Torino 1997; HyperArchitettura, spazi nell’età dell’elettronica, Torino 1998 (tradotto in inglese dalla Birkhäuser); This is Tomorrow, avanguardie e architettura contemporanea, Torino 1999; Zaha Hadid, Roma 2001; Silenziose Avanguardie, una storia dell’architettura: 1976-2001, Torino 2001; Tre parole per il prossimo futuro, Roma 2002. Ha pubblicato testi di argomento tecnico: sulle case per anziani, sulle barriere architettoniche, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla stima delle abitazioni. Insegna “Storia dell’architettura contemporanea” all’Università di Roma La Sapienza. Per consultare i suoi testi www.prestinenza.it

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he problem is quite simple: on one hand architects think they are creating unique pieces of work and hence deserve all the benefits and privileges that artists enjoy. On the other hand they want to be the leaders of an increasingly complex process based on team work, shared skills, and the certainty of attaining reliable, uniform results that can be passed on to others. Shortly after the Second World War, Gropius sensed the need to move beyond such schizophrenic dualism and make a choice. The German architect opted for a second alternative, rejecting the idea of a single creative artist in favor of establishing a firm, whose name in itself evoked its group status: TAC, standing for The Architects Collaborative. But Gropius was a product of a different era—so it will be claimed—when clear and definite choices were the norm. In contrast, modern-day architects attempt to solve the dilemma by squaring the circle in the most brilliant of ways, and hence not solving it at all. The trick is to associate the name of a firm with a person: Foster, Alsop, Hadid, Libeskind, Piano, Pelli, Pei, Portman… The name, or rather surname, must not mislead us though: the firms are run along industrial lines or, in any case, they are a far cry from the kind of craft workshops their names evoke. After all, it could not be any other way, considering there are often over one hundred employees, working on different projects in different cities at any one time, and the star architect is inevitably busy traveling all over the world to keep up contacts, promote his own work, or teach at the various prestigious universities keen to engage him. In the case of the bigger firms, the minor projects are often carried out without being seen by the head of the firm. And even in smaller set-ups, many projects (at least tender entries) are only given a quick glance by the star architect. This is partly because—out of the limelight—it is the partners who check everything, since they already have a perfect grasp of the master’s design style and idiom. The carefully gauged schizophrenia of an architect firm based solely around one person but involving the creative labors of a team is no bad thing. Quite the contrary. This system has been operating in the fashion and design world for years, with the added paradox that the name of the label does not always correspond to the fashion designer’s name. For instance, Fendi clothes are not necessarily designed by Fendi. Indeed, it is increasingly common for fashion houses to fight over designers by offering million-pound contracts. But let’s get back to architecture. Undoubtedly, the disappearance of the craft set-up will result in the end

of building design based on close relationships at the drawing board stage between the architect and his creations. It is hard to imagine, in today’s world, the likes of Scarpa, Albini and Gardella designing everything right down to the smallest construction detail. It is something nowadays if famous architects come up with the odd sketch or just keep a regular tab on how a project is progressing. Ironically, though, the fleetingness of relationships has made them even more intense, so nowadays less time is wasted in the intriguing but by no means hazardfree realms of fine design. Concepts are squeezed as tightly as possible into a system shared by the entire firm and recognizable to the general public. Take Foster, for instance. His firm employs over sixhundred people and has the turnover of a multi-national company. His ability to keep productivity at such high levels is quite astonishing, with very few lapses in quality and Foster always creates easily identifiable and innovative work: take, for instance, his recent curved buildings playing on interaction between form and efficiency, notably focusing on energy saving. Alongside Foster, two other firms come to mind, quite different from each other but clearly working in the same direction of safeguarding their studio’s ultrapersonal identity and setting up a solid and reliable business structure based on an industrial-style organization. I am referring to OMA and SOM. OMA, which is an acronym for Office for Metropolitan Architecture, was almost immediately associated with Rem Koolhaas, so much so that the two names are almost interchangeable; indeed the latter is more familiar than the former. SOM, the old Skidmore, Owings & Merrill firm—a massive concern employing thousands of architects—is often inclined to personalize its projects by drawing attention to its most talented designers: this was the case with Gordon Bunshaft and it is now happening to David Child, who almost seems to work as a freelancer and is currently playing a key role with Libeskind on the project to rebuild the New York Trade Center. One of the consequences of such a personalized star architect system is a very different way of viewing relationships with technology and industry. Having rejected the craft approach, architectural work is increasingly the result of the designer’s creativity coming together with expert know-how from outside the firm. Hence the increasingly important role, in terms of creative input, of manufacturers from the components industry, consultants and, first and foremost, engineering firms—most notably, of course, the Arup firm— that are now working side by side with architects on de-


signing extremely innovative and intelligent structures. Gabriele Del Mese from Arup has proudly claimed that interaction between different fields of expertise leads to the exploration of extremely fertile territories, which neither the engineer nor the architect alone would probably have ever explored. This is why the criticisms often aimed at the star architect system by conservatives and traditionalists— namely it is only interested in external image that merely adds a shell onto a bland structure, and is actually megalomaniacal and ultimately superficial—is actually very wide of the mark. It is far from my view that all the projects currently designed by fashionable architects are masterpieces. Some of them are certainly quite dull. Others merely well built. Others are repetitive churning out the same old stuff. But, as can be seen from the projects illustrated in this issue of arcVision there is no lack of notable works, indeed there are plenty of them. However, the critic Sorkin made an interesting complaint in the Architectural Record. He claims that many projects coming out of the star architect system are interesting, but fail when related to context. And this inevitably evokes a more general issue: far too often, if fine architects are commissioned to design poor projects, famous star architects are commissioned to design even worst ones. Faced with the opportunity to build high profile constructions and pocket the cash up for grabs, they show very few scruples and the same conceit as many other great architects of thinking they can overcome all these context-related problems by coming up with a stylish design. A dangerous mistake that even Gropius committed when designing the Pan Am Building in New York; which, by the way, is not very attractive at all. So what is to be done? Well, I certainly think that while many of the magnificent projects being designed today by these architects deserve our appreciation, we certainly should not be fooled into thinking that everything they do is perfect. I would like to make one last remark. It is rare for architects to expand or revitalize their mindset. Although it is true that Wright exceeded himself at the age of seventy with Waterfall House, and Le Corbusier managed, when already advanced in years, to think up his designs for Ronchamp and then the Philips Pavilion, others hang onto their own personal style like limpets to a rock, often to their own detriment, turning into caricatures of themselves. The star architect system is not immune to all this. It is easy to see that a number of architects are starting to show signs of losing their creative touch. But never fear, behind these leading fig-

ures there are plenty of eager young architects: more creative, more experimental and more courageous. They will soon take over from their predecessors and enter the star system themselves. The oldies will try and prevent this from happening as long as possible. How? By running faster. As the proverb says, every morning an antelope and a lion wake up.

* Luigi Prestinenza Puglisi, a graduate in architecture and specialist in town-planning, is a critic of architecture who contributes to magazines and journals such as Domus, L’Arca, Monument, L’Architettura, Ottagono, Il Progetto, Costruire, Spazio Architettura, and Arch’it. He has written for the RAI television network and carried out research for the CNR. He runs the “Scritti” and “Grandi Eventi” departments of the Universale di Architettura founded by Bruno Zevi, and the “Architettura oggi, nuove tendenze” and “L’architettura in pratica” collections for Testo&Immagine. He has published numerous works including Rem Koolhaas, trasparenze metropolitane, Turin 1997; HyperArchitettura, spazi nell’età dell’elettronica, Turin 1998 (translated into English by Birkhäuser); This is Tomorrow, avanguardie e architettura contemporanea, Turin 1999; Zaha Hadid, Rome 2001; Silenziose Avanguardie, una storia dell’architettura: 1976-2001, Turin 2001; and Tre parole per il prossimo futuro, Rome 2002. He has also published articles on technical issues such as housing for the elderly, architectural barriers, safety in the work place, and house surveying. Prestinenza also teaches History of Contemporary Architecture at La Sapienza University, Rome. For further information about his main written works consult the website www.prestinenza.it

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Verso altezze da record Toward Record Heights Taipei, Taipei 101 Taipei, Taipei 101 Progetto di C.Y. Lee & Partners Project by C.Y. Lee & Partners

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Il grattacielo Taipei 101, con i suoi 101 piani per 508 metri, è l’edificio più alto del mondo. The Taipei 101 skyscraper with 101 floors and at 508 meters high is the tallest building in the world.

a qualche tempo l’Asia sembra essere percorsa da una tensione modernista, da una voglia di salire verso altezze da record attraverso cui le varie capitali cercano di confrontarsi, realizzando grattacieli sempre più alti. Senza tener conto del fatto, per esempio, che tali presenze provocano grandi trasformazioni nel rapporto fra architettura e territorio e soprattutto viene a mutare quel sottile e delicato equilibrio fra tradizione e modernità. Attualmente a imporsi sulla scena internazionale c’è Taiwan che, con il Taipei 101, ha raggiunto la ragguardevole quota di 508 metri. Il complesso, oltre alla torre occupata da uffici, un osservatorio e aree ricreative, comprende una struttura di cinque piani, il Podium, che racchiude sotto una cupola vetrata, alla quota di quarantadue metri, uno dei più grandi centri commerciali del mondo. Non solo edificio da primato nella gara di chi va sempre più su verso il cielo, il Taipei 101 presenta anche alcuni valori fondamentali riconducibili all’arte del costruire: in questo edificio confluiscono, infatti, ricerca tecnologica, scienza ingegneristica, organizzazione di cantiere e quant’altro rende possibile la realizzazione di un edificio alto più di mezzo chilometro. Il territorio di Taipei si sviluppa principalmente in orizzontale, quindi la torre domina un intorno composto di edifici di media altezza con caratteristiche fra l’orientale tradizionale e l’asiatico tecnologico. Facile quindi intuire come il Taipei 101 rappresenti una proiezione verticale quanto mai monumentale nella configurazione compositiva e simbolica nella formulazione distributiva. Esso, infatti, si conforma su un modulo estrapolato dal numero otto che, nella tradizione cinese, è simbolo di fortuna e prosperità economica. Composta di unità strutturali di otto piani ciascuna, la torre si configura come un gigantesco bambù, anch’esso espressione emblematica di quella cultura cinese che comprende natura e artificio. Ma è anche espressione tecnologica occidentale pronta a raccogliere sfide sempre più impegnative. Se a ciò si aggiunge che Taipei è una delle zone a più alta intensità sismica si comprende come la realizzazione di un edificio così alto assuma tutti i crismi dell’eccezionalità. E non va dimenticato inoltre che a quelle latitudini sono frequenti spaventosi tifoni. Occorreva assicurare alla struttura del grattacielo notevoli doti di elasticità e resistenza all’azione del vento. Si è dovuto quindi applicare una serie di dispositivi, come per esempio la sistemazione di una gigantesca sfera d’acciaio di circa seicento tonnellate posta all’ottantesimo piano, per contrastare gli slittamenti causati dall’azione sismica e per resistere alla pressione eolica.

L’organizzazione e la gestione di cantiere ha rappresentato un’ulteriore sfida, basti pensare che il coinvolgimento della forza lavoro ha avuto punte di oltre trecento persone. Si è giunti alla straordinaria impresa di costruire un piano completo in due giorni grazie a squadre composte di dieci operai, in grado di montare circa novanta pannelli al giorno.


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In questa pagina in senso orario, particolari della facciata del Podium caratterizzata principalmente da elementi in granito, un particolare degli interni racchiusi sotto una cupola vetrata che si proietta a 42 m di altezza e assonometria del Podium. Nella pagina a fianco, in alto, pianta del piano tipo della torre e assonometria generale con la distribuzione funzionale ai vari piani. La tecnologia messa a punto per il sistema di facciata è in grado di sopportare movimenti ondulatori fino a 95 mm di slittamento (pari a scosse di 7,5 gradi della scala Richter) senza subire danneggiamenti. This page, clockwise, details of the Podium facade mainly featuring granite elements, a detail of the interiors enclosed beneath a glass dome 42 m high and axonometry of the Podium. Opposite page, top, plan of a standard floor of the tower and general axonometry showing the functional layout on the various levels. The technology developed for the facade system can withstand undulating movements of up to 95 mm slides (corresponding to 7.5 degrees on the Richter scale) without being damaged.

or some time now an unofficial race to build to record heights appears to be running through Asia, as the various capital cities compete to build the tallest skyscraper. Many of those involved don’t seem too concerned that towering presences like these have a major impact on relationships between architecture and the land, most significantly altering that delicate balance between tradition and modernity. At the moment Taiwan dominates the scene with its Taipei 101 skyscraper towering up to a height of 508 meters. In addition to the tower hosting offices, an observatory and recreation areas, the complex also includes a five-story structure called the Podium, whose glass dome, at a height of forty-two meters, holds one of the world’s biggest shopping malls. As well as being in the lead in the race up into the heavens, Taipei 101 also displays unique traits of the art of building: it combines technological research with engineering science, building site organization and many other attributes making it possible to design a building over half-a-kilometer tall. Taipei has a relatively low skyline, so the tower dominates the medium-height buildings around it, whose style combines eastern tradition and Asian technology. It is easy to imagine the prominence of Taipei 101 as a vertical projection, monumental in its design and symbolic in its layout. In reality, it has been designed around a module based on the number eight, which traditionally symbolizes luck and prosperity in Chinese culture. Constructed out of eight-story structural units, the tower resembles a giant piece of bamboo, another emblem of Chinese culture’s attention to nature and artifice. It also embodies western technology, ready to take on even the most demanding challenges. If we then also bear in mind that Taipei is one of the most susceptible areas to seismic activity, it is easy to see why the construction of such a tall building in this area is such an astounding undertaking. Add to this the fact that this part of the world is regularly hit by typhoons, and it is easy to see why the skyscraper had to have a highly flexible structure capable of withstanding the most powerful winds. This required strengthening apparatus to be incorporated into the design. For instance, a huge steel sphere weighing about six hundred metric tons has been installed on the eightieth floor to prevent any slipping caused by seismic activity and to withstand the blasting winds. Building site organization and management posed a further challenge: a labor force of over three hundred workmen were involved in the building process. Teams of ten workers capable of fitting about ninety panels-a-day actually achieved the remarkable goal of building an entire floor in just two days.


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Dimensioni coraggiose Bold Dimensions Milano, Nuovo Polo Fiera Milano Milan, New Milan Trade Fair Progetto di Massimiliano Fuksas Project by Massimiliano Fuksas

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eatro alla Scala in via di ristrutturazione, BEIC (Biblioteca Europea di Informazione e Cultura), nuova sede della Regione Lombardia e nuovo polo fieristico in via d’ultimazione nell’area di RhoPero: il processo di trasformazione urbana in atto in questi ultimi tempi sta cambiando radicalmente Milano e il suo hinterland. Tra gli interventi più significativi, Nuovo Polo Fiera Milano è certamente il più eclatante sia per le eccezionali dimensioni (oltre due milioni di metri quadrati e mezzo milione di costruito) sia quale elemento in grado di attivare la realizzazione di nuove strutture legate all’attività espositiva: servizi, complessi ricettivi, nuove aree verdi e grandi infrastrutture di collegamento. L’architettura, per progredire, oltre alle rivoluzioni tecnologiche, deve continuamente modificarsi nel linguaggio, elemento fondante del progetto in grado di relazionare l’arte del costruire con la cultura del tempo. Selezionato quale vincitore su un gruppo di importanti studi di architettura, Mario Bellini Associati, Jacobs Italia e GMP-Hamburg, il progetto di Massimiliano Fuksas contribuirà a elevare il grado di innovazione architettonica del capoluogo lombardo. Senza mettere in discussione l’impianto tipologico di una struttura destinata a secondare problematiche legate al mercato, il progetto di Fuksas reinterpreta alcune funzioni, puntando su una forte connotazione estetica, espressa soprattutto nell’uso non convenzionale dei materiali e nella priorità dell’obiettivo formale rispetto a certi limiti costruttivi.

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Pagine precedenti, rendering del nuovo polo fieristico. A destra, rendering dell’asse centrale che attaversa l’intera area del complesso fieristico. Pagina a fianco, schizzo di progetto con dettaglio della struttura dell’asse centrale. Previous pages, rendering of the new trade fair. Right, rendering of the central axis running right across the entire trade fair area. Opposite page, design sketch showing a detail of the central axis structure.

Ciò riguarda in special modo il grande asse centrale non tanto per l’eccezionale lunghezza (1300 metri) del tecnologico decumano che attraversa il complesso fieristico da est a ovest, quanto per la sua inusuale copertura di matrice neo-organica, denominata “Vela”, caratterizzata da variabili altimetriche complesse riferite a un ipotetico territorio naturale con crateri, dune e colline. La forte componente emozionale dei recenti progetti di Fuksas trova qui massima evidenza sia per la scala urbana dell’intervento sia per l’azione coraggiosa di inserire in una struttura pubblica – normalmente ingessata nella convenzionalità del déjà vu – dissonanze e aritmie dodecafoniche. Il resto gioca invece sulla moltiplicazione dinamica delle immagini riflesse all’interno di un universo geometricamente elementare, quasi a voler far convivere simultaneamente artificio e natura, contrapponendo a un’urbanistica ippodamea la variabilità dell’ambiente naturale. Ampie facciate in metallo riflettente presenti in alcuni padiglioni creano invece una sorta di silenzioso video in grado di raccontare per immagini il movimento del pubblico all’interno del percorso. Previsionalmente attivo entro primavera 2005, ovvero in occasione degli appuntamenti fieristici più importanti della stagione, il nuovo complesso dimostrerà con evidenza come l’architettura, nelle forme più contemporanee e creative, sia portatrice di energie capaci di creare nuovi paesaggi metropolitani e nuove visioni proiettate nel futuro.


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Interno di un padiglione in costruzione. Interior of a pavilion under construction.

he Milan urban redevelopment process is well under way and is radically changing the city and its suburbs: La Scala Theatre is currently under restoration; the work on construction of the European Library of Information and Culture (Biblioteca Europea di Informazione e Cultura—BEIC) continues; the New Seat of the Lombardy Regional Government is under way; and the New Trade Fair is nearing completion in the Rho-Pero area. Of all these important projects, the New Milan Trade Fair is certainly the most striking for its exceptional size (over two million square meters, including half-a-million of construction) and for its influence on the construction of new ancillary facilities for utilities, accommodation, new green areas and major infrastructural links. In addition to technological revolutions, if architecture is to evolve it must constantly update its stylistic idiom as the real key to quality design, capable of relating the art of building to the culture of the age in which we live. Chosen as the winner from a group of important architecture firms (Mario Bellini Associati, Jacobs Italia and GMP-Hamburg), Massimiliano Fuksas’s project will help inject some real architectural innovation in Milan. Without compromising the stylistic layout of a facility that aims to encourage business development, Fuksas’s project re-reads certain functions, focusing on powerful aesthetic connotations, mainly embodied in the uncon-

ventional use of materials and by giving priority to style over certain building constraints. This particularly concerns the main central axis, not so much due to the exceptional length (1,300 meters) of the technological decuman running right across the trade fair complex from east to west, as for its unusual neo-organic style roof called the “Sail,” featuring intricate altimetric variables alluding to an imaginary natural terrain made of craters, dunes and hills. The strong emotional slant to Fuksas’s designs is highly evident here both in the urban scale of the project and the bold way dissonances and non-rhythmic patterns have been incorporated in a public facility that conveys conventional déjà vu forms. The physical aspect of the design, however, plays on the dynamic multiplication of images reflected inside a geometrically simple universe, as if trying to make nature and artifice co-exist; contrasting Hippodamian town-planning with the variability of the natural environment. Large reflective metal facades found in a number of the pavilions resemble a silent video that reflects images of the public’s movements through the premises. Provisionally planned to open in spring 2005 to coincide with the season’s main trade fairs, the new complex will demonstrate how cutting-edge and creative architecture can introduce a new vitality, redesigning and providing futuristic visions of our cityscapes.


Modello e, in basso, un’immagine di cantiere relativa alla costruzione dell’asse centrale. Model and, below, a picture of the central axis during construction.

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Particolare del cantiere per la costruzione del grande asse centrale, una vera e propria via urbana coperta lunga un chilometro e mezzo. Detail of the building site for constructing the main central axis, an authentic covered urban street measuring one-and-a-half kilometers in length.


Planimetria generale e rendering del polo fieristico, che occupa una superficie totale di 2.000.000 mq con un’area espositiva, distribuita in dieci padiglioni (8 a un piano e 2 a due piani), di oltre 400.000 mq più circa 60.000 mq di area espositiva esterna. Il complesso sarà inoltre servito da 25 bar, 20 ristoranti, 80 sale riunioni, un centro congressi di 47.000 mq, uffici (35.000 mq), e oltre 30.000 posti auto. Le facciate dei padiglioni verso l’asse centrale sono in metallo riflettente in modo da replicare e riflettere la luce e le attività che vi si svolgono. Site plan and rendering of the trade fair, which covers an overall area of 2,000,000 square meters with exhibition areas spread over ten pavilions (8 one-story and 2 two-story) corresponding to over 400,000 square meters, plus about 60,000 square meters of outside exhibition space. The complex will also be served by 25 bars, 20 restaurants, 80 meeting rooms, a 47,000-square-meter conference center, offices (35,000 square meters), and over 30,000 parking spaces. The pavilion facades along the central axis are made of reflective metal to replicate and reflect light and internal activities.

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In queste pagine, studio per lo sviluppo della copertura dell’asse centrale; immagini del cantiere con i particolari della costruzione della copertura vetrata ondulata. These pages, study for developing the roof over the central axis; pictures of the building site showing details of the undulating glass roof.


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Monumentale bellezza Monumental Beauty Liverpool, la Quarta Grazia Liverpool, The Fourth Grace Progetto di Alsop Consortium Project by Alsop Consortium

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Vista notturna del progetto dal Mersey e, nella pagina a fianco, sezione del progetto dell’Alsop Consortium, vincitore del concorso per la “Quarta Grazia” di Liverpool. Nighttime view of the Mersey project and, opposite page, section of the Alsop Consortium’s winning project in the competition to design Liverpool’s “Fourth Grace.”

antasioso, ricco di memorie di un pop made in England, ma anche sorprendentemente efficace nel creare nuovi segni metropolitani, pur conservando una scala urbana in linea con l’austera identità delle città britanniche, contrassegnate dall’immaginario della rivoluzione industriale del XVIII secolo. L’intervento in questione si sviluppa per circa 2,5 ettari lungo il fiume Mersey, a sud del molo principale e dei tre edifici storici di Liverpool (le “Tre Grazie”), a nord dell’Albert Dock e del Kings Waterfront, e a ovest dello Strand/Wapping Boulevard, importante arteria stradale nord-sud nei pressi dalla stazione ferroviaria di James Street Mersey. Il nuovo complesso, che dovrà organizzarsi con l’ambiente circostante rigenerandolo profondamente, accoglierà più funzioni: da quelle ricettive a quelle commerciali, da quelle culturali a quelle residenziali. Ma sono anche previsti alcuni spazi destinati a uffici e servizi complementari al sistema di trasporto presente nell’area portuale. L’entusiasmo per un futuro rilancio economico della città ha indotto la pubblica amministrazione a studiare un programma di iniziative volte a rafforzarne il prestigio internazionale e a dare a Liverpool un’immagine rinnovata di metropoli del XXI secolo. Importante città portuale, Liverpool sarà nel 2008 la capitale europea della cultura e vorrebbe presentarsi all’appuntamento con un importante rinnovo urbano da affiancare ai simboli del suo successo economicocommerciale come il Royal Liver Building, il Cunard Building e il Port of Liverpool Building, chiamati le “Tre

Grazie” in virtù della loro monumentale bellezza. Il bando di concorso per la realizzazione della “Quarta Grazia”, una struttura multifunzionale da costruire nella zona portuale, aggregata alle “Tre Grazie”, ha come obiettivo la trasformazione del luogo in uno spazio urbano vitale, in grado di rafforzare la penetrazione verso il centro della città. La “Quarta Grazia” dovrà insomma creare una nuova visione della città dall’acqua. I quattro progetti finalisti del concorso proposti da Alsop, Cullinan, Foster e Rogers, proponevano prevalentemente opere in acciaio e vetro, con l’obiettivo di contenere i costi. Il progetto di Alsop, il più radicale e fuori degli schemi fra tutti quelli presentati, ha avuto la meglio su progetti corretti, ma forse meno eclatanti per rappresentare un landmark in grado di ridare nuova identità a un luogo di forte rappresentanza. Il progetto di Alsop è vivace e animato anche grazie a una composizione ricca di linee curve, un insieme di forme generate dalle funzioni, un’architettura pragmaticamente inglese, ma non priva di echi quasi mediterranei per via dell’intensa gestualità che l’ha generata. Il complesso pare autogenerarsi a partire da una piattaforma sinuosa, simile al profilo di una morbida collina, al cui interno accoglie negozi, spazi espositivi, un auditorium, un anfiteatro, un museo dedicato alla città e luoghi di interscambio. La natura neo-organica del progetto è in sintonia con il fiume e il mare ed è caratterizzata da un’accentuata plasticità in cui convivono immaterialità e matericità.


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he design is imaginative, reminiscent of the English “Pop” style, but also surprisingly effective in creating new metropolitan flair while retaining its urban scale in line with the austere identity of many British cities that still bear the hallmark of the industrial revolution. The project will cover an area of about 2.5 hectares along the River Mersey, just south of the main pier and the “Three Graces”—three of Liverpool’s main historical buildings—to the north of the Albert Dock and Kings Waterfront, and west of the Strand/Wapping Boulevard, the main road running north-south not far from James Street Mersey railway station. The new complex, which is designed to fit into and regenerate its surroundings, will serve various purposes: accommodation, retail, cultural and residential, as well as allocation of office space and the provision of extra facilities for the transport system in the docks area. Enthusiasm at the idea of injecting fresh economic life into the city encouraged the city council to study a program of events designed to further restore Liverpool’s international prestige and upgrade its image to that of an important city of the 21st century. Liverpool, as a major port, will hold the title European Capital of Culture 2008 and plans to mark this important event by redeveloping its skyline. A skyline which already features historical landmarks from its past as a major trading port such as the Royal Liver Building, Cunard Building and Port of Liverpool Building, together known as the “Three Graces” due to their monumental beauty. The tender for the “Fourth Grace,” a multi-pur-

pose facility to be built in the docklands alongside the other “Three Graces,” aims to transform its surroundings and link the area to the city center. The “Fourth Grace” will also change the existing skyline creating a new waterfront. The four projects that reached the final stage of the tender, designed by Alsop, Cullinan, Foster and Rogers mainly feature steel and glass constructions in order to reduce costs. Alsop’s project, the most radical and unorthodox of all the entrants, was the preferred choice. The other more conservative designs lacked the innovatory style needed to provide a new landmark that would instill a fresh identity on such a significant site. Alsop’s project is dynamic and stimulating, due partly to its curved lines, a combination of forms deriving from differing functions, and pragmatically English architecture with almost Mediterranean overtones in the striking gestural expressiveness lying behind its design. The complex appears to generate from a winding platform that resembles the outline of a gentle hill, inside which there are shops, exhibition halls, an auditorium, amphitheatre, city museum, and places to socialize. The neo-organic nature of the project is in accord with the river and sea and is characterized by its combination of the material and immaterial.

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L’area del lungofiume di Liverpool con una delle “Tre Grazie”, realizzate all’inizio del secolo scorso.

The area along Liverpool’s waterfront showing one of the “Three Graces” built at the start of last century.

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Immagini piccole: da sinistra, rendering del progetto di Edward Cullinan; la proposta presentata dal consorzio guidato da Richard Rogers Partnership; il progetto guidato da Foster and Partners; interno del progetto presentato da Alsop Consortium.

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Small pictures: from left, rendering of Edward Cullinan’s project; the design entered by the consortium led by Richard Rogers Partnership; the project headed by Foster and Partners; interior of the Alsop Consortium’s project.


Proposta presentata dal consorzio guidato da Richard Rogers Partnership. The project entered by the consortium headed by Richard Rogers Partnership.

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Planimetria generale e, nella pagina a fianco, rendering della “Quarta Grazia”, destinata a diventare il nuovo spazio pubblico di Liverpool, vivibile 24 ore su 24. Il progetto prevede: la sistemazione del lungo fiume Pier Head a passeggiata pedonale; la realizzazione di un edificio residenziale denominato “The Living”, con negozi e ristoranti al livello strada; la sistemazione paesaggistica dell’area denominata “The Hill”, con vista panoramica sul fiume, spazi espositivi, un auditorium da 500 posti e sale pubbliche multifunzionali; infine, l’icona del progetto, “The Cloud”, un elemento circolare alto dieci piani decorato esternamente con immagini cangianti della storia della città. Site plan and, opposite page, rendering of the “Fourth Grace,” which will provide Liverpool with a new public space in operation 24 hours-a-day. The project involves: redeveloping the Pier Head riverfront into a pedestrian promenade; the construction of a residential building called “The Living,” with shops and restaurants at street level; landscaping of the area called “The Hill” with a panoramic view across the river, exhibition spaces, a 500-seat auditorium, and multi-purpose public halls; finally, the project’s icon, “The Cloud,” a ten-story circular construction decorated on the outside with flashing images of the city’s history.


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Abitare il cielo Living High in the Sky Pusan, Daewoo Marina City 21 Pusan, Daewoo Marina City 21 Progetto di Kohn Pedersen Fox Associates Project by Kohn Pedersen Fox Associates

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estinata a funzioni miste distribuite su 88 piani, la Torre Daewoo fa parte di un più ampio programma di ampliamento e valorizzazione dell’area di Suyong Bay, una zona decentrata rispetto al centro urbano della città, ma con grandi potenzialità economiche. Sul piano del linguaggio compositivo, il progetto di Kohn, Pedersen e Fox s’ispira soprattutto alla bellezza naturale del luogo, determinando così un’immagine generale senza tempo in quanto commisurata a un intorno pressoché immutabile. Lineare, asimmetrica e senza superfetazioni compositive, la torre si rapporta all’orizzontalità del mare con la forza di una scultura di Brancusi e la tensione di una vela spiegata, in contrasto con la base in pietra adagiata in un bacino d’acqua, richiamando così simbolicamente la configurazione territoriale della penisola coreana. Le zone di accesso al complesso sono state progettate attraverso un’attenta definizione della loro funzione principale, così da facilitare a ciascun utente un comodo arrivo al luogo desiderato dell’edificio. Oltre alle aree d’ingresso ai vari elementi funzionali della torre – il teatro, il museo – la base dell’edificio accoglie grandi spazi

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In queste pagine, il modello della torre progettata da KPF a Pusan, in Corea del Sud per la Daewoo. These pages, model of the tower designed by KPF in Pusan, South Korea, for the Daewoo company.

commerciali, una sala ricevimenti e servizi e spazi per convention. Il tutto è organizzato lungo una galleria ad andamento curvilineo, che parte dalla piazza d’ingresso all’edificio e si snoda lungo il confine segnato dall’acqua, per poi sfociare nel museo sul lato sud-est del podio. Gli architetti Kohn, Pedersen e Fox hanno delineato la forma della torre puntando sull’attenta messa a punto della disposizione sequenziale dei piani all’interno dell’edificio. Le zone destinate a uffici – che hanno il traffico più intenso per il sistema di ascensori, anche se raggiungono le altezze minori – sono state localizzate nella zona più bassa della torre. Nella loro configurazione planimetrica, gli uffici si presentano come ampi open space distribuiti nei quattordici metri fra il perimetro e la zona centrale della torre. Gli appartamenti residenziali sono invece stati allocati nella parte più alta del complesso. Questi piani condividono un atrio attraverso il quale la luce naturale penetra nei corridoi interni, offrendo così uno straordinario spazio pubblico, facendo così risaltare l’area privata destinata alla residenza. L’atrio dell’hotel è posto al cinquantunesimo piano e vi si accede grazie a


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un gruppo di ascensori shuttle, che partono dal piano terra. I piani dell’hotel nella loro configurazione planimetrica riprendono la disposizione degli appartamenti sottostanti e dispongono anch’essi di un atrio comune che esalta lo spazio collettivo e da cui si ha una delle più straordinarie vedute sia sulla catena montuosa sia sul

paesaggio urbano di Pusan. La torre si conclude con un grande salone panoramico, un luogo di forte suggestione che può essere raggiunto sia da un ascensore espresso che parte dall’atrio del primo piano, sia dagli ascensori che collegano i vari piani dell’hotel.

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multi-functional edifice of over 88 floors, Daewoo Tower forms part of an extensive development and regeneration project for Suyong Bay, a decentralized area that holds plenty of economic potential. Stylistically speaking, the project designed by Kohn, Pedersen and Fox mainly draws inspiration from the natural beauty of its environment, thereby creating an enduring image geared to a context that has effectively never changed. Linear, asymmetrical and free from stylistic superfetations, the tower interacts with the horizontality of the sea with the stature of a Brancusi sculpture and the taut strength of a stretched sail, in contrast with the stone base resting in a pool of water to symbolically evoke the global position of the Korean peninsula. The entrances to the complex were designed to carefully define their main function, making it easier for users to comfortably reach their destination. In addition to the entrances for the building's theatre and museum, the podium also contains retail areas, a ballroom and convention facilities. All these areas are set around a curving gallery that starts at the building’s entrance plaza and winds along the water boundary before entering the museum over on the south-east side of the podium. The architects Kohn, Pedersen and Fox have designed the tower working carefully around the sequential layout of floors inside the building. The office areas— although situated on the lowest levels they create the most elevator traffic—have been placed in the bottom section of the tower. The plan provides for large open office spaces set across the fourteen meters between the perimeter and center of the tower. The residential apartments, on the other hand, are situated in the top section of the tower. These floors share an atrium that lets natural light into the internal corridors, creating a striking public area and focusing attention on the private residential quarters. The hotel lobby is situated on the fifty-first floor and can be reached by a group of shuttle elevators from the ground floor. The layout of the hotel floors is similar to the apartments below and provides a common atrium enhancing the sense of collective space that affords one of the best views of the mountain range and the Pusan skyline. The tower culminates in a large observation room, a striking venue served by a high-speed elevator from the first-floor lobby and other elevators that connect the various floors of the hotel.

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Prospetti, sezioni e piante. Elevations, sections, and plans.


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Pagina a fianco, prospetto nord. Opposite page, north elevation.

Rendering della galleria alla base della torre e dell’ingresso al museo.

Rendering of the arcade at the foot of the tower and entrance to the museum.

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Rendering di alcuni interni del complesso. Rendering of some interiors.

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Un gigante contro la globalizzazione A Giant against Globalization Singapore, il Concourse Singapore, The Concourse Progetto di Paul Rudolph Architects Project by Paul Rudolph Architects

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Il complesso polifunzionale del Concourse: l’edificio occupa una superficie di circa 70.000 mq e comprende una torre per uffici di 41 piani, un hotel-residenza e un centro commerciale. The Concourse, a multi-purpose building covering an area of about 70,000 square meters and encompassing a 41-story office block, a hotel-residence, and shopping mall.

rolifico progettista di grandi strutture, Paul Rudolph ha realizzato nell’ultimo ventennio una trentina di progetti di complessi residenziali e edifici per uffici soprattutto a Jakarta, Hong Kong e, ultimamente, anche a Singapore. Specializzato in grandi complessi multifunzionali in cui è sempre presente un edificio a torre, per Paul Rudolph il grattacielo rappresenta la tipologia architettonica più evoluta, un’occasione per applicare le tecnologie costruttive più innovative. In effetti, l’edificio a torre, oltre a veicolare un’immagine tecnologica, è anche in grado di risolvere problemi di particolare densità abitativa in centri urbani come le grandi metropoli asiatiche, ultimamente interessate da uno straordinario sviluppo edilizio. Complesso multifunzionale di circa settantamila metri quadrati, il Concourse è costituito da tre principali blocchi edilizi: la torre per uffici, alta quarantuno piani; un hotel-residence di ottantasette unità abitative e un centro commerciale disposto su tre livelli. La storia del Concourse inizia alla fine degli anni Settanta con un concorso vinto da Paul Rudolph, bandito dall’Urban Redevelopment Authority di Singapore. A causa della recessione economica locale sopraggiunta in quegli anni, la costruzione fu interrotta e, qualche anno più tardi, la committenza pretese alcune modifiche al progetto originale, mantenendo solo quanto era già stato costruito (opere di fondazione e parziale completamento dei piani inferiori). Nella seconda versione progettuale, il complesso accentua alcuni caratteri vernacolari, come per esem-

pio i rimandi alla pagoda cinese; la configurazione planimetrica ottagonale riecheggiante la simbologia numerale; e i numerosi pilotis che, oltre a essere un omaggio al Razionalismo lecorbuseriano, rimandano alle case sull’acqua, tipologia diffusissima in tutta l’Asia. Dal punto di vista del linguaggio, la scelta dei pilotis è stata per Rudolph una necessità compositiva in quanto in grado di alleggerire la base dell’edificio, creando un senso di levità e realizzando un effetto chiaroscurale di notevole suggestione. Sul piano compositivo generale, l’obiettivo era di raccordare armoniosamente due volumi morfologicamente agli antipodi come i corpi bassi e l’edificio a torre. Operazione pienamente riuscita, grazie alla decisa articolazione orizzontale dell’insieme. Questa soluzione, oltre a rapportare le diverse tipologie compositive, si è poi rivelata un’efficace struttura protettiva capace di riparare gli spazi interni dalla forte radiazione solare presente a quelle latitudini. Nonostante il paesaggio urbano di Singapore sia ormai costellato di alti grattacieli con forti velleità moderniste, è evidente l’originalità architettonica espressa dal complesso multifunzionale progettato da Paul Rudolph. La felice commistione fra passato e contemporaneità si contrappone, infatti, a uno skyline di forte matrice occidentale che elude quei caratteri vernacolari che meriterebbero di essere reinterpretati attraverso un linguaggio di maggior raffinatezza compositiva, affinché l’ondata globalizzatrice non finisca per azzerare definitivamente una cultura antichissima e di straordinario valore artistico.


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Dall’alto in basso, planimetria generale; particolare dell’ala riservata alle unità abitative; ingresso del complesso che si apre sotto uno spazio delimitato da alti pilotis. Nella pagina a fianco, il sistema di pilotis che sostiene il grattacielo scoprendo il nucleo centrale dell’ingresso.

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From top to bottom, site plan; detail of the wing hosting the housing units; the entrance to the complex opening up beneath a space bordered by tall pilotis. Opposite page, the pilotis system holding up the skyscraper and revealing the entrance’s central core.

s a prolific designer of major structures, Paul Rudolph has designed over the last two decades about thirty projects for housing complexes and office blocks, mainly in Jakarta, Hong Kong and, most recently, Singapore. As a specialist in large multi-purpose complexes inevitably featuring a tower, Paul Rudolph sees skyscrapers as the most highly developed work of architecture providing the opportunity to apply the latest building technology. There is no doubt that, as well as projecting a high-tech image, towers can also solve housing problems in urban centers such as the big Asian cities that have recently seen a rapid growth in building development. The Concourse, a multi-purpose complex covering approximately 70,000 square meters, is made of three main building blocks: a 41-story office tower; an 87unit hotel-residence; and a three-level shopping mall. The history of The Concourse began back in the late1970s with a competition organized by the Singapore Urban Redevelopment Authority and won by Paul Rudolph. Due to the local economic recession at the time, building work was halted and, a few years later, the client demanded a number of alterations to the original design, only keeping what had already been built (sub-structures and partial completion of the lower levels). The second version of the project features several clear vernacular traits, for instance a design alluding to Chinese pagodas; an octagonal building plan echoing numerical symbology; and the numerous pilotis which are not just a homage to Le Corbusier-style Rationalism but also evoke the homes built over water found all over Asia. As regards the design idiom, placing the tower on pilotis was, in Rudolph’s view, a stylistic device to lighten the building base, creating a sense of lightness and a striking chiaroscuro effect. In terms of overall style, the plan was to knit together structures morphologically poles apart (the low buildings and the high tower block). This was achieved successfully through the strong horizontal articulation of the enclosure. As well as bringing together various styles, it also proves to be an effective protective structure ideal for sheltering the interiors from the strong sunlight found at these latitudes. Despite the fact that Singapore’s skyline is full of tall buildings with distinctly modernist pretensions, Paul Rudolph’s multi-purpose complex shows real architectural originality. A favorable blend of past and present contrasts with the very western skyline lacking in vernacular traits that ought to be reintegrated as a stylistic idiom so that the wave of globalization does not drown out once and for all the incredible artistic value this ancient culture has to offer.

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In queste pagine, dettagli del sistema di bow-window che definisce gli affacci delle unitĂ abitative riprendendo il ritmo compositivo degli elementi orizzontali della torre.

These pages, details of the bow-window system marking the fronts of the housing units and drawing on the same stylistic pattern as the tower’s horizontal elements.


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Sessanta piani di tecnologia Sixty Floors of Technology Francoforte, quartier generale Commerzbank Frankfurt, Commerzbank Headquarters Progetto di Foster & Partners Project by Foster & Partners

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Vista generale della nuova sede centrale della Commerzbank a Francoforte che, con i suoi 258 m, è una delle più alte d’Europa.

General view of the new headquarters of the Commerzbank in Frankfurt, which at 258–meters high is one of the tallest in Europe.

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Skyline di Francoforte con la nuova torre. Nella pagina a fianco, l’impatto del nuovo grattacielo sull’ambiente urbano circostante. The Frankfurt skyline showing the new tower. Opposite page, the impact of the new skyscraper on the surrounding cityscape.

uasi sempre in opposizione al suo intorno urbano, alle coordinate temporali e territoriali, il grattacielo è una presenza ineludibile ma anche uno schema quasi sempre cristallizzato in un’immagine consueta e ripetitiva di edifici a torre del passato. Il grattacielo sede della Commerzbank di Francoforte inserisce invece soluzioni innovative sia sul piano linguistico sia nello sfruttamento delle risorse naturali. Nell’economia estetica dello skyline di Francoforte, la nuova torre si impone soprattutto per la sua forte identità plastica attraverso una complessa articolazione di volumi pieni alternati a grandi vuoti di particolare suggestione. Merito di una matrice compositiva ottenuta attraverso blocchi contrapposti di dodici piani ciascuno, saldamente ancorati al sistema di piloni strutturali presente nei tre vertici dell’edificio. Ogni blocco dispone di propri disimpegni verticali e il tutto è caratterizzato da una progressione di giardini pensili, le cui essenze variano secondo l’orientamento dei tre lati e delle diverse quote rispetto al piano strada. A esaltare la variegata composizione concorre soprattutto l’impiego di pannellature di vetro laminato che, oltre a fornire lucentezza all’edificio, ha lo scopo di renderlo trasparente ai radar, una specifica normativa delle autorità preposte alla sicurezza dei trasporti aerei. Si è dunque fatta molta attenzione oltre che alla configurazione volumetrica anche alle performance della “pelle” dell’involucro architettonico, studiato per offrire un evoluto sfruttamento delle energie naturali. Due stra-

ti sovrapposti, intervallati da un’intercapedine aerata, assicurano un’adeguata protezione all’irraggiamento solare e, grazie alla particolare inclinazione, fungono anche da barriere antivento e impediscono il passaggio delle acque meteoriche. Il particolare sistema di serramenti interni, realizzato con vetri termocamera assicura un comfort di grande qualità insieme a un notevole risparmio energetico: un valido contributo per un’architettura sostenibile senza compromessi. Configurata come una torre per uffici, Commerzbank è in realtà una struttura in cui convivono spazi privati e luoghi pubblici che ben si inseriscono nell’immediato intorno. Il progetto, fra i vari aspetti positivi, ha poi il merito di aver saputo ricostituire la continuità della cortina stradale sul fronte della piazza storica antistante con una serie di strutture di altezza analoga agli edifici esistenti, mentre il lato opposto è caratterizzato da un’ampia gradinata che apre un varco verso l’entrata principale e le varie funzioni di carattere commerciale, accolte all’interno della base del complesso. Sulla carta, Commerzbank, grazie alla sua spettacolare forza iconica poteva risultare un intervento fortemente invasivo, un’occasione “elettoralistica” imposta dall’amministrazione comunale eludendo l’opinione dei cittadini. In realtà, Foster ha saputo equilibrare il difficile rapporto fra dimensione e qualità compositiva, realizzando un’architettura capace di contrassegnare un’epoca in cui la tecnologia si è felicemente ibridata con il linguaggio della contemporaneità.


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Base dell’atrio vetrato al centro della torre. Base of the glass lobby in the middle of the tower.

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oday the skyscraper, which is undoubtedly an ineludible and striking presence on the urban landscape, still too often features a design embodying the rather conventional and repetitive image of existing ancient towers. However, the skyscraper hosting the headquarters of the Commerzbank in Frankfurt proposes some innovative features and novel ways of using natural resources. The tower’s powerful silhouette stands prominent in the Frankfurt skyline due to an intricate design of alternating solid mass with large voids creating a striking feature. This structure is made possible by the use of alternating 12-story blocks firmly anchored to a system of pylons at the top of the three buildings. Each block has its own system of elevators and staircases and is embellished by a gradual progression of hanging gardens, where the planting varies according to the orientation of the three sides and their different heights in relation to street level. The use of laminated glass panels emphasizes this multi-faceted composition, adding brightness to the entire building and making it easily identifiable to radars, as specifically requested by the air transport authorities. Much care was taken not only over the structural design of the building’s exterior but also over its technical performance in terms of the cutting-edge use of natural energy. Two overlapping layers, separated by a ventilated cavity, ensure adequate shelter from sunlight and, thanks to a tilt-turn mechanism, act as a windbreak, and prevent leakage from rainwater. The unique system of interior fixtures fitted with double glazing guarantees real comfort and genuine energy savings, a definite contribution to sustainable architecture. Designed as an office tower, the Commerzbank is a structure combining private and public areas, which merge with the surrounding environment. For instance, the project is notable for the way it has recreated a certain continuity at street level along the old square in front of the new skyscraper through the construction of a small group of buildings of the same height as their older counterparts. The opposite side features a long flight of steps opening up a large space by the main entrance with various retail facilities concentrated inside the base of the complex. On paper, the iconic design of the Commerzbank could have resulted in a highly invasive design, an “election-oriented” opportunity initiated by the local authorities eluding local public opinion. However, Foster has managed to find a delicate balance between size and quality of design, creating architecture that marks a period in which technology has successfully hybridized with contemporary idioms.


Particolare del grande pozzo di luce. Details of the large well of light.

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Uno degli angoli progettati da Per Arnoldi. One of the corners designed by Per Arnoldi.


Particolari di uno dei “Giardini mediterranei” e delle vetrate dei giardini d’inverno.

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Details of one of “Mediterranean Gardens” and glass windows of winter gardens.


Particolari del “Giardino Asiatico” e delle vetrate divisorie. Details of “Asian Garden” and glass windows acting as partitions walls.

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Microcittà nella grande metropoli Micro City in the Big City San Francisco, Embarcadero Center West San Francisco, Embarcadero Center West Progetto di John Portman & Associates Project by John Portman & Associates

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a storia progettuale di Portman si può condensare in un concetto piuttosto articolato, in cui la nozione di architettura si arricchisce di valenze socio-economiche: negli Stati Uniti realizzare operazioni immobiliari ad alto reddito non sempre significa impoverire le risorse collettive. E il caso dell’Embarcadero Center dimostra che lo sviluppo sociale attuato attraverso il rinnovo urbano deve privilegiare non singoli luoghi bensì l’accorpamento di spazi monofunzionali, organizzati in grandi complessi polivalenti. Tali operazioni tuttavia necessitano non solamente di un intervento attuato attraverso progetti di guru dello star system dell’architettura, ma devono anche tener conto dell’importanza della promozione e creazione di sinergie economiche e gestionali filtrate dalla professionalità di architetti esperti nella programmazione di grandi complessi urbani. L’Embarcadero Center con il suo completamento attorno all’edificio della Federal Reserve Bank, anch’esso rinnovato, offre alcuni spunti sulla validità delle scelte urbanistiche e architettoniche di uno dei maggiori architetti americani. L’area d’intervento occupa cinque isolati e comprende cinque torri per uffici, due alberghi e una galleria commerciale. Il tutto costituisce un notevole organismo completamente permeabile ai flussi degli utilizzatori e alla sequenza di tutte le funzioni di un grande centro urbano. Impostate come estensioni degli spazi collettivi esterni, le entrate degli edifici e degli alberghi sono concepite come punti di contatto in cui i flussi pedonali

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Planimetria generale e veduta verso sud-ovest dell’Embarcadero Center West. Site plan and view of the Embarcadero Center West toward the south-west.

favoriscono momenti di incontro e di sosta; a ciò si aggiungono giardini pensili e passerelle oltre il piano stradale, bar all’aperto, terrazze e giochi d’acqua, ma anche pedane per piccoli spettacoli e mostre d’arte temporanee contribuiscono a creare un luogo a misura d’uomo attraverso la piacevolezza di un paesaggio urbano fra il naturalistico e l’artificiale di qualità. Tutta la nuova area di intervento attestata sulla piazza si propone come luogo frutto di una sequenza di spazi accomunati da una stessa visione compositiva, in rapporto diretto con la città, evitando però il consueto schema del centro commerciale, una struttura conclusa che impedisce la comunicazione con il suo intorno. L’area in questione per l’accresciuta intensità di funzioni avrebbe potuto subire fenomeni di congestione e riduzione degli spazi pubblici; in realtà ciò non è avvenuto grazie al controllo e alla saggia distribuzione dei percorsi e alla particolare disposizione delle aree comuni, organizzate secondo uno schema in cui pubblico e privato sono interagenti, pur conservando le proprie specificità e competenze. Portman ha dunque formulato un progetto in controtendenza, un avvicinamento fra due concezioni urbane sostanzialmente di segno opposto. Infatti, l’idea generale è che le metropoli statunitensi sono luoghi di grande dinamicità privi però di una forte identità e quindi poco inclini a favorire quello scambio sociale presente invece nelle città europee, dove la permanenza di schemi urbani storicamente stratificati induce a una maggiore coesione e interscambio fra le diverse classi sociali.


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Nella pagina a fianco, dettagli della facciata principale e, in basso, il Park Hyatt Hotel. In questa pagina, dal basso verso l’alto, prospetti est e ovest, sezione longitudinale, pianta del livello strada e prospetto sud della Commercial Street che si snoda su tre livelli collegando le gallerie sotto gli edifici.

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Opposite page, details of the main facade and, bottom, the Park Hyatt Hotel. This page, from the bottom up, east and west elevations, longitudinal section, plan at street level and south elevation of Commercial Street, which winds over three levels to connect the arcades beneath the buildings.

ortman’s design career can be encapsulated by his view that architecture has socio-economic implications: in the United States, realizing highly profitable real estate ventures does not necessarily mean depleting the community resources. The Embarcadero Center shows that social development implemented through urban renewal should not favor individual functions alone but group together a collection of services that can be organized into a large multi-purpose complex. These operations, however, do not just call for projects designed by the gurus of the architectural world, they must also involve the promotion and creation of combined economic and managerial synergies filtered through the professional expertise of architects skilled in planning major urban complexes. The Embarcadero Center, which envelops part of the redeveloped Federal Reserve Bank building, provides a gauge of the effectiveness of the town-planning and architectural guidelines adopted by one of America’s leading architects. The project area covers five blocks and contains five office towers, two hotels and a shopping mall. Together they form a notable composition permeable to crossflows of users and all the functions of a major town cen-

ter. The entrances to the complex and the hotels, designed as extensions to the external public areas, provide meeting points where pedestrians can interact and relax. There are also landscaped gardens and raised walkways, outdoor cafes, terraces and fountains. Platforms for performances and temporary art exhibits help to create a personal atmosphere in an urban setting that combines naturalistic and man-made settings. The entire project area around the square is a sequence of areas sharing the same design vision that directly interacts with the city rather than being the usual shopping mall type of structure cut off from the surrounding environment. With such a concentration of functions, the project ran the risk of being overcrowded, but due to a carefully controlled and intelligent layout of pathways and communal areas, where public and private areas interact, without compromising their own specific traits and purposes, the complex remains serene. Portman has designed a project that steps out of the mainstream, bringing together two conflicting views of a city. American cities are highly dynamic often lacking in identity and hence not inclined to foster the kind of social interaction found in European cities, where historically entrenched and enduring urban layouts encourage greater cohesion and integration of social groups.

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Veduta aerea del complesso. Aerial view of the complex.


Dettaglio dell’atrio. Detail of the lobby.

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La rampa della Commercial Street. The Commercial Street ramp.


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Atrio del Park Hyatt Hotel e, in basso, veduta da ovest del portale della rampa della Commercial Street. The lobby of the Park Hyatt Hotel and, bottom, view from the west of the gate to the Commercial Street ramp.


Megastrutture per il Terzo Millennio Mega-structures for the Third Millennium Tokyo, Millennium Tower Tokyo, Millennium Tower Progetto di Foster & Partners Project by Foster & Partners

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In questa pagina planimetria generale e pianta. Nella pagina a fianco, modello e sezione della Millennium Tower. Il complesso dovrebbe essere costruito su un’isola artificiale nella baia di Tokyo a circa due chilometri dalla costa. La torre è suddivisa in sei settori di trenta piani ciascuno, chiamati Sky Centers, che ospiteranno spazi pubblici e privati affacciati, all’esterno, su terrazze praticabili e, all'interno, su ampi spazi aperti, contrappuntati da mezzanini soprelevati e scale mobili di collegamento. La parte “utile” dell’edificio è alta 600 m, mentre l’ultima sezione, in cui la struttura elicoidale che cinge l’intera torre è trasparente, tocca gli 840 m. This page, site plan and building plan. Opposite page, model and section of Millennium Tower. The complex is planned to be built on a manmade island in Tokyo Bay about two kilometers from the coast. The tower is divided into six 30-story sectors called Sky Centers, which will hold public and private areas facing onto accessible terraces on the outside and wide open spaces on the inside, counterbalanced by raised mezzanines and connecting escalators. The “useful” part of the building is 600 meters high, while the top section, where the helicoidal structure wrapping round the entire tower is actually transparent, reaches a height of 840 meters.

rescente mancanza di spazi e conseguente crisi della metropoli postindustriale hanno da tempo favorito ricerche destinate a risolvere il problema attraverso megastrutture in grado di concentrare al proprio interno molteplici funzioni onde ottenere unità autonome e ampliabili nel tempo. La Millennium Tower è una soluzione possibile che tiene conto di svariati decenni di ricerche, un’alternativa in grado se non di impedire almeno di limitare la mostruosa crescita di alcune metropoli asiatiche giunte ormai, come nel caso di Tokyo, a un drammatico punto di non ritorno. Obiettivo principale del progetto era di ottenere un grande condensatore di energie umane entro una struttura di straordinarie dimensioni, ma realizzare contemporaneamente una volumetria elementare per un minore impatto sull’intorno, un segno essenziale e di immediata riconoscibilità. Risultato: una torre conica ottenuta impiegando una struttura a traliccio spiraliforme alta seicento metri, pari a tre Tour Eiffel sovrapposte o a due Sears Tower messe una sull’altra. Cercando riferimenti a opere precedenti, si può trovare qualche rimando alla torre di John Portman realizzata negli anni Ottanta per il porto di Genova; va tuttavia considerato che la ricerca dei precedenti non appartiene alle procedure progettuali di Sir Norman Foster, che in questo caso ha pensato a un volume rastremato verso l’alto come alla soluzione più efficace dal punto di vista statico, e di conseguenza con costi di realizzazione abbastanza contenuti. Per un architetto come Foster di matrice hi-tech, l’architettura è soprattutto soluzione di problemi legati all’abitare, al territorio nelle sue più ampie declinazioni funzionali, quindi la scelta del linguaggio, l’originalità della composizione sono elementi di secondo piano e, comunque, una conseguenza diretta dell’impiego più appropriato della tecnologia di costruzione. In questo progetto Foster ha soprattutto puntato su uno spazio abitabile in grado di accogliere organicamente numerose funzioni complesse, evitando sovrapposizioni e rallentamenti reciproci. Ha trovato la soluzione più idonea per concentrare in uno spazio relativamente ridotto una comunità di circa cinquantamila persone destinata a produrre lavoro e insieme fruire di strutture per lo svago, lo sport, il consumo di merci e servizi, come se vivesse all’interno di una media città europea. La Millennium Tower è una città del futuro ibridata con forme mediate dal mondo marino: si presenta come un faro oceanico attorniato da un sistema di servizi in forma di piccole isole disseminate a creare spazi dedicati ad attività culturali e ricreative.

L’interno del “faro” si articola in una serie di collegamenti e connessioni costituenti una struttura polifunzionale di straordinaria densità. Pubblico e privato si compenetrano senza però creare dissonanze funzionali, il tutto ottenuto attraverso una distribuzione degli spazi estremamente flessibile in cui si alternano aree destinate a impieghi commerciali, produttivi e di servizio. Alla residenza sono stati dati gli spazi più a contatto con la vita urbana sottostante per ottenere un più facile flusso di rapporti con l’intorno urbano di Tokyo.


ARCHITETTURA: LO STUDIO-AZIENDA ARCHITECTURE: THE STUDIO-FIRM

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Pagina a fianco, scala comparativa dell'altezza della torre in rapporto con altri edifici alti sparsi nel mondo; in basso, particolare della base della torre con il porticciolo, del diametro di 400 m, racchiuso da dighe di protezione. Tutto questo settore è dedicato a servizi pubblici per il tempo libero e per il divertimento. All'interno della torre, sul lato sud, si apre una grande piazza da cui si può ammirare il mare e lo svolgersi delle attività del porticciolo. Opposite page, comparative scale of the height of the tower in relation to other tall buildings around the world; bottom, detail of the base of the tower with a marina measuring 400 meters in diameter enclosed by protective dams. This entire sector is devoted to public leisure and entertainment facilities. Inside the tower, over on the south side, there is a large plaza affording a great view of the sea and the marina.

n increasing lack of space and consequent crisis in the post-industrial metropolis have for some time now encouraged research into solving the problem by designing multi-functional mega-structures that provide self-contained units incorporating room for expansion. The Millennium Tower is a possible solution that takes into account dozens of research programs. A viable alternative which, while obviously not preventing the monstrous rate of real estate development seen in some large Asian cities, the tower can at least harness it to some extent, bearing in mind that cities like Tokyo have already reached a dramatic point of no return. The main aim of the project was to create a huge condenser of human energy in a structure of staggering proportions, while at the same time to design a simple construction with minimal impact on its surroundings, a distinctive and instantly identifiable landmark. The resulting design is a cone-shaped tower with a spiral framework 600 meters high, equal to three superimposed Eiffel Towers or two Sears Towers. If we want to look for similarities with previous designs, a comparison could be made with the tower designed by John Portman built in the port of Genoa in the 1980s; but it ought to be pointed out that looking for precedents is not Sir Norman Foster’s style. In this case, he has designed a tower that decreases in proportions as it rises as the most effective solution from a static viewpoint, thereby also managing to keep down costs. For an architect like Foster influenced by hi-technology, architecture is fundamentally a relationship between dwelling space and the land in the wider sense of all its functions. This means the choice of design idiom and originality of the overall composition are secondary factors and are a direct consequence of making better use of building technology. In this project Foster has focused above all on designing habitable space capable of encompassing a range of complex functions, avoiding overlaps and reciprocal handicaps. He has come up with the ideal solution for concentrating a work force of about fifty thousand people in a relatively confined space, providing them with leisure, sports, retail, and other facilities as if they were living in an average European city. The Millennium Tower is a city of the future hybridized with forms belonging to the marine world: it is reminiscent of an ocean lighthouse, surrounded by a system of services resembling tiny islands that offer cultural and recreational activities. A number of links and connections inside the “lighthouse” help to form an incredibly dense multi-purpose structure.

Public and private areas are interwoven without creating functional discordance, all achieved through an extremely flexible spatial layout in which retail, production and service areas combine. The residential spaces are arranged in the lower levels to encourage close contact with its urban surroundings to foster a smoother relationship.


OCCHIO AI GIGANTI MIND THE GIANTS

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Fotomontaggio con l’inserimento del complesso nel tessuto urbano. Photo-montage showing how the complex knits into the urban fabric.

he design for the new seat of the Lombardy Regional Government will certainly make the Lombardese feel at home. The design makes reference to plenty of historical stereotypes and deeply entrenched contextual ideas: the skyscraper draws on the lines of the bell towers found all over the Po Valley, while the large covered plaza is a modern rendition of the Vittorio Emanuele Arcade, a real icon in Milan’s collective psyche. The winning project for the Lombardy Regional Government Building is in line with orthodox contextualism that expects all urban-scale projects to mirror their surroundings. The other projects that entered the competition were quite different in this respect; for instance Frank O. Gehry’s design, resembling a destructured piece of origami; or the project designed by the Italian firm Metrogramma, which offers a seemingly translucent building as a metaphor for administrative transparency; or Hans Kollhoff’s protomodern project. This contextualism was one of the fundamental criteria clearly set out in the competition brief, which also included the need to integrate the new complex with the current seat of the Lombardy Regional Government offices, the Pirelli Tower—designed by Gio Ponti in the 1950s-60s and nicknamed the “Pirellone” by the Milanese—in which the new building finds “elements of significant and direct architectural dialectics.”

The new Lombardy Regional Government building can certainly claim to have been designed with the internal layout being the priority, in other words, to be “inhabitable.” An elaborate urban structure furbished with various spatial features further accentuated by the striking contrast between the lower section—a wavy structure looking to fit neatly in with the road traffic— and the tower itself, which is reminiscent of a huge twin blade looming above the city. This powerful landmark breaks a long period of stagnation that has lasted over forty years. The “Pirellone,” together with the Velasca Tower, marked the end of an architecturally important period for the city. Everything about the new design plays on concave and convex planes, so the new complex manages to reshape the skyline, clearly highlighting its own role as a cuttingedge symbol of a large city looking to the future. In addition to providing a reassuring piece of architecture for all those not yet ready to accept a revolutionary design idiom, the winning project also has another trump card up its sleeve: it is cheaper to run than the project designed by Gehry that is innovative but complex in terms of both its construction and management. Two guiding principles emerge from the winning project. Firstly, the creation of an adaptable, efficient complex; secondly, the endeavor to move beyond the city through a sinuous form evoking Lombardian landscapes with the alternation of plains and mountains.


uno sviluppo industriale che, soddisfacendo i bisogni del presente, salvaguardi le prospettive sociali, economiche e ambientali delle future generazioni”. Proprio sul futuro che attende l’industria italiana, Carlo Pesenti, nel corso della manifestazione, ha invitato Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, e Savino Pezzotta, segretario generale Cisl, a un faccia a faccia, coordinato da Antonio Calabrò, editorialista e direttore di ApCom, su “Le nuove sfide per il sistema industriale: vincoli e opportunità”. È seguito l’intervento di Andrea Moltrasio presidente dell’Unione Industriali di Bergamo su “Bergamo, imprese oltre i confini”. A chiusura della manifestazione, a Giampiero Pesenti è stata consegnata da Loïc Hennekinne, ambasciatore francese in Italia, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore conferitagli lo scorso luglio dal presidente della Repubblica francese Jacques Chirac per l’impegno sostenuto a favore della cooperazione franco-italiana che ha portato alla creazione di un gruppo mondiale, frutto dell’acquisizione di Ciments Français da parte di Italcementi nel 1992. “Italcementi guarda con serenità e orgoglio l’acquisizione di Ciments Français condotta 12 anni fa” ha dichiarato Giampiero Pesenti nel ricevere il prestigioso riconoscimento, “un’operazione che ci ha dato l’opportunità di integrare le nostre rispettive culture per realizzare dapprima un difficile piano di ristrutturazione e, successivamente, portare avanti un importante programma di crescita e di espansione in Europa e nel resto del mondo. Sono fiero di questa onorificenza che, seppure accordata a titolo personale, sento nell’animo di condividere con tutte le persone che hanno lavorato al mio fianco per realizzare questo grande progetto”.

Cemento e della Calce Idraulica was established in 1864. Since then, we have met with courage and passion all the challenges faced down the generations—this is now the fifth—leading the company to become the fifth largest group in the cement sector, operating in 19 countries.” he Fondazione Italcementi Carlo Pesenti (1907-1984) was Cavaliere del Lavoro Carlo one of the leading exponents on Pesenti was officially the Italian post-war industrial launched on 27th November as and financial scene. The son of the closing event of the Augusto, one of the four Pesenti year-long celebrations for brothers who originally Italcementi’s 140th anniversary. established the firm called Fratelli Pesenti fu Antonio, Carlo was the third Message from Italian President generation of the Carlo Azeglio Ciampi family along the The inauguration ceremony of the Fondazione cement group’s 140 Italcementi – Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti year history. commemorated the dedicated work of an “Our model of growth international group that has been a leader in its and development sector for the last 140 years. must continue to Italcementi, originally established as a small family focus on training and firm that made its name performing the kind of civil research.” Giampiero engineering that formed the basis of Italy’s civilindustrial development last century, has continued Pesenti stated. down the various generations of the Pesenti family “Italcementi already to contribute to the nation’s growth. has a lengthy tradition in this field. Our The Foundation’s objectives are to safeguard the environment and landscape, ensure safety at work, research center for and provide sustainable growth. product development These targets are to be achieved by focusing on has a long history of research and training to make our production system more competitive in Europe and the rest of the proactive collaboration world. with some of the leading national and Well aware of the great importance of this event, I international would like to send my best wishes to you, Mr. President, Mr. Giavazzi, and everybody else in universities and attendance. institutes.” Carlo Azeglio Ciampi In this respect, the Foundation will The ceremony took place at the promote the development of Donizetti Theater in Bergamo in synergies and partnerships, the presence of prominent through the provision of grants representatives of the as well, to support and develop industrial/financial community research institutes, associations and the political world, national and other Italian or foreign and local. foundations working to achieve The mission of the Foundation, the same goals as the as outlined by Giampiero Foundation. Pesenti, Chairman of Italcementi, The Foundation—a joint and Giovanni Giavazzi, initiative of Italcementi and Chairman of the Foundation, is Italmobiliare—will be managed to support and promote by a Board of Directors chaired scientific research and education by Giovanni Giavazzi, with paying particular attention to the Giampiero Pesenti as Vice sustainable socio-economic Chairman, and will consist of a development of businesses maximum of 9 members. The compatible with the Board of Directors, on proposal conservation and careful use of of the Chairman, will be entitled natural resources and ethical, to appoint a Scientific social and cultural growth of Committee to back up the local communities. Foundation’s operations. “Italcementi and Italmobiliare Established as an autonomous, decided to establish this independent non-profit Foundation in memory of my organization, the Foundation will father,” Giampiero Pesenti support—either directly or stated, “to encourage scientific through conferences, seminars, research and education: this is essays, or publications—scientific what is now guiding our work, research and technological 140 years after our company’s innovation for the founding.” He went on to say: socio-economic development of “The Società Italiana Bergamasca local communities. per la Fabbricazione del As Carlo Pesenti, CEO of

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Italcementi, pointed out during the ceremony, “the responsibility deriving from sustainable development will force companies to face new challenges, quite different in nature and complexity than in the past.” “There is a growing need to respect the triple bottom line of sustainable development which refers to the need for corporations to be accountable for their social and environmental as well as financial performance. In this respect, business growth must meet the needs of the present while safeguarding the social, economic and environmental prospects of future generations.” On the subject of the future of Italian industry, Carlo Pesenti invited Luca Cordero di Montezemolo, President of Confindustria (the Italian Industry Association) and Savino Pezzotta, Secretary General of CISL (the Italian Trade Union Confederation) for a face-toface—chaired by Antonio Calabrò, a columnist and Director of ApCom—on “The new challenges for the industrial system: constraints and opportunities.” There followed a speech by Andrea Moltrasio President of the Bergamo Province Industrial Union on “Bergamo, enterprises beyond borders.” As the closing ceremony of the event, Giampiero Pesenti received Loïc Hennekinne, the French Ambassador to Italy, who conferred on him the medal of Knight of the Order of the Legion of Honor. The decree was issued by French President Jacques Chirac, last July, in recognition of Mr Pesenti’s commitment to French-Italian co-operation, by the creation of a worldwide group, the fruit of the acquisition of Ciments Français by Italcementi in 1992. “Today, Italcementi can look back with quiet satisfaction at the transaction conducted in France twelve years ago,” so Giampiero Pesenti stated when accepting this prestigious honor, “this acquisition gave us the opportunity to combine our respective cultures to first accomplish a complex restructuring program and then to move ahead with our strategy for growth and expansion in Europe and the rest of the world. I take great pride in this honor, which has been conferred as a personal award, but which, in my heart, I share with all those people who worked by my side to complete this great project.”

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Il presidente della Camera al concerto per i 140 anni di Italcementi President of the Italian Parliament at the Concert to celebrate Italcementi’s 140th Anniversary

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140 anni di storia di un’azienda sono una data importante che deve essere celebrata in modo adeguato. Nel corso del 2004 Italcementi ha voluto festeggiare questo avvenimento attraverso una serie di iniziative rivolte in modo particolare alla città di Bergamo perché, per usare le parole del presidente Giampiero Pesenti, “siamo internazionali, ma il nostro cuore è in questa città”. L’inaugurazione della nuova cementeria di Calusco nella primavera 2004 è stata la prima iniziativa, seguita poi il 10 giugno dal Concerto al Teatro Donizetti e il 27 novembre dalla presentazione della “Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti”, per finire con la pubblicazione del II Volume della Storia di Italcementi, curato dalla professoressa Vera Zamagni, che propone la storia della società sino ai primi anni Novanta raccogliendo le fila del I Volume dedicato al periodo dalla fondazione nel 1864 al 1927. La serata di gala tenutasi il 10 giugno al Teatro Donizetti di Bergamo ha rappresentato un momento di alto livello culturale a sottolineare l’importanza del connubio tra cultura e impresa. Il violinista Uto Ughi e l’Orchestra del Festival Pianistico di Brescia e Bergamo, diretta da Pier Carlo Orizio, ha eseguito musiche di Rossini, Beethoven e Mozart di fronte a una nutrita platea di appassionati e rappresentanti del mondo politico ed economico nazionale e bergamasco. L’invito di Giampiero Pesenti e del figlio Carlo, neo consigliere delegato, è stato accolto dal presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, il cui arrivo è stato salutato dall’inno nazionale italiano. Durante il saluto alla cena di gala, il presidente Casini ha sottolineato che “Bergamo è una città dove il rapporto con l’industria si salda in maniera

sana e costruttiva, come nel caso di Italcementi e della famiglia Pesenti, dinastia che affonda le sue radici nella tradizione del capitalismo italiano, e la cui serietà e professionalità le hanno permesso di tagliare un traguardo così importante come i 140 anni”. Ricco il parterre presente alla cerimonia: tra gli altri, il prefetto di Bergamo Giuseppe Federico Cono, il questore Giuseppe Messa, il sindaco Cesare Veneziani, il presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli, il presidente di Mediobanca Gabriele Galateri di Genola, il presidente di BPU Emilio Zanetti. Tra i nomi di spicco anche Cesare, Maurizio e Piergiorgio Romiti, Giorgio Fossa, Guido Roberto Vitale (RCS), Carlo Buora (Pirelli), Edoardo Garrone (ERG), Salvatore e Jonella Ligresti (Premafin), Domenico Bosatelli (Gewiss), Francesco Merloni (Merloni Termosanitari), Massimo Capuano (Borsa Italia), Giancarlo Cerruti (Officine Cerruti) e molti rappresentanti del mondo economico e finanziario. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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company’s 140th anniversary is an important date that ought to be celebrated properly. Italcementi chose to celebrate this landmark throughout 2004 by organizing a number of events focused in the city of

Bergamo, because, to quote the company Chairman, Giampiero Pesenti, “we are international, but our heart is in this city.” The first event was the official opening of the new Calusco cement plant in spring 2004. It was followed by a Concert held at the Donizetti Theater on 10th June and the official launch of the “Fondazione Italcementi Cavaliere del Lavoro Carlo Pesenti” on 27th November. Finally, the celebratory year was brought to a close with the publication of the 2nd Volume of the History of Italcementi—written by Professor Vera Zamagni—that looks at the company’s history through to the early-1990s, taking up where Volume 1, dealing with the period from 1864-1927, left off. The gala evening held on 10th June at the Donizetti Theater in Bergamo was a discerning event emphasizing the importance of establishing relationships between culture and business. The violinist Uto Ughi and the Orchestra of the Brescia and Bergamo International Piano Festival, conducted by Pier Carlo Orizio, performed pieces by Rossini, Beethoven and Mozart before a packed audience of music lovers and leading figures from the worlds of politics and economics from Bergamo and the rest of Italy. The President of the Italian Parliament Pier Ferdinando Casini, accepted the invitation by Giampiero Pesenti, Chairman

of Italcementi, and his son Carlo, the newly appointed CEO, and his arrival was greeted by the Italian national anthem. When addressing the gala dinner audience, President Casini emphasized that “Bergamo is a city with strong and constructive relationships with industry, as exemplified by Italcementi and the Pesenti family, a dynasty deeply rooted in the tradition of Italian capitalism, and whose professionalism and integrity have enabled the company to reach the important landmark of its 140th anniversary.” The audience at the ceremony included such prominent figures as: the Prefect of Bergamo Giuseppe Federico Cono; the Police Commissioner Giuseppe Messa; the Mayor Cesare Veneziani; the Chairman of Banca Intesa Giovanni Bazoli; the Chairman of Mediobanca Gabriele Galateri di Genola; and the Chairman of BPU Emilio Zanetti. Other leading names present included Cesare, Maurizio and Piergiorgio Romiti, Giorgio Fossa, Guido Roberto Vitale (RCS), Carlo Buora (Pirelli), Edoardo Garrone (ERG), Salvatore and Jonella Ligresti (Premafin), Domenico Bosatelli (Gewiss), Francesco Merloni (Merloni Termosanitari), Massimo Capuano (Borsa Italia), Giancarlo Cerruti (Officine Cerruti) and many representatives of the economic and financial worlds. Da sinistra, un momento della serata di gala: il presidente di Italcementi Giampiero Pesenti e il consigliere delegato Carlo Pesenti salutano il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. From left, at the gala evening: the Chairman of Italcementi Giampiero Pesenti and the CEO Carlo Pesenti greet the President of the Italian Parliament, Pier Ferdinando Casini. Il Maestro Uto Ughi. Maestro Uto Ughi.


Gli “stati generali” di Italcementi riuniti a Bruxelles Italcementi’s “Chiefs of Staff” gather in Brussels

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l gruppo Italcementi ha riunito dal 14 al 16 ottobre a Bruxelles 130 top manager in rappresentanza di tutte le società del gruppo che è presente in 19 Paesi del mondo tra cui Albania, Belgio, Bulgaria, Canada, Cipro, Egitto, Francia, Gambia, Grecia, India, Italia, Kazakistan, Marocco, Mauritania, Spagna, Sri Lanka, Thailandia, Turchia e Usa. L’incontro, che si tiene con cadenza annuale ospitato a turno nei principali Paesi in cui il gruppo è attivo, rappresenta un momento di sintesi e di analisi prospettica sui futuri scenari di sviluppo economico e politico in cui Italcementi Group si troverà a competere, ma rappresenta anche un‘occasione per condividere e discutere gli obiettivi di scelte strategiche di ogni filiale. L’appuntamento 2004 è stato in particolare dedicato agli impegni assunti da Italcementi Group in tema di sviluppo sostenibile, coerentemente con i valori dell’Agenda for Action del World Business Council for Sustainable Development, il programma sottoscritto con i principali operatori mondiali del settore del cemento. L’impegno di Italcementi in questo contesto, oltre alla realizzazione del primo Sustainable Development Report, si è focalizzato sull’analisi dello sviluppo sostenibile e del suo impatto a livello economico, sociale e ambientale, quest’ultimo anche alla luce dei recenti sviluppi dell’adesione al Protocollo di Kyoto da parte della Russia. Alla due giorni di lavori, coordinata dal consigliere delegato di Italcementi Carlo Pesenti, hanno poi portato un contributo di analisi importanti relatori del mondo accademico e dell’economia. Sergio Romano, in passato

ambasciatore italiano a Mosca e attualmente autorevole editorialista per numerose testate nazionali e internazionali tra cui il Corriere della Sera e Les Echos, ha affrontato il tema geo-politico di questo inizio di millennio e delle sue conseguenze sul piano economico, mentre Francesco Giavazzi, professore di economia politica presso l’Università Bocconi e visiting professor al MIT, ha allargato il raggio d’osservazione all’evoluzione del rapporto fra economia e finanza. Sulle tendenze macro-economiche più rilevanti nel breve periodo, Jeffrey Currie di Goldman Sachs ha messo sotto la lente gli scenari sul fronte dell’energia e delle materie prime, mentre Luigi Passamonti, senior advisor della Banca mondiale, ha presentato le prospettive di crescita dei Paesi in via di sviluppo, un’area in cui Italcementi Group è impegnata a rafforzare la propria presenza. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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he Italcementi Group convened 130 top managers in Brussels from 14th–16th October representing the group’s subsidiaries operating in 19 countries worldwide, including Albania, Belgium, Bulgaria, Canada, Cyprus, Egypt, France, Gambia, Greece, India, Italy, Kazakhstan, Morocco, Mauritania, Spain, Sri Lanka, Thailand, Turkey, and the USA. The meeting is held annually in a different country of the Italcementi Group network and provides the chance to take stock and analyze the prospective economic and political circumstances in which the Italcementi Group will be competing, as well as

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Da sinistra: Jeffrey Currie, Francesco Giavazzi, Sergio Romano, Filippo Maria Pandolfi, moderatore della Tavola Rotonda, Luigi Passamonti, Yves René Nanot e Rodolfo Danielli, rispettivamente CDO e COO di Italcementi Group.

From left: Jeffrey Currie, Francesco Giavazzi, Sergio Romano, Filippo Maria Pandolfi – Round Table Chairman –, Luigi Passamonti, Yves René Nanot and Rodolfo Danielli, respectively CDO and COO of Italcementi Group.

being an ideal opportunity to share and discuss each subsidiary’s strategic business targets. The 2004 event was mainly devoted to the Italcementi Group’s policies in relation to sustainable development in line with the World Business Council for Sustainable Development’s Agenda for Action, a program signed by the world’s leading cement manufacturers. In this respect, as well as publishing its first Sustainable Development Report, Italcementi focused its commitment to this concept by analyzing sustainable growth and its impact on economic, social and environmental levels, the latter partly in light of recent developments concerning Russia’s decision to sign the Kyoto Protocol. Prominent speakers from the academic and economic worlds provided important contributions to the two days’ proceedings coordinated by Italcementi’s CEO, Carlo Pesenti. Sergio Romano,

a former Italian Ambassador to Moscow and an authoritative contributor to many national and international newspapers and journals, such as the Corriere della Sera and Les Echos, looked at the geo-political situation at the start of this new millennium and its implications on an economic level. Francesco Giavazzi, a Professor of Economics at Bocconi University and Visiting Professor at MIT, widened the horizons to study developments in the relationship between economics and finance. With reference to the most significant short-term macro-economic trends, Jeffrey Currie from Goldman Sachs focused on issues related to energy and commodities, while Luigi Passamonti, Senior Advisor to the World Bank, outlined the growth prospects for developing nations, an area in which the Italcementi Group is committed to expand its business.


Halyps: 70° Anniversario e Olimpiadi Halyps: 70th Anniversary and Olympics

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l 2004 è stato un anno ricco di impegni e opportunità per Halyps, filiale greca di Italcementi Group. Ricorreva infatti il 70° anniversario dalla fondazione, avvenuta nel 1934 sotto il nome di S. KOTSIRAS & Co. Ltd. La Grecia ha ospitato, poi, dal 13 al 29 agosto i Giochi Olimpici e Halyps ha saputo cogliere questa opportunità coinvolgendo tutti i suoi settori di attività. Già dal 2002 le società del gruppo in Grecia hanno partecipato, in qualità di fornitori, ai diversi cantieri legati all’organizzazione di questo avvenimento, generando un considerevole volume di attività. In particolare, ET Beton in Attica e Domiki Beton a Creta, hanno fornito circa 770K m3 di calcestruzzo. 300K T di cemento e circa 2M T di inerti sono invece i dati relativi al contributo di Halyps Cement, società presente nel settore cemento e leader in Attica nel settore inerti con la cava più importante di tutto il Paese. Il ruolo svolto dalle filiali di Italcementi Group in Grecia ha riguardato la fornitura di materiale a cantieri direttamente legati all’organizzazione dei Giochi (Stadio Olimpico, Stadio di Beach Volley, Tae Kwon Do, impianti di basket e Canoa/Kayak) e ad altre infrastrutture la cui costruzione è stata comunque avviata nel quadro dell’organizzazione delle Olimpiadi in Grecia (autostrade, stazioni metropolitane, linee ferroviarie, ecc.). Infine, ma non per questo meno importante, il ruolo di Halyps in qualità di sponsor olimpico di un atleta handicappato per i Giochi Paralimpici nelle discipline del lancio del disco e del martello. Per l’occasione Halyps si è

rifatta il look: un restyling richiesto dalla sua posizione strategica sulla Strada Statale Atene-Corinto, su cui, durante lo svolgimento dei Giochi sono passati moltissimi visitatori in marcia verso gli stadi atletici. Come festeggiare meglio il 70° compleanno di una “vecchia signora”? ■ ■ ■ ■ ■ ■

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004 was a year full of opportunities and challenges for Halyps, the Greek subsidiary of Italcementi Group. In actual fact, it was the 70th anniversary of its founding in 1934 as S. KOTSIRAS & Co. Ltd. Moreover, Greece hosted the Olympic Games from 13th-29th August, and Halyps took full advantage of all the business opportunities presented by this very special occasion by involving all its industrial units. Since 2002, several of the Group’s Greek companies worked as suppliers to various construction sites involved in the organization of this event, generating a remarkable volume of activity. In particular, ET Beton in Attica and Domiki Beton in Crete supplied 770K m3 of concrete.

300K T of cement and about 2M T of aggregates were supplied by Halyps Cement, a cement manufacturing company and leading business in the aggregates sector in Attica controlling the biggest quarry in the country. Greek subsidiaries of the Italcementi Group supplied materials for building sites where the Games were staged (Olympic Stadium, Beach Volley Arena, Tae Kwon Do Arena, Basketball and Canoeing/Kayak facilities) as well as for other infrastructure projects that were designed to improve the organization of the Olympic Games in Greece (motorways, underground stations, railway lines etc.). Finally, but no less significantly, Halyps was also the Olympic sponsor of a disabled athlete in

Vedute della cementeria di Halyps vicino ad Atene. Views of Halyps cement plant near Athens.

Il logo dei 70 Anni di Halyps, filiale greca di Italcementi Group. The 70th Anniversary Logo of Halyps, Italcementi Group’s Greek subsidiary.

the shot put and discus events at the Paralympic Games. Halyps unveiled a new look for the occasion: a restyling required by its strategic position along the Athens-Corinth National Road that the many spectators drove past on their way to the Olympic stadiums. What better way for an “old lady” to celebrate her 70th birthday?




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