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VIRTUALE VIRTUAL

Periodico semestrale - Spedizione in abbonamento postale - 70% - Bergamo

Global Internetland: chi non è in anticipo è già in ritardo? Cosa ne pensano J. Forehand, J. Sassoon, D. Siniscalco, B. Gates Internetland: if you are not one step ahead are you already behind? Points of view from J. Forehand, J. Sassoon, D. Siniscalco, B. Gates

Projects Virtuale architettura: da semplice icona a suggestione affascinante, a realtà interattiva Virtual architecture: from simple icon to fascinating impression, to interactive reality

News Ciments Calcia e l’ambiente Ciments Calcia and the environment Lo Stadio Olimpico di Istanbul The Istanbul Olympic Stadium Quality Managers: un team vincente Quality Managers: a winning team

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www.italcementigroup.com

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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor Sergio Crippa Comitato di redazione Editorial Committee Silvestro Capitanio, Antonio Carretta, Marielle Desmarais, Gérard Gosset, Jean-Pierre Naud, Ofelia Palma, Kenneth Wilder Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House l’Arca Edizioni spa Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Bergamo Law Court

■ Global ■

■ Projects ■

■ News ■

Virtuale Virtual

www.italcementigroup.com

Una rivoluzione ne cela un’altra

André -Yves Portnoff

One revolution conceals another ■

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aV

B2B o non C6

B2B or Not to Be

Intervista a Joe Forehand

Interview with Joe Forehand

Joseph Sassoon

La semantica di Internet

The semantics of the Internet

Domenico Siniscalco

Le sfide della new economy

The challenges of the new economy

aV

L’uomo al centro della rete

The man at the center of the net

Intervista a Bill Gates

Interview with Bill Gates

Aldo Bernacchi

Dalle foreste all’high-tech

From forests to high-tech

Dal segno allo spazio

From Real Signs to Virtual Space

Testi a cura di Texts by Carlo Paganelli

Infrastrutture di Futuropoli

Infrastructure: the Future Metropolis

Progetto di von Gerkan, Marg + Partner

Project by von Gerkan, Marg + Partner

Architettura dissolta

Phasing out Architecture

Progetto di Nox/Lars Spuybroek

Project by Nox/Lars Spuybroek

Millennio antartico per Atlantis

Antarctic Millennium for Atlantis

Progetto di Fabrizio Astrua - Paolo Pininfarina

Project by Fabrizio Astrua - Paolo Pininfarina

Naturalmente architettura

Naturally Architecture

Progetto di Loris G. Macci

Project by Loris G. Macci

Sinuoso e sensuale high-tech

Sinuous and Sensual High-Tech

Progetto di Jakob & MacFarlane

Project by Jakob & MacFarlane

La casa video

The Video House

Progetto di Michael Jantzen

Project by Michael Jantzen

Tra mito e scienza

Between Myth and Science

Progetto di Studio Schivo e Associati

Project by Schivo Studio and Associates

Alambicco tecno-tropicale

The Techno-Tropical Alembic

Progetto di Bernard Dubus, Thomas Richez, Zaini Zainul

Project by Bernard Dubus, Thomas Richez, Zaini Zainul

Architettura, spettacolo urbano

Architecture as Urban Performance

Progetto di Peter Pran/NBBJ

Project by Peter Pran/NBBJ

Pixel per un metaprogetto

Pixels for a Meta-Project

Progetto di Eric Owen Moss Architects

Project by Eric Owen Moss Architects

La città nello stadio

The City in the Stadium

Progetto di NBBJ Architecture

Project by NBBJ Architecture

Per nuovi riti collettivi

For New Collective Rites

Progetto di NBBJ Sports and Entertainment

Project by NBBJ Sports and Entertainment

Copertina, Noordwijk, Beachness, albergo sul mare.

L’impegno per l’ambiente di Ciments Calcia

The environmental commitment of Ciments Calcia

Lo Stadio Olimpico di Istanbul

The Istanbul Olympic Stadium

Quality Managers: un team vincente

Quality Managers: a winning team

Cover, Noordwijk, Beachness, seaside hotel.

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Cesare Maria Casati

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Chiuso in tipografia il 31 maggio 2000 Printed 31 May 2000


Una rivoluzione ne cela un'altra One revolution conceals another di André-Yves Portnoff* by André-Yves Portnoff*

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André-Yves Portnoff

* André-Yves Portnoff, dottore in Scienze della Metallurgia, direttore dell’Observatoire de la Révolution de l’Intelligence alla Futuribles International. Coautore de La Révolution de l’Intelligence (1983-1985), primo rapporto che introduce in Francia la nozione di società immateriale. Giornalista e consulente in prospettiva, attualmente collabora con grandi e con piccole-medie imprese desiderose di integrare nelle loro strategie e nella loro gestione le conseguenze dell’evoluzione sia umana che tecnologica.

on si potrebbe capire meglio la rivoluzione che viviamo se non guardando il Duomo di Firenze. Cinque secoli fa, Brunelleschi è riuscito a costruire la più grande cupola senza centine del mondo e il suo record è ancora oggi imbattuto. Quattro milioni di mattoni, disposti a spina di pesce, si incastrano gli uni agli altri. La struttura, autoportante, non ha quindi avuto bisogno del supporto di un ponteggio durante la costruzione. Brunelleschi ha osato affrontare la complessità di un compito che consisteva nell’issare tanti mattoni di forme diverse fino a più di 90 metri d’altezza, con macchine di sollevamento che ha dovuto inventarsi lui stesso! Il Duomo presenta molte caratteristiche della nostra nuova società immateriale. Il valore dell’edificio non ha niente a che vedere con la somma delle parti che lo compongono, non equivale a 4 milioni di volte il prezzo di un mattone! Il valore dell’insieme supera quello dei suoi elementi costitutivi. Esso dipende dal modo in cui i mattoni sono stati organizzati dal genio di Brunelleschi, dalla sua audacia di costruttore visionario, dalla sua capacità di orchestrare i talenti di tutti i lavoratori del cantiere, dalla sua abilità a condividere la propria passione e la propria fede con tutti gli operatori coinvolti, dai notabili fiorentini fino agli operai del cantiere. Sono questi gli elementi essenziali del capitale di un’impresa: passione condivisa che libera intelligenza e creatività collettiva. Non si tratta di sommare talenti individuali, ma di farli entrare in armonia. Quindi, gli elementi immateriali del capitale di un’impresa non si riducono, contrariamente a quanto si afferma spesso, all’informazione o alla conoscenza, essi racchiudono tutte le molle delle decisioni umane, le passioni, i valori, i modelli mentali, il coraggio e le debolezze… Un tempo questa mobilitazione di intelligenze e di passioni era necessaria per costruire cattedrali, oggi è diventata indispensabile per produrre qualsiasi cosa in condizioni economiche competitive. Perché questa brutale rottura col passato? Le cause sono la maggiore complessità dei problemi e l’esplosione delle conoscenze. La congiunzione di questi fattori fa sì che le risorse materiali non siano più fondamentali e che la componente che produce valore sia sempre meno fisica. Il lavoro diventa essenzialmente creatività e creazione di significato, di rapporti umani. Inoltre, nessuna organizzazione può pretendere di controllare da sola l’insieme dei talenti necessari a costruire un oggetto, anche se semplice. Solo la cooperazione crea il valore aggiunto. Da quattro secoli le regioni italiane dimostrano la forza della partnership tra imprese anche se concorrenti. Questa pratica, un tempo utile, diventa oggigiorno vitale. La logica della partnership si impone anche per le aziende e i loro membri. Non si può ottenere il lavoro immateriale con la forza. Se il capitale diviene umano, l’uomo ritorna capitale! Bisogna incitarlo a mobilitare i suoi talenti, tanto più che la crescita dell’individualismo rafforza le esigenze di libero arbitrio. Bisogna convincere le più competenti imprese a lavorare con noi. Convincere anche i consumatori che possono fare i loro acquisti in tutto il mondo. I clienti non comprano più la tecnica, ma soluzioni, servizi. Tutte le imprese, comprese quelle che producono materiali, vendono delle funzioni, quindi beni immateriali. L’importanza della rivoluzione digitale deriva dal formidabile impulso che conferisce a quest’altra rivoluzione, ancora più radicale, dell’immateriale. È proprio l’immateriale che viene veicolato da Internet, moltiplicando i contatti e accrescendo così la creatività del mondo. Internet diffonde informazioni, idee, passioni, emozioni, nel bene e nel male. Nei diversi articoli di questo numero di arcVision appaiono chiaramente molte tendenze forti. Riassumiamone quattro. • Le reti sono soprattutto strumenti di collaborazione. La favoriscono poiché riducono l’effetto delle distanze, facendo diminuire il costo delle transazioni. Reti di imprese di ogni dimensione possono competere con i gruppi più grandi. Il successo di Dell su IBM e Compaq è interamente fondato su questo fattore e, ad esempio, sta per indurre i grandi dell’industria automobilistica mondiale a collaborare malgrado le loro rivalità. • Le reti hanno bisogno di coerenza e la costruzione di standard diventa un obiettivo strategico. Ciò può condurre a monopoli irresistibili come quello di Microsoft Windows. • Questi monopoli saranno rimessi regolarmente in discussione dal progresso tecnico, dai nuovi protagonisti e dalla reazione dei cittadini consumatori. Questi ultimi beneficiano infatti di una capacità di coalizione senza precedenti. • I cittadini consumatori, informati più che mai, esigeranno prestazioni su misura, disponibili in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Più che mai quel che acquisteranno sarà la nostra capacità di comprenderli e di creare con loro. La rivoluzione immateriale, “dopata” da Internet, sarà una rinascita economica e umanistica, se metteremo gli strumenti tecnici al servizio di strategie pertinenti e ambiziose.


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e could not better understand the revolution we are living through than by looking at the Dome of Florence. Five centuries ago, Brunelleschi managed to build the biggest completely self-supporting cupola in the world; and his record remains unbeaten. Four million bricks, arranged in a herring-bone pattern, are laid out one on top of the other. This self-supporting structure did not need to be sustained by a wooden centering during construction. Brunelleschi dared to take on the complexity of a challenge that consisted in raising a multitude of different shaped bricks up to 90 meters above the ground, with lifting machines that he had to invent himself! The Dome displays characteristics of our new immaterial society. The edifice’s value has nothing to do with the sum of its constituent parts’ values; it is definitely absolutely different from 4 million times the price of a brick! The value of the whole outweighs the value of the parts from which it is formed. This global value is generated by the organization of the bricks and by Brunelleschi’s genius; by his audacity as a visionary builder, his capability in organizing the on-site work and his capacity for sharing his passion and his belief with everyone involved – from Florentine notables right down to the men working on the construction site. This describes the essential elements of a company’s capital: shared passion, intelligence and collective creativity. It is not created by simply adding together individual talents, but by enabling them to come together in harmony. Therefore, the immaterial elements of a company’s capital cannot be reduced (contrary to what is so often claimed) to information or knowledge – they contain all the motives of human decisions, the passions, values, mental models, courage and weaknesses… Once, this mobilization of intelligence and passions was necessary for the construction of cathedrals, today it has become indispensable for the production of anything within competitive economic conditions. Why such a brutal break with the past? The causes lie in the increased complexity of problems and the explosion of knowledge. The marriage of these two factors creates a situation in which material resources are no longer decisive and the value-producing part is increasingly less physical. Work essentially becomes creativity and creation of significance, of human relationships. Furthermore, no single organization can expect to control the enormous wealth of talents necessary to construct an object, even a simple one – cooperation alone creates added value. For four centuries now the Italian districts have demonstrated the power of partnership between businesses, even between competitors. This once useful practice has today become, in a word, indispensable. The logic of partnership also imposes itself on the organizations and their members. It is impossible to obtain immaterial work through force. If the capital becomes human, man once again becomes capital! It is important to incite him to use his talents, enough so that the growth of individualism reinforces the needs of free will. It is also important to convince even the most competitive businesses to work with us, and also to convince the consumer so that he/she can buy throughout the world. Clients no longer buy technique – they buy solutions and services. All businesses, including those that produce materials, sell functions; that is to say, they sell that which is immaterial. The importance of this digital revolution derives from the formidable impulse produced by this other, even more radical revolution: that of the immaterial. It is precisely the immaterial which is transmitted through the Internet. The multiplication of contacts increases creativity throughout the world. The Internet spreads information, ideas, passions, emotions and more, allowing both the best and the worst to appear. In the different articles in this issue of arcVision many strong tendencies appear quite clearly. Let us summarize four. • Networks are above all instruments of collaboration; they favor working together, in so far as they reduce the effects of distance, diminishing the cost of the transaction. Through the Internet, networks of small or medium size business can compete with the biggest groups. The success of Dell over IBM and Compaq is entirely constructed on this factor which is, for example, leading the giants of the automobile industry to collaborate with each other in spite of their rivalries. • These networks need coherence and the construction of standards becomes a strategic objective. This can lead to irresistible monopolies like that established by Microsoft Windows. • These monopolies will be regularly challenged by technological progress, new players and by the reactions of consumer-citizens. In fact, the latter benefit from a capacity for coalition that is without precedent. • Consumer-citizens, more informed than ever, will expect custom-fit services available any time any place. They will be more important than ever, and will require our capacity to understand them, to create with them. The immaterial revolution, “doped” by the Internet, will be an economic and human Renaissance as long as we place the technical instruments at the service of pertinent and ambitious strategies.

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* André-Yves Portnoff is doctor in Metallurgic Sciences and director of the Observatoire de la Révolution de l’Intelligence at Futuribles International. He is co-author of La Révolution de l’Intelligence (1983-1985), the first report that introduced the concept of the immaterial society to France. Journalist and consultant in foresight, he currently collaborates with large businesses and with SMEs interested in integrating the consequences of human and technological evolution into their strategy and management.


Global

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Internet e le nuove tecnologie informatiche stanno cambiando il mondo e l'era del virtuale permea di sé ogni aspetto della nostra vita. Nulla sembra esserne immune: dal linguaggio, come spiega Joseph Sassoon in una divertente analisi dei nuovi processi comunicativi, all'economia. La presenza sul Web diventa una discriminante fondamentale per ogni tipo di azienda che voglia rimanere competitiva, come dimostrato dalla esemplare storia di Nokia, raccontata da Aldo Bernacchi. Tecnologia, dunque, come abilitante del cambiamento, ma anche della sopravvivenza? arcVision ne parla con Joe Forehand, Domenico Siniscalco e Bill Gates che della new economy hanno tracciato un quadro pieno di luci... e qualche ombra. Internet and the new information technologies are changing the world. The virtual age permeates every aspect of our lives. Nothing seems immune to the effects of this global development from language, as Joseph Sassoon explains in an engaging essay on new communicative processes, to the economy. As Aldo Bernacchi points out in his piece on Nokia, being on the Web is becoming a fundamental discriminating factor for any business that wants to remain competitive. Has technology that was once only a facilitator of change now become one of survival? arcVision has asked people like Joe Forehand, Domenico Siniscalco and Bill Gates to address this quandary. They have painted a portrait of the new economy which is full of light… yet not entirely free of shadows.

B2B o non C6 B2B or Not to Be Intervista a Joe Forehand* Interview with Joe Forehand*

Il business-to-business offre alle imprese le migliori opportunità per essere presenti online. Ma se non sono ancora nel Web, potrebbe essere già tardi Business-to-business offers the best opportunities for companies to go online. But if they are not yet on the Web, they could already be late

più vantaggiose, possono inserirsi nel tuo mercato con tutto il peso necessario per accaparrarsene una significativa fetta. Per rispondere con efficacia, le organizzazioni tradizionali necessitano di una vasta e profonda conoscenza dei principi che regolano tanto l’e-commerce quanto il commercio tradizionale.

Joe Forehand

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a Andersen Consulting da molti anni consiglia ai propri clienti di “entrare nel Web”, se vogliono essere società di successo nell’Era dell’Informatica. Molti manager, però, più in Europa che negli USA, sono ancora incerti sul da farsi e non capiscono che i tempi sono maturi per diventare società “dot.com”. Quanto è diventato urgente trasformare le società tradizionali in e-companies? La situazione attuale non è dissimile da quella esistente alla fine del XIX secolo quando il telefono si affermò come strumento di business. La prima libreria con un telefono godeva allora di un enorme vantaggio sulle concorrenti, proprio come è successo ad Amazon al suo esordio. Nota bene, oggi tutti hanno un telefono. È il requisito minimo richiesto per gestire qualsiasi azienda. Eppure non diciamo di vivere nell’“Era del Telefono" né che le nostre società sono “t-companies". Lo stesso sta accadendo ora che così tante organizzazioni, società e consumatori sono connessi via Internet alla rete globale. In poche parole, in futuro non sarà possibile

essere competitivi senza essere presenti nella rete. Le implicazioni di una simile rete sono notevoli: il tempo e lo spazio non hanno più valore, i diversi concorrenti possono raggiungere in un istante dimensioni infinite, la rapidità di innovazione aumenta in misura esponenziale e le opportunità che offre sono letteralmente inimmaginabili. Il problema non è se diventare una “dot.com”, ma quando. Dove si trovano le migliori opportunità commerciali: nel mercato al dettaglio o in quello del business-to-business? Mentre l’impatto di Internet è stato più evidente nel mercato al dettaglio, riteniamo che le maggiori innovazioni dell’e-commerce avranno luogo nell’area del business-to-business. Le opportunità di creare valore – minori costi di processo, più scelta tra le fonti di approvvigionamento e condivisione delle efficienze infrastrutturali – sono già state confermate e il numero dei canali online e di coloro che vi accedono continua a crescere. Ma, sia che tu venda vino di qualità o libri, domani nuovi e agili concorrenti, con proposte

In termini di organizzazione, è possibile avvicinarsi all’e-business con la stessa struttura che predomina nell’organizzazione tradizionale? È consigliabile creare una struttura separata e specializzata per gestire l’e-market? Dotare semplicemente una struttura commerciale tradizionale di una componente di e-commerce non è sufficiente a garantire il successo. Sotto molti punti di vista, i principi chiave della nuova e-economy sono totalmente incompatibili con quelli della vecchia economia. Nella sua essenza, l’economia elettronica sta modificando le relazioni tra le imprese e i loro clienti e fornitori. Questi cambiamenti hanno gravi implicazioni per un business progettato per operare nella vecchia economia. Cinque possibili implicazioni, ognuna delle quali potrebbe scardinare un’impresa strutturata in modo tradizionale, sono a mio avviso: • La pronta capacità a collaborare con fonti alternative esterne, concorrenza compresa, per fornire servizi ai propri clienti mina il valore tradizionale dell’integrazione verticale. • Il valore del patrimonio fisico sta venendo rapidamente rimpiazzato dal valore del patrimonio delle informazioni.


• I concetti di rendimenti decrescenti e limiti di scala sono minacciati da una combinazione di effetti di rete e rendimenti crescenti di scala. Sembra adesso che il business possa svilupparsi senza limiti. • Il potere è passato dalla parte del compratore grazie alla combinazione di accesso a fonti alternative esterne e ad un’ampia gamma di informazioni. • I cicli di innovazione stanno diventando così rapidi e le barriere di ingresso si sono così assottigliate che il ritmo della competitività sta accelerando in maniera esponenziale. Di fronte a questi principi fondamentali della nuova economia, le imprese che cercano di inserirsi nella e-economy dovrebbero prudentemente prendere in considerazione tutte le eventualità, compresa quella di riconcettualizzare il proprio valore sul mercato. Quale potrebbe essere, a suo giudizio, l’impatto della e-economy in termini di creazione di posti di lavoro? La e-economy offre notevoli opportunità di creazione di occupazione in ogni settore industriale. Ed inoltre, promette di creare imprese completamente nuove e di cambiare il nostro tradizionale concetto di lavoro. Come ogni cambiamento rivoluzionario nell’economia, comporterà delle dislocazioni: le vecchie imprese che non riescono ad adattarsi al nuovo corso lasceranno spazio alle nuove che sono più innovative. Il risultato finale sarà di avere molte più opportunità di creare valore o nell’ambito di un’organizzazione aziendale tradizionale o in una nuova struttura dove il dipendente è un agente autonomo con accesso diretto ai potenziali

clienti in tutto il mondo. Il prezzo delle azioni delle e-companies è recentemente salito alle stelle e il consensus degli investitori è ancora molto forte, sebbene i prezzi di mercato siano piuttosto alti. Pensa che tale tendenza continuerà o, al contrario, è più probabile che questa irrazionale esuberanza scemerà in futuro? Il mercato agisce in prospettiva futura e le valutazioni che assegna alle emissioni azionarie che registrano eccezionali rialzi si fondano sull’alto potenziale dei modelli economici sottesi a tali società. Per esempio, il potenziale di Amazon.com è la capacità di vendere qualsiasi prodotto in qualsiasi momento a qualsiasi cliente in ogni angolo del pianeta. Attualmente, il potenziale di gestire il proprio business sulla rete globale è incommensurabile. Col tempo, naturalmente, si stabiliranno dei parametri più precisi e i valori azionari rifletteranno questo standard. Fino ad allora non c’è ragione di credere che il potenziale sia, di fatto, sottovalutato dal mercato. In questa fase iniziale dell’e-market, le e-companies sono valutate più per la loro quota di mercato e per potenziale di crescita che per la loro redditività a breve termine. Pensa che tutto ciò cambierà quando la maggior parte delle società saranno “dot.com”? Alla fine sarà la redditività a determinare il valore di qualsiasi modello economico, ma per adesso siamo ancora sulla soglia dell’e-economy. Una delle implicazioni chiave della rete globale è che non c’è motivo di essere cliente del secondo miglior fornitore di

servizi quando il primo è altrettanto facilmente accessibile. Quello a cui adesso stiamo assistendo è la corsa per assicurarsi una salda presenza come primo miglior fornitore di servizi nella rete globale. Tale presenza si tradurrebbe in una inattaccabile quota del mercato globale e, secondo il mercato, in una straordinaria redditività. Pionieri della concorrenza su Internet sono le società americane. A suo parere, le società europee hanno qualche chance di raggiungerle in un periodo di tempo ragionevole? Francamente, Internet ha reso l’espressione “un ragionevole periodo di tempo” quasi incomprensibile. Una delle due facce dell’iperdinamico mondo della e-economy è che mai è stato più vero il detto “chi esita è perduto”. L’altra è che in Internet sei mesi sono

un’eternità – in un anno può cambiare ogni cosa. A oggi, sono gli Stati Uniti ad aver fatto i maggiori progressi per marcare le fasi dell’implementazione delle strategie di e-commerce basate sui protocolli Internet. Comunque, secondo una recente ricerca della Andersen Consulting, i cambiamenti più spettacolari nello scenario dell’e-commerce europeo sono avvenuti negli ultimi dodici mesi. Molti dei leader dell’e-commerce in Europa sono imprese ben affermate che hanno intuito le significative opportunità offerte e stanno iniziando a capitalizzare su di esse. Nel mercato delle telecomunicazioni – in particolare nelle telecomunicazioni mobili – l’Europa è più sviluppata rispetto agli Stati Uniti e sta prendendo il comando nella connettività wireless al Web e nelle applicazioni WAP

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e l’attenzione si concentrerà sulla necessità di accrescere l’efficienza e la redditività. La nostra sensazione è che ciò necessiterà di attingere alle più profonde riserve del patrimonio di conoscenze commerciali e di organizzazione aziendale trasversalmente a tutti i paesi e i settori industriali. Per fortuna, questa è la più grande forza della Andersen Consulting.

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(Wireless Application Protocol). L’Asia sta attualmente affrontando la sfida più ardua, ma ha anche le maggiori possibilità di beneficiare della nuova e-economy, che ha rapidamente portato sulla scena globale le economie locali emergenti. Solo cinque anni fa l’e-market era poco più di una teoria. Guardando al futuro, cosa vede “oltre la rete” come nuova frontiera tecnologica? I microchip integrati renderanno l’informatica onnipresente e permetteranno l’emergere di collegamenti alternativi alla rete globale. È quello che già vediamo accadere con i cellulari. In Finlandia, per esempio, si può ordinare una bibita a un distributore automatico usando un cellulare con accesso a Internet. Il costo viene addebitato sulla bolletta del telefono. Non più soltanto una versione mobile del telefono, il cellulare con accesso a Internet diventa uno strumento per accedere a informazioni, condurre operazioni commerciali,

scambiare patrimoni di conoscenze. Ci saranno molte più applicazioni quando i cellulari e i PDA (Personal Digital Assistants) convergeranno e si svilupperanno. Non sarà l’Internet su un piccolo schermo ma qualcosa di specificamente creato per l’accesso mobile. Gli elettrodomestici, dotati di collegamento alla rete, diverranno più intelligenti e utili. Nel nostro centro di ricerca abbiamo creato un armadietto dei medicinali elettronico che sa cosa contiene, può riconoscere chi lo apre, ricordargli le medicine da prendere e il loro dosaggio, e rifornirsi di scorte comunicando con la farmacia quando queste stanno per finire. L’essenza di entrambi questi sviluppi – sistemi informatici fissi e mobili – consiste nel creare nuovi canali di servizio e di consegna nel luogo desiderato. Infine, le regole dell’e-commerce toccheranno qualsiasi organizzazione di successo sia essa una società privata o un ente statale

* Joe W. Forehand, 51 anni, è managing partner e CEO di Andersen Consulting. È entrato a far parte di questa società di consulenza nel 1972 e dieci anni più tardi ne è stato nominato partner. Negli anni ha ricoperto posizioni direttive in 11 delle 16 aree di attività di Andersen Consulting. È stato managing partner dell’unità di mercato globale Comunicazione & High Tech che ha registrato nel 1998 ricavi per due miliardi di dollari, pari a circa un quarto del fatturato totale della società. L’unità Comunicazione & High Tech è costituita da tre segmenti di industria globale: Elettronica & High Tech, Media & Intrattenimento, Comunicazione. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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ndersen Consulting has advised for many years customer companies to “go on the Web” to be successful in the Information Age. But many managers, more in Europe than in the U.S., are still uncertain about what to do and do not perceive that the time is ripe to become “dot.com” companies. How urgent has it become to transform traditional companies into e-companies? The situation now is not unlike that at the turn of the 19th century when the telephone emerged as a business tool. The first bookstore with a telephone enjoyed a huge advantage over competitors without telephones, just as

Amazon had when it first emerged. But notice that today everyone has a telephone. It is the bare minimum requirement for conducting business in every industry. We don’t talk about living in the “Telephone Age” or there being “t-companies.” The same is occurring now that so many organizations, companies and consumers are connected via the Internet to the universal network. You simply will not be able to compete in the future without a presence on this network. The implications of such a network are remarkable: time and space no longer matter, competitors can achieve limitless scale instantly, the speed of innovation increases geometrically and the opportunities it presents are literally unimaginable. The question is not whether to become a “dot.com” but when. Where are the best market opportunities to be found: in the consumer market or in the business-to-business market? While the impact of the Internet has been most visible in the consumer retail sector, we believe the greatest e-commerce innovations will take place in business-to-business space. The value propositions – reduced process costs, more sourcing options and shared infrastructure efficiencies – have already been proven and the number of online channels and participants just continues to grow. But, whether you sell fine wine or books, nimble new competitors, with superior value propositions, can enter your market tomorrow with all the scale they need to grab significant market share. To respond effectively, traditional


organizations need broad and deep expertise in both e-commerce and traditional business concepts. In terms of organization, is it possible to approach the e-business with the same structure prevailing in the traditional organization? Is it advisable to build a separate and specialized structure to deal with the e-market? Simply retrofitting traditional business structures with an e-commerce component is not enough to ensure success. In many ways, the key precepts of the new e-economy are wholly incompatible with those of the old economy. At its core, the e-economy is changing relationships between companies and their customers and suppliers. These changes have serious implications for a business that is designed to operate in the old economy. Let me give you five of these implications, any one of which would undo a traditionally structured enterprise: • The ready ability to collaborate with outsourced alternatives, including competitors, to provide service to your customers undermines the traditional value of vertical integration. • The value of physical assets is rapidly being overtaken by the value of information assets. • The concepts of decreasing returns and limits to scale are being challenged by a combination of networking effects and increasing returns to scale. Businesses now appear to be able to function without limits. • Power has shifted to the buyer side of the transaction through a combination of access to alternatives and a wide range of information.

• Innovation cycles are becoming so quick and entry barriers so low that the pace of competition is accelerating at a geometric rate. Faced with these new business fundamentals, enterprises that seek to thrive in the e-economy would be wise to consider all possibilities including reconceptualizing their value proposition in the marketplace. What could be, in your opinion, the impact of the e-economy in terms of job creation? The e-economy presents remarkable opportunities for job creation in every industry. Moreover, it promises to create whole new industries and change our concept of what a job is. Like any revolutionary change in the economy, there will be dislocations as old enterprises that fail to adapt give way to new ones that are more innovative. The net result will be far more opportunities to create value either within a traditional business organization or in a new arrangement in which a worker is a free agent with direct access to potential customers worldwide. Stock prices of e-companies have soared in the recent past and investors’ consensus on such companies is still very strong, although market prices are very high. Do you think that this trend will continue or that, on the contrary, this perhaps irrational exuberance will fade away in the future? The market is forward looking and the valuations it assigns to high-flying equity issues are based on the remarkable potential of the business models underlying these

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companies. Amazon.com, for example, has the potential to sell any product to any consumer on the planet at anytime. At the moment, the potential of conducting business over the universal network is immeasurable. In time, of course, a more accurate metric will take hold and equity prices will reflect this standard. Until that time there is no reason to believe that the potential is, in fact, under-appreciated by the market. In this early stage of the e-market, e-companies are evaluated more for their market share and growth potential than for their short-term profitability. Do you think that this will change when most of the companies will be “dot.com” companies? Profitability will ultimately determine the value of any business model but we are still on the threshold of the e-economy. One of the key implications of the universal network is that there is little reason to patronize the second best service provider when the first best is just as accessible. What we are witnessing now is the rush to establish a secure presence as the first best service provider on the universal network. Such a presence would translate to an unassailable share of the global market and, according to the market, extraordinary profitability. American companies are leading the way in the Internet competition. Do, in your opinion, the European companies have any chance to catch up in a reasonable amount of time? Frankly, the Internet has made the phrase “a reasonable amount of time” almost

incomprehensible. The downside of the fast-moving e-economy is that the saying “he who hesitates is lost” has never been more true. The upside is that six months is an eternity in Internet time – anything can change in the space of a year. As of this moment, the United States has made the most progress to date with the implementation of e-commerce strategies based on Internet protocols. However, according to a recent Andersen Consulting survey, dramatic change in the European e-commerce climate has taken place during the past twelve months. Many of Europe’s leaders in e-commerce are well-established organizations that have recognized significant opportunities and are beginning to capitalize on them. In the telecommunications market – particularly mobile telecommunications – Europe is ahead of the United States and is taking a lead in wireless Web access and WAP applications (Wireless Application Protocol).

Asia currently faces the biggest challenge, but also has the biggest opportunity to benefit from the new e-economy – which quickly put emerging local economies on the global stage. Only five years ago the e-market was just a bit more than a theory. Looking into the future, what do you see “beyond the net” as the new technological frontier? Embedded microchips will make computing ubiquitous and make it possible for alternative links to the universal network to emerge. We are already seeing that happen with the cellphone. In Finland, for instance, you can order a soda from a vending machine using a cellphone with Internet access. The charge shows up on your phone bill. No longer just a mobile version of your telephone, a Web-ready cellphone becomes an appliance for accessing information, transacting business, and exchanging knowledge. There will be many more applications as

cellphones and PDAs (Personal Digital Assistants) converge and evolve. It won’t be the Internet on a small screen but something suited specifically to mobile access. Household appliances, with embedded links to the network, will become smarter and more helpful. At our research center we’ve built an electronic medicine cabinet that knows what is inside it, can recognize you when you open it, remind you what medicine to take and in what dosage, and refill itself by telling the pharmacy when your supply is running low. The theme of both these developments – mobile computing and situational computing – is about creating new conduits to service and delivering service at the point of need. Ultimately, the rules of e-commerce will suffuse every successful enterprise whether it is a business or a government agency and attention will focus on the need to build enhanced effectiveness and profitability. We feel that this will require tapping the deepest reserves of business and organizational insight across all industries and regions. Fortunately, that is Andersen Consulting’s greatest strength. * Joe W. Forehand, 51, is managing partner and CEO of Andersen Consulting. He joined this consultant firm in 1972 and ten years later was elected partner. Over the years, he has held leadership positions in 11 of the 16 industries served by Andersen Consulting. He served as managing partner for the global Communications & High Tech market unit, which posted revenues of $2 billion in 1998, accounting for about one-quarter of the firm’s overall revenues. The Communications & High Tech unit consists of three global industry segments: Electronics & High Tech, Media & Entertainment and Communications.


La semantica di Internet The semantics of the Internet di Joseph Sassoon* by Joseph Sassoon*

Le reti non costituiscono solo un nuovo modo di lavorare, divertirsi e fare shopping. Sono una realtà che innova anche regole e linguaggio The net is not simply a new way of working, shopping and having fun. It is a reality that establishes new rules and a new language

Joseph Sassoon

Q

ualunque riflessione in merito al linguaggio – o ai linguaggi – che contraddistinguono la comunicazione online deve necessariamente partire da ciò che differenzia Internet in quanto medium. Anche se questi aspetti dovrebbero essere ormai acquisiti, merita ricordare in estrema sintesi che Internet innova radicalmente rispetto ai mezzi classici (il libro, il giornale, la radio, la TV, ecc.) non solo per il fatto di essere multimediale – e dunque di ricomprenderli al suo interno – ma anche perché: 1) invece di essere unidirezionale, è un medium a due vie; 2) invece di essere lineare e sequenziale, è un medium ipertestuale. Tali diversità hanno un effetto preciso, che è quello di alterare profondamente le logiche di relazione nell’ambito del processo comunicativo. Ne è prova il fatto che, se fino a poco tempo fa rispetto a mezzi come il giornale o la TV (tipicamente one-to-many) aveva senso utilizzare le nozioni di emittente e destinatario, rispetto a un mezzo come Internet (tipicamente many-to-many) ciò ha un senso assai limitato

o soggetto a molte qualificazioni. La sostanza è che con Internet si è passati – in modo irreversibile – dal monologo al dialogo (ed alla libera scelta dei percorsi attualizzabili entro gli ipertesti), con un formidabile empowerment dei normali cittadini-consumatori e non meno straordinarie ripercussioni sulle forme socialmente condivise del linguaggio. La dimensione multimediale, in sé, comporta già un totale sovvertimento linguistico. E’ ben noto agli studiosi ma anche ai professionisti dei media che ogni mezzo ha definito storicamente un linguaggio suo proprio: come esiste un linguaggio della parola a stampa (un sistema di forme tradizionali e di convenzioni che i lettori hanno largamente interiorizzato nel corso del tempo), così esistono quelli della fotografia, dei fumetti, della radio, del cinema, della TV, dei videoclip. Certo, il giornale ha saputo fondere assai bene i linguaggi della parola e della fotografia da almeno un secolo, ed oggi lo fa in modi sempre più sofisticati. Senza dubbio, citazioni reciproche o ibridazioni linguistiche fra gli

altri media possono essere, qua e là, frequentemente constatate. Ma Internet è l’unico medium che – per sua natura intrinseca e in modo strutturale – contempla al suo interno tutti gli altri, mescolandone le caratteristiche tecniche, i canali sensoriali, i sistemi di segni, i codici espressivi. Ne deriva un insieme significante mai visto in precedenza, che tiene al suo interno linguaggi differenziati, sovrapposti in forme nuove e complesse di cui solo ora si sta scoprendo l’importanza. Peraltro, se c’è un tratto unitario che dà la sua impronta a tutti i media assorbiti in Internet, questo è la dialogicità. Non importa quale componente della comunicazione online si consideri – e-mail, siti Web, newsgroups, chatlines – la dimensione conversazionale resta basilare e cambia tutti i sistemi di attese, le propensioni mentali, gli atteggiamenti culturali. Dire che Internet è un medium interattivo non implica soltanto prendere atto della sua specifica tecnologia (che consente il flusso di informazioni nelle due vie sullo stesso mezzo, cosa che il giornale può fare stentatamente e la TV per nulla); ma comporta assegnare tutto il peso opportuno al fatto che ogni navigatore è un’emittente attuale o potenziale, qualcuno che rispetto alla propria azione comunicativa si attende sempre un feedback. Questo assesta un colpo durissimo ad ogni linguaggio “dall’alto” (istituzionale, cerimoniale, aulico) o anche solo eccessivamente distaccato e formale. Il concetto di dialogo ha infatti in sé elementi di confidenza, immediatezza, personalizzazione e sincerità

che sono quasi all’opposto degli stilemi della comunicazione broadcasting, stampa convenzionale inclusa: elementi che occorre riconsiderare pensando piuttosto a media come il telefono (al di là della sua natura tipicamente one-to-one). Che la dialogicità immediata sia il fulcro delle conversazioni online del genere chat o newsgroup è evidente a chiunque vi abbia mai preso parte. Anche la e-mail però, come molti hanno osservato, si differenzia dalla cosiddetta snail-mail per il venire meno di molte convenienze formali (a cominciare dal fatto che le lettere debbano essere intestate). Ed un aspetto fortemente conversazionale risulta decisamente premiante pure nei siti Web aziendali: nessuno difatti frequentandoli ha voglia di digerirsi testi lunghi o una prosa di tipo letterario. Piuttosto si vogliono leggere brevi nuclei informativi o addirittura “sentire delle voci”. Le diversità del linguaggio di Internet rispetto alla vecchia comunicazione basata sulla carta stampata (che ci accompagna da vari secoli) dovrebbero già saltare all’occhio. Altre differenze sono dovute tuttavia al secondo aspetto costitutivo di Internet cui si è accennato: la sua natura ipertestuale. Cosa cambia questo fattore? In primo luogo, esso concorre a mutare la veste esteriore e propriamente mediale del discorso, nel senso chiarito sopra: ad esempio, un sito di tipo giornalistico degno di questo nome non può limitarsi a contenere un mix di testi e immagini fotografiche, disposti in sequenza, ma deve prevedere link ad altre aree del sistema informativo testuale oppure a registrazioni audio o filmati, che riprendono

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modalità e strutture comunicative proprie di media come l’archivio, l’enciclopedia (o meglio il CD ROM), la radio o la televisione. Ma, in secondo luogo, quel che si modifica è il principio stesso della messa in racconto. In un mezzo ipertestuale, per definizione, l’inizio e la fine del percorso di fruizione variano ogni volta a seconda delle inclinazioni e dell’estro del particolare fruitore. Riprendendo l’esempio, quindi, ha poco senso che un sito giornalistico tratti un tema importante collocandolo in un semplice articolo, con un capo e una coda (ed un itinerario univoco); quel che ha senso è che il tema venga frammentato in sintetici Web-size pieces, ognuno autosufficiente e in grado di toccare l’argomento da una prospettiva diversa. Avendo cura che tali nuclei testuali, magari laterali rispetto alla questione centrale (se un centro esiste), siano tuttavia capaci di puntare l’attenzione del visitatore verso di essa – oppure di soddisfarlo comunque anche se questi, nel suo itinerario personale, deciderà di interrompere la navigazione senza mai aver raggiunto il centro. Cosa ne è, in tale contesto, della narrazione ordinata dei fatti? Che essa deve essere ripensata non come una successione lineare di pensieri ed eventi, bensì come una costruzione assai più libera di tasselli informativi, combinabili in n modalità e da molteplici punti di vista per dare luogo a più letture possibili (considerazioni analoghe valgono per i siti aziendali e d’ogni altra natura). Nell’affrontare le variazioni nelle forme espressive indotte da Internet, un ulteriore piano da prendere in conto è quello inerente alle trasformazioni del

linguaggio verbale. Si è già detto che, in Internet, vari elementi spingono verso forme d’espressione più brevi, compatte. Ma molti adulti che continuano a prediligere il piacere tattile dei vecchi media a stampa al freddo tremolio dello schermo non si sono ancora accorti che, tra i giovani della Net Generation, la tendenza alla contrazione verbale ha raggiunto limiti difficilmente immaginabili – e si configura come un nuovo

e-mail, delle chat e dei newsgroups, i giovani – soprattutto di lingua inglese – hanno introdotto una quantità inverosimile di acronimi, che hanno tanto lo scopo ludico di condividere un gergo di gruppo transnazionale quanto la finalità di eludere ogni controllo dei fastidiosi POS (Parents Over Shoulder). Il risultato va ben oltre il pur ampio ma limitato numero di smileys, le iconcine da guardare girando la testa di 90

codice, creato in larga misura per tenere alla larga proprio loro. (Il che non vuol dire che tale tendenza non stia già travalicando i confini del mondo giovanile e influenzando, come spesso accade, gli ambienti della pubblicità, dei media, del marketing). Quel che sta accadendo in poche parole è che, nel linguaggio delle

gradi ottenute combinando vari caratteri e segni per comunicare informazioni non verbali, come :-) (smiling) oppure :-D (laughing); poiché gli acronimi possono moltiplicarsi virtualmente all’infinito e spaziare sui più diversi argomenti sulla base di espressioni e modi di dire abituali, facili da riconoscere per chi è del giro ma del tutto

incomprensibili per chi ne è fuori. Così, il desiderio di massima immediatezza conversazionale, che è all’origine di questo trend, può evitare lunghi giri di frasi per spiegare che ci si assenta dalla chat allo scopo di mangiarsi un panino con la semplice sigla BBIAM (Be Back In A Minute); può esprimere in grande sintesi la descrizione apprezzativa di una bella ragazza con BBG (Big Beautiful Girl); può trasmettere il senso di una speciale complicità con IKWUM (I Know What You Mean); può rendere bene una nota di sarcasmo con l’apparentemente ermetico WDUGU (Why Don’t You Grow Up?); o può risolvere in un attimo l’esigenza di comunicare che si intende abbandonare la conversazione con un secco G2G (Got To Go). Gli acronimi, è vero, sono una passione americana. Ma il linguaggio di Internet è indubitabilmente l’inglese, e mutua moltissimo dall’espressività giovanile online – tanto più quando questa è portata ad accorciare, sintetizzare, contrarre (la sigla Y2K per indicare l’anno 2000, usatissima nei mesi passati in tutte le grandi testate anglofone, viene proprio da lì). Comunque, chi fosse interessato ad una iniziazione al gergo degli acronimi indispensabile per una chat farà bene a dare un’occhiata al sito www.chatdictionary.com che elenca e traduce non meno di 1500 sigle del genere di quelle viste sopra. Il fenomeno è forse parossistico, ma può essere considerato come la punta dell’iceberg: un elemento estremo, da intendersi quale rivelatore della tendenza più generale – propria del medium Internet – a innovare il linguaggio dei media


tradizionali destrutturando tutte le sue forme di rigidità, magniloquenza ed elitismo. Il risultato di fondo? Quello di privilegiare l’idea e la pratica di processi comunicativi con valenze più paritarie, democratiche, liberatorie. * Joseph Sassoon è docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università Statale di Milano. Nel 1995 ha fondato, assieme al sociologo Enrico Finzi, la società di ricerche Alphabet, specializzata in studi su comunicazione e immagine. Ha pubblicato oltre 20 saggi e studi di economia e sociologia su riviste scientifiche italiane e internazionali e svariati volumi su queste tematiche.

a many-to-many medium. In all actuality, the Internet has passed – irreversibly – from monologue to dialogue (and to the free choice of the updated pathways between the hypertexts), resulting in a formidable empowerment of the average citizen-consumer and no less extraordinary repercussions on the socially shared forms of language. The multimedia dimension in and of itself has already created a total linguistic

cartoons, radio, cinema, TV and videos. Of course, newspapers have been able to successfully merge the traditional language with the language of photography for more than a century, and today they do so in increasingly sophisticated ways. Reciprocal excerpts or linguistic hybridizations between other means of communication are definitely established, here and there, quite frequently. But the

reversal. Scholars, as well as media professionals, have long since noted that each means of communication has historically defined a language of its own. Just as there exists a language for print – a system of traditional forms and conventions, which the readers have by and large internalized over time – so there are languages for photography,

Internet is the only medium, which – because of its intrinsic nature and in a structural way – combines all the others, mixing technical characteristics, sensorial canals, sign systems, and expressive codes. A significant, brand new entity is appearing that embodies different languages, layered one on top of the other in new and complex forms whose

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A

ny reflection on the language – or languages – that distinguishes online communication must begin with what makes the Internet different as a medium. Even if these aspects should already have been noted, it is worth remembering that the Internet proves to be a radical innovation when compared to traditional methods of communication (books, newspapers, radio, TV, etc.). Not only to the extent for which it is multimedial and therefore incorporates each of the previous methods, but also because – 1) rather than being unidirectional, the medium is a two-way street; 2) rather than being linear and sequential, it is a hypertextual medium. These differences have a distinct effect as they deeply alter the relationship logic within the communication process. Proof lies in the fact that the standard one-to-many formula used for traditional methods of communication (like newspapers or TV), that utilizes concepts like broadcaster and receiver, has an extremely limited sense and must be subject to a host of qualifications when compared to the Internet,

importance we are only now discovering. Furthermore, if there is a single unique trait that leaves its mark on all the media absorbed by the Internet, it is the capacity for dialogue. Whichever component of online communication we consider – e-mail, websites, newsgroups, chatlines – the conversational dimension remains fundamental and changes all the waiting patterns, inclinations, and cultural behavior. To say that the Internet is an interactive medium does not simply imply a basic recognition of its specific technology. It allows a two-way flow of information along the same pathway, precisely what newspapers accomplish with difficulty and the TV is not able to do at all. It also recognizes that every navigator is both an actual and potential broadcaster, someone who will expect some kind of feedback with respect to his or her own individual communicative action. This deals a powerful blow to every form of communication from “higher-ups” (institutional, ceremonial, state) or others, that is excessively detached and formal. As a matter of fact, the concept of dialogue contains an element of confidence, immediacy, personalization and sincerity that is almost the opposite of the pillars of broadcasting and the conventional press. They are elements that require one to reconsider the media essentially as a telephone (obviously beyond its typical one-to-one nature). That this capacity for immediate dialogue is the crux of online conversation in chatrooms or newsgroups is evident to anyone who has ever participated in one. However, even e-mail, as many have

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already observed, can be distinguished from so-called snail-mail by its aversion to many formal rules starting with the fact that letters must be clearly addressed. And a more interactive aspect is definitely appreciated even in company websites that no one visiting those sites wants to digest long texts or a kind of literary prose. They would much rather read brief, concise information or even “listen to voices.” Internet language diversity, when compared to old communications based on the centuries old printed page should already be obvious. Additional differences are a result of the second aspect that constitutes the Internet and which has already been mentioned: its hypertextual nature. What does this factor change? First of all, it contributes to changing the exterior appearance and media properties of communications in the sense mentioned above. For example, any journalistic site worthy of this name cannot limit itself to providing a simple mix of text and photographs arranged in sequence. It must provide links to other areas of the textual information system, or to audio or film clips, and sites that use real media communications means and structures such as archives, encyclopedias (or better yet CD-ROMs), radio or television. Secondly, however, that which is modified is the very principle of conveying information. By definition, in a hypertextual method, the beginning and end of the fruition path is different every time, in response to the user’s particular inclinations and aptitudes. Therefore, going back to the example, it makes little sense for a journalistic site to deal with an important subject simply as a

straightforward text, with a beginning and an end (and a unique itinerary). What makes sense is to break down the subject into synthetic Web-size pieces – each self-sufficient and capable of addressing the issue from different perspectives – ensuring that these textual nuclei, even if lateral with respect to the central question (if a central question exists), are still capable of directing the visitor’s attention to it. Or, satisfying the visitor anyway, even if in his personal itinerary he may decide to interrupt navigation without having ever reached the center. What happens, in this context, to an orderly narration of the facts? This narration must be reconsidered not as a linear succession of thoughts and events, but as a much freer construction of informative plugs that can be combined in “x” number of ways and from multiple points of view, allowing room for many possible interpretations. Similar considerations are true for company websites and for sites of any other kind. In looking at the expressive forms introduced by the Internet, a further level to be considered is that concerning the transformation of the verbal language. It has already been said that on the Internet various elements combine to favor more brief and compact forms of expression. But many adults, who continue to prefer the tactile pleasure of traditional press media to the cold flickering of the screen, have not yet realized that among the youth of the Net Generation, the tendency toward verbal contraction has reached levels difficult to imagine. It assumes the form of a new code, created in large part precisely to keep adults out. This does not necessarily

mean that this trend is not already crossing the confines of the youth world and influencing, as often happens, the arenas of advertising, media and marketing. Basically, what is happening is that in the language of e-mails, chatsites and newsgroups, young people – especially English-speaking – have introduced an incredible quantity of acronyms that have both the fun-loving goal of sharing a transnational slang and the aim of avoiding any control by annoying POS (Parents Over Shoulder). The result goes well beyond the ample but nevertheless limited number of smileys, the tiny icons that must be viewed turning the head 90 degrees and created by combining various characters and signs for non-verbal communication like :-) (smiling) or :-D (laughing). Acronyms can multiply virtually to the infinite and spread over diverse subjects based on expressions and habitual ways of saying things. They are easy to recognize for whomever is in the loop but completely incomprehensible for whomever is left out. In this way the desire for maximum conversational immediacy, which lies at the origins of this trend, can avoid long drawn-out sentences to explain simple things. The simple sign BBIAM (Be Back In A Minute) means the exit from a chat in order to grab a sandwich. BBG (Big Beautiful Girl) can express in synthesis the appreciative description of a beautiful girl. IKWUM (I Know What You Mean) transmits a sense of special complicity. WDUGU (Why Don’t You Grow Up?) can easily emphasize a note of sarcasm. A dry G2G (Got To Go) can resolve in a second the need

to abandon the conversation. Acronyms, it is true, are an American passion. But the language of the Internet is undoubtedly English and borrows an extraordinary amount from the online expressivity of the young. So much more so when the aim is to shorten, synthesize, contract (the symbol Y2K to indicate the year 2000, used exhaustively in recent months in every major English-speaking newspaper, derives straight from such slang). In any case, whoever is interested in an initiation to the slang of acronyms, indispensable for chatting, should take a look at the site www.chatdictionary.com, which lists and translates no less that 1500 symbols like those mentioned above. But it can be considered as simply the tip of the iceberg that is an extreme element to be taken as a revealing window on the more general trend – which is typical of the Internet – of renovating the language of traditional media by deconstructing its rigid bombastic and elite forms. The final result? A favoring of ideas and communication practices with greater equality, democracy and liberty for everyone. * Joseph Sassoon is professor of the Sociology of Communication at the State University of Milan. In 1995, together with sociologist Enrico Finzi, he founded the research society Alphabet, specializing in studies in communication and image. He has published more than 20 essays and studies on economy and sociology, in both Italian and international scientific magazines, as well as various books on these subjects.


Le sfide della new economy The challenges of the new economy di Domenico Siniscalco* by Domenico Siniscalco*

Le tecnologie della rete stanno cambiando il mondo e offrono grandi opportunità che occorre essere pronti a cogliere Internet technologies are changing the world and bringing us huge opportunities which we must be ready to seize

Domenico Siniscalco

L’

Europa, sorpresa dall’onda della new economy, sta reagendo con una velocità e un vigore inaspettati e si è ormai lanciata all’inseguimento degli Stati Uniti, finora indiscussi leader della rete. I valori delle imprese legate a Internet e ai telefoni stanno crescendo a ritmi vertiginosi, da alcuni giudicati insostenibili, da altri considerati l’adeguato riflesso della nuova rivoluzione dell’interconnessione globale. E la proprietà e il controllo delle aziende mutano di continuo, per fare fronte alle esigenze di innovazione e di dimensione richieste dal nuovo mercato globale elettronico. Pezzi di economia tradizionale, come i giornali, l’editoria e persino l’education, si valorizzano combinandosi con le nuove tecnologie della rete. Ma tutti i settori, sia quelli fino a ieri definiti maturi sia quelli identificati come innovativi, subiscono lo stravolgimento delle tecnologie di rete e confini e definizioni tradizionali significano ormai sempre meno. Da qualche mese la new economy europea ha saltato un fosso tecnologico e organizzativo e, pur su scala

minore, si sta muovendo sulla frontiera tecnologica, in parallelo con quanto accade negli Stati Uniti. Per questo motivo è così difficile capire come muoversi in assenza di esperienza e schemi consolidati. La sfida più difficile riguarda ovviamente le imprese, che devono riposizionarsi e riorganizzarsi, a prescindere dal settore in cui lavorano. Se ormai è certo che una quota crescente della domanda finale si sposta verso i prodotti legati alla conoscenza e all’informazione, è altrettanto vero che anche i business più tradizionali, nel manifatturiero, nei servizi o nell’energia, devono tener conto della nuova tecnologia, nei rapporti con i consumatori e con le altre imprese. In questi giorni i manager e gli imprenditori si dividono tra entusiasti, scettici e “scioccati". Ciò è comprensibile, perché non è affatto facile vedere dove si crea il valore nella catena che va dal produttore al consumatore e il rischio di sbagliare è molto elevato. Osservando quanto accade in America, la scommessa più ragionevole localizza il valore nel contenuto, piuttosto che

sulle infrastrutture e sulle tecnologie. Ma si può ragionevolmente azzardare che in realtà il settore più promettente sia quello che lavora sull’interfaccia tra imprese tradizionali, rete e consumatori, inventando nuovi servizi e nuovi design capaci di rendere utili e attraenti i prodotti attraverso la nuova tecnologia. Una seconda sfida, altrettanto importante, riguarda gli investitori. Tutti sappiamo che le aziende della new economy non si valutano con i parametri tradizionali, per il semplice motivo che i valori di mercato smentiscono ogni giorno quei canoni di valutazione. L’impressione che si trae guardando i prezzi, che penalizzano enormemente il vecchio rispetto al nuovo, è che gli investitori scommettano su una rivoluzione violenta e irreversibile nella struttura industriale. E che credano che questa rivoluzione spazzerà irrimediabilmente la vecchia economia che non sa adeguarsi, o non ci riesce. Per questo motivo, qualsiasi impresa, dall’industria ai servizi, dovrebbe ridisegnare il proprio modus operandi tenendo conto delle nuove tecnologie. Personalmente ritengo che le applicazioni delle nuove tecnologie stiano già ridisegnando la mappa geografica e sociale della ricchezza, facendo nascere una nuova borghesia che emerge grazie alla conoscenza e alla capacità di innovare. Non a caso molti giovani europei molto brillanti, che lavoravano nella Silicon Valley, stanno tornando indietro in una sorta di brain drain all’incontrario. Una terza sfida riguarda i giovani (e i genitori), che devono capire come costituire

il capitale umano necessario al successo nella nuova economia. A questo proposito, da economista, credo che la scelta più opportuna non sia specialistica, ma piuttosto generalista e di alta qualità. Le tecnologie, ovviamente, sono importantissime, ma ancor più importante è capire che farne, intuire le direzioni del cambiamento e innovare sul piano manageriale e organizzativo. Un’ultima sfida riguarda i governi, che devono assecondare i cambiamenti in atto, investendo in formazione e cultura, creando un buon clima per gli affari e proseguendo nelle liberalizzazioni e nelle privatizzazioni che sono la pre-condizione per il cambiamento. Per imprese, investitori, giovani e governi, lo scenario futuro è ancora molto incerto, e dunque rischioso. Per questo non ci sono scelte obbligate, ma soltanto suggerimenti. Il primo è che in questa nuova economia occorre muoversi sulla frontiera dell’innovazione più avanzata, senza paura di investire e magari di perdere nel breve termine. Il secondo suggerimento è quello di abbandonare senza remore i vecchi schemi di pensiero che rendono tutto confuso e sostanzialmente incomprensibile. Comunque evolvano le cose, non vi è dubbio che l’economia sia entrata in una fase di discontinuità. In questi momenti, come diceva Lord Keynes nel 1936, il problema di capire il nuovo non sta nella difficoltà intrinseca delle nuove idee. Sta nella difficoltà di abbandonare i vecchi schemi mentali, radicati e ramificati in ogni angolo della nostra mente. Anche l’Italia ha, di recente, visto iniziare il decollo

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dell’economia delle reti. Il personal computer e Internet, dopo un avvio difficile, si stanno rapidamente diffondendo. La Borsa premia i titoli tecnologici spesso oltre il ragionevole. Ma, al di là delle mode e dell’esuberanza finanziaria, è necessario considerare gli aspetti reali del fenomeno per comprendere le tendenze di fondo. La prima tendenza, probabilmente la più importante, è che anche in Italia si inizia a osservare un evidente fermento imprenditoriale. Molti giovani

stanno avviando start-up di nuove aziende. I migliori laureati in ingegneria ed economia, almeno nel Nord, si rivolgono a questo settore creando vere e proprie comunità (gli esperti di HTML, di Java, di grafica) fortemente indipendenti e remunerative. Come nella Silicon Valley, i piccoli imprenditori, nelle nuove tecnologie, sono l’ingrediente base. E la tradizionale imprenditorialità italiana, che è piccola, diffusa e di qualità, sembra ideale per riconvertirsi a questo settore. La seconda tendenza riguarda il mercato dei capitali. Superando la tradizionale pigrizia delle banche ordinarie,

anche in Italia sono nate società che finanziano l’avvio di nuove aziende, rendendo finalmente disponibili i capitali necessari a questo tipo di investimenti, che generalmente hanno scarse garanzie, rischio elevato e ritorni potenzialmente elevatissimi. Gli studenti, infine, sono relativamente ben attrezzati: secondo il CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali) più del 70% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni usa il personal computer e Internet, sia pure con intensità e frequenza differenziata.

A fianco di queste tendenze diffuse si registrano infine i primi interessanti fenomeni di consolidamento. Molti grandi gruppi industriali ed editoriali stanno impiegando risorse nel settore e acquisiscono quote di aziende più piccole e alcune banche si stanno orientando verso il trading online. Se tutte queste tendenze sono relativamente incoraggianti, occorre comprendere, però, che la diffusione e l’impatto delle nuove tecnologie è un fenomeno più complesso, che richiede molti ingredienti complementari. In primo luogo, occorre considerare che le nuove tecnologie non si esauriscono in Internet e che

quest’ultima, anzi, è utile solo se completata da un insieme di altre innovazioni software e hardware, in termini di automazione, formazione, transazioni e gestione dei flussi informativi in azienda. Solo con questo insieme di tecnologie, ancora parzialmente arretrato, è possibile parlare di e-business ed è possibile trasformare la tecnologia in maggiore produttività. In secondo luogo occorre capire che l’investimento in capitale fisico è ancora carente soprattutto nella larga banda, che è strettamente necessaria per consentire la trasmissione dei dati a velocità adeguata. Per investire in quest’area occorrono grandi gruppi e grandi capitali e occorre soprattutto fare presto: oggi si sente parlare sempre più spesso di wide band e UMTS, ma la trasmissione nelle nostre case e nei nostri uffici è ancora lentissima. In terzo luogo non bisogna confondere la capacità di usare Internet e il computer con il capitale umano necessario a sviluppare il settore, che richiede ben altra competenza. In questo campo il sistema educativo italiano è ancora molto arretrato sia nella scuola media che in quella elementare; ma anche nelle università i corsi di laurea e di master dedicati alle nuove tecnologie sono ancora pochissimi. Quanto detto non riguarda soltanto il settore strettamente legato alle nuove tecnologie. Sviluppo e diffusione di queste tecnologie, infatti, sono cruciali per la produttività e lo sviluppo dell’intero paese, perché le innovazioni di prodotto in un settore diventano innovazioni di processo in un altro. E perché la rete, in un paese di piccole e piccolissime aziende è

essenziale per portare l’innovazione alle porte delle imprese. Da ultimo, c’è una considerazione che non va trascurata. Nel nostro paese riformare l’esistente sembra spesso una missione impossibile. Nel settore delle nuove tecnologie, che negli USA ha prodotto 8 milioni di posti di lavoro, prevalgono invece nuove forme di lavoro, nuovi contratti e forme diverse di flessibilità e produttività. La crescita di questo settore sostituisce, anziché riformarle, forme di organizzazione ormai insostenibili. Anche per questo il suo sviluppo è così importante per la modernizzazione del paese. * Domenico Siniscalco è professore ordinario di Economia Politica all’Università di Torino e direttore della Fondazione Eni Enrico Mattei. Dal gennaio 2000 è presidente dell’Internet Incubator Web-Cube. Ricopre, inoltre, numerosi incarichi come membro del Consiglio di Amministrazione di Telecom Italia, membro del Consiglio degli Esperti Economici della Presidenza del Consiglio dei Ministri e membro del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC). Siniscalco scrive abitualmente per il quotidiano Il Sole 24 Ore, di cui è anche consulente e consigliere scientifico. È autore di oltre 70 pubblicazioni su riviste scientifiche e di numerosi libri, l’ultimo dei quali sul processo di privatizzazione in Italia. ■ ■ ■ ■ ■ ■

E

urope, caught by surprise at the surge of the new economy, is reacting with unexpected vitality and vigor. It has already launched itself after the United States that were until now the undisputed leaders of the Internet. The value of businesses linked to the Internet and to cellular telephones is growing at a breathtaking rate. Some think it is unsustainable, others consider it the satisfactory reflection of the new


revolution of global interconnections. And the properties and control of businesses continuously mutate to meet the needs placed on them by the innovation and dimensions required by the new global electronic market. Traditional economic cornerstones like newspapers, publishing and even education increase their value by combining with the new net technologies. But every sector, both those who were until yesterday defined as mature and those identified as innovative, are undergoing the upheaval of net technology. Traditional boundaries and definitions have less and less meaning. For several months now the European new economy has taken the technological and organizational plunge and, even if on a small scale, is moving on a technological wave parallel with the United States. This is why it is so difficult to understand how to act in the absence of experience and defined patterns. Obviously, businesses face the most difficult challenge; they must reposition and reorganize themselves regardless of what sector they work in. If it is by now certain that a growing portion of the final demand is moving toward products linked to knowledge and information, then it is equally true that even the most traditional businesses – in manufacturing, services or energy – must deal with the new technology as it relates to consumers and other companies. Nowadays, managers and entrepreneurs are divided between enthusiasts, skeptics and the “shell-shocked.” This is understandable as it is not

at all easy to see where value can be created in the chain that stretches from the producer to the consumer, and the possibility of making a mistake is very high. One has only to look at what is happening in America where the safest bet places value on content rather than on the infrastructure or technology. But it is easy to speculate that in reality, the most promising sector is that which works as an interface between traditional businesses, the Internet and the consumer, inventing new services and new designs capable of making products useful and attractive through new technology. Just as important, a second challenge concerns investors. Everyone knows that new economy businesses are not evaluated with traditional parameters for the simple reason that market values refute those canons on a daily basis. The impression created when looking at prices (which strongly penalize the old versus the new), is that investors are betting on a drastic and irreversible revolution in the industrial sector. They believe that this revolution will forever sweep away an old economy that is unwilling to, or incapable of, adapting. For this reason all businesses – from industry to services – need to redesign their modus operandi, taking the new technologies into account. Personally I believe that new technology applications are already redesigning the social and geographic map of wealth, giving birth to a new middle class that is emerging precisely because of its knowledge and capacity to innovate. It is no coincidence that many bright young Europeans working in Silicon

Valley are now returning home in a kind of reverse brain drain. A third challenge concerns young people (and their parents) who need to figure out how to construct the human capital necessary to succeed in the new economy. As an economist, I believe that the most opportune choice is not a specialist, but rather a high quality generalist. Obviously, technology is extremely important, but even more important is understanding what to do with the technology, predicting the direction of change and innovating at management and organization level. A final challenge is reserved for governments that must deal with changes as they happen. Investing in training and culture to create a favorable environment for business, and furthering both liberalization and privatization, which are the pre-conditions for change. For businesses, investors, young people and governments, the future scenario is still quite uncertain and therefore very risky. There are no obligatory choices, only suggestions. The first is that in this new economy it is necessary to move ahead with the most advanced innovation without fear of investing and even losing money in the short term. A second suggestion is to abandon, without a second thought, any old systems or ways of thinking which make everything confusing and essentially incomprehensible. However things evolve, there can be no doubt that the economy is entering a phase of discontinuity. “In these times,” as Lord Keynes said in 1936, “the problem of understanding the new lies

not in the intrinsic difficulties of the new ideas, but in the difficulty in abandoning the old ways of thinking which are well-rooted and spread out in every corner of our minds.” Italy has also recently witnessed the beginning of the Internet economy explosion. Personal computers and the net, after a slow beginning, are rapidly spreading. The stock market rewards technology stocks often above and beyond reason. However, once we look beyond the trends of the moment and the financial exuberance, it becomes necessary to consider the real aspects of the phenomenon in order to completely understand the trends. The first trend, and probably the most important, is that in Italy too we are beginning to see definite entrepreneurial activity. Many young people are establishing startups. The best engineering and economic graduates, at least in the North, are drawn to this sector, creating very independent and successful communities of HTML, Java and graphics experts. Just as in Silicon Valley, small new technologies entrepreneurs are the basic ingredient. And the traditional Italian entrepreneur (small, widespread and of high quality) seems to be in an ideal position to reconvert into this sector. The second trend deals with the market for capital. Overriding the traditional laziness of ordinary banks, Italy has begun to see new businesses created in order to finance the start-up of new companies finally making the necessary capital available for this kind of investment. Generally there are few guarantees, high risks and

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potentially enormous profits. Last but not least, students are relatively well-equipped. According to CENSIS (Center for Social Investment Studies), more than 70 percent of young people between 18 and 24 use a personal computer and the Internet, even if they do so with varying frequency and intensity. Along with these widespread trends, we also find the first interesting consolidation effects. Many large industrial and editorial groups are employing resources in the

sector and acquiring stock in smaller companies. Many banks are directing themselves toward online trading. Even if all these trends are relatively encouraging, we still need to remember that the diffusion and impact of new technologies is a complex phenomenon, which requires many other ingredients. First of all, it is important to consider the fact the Internet is not the only new technology. In itself, it is useful only as long as it is complemented by a mixture

of software innovations and careful management of the information flow within a company. It is only with this technology as a whole, which is not as yet complete, that it will be possible to speak of e-business and of transforming the technology into greater productivity. It is also necessary to understand that the investment in physical capital is still lacking above all in bandwidth, which is essential for the transmission of data at required speeds. In order to invest in this area, we will require large groups and significant capital, and this must be done as soon as possible. Nowadays we hear more and more about bandwidth and UMTS, yet the transmission into our houses and offices remains extremely slow. We should not confuse the capacity to use the Internet and computers with the human capital necessary to develop the sector. That requires quite another set of talents. In this field the Italian educational system is still far behind, both in middle and elementary schools as well as in the universities where diplomas and masters degrees that specialize in new technologies remain too few and far between. All of the above do not just concern the sectors strongly linked to the new technologies. Development and diffusion of these technologies are crucial for the productivity and development of the whole country – product innovation in one sector becomes process innovation in another – and because the Internet, in a country of small and even tiny businesses, is essential for bringing innovation to the company’s doorstep.

And finally, there is one other consideration that must not be overlooked. In our country transforming the existing often seems an impossible mission. In the new technology sector, which in the U.S. alone has produced 8 million new jobs, what prevails are the new forms of labor, new contracts and diverse forms of flexibility and productivity. The growth in this sector substitutes, rather than transforming, outdated forms of organization. This is yet another reason why this development is so important for the modernization of the country. * Domenico Siniscalco is a professor of Political Economy at the University of Turin and director of the Eni Enrico Mattei Foundation. In January 2000, he became president of the Internet Incubator Web-Cube. In addition, he occupies many other positions including member of the Board of Directors of Telecom Italia, member of the Economic Experts Council responsible for advising the Presidency of the Council of Ministers, and member of the Intergovernmental Panel on Climatic Change (IPCC). Siniscalco writes regularly for the daily newspaper Il Sole 24 Ore, for which he is also a consultant and scientific advisor. He is the author of more than 70 publications in scientific magazines as well as numerous books, the most recent of which deals with the process of privatization in Italy.


L’uomo al centro della rete The man at the center of the net Intervista a Bill Gates* Interview with Bill Gates*

Le nuove tecnologie telematiche e informatiche porteranno immensi benefici, ma anche qualche rischio. Che va minimizzato migliorando le capacità individuali delle persone The new information and telematic technologies will bring immense benefits, but not without certain risks. These must be minimized, thus improving people’s individual capacities

Bill Gates

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a rete sta cambiando il modo di vivere e di lavorare di tutti. Molte delle funzioni attualmente svolte dai PC saranno trasferite ai computer di rete, ai computer palmari, ai telefoni portatili e ad altri strumenti. Cosa implica questo sviluppo globale per una società come Microsoft, leader mondiale nel business del software? Il prodotto Microsoft non cambia: è, infatti, come sempre, il software. D’altra parte, abbiamo modificato l’idea originaria del computer in ogni casa e in ogni ufficio per rispondere alle nuove esigenze di individui e aziende, che ormai pensano in ottica di network e di multimedialità. Dobbiamo pensare a prodotti per l’interazione fondata su video, voce, dati e animazioni, per il funzionamento di dispositivi miniaturizzati e comunicanti con sistemi wireless e per l’abilitazione del business su Internet e di nuovi servizi online che ci consentiranno fra breve di svolgere tutte le attività quotidiane da un dispositivo non più grande della nostra mano.

Il software gioca oggi un ruolo sempre più incisivo: il tasso di penetrazione del PC nelle abitazioni USA ha superato il 54% e, l’anno scorso, ben il 91% degli utilizzatori delle più recenti versioni di Windows era collegata a Internet. D'altra parte, la sfida si sta spostando su tutta una serie di dispositivi intelligenti che ampliano le tradizionali possibilità di elaborazione e di comunicazione, estendendole nei più diversi ambiti e contesti di impiego. Microsoft è quindi impegnata ad offrire soluzioni capaci di rispondere a specifiche applicazioni e tecnologie: in questo contesto, il software tende ad essere offerto, anziché come un tradizionale pacchetto, come un “servizio” standard rivolto a un’ampia varietà di terze parti che devono far funzionare dispositivi diversi. Le regole della concorrenza sono diverse nel nuovo e-market? In ogni mercato la concorrenza si sviluppa liberamente secondo proprie regole, e l'e-market non fa eccezione. Anzi, per la sua natura globale, diretta e immediata, l’e-business si

presta ancor meno, rispetto ai mercati tradizionali, a una regolamentazione rigida dall’esterno. Il suo primo fattore tipico di concorrenza è la velocità. Arrivare per primi è diventata una questione di vita o di morte per qualsiasi azienda. Ridurre il time-to-market e, soprattutto, mantenerlo costante nonostante la complessità crescente, diventerà la discriminante principale tra le aziende in grado di stare sul mercato e le altre. Il secondo imperativo è la capacità di innovazione: se un consumatore non trova in un prodotto la creatività che cerca, può rivolgersi in pochi minuti a un’azienda di qualsiasi altra parte del mondo. L’Information Technology è il settore che si è adeguato per primo, diminuendo più di qualsiasi altro il tempo dei propri cicli di produzione e potenziando le proprie strutture di ricerca e sviluppo. Credo quindi che sarà un esempio da seguire, almeno inizialmente. In ogni caso, la frenetica velocità di evoluzione e la convergenza fra le tecnologie rendono difficile stabilire oggi un confine fra mercati diversi; quindi, le regole su cui ciascuno si basa sono destinate a rimodellarsi molto velocemente, più di ogni tentativo di codificarle. Fusioni e acquisizioni in tutto il mondo stanno cambiando lo scenario del mercato per tutte le industrie, ma, soprattutto, per le industrie della Tecnologia Informatica e delle Comunicazioni (ICT). Società mastodontiche con enormi capitalizzazioni si stanno formando in Europa, negli USA e in Giappone. Questo significa

che “grande è bello” e che le piccole-medie imprese troveranno sempre maggiori difficoltà a competere nei mercati globali? La nascita di entità di grandi dimensioni nel mercato ICT dipende sia dalla convergenza tecnologica e dalla riduzione del confine fra media e contenuti, sia dalla necessità di acquisire una massa critica per prepararsi con un’adeguata “potenza di fuoco” alle nuove sfide. Per esempio, la recente fusione AOL-Time Warner, concentrando una significativa proposta di contenuti e distribuendo i canali su tutti i media, si muove in questa direzione creando un caso senza precedenti. Non credo tuttavia che questa situazione comporterà necessariamente la concentrazione in pochi gruppi di tutta la gamma delle competenze, dei processi e delle infrastrutture a livello orizzontale e verticale. Sarà difficile soprattutto creare monopoli in un contesto così dinamico, competitivo e ricco di capitali come quello di Internet, in cui le barriere di ingresso si sono notevolmente assottigliate. Al contrario, tenderanno a crescere le aziende in grado di offrire un più elevato grado di specializzazione, se sapranno abbinare unicità di offerta e adesione a standard condivisi, così come accadde negli anni '80 nel mercato dei PC. Gli spazi che vengono progressivamente aperti consentono già la nascita di migliaia di nuove aziende: i nuovi dispositivi e le tecnologie digitali si faranno sempre più pervasivi, sviluppando specificità strumentali, di contesto e d'impiego, il che favorirà anche la personalizzazione e

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la strutturazione di contenuti altrettanto specifici. In ogni caso, Microsoft rimarrà concentrata nello sviluppo di software e servizi che consentano ad altri di creare soluzioni sempre nuove per l’utilizzo di Internet. Anche noi siamo interessati all’offerta di contenuti online, ma preferiamo mettere a disposizione un canale, per esempio il nostro portale MSN, a una pluralità di content provider e fonti di informazioni. Lei ha avviato partendo da zero quella che è oggi una delle più grandi società del mondo. Altri imprenditori hanno seguito il suo esempio, alcuni con fortuna e successo. Cosa consiglia ai giovani che vogliono dare avvio a nuove imprese in modo innovativo? Spesso le persone mi chiedono come devono fare per creare un’azienda di successo dal nulla, come è accaduto a Microsoft. La mia risposta è che si deve partire da un’idea vincente e di largo respiro, capace di indirizzare nel tempo tutte le strategie e le attività. La nostra era portare l’informatica alla portata di tutti e se non ci avessimo creduto fermamente non saremmo arrivati fin qui. Successivamente, l’idea deve essere realizzata sempre con volontà, abilità e, soprattutto, grande creatività. Talvolta anche i problemi più complessi possono essere risolti con un’intuizione felice e richiedere creatività è anche lo stimolo ideale per motivare al meglio i collaboratori, perché il lavoro di squadra è un altro importante fattore di successo. Penso inoltre che occorra elaborare strategie a lungo termine, senza perdere di vista i risultati a breve.

Infine, ma non ultimo, occorre amare ciò che si fa. Per quanto riguarda la mia vicenda, ad esempio, ho iniziato con una grande passione fin da ragazzo. Lavoravo molto, prima per divertirmi a ideare e provare sempre nuovi programmi senza essere pagato, poi anche per creare qualcosa di stabile per me e per gli altri. Oggi, a quarant’anni, mi diverto ancora, ma vivo il mio lavoro con un impegno sempre maggiore e come una sfida sempre aperta. In quest'ottica, è più facile ottenere dei risultati. Attraverso Internet tutto il mondo sarà interconnesso e le informazioni potranno fluire liberamente ovunque e per tutti. Ma, naturalmente, alcune nazioni sono più avanti, altre sono rimaste indietro, e lo stesso vale per i diversi gruppi sociali. Internet creerà una nuova spaccatura tra ricchezza e povertà, tra paesi ricchi e paesi poveri? O, al contrario, rappresenterà un’opportunità per sanare tale spaccatura? È un problema piuttosto complesso. Certamente, lo sviluppo della e-economy può offrire un contributo unico alla modernizzazione dei paesi in via di sviluppo, che potranno acquistare prodotti ai prezzi più convenienti e portare ovunque le proprie offerte, superando le barriere economiche della distribuzione e le distanze geografiche. Numerosi paesi asiatici, tra cui la Cina e la Corea, nonché numerosi stati africani, stanno sviluppando programmi interessanti per promuovere l'e-commerce. Bisogna tuttavia sottolineare che in alcuni casi esistono deficit infrastrutturali in

grado di rallentare lo sviluppo di Internet nel breve periodo. Soprattutto nel continente africano, i prezzi dell'accesso a Internet sono estremamente variabili tra stato e stato e, in generale, troppo alti. Nondimeno, le proiezioni per i prossimi anni sono incoraggianti e anche il fatto di non aver effettuato enormi investimenti in tecnologie può tramutarsi in un vantaggio, perché lascia maggiore libertà di evoluzione. La situazione più dinamica è tuttavia quella dell’Europa dell'Est: in Russia, per esempio, il fatturato dell'e-commerce è quadruplicato nel giro di un solo anno (1998-99). Se in definitiva si può dire che Internet incrementi nell’immediato la distanza tra i paesi ricchi e alcuni paesi poveri, è vero tuttavia che l'e-commerce offre gli strumenti più efficaci per ristabilire un equilibrio nel tempo. Il problema da non sottovalutare potrebbe essere un altro: il divario tra singoli individui nel grado di familiarità con le nuove tecnologie, che rischia di creare una sorta di “analfabetismo” di ritorno. Per questo sono convinto che l’insegnamento dell’informatica di base dovrebbe entrare nelle scuole fin dai primi anni, consentendo a tutti di imparare il linguaggio dei computer e delle reti nello stesso momento in cui imparano a leggere e a scrivere. Questa mia convinzione si traduce da anni in un forte impegno di Microsoft nella realizzazione di programmi di formazione che coinvolgono scuole di tutto il mondo. Ma per centrare l’obiettivo, occorre l’impegno fattivo di tutte le istituzioni interessate.

Tutti, o quasi, sono d’accordo sul fatto che le ICT e le reti offrano enormi opportunità e benefici. Quali sono i possibili pericoli e danni? Mutamenti sicuramente ce ne saranno, e molti. Non è facile né utile distinguere fra quelli migliorativi e quelli peggiorativi, poiché il fenomeno va affrontato nella sua globalità. In ogni caso, non esiste un’età dell’oro, quindi pericoli e incognite sono fattori con cui convivere quotidianamente. Le tecnologie ci aiutano a risolvere alcuni problemi pratici e a liberare più facilmente il potenziale umano in ogni direzione, ma non ci offrono la ricetta per risolvere tutti i problemi del mondo. Detto questo, è difficile fare previsioni precise su quello che potrebbe accadere. Mi limito a due osservazioni generali e sommarie. In primo luogo, gli individui dovranno convivere con una capacità di relazione con un numero immensamente più elevato di persone rispetto a quello cui sono abituati da secoli (soltanto poche centinaia nell’arco di una vita). Per quanto riguarda le aziende, invece, dovranno mettersi tutte in discussione e reinventarsi: molte purtroppo “moriranno”, ma il numero di quelle che troveranno una loro proficua collocazione sul mercato sarà molto più elevato. Qualche azienda subirà la tentazione di utilizzare massicciamente la tecnologia per ridurre al minimo il contributo umano e accumulare, immobilizzandole, ingenti risorse finanziarie. Tuttavia non credo che si tratti di un modello vincente: nel mediolungo periodo avranno la meglio quelle aziende che


manterranno nelle risorse umane la loro forza strategica, poiché la competenza, lo spirito di iniziativa e la creatività che ne derivano saranno gli elementi vincenti per competere con successo anche nei nuovi mercati. Non si può negare che il passaggio al nuovo stadio tecnologico avrà anche aspetti traumatici, sia nel lavoro che nelle abitudini di vita, ma si tratta di un processo inevitabile e, anche volendo, nessuno avrebbe il potere di fermarlo. Dunque è preferibile promuoverlo eliminando alcuni fattori negativi che potrebbero ostacolarne lo sviluppo e gli effetti benefici. Tra questi fattori, vedo per esempio eccessive regolamentazioni che rendono difficile l’acquisto di beni e servizi da un paese all’altro, il che porterebbe a ristabilire frontiere inammissibili tra i mercati nazionali. Inoltre, il costo dei servizi di telecomunicazione, particolarmente quelli ad alta velocità, resta troppo alto in molte regioni, costituendo un freno soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Infine, c’è il problema della salvaguardia dei diritti sulla proprietà intellettuale, fondamentale

per poter offrire nuovi prodotti multimediali e interattivi. È d’accordo con coloro che pensano che la e-economy sia una grande opportunità per creare nuovi posti di lavoro, ad esempio i cosiddetti “e-job”? Le possibilità sono illimitate, anche superiori rispetto al passato, specialmente se teniamo conto che Internet permette la distribuzione a basso costo di nuovi servizi e abbassa la soglia di accesso ai mercati. Da molti anni ormai l'IT sta contribuendo all'accelerazione dello sviluppo economico a livello mondiale. Per esempio, secondo la Business Software Alliance, che rappresenta la maggior parte delle aziende IT, la forte crescita economica che gli Stati Uniti stanno vivendo può essere ricondotta in larga misura all'impiego competitivo e crescente delle tecnologie IT. Questo settore ha creato da solo più opportunità di impiego di ogni altro comparto economico. In realtà, una delle grandi sfide consiste nel trovare un numero sufficiente di persone qualificate per coprire i posti che si rendono disponibili. Al nascere di figure professionali, legate ai nuovi

servizi per la società digitale, si affianca la trasformazione della maggior parte di quelle tradizionali, che si orienteranno verso una maggiore valorizzazione delle capacità intellettuali. Le aziende stanno infatti affrontando un processo di reengineering con cui ricollocheranno risorse, riconvertiranno figure professionali e modificheranno processi. Ogni risorsa che si libera diventa disponibile per un’altra area in cui può essere più razionalmente utilizzata. Si può prevedere che tenderanno a perdere importanza le mansioni di routine, come ad esempio quelle di segreteria meramente esecutiva, e la maggior parte delle attività di intermediazione, poiché le nuove tecnologie consentiranno a ciascuno di condurre i propri affari mettendosi direttamente, facilmente e rapidamente in contatto con chiunque, senza necessità di mediatori. Oggi, le ICT e Internet stanno diventando il nuovo paradigma industriale ed economico; quale potrebbe essere la prossima rivoluzione tecnologica? Cosa vede “oltre la rete”? I due campi che “esploderanno” nel prossimo futuro saranno senz’altro quelli dell’intelligenza artificiale e della bioingegneria. La prima, grazie anche all’applicazione di preziosi studi sulle reti neuronali, si avvicinerà sempre di più al modo di pensare della mente umana, per supportarla in modo sempre più sofisticato, senza mai lontanamente poterla sostituire. La bioingegneria consentirà di intervenire su

molte malattie e malformazioni del corpo umano, “ricostruendolo” in modo molto più avanzato di quanto sia mai stato possibile fino ad oggi. Posso vedere dunque solo i possibili sviluppi del percorso che abbiamo già iniziato, in cui la tecnologia potenzierà e valorizzerà le capacità dell’essere umano. Più in là, non riesco a vedere nulla. Per quanto riguarda previsioni più vicine a noi, e che riguardano direttamente l’attività di cui mi occupo, il software sarà sempre più facile da usare, in grado di memorizzare le abitudini dell’utente e suggerire i passi da compiere. In pratica ogni PC riconoscerà il suo utilizzatore, mentre Internet diventerà la costante tecnologica alla base di ogni programma. Sarà normale fra qualche anno, per esempio, guidare un’automobile e ricevere da un computer di bordo tutte le indicazioni riguardanti il traffico, interagendo in modo vocale. Oppure, ricevere e inviare messaggi di posta elettronica, sempre stando comodamente alla guida, o comandare a distanza tutti gli elettrodomestici di casa. Ma mi rendo conto che non sto più rispondendo alla domanda, perché tutto questo è già il presente. * William H. Gates è presidente e fondatore della Microsoft Corporation, azienda leader a livello mondiale nel settore del software per personal computer. Bill Gates, noto come uno dei più grandi imprenditori dei nostri tempi, ha riscosso grande successo anche come autore di importanti pubblicazioni. The Road Ahead (1995) è rientrato nella classifica dei best-seller del New York Times, come anche il suo più recente successo editoriale Business @ the Speed of Thought (1999), scritto con Collins Hemingway, ove si illustra come i processi digitali possano risolvere business problems in maniera innovativa ed efficiente.

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he net is changing everybody’s way of living and working. Many of the functions today performed by PCs will be transferred to network computers, light palm computers, portable phones and different appliances. What does this global evolution imply for a company like Microsoft, world leader in the software business? Microsoft’s product doesn’t change. It will remain, as it has always been, software. On the other hand, we have modified the original idea of a computer in every house and office in order to respond to the needs of individuals and businesses, which by now think in terms of networks and multimedia. We need to think of products for interaction based on video, voice, data and animation, for the operation of miniaturized devices that can communicate with wireless systems in order to facilitate business on the Internet, and new online services that will soon allow us to perform every daily task on a piece of equipment that can fit in the palm of our hands. Today, software plays an increasingly incisive role. The PC penetration rate in U.S. households is more than 54 percent and, last year, 91 percent of the users of the most recent version of Windows were connected to the Internet. On the other hand, the challenge involves moving to a whole series of intelligent devices that widen the traditional possibilities of elaboration and communication, extending them in diverse environments and work contexts. Microsoft is working to offer solutions capable of responding to specific applications and

technologies. In this context, the software tends to be offered, unlike in a traditional package, as a standard “service” addressing a wide variety of third parties who need to work with a range of diverse machines. Are the competition rules any different in the new e-market? In every market, competition develops freely according to the rules and the e-market is no exception. As a matter of fact, due to its global nature, direct and immediate, e-business is even less susceptible, compared to traditional markets, to rigid regulations applied from the outside. Speed is its typical prime competitive factor. Arriving first has become a question of life or death for every company. Reducing the time-to-market and, above all, maintaining constancy in spite of the growing complexities will become the discriminating principle between companies capable of remaining in the market and those who cannot. The second imperative is the capacity for innovation. If a consumer doesn’t find the creativity he is looking for in a product, he can move on in just a few minutes to another company in another corner of the world. Information Technology is the sector that has adapted first, reducing more than anyone else the time necessary for a production cycle and reinforcing research and development structures. I therefore believe that this is an example to follow, at least initially. In any case, the frenzied speed of evolution and the convergence between the technologies makes it difficult today to establish boundaries between

different markets. Therefore, the rules upon which each is based are destined to be redefined very quickly, far more quickly than any attempt to codify them. Mergers and acquisitions all over the world are changing the market scenario for every industry, but mainly in the Information and Communication Technology (ICT) industry. Mammoth companies with huge market capitalization are surging in Europe, the United States and Japan. Does this mean that “big is beautiful” and that SMEs will find it increasingly difficult to compete in the global markets? The birth of entities of giant dimensions in the ICT market depends both on technological convergence and the reduction of boundaries between media and content, as well as on the necessity of acquiring a critical mass in order to prepare adequate “firepower” for new challenges. For example, the recent AOL-Time Warner merger, which concentrates a significant content proposal and distributes channels over all media, is moving in this direction creating a case without precedent. Nevertheless I don’t believe that this situation will necessarily lead to a concentration of the entire range of expertise, processes or infrastructures into a few small groups on horizontal and vertical levels. Above all it will be difficult to create monopolies in such a dynamic, competitive and capital-rich context as that of the Internet where the entry barriers have lowered significantly. On the contrary,

growth will concentrate within companies capable of offering a higher level of specialization, as long as they know how to combine uniformity of offerings and adhesion to shared standards, exactly the same as happened with PCs in the eighties. The spaces that are being progressively opened will allow the birth of thousands of new businesses. New devices and digital technology will be increasingly pervasive, developing instrumental specificity, of context and use, which will in turn favor personalization and equally specific content structuring. In any case, Microsoft will continue to concentrate on the development of software and services that enable others to create new solutions for Internet use. We too are interested in offering online content but we prefer to provide a channel, like our MSN portal for example, to a multitude of content providers and information sources. You started from scratch what is today one of the world’s biggest companies. Other entrepreneurs have followed your example, some of them with luck and success. What is your advise to young people wanting to start a new business in an innovative way? People often ask me what they should do in order to create a successful business from nothing, just like Microsoft. My answer is that you need to start with a wide-ranging winning idea capable of directing all strategies and activities over time. Ours was to make information technology available to everyone and if


we hadn’t believed firmly in our ideas we wouldn’t be where we are today. In addition, the idea must be produced with willingness, ability and, above all else, great creativity. Sometimes even the most complex problems can be resolved with intuition, and requiring creativity is also an ideal incentive for motivating your collaborators, because teamwork is another important factor for success. I also think that you need to elaborate long-term strategies without losing sight of short-term results. Last but not least, you need to love what you do. In my case, for example, I began with a strong passion from a young age. I worked a lot, first in order to have fun planning and trying new programs without being paid, then later in order to create something stable for me and for others. Today, at 40, I still have fun, but I live my worklife with greater responsibility and with an increasingly open challenge. From this point of view, it is easier to obtain good results.

The whole world will be interconnected via the Internet and information will be able to flow freely everywhere to everybody. But, of course, some countries are ahead, others are left behind and the same applies to different social groups. Will the Internet create a new gap between rich and poor people and between rich and poor countries? Will it, on the contrary, represent an opportunity to close the gap? This is a pretty complex problem. Certainly, the development of the e-economy can offer a unique contribution to the modernization of developing countries, that can acquire products at more convenient prices and send what they have to offer anywhere, overcoming economic barriers of distribution and geographic distances. Many Asian countries, including China and Korea, as well as numerous African nations are constructing interesting programs for the development of e-commerce. Nevertheless we must

underline that in some cases infra-structural deficiencies exist that are slowing down short term Internet development. Especially on the African continent, the prices for Internet access are extremely variable from country to country and are, in general, too high. Nevertheless the projections for the upcoming years are encouraging and even the fact of not having invested enormous amounts of money in technologies can become an advantage as it leaves more space for evolution. The most dynamic situation is in Eastern Europe: in Russia, for example, e-commerce sales have quadrupled in the space of a single year (1998-99). If we can definitively say that in the extremely short-term the Internet increments the gap between rich countries and some poor countries, then it is also true that e-commerce offers more efficient instruments for establishing a balance over time. The problem which must not be under-estimated may be the discrepancy between individuals who are familiar with the new

technology and those who aren’t, with the risk of creating a kind of new “illiteracy,” that of the computer. To avoid this I am convinced that the teaching of basic computer science should be introduced into schools from the very first years, allowing everybody the opportunity to learn about computers and the Internet at the same time as they learn to read and write. This personal conviction has for years translated into Microsoft’s strong dedication to creating educational programs which can involve schools throughout the world. But in order to reach our target we need a greater involvement from all the institutions concerned. Almost everyone agrees that ICTs and the networks bring immense opportunities and benefits. What are the possible dangers and damages? There will certainly be changes, and lots of them. It is neither easy nor useful to distinguish between those which are improvements and those which aren’t until the phenomenon can be confronted from a global perspective. In any case, there is no golden age, therefore dangers and unknowns are factors that we live with daily. The technologies will help us resolve some practical problems and more easily free the human potential in every direction, but they won’t give us a magic recipe for resolving all the world’s problems. Having said this, it is difficult to foresee precisely what will happen. I will limit myself to a couple of general observations. First of all, individuals will have to live with a capacity for

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relationships with an enormous number of people; much higher than what they have been accustomed to for centuries. Whereas businesses will have to undergo serious examination and reinvention and while many will unfortunately “die,” the number of those who will find a profitable position in the market will be much higher. Some companies will be tempted to utilize technology on a massive scale in order to reduce the human contribution to a bare minimum and accumulate, through immobilization, enormous financial resources. All things considered I don’t think that that will prove a winning model: in the medium-long term successful companies will be those who maintain their strategic force in their human resources. The competence, spirit of initiative and creativity that springs from people themselves will be the winning elements for successful competition in new markets. It cannot be denied that the passage to the new technological step will also have traumatic aspects, both in work and in everyday customs. But we’re dealing with an inevitable process and, even if they wanted to, nobody would have the power to stop it. Therefore it is preferable to promote it eliminating some negative factors that could obstruct the development and benefits. Among these factors I would list, for example, excessive regulations which make the acquisition of goods and services between different countries difficult. Left unchecked, this could reestablish closed frontiers between national markets. I would include the cost of telecommunication services,

particularly those at highvelocity, which remains too high in many regions and constitutes a brake especially in developing countries. Finally, there is the problem of protecting intellectual property rights. This is fundamental in order to offer new multimedia and interactive products. Do you agree with those who think that the e-economy is a huge opportunity for creating new jobs, i.e. for what is called “e-job creation”? The possibilities are endless, even higher than in the past, especially when we take into consideration the fact that the Internet allows low-cost distribution of new services and lowers the threshold for market access. For many years now IT has been contributing to the acceleration of economic development on a world level. For example, according to the Business Software Alliance, which represents most of the IT companies, the strong economic growth that the United States is enjoying can be attributed in large measure to the competitive and growing use of IT technologies. This sector has created all by itself more job opportunities than in any other section of the economy. In reality, one of the greatest challenges is finding a sufficient number of qualified personnel to cover the available positions. Alongside the creation of professional positions, linked to the new services made available to the digital society, there is also the transformation of a large part of the traditional services which will be directed toward a higher evaluation of intellectual capacity.

Companies are in fact facing a reengineering process with which they must reconnect resources, reconvert professional figures and modify processes. Every freed resource will become available for another area in which it can be more rationally utilized. We can foresee that routine duties will tend to lose their importance, like for example those of an executive secretary, as well as most of the intermediary activities. The new technologies will allow every individual to conduct his business by putting himself directly, easily and rapidly in contact with anyone, without requiring mediators or third-parties. Today ICTs and the Internet are becoming the new industrial and economic standard; what could the next technological revolution be like? What do you see “beyond the net”? The two fields which will “explode” in the near future will undoubtedly be those of artificial intelligence and bioengineering. The first, thanks to the application of important studies on the neurological network, will come closer and closer to the human mind’s way of thinking in order to support it in increasingly sophisticated ways without ever coming close to substituting it. Bioengineering will allow us to avoid many illnesses and malformations of the human body, “reconstructing” it in a much more advanced way than has been possible up until today. However, I can only see the possible developments along a path that we have already begun to travel, in which technology will improve human being’s

capacities. Further than that I cannot see. Concerning forecasts a little closer to home, which directly concern the work I do, software will be increasingly user-friendly, capable of memorizing the user’s habits and suggesting things to be done. In practice every PC will recognize its user, while the Internet will become the technological constant at the base of every program. In a few years it will be normal, for example, to drive an automobile and receive all the indications concerning traffic from an onboard computer which you operate vocally, or receive and send messages through electronic mail, still driving comfortably, or give long-distance directions to household appliances. But I realize that I’m no longer answering your question, because all of this is already part of the present. * William H. Gates is chairman and founder of Microsoft Corporation, the leading provider, worldwide, of software for the personal computer. Bill Gates, recognized as one of the greatest entrepreneurs of our time, has also had considerable success as an author of important publications. The Road Ahead (1995) spot on the New York Times’ bestseller list as did his most recent editorial success Business @ the Speed of Thought (1999), co-authored by Collins Hemingway, which shows how digital processes can solve business problems in an innovative and efficient way.


Dalle foreste all’high-tech From forests to high-tech di Aldo Bernacchi* by Aldo Bernacchi*

La straordinaria trasformazione (e successo) della Nokia, primo produttore mondiale di telefoni portatili The extraordinary transformation (and success) of Nokia, the number one global mobile telephone producer

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ell’immaginario infantile è la patria di Babbo Natale; per i sociologi è il paese dove le donne hanno più peso in politica fino a conquistare la massima carica di presidente della repubblica; per i libri di testo che si studiano a scuola è sempre e solo la terra dei laghi e delle immense foreste di betulle da cui si ricava la cellulosa: tutto vero, se non fosse che oggi, in un mondo dove l’informazione corre online, la Finlandia si identifica ormai per buona parte con la Nokia, un colosso industriale che negli ultimi dieci anni, dopo travagliati turnaround per la messa a fuoco del suo core business, si è messo a bruciare primati su primati su scala mondiale. La Nokia ha il record di vendita di cellulari, avendo scavalcato da poco l’americana Motorola. Per capitalizzazione con oltre 200 miliardi di euro è la prima società in Europa ed è ormai a un passo dalle top ten mondiali guidate da Microsoft e Cisco. Non sorprende, viste queste performance, che i suoi numeri equivalgano a gran parte dell’economia finlandese: è Nokia il 18% dell’export; è Nokia il 60% della capitalizzazione della Borsa di Helsinki; a Nokia è

attribuibile uno dei quattro punti di crescita del PIL nazionale nel ’99; è sempre targato Nokia il 35% dell’investimento complessivo in ricerca, sia pubblica che privata. Se è vero che senza Nokia e il suo indotto sull’economia finnica rischierebbe di calare il buio anche nell’estate boreale, è anche vero che il boom di Nokia non è disgiunto da una coraggiosa scelta del governo di Helsinki nei giorni drammatici della crisi che colpì il paese nei primi anni Novanta. Nel ’92 il prodotto interno lordo finlandese subì una flessione del 6%, travolto dalla crisi dell’ex URSS e dal forte calo della domanda occidentale. Helsinki scoprì d’essere un paese che rischiava la deriva. La diversificazione economica era un imperativo. Carta e legname, da sempre due terzi dell’export nazionale, non bastavano più a garantire un futuro di benessere. Con grossi sacrifici per non tagliare le spese per la ricerca, il governo puntò sulle telecomunicazioni come priorità del piano di rilancio. Una scelta che incrociò la via della Nokia che, già forte nel campo dei telefoni mobili, colse al volo l’opportunità

nazionale di concentrarsi sul business delle telecomunicazioni, dismettendo attività antiche (come la carta e la gomma) e anche di più recente interesse (come l’informatica e il tv-color). Oggi, nel Duemila appena avviato, Nokia è uno dei big della new economy, quella legata alla straordinaria innovazione di Internet: ma curiosamente, rispetto all’America che ha mandato in orbita società del tutto inesistenti soltanto una quindicina di anni fa (si pensi a Cisco, a Yahoo, a Oracle e a tanti altri astri del Nasdaq), l’Europa ha trovato uno dei suoi più formidabili player in un’azienda nata 135 anni fa, in una Finlandia che era ancora un granducato alle dipendenze della Russia degli zar. Era il 1865 quando veniva costituita la Nokia, per iniziativa di un ingegnere, Fredrik Idestam. Nasceva sulle rive di un fiume, in una landa sperduta della Finlandia meridionale, tra i fermenti di una nazione alla ricerca dell’identità perduta. Attorno all’impianto si formò un borgo che prese nome dalla stessa società. Legname e cellulosa

erano i primi obiettivi produttivi della neonata industria. Poi nel 1898 sarebbe venuto l’interesse anche per la gomma, dagli stivali ai pneumatici. Nel 1912 con la Finnish Cable Works, la Nokia sbarcava nel settore delle telecomunicazioni e tre anni più tardi faceva l’esordio alla Borsa di Helsinki. Poche altre società hanno saputo reinventarsi, rinnovando il proprio core business, come ha fatto la Nokia nella sua più che secolare storia che si intreccia con il travaglio politico di un paese che per la sua posizione geografica, specialmente negli anni della Guerra Fredda, fu abile a dissolvere i timori di un vicino troppo ingombrante come l’Unione Sovietica, rimanendo però sostanzialmente orientato verso gli altri paesi scandinavi e l’Occidente. Una politica che ebbe in Urho Kekkonen, presidente della Finlandia dal 1956 all’81, il personaggio carismatico. Nokia, come del resto le altre maggiori industrie del paese, hanno sempre avuto nel proprio DNA la propensione per scelte industriali che fossero nell’interesse della collettività. E' da questo coagulo di interessi pubblici e privati che nasce anche la decisione, che si sarebbe rivelata la carta vincente della Nokia di oggi, di entrare nel campo della telefonia, in particolare di quella senza fili. Nokia è stata il pioniere in Europa del telefonino. Il primo radio-telefono, il precursore del cellulare, per usi militari e servizi di emergenza risale al 1962. Una scelta lungimirante, ma che fu anche una necessità dettata dall’aspra geografia della Finlandia, dove comunicare è sempre stato un problema, in un paese per tre quarti al di sopra del circolo

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polare artico, con una densità demografica di appena 15 abitanti per ogni chilometro quadrato. In attesa tuttavia che il telefonino diventasse il business dorato che oggi è, Nokia cercò di crescere attraverso ardite diversificazioni sempre sulla frontiera dell’innovazione. L’accelerazione avvenne sul finire degli anni Ottanta con l’entrata in forze nell’elettronica di consumo e nell’informatica. Due scelte, assieme all’internazionalizzazione, che vennero sostenute e concretizzate da Kari Kairamo, amministratore delegato della società nonché leader degli industriali finlandesi, uno dei personaggi più in vista dell’economia finnica del

dopoguerra. Nel dicembre dell’87, la Nokia acquistò la divisione elettronica della tedesca Standard Elektrik Lorenz (SEL) controllata dalla francese CGE-Alcatel. Per i finlandesi voleva dire diventare il terzo polo di tv-color in Europa con una quota del 14%. Ai marchi di casa (in particolare Salora) aggiungevano quelli ITT, Schaub-Lorenz, Graetz: cioè 1,2 milioni di pezzi pari a un fatturato allora di 1.200 miliardi di lire (equivalenti a circa 600 milioni di euro di oggi). Una strategia che puntava al business dell’alta definizione sul cui standard si stavano scatenando gli appetiti di molti. Quasi contemporaneamente nel gennaio ’88 la Nokia fece sua l’informatica della

Ericsson: i computer del gruppo svedese contribuivano per altri 1.500 miliardi di lire (circa 750 milioni di euro) al fatturato consolidato di Nokia che nel giro di un decennio era passata da un giro di affari di 6,4 miliardi di marchi finlandesi dell’82 a oltre 25 miliardi del ’91. Molto meno, però, stavano correndo gli utili anche per colpa della grave crisi economica in cui stava precipitando la Finlandia. Di fatto la diversificazione della Nokia si rivelò un mezzo fallimento con bilanci più in rosso che in nero. Fece in tempo a percepirlo anche Kairamo che morì qualche tempo dopo lasciando la società di fronte all’ennesima necessità di un nuovo turnaround. Furono mesi drammatici. Nokia decise di

puntare tutto sul telefono multimediale e sulle telecomunicazioni cogliendo al volo le scelte strategiche del governo finlandese. Cominciarono le dismissioni. L’informatica fu ceduta nel ’91 alla Fujitsu-Icl. L’elettronica di consumo, cioè i tv-color che a fine degli anni Ottanta rappresentavano più di metà del fatturato consolidato, vennero venduti nel ’96 alla Semi-Tech di Hong Kong. La carta passò alla James River. La vecchia divisione dell’elettronica venne snellita nell’attuale Nokia Communications Products che realizza terminali digitali e monitor a tecnologia avanzata per PC e workstation. Uno dei tre punti di forza della Nokia del Duemila con Telecommunications e Mobile Phones. E la scelta di Jorma Olilla, l’attuale Chief Executive Officer, salito al vertice nel ‘92, appare confortata dalle performance di crescita e di utili con cui Nokia è entrata nel nuovo millennio. Dal lancio sperimentale del primo cellulare GSM capace di dialogare in tutta Europa, quando il telefonino pareva ancora uno status symbol per yuppies, sono appena trascorsi nove anni, ma sembrano secoli per come corre oggi l’innovazione. Nel frattempo Nokia, ha saputo bruciare le tappe agganciando e superando i concorrenti diretti: nel dicembre ’98 tagliava il traguardo del 100milionesimo cellulare; qualche mese dopo strappava il primato all’americana Motorola fino a conquistare l’attuale quota del 26,9% del mercato mondiale dei telefoni mobili (che dai 15 milioni del ’91 hanno superato ormai quota 400 milioni); il fatturato si metteva a correre fino a raggiungere i 20 miliardi


di euro dell’anno scorso; la capitalizzazione in Borsa schizzava alle stelle di pari passo agli utili (superiori ai 2,5 miliardi di euro nel ’99). E cartina di tornasole dell’influenza che ormai Nokia esercita sulle decisioni del governo di Helsinki è stato l’ingresso della Finlandia nell’euro. Unico paese scandinavo a farlo, per non dispiacere alla sua più potente industria che temeva contraccolpi in caso di non adesione. “Tutto è possibile”: con lo stesso spirito che animava Bjorn Westerlund, che si definiva “digitally crazed”, quando negli anni Sessanta alla testa della divisione Cable Works, sperimentava la Pulse Code Modulation (il primo sistema di telefonia digitale), la Nokia di Olilla è entrata nel Duemila con l’obiettivo di essere leader anche nei cellulari che permettono di lavorare direttamente su Internet: il General Packet Radio Service e il WAP (Wireless Application Protocol), che praticamente sostituisce il PC portatile per collegarsi in rete e che è la pietra miliare sulla strada dell’Universal Mobile Telephony System (UMTS). “Prevediamo che già dall’anno prossimo si venderanno più WAP che PC portatili”, prevede Matti Alahutha, capo della divisione Mobile Phones di Nokia. E in attesa del boom del WAP e del GPRS, di cui i finlandesi condividono la

leadership con gli svedesi della Ericsson, alla Nokia già pensano a come dotare ogni auto di un indirizzo sul Web. * Aldo Bernacchi è giornalista de Il Sole 24 Ore dal 1985. In precedenza, aveva lavorato a Il Giorno e al Corriere della Sera: attualmente ricopre la carica di inviato, dopo essere stato a capo della redazione Finanza e Mercati.

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n children’s imagination, it is Santa Claus’ country. In the texts that one studies in school, it has always been the land of lakes and immense birch tree forests from which cellulose is extracted. For sociologists, it is the country where women wield the most power in politics. In fact, the President of the Republic is a woman. This is all true… except that today, in a world of online information, Finland is primarily identified with Nokia – an industrial colossus which, in the wake of focusing on its core business, experienced an extraordinary turnaround and has in turn climbed one rank after another, globally. Nokia holds the record for mobile telephone sales having recently overtaken America's Motorola Inc. With more than 200 billion Euro in capital, Nokia is the largest company in Europe and is just a step away from being one of the world’s top ten companies, headed by Microsoft and Cisco. In view of this, it is not surprising that Nokia's

numbers are a large part of the Finnish economy. Nokia accounts for 18 percent of Finnish exports and 60 percent of the Helsinki Stock Exchange capitalization. Nokia has been credited as one of the four 1999 GDP growth areas and is responsible for 35 percent of the research investment funding in Finland, both public and private. If it is true that without the strong influence of Nokia, the Finnish economy would risk falling into darkness, even in a boreal summer. It is just as true that Nokia’s boom is connected to a courageous choice the Helsinki government made during the dramatic days of the financial crisis that struck Finland at the beginning of the nineties. In 1992, Finland's GDP dropped 6 percent, dragged down by the crisis in the former USSR and by a sharp decline in

Western demand. Finland was a country which could potentially have been cast adrift. A general economic diversification was imperative. Paper and wood had always accounted for two-thirds of national exports, but now they were no longer sufficient to guarantee future wellbeing. The government made large sacrifices in order to avoid cutting research costs and made telecommunications a priority in its new economic plan. It was a choice that crossed paths with Nokia. Nokia, which was already a strong force in the mobile telephone industry, seized the opportunity to concentrate on the telecommunications business, dismantling some of its older activities (like paper and rubber) and even some of its more recent interests (like IT and color TVs) to make way for the new development.

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Today, in the new millennium, Nokia is one of the leaders of the new economy that is linked with an extraordinary invention, the Internet. But curiously, unlike the United States which has given birth to companies that did not exist just 15 short years ago (such as Cisco, Yahoo!, Oracle and many other Nasdaq stars), Europe has discovered one of its most formidable players in a company created 135 years ago. And it was created in Finland, a Grand Duchy that originally depended on Tsarist Russia. Nokia was created in 1865 by an engineer named Fredrik Idestam. It was formed along

the banks of a river, the no-man’s land of southern Finland, in the middle of a country’s search for its lost identity. A small town grew up around the plant and took the same name as the company. At first Nokia produced wood and cellulose. Then, in 1898, Nokia developed an interest in rubber as well – from boots to tires. In 1912, Nokia branched out into the telecommunications sector along with the Finnish Cable Works. Three years later Nokia first appeared on the Helsinki Stock Exchange. Few other companies have known how to reinvent themselves, renewing their

core businesses, like Nokia has done in its long history. The company’s history is interwoven with the political turmoil that has enveloped Finland due to its geographic position, especially during the Cold War, when it cleverly dissolved the fears created by its enormous, awkward neighbor, the USSR. Essentially, the country remained oriented toward the other Scandinavian countries and the West. These politics benefited from an extremely charismatic president, Urho Kekkonen, who held office from 1956 to 1981. Nokia, like the other major Finnish industries, has always had an almost genetic propensity for industrial choices that are in the collective interest. This tangle of public and private interests also gave birth to the decision to enter into the field of telephones, especially wireless ones, which would prove to be the winning card for today’s Nokia. Nokia was a European pioneer in mobile telephones. The first radio-telephone, the precursor to the mobile phone, was developed for military and emergency services in 1962. It was both a far-sighted and necessary choice given the bitter Finnish countryside in which communications have always been a problem. In fact, three-quarters of the country is above the polar arctic circle and has a demographic density of barely 15 inhabitants per square kilometer. While waiting for mobile telephones to become the lucrative business they are today, Nokia worked on diversification, but still within the framework of innovation. The acceleration took place at the end of the 1980s with the

large-scale entrance into consumer electronics and information technology. Together with internationalization, these were two choices that were strongly supported by Kari Kairamo, CEO of the company, a Finnish industrialist leader and one of the most high-profile personalities in the Finnish post-war economy. In December 1987, Nokia acquired the electronic division of the German Standard Elektrik Lorenz (SEL) controlled by the French company, CGE-Alcatel. For the Finns this meant becoming the third European pole in the color-TV industry with a 14 percent share. In addition to the house brandnames (most notably Salora), Nokia added ITT, Schaub-Lorenz and Graetz. In other words, 1.2 million pieces equal to what was then a total sales of nearly 1,200 billion Italian lire (equivalent today to about 600 million Euro). It was a strategy aimed at the highdefinition business, on the standard of which many appetites were being whetted. Almost simultaneously, in January 1988, Nokia bought Ericsson’s IT division. The Swedish group’s computers contributed another 1,500 billion Italian lire (around 750 million Euro), to Nokia’s consolidated sales that in the space of a decade had gone from 6.4 billion Finnish marks in 1982 to more than 25 billion Finnish marks in 1991. Unfortunately, at the same time profits were running much lower due to the serious economic crisis into which Finland was falling. As a matter of fact, Nokia’s diversification was proving to be a half-failure, with balances more in the red than in the black. Kairamo saw this in time, though he died shortly


thereafter leaving the company to face the necessity of yet another turnaround. These were dramatic months. Nokia decided to focus on multimedia telephones and telecommunications, seizing upon the strategic choices of the Finnish government. Then the layoffs began. The IT sector was sold off in 1991 to Fujitsu-Icl. The consumer electronics division (color televisions had until the 1980s, accounted for more than half of Nokia’s total sales) was sold in 1996 to the Hong Kong company Semi-Tech. James River took over the paper business. The old electronics division was slimmed down and turned into what is now Nokia Communications Products, which produces digital terminals and advanced-technology monitors for PCs and workstations, one of Nokia’s three strengths in the new millennium along with Telecommunications and Mobile Phones.

And the choice of Jorma Olilla, the current Chief Executive Officer who rose to the top in 1992, appears to be justified by the growth and profit performance with which Nokia entered the year 2000. Just nine short years have passed from the experimental launch of the first GSM cellular phone (though it seems like centuries ago, seeing the pace of innovation), capable of calling and receiving all over Europe as the mobile phone seemed to be nothing more than a status symbol for yuppies. In the meantime Nokia has been able to cut corners and anticipate new developments, overtaking their direct competitors. In December 1998, they sold their 100 millionth mobile phone and a few months later they bumped Motorola out of first place. Nokia’s annual sales revenue climbed to 20 billion Euro in 1999, and profits soared to a record 2.5 billion Euro. The company now has a 26.9 percent of the global

mobile telephone market (which has grown from 15 million units in 1991 to more than 400 million today), and its stock capitalization has grown astronomically. The real test of the influence Nokia wields on the Finnish government's decision-making process, was the nation’s entrance into the Euro. They were the only Scandinavian country to join, and the choice was made in order to please their biggest and most powerful industry which feared reprisals if they did not take part. “Everything is possible.” With the same spirit that animated Bjorn Westerlund, who defined himself as “digitally crazed” in the 1960s when he was director of the Cable Works division and experimented with the Pulse Code Modulation (the first digital telephone system), Olilla’s Nokia has charged into the year 2000 with the objective of becoming the leader in

mobile phones that allow one to work directly on the Internet. The General Packet Radio Service and the WAP (Wireless Application Protocol), practically substitute the portable PC for Internet connection, and are considered a milestone on the road to the Universal Mobile Telephony System (UMTS). “We foresee that already by next year you will see more WAPs than portable PCs,” says Matti Alahutha, director of the Mobile Phones division at Nokia. And while they wait for the WAP and GPRS boom, for which the Finns share the leadership with the Swedish company Ericsson, Nokia is already figuring out how to give every automobile a Web address. * Aldo Bernacchi has been a journalist for Il Sole 24 Ore since 1985. Before that, he worked for Il Giorno and Corriere della Sera. He currently works as a correspondent, after having been managing editor of the Finance and Markets section of the paper.

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Projects

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Oggi è possibile costruire virtualmente un edificio o una città, percorrerli o volarci sopra grazie a simulazioni tridimensionali. Il tutto con costi e tempi prima d’ora impossibili o proibitivi. L’architettura si arricchisce di nuovi linguaggi e l’immagine dell’architetto, che con il proprio sguardo crea architettura in tempo reale, presto non sarà più solo una suggestiva icona del virtuale, ma un‘affascinante realtà. Today it is possible to virtually construct a building or a city, walk around inside or fly above your creation, thanks to three-dimensional simulations. And all this at costs and within time frames that until now would have been impossible or prohibitive. Architecture is being enriched with new languages and soon the image of an architect whose very glance can create architecture in real time will be more than just an icon of the virtual: it will be a fascinating reality.

Dal segno allo spazio From Real Signs to Virtual Space Il virtuale: un nuovo linguaggio per l’architettura del futuro Virtual: a new language for the architecture of the future Cesare Maria Casati*

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el passato, per secoli e millenni, il progetto d'architettura è sempre stato rappresentato e trasferito fisicamente ai costruttori su supporti bidimensionali e graficizzato con segni più o meno evidenti e convenzionali. Gli strumenti per rappresentare il progetto concettuale ed esecutivo di qualsiasi costruzione, sino a pochi anni fa, sono stati sempre e solo la riga e le squadre. Squadre convenzionalmente di tre tipi: a 45° o a 30° e 60°. Per facilitare il disegno su carta fu prima inventato un sistema composto da una riga e funicelle, che consentivano di tracciare righe orizzontali e sempre parallele e compensavano tutte le possibilità di disegno con l'utilizzo abbinato delle squadre. Negli anni Cinquanta arrivarono strumenti un po' più ricercati, detti tecnigrafi, che, con contrappesi e molle, consentivano di posizionare due righe, ortogonali tra loro e inclinabili secondo un goniometro meccanico, in qualsiasi punto del tavolo da disegno; permettendo anche di rappresentare in grande dimensione particolari al vero. Linee curve e cerchi venivano rappresentati solo con compassi o righelli di piombo flessibili. Naturalmente, questi strumenti che consentivano di rappresentare il disegno in diverse scale, solo ridisegnandolo ogni volta in differenti dimensioni, hanno condizionato, credo sostanzialmente, la formulazione e la conseguente realizzazione del progetto. Angoli retti e angoli a 30°, 45°, 60° sono presenti in tutte le opere realizzate in numero certamente superiore al necessario. Tenendo poi in conto che si tratta di convenzioni geometriche a cui la natura e il territorio geografico normalmente non aderiscono. È certo che la creatività umana spazia nel suo affermarsi in dimensioni libere e indipendenti da strumenti o convenzioni e necessita di liberarsi da qualsiasi vincolo. Questo è avvenuto solo in questi ultimi due decenni grazie all'informatica e all'impiego di personal computer con programmi adeguati, che finalmente hanno tolto alle mani e al puro talento la qualità di rappresentazione del disegno. Programmi CAD che, oltre a dare la possibi-

lità di realizzare il progetto tradizionale in due dimensioni, consentono di progettare in tre dimensioni indipendentemente da angoli o linee curve e sinuose. Oltre alla possibilità virtuale di controllare nello svolgersi del progetto creativo il modello virtuale dell'oggetto o della costruzione. Modello a cui si potranno modificare in tempo reale colori o materie, cambiare punti di vista o penetrare al suo interno e controllare la dinamicità delle linee e dei loro spostamenti visivi mentre a piedi si percorre un volume. Possibilità di controllo costante nel farsi e di verifica immediata del gioco dei vuoti e dei pieni nel movimento, impossibili sino ad ora, che hanno veramente liberato il pensiero architettonico. Ne abbiamo la verifica dalla grande trasformazione formale e tecnologica che l'architettura ha subito in questi ultimi venti anni che dal Centre Pompidou in poi hanno visto i linguaggi progettuali abbandonare gli schemi compositivi del Novecento, legati alla modernità, per geometrie precise e rigide, affermando nuove situazioni volumetriche e territoriali più emozionanti e poetiche proprio perché concepite senza costrizioni o preconcetti. Oggi teoricamente possiamo costruire virtualmente un edificio o una città, percorrerli all'interno e all'esterno, volarci sopra, controllarli di giorno o di notte, trarre delle immagini fisse o in movimento, da soli o con altri, ascoltare i nostri passi o le riverberazioni dei suoni che ci circondano, proprio come se tutto fosse reale, e in un istante modificarli o eliminarli. Il tutto con costi e tempi che nel passato sarebbero stati impossibili o proibitivi. Ci si offre un tempo e una parte di vita in un mondo virtuale ieri sconosciuto, oggi possibile ma domani fantasticamente emozionante.

* Cesare Maria Casati è direttore de l’Arca, l’Arcaplus e l’Arca International, riviste internazionali di architettura. Con il figlio Matteo è contitolare di uno studio di architettura e disegno industriale a Milano. Già da studente di architettura ha avuto l’opportunità di collaborare con Gio Ponti nell’elaborazione di importanti progetti come, tra gli altri, il Quartiere Tessera e la sede dell’Editoriale Domus a Milano. È stato inoltre direttore della rivista di architettura Domus e del periodico La Mia Casa.


VIRTUALE VIRTUAL

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or centuries, and even millennia, architectural projects were always represented and transferred physically to builders through bidimensional representations drawn with more or less conventional signs, lines and symbols. The instruments used to represent any conceptual and executive construction until just a few years ago were always the T-square, triangle and ruler, or architectural scale. The T-square represented the horizontal lines in the project and served as a base for the triangles. In addition to a right angle for construction of vertical lines, other corners of the triangles were set at 30, 60 or 45 degrees. The T-square was replaced by a parallel bar that stretched the length of the drawing surface and moved up and down the table on two cords. The parallel bar also served as a base for the triangles. In the 1950s, technographs and drafting machines were developed. Technographs allowed small details in the design to be represented on a larger scale. Drafting machines used a system of counterweights and springs that replaced the parallel bar and triangle. It allowed the positioning of horizontal and vertical lines as well as any diagonal regardless of the angle. Curved lines and circles were created only with the compass or flexible lines. Naturally, these instruments allowed the design to be accurately represented in various scales by redrawing it manually each time. I believe that this substantially conditioned the formulation and the consequent realization of a project. Right angles, 30, 45 and 60 degree angles are undoubtedly present in a great deal more constructions than are necessary. Keep in mind that these are geometric conventions to which nature and geographical territories do not normally adhere. Surely human creativity, searching for expressive dimensions which are free and independent of instruments or conventions, needs to range unhindered, liberated from any kind of restriction. This kind of freedom has appeared only in the last two decades thanks to information technology and the use of personal computers with the appropriate programs. These have finally liberated hands and pure talent from the mundane necessity of drawing everything on paper. Computer aided design, or CAD programs, allows the designer to create a project in three dimensions, in addition to the traditional two-dimensional project, free from angles or curved and sinuous lines. There are also virtual modeling possibilities for controlling the development of the creative project. This project model can be modified in real-time changing colors, materials, points-of-view or penetrating the interior and controlling the line dynamics and

their visual movements while strolling through a volume. This benefit of constant control followed by immediate verification from empty spaces to areas full of movement, had been impossible until recently. This development has truly liberated architectural thinking. We have proof of the great formal and technological transformation that architecture has undergone during the past twenty years. The Pompidou Center onward witnessed an abandoning of the composite schemes of the 1900’s (filled with a projectual language linked to modernity by precise and rigid geometries). It now asserts new volumetric and territorial situations which are more exciting and poetic precisely because they have been conceived free of any constrictions or preconceptions. Theoretically, today we can virtually build a structure, or a city, walk around inside or outside, fly over, check it day or night, extract fixed or moving images, alone or with others, listen to the sound of our footsteps or the reverberation of sounds that would or could surround us, as if everything were really there. Then, in a single moment we can modify, change or eliminate these hypothetical constructions. All of this can be done more cost effectively and within a time frame that would have been impossible or even prohibitive in the past. We are now being offered time and assistance in a virtual world that just yesterday was unknown, today is possible and that tomorrow will prove to be extraordinarily exciting. * Cesare Maria Casati is director of the international architectural magazines l’Arca, l’Arcaplus and l’Arca International. Together with his son Matteo, he is co-owner of an architecture and industrial design studio in Milan. Already as a student in architecture, he had the opportunity to collaborate with Gio Ponti on important projects such as the Quartiere Tessera and the main office of the publishing house Domus, in Milan. Casati has also been director of the architectural magazine Domus and the periodical La Mia Casa.

Progetto di Massimiliano Fuksas per il nuovo Centro Congressi Italia a Roma EUR.

Project by Massimiliano Fuksas for the new Centro Congressi Italia at Roma EUR.

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Infrastrutture di Futuropoli Infrastructure: the Future Metropolis Berlino, Lehrter Bahnhof Berlin, Lehrter Bahnhof Progetto di von Gerkan, Marg + Partner Project by von Gerkan, Marg + Partner

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VIRTUALE VIRTUAL

È

convinzione comune che negli ultimi decenni la ricerca progettuale si sia incentrata molto sulla forma e poco sui contenuti; si crede, insomma, che il problema sia soprattutto legato al linguaggio e ai suoi mezzi rappresentativi. Probabilmente, ciò è spiegabile con la crisi della disciplina iniziata dopo l’esplosione dell’interesse verso il sociale, avvenuta tra gli anni Sessanta e Settanta, che ha distrutto il sogno di un’architettura rifondatrice di una nuova città. Con la diffusione dell’informatica lo scenario è però cambiato con diversi sistemi di verifica e analisi del progetto, radicalmente mutati attraverso l’uso dello spazio virtuale, e di interfacce molto sofisticate. Le tecnologie informatiche applicate alla progettazione hanno superato la vecchia metodologia fondata sull’iterazione “pensiero-schizzo-immagine” attraverso un sistema il cui nucleo è un modello di realtà virtuale in grado di realizzare simulazioni in 3D e in tempo reale, permettendo così di rilevare come certe soluzioni spaziali siano compatibili con i vincoli progettuali. Il progetto di stazione ferroviaria per la Lehrter Bahnhof di Berlino è un caso emblematico in cui l’informatica e il virtuale hanno svolto un ruolo fondamentale. Senza simulazioni realistiche, ottenibili solamente attraverso la dimensione del virtuale, la complessità di una simile struttura urbana avrebbe richiesto laboriose verifiche su modelli a grande scala. Attualmente in via di costruzione nella zona di Humboldthafen, l’infrastruttura entrerà in esercizio entro il 2002, divenendo un nodo d’interscambio ferroviario di importanza internazionale, con un flusso medio valutato in circa trenta milioni di passeggeri l’anno. Esempio di raffinata concezione ingegneristica, il progetto elaborato da von Gerkan, Marg + Partner presenta soluzioni di particolare pregio come, per esempio, l’arco a quattro cerniere dell’impalcato ferroviario superiore. La visione ingegneristica dell’architettura caratterizza un po’ tutta l’opera dello studio von Gerkan, Marg + Partner; in questo caso si evidenzia soprattutto nella particolare configurazione delle strutture portanti. Le superfici vetrate rivelano una complessa trama strutturale equivalente a un assunto filosofico che rasenta l’apologo tecnocratico: lo scheletro è il solo elemento in grado di definire le caratteristiche di un corpo. La nuova infrastruttura presenta aspetti di grande rilevanza sul futuro della capitale tedesca. La Lehrter Bahnhof è un segno di forte pregnanza iconica, ma anche un

elemento fondamentale in grado di generare una strutturazione del tessuto urbano tramite complessi impianti nodali. L’importanza di questa grande stazione, attraversata da due linee ad alta velocità come quelle dell’ICE e di U-Bahn che collegano il territorio tedesco da est a ovest e da sud a nord, giustifica le sue eccezionali dimensioni: il complesso copre un’area di 164.000 metri quadrati, di cui 75.000 destinati ad attività commerciali; 4.300 metri quadrati sono riservati ai servizi ferroviari; per trasporti e distribuzione sono previsti circa 19.500 metri quadrati mentre i restanti 35.000 metri quadrati sono destinati alle piattaforme ferroviarie vere e proprie. La Lehrter Bahnhof, caratterizzata da ampie superfici vetrate che ne smaterializzano l’imponente mole, non è solo una grande stazione, bensì un’aggregazione di funzioni oltre quelle strettamente ferroviarie, ottenute con numerosi spazi aperti alla città. La Lehrter Bahnhof non è, insomma, solamente quella che oggi viene definita una “città temporanea” ma un luogo con una sua specificità urbana in grado di offrire nuovi servizi e spazi ai cittadini. La “geografia tecnica” dell’area baricentrale della stazione si sviluppa attraverso più livelli. E’ previsto un tunnel inferiore di circa 15 metri di profondità rispetto al piano della stazione, comprendente il piano del ferro della linea ICE; vi è inoltre un impalcato, destinato alla linea U-Bahn, sospeso a 10 metri sopra il livello stradale. La forma, ma soprattutto le straordinarie dimensioni di questo nodo di trasporto rendono questa infrastruttura non più relazionata alla scala tradizionale delle città europee; lo spazio urbano ne risulta dilatato e trasformato in un’articolata aggregazione a scala territoriale che anticipa quale sarà probabilmente lo sviluppo futuro delle grandi metropoli.

Nella pagina a fronte, rendering della nuova stazione Lehrter Bahnhof a Berlino. Qui sopra, planimetria generale. L’infrastruttura costituirà un importante nodo fra le direttrici est-ovest e nord-sud. Opposite. Rendering of the new Lehrter Bahnhof railway station in Berlin. Above. General plan. The infrastructure will constitute an important nexus between the east-west and north-south directions.

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I

t is a common conviction that in recent decades projectual research has concentrated a great deal on form and little on content. In short, it is believed that the problem is linked to language and its representative methods. Most likely this can be explained with the crisis of the discipline initiated after the explosion of interests in social themes, which took place in the 60s and 70s and destroyed the dream of a reconstructive architecture capable of recasting the city. With the diffusion of information science, the scenario has changed with different systems of project analysis and verification radically mutated through the use of virtual space and extremely sophisticated interfacing. The information technologies applied to planning have overcome the repetitive “thought-sketch-image� methodology with a system whose nucleus is a model of virtual reality capable of creating 3D simulation in real-time allowing the architect to highlight the ways in which certain spatial solutions are compatible with the given projectual constraints. Berlin’s Lehrter Bahnhof railway station project is

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Rendering della piattaforma di 35.000 mq con la copertura a volta vetrata, sostenuta da una struttura in acciaio. The 35,000 square meter platform is covered by a steel-supported glass vault.

an example of a project in which information science and virtual reality have played a fundamental design role. In the absence of realistic simulations, which can only be obtained in virtual reality, the complexity of a similar urban structure would have required laborious verifications on large-scale models. The infrastructure is currently under construction in the Humboldthafen zone and will be open by the year 2002. It will become a nexus for railway exchange of international importance with an estimated average passenger flow of around thirty million passengers per year. It is also an example of refined engineering conceptualization. The project created by von Gerkan, Marg + Partner presents particularly noteworthy solutions. The four-hinged arch of the upper framework of the railway is an excellent example. The engineering vision of this architecture in a certain sense characterizes all the work of von Gerkan, Marg + Partner. In this case it shows above all in the particular configuration of the loadbearing structures. The glass surfaces reveal a com-


plex structural plot equivalent to a philosophical assumption that brushes the technocratic apologue whereas the skeleton is the only element capable of defining the characteristics of a body. The new infrastructure presents aspects of extreme importance for the future of the German capital. The Lehrter Bahnhof is not only a strong icon but also a fundamental element capable of generating the structure of the urban fabric through complex nodal constructions. The importance of this giant station is its location. It is crossed by two high-speed lines – the ICE and the U-Bahn – which connect Germany from East to West and North to South and justify the station’s exceptional dimensions. The complex covers an area of 164,000 square meters, 75,000 of which are destined for commercial use, 4,300 square meters are reserved for railway services, 19,500 are intended for transport and distribution and the remaining 35,000 square meters will be used for the railway platforms themselves. The Lehrter Bahnhof is characterized by ample glass surfaces, which dematerialize its impressive

bulk. It is not simply a giant station but rather an aggregation of functions, many of which are not strictly railway-connected and are obtained through numerous spaces open to the city. The Lehrter Bahnhof is not, therefore, simply that which is defined today as a “temporary city” but a place with its own urban specificity capable of offering new services and spaces to citizens. The “technical geography” of the station’s center of gravity is developed on more than one level. There are plans for a lower tunnel nearly 15 meters below the station’s ground floor, including the ICE line. There will also be a railway framework, destined for the U-Bahn line, suspended 10 meters above street level. The form and, above all, the extraordinary dimensions of this transport nexus free this infrastructure from the traditional scale of the European cities. The urban space is thereby diluted and transformed in an articulated aggregation on a territorial scale that anticipates what will most likely be the direction of development for the grand metropolis of the future.

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In queste pagine, rendering dell’interno e dell’esterno e sezioni dei vari livelli di traffico ferroviario. Interior and exterior renderings, along with sections of various railway traffic levels.

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Architettura dissolta Phasing out Architecture Noordwijk, Beachness, albergo sul mare – Neeltje Jans, Blow Out, blocco servizi Noordwijk, Beachness, seaside hotel – Neeltje Jans, Blow Out, utility block Progetto di Nox/Lars Spuybroek Project by Nox/Lars Spuybroek

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“A

rchitettura liquida” – termine coniato da Lars Spuybroek dei Nox Architects – non è la fenomenologia dei fluidi applicata all’arte della costruzione bensì eliminazione, dissolvimento – attraverso la tecnologia del virtuale – di tutto ciò che si è consolidato e acquisito in architettura attraverso scuole di pensiero, teorie, stili e atteggiamenti culturali. Il mondo del virtuale è una nuova frontiera nella ricerca di nuovi linguaggi architettonici, e Lars Spuybroek è uno degli architetti più attenti e creativi nella formulazione di nuove teorie legate all’informatica. All’architetto olandese si deve, infatti, quell’approccio anticonvenzionale al progetto che ha dato vita alla cosiddetta “architettura liquida”: teoria progettuale antiortogonale che rappresenta una delle tendenze più all’avanguardia del momento. La teoria elaborata da Spuybroek unisce a una particolare visione dell’architettura anche riflessioni critiche, che traggono origine dagli studi su Corpo e Genere che tanto spazio hanno avuto nel dibattito architettonico internazionale. La coerenza della proposizione di Spuybroek va valutata in tutta la sua portata innovativa, prendendo in considerazione il concetto di architettura come protesi: il corpo è protagonista del progetto attraverso la continuità tra corpo e costruito, tra organicità e meccanica. Tuttavia, se nell’accezione comune la protesi è una struttura sostitutiva di un organo mancante, o malfunzionante, ma anche estensione strutturale del corpo stesso, in architettura occorre riflettere su alcuni concetti. Per esempio: il computer ha creato il sistema per l’omogeneizzazione dei caratteri progettuali di corpo e architettura. Spline è la linea spezzata continua generabile in Autocad che induce a un nuovo concetto di uomo e di architettura quali entità equiparate alla logica dei vettori applicati a punti nello spazio. L’architettura è essenzialmente una struttura geometrica, con una serie di proprietà, tra cui quella di essere modificata con l’applicazione di vettori vicini a punti di controllo, identificabili nelle giunture della spezzata. Il corpo umano può dunque essere considerato come un insieme di articolazioni, muscoli e ossa in cui agiscono forze e tensioni concentrate in alcuni punti cruciali. Nei progetti elaborati dai Nox Architects, oltre alla

presenza di questi concetti, corpo e strutture architettoniche si relazionano attraverso nuovi rapporti topologici, addirittura geografici. La relazione corpo-oggetti è interamente influenzata dal concetto di campo; la nozione di campo si esprime in valori metrici e formali, ma anche nel ribaltamento di ruolo tra soggetto e suo intorno: anziché essere il soggetto ad attraversare lo spazio, è lo spazio – compreso tutto ciò che di solido lo compone – a muoversi intorno al soggetto. Esemplificando, si tratta insomma dello stesso meccanismo che governa l’illusione di movimento di molti videogiochi elettronici, dove il protagonista si trova sempre al centro dello schermo mentre è il contesto a ruotargli intorno. La visione del mondo muta così di senso attraverso deformazioni topologiche anziché distorsioni prospettiche, come avviene normalmente nella realtà. Beachness e Blow Out, rispettivamente progetti per un albergo sul mare e per un blocco servizi, sono elaborazioni esemplificative e programmatiche di “architettura liquida” e dimostrano come i Nox Architects siano alla ricerca di un’architettura in grado di generare azione, di impiegare lo spazio aggiungendo una sorta di valore aggiunto identificabile in una serie di eventi e situazioni. Nel progetto di albergo sul mare, Spuybroek individua un “alto livello di attività al suolo”, ottenuto grazie alla frammentazione delle aree a parcheggio, normalmente caratterizzate da un rapporto problematico, grazie alla rigenerazione di un unico ambito comprendente sabbia e asfalto, in cui le automobili si comportano come pedoni, eliminando così il ”problema parcheggio”. Si sta profilando una sorta di nuova ecologia ambientale in cui corpo e protesi collaborano nell’azione attraverso un nuovo rapporto, dove il corpo non deve più “denudarsi” della protesi meccanica (l’auto, l’architettura), ma conviverci senza traumi. Comune ad altre esperienze progettuali d’avanguardia, l’assunto programmatico dei Nox Architects è stato in parte già divulgato in alcune mostre come “Virtual Architecture”, allestita nel 1998 presso il Belém Cultural Center a Lisbona, e, nel 1990, in occasione di un’analoga manifestazione, alla Cooper Union di New York.


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Nella pagina precedente, rendering del progetto Beachness, albergo sul mare a Noordwijk, in Olanda. Nella pagina a fronte, studi strutturali. Il complesso, commissionato dall’Amsterdam Design Institute, è composto da un boulevard e da un edificio a spirale con struttura in acciaio, ed è basato su concetti di architettura fluida, leggera e modificabile.

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iquid architecture” – a term coined by Lars Spuybroek from Nox Architects – is not the phenomenology of fluids applied to the art of construction. Instead, it is the dissolution or elimination of everything which is consolidated and acquired in architecture from the schools of thought, theory, style and cultural behavior through virtual technology. The virtual world is a new frontier in the search for new architectural languages and Lars Spuybroek is one the most attentive and creative architects around when it comes to the formulation of new theories connected to information science. In fact, the Dutch architect must be recognized for that unconventional approach to the project which gave life to the so-called “liquid architecture,” a non-orthogonal projectual theory which represents one of the most avant-garde tendencies of the moment. Spuybroek’s theory unites a particular vision of architecture with the kind of critical reflection that has its origins in the studies of body and genus (both of which have had such ample space in international architectural debate). The coherence of Spuybroek’s proposition must be evaluated in all its innovative capacity. It takes into consideration the concept of architecture as prosthesis with the body as protagonist of the project through the continuity between body and construct, between organic and mechanic. But if the common definition of prosthesis is a substitute structure for a missing or malfunctioning organ (as well as a structural extension of the body), to define it in architecture we must first reflect on certain concepts. For example, the computer has created a system for the homogenization of the projectual characters of body and architecture. The spline is the broken line which can be continually generated in Autocad and induces a new concept of man and architecture, the entity of which is comparable to the logic of vectors applied to points in space. Architecture is essentially a geometric structure with a series of properties among which we find the fact of being modifiable with the application of vectors close to points of control identifiable in the junctures of the broken line. The human body can therefore be considered as a mixture of articulations, muscles and bones in which forces and tensions concentrated in certain crucial points act and react. In addition to the presence of these con-

Preceding page. Rendering of the Beachness project, a seaside hotel in Noordwijk, Holland. Opposite. Structural studies of the Beachness project. The complex, commissioned by the Amsterdam Design Institute, is composed of a boulevard and a spiral edifice with a steel structure. It is based on the concept of a fluid, light and modifiable architecture.

cepts, architectural body and structure connect through new topological and even geographical relationships in the projects elaborated by Nox Architects. The body-object relationship is entirely influenced by the concept of ground. The notion of ground is expressed in metric and formal values as well as in the role-changing between the subject and its surroundings. Rather than the subject crossing the space, it is the space – including everything solid which composes that space – that moves around the subject. To explain more simply, it is similar to the mechanism that governs the illusion of movement in many electronic videogames in which the protagonist is always at the center of the screen while the context moves eternally around him. The vision of the world moves through topological deformations rather than distortions of perspective, as normally happens in reality. Beachness and Blow Out, projects for a seaside hotel and a service block, respectively, are exemplary and programmatic elaborations of “liquid architecture.” They demonstrate how Nox Architects are searching for an architecture capable of generating action, of putting the space to work to kind of add an extra value identifiable in a series of events and situations. In the Seaside Hotel project, Spuybroek identifies a “high concentration of activity at ground level” obtained thanks to the fragmentation of the parking areas – places normally characterized by problematic relationships – utilizing the regeneration of a singular environment composed of asphalt and sand in which cars behave like pedestrians, thereby eliminating the “parking problem.” It profiles a sort of new environmental ecology. It’s an ecology in which body and prosthesis collaborate in the action thanks to a new relationship – a relationship in which the body need not be “stripped” of the mechanical prosthesis (the car, the architecture) but can live together without trauma. Together with other projectual “avant-garde” experiences, Nox Architects’ programmatic task has already been in part laid bare at shows like “Virtual Architecture” at the Belém Cultural Center in Lisbon in 1998 and in a similar exhibition at the Cooper Union in New York in 1990.


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In queste pagine, rendering degli interni. Architectural renderings of the internal spaces.

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Millennio antartico per Atlantis Antarctic Millennium for Atlantis Antartide, modulo per ricerche scientifiche Antarctica, module for scientific research Progetto di Fabrizio Astrua - Paolo Pininfarina Project by Fabrizio Astrua - Paolo Pininfarina

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tlantis: da un millennio all’altro con massimo impatto emozionale ma minimo impatto ambientale. Atlantis – simile a un disco volante, con cupola trasparente per osservazioni astronomiche – nasce da un’idea di Francesco Stochino Weiss, uomo di cultura e imprenditore teatrale, per inaugurare il Terzo Millennio con un evento-spettacolo multimediale attraverso l’installazione in Antartide di un modulo per ricerche scientifiche ad alto contenuto tecnologico, da realizzare in una zona emblematica della rinnovata attenzione dell’uomo verso l’ambiente naturale. Per non produrre modificazioni all’ambiente, la struttura anziché poggiare su fondazioni tradizionali o basamenti permanenti utilizza un sistema articolato che consente ai sostegni metallici di adattarsi al particolare tipo di suolo, impiegando materiale in loco come zavorra per contrastare le eccezionali sollecitazioni del vento antartico. Vari Paesi, tra cui Italia e Spagna, da anni presenti nel continente antartico con basi estive, hanno collaborato attivamente al progetto. L’Italia in particolare, attraverso il P.N.R.A. (Programma Nazionale per le Ricerche Scientifiche in Antartide) dell’Enea (Ente Nazionale per l’Energia), ha fornito dati sulle condizioni climatiche e informazioni generali fondamentali, consentendo di definire ipotesi progettuali realistiche. Difficoltà logistiche legate alle condizioni climaticoambientali hanno richiesto la collaborazione di un partner in loco. La scelta è caduta sulla Spagna, in quanto presente con la sua base di Livingstone in un luogo vicino a quello dove dovrebbe sorgere Atlantis. Il modulo è previsto in un’area frontale alla penisola antartica e a Capo Horn, distante circa cinque ore di elicottero e due giorni di nave dalla Terra del

Fuoco. Atlantis è progettato per accogliere una comunità di ricercatori composta da 22 persone, che potranno svolgere attività di ricerca in piena autonomia anche in inverno. Il modulo è però in grado di accogliere fino a 225 persone, durante eventi speciali o convention di studio internazionali. Organizzato su due livelli principali, Atlantis accoglie al primo livello la zona notte, con relativi servizi e lavanderie. Al secondo è prevista la zona giorno, suddivisa in aree di lavoro e svago. Le partizioni interne sono facilmente rimovibili per assicurare massima flessibilità di utilizzo degli spazi in caso di diverse destinazioni d’uso. Le condizioni ambientali estreme hanno posto severi vincoli: Atlantis deve resistere al vento catabatico antartico con raffiche a oltre 250 chilometri orari e in un ambiente estremo con temperature sotto lo zero, che possono raggiungere i 40° e 50° C. Si è dovuto verificare l’idoneità della struttura alle forti pressioni del vento presso il Centro Aerodinamico Aeroacustico della Pininfarina a Grugliasco (Italia), sotto la direzione dell’ingegner Antonello Cogotti. Per la realizzazione del guscio esterno è stata scelta una struttura leggera, ma molto resistente, da realizzare in fibre di carbonio e Kevlar e irrigidita da un telaio in materiale composito. Il tutto adeguatamente coibentato. Atlantis è sostanzialmente composto da 18 spicchi prefabbricati (perfettamente finiti e dotati di vetratura e di sistema impiantistico di base). Gli spicchi sono ulteriormente suddivisi in tre tronconi, trasportabili via nave. Piastra di base e sistema di sostegno sono completati da tre “zampe” per l’ancoraggio al suolo. All’interno del guscio è previsto un sistema a fibre ottiche per monitorare le condizioni statiche del modulo sotto le sollecitazioni dinamiche esterne.


In queste pagine, sezioni e studi di inserimento ambientale del modulo per ricerche scientifiche in Antartide.

Antarctic scientific research module environmental impact sections and studies.

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tlantis: from one millenium to the next with maximum emotional impact and mimimum environmental impact. Atlantis – much like a flying saucer, with a transparent dome for astronomical observation – is based on an idea by Francesco Stochino Weiss. Weiss is a cultured man and theater entrepreneur who envisioned welcoming the third millenium with a multimedia show of the Antarctic installation of a module for technologically high-level scientific research. The module was to be created in an area emblematic of the renewed attention man has for the natural environment. In order to minimize environmental impact, the structure rests on an articulated system that allows the metallic supports to adapt to the type of ground, rather than relying on a traditional foundation or a permanent base. It also anticipates the use of on-site materials as ballast against the exceptionally strong Antarctic winds. Various countries, including Italy and Spain (who have been working at the summer base on the Antarctic continent for years) have collaborated on the project. Italy in particular, through Enea’s (National Energy Agency) P.N.R.A. (National Program for Scientific Research in Antarctica), has supplied fundamental data on climatic conditions in addition to general information allowing the planners to define realistic hypotheses for the project. Logistical difficulties linked to climatic and environmental conditions required the participation of an on-site partner. Spain was chosen because it was present on the Livingstone base near the Atlantis project development site. The module is scheduled for construction in an area that faces the Antarctic peninsula and Cape Horn – around a five-hour helicopter ride and two

days by boat from Tierra del Fuego. Atlantis is designed to house a community of 22 researchers and allow them to pursue their studies in complete autonomy, even in winter. The module can, if necessary, host as many as 225 people during special events and international research conventions. Atlantis is organized on two principal levels. The first level is the night-zone, equipped with sleeping quarters and washrooms. The second is the dayzone which is subdivided into work areas and places for recreation and relaxation. The internal partitions are easily removed to assure maximum flexibility of space depending on need. The extreme environmental conditions have imposed severe restrictions. Atlantis must endure Antarctic winds capable of gusting to more than 250 kilometers per hour as well as an extreme temperature environment as low as -40 C to -50 C. Under the direction of engineer Antonello Cogotti the Pininfarina Aerodynamic Aeroacoustic Center in Grugliasco, Italy, had to test the structure in order to verify that it could resist the strong winds. In order to construct the outer shell, the architects have chosen a light but extremely resistant insulated structure to be built from carbon fiber and Kevlar strengthened by a web of composite materials. Atlantis is essentially composed of 18 prefabricated gores each perfectly finished, fitted with windows and equipped with basic plant-engineering components. The gores are further subdivided into three sections that can be transported by ship to their destination. Base plates and support systems are equipped with three “legs” in order to facilitate anchorage to the ground. Inside the shell there will be a fiber-optic system to monitor the module’s static conditions under the pressure of external forces.


Nella pagina a fronte, piante a diversi livelli. Qui a destra, particolare costruttivo dell’aggancio a terra e, sotto, modellazioni al computer dello spaccato del guscio. Opposite. Plan views of the two principal levels. Right. Construction details of the ground anchoring system. Below. Computer models of the splits in the shell.

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Naturalmente architettura Naturally Architecture Firenze, Museo di Storia Naturale Florence, Museum of Natural History Progetto di Loris G. Macci Project by Loris G. Macci

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ulla nel progetto del Museo di Storia Naturale a Firenze rivela posizioni aprioristiche o elaborazioni formali legate esclusivamente allo “stile” dei progettisti. Tutto invece fa pensare a un’operazione nata con la precisa premessa che solo la sostanza degli argomenti trattati dalla struttura museale informi il progetto; lo stesso sistema gerarchico presente nella disciplina della storia naturale è stato utilizzato come legenda dello schema planimetrico. Naturalmente, il tutto plasmato e mediato da tecniche progettuali supportate dal virtuale. Insomma, il linguaggio architettonico è stato fortemente “contaminato” da un immaginario relativo allo studio delle scienze naturali. Ciò rivela come il virtuale induca a linguaggi progettuali tali da rendere sempre più illusori e insicuri i confini disciplinari. Tanto da stimolare l’elaborazione di nuovi codici di lettura critica del progetto. Il virtuale ha trasformato la materia dell’architettura in pura informazione. Questa ibridazione toglie peso a tutta una serie di certezze come, per esempio, il concetto di modernità. Da più parti si parla infatti di “transmodernità” come momento intermedio fra il Moderno e il Virtuale. La prospettiva transmoderna verte sul miglioramento tecnologico dell’uomo, sia come “cyborg” sia come “transhuman”. Condividere quest’idea vuol dire accettare che stiamo impiegando la tecnologia per aumentare la porzione “visibile” del mondo. Ciò risulta soprattutto da indagini condotte sul rapporto tra l’uomo e gli schermi (cinema, TV, ecc.). In questo caso, si tratta di schermi di computer, impiegati insieme a tutta la gamma di tecnologie legate alla realtà virtuale, dove è possibile percepire la relazione fra spazio e superficie e constatare come essi siano intrecciati, molteplici. Per entrare nel tema e percepirne le infinite implicazioni e complessità, può essere illuminante rifarsi a studi e a ricerche condotti da un esperto come Marcos Novak, professore presso la UCLA University. Novak definisce lo schermo del computer: “Prototipo bidimensionale dello spazio-tempo dilatato, come superficie altamente interattiva e intelligente, come ‘hypersuperficie’. A prima vista possiede due dimensioni spaziali, una temporale e una varietà di caratteristiche legate allo spazio come il colore, la risoluzione, ecc. L’aspetto più interessante riguarda la sua capacità

di produrre comportamenti e relazioni complesse, essendo collegato agli hyperspazi creati dal computer che lo gestisce. L’hypersuperficie dello schermo è quindi la nostra interfaccia verso hyperspazi altrimenti inaccessibili. Se questi non sono soltanto inaccessibili, ma anche, al limite del presentabile, protesi verso l’inconcepibile e oltre, allora ci conducono al transmoderno. Quando immaginiamo lo schermo del computer come un piano e il cursore come segnale della nostra presenza in uno spazio intelligente, hyperattivo, transattivo, percepiamo una premonizione dettagliata della natura delle nostre interazioni tramite le interfacce delle hypersuperfici con le ‘transarchitetture’ di uno spazio-tempo dilatato. Questa premonizione attende di essere staccata dallo schermo e inserita nello spazio quotidiano della nostra corporeità”, (da: Il Progetto, N. 5, trimestrale di architettura). Tornando al progetto per il Museo di Storia Naturale, è evidente come il suo il rapporto con il mondo della natura sia intenso e carico di metafore riferibili a elementi climatici. Per esempio: il controllo termico della grande sala espositiva è possibile grazie a una copertura trasparente e leggera, in grado di ricreare l’interazione di elementi naturali come, per esempio, l’acqua e l’irraggiamento solare. Il problema dell’effetto serra provocato dal notevole irraggiamento in una simile copertura è stato risolto attraverso un sistema di spruzzatori che diffonde un velo d’acqua vaporizzata sulla superficie esterna della copertura stessa, che, dotata di un suo speciale microclima, può assumere l’aspetto e le caratteristiche di un cielo artificiale in grado di dar vita a nubi e a cambiamenti di clima simili a quelli naturali. Altre metafore naturalistiche sono individuabili nel sistema strutturale della copertura: sei grandi portali condividono il carico dell’orditura principale della struttura portante, che, proiettandosi sulla sala come un grande scheletro di animale preistorico, conferisce un aspetto decisamente organico a tutto il complesso museale; è inoltre previsto un sistema di contenimento di emergenza per le acque meteoriche: in caso di alluvione, le acque sarebbero convogliate in un’area caratterizzata da un’ampia depressione sistemata a verde, garantendo così, anche in situazioni di emergenza, un minimo di autonomia operativa al complesso museale.


VIRTUALE VIRTUAL A destra, spaccato assonometrico dei nuovi padiglioni del Museo di Storia Naturale a Firenze e, sotto, modello in simulazione notturna. Right. Axonometric projection of the new pavilions at the Museum of Natural History in Florence. Below. Model in night simulation.

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othing in the project for the Museum of Natural History in Florence reveals a priori positions or formal elaborations linked exclusively to the architect’s “style.” As a matter of fact, everything suggests an operation born of a distinct premise that the essence or character of the project is defined by the substance of the subjects within the museum. The same hierarchical system, which is present in the discipline of natural history has been utilized for the location plan. Naturally, everything is molded and mediated by design techniques that are sustained by the virtual. The architectural language has been strongly “contaminated” by an imaginary one based on the language of

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the natural sciences. This demonstrates how the virtual leads to project-specific languages, making traditional disciplinary confines increasingly illusory and uncertain. This in turn stimulates the elaboration of new critical reading codes for the project. The virtual has transformed architectural matter into pure information. This hybridization detracts from an entire series of certainties like, for example, the concept of modernity. Everywhere there is talk of “transmodernity” as an intermediary moment between the modern and the virtual. The transmodern perspective concerns the technological improvement of man, both as a “cyborg” and as a “transhuman.” Sharing this idea is to accept


the premise that we are employing technology to increase the “visible” portion of our world. This comes above all from surveys conducted on the relationship between man and visual image screens (cinema, TV, etc.). However, in this case we are talking about computer screens that are used with the entire range of virtual reality technologies to perceive the relationship between space and surface and ascertain how they are interwoven and multiplied. In order to broach the subject and perceive the infinite implications and complexities, it may be helpful to refer to studies and research conducted by the scholar and UCLA professor Marcos Novak.

He defines the computer screen as “A two-dimensional prototype of expanded space-time, a highly interactive and intelligent surface, or ‘hypersurface.’ At first glance, it possesses two spatial dimensions; one temporal dimension and a variety of characteristics connected to space such as color and resolution, for example. The most interesting aspect concerns its capacity to produce complex behaviors and relationships connected as it is to hyperspaces created by the computers that manage it. Therefore, the screen’s hypersurface is our interface to otherwise inaccessible hyperspaces. If these are not only inaccessible but also, at the limits of the presentable, a prosthesis toward the inconceivable and beyond, then they lead us to the transmodern. “When we imagine the computer screen as a floor and the cursor as symbol of our presence in an intelligent, hyperactive, transactive space, then we perceive a detailed premonition of the nature of our interactions through the interfacing of the hypersurfaces with the ‘transarchitecture’ of an expanded space-time. This premonition needs only to be detached from the screen and inserted in the daily space of our corporeality,” (from Il Progetto, n. 5, architectural quarterly). Returning to the project for the Museum of Natural History, it is obvious how the edifice’s relationship with the natural world is intense and charged with metaphors that refer to climatic elements. For example, climate control of the large exposition hall is possible thanks to a light, transparent covering capable of recreating the interaction of natural elements such as water and sunshine. The greenhouse effect and the considerable solar heat created by such a covering has been resolved with a system of spray nozzles that release a veil of water on the external surface of the covering. This covering, equipped with a special microclimate, can work as an artificial sky capable of creating clouds and climatic changes, similar to those found in nature. Additional metaphors can be identified in the covering’s structural system. Six large portals share the weight of the main frame of the bearing structure which, projecting onto the room like the enormous skeleton of some prehistoric animal, confers a decidedly organic aspect to the entire museum complex. There are also plans for an emergency containment system for downpours. For instance, in case of heavy rain, the water would be conveyed into an area characterized by an ample grass-covered depression. This way, even in an emergency, the museum complex is guaranteed minimum operational autonomy.

Inserimento dei nuovi padiglioni che concludono il percorso espositivo mentre quelli degli ex Macelli definiscono uno spazio di tipo urbano destinato a piazzale.

Location of the new pavilions that end the exhibit pathway while the former slaughterhouses define an urban space that will form a small plaza.

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Rappresentazione al CAD delle travi e dei nodi d’appoggio della struttura metallica della nuova palazzina e, sotto, del rapporto fra struttura in ferro e cemento armato nella zona ballatoio della sala espositiva. CAD representation of the beams and support knots of the new building's metal structure. Below. The iron and reinforced-concrete structure in the gallery area of the exhibition room.


Particolare costruttivo della lunetta di sostegno della copertura e, sotto, rendering della sala espositiva dei “diorami” naturali. Construction details of the covering’s support lunette. Below. Rendering of the exhibition room with its natural “dioramas.”

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Rendering della parete-serra della flora italiana all’interno del padiglione “Italia della natura”. Nella pagina a fronte, rendering della sala espositiva vista dall’entrata a ballatoio e, in basso, rendering dell’ingresso alla sala espositiva attraverso la pensilina d’accesso al museo.

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Rendering of the greenhouse-wall of Italian flora inside the “Italy and Nature” pavilion. Opposite page. Rendering of the exhibition room seen from the gallery entrance. Below. Rendering of the entrance to the exhibition room through the museum’s cantilever-roof access.


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Sinuoso e sensuale high-tech Sinuous and Sensual High-Tech Parigi, risistemazione del Centre Georges Pompidou Paris, renovation of the Georges Pompidou Center Progetto di Jakob & MacFarlane Project by Jakob & MacFarlane

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on l'arrivo del nuovo millennio, anche un'icona high-tech come il Centre Georges Pompidou si è rifatta l'immagine. La particolarità dell'intervento di Jakob & MacFarlane sta nell'aver conciliato la componente linguistico-formale con quella strategico-commerciale, dando il massimo di evidenza a uno spazio di forte immagine come un ristorante nel tempio della cultura parigina e internazionale. Certamente dirompente, il nuovo intervento non è comunque antitetico al contesto che l'ha generato. Anche se ideato come un insieme di sorprendente spettacolarità formale, tanto da “perturbare” la regolarità della struttura scatolare del Beaubourg, la nuova “addizione” tiene conto della trama ortogonale (sulla superficie del nuovo volume è stato tracciato il reticolo modulare) del progetto originale di Renzo Piano e Richard Rogers. Selezionato in un concorso diviso in due fasi, il pro-

getto dei giovani architetti, con studio a Parigi e molte esperienze e collaborazioni con importanti gruppi internazionali, ha favorevolmente colpito la giuria, che ha premiato l'originale proposta come una prestigiosa occasione per rinnovare uno spazio pubblico che rappresenta Parigi e la Francia nel mondo. L'ambizioso programma di rinnovamento, coordinato da Patrice Januel, direttore dell'ufficio progetti e della sicurezza del Centre Pompidou, è stato organizzato affidando incarichi e consulenze a diversi architetti, tra cui, naturalmente, Piano e Rogers. Agli architetti autori del progetto realizzato negli anni Settanta è stato affidato l'incarico per la ristrutturazione del Forum, compresa la creazione di un centro per gli spettacoli e la risistemazione delle terrazze e delle passerelle esterne. Il rinnovo del Centre Pompidou comprende altri interventi radicali come, per esempio, il riammodernamento dei settori della logistica e della manutenzione


generale, curati direttamente dall'ufficio tecnico del Beaubourg. A Jean François Bodin è stata invece affidata la ristrutturazione della Biblioteca Pubblica d'Informazione, del Museo d'Arte Moderna e delle gallerie destinate alle esposizioni temporanee. Le quattro “bolle”, che caratterizzano l'intervento di Jakob & MacFarlane, sono destinate a varie funzioni come ristorante, cucina, bar, sala vip e spogliatoi. Realizzate in alluminio con superficie mat, le “bolle” generano uno spazio sinuoso, quasi organico, rivitalizzano una struttura “fredda”, tutta tecnologia ed essenzialità strutturale. Il nuovo volume appare come una superficie pulsante di vita, un improvviso rigonfiamento del suolo trasformato in organismo biologico. Gli interni sono rivestiti in caucciù, trattato con colori vivaci: giallo, rosso, arancione e verde per differenziare le diverse aree. L'apparente elementarità della nuova struttura

nasconde in realtà raffinate soluzioni ingegneristiche, destinate a contenere costi e a risolvere problemi di montaggio grazie alla consulenza di veri esperti del settore come RFR. Impiegando tecniche costruttive navali, le “bolle” sono state realizzate, premontate, e poi messe in opera in cantiere. A circa 23 anni dall'inaugurazione, il Centre Georges Pompidou si ripropone con una rinnovata immagine carica di suggestioni mediate da un immaginario tecnologico che ha nel virtuale una delle risorse più importanti per una architettura del futuro. Certo sarebbe stato impossibile ricreare lo stesso scalpore suscitato negli anni Settanta quando apparve agli occhi del mondo non un semplice contenitore di spazi museali, ma una sorprendente macchina architettonica che mostrava alla città le sue viscere tecnologiche.

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In queste pagine, rendering del nuovo ristorante al sesto piano del Centre Georges Pompidou, previsto nel programma di ristrutturazione e ampliamento dell’intero complesso. On these pages, rendering of the new sixth floor restaurant that will be included in the Georges Pompidou Center’s renovation and expansion program.


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ith the arrival of the new millenium, even a high-tech icon like the Georges Pompidou Center is getting a make-over. The attributes of the Jakob & MacFarlane project lie in having reconciled the linguistic-formal component with the strategic-commercial giving the highest possible profile to a building of strong images – like a restaurant in the temple of culture – both Parisian and international. While undoubtedly explosive, the new make-over is not antithetical to the context which generated it. Even if it was planned as a coming together of surprisingly formal features (enough so to disturb the regularity of the boxish Beauborg structure) the new “addition” nevertheless takes into account the orthogonal theme (the modular network has been traced on the surface of the new construction) which characterized the original Renzo Piano and Richard Rogers project. The young architects have a studio in Paris and considerable experience and collaboration with important international groups. Their entry was selected from a competition divided into two phases. The jury was favorably struck by the original proposal and rewarded it as a prestigious occasion to renovate a public space which represents Paris and France throughout the world. Patrice Januel, director of the Pompidou Center design and safety department, coordinated the ambitious renovation project and assigned responsibilities and consulting contracts to various architects including, naturally, Piano and Rogers. Responsible in the seventies for the original project, these architects have been charged with restructuring the Forum, including the creation of an area for shows and the renovation of the terraces and the external pathways. The renovation of the Pompidou Center includes additional radical changes like the modernization of the logistical center and general maintenance that will be handled directly by the

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La terrazza del ristorante, il cui spazio è inscritto nella griglia strutturale originaria arricchita con quattro involucri di alluminio mat che ospitano funzioni come sala vip, bar, spogliatoi, ecc. The restaurant terrace, spatially included in the original structural grid, which is enriched with four aluminum mat shells containing various functions including a VIP room, bar, changing rooms, etc.

Beaubourg technical office. Meanwhile Jean François Bodin has been charged with the restructuring of the Public Information Library, the Modern Art Museum and the galleries that will house temporary exhibitions. The four “bubbles,” which characterize Jakob & MacFarlane’s project, are intended to house various functions including a restaurant, kitchen, bar, a V.I.P. room and changing rooms. Created in aluminum with mat coverings, these “bubbles” generate a sinuous space, almost organic, revitalizing an otherwise “cold” structure (all technology and structural elements). This new volume presents itself as a surface pulsing with life, an unexpected expansion of the ground transformed in biological organism. The interiors are outfitted in India rubber and treated with energetic colors – yellows, reds, bright oranges and greens – in order to differentiate between the separate areas. In reality, the apparent simplicity of the new structure hides refined engineering solutions destined to contain costs and resolve assembly problems, thanks to the advice of reliable experts in the sector like the studio of architects RFR. The “bubbles” were first created using naval construction techniques and subsequently set up on the construction site. Now, 23 years after its inauguration, the Georges Pompidou Center reinvents itself with a renovated image. It’s an image loaded with suggestions mediated through a technological imagination which is in the virtual and is one of the most important resources that an architect of the future can have. Of course, it would have been impossible to recreate the same shock generated in the seventies when unveiled before the eyes of the world was not a simple container for museum spaces but an astonishing architectural machine that flexed its technological insides before the city.


Particolari della terrazza e del ristorante. Details of the terrace and the restaurant.

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La casa video The Video House Malibu, una casa chiamata http://www.walrus.com/~ddprod/MichaelJantzen/vbh.html Malibu, a house called http://www.walrus.com/~ddprod/MichaelJantzen/vbh.html Progetto di Michael Jantzen Project by Michael Jantzen

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ngegneri, architetti, scenografi, registi, ma anche fonici, elettronici e informatici. Tutti insieme appassionatamente. L’architettura prossima ventura sarà sempre più un’opera collettiva? Come il cinema o la comunicazione multimediale? Sì, secondo Michael Jantzen. E lo dimostra con http://www.walrus.com/~ddprod/MichaelJantzen/ vbh.html, il progetto di questa sorprendente casa ideata per la spiaggia di Malibu, in California. Per i puristi, i progetti di Jantzen forse peccano di eccessivi contributi extradisciplinari, ma la sua architettura è certamente un segno dei tempi. Internet e le tecnologie informatiche applicate alla comunicazione si sono dimostrati importanti motori di mutamenti economici e sociali. L’idea di un’architettura tra il virtuale e il mediatico, come possibile innovazione tecnologica ma anche di linguaggio, trova nella casa di Malibu l’applicazione più radicale e spettacolare. Immagini e suoni prodotti dai video schermi sistemati nella casa possono essere trasmessi in presa diretta o in registrato, avvolgendo così chi abita in una sorta di video narcosi, dove è sempre più difficile distinguere il reale dal virtuale. Ciò grazie anche alla possibilità di potersi collegare via Internet, partecipare a videoconferenze, “chattare” e creare infinite ambientazioni con realtà lontane. Ideata come espressione tridimensionale di un sito Web, la casa sulla spiaggia di Malibu dispone di tutti gli accorgimenti per interfacciarsi con l’ambiente fisico circostante, realizzando così infinite relazioni fra reale e virtuale, ma anche ponendosi come terza entità in grado di modificare il paesag-

gio attraverso stimoli percettivi illusori, disequilibranti, e tuttavia di grande suggestione. Come, per esempio, la facciata su strada composta da grandi video schermi che trasmettono immagini, rumori e suoni dalla spiaggia retrostante, altrimenti occultata dalla cortina edilizia. All’interno, la parete della facciata video è invece rivestita di specchi che riflettono la spiaggia e sono inoltre previsti altri video schermi che trasmettono immagini dell’esterno, registrate o in diretta. Gli altri muri perimetrali sono in cemento rivestito di sabbia prelevata dalla spiaggia, facendo così sembrare l’edificio un castello di sabbia realizzato sull’arenile. Alla ricerca di una completa osmosi fra esterno e interno, la sabbia è prevista – tranne che in alcune zone riservate a pavimentazione lignea – su gran parte dei pavimenti al piano terra e a quello superiore, aperto sul tetto, dove è ricavata una piscina. Tutti gli arredi sono naturalmente ispirati all’ambiente marino. Le pareti laterali sono caratterizzate da finestre, utilizzabili anche come video schermi collegati con l’esterno; la parete verso la spiaggia è dotata di schermo avvolgibile, impiegabile anche come superficie di proiezione. Nell’atrio verso il mare, una piscina con generatore di onde artificiali simula un’estensione oceanica protratta negli spazi domestici. Anche il clima presente nell’abitazione è stato programmato per integrarsi con l’ambiente esterno: la zona superiore dell’atrio è infatti dotata di cellule fotovoltaiche in grado di fornire l’energia necessaria alle funzioni della casa e a regolare la temperatura sia estiva che invernale.


Nella pagina a fronte, piante a diversi livelli della casa video da realizzare a Malibu. Qui sotto, la facciata verso la Pacific Coast Highway con la parete video, proiettante immagini e suoni della spiaggia sul retro.

Opposite page. Plans for various levels of the Malibu video house. Below. The faรงade and video wall toward the Pacific Coast Highway will be capable of projecting images and sounds from the beach out back.

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In questa pagina, sezione longitudinale della casa sulla spiaggia di Malibu. Nella pagina a fronte, in senso orario, la casa video verso l’Oceano Pacifico; spaccato prospettico; rendering dell’interno visto attraverso il soggiorno; il soggiorno con le finestre video alle pareti e il focolare virtuale.

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ngineers, architects, scenographers, directors, sound technicians, electronics and computer experts, everyone works happily together. Will the architecture of the future be a group effort as in movies or multimedia communications? Michael Jantzen says yes. His opinion is clear at http://www.walrus.com/~ddprod/MichaelJantzen/ vbh.html, the project for this surprising house planned for beachfront property in Malibu, California. For purists, Jantzen’s projects may be guilty of excessive extra-disciplinary contributions, but his architecture is undoubtedly a sign of the times. Internet and the information technologies applied to communication have already shown themselves to be important driving forces of economic and social change. The idea of an architecture somewhere between virtual reality and the media, as potential technological and linguistic innovation, finds its most spectacular and radical application in the Malibu house. Images and sounds produced by the video screens fixed in the house can transmit both live and taped footage wrapping the inhabitants in a kind of

Longitudinal section of the Malibu Beach house. Opposite page, clockwise. The video house facing the Pacific Ocean, vertical section in perspective, rendering of the interior seen through the living room, and the living room with video windows on the walls and a virtual fireplace.

video narcosis – a world where it’s increasingly difficult to distinguish real from virtual. All this and more thanks to the possibility of connecting via Internet, participating in videoconferences, chatting online and creating infinite environments with faraway realities. Conceived as a three-dimensional expression of a website, the Malibu beach house has everything necessary for interfacing with the surrounding physical environment. It can create an infinite number of relationships between the real and the virtual as well as offering itself as a third entity capable of modifying the countryside through illusory, unbalancing and essentially suggestive sensory stimuli. For example, the façade of giant video screens that looks out over the road and transmits images, sounds and noises from the beach that would otherwise be blocked by the building. Inside, the video walls are dressed in mirrors, which reflect the beach. There are plans for other internal video screens which can transmit scenes from outside the house, either live or taped. The other perimetrical walls are made of concrete coated with sand taken from the beach, giving the house the illusion of a waterfront sandcastle. Except for some private areas paved with planks of wood, sand will be used for most of the internal flooring on the ground floor to provide a complete osmosis between external and internal, as well as on the upper floor that is open to the roof pool. All the interior furnishings are, naturally, inspired along marine themes. The lateral walls are characterized by windows that can also be utilized as video screens linked to the outside. The wall facing the beach is outfitted with a roll-up video screen which can double as a protective covering. In the atrium that opens onto the seaside, a pool with an artificial wave-making machine simulates an oceanic extension into domestic space. Even the climate in the house has been programmed to integrate itself with the external environment. The upper area of the atrium has been equipped with photoelectric cells capable of supplying the necessary electrical energy for the house and regulating temperature in both winter and summer.


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Tra mito e scienza Between Myth and Science Isola di Lipari, osservatorio marino internazionale Aequorea Lipari Island, Aequorea International Marine Observatory Progetto di Studio Schivo e Associati Project by Schivo Studio and Associates

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Sezione dell’area universitaria dove si trova una struttura di accoglienza museale e didattica. Nella pagina a fronte, sezione e particolare dell’osservatorio. Museum and didactic sections of the university. Opposite page. Section and details of the observatory.

l passato è una categoria temporale che a volte attraversa il presente e il futuro, riproducendosi spesso nel mito. È il caso di Aequorea, progetto visionario che trae ispirazione dal mito di Medusa. Ma con Medusa (e la medusa) Aequorea condivide solo suggestive trasparenze e quell'aria di mistero che pervade la cultura del mondo classico, poiché in realtà è una “creatura” marina tutta tecnologia e scienza del mare. Il progetto proposto da Studio Schivo e Associati vuole essere una risposta scientifica – ma anche massmediatica per l'innegabile spettacolarità – alle problematiche relative all'ambiente marino. Il contesto in cui dovrebbe essere realizzata la struttura è l'Isola di Lipari, nella frazione di Acquacalda, nel golfo delimitato da due promontori circondati dalle Isole Eolie (Sicilia, Italia). L'osservatorio internazionale di ecologia marina fa parte di un programma frazionato per lotti funzionali, comprendente l'osservatorio Aequorea, una struttura didattico-museale, un campus universitario, una sala convegni e un centro UNESCO, un teatro, un centro studi e la biblioteca del mare. L'osservatorio prevede più sistemi di comunicazione fra loro relazionati, tra cui alcuni acquari, messi a punto dal Museo Oceanografico di Monaco, in grado di riprodurre microambienti, modelli tridimensionali e animati, computer per animazioni, spazi fotosensibili, postazioni Internet, collegamenti satellitari, ma anche oggetti di importante significato storico-scientifico. Ideata come la struttura dinamica di un organismo, Aequorea è composto di una pelle strutturale a spessore interno, autoportante, quale supporto per una pelle esterna in vetro ricurvo, caratterizzato da diverse colorazioni che vanno dal neutro al blu intenso, lasciando così intravedere gli spazi interni. L'osservatorio è raggiungibile attraverso una doppia passerella racchiusa da superfici vetrate.

Esternamente, la piattaforma è composta di un ampio vuoto centrale di 16 metri di diametro con funzione di smistamento e di ritrovo per spettacoli sonori o proiezioni, mentre all'interno lo spazio circolare consente una fluida e funzionale organizzazione delle aree didattico-espositive. La parte del complesso situata sulla costa, comprende la struttura destinata ai servizi e il campus universitario ed è caratterizzata dall'impiego di sofisticate soluzioni costruttive, attuate per evidenziare la leggerezza e trasparenza consentite dall'attuale tecnologia del vetro. La presenza del verde va intesa come elemento strutturante dell'intero impianto, ideale estensione degli spazi interni verso le preesistenze e l'intorno naturale. Completamente realizzata in legno lamellare, la struttura del tetto sostiene una copertura vetrata, che esalta il rapporto fra il cielo e gli elementi paesaggistici, fungendo da sostegno per il tetto-giardino e da struttura di base del sistema energetico passivo. Protagonista assoluta dell'insieme è naturalmente l'acqua, che scaturisce con l'energia di una fonte dal centro studi, accompagnando i visitatori in tutto il suo percorso, divenendo elemento base degli spazi, ma anche momento aggregante, nel caso del teatro, ed elemento sonoro nel giardino interno e all'esterno. Il livello superiore dell'osservatorio, dedicato agli incontri e ai convegni, accoglie la grande sala proiezioni di circa 300 posti, il bar e lo snodo di accesso alle funzioni integrative del centro. Al quarto livello, in cui si può dominare la copertura a giardino della sala convegni, sono previsti un piccolo spazio destinato alla segreteria UNESCO, una sala per video conferenze e una saletta studio e riunioni. Di grande impatto emozionale, Aequorea vuole essere un'ideale sintesi delle Isole Eolie, raccontate non solo attraverso il suo habitat, ma anche attraverso le sue componenti storiche, culturali e socioeconomiche.


VIRTUALE VIRTUAL

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Pianta del primo livello e pianta della copertura. Nella pagina a fronte, sezione longitudinale. Le due parti del complesso sono unite da una doppia passerella avvolta da una vetrata. In basso, rendering dell’osservatorio.

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First level and covering plans. Opposite page. Longitudinal section. The two parts of the complex are united by a double walkway enclosed in glass. Below. Rendering of the observatory.


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Localizzazione territoriale dell’osservatorio nel golfo di Acquacalda. Territorial location of the observatory in the Acquacalda gulf.

he past is a temporal category that sometimes travels through the present and into the future, often reproducing itself in myth. This is surely the case with Aequorea, a visionary project that traces its inspiration from the myth of Medusa. But this tangible Aequorea shares with the Medusa (and the medusa jellyfish) nothing more than a suggestive transparency and that air of mystery, which pervades the classical world. In reality it is essentially a high-tech sea “creature.” The project proposed by Schivo Studio and Associates is a scientific response to the problems inherent in marine environments. It will certainly be a major media event given its undeniable popularity. The structure will be built on Lipari Island, in the Acquacalda gulf community, and marked by two promontories and encircled by the Eolie Islands (Sicily, Italy). The international marine ecology observatory is part of a program that is divided into functional sectors including the Aequorea observatory, a didactic-museum structure, a university campus, a convention space, a UNESCO center, theater, study center and sea library. The observatory will have a number of interrelated communication systems including several aquariums, sustained by the Monaco oceanographic museum that will reproduce microenvironments. The communication systems will also have 3D animated models, animation computers, photosensitive spaces, Internet workstations and satellite links, as well as many objects of important historical-scientific significance.

Envisioned as a structure with an organism’s dynamism, Aequorea is composed of a thick, self-supporting internal structural skin which in turn supports an external skin of curved glass. This exterior shell is characterized by different shades of color ranging from neutral to intense blue to allow views of the internal spaces. The observatory can be reached through a glass-sheathed double walkway. Externally, the platform is composed of a large hollow center 16 meters in diameter that functions as a meeting area for sound shows or film projections. The circular interior space allows for a fluid and functional organization of the didactic-expositive areas. The coastal portion of the complex includes the service rooms and the university campus. It is characterized by the employment of sophisticated constructive solutions that highlight the lightness and transparency permitted by modern glass technology. The abundance of green should be understood as a structural element for the entire complex, an ideal extension of the internal space into the surrounding nature. The roof’s structure, built completely with wood laminate, not only supports a glass covering that emphasizes the relationship between the sky and the panoramic elements, but it also functions as a support for the roof garden and the base structure for the passive energy system. Without a doubt, the protagonist for the entire project is water. It explodes with the energy of a fountain from the study center and accompanies visitors throughout their stay. It becomes a fundamental component of the space – a congregating element in the case of the theater and a sound element in the internal and external garden. The upper level of the observatory is dedicated to meetings and conventions and includes a nearly 300 seat auditorium and movie theater. There is also a bar and the landing area leading to the other facilities of the center. On the fourth level, which looks out over the garden on top of the convention room, there will be several distinct areas including a small space set aside for the UNESCO secretariat, a video-conference room, study-rooms and spaces for small conferences. Aequorea wants to be an ideal synthesis of the Eolie Islands as told not only through its habitat, but also through its historical, cultural and socioeconomic components. It undertakes this and more, striking the mind with great emotional impact.


Particolare del modello e, sotto, sezione generale. La piattaforma è costituita da un grande vuoto centrale di 16 metri di diametro che funge da luogo di smistamento o di ritrovo e per spettacoli tematici. Left. Model details. Below. General section. The platform is a large central opening 16 meters in diameter and serves as a central gathering area or a space for thematic shows.

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Alambicco tecno-tropicale The Techno-Tropical Alembic Complesso Malaysia Airlines Malaysian Airlines Complex Progetto di Bernard Dubus, Thomas Richez, Zaini Zainul Project by Bernard Dubus, Thomas Richez, Zaini Zainul

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ome un gigantesco alambicco, la torre-serra tropicale della Malaysia Airlines domina il paesaggio urbano di Kuala Lumpur. Genius loci rispettato, architetto preparato? Non sempre. La questione merita una riflessione: certamente Malaysia e Tropici sono tra loro affini, ma è anche vero che la serra e l'alambicco appartengono soprattutto all'immaginario tecnologico occidentale. Insomma, la nuova sede della compagnia aerea malese va analizzata alla luce di un fenomeno recente: la “deterritorializzazione”, ovvero, la progressiva scomparsa di un'architettura legata alle caratteristiche territoriali o ispirata alle tradizioni del luogo. Fattore propulsore del cambiamento è l'informatica, e più precisamente la telematica, attraverso la connessione in rete fra computer che collegano gli architetti nel ciberspazio. I flussi telematici veicolano immagini e informazioni di dominio generale, provocando la decostruzione dell'immaginario culturale di ogni paese. Nasce così un linguaggio “globalizzato”, frutto di infinite combinazioni di forme e simboli. Il progetto di Dubus, Richez e Zainul si confronta con una realtà architettonica in movimento sull'onda di un radicale rinnovamento dell'immagine urbana di Kuala Lumpur grazie ad architetture come la Petronas Tower, due torri gemelle fra le più alte del mondo progettate dall'architetto statunitense César Pelli, ma anche con il prestigioso intervento di Kisho Kurokawa attuato nell'aeroporto internazionale della capitale malese. Il progetto per la nuova sede della compagnia aerea ingloba un edificio costruito negli anni Ottanta,

situato in una zona centrale di Kuala Lumpur, non lontano dal complesso Petronas Tower. Della preesistente struttura rimane una torre di 36 piani, mentre vengono demoliti un podio frontale e un corpo retrostante, sostituiti dalla torre-serra dalla sagoma di alambicco rastremato in più punti. Alta circa 140 metri, la torre-serra è immersa in un giardino tropicale aperto al pubblico. Tecnologia e natura, modernità e tradizione, trasparenza e leggerezza si fondono dando vita a una struttura immateriale e ricca di suggestioni visive. La suddivisione funzionale del complesso riguarda i tre volumi sovrapposti della torre e un edificio più basso, posto nella parte retrostante dell'edificio preesistente. Il piano terra è caratterizzato da un grande atrio in cui sono sistemati biglietteria, sala di preghiera, ristorante, bar e organizzazione dei flussi principali di percorso. I volumi superiori accolgono un museo interattivo, un centro di ricerca e studio per tecnologie avanzate, ma anche uno spazio dedicato a scambi, dibattiti e sviluppo progetti. Collegato alla torre-serra attraverso passaggi sospesi, l'edificio preesistente verrà in parte svuotato per accogliere un auditorium di circa 700 posti. Dotato di una forte identità formale, il nuovo complesso ha tra i suoi punti di forza anche una raffinata soluzione ingegneristica nella realizzazione della struttura metallica a sostegno della torreserra, configurata ispirandosi a un intreccio di canne di bambù, un segno di come l'architettura può ridare nuova identità alla natura trasformandola in un universo tecnologico.


Rendering e sezione del complesso. Il progetto prevede la trasformazione di 6.500 mq di terreno in un giardino pubblico “verticale”, contenuto in tre volumi trasparenti. Il complesso disporrà di una sala polifunzionale, il museo multimediale, un centro di produzione tecnologica creativa e un centro per lo sviluppo di progetti speciali.

Rendering and section of the complex. The project includes transforming 6,500 square meters of terrain into a “vertical” public garden housed inside three transparent structures. The complex will host a multifunctional room, a multimedia museum, a creative technology production center and a center for the development of special projects.

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Pianta del quinto livello e rendering del giardino tropicale. Fifth level plan and rendering of the tropical garden.


Particolare della torre al cui interno è ricavato il giardino tropicale.

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ike a giant alembic, the Malaysian Airlines’ tropical tower-greenhouse dominates the urban landscape of Kuala Lumpur. The Genius loci is respected, but the architect skilled? Not always. This question merits some reflection. Certainly Malaysia and the Tropics resemble each other; however, it is also true that both the greenhouse and the alembic belong to a common technological conception of the occident. In short, the Malaysian Airlines’ new home office must be analyzed in light of a recent phenomenon – “deterritorialization.” It is increasingly rare to find a modern architecture connected with territorial characteristics, or inspired by local traditions. A driving force behind this change is information science, or more precisely modern data communications, which allows architects to connect with each other through cyberspace and exchange images and information at a global level. This cross-cultural cyberspace exchange offers architects an opportunity to expand their creative thinking beyond the boundaries of local images. It gives birth to a “globalized” language, fruit of an infinite combination of forms and symbols. The project presented by Dubus, Richez and Zainul lines up with an architectural reality on the crest of the wave of radical renovations changing the urban image of Kuala Lumpur. Thanks to architecture like the Petronas Tower, the two giant twin towers (among the highest in the world) designed by the American César Pelli, as well as Kisho Kurokawa’s prestigious creation for the Malaysian capital’s international airport, this city is getting a substantial makeover. The project for the airline’s new home office incorporates a building erected in a central area of Kuala Lumpur, not far from the Petronas Tower complex, in the 1980s. A 36-floor tower from the pre-existing structure will be salvaged while a frontal platform and a rear extension will be demolished to make way for the tower-greenhouse in the shape of an alembic tapering to many points. The tower-greenhouse is 140 meters high and is immersed in a tropical garden that is open to the public. Technology and nature, modernity and tradition, transparence and lightness are all blended together giving life to an immaterial structure radiant with visual suggestion. The functional subdivision of the complex deals with the three superimposed volumes of the tower and a lower building placed at the rear of the pre-existing edifice. The ground floor is characterized by a large atrium, which contains the ticket counter, a prayer room, restaurant and bar, while at the same time organizing the principal pedestrian flow. The upper levels house an interactive museum, a center for research and experimentation into advanced technologies, and a space dedicated to exchange, debates and project development. The pre-existing edifice is connected with the tower-greenhouse by suspended walkways and will be partially emptied in order to create a nearly 700-seat auditorium. Gifted with a powerful formal identity, the new complex can even boast of a refined engineering solution among its various strong-points. The configuration of the metallic support system for the tower-

Details of the tower that will house the tropical garden.

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greenhouse is inspired by interweaving bamboo canes, an example of how architecture can give new identity to nature transforming it in a technological universe.


Architettura, spettacolo urbano Architecture as Urban Performance Jakarta, complesso Jakarta Tower Jakarta, Jakarta Tower Complex Progetto di Peter Pran/NBBJ Project by Peter Pran/NBBJ

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a renderizzazione al computer del complesso Jakarta Tower raffigura un’architettura in uno spazio astratto, assolutamente decontestualizzata dalla realtà urbana della metropoli indonesiana. Grazie alla “matita elettronica” messa a disposizione dalle tecnologie del digitale e della realtà virtuale, l’architettura sembra orientarsi verso altri linguaggi, per esempio, quello cinematografico. Come in un film, la simulazione in questione presenta una “realtà altra”, quasi come se la sola verità possibile fosse la finzione che con le sue leggi e i suoi segni trova senso e significato nel porsi solamente come ipotesi di verità. Architettura come spettacolo urbano. Un concetto ritenuto intoccabile, come “l’Architettura è un atto di modificazione del paesaggio urbano o naturale”, forse andrebbe cambiato in “l’Architettura è

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Piante del piano medio e del piano terra. Plans of the middle and ground floors.

un atto di modificazione dell’immaginario collettivo”. L’architettura visionaria non è dunque più l’eccezione ma la regola. L’arte del costruire sembra identificarsi in una sorta di fiction in cui high-tech, deconstructivist architecture o quant’altro, si contamina con il noir, la fantascienza, ecc… Ambientato in un contesto astratto che ricorda una situazione da inizio (o fine?) del mondo, il complesso Jakarta Tower è un’immagine densa, carica di segreti. Per esempio, la forma dinamica di questo grattacielo destinato ad accogliere uffici e un albergo sembra sia stata plasmata da venti e turbolenze oceaniche. In realtà, c’è dell’altro: la dimensione dinamica va insomma interpretata con maggiore profondità concettuale. Il dinamismo non è tanto nelle forme affilate e sfuggenti, bensì nella metodologia progettuale caratterizzata dalla possibilità di generare dinamicamente progetti sulla base di interazioni con forze e gradienti d’influenza di cui il progettista gestisce lo sviluppo imprevedibile e mutevole attraverso l’impiego di sistemi di raffigurazione tridimensionale. Le destinazioni funzionali dell’edificio sono sostanzialmente costituite da un blocco contrapposto alla torre con funzione di parcheggio per 1100 posti auto, un albergo, che occupa i primi venti piani della torre, uffici e un centro commerciale. Ai piani più bassi, la maggior ampiezza della pianta sfrutta entrambi i blocchi, mettendo in relazione l’albergo con i ristoranti, i negozi, gli spazi congressuali, ma anche con le aree di servizio e un’ampia terrazza vetrata, che conclude il corpo più basso del complesso. Alcuni giardini pensili e spazi aperti al pubblico caratterizzano i primi tre livelli verso il basso, destinati ad accogliere i negozi del centro commerciale. Una grande ala posta su due livelli, la skylobby, staccata dalla torre di cui interrompe la continuità, è raggiungibile direttamente da una coppia di ascensori. Questo corpo affacciato sulla città svolge la stessa funzione della lobby d’ingresso al piano terra, fungendo sia da disimpegno sia da luogo di relazione per i venti piani di uffici residui, che risultano indipendenti dalla parte più bassa dell’edificio. Alla ricerca di un equilibrio destinato a mitigare l’eccessivo protagonismo formale della torre di vetro, il corpo basso del complesso è caratterizzato da un dispositivo per attrarre l’attenzione attraverso un gigantesco schermo per video e immagini pubblicitarie, in grado di trasformare la facciata in una superficie mutante e luminosa.


Rendering del complesso. Rendering of the complex.

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Sezione della torre per uffici di 60 piani, collocata su una base di 20 piani destinata ad albergo.

Section of the 60-floor office tower, built on a 20-floor base designed to be used for a hotel.

he computer rendering of the Jakarta Tower complex portrays an architecture in an abstract space, undeniably out of context with the urban reality of the Indonesian metropolis. Thanks to the “electronic pencil” of digital technology and virtual reality, the architecture seems to orient itself toward other languages (for example, that of the cinema). Just as in a film, the rendering in question presents an “other reality,” as if the only possible truth were fiction, which with its laws and symbols can find sense and significance in presenting itself simply as an hypothesis of truth. Architecture as urban performance. A concept once considered untouchable, “Architecture is an act of modification of the urban or natural landscape,” perhaps should be changed to, “Architecture is an act of modification of the collective imagination.” Visionary architecture is therefore no longer the exception but the rule. The art of construction seems to find itself in a kind of fiction in which high-tech, deconstructivist architecture and so on become contaminated with black comedy, science fiction, etc… Placed in an abstract context that reminds one of the beginning (or the end?) of the world, the Jakarta Tower complex is a dense image, charged with secrets. For example, the dynamic form of this skyscraper destined to house offices and a hotel seems to have been molded by the effects of wind and ocean turbulence. In reality, there’s something more. The dynamic dimension needs to be interpreted with deeper conceptual insight. The dynamism is not so much in the sharp and elusive lines of the Jakarta Tower complex as it is in the projectual methodology. This methodology is characterized by the possibility of dynamically generating projects based on interaction with forces and degrees of influence whose fickle and unforeseeable development is controlled by the designer in a three-dimensional display system. The functional destinations of the edifice are primarily constructed from a block counterbalancing the 1100 car parking tower, a shopping mall, offices and a hotel that occupies the first twenty floors of the tower. On the lower floors, the wider construction joins the two blocks together bringing the hotel rooms into direct relation with the restaurants, shops and convention spaces, as well as the service areas and an ample glass-enclosed terrace that concludes the lower body of the complex. Several hanging gardens and spaces open to the general public characterize the first three levels of the lower building, which will contain the mall stores. The sky-lobby, a large wing developed on two levels, is detached from the tower whose continuity it interrupts but is directly accessible by a pair of elevators. This body looking out over the city fulfills the same function of the entrance lobby on the ground floor, acting both as release and meeting point for the twenty office floors, which exist independently from the lower part of the edifice. In search of an equilibrium destined to mitigate the excessive formal protagonism of the glass tower, the lower body of the complex is characterized by an eye-catching device – a giant screen for videos and ad images, capable of transforming the façade into a luminous, mutable surface.


Rendering del complesso da realizzare in una zona a sud-est del centro urbano di Jakarta. Rendering of the complex to be built south-east of Jakarta’s urban center.

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Pixel per un metaprogetto Pixels for a Meta-Project Monaco, padiglione per “Imagina 97” Monaco, pavilion for “Imagina 97” Progetto di Eric Owen Moss Architects Project by Eric Owen Moss Architects

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ella società dell’immagine il progetto non è più solo un passaggio tecnico per realizzare qualcosa, ma è esso stesso una “cosa”. Grazie all’informatica e alle tecnologie del virtuale, gli architetti possono operare direttamente in uno spazio inesistente, verificando sensorialmente, e in tempo reale, le qualità spaziali di un'architettura. Il progetto di Owen Moss Architects è una sorta di immagine ad alta definizione simbolica, dedicata a “Imagina 97”, manifestazione annuale di computer grafica e realtà virtuale. L’opera in questione induce ad alcune riflessioni sulla prassi metodologica di un progetto che può essere definito un metaprogetto. Si tratta infatti di “un’indagine – come spiega Owen Moss – sull’uso del computer in vista di un’architettura comunitaria”.

La particolarità dell’operazione non va tuttavia intesa solo come un eccesso di virtuosismo linguistico, poiché si tratta di un progetto che riguarda la realizzazione di una struttura di 2200 metri quadrati. Il padiglione doveva sorgere nel porto di Monaco, in una zona posta sull’asse dell’insenatura quale fulcro dell’organismo urbano della capitale monegasca. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con Frederick Genin, architetto operante a Monaco. Anche i contatti fra i progettisti sono stati virtuali poiché realizzati in videoconferenza. Diviso sostanzialmente in due parti, il padiglione doveva comporsi di un nucleo sferico in calcestruzzo, aperto verso l’esterno, e di una struttura reticolare in acciaio con funzione di copertura vetrata.


In queste pagine, schizzi preliminari e fotomontaggio del progetto per il padiglione espositivo di 2.200 mq destinato alla manifestazione di computer graphic e realtà virtuale “Imagina 97”. Nelle pagine seguenti, rendering e studi sugli spazi funzionali del padiglione.

Preliminary sketches and photo-montage of the 2,200 squaremeter exhibition hall that hosts the computer graphics and virtual-reality show, “Imagina 97.” Following pages. Renderings and studies of the functional spaces of the pavilion.

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Le nuove tecnologie informatiche stanno modificando radicalmente le modalità progettuali, e l’architettura ha modo di riflettere su se stessa e di impegnarsi a trovare un nuovo ruolo in un mondo in profonda mutazione. Con le immagini virtuali, il progettista opera direttamente nello spazio e, raggiunta la compiutezza formale dell’opera, può affidare al computer la realizzazione dei grafici di progetto. Inoltre, grazie a Internet, più architetti possono partecipare al progetto, aggiungendo allo stesso qualità e potenzialità straordinarie. Un architetto in grado di manipolare il proprio progetto direttamente nella sua struttura spaziale può così agire direttamente sull’opera, e quindi percepirne tutta la complessità spaziale disponendo così di maggiori risorse per poter ideare architetture innovative.

Queste diverse modalità di progetto sono già in parte applicate in alcuni settori. Per esempio, in quello meccanico dove i progettisti di carrozzerie di automobili operano agendo direttamente sul modello in scala 1:1. Solamente dopo aver raggiunto la forma ottimale realizzano il rilievo del modello stesso, cosicché il progetto finale si identifica con il rilievo del modello. L’iterazione realtà virtuale e progetto di architettura ha dato vita a tutta una serie di suggestive interpretazioni, che definiscono con grande plasticità le modalità operative in ambiente virtuale. Una tra le più suggestive è quella conosciuta come “antropomorfismo architettonico” dove l’architetto, ruotando la testa e il corpo, attraversa pareti e spazi con lo sguardo generando finestre a nastro.


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n the Image Society the project is no longer just a technical procedure for creating something. Instead, it has become a “thing” in and of itself. Thanks to information science and virtual technology, architects can work directly in a non-existent space, verifying sensorially in real-time the spatial qualities of an architecture. The project created by Owen Moss Architects is a kind of high-definition symbolic image dedicated to “Imagina 97,” an annual computer graphics and virtual reality convention. The work in question leads to some reflection on routine methodological procedures employed for a project that could be defined a meta-project. We are in fact dealing with “a survey,” as Owen Moss explains, “into the use of computers for the purposes of a community architecture.” Nevertheless, the specifics of the operation cannot be taken simply as excessive linguistic virtuosity considering the fact that we are dealing with a project to construct a 2200 square-meter structure. The pavilion was planned to be situated in the Port of Monaco in an area on the axis of the inlet, the fulcrum of the city’s urban organism. The project was developed in collaboration with Frederick Genin, an architect working in Monaco. Communications between project creators have been virtual, and all meetings are held by videoconference. The pavilion was essentially divided in two parts, one composed of a spherical concrete nucleus open towards the outside and the second a reticular steel structure func-

tioning as a glass covering. The new information technologies are radically modifying the projectual formalities and architecture now has a way to reflect on itself and to work toward finding new roles in a world of profound mutations. Through virtual images, an architect can work directly in the space and, once a formal conclusion has been reached, he can depend on the computer to create the project’s graphics. Furthermore, thanks to the Internet, other architects can participate in the project. An architect capable of manipulating his project directly within its structural space has the opportunity to work on his subject while perceiving all its spatial complexities. This gives him a further resource to draw upon in order to create innovative architecture. These diverse projectual formalities are already applied in part in some sectors. One example is in the automobile industry where designers can work directly on a full-scale virtual model. Only after having created the best possible form do they create the real model. In this way, the final product can be based directly on an outline of that model. The combination of virtual reality and architectural projects has breathed life into a series of suggestive interpretations. They define the operative formalities in virtual reality with great elasticity. One of the most suggestive is known as “architectural anthropomorphism” where the architect, moving his head and body, crosses through walls and spaces with his eyes and creates ribbon windows with a thought.


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La città nello stadio The City in the Stadium Seoul, Seoul Dome Stadium Seoul, Seoul Dome Stadium Progetto di NBBJ Architecture Project by NBBJ Architecture

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Rendering del Seoul Dome Stadium, complesso multifunzionale da realizzare in occasione della Campionato del Mondo di calcio del 2002. Rendering of the Seoul Dome Stadium that will be constructed for the 2002 World Championship soccer games.

progetti di architettura realizzati con le tecnologie del virtuale hanno assunto connotazioni percettive di incredibile plasticità. Anche se è indubbio che la cognizione spaziale dell’architettura progettata non è del tutto uguale alla realtà, è pur sempre altra cosa rispetto ai tradizionali metodi di rappresentazione. Se il confine fra progetto e realizzazione si va sempre più assottigliando, se progetto e sua espressione tridimensionale sono sempre più intercambiabili, è necessario chiedersi se abbia ancora senso sostenere – come ha sempre fatto un importante studioso come Bruno Zevi – che l’opera architettonica sia tale solo se realizzata. Di questo passo si sta forse prospettando un inquietante futuro disseminato di città virtuali? Impossibile prevederlo, almeno per ora. Anche se in questi ultimi tempi la tecnologia del virtuale ha fatto passi da gigante, secondo gli esperti siamo ancora in una fase poco più che pionieristica rispetto alle effettive potenzialità del mezzo. Quel che è certo è che le nuove tecnologie informatiche facilitano non poco l’ideazione di organismi architettonici sempre più complessi, sempre più simili a microcittà autosufficienti; come sembra suggerire il progetto del Seoul Dome Stadium. Destinato a divenire simbolo di una metropoli in pieno sviluppo, con spiccate aspirazioni di benessere diffuso, il nuovo stadio di Seoul si candida non solo ad ospitare alcune partite di calcio del prossimo Campionato del Mondo del 2002, ma anche a svolgere l’importante ruolo di condensatore di funzioni urbane. L’area di progetto, un isolato compreso fra il Central Business District, l’Olympic Park e l’Olympic Stadium, è stata oggetto di un concorso bandito da LG Group, multinazionale della chimica e dell’elettronica, già sponsor di una squadra di baseball che avrà la nuova sede proprio all’interno del nuovo complesso multifunzionale. Classificatosi primo, il progetto di NBBJ Architecture punta a trovare le sue ragioni di fondo in un nuovo rapporto fra città e strutture sportive, rifacendosi alle esperienze dei quartieri olimpici realizzati in centri urbani che hanno già organizzato manifestazioni di livello mondiale. Alla ricerca di nuovi ruoli, i complessi sportivi multifunzionali di ultima generazione sono strutture in grado di contribuire ad arginare alcune tensioni sociali attraverso funzioni fortemente


VIRTUALE VIRTUAL

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In queste pagine, il modello. Il complesso è progettato come una struttura flessibile in grado di ospitare oltre ad eventi sportivi anche concerti, congressi ed esposizioni.

The multifunctional stadium complex is designed to be a flexible structure capable of hosting concerts, conventions and exhibitions, in addition to athletic events.

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connesse con la città, ovvero vogliono essere luoghi aperti sia di giorno che di notte, indipendentemente dagli eventi sportivi cui sono principalmente destinati. Il Seoul Dome Stadium è una macchina complessa, una macchina che può mutare aspetto e funzioni in un gioco di trasparenze e opacità capace di occultare o svelare i suoi elementi costitutivi. Attraverso un’accentuata asimmetria è stata completamente cancellata l’immagine stereotipa dello stadio chiuso intorno al campo di gioco, quella di luogo destinato quasi esclusivamente

alle attività sportive e quindi avulso dalla vita urbana quotidiana. La proposta di NBBJ Architecture è di integrare i due momenti attraverso la creazione di una multiforme città del loisir. Il complesso architettonico è una struttura con più livelli dove è allocata tutta una gamma di servizi, solitamente presenti nei grandi centri commerciali, con ampi percorsi pedonali dove si affacciano negozi, cinema multisale, ma anche palestre e altre destinazioni funzionali. Simile ad un’isola tecnologica, ma anche a una gigantesca astronave atterrata sulla metropoli, il


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Seoul Dome Stadium esibisce una complessa varietà di forme e materiali, suggerendo, per analogia, la molteplicità di funzioni e servizi offerti alla città. I grandi spazi interni, attraversati da percorsi orizzontali, realizzati con strutture metalliche, per il collegamento orizzontale tra le gradinate dello stadio e le attività sportive e commerciali di contorno, evidenziano come si vogliano integrare funzioni normalmente differenziate con forme e materiali codificati dalla tradizione. Massima flessibilità viene espressa anche dalle caratteristiche tecnico-formali della grande coper-

tura dello stadio, che, pur mantenendo riferimenti tipologici al baseball, è in grado di garantire ottime prestazioni anche per eventi di diversa natura. In questo caso, fondamentale importanza riveste l’utilizzo di sofisticati meccanismi capaci di spostare facilmente e velocemente gradinate e coperture per alzare il livello del campo di gioco, realizzando così particolari situazioni spaziali destinate ad ospitare, nei medesimi luoghi, manifestazioni di diversa natura.


A

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Rendering del complesso che in alcune parti esterne è attrezzato per accogliere spettacoli teatrali e un ristorante. Rendering of the complex that will also be able to host theater shows and a restaurant.

rchitectural projects created with virtual technologies have assumed incredibly plastic perceptual connotations. Even though the spatial cognition of the projected architecture is undoubtedly not quite equal to reality, it is nevertheless quite different from traditional methods of representation. If the boundary between project and realization is becoming an increasingly thin line, and if the project and its three-dimensional expression are becoming evermore interchangeable, then it is necessary to ask if it still makes sense to maintain that a work of architecture becomes such only when and if constructed. This is a precept offered by many scholars including Bruno Zevi. Taking this development into account, are we perhaps witnessing the troubling perspective of a future strewn with virtual cities? For the moment, it is impossible to foresee. Even if we must admit that in recent years virtual technology has taken giant steps forward, according to the experts we are still in little more than a pioneering phase, compared to our understanding of the potential of the methods. One thing is certain, the new information technologies greatly facilitate designing increasingly complex architectural organisms that are closer than ever to self-sufficient micro-cities – just as the Seoul Dome Stadium seems to suggest. Destined to become the symbol of a metropolis in full development, with distinct aspirations of widespread well-being, the new Seoul stadium is prepared not only to host some of the upcoming 2002 World Championship soccer games, but also to play an important role as a condenser of urban functions. The project’s area, a block between the Central Business District, the Olympic Park and the Olympic Stadium, was the subject of a competition presented by the LG Group (a chemical and electronic multinational), that is already the sponsor of a baseball team whose new home field will be inside the multifunctional complex. Ranked first, the NBBJ Architecture project aims to find its niche in a new relationship between the city and sports facilities, referring to the experiences of building Olympic quarters in urban centers that already have organized shows on an international level. In looking for new roles, the latest generation multifunctional sports complexes are structures capable of holding some social tensions in check through

functions strongly linked with the city. They can be places open both day and night, independently of the sports events for which they are principally intended. The Seoul Dome Stadium is a complex machine that can change its look and functions in a game of transparency and opacity, capable of hiding or revealing its constructive elements. The stereotypical image of a stadium closed around a playing field has been completely eliminated through the use of an accented asymmetry. This is no simple construction designed solely for athletic activity and thereby closed off from daily urban life. NBBJ Architecture’s proposal is to integrate the two moments through the creation of a multiform recreation city.


The architectural complex is a structure with multiple levels on which an array of services are located. These include things usually present in large malls like ample pedestrian pathways lined with shops, multiplex movie theatres, as well as gyms and other functional areas. Similar to a technological island or a gigantic spaceship, which has landed on the metropolis, the Seoul Dome Stadium exhibits a complex variety of forms and materials, suggesting, by analogy, the multiplicity of functions and services, which are available in a city. The large internal spaces, crossed by horizontal pathways created with metallic structures that establish the horizontal connection between the stadium tiers and the surrounding

sports and commercial activities, demonstrate the desire to integrate functions normally differentiated with forms and materials codified by tradition. Maximum flexibility is also expressed by the technical-formal characteristics of the stadium’s giant covering which, while maintaining typological references to baseball, is capable of guaranteeing optimum performance, even for entirely different events. Fundamental importance, in this case, is vested in the utilization of sophisticated mechanisms capable of quickly and easily moving the tiers and the covering in order to raise the level of the playing field. This creates a particular spatial situation destined to host, within the same areas, a variety of different activities.

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Simulazione del campo coperto, che può essere trasformato assumendo diverse configurazioni a seconda delle destinazioni d'uso.

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Simulation of the indoor arena that can be converted into a variety of configurations depending on the event.


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Per nuovi riti collettivi For New Collective Rites Los Angeles, complesso Staples Center Los Angeles, Staples Center Complex Progetto di NBBJ Sports and Entertainment Project by NBBJ Sports and Entertainment

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Rendering e piante dei livelli funzionali dello Staples Center, struttura destinata allo sport, ai concerti e a grandi eventi di spettacolo. Rendering and plans of the functional levels of the Staples Center, a multifunctional facility for hosting sporting events, concerts and shows.


Alla ricerca di nuove strutture simboliche del loisir contemporaneo, lo stadio sta attraversando un momento di profonda metamorfosi. L’articolata volumetria e la particolare forma del complesso Staples Center di Los Angeles indica come da contenitore storico di attività legate allo sport lo stadio sia sempre più un luogo multifunzionale, pensato non solo per manifestazioni sportive, ma anche per eventi culturali e d’intrattenimento. Eclatante scenario per i nuovi riti collettivi di Los Angeles, la nuova “arena” è ubicata in un punto strategico, all’intersezione di due importanti arterie come Figueroa e l'11a Strada. Dimensionato per accogliere circa ventimila spettatori, il complesso presenta una distribuzione di funzioni articolata su più livelli, dove sono allocati una pista per hockey su ghiaccio (ma adattabile anche per partite di basket), un ristorante tematico, sale attrezzate per convention e alcuni circoli ricreativi. Volumi generati da matrici ellissoidali e composizione articolata in più corpi sono i tratti salienti di questo recente progetto elaborato da NBBJ Sports and Entertainment; certamente un progetto destinato a segnare con particolare vivacità la metropoli californiana, che, proprio attraverso strutture innovative e segni forti nel suo territorio, ha costruito la sua immagine di città all’avanguardia (non va dimenticato che architetti come, per esempio, Frank Gehry e Owen Moss vi hanno costruito opere memorabili). Formati alla scuola americana, ma con frequenti contatti con ambienti europei, Derek McCallum e Dan Meis – progettisti operanti all’interno del gruppo NBBJ Sports and Entertainment – hanno ideato una macchina urbana in grado di “centrifugare” nel vortice degli effetti speciali gli spettatori che assisteranno a concerti rock, partite di hockey su ghiaccio e di basket. Pianta moderatamente spiraliforme, volumi strombati e linee dinamiche rive-

lano subito come il progetto del complesso Staples Center sia stato influenzato dalle tecnologie informatiche. Attraverso elaborazioni digitali e realtà virtuale non si progetta solo lo spazio tridimensionale – come si è sempre fatto nel progetto di architettura – ma anche spazi dinamici, ovvero luoghi che mutano nel momento in cui sono vissuti artificialmente. Il progetto entra così in una nuova dimensione in cui si fondono in un’unica fase pensiero, percezione sensoriale e azione progettuale. Grazie alla matrice numerica, l’architettura è sempre più connotata da spazi fluidi, sinuosi, continui, come può esserlo solamente una sorta di viaggio attraverso i meandri della psiche. Caratterizzata da una forte connotazione tecnologica, l’architettura proposta da NBBJ Sports and Entertainment è maturata all’interno di una ricerca sviluppata in sintonia con i sistemi del digitale al fine di individuare metodologie e strumenti per una nuova organizzazione del progetto. L’architettura elaborata dal gruppo americano esprime valori e suggestioni che restituiscono un percorso progettuale denso di variabili spaziali, riscontrabili soprattutto nelle grandi realizzazioni come, per esempio, stadi e grandi impianti sportivi, di cui gli architetti di NBBJ sono grandi esperti. Oltre al complesso Staples Center, al loro attivo vi sono altri grandi impianti come, per esempio, l’LG Twins New Baseball Stadium & Entertainment Complex a Seoul e il Sony Project 2000-Entertainment Prototype a Kansas City.

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Veduta generale del complesso polifunzionale. General view of the multifunctional complex.

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n search of new symbolic structures for contemporary leisure spectator activities, arenas and stadiums are undergoing a profound metamorphosis. The articulated volume and shape of the Los Angeles Staples Center complex demonstrates how one arena is being transformed from a place typically identified with sports activities into a multifunctional edifice that can be used for cultural events and other entertainment not related to sports, too. An extraordinary backdrop for new collective Los Angeles rites, the new arena is strategically located at the intersection of two important arteries – Figueroa and 11th Streets. It has been designed to hold approximately twenty thousand spectators and presents a variety of functions laid out on more than one level. There is a hockey rink that can be transformed into a basketball court, a theme restaurant, and rooms equipped for conventions and multipurpose recreation areas. This recent project, designed by NBBJ Sports and Entertainment, is characterized by spatial volumes generated from ellipsoidal matrixes and compositions divided into more than one body. It is a project which, no doubt, will have a strong impact on the California metropolis. It is through projects designed by architects such as Frank Gehry and Owen Moss as well as innovative structures such as this and other strong signals that Los Angeles has developed its “avant-garde” city image. Educated in the American school, but with frequent European exposure, Derek McCallum and Dan Meis – designers working within the NBBJ Sports and Entertainment group – have created an urban

machine capable of captivating spectators with a vortex of special effects regardless of whether they are attending a rock concert, or a hockey or basketball game. A mildly spiral-form plan, splayed volumes, and dynamic lines immediately reveal how the Staples Center complex project has been influenced by information technology. The use of digital architectural elaboration and virtual reality enables one to project not only three-dimensional space but also dynamic spaces, or to be more precise, places that change the moment they are artificially perceived. In this way, the project enters a new dimension in which thinking, sensory perception, and project action become one phase. Thanks to the numeric matrix, architecture is increasingly marked by fluid, sinuous, continuous spaces, as only a kind of voyage through psychic meanders can be. The architecture proposed by NBBJ Sports and Entertainment is characterized by a strong technological penchant. It matured through research that was developed hand-in-hand with digital systems in order to identify methodologies and hardware for the new project organization. The architecture set forth by the American group expresses values and suggestions for a project path replete with spatial variables. These can best be compared with other large-scale projects such as stadiums and large sports complexes, NBBJ architects’ area of expertise. In addition to the Staples Center, they are responsible for the LG Twins New Baseball Stadium & Entertainment Complex in Seoul and the Sony Project 2000-Entertainment Prototype in Kansas City.


La pista di hockey su ghiaccio. The ice hockey rink.

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News

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L’impegno per l’ambiente di Ciments Calcia The environmental commitment of Ciments Calcia

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L’impegno per l’ambiente di Ciments Calcia The environmental commitment of Ciments Calcia Lo Stadio Olimpico di Istanbul The Istanbul Olympic Stadium Quality Managers: un team vincente Quality Managers: a winning team

n Francia tutti gli impianti otterranno la certificazione ISO 14001 entro il 2001 Una convinta attenzione nei confronti dell'ambiente è essenziale per qualsiasi azienda seria e responsabile, che si preoccupa del futuro delle sue attività e della qualità dei suoi rapporti con il territorio in cui opera. La politica ambientale di Ciments Calcia (filiale francese di Italcementi Group) è diventata una componente primaria delle strategie aziendali e si colloca oggi allo stesso livello delle risorse umane, della qualità o della sicurezza. La fabbricazione del cemento è un'attività poco inquinante. Tuttavia, l'ampiezza degli impianti industriali, la complessità del processo di trasformazione delle materie prime e l’influenza sul mondo delle costruzioni che caratterizzano questa industria richiedono una

costante attenzione al fine di contenere e migliorare l’impatto ambientale. A tale scopo, nei 10 cementifici distribuiti in terra francese è stato installato un Sistema di Management Ambientale (SME). Il sistema interessa l'intera attività industriale e permette di strutturare e coordinare efficacemente tutte le azioni destinate a salvaguardare l'ambiente mediante l'applicazione dei seguenti principi generali: • integrazione dell'ambiente nella gestione globale dell'azienda, • formazione e sensibilizzazione del personale, • controllo continuo e rispetto delle norme di legge, • gestione responsabile dei giacimenti e dei siti, • economia delle risorse naturali, • trasparenza, informazione e concertazione con la popolazione e le istituzioni interessate.

ISO 14001: al di là di un impegno, un riconoscimento internazionale Per dare alla propria azione un riconoscimento e una visibilità facilmente accessibili a tutti, Ciments Calcia si è rivolta a un organismo indipendente, l'AFAQ, per essere valutata e confrontata con una norma riconosciuta a livello mondiale: la certificazione ISO 14001. Questa norma si basa sul principio del continuo miglioramento delle performance ambientali tramite il controllo costante dell’impatto esterno legato all'attività, ai prodotti e ai servizi dell'azienda. Con gli stabilimenti di Ranville, Gargenville e Couvrot già certificati, Ciments Calcia è diventata il primo cementiere francese a formalizzare il proprio impegno in favore dell'ambiente. Questa azione concretizza e illustra la costante preoccupazione per uno sviluppo responsabile e


duraturo. Su di essa si fondano i rapporti fra Ciments Calcia e il suo ambiente, i suoi partner istituzionali e associativi e tutti i suoi collaboratori. E sottolinea, inoltre, la volontà della società di preservare l'ambiente naturale che ne accoglie i cementifici e le cave. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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n France all the sites will be registered with ISO 14001 by 2001 Taking care of the environment on a voluntary basis is essential for any company that is concerned about the continuity of its business and the quality of its relationship with the host community. The environmental policy of Ciments Calcia (French subsidiary of Italcementi Group) has become an integral part of the company’s management philosophy. Today, environmental issues are as important as human resources, quality, or safety. Although cement manufacturing has a minimal effect on our environment, nevertheless, the scale of the production facilities, the complexity of the manufacturing process and the importance of this industry to the building sector make it necessary to constantly monitor the company’s environmental impact. An Environmental Management System (SME) has therefore been set up in the 10 cement plants located throughout the country. It includes all the industrial activities at each plant and coordinates all environmental protection measures through the following: • integration of the environment in the company’s global management,

• personnel training and

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awareness building, • continuous monitoring and compliance with all environmental regulations, • responsible management of quarries and sites, • economic use of natural resources, and • clear information and cooperation with community residents and local authorities. ISO 14001: beyond commitment, international recognition Ciments Calcia has asked an independent body, AFAQ, to evaluate and measure its performance against an internationally recognized yardstick, the ISO 14001 certification, in order to ensure that its efforts are recognized and familiar to everybody. This standard checks for continuous improvement of environmental performance by monitoring the environmental impact of the company’s activities, products and services. Ciments Calcia has

become the first French cement manufacturer to have its commitment to the environment officially recognized, with the certification of the plants of Ranville, Gargenville and Couvrot. This action gives substance to the company’s commitment to responsible and long-lasting development. It is the basis of any relationship between Ciments Calcia and its

environment, its institutional partners and associates. Moreover, it emphasizes the will of the company to preserve the natural environment around its cement plants and quarries. Nella pagina a fronte, l’impianto di Ciments Calcia a Couvrot; qui sopra, la cementeria a Ranville e, sotto, quella a Gargenville.

Opposite. Ciments Calcia's Couvrot plant. Above. The plant at Ranville and, below, Gargenville.


Lo Stadio Olimpico di Istanbul The Istanbul Olympic Stadium

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28 settembre 1997 la joint-venture CAMPENON BERNARD SGE/TEKFEN CONSTRUCTION CO/SAE INTERNATIONAL ha vinto l’appalto per la costruzione dello Stadio Olimpico di Istanbul, un progetto, consegna chiavi-in-mano, del valore di 89.990.000 dollari. Di questa joint-venture fanno parte una società turca e due francesi. TEKFEN, leader nel settore costruzioni in Turchia, è specializzata in progetti chiavi-in-mano, soprattutto nelle installazioni elettromeccaniche e negli impianti per l’industria chimica ed elettrochimica. SAE INTERNATIONAL è la società incaricata delle attività internazionali del gruppo francese Eiffage e operante in Turchia da oltre un decennio. CAMPENON BERNARD SGE, società-pilota della jointventure, ha alle spalle 70 anni di esperienza nel settore grandi progetti a livello

internazionale e ha gestito la direzione lavori per lo “Stade de France” costruito a Parigi in occasione della Coppa del Mondo di Calcio del 1998. Questo nuovo Stadio Olimpico della Turchia avrà una capacità di 80.000 posti e sarà dotato di tutti i requisiti necessari per ospitare grandi eventi sportivi e culturali di livello internazionale. Nella grande piazza Ikitelli intorno allo stadio saranno organizzati punti di ristoro e postazioni di pronto soccorso, ma anche svariate strutture per attività commerciali e ricreative. Il progetto dello stadio costituisce la prima fase della realizzazione del Parco Olimpico, un enorme complesso sportivo che verrà realizzato per attività ricreative e socio-educative per le famiglie ed è stato progettato per potersi adeguare al futuro sviluppo dell’area e dell’ambiente circostante. Gli architetti dello Stadio

Olimpico di Istanbul hanno collaborato con i francesi Michel Macary e Aymeric Zublena e con il turco Doruk Pamir, per dare vita a un progetto trasparente, raffinato nelle sue strutture principali ed equilibrato nell’organizzazione degli spazi. Gli architetti hanno adottato forme lineari e pure, funzionali e affidabili e si è cercato, inoltre, di conferire allo stadio uno stile immediatamente riconoscibile. Il progetto ha posto particolare cura nello stabilire un perfetto equilibrio tra i diversi requisiti tecnici fondamentali per la funzionalità dell'edificio. Tra questi, soprattutto, la visibilità (ricerca di una visibilità ottima da ogni posto a sedere), facilità di accesso (accesso e spostamenti facili sia all'interno che attorno all’impianto), sicurezza (lo stadio può essere svuotato completamente in meno di 12 minuti) e funzionalità. L’asse nord-sud dello stadio è stato

lasciato il più possibile trasparente, consentendo un’ampia prospettiva e un grande angolo di visuale. La monumentale copertura a falce di luna è sostenuta da due aste alte 60 metri ciascuna e coprirà le tribune ovest (32.000 spettatori) dal sole e dalla pioggia. La forma della copertura simboleggia il ponte che lega l’Asia all’Europa e infatti lo stadio è stato progettato per divenire il simbolo di Istanbul in tutto il mondo, anche attraverso la grande diffusione della sua immagine da parte della stampa e dei mass media. Una volta completato, in un arco di tempo di circa tre anni, lo Stadio Olimpico di Istanbul, nell’ambito del Parco Olimpico di Ikitelli, sarà il più grande investimento per lo sport della nazione. SET BETON (Italcementi Group) fornirà tutto il calcestruzzo necessario al progetto: per l'intera


realizzazione dello stadio si prevede ne verranno prodotti 70.000 metri cubi. Lo Stadio Olimpico sarà solo uno degli impianti del Parco Olimpico, destinato a coprire un'area di circa 100 ettari. L’intero complesso è stato progettato per divenire uno tra i più spettacolari complessi sportivi in grado di ospitare su una superficie di 25.000 metri quadrati un palazzetto dello sport coperto multifunzionale, campi all’aperto per il calcio, il tennis, la pallavolo, la pallacanestro e poligoni di tiro su un’area di 15 ettari. Il complesso comprenderà inoltre un’accademia dello sport per l’allenamento degli atleti e per la preparazione fisica di allenatori e istruttori di ginnastica. Il parco comprenderà anche un “aquapark” con caffetterie, piscine di varie dimensioni e altri impianti per gli sport acquatici, e sarà servito da un albergo da 400 posti e un centro commerciale, su un’area di 38.000 metri quadrati. Le attività di gestione, manutenzione e sicurezza saranno accorpate in un gruppo di edifici per un totale di 7.000 metri quadrati. Nella parte nord del parco, verrà inoltre realizzata una pista di cinque chilometri per l’automobilismo, e percorsi per il motocross e il ciclocross. Il progetto del Parco Olimpico è pensato non solo per l’utilizzo durante le Olimpiadi, ma anche per le attività commerciali e ricreative dopo i Giochi: nel centro commerciale verranno venduti prodotti per lo sport, e nel parco verranno organizzate fiere, mostre e conferenze relative alle attività sportive. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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n September 28th 1997, the joint-venture CAMPENON BERNARD SGE/TEKFEN CONSTRUCTION CO/SAE INTERNATIONAL was awarded the construction contract for the new Olympic Stadium in Istanbul – a turnkey delivery project worth nearly US$ 90 million.The joint venture is composed of one Turkish company, TEKFEN, and two French companies, SAE INTERNATIONAL and CAMPENON BERNARD SGE. TEKFEN is a leader in the Turkish building sector and is active in turnkey projects,

especially electromechanic installations for projects in the chemical and electrochemical industries. SAE INTERNATIONAL is the international arm for the French Eiffage Group and has been operating in Turkey for more than ten years. With seventy years’ experience in international large scale construction projects, CAMPENON BERNARD SGE has taken on the job of piloting the joint-venture. It was also responsible for directing the construction of the “Stade de France” built in Paris for the 1998 World Soccer Cup. This new 80,000 seat Olympic Stadium in Turkey will be equipped to host large cultural and sport events at an international level. Rest areas and medical emergency shelters will be located in the giant Ikitelli piazza surrounding the stadium. This piazza will also serve as a commercial and recreational space. The stadium project constitutes the first phase in the creation of an Olympic Park, an enormous sports complex that will be established for family recreational and socio-educational activities. It has been designed with the future development of the area and its surroundings in mind. The architects for the Istanbul Olympic Stadium collaborated with Michel Macary and Aymeric Zublena from France, and Doruk Pamir from Turkey. They gave life to a transparent project, refined in its principal structures and balanced in its spatial organization. The architects have made use of linear and pure forms that are both functional and reliable. They have also attempted to

Nella pagina a fronte, alcuni rendering del progetto dello Stadio Olimpico di Istanbul. Lo stadio potrà contenere 80.000 spettatori. La struttura è stata progettata per accogliere grandi eventi sportivi e culturali di livello internazionale. Qui a fianco, tre sezioni dello stadio.

Opposite. Renderings of the 80,000 seat Istanbul Olympic Stadium project. The structure was projected to host large-scale international sports and cultural events. Right. Three sections of the stadium.

endow the stadium with an easily and immediately recognizable style. Particular care was taken to establish a perfect equilibrium among the basic contextual requirements. The most important among these were optimum visibility from every seating position, easily accessed entrances and walkways around the perimeter of the stadium, security (the stadium can be completely emptied in less than 12 minutes), and functionality. The north-south axis of the stadium was left as transparent as possible allowing an ample perspective and wide angle of vision. The monumental crescent-moon shaped covering, a symbol of the bridge linking Asia to Europe, is supported by two 60 meter poles and will protect the 32,000 seat western gallery from sun and rain. The stadium was designed to symbolize Istanbul throughout the world, particularly through the dissemination of its image in newspapers and the mass-media. In three years, when the project is completed, the Istanbul Olympic Stadium, within the Ikitelli Olympic Park, will be the largest national investment in sports that Turkey has ever made. SET BETON (Italcementi Group) will supply all the concrete – approximately 70,000 cubic meters – necessary to build the stadium. The stadium will be just one of

the many edifices in the 100hectare Olympic Park. The entire complex is intended to become one of the most spectacular athletic areas in the world and will stretch over 25,000 square meters hosting a covered multifunctional sports complex with open soccer fields, tennis courts, volleyball courts, basketball courts and shooting ranges in a 15 hectare area. A sports academy for athlete training, physical preparation for coaches and physical education instructors will be established. The park will also include a water park with cafés, various sized swimming pools and areas for aquatic sports. A 400-room hotel and a 38,000 square meters covered mall will service the park. The management, maintenance and security services will be grouped together in 7,000 square meters of office space and in the northern end of the park, a five kilometer race track for automobile, motocross and bicycle racing will be constructed. The Olympic Park project is intended to not only be used during the Olympics, but for commercial and recreational activities after the Games, too. The mall will sell athletic equipment, and a series of fairs, conventions, conferences and exhibitions relating to athletic activities will be organized on park grounds.

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Quality Managers: un team vincente Quality Managers: a winning team

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esponsabili della qualità, responsabili del servizio di assistenza tecnica e ricercatori del CTG (Centro Tecnico di Gruppo), di tutte le filiali di Italcementi Group, formano il gruppo dei “Quality Managers” che periodicamente si riunisce per affrontare temi legati sia al sistema qualità nelle cementerie, che alla qualità nell’applicazione del cemento nel calcestruzzo. Il primo punto ha un evidente impatto sugli aspetti tecnologici e di produzione della cementeria, mentre la misurazione della costanza qualitativa del cemento e le relative prestazioni nel calcestruzzo hanno una ricaduta importante sui clienti. Attualmente tutte le società di Italcementi Group presenti in Europa operano conformemente alle norme ISO 9002 “Sistemi di qualità – Modello per l’assicurazione della qualità nella fabbricazione, installazione e assistenza”. La qualità viene studiata grazie alla disponibilità di un elevato numero di dati, provenienti da più di 50 cementerie distribuite in 13 paesi nel mondo, attraverso i quali è possibile elaborare gli indici necessari a misurare le performance degli impianti, controllare le variabilità e intervenire sugli scostamenti. E gli indici di costanza qualitativa dicono che farina, clinker e cemento consentono performance ottimali per la maggior parte degli impianti (circa l’80 %!). La nuova sfida per Italcementi Group è trasferire il sistema qualità del cemento nel calcestruzzo. Sui temi della lavorabilità del calcestruzzo e l’evoluzione degli indici di lavorabilità del calcestruzzo stesso – dal momento della produzione in centrale al momento della consegna in cantiere – sta concentrando le proprie ricerche il CTG. L’obiettivo è fornire a tutti gli impianti gli strumenti idonei per la realizzazione di prodotti che soddisfino sempre più le

esigenze dei clienti. Questo è un aspetto molto sentito in tutti i paesi in cui Italcementi Group è presente con i suoi impianti produttivi, in particolare negli Stati Uniti, in Italia, in Francia e in Spagna dove gli uomini della qualità lavorano a stretto contatto con il servizio assistenza tecnica delle direzioni commerciali per un servizio più puntuale e completo verso la clientela. Una delle modalità più innovative con cui viene trasferito il sistema qualità delle cementerie al cliente è il Laboratorio Mobile. Italcementi in Italia, con due unità mobili, e Ciments Calcia in Francia, con due laboratori già operativi e un terzo in programma per l’estate del 2000, sono le uniche imprese del settore ad offrire un servizio di questo tipo. Si tratta di un vero e proprio laboratorio, alloggiato nella struttura di un automezzo e perfettamente attrezzato per eseguire numerose prove. Una pressa per le prove di compressione, le attrezzature per la stagionatura e la maturazione dei provini, gli strumenti per il controllo della qualità degli aggregati per l’esame del calcestruzzo fresco e indurito sono tra i numerosi strumenti che consentono ai clienti di mettere a punto o ottimizzare l’utilizzazione del cemento e la formulazione del calcestruzzo (il “mix design”). In questo modo si possono superare le difficoltà insite nel mantenimento della lavorabilità nel tempo e nella posa del calcestruzzo, e raggiungere obiettivi relativi alla resistenza meccanica o all’aspetto della superficie, il tutto con una consulenza effettuata direttamente sul cantiere. ■ ■ ■ ■ ■ ■

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enior executives from quality and product support along with researchers from the CTG (Group Technical Center) make up the “Quality Managers” group. This group meets

periodically to discuss such issues as quality control systems in cement production facilities and how to maintain product performance in various cement applications such as concrete. The first topic obviously impacts the technical and production aspects of the Italcementi Group’s manufacturing facilities while the second has important consequences for customers. Currently, all European-based Italcementi Group companies are certified and operate according to the ISO 9002 standard “Quality systems – Model for quality insurance in manufacturing, installation and support.” Italcementi Group gathers production and performance data from its more than 50 plants in 13 countries. Based on this information, the company establishes performance criteria for each facility and monitors performance results on a regular basis making adjustments and corrections when necessary. According to these criteria, about 80 percent of Group facilities achieve consistent excellent quality ratings for raw mix, clinker and cement. Now, the challenge for Italcementi Group is to transfer cement quality systems to concrete. So far, the CTG has conducted several concrete manufacturing studies to establish criteria for measuring the effects of cement in concrete from production through delivery to the

customer. The objective is to provide cement production facilities with the necessary tools to produce cements that are closely tailored to customer requirements. This issue is keenly felt in all countries where Italcementi has production facilities, especially the United States, Italy, France and Spain, where quality assurance groups work closely with product support to ensure more complete and on-time service for customers. Italcementi in Italy, and Ciments Calcia in France, each have two operational mobile laboratories. Ciments Calcia is planning a third for summer 2000. They are the only companies in the entire cement industry that operate mobile laboratories for the benefit of their customers. It’s a revolutionary way to bring a cement facility's quality assurance system directly to customers. Each laboratory on wheels can perform compressive strength tests, surface tests, evaluate curing test specimens, analyze aggregates and perform a variety of tests on plastic and hardened concrete to help customers optimize their mix designs and improve overall performance right on site.

Prove qualità su campioni di calcestruzzo effettuate dal laboratorio mobile direttamente in cantiere.

Mobile laboratories can perform a variety of tests on concrete right on site.




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