westbrook

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Robert B. Westbrook

JOHN DEWEY E LA DEMOCRAZIA AMERICANA

Traduzione e cura di

Teodora Pezzano

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione di Teodora Pezzano

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Prefazione

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Abbreviazioni

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Prologo: La formazione di un filosofo

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PARTE PRIMA: UN VANGELO SOCIALE (1882-1904) 1. Il bacillo hegeliano 2. La democrazia organica 3. Il pragmatismo di Chicago 4. No Mean City. Una città non certo senza importanza

57 59 81 109 135

PARTE SECONDA: DEMOCRAZIA PROGRESSIVA (1904-1918) 5. Ricostruire la Filosofia 6. Democrazia ed educazione 7. La politica della guerra

171 173 209 261

PARTE TERZA: VERSO LA GRANDE COMUNITÀ (1918-1929) 8. La politica della pace 9. Il Pubblico fantasma 10. Filosofia e democrazia

299 301 351 399

PARTE QUARTA: EMERITO DEMOCRATICO (1929-1952) 11. Esperienza realizzatrice 12. La democrazia socialista 13. La loro morale e la nostra 14. Mantenere la fede comune

459 461 517 555 593

Epilogo: Il deserto e la terra promessa

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Nota bibliografica

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Indice dei nomi

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Introduzione TEODORA PEZZANO

Dewey scrisse nel modo in cui Dio avrebbe parlato se Egli fosse stato incapace di esprimersi, ma ardentemente desideroso di dire a noi tutti come stavano le cose. Oliver Wendell Holmes La scelta di iniziare questo mio intervento con una frase di Holmes1, presente anche in Robert Westbrook, non è stata casuale ma voluta, perché la ritengo chiarificatrice di quanto il pensiero di John Dewey sia oscuro in diversi passaggi. L’attenta riflessione critica su un ampio ed eterogeneo ventaglio argomentativo mostra il pensiero di un filosofo estremamente vasto, eclettico, chiaro-scuro, tanto da essere tutt’oggi fonte di scoperte sia filosofiche che pedagogico-politiche2. 1

Oliver W. Holmes, Jr., dopo aver letto Experience and Nature di John Dewey, si esprime nei seguenti termini: “Ho finito di leggere il libro di Morris Cohen Reason and Nature, una esposizione ben approfondita […] Il titolo suggerisce una sorta di sfida a Experience and Nature di Dewey […] Ma anche se il lavoro di Dewey è incredibilmente mal scritto, mi è sembrato, dopo averlo riletto più volte, di avvertire una sensazione di intimità con l’interno del cosmo; [una sensazione] che io ho trovato senza precedenti”. Oliver W. Holmes, Jr. a F. Pollock, 15 maggio 1931, in Holmes-Pollock Letters: The Correspondence of Mr. Justice Holmes and Sir Frederick Pollock, 1874-1932, ed. M. De Wolfe Howe, Harvard University Press, Cambridge 1941, vol. 2, p. 287; cfr. Id., Justice Oliver Wendell Holmes: His Book Notices and Uncollected Letters and Papers, ed. Harry C. Shriver, intr. di Harlan F. Stone, Central Book Company, New York 1936. Cfr. J. Dewey, Justice Holmes and Liberal Mind, in The Later Works of John Dewey, 1925-1953, ed. by Jo A. Boydston, Southern Illinois Press, Carbondale and Edwardsville 1976-1983, vol. 3, pp. 177-183. 2 Cfr. Larry A. Hickman, John Dewey’s Pragmatic Technology, Indiana University Press, Bloomington 1990 [trad. it. La tecnologia pragmatica di John Dewey, pres. G. Spadafora, tr. G. e M. Spadafora, Armando, Roma 2000]; Id. e G. Spadafora (eds.), John Dewey’s Educational Philosophy in International Perspective. A New Democracy for the

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Nei miei studi sul giovane Dewey ho cercato, mediante la ricostruzione dei saggi relativi all’arco temporale 1882-1898, di spiegare come la varietà delle argomentazioni non mostri un filosofo impenetrabile, confuso, discontinuo, ma un filosofo che, pur nella sua indiscussa difficoltà interpretativa, testimonia il desiderio di ridare alla disciplina filosofica quello che è stato il suo habitus originario; ridarle insomma quelle caratteristiche classiche sue proprie. Un Dewey che aprendosi alla ricerca senza contaminazioni dualiste, assolutiste, etc., mostra il forte interesse per le vicende umane ma prima ancora per la scienza, la conoscenza e l’intelletto dell’individuo. Il periodo giovanile deweyano, infatti, vede affiorare un complesso di idee unite ad un insieme di circostanze che hanno fatto da sfondo alla realizzazione di una mole vastissima di materiale. In questo contesto le vicende del giovane Dewey sono fondamentali per comprendere il significato globale della filosofia deweyana. Gli studi sul giovane filosofo3 hanno cercato di esplorare il senso complessivo della sua esperienza filosofica che è stata evidenziata come il passaggio dall’assolutismo allo sperimentalismo, secondo quanto si evince dallo scritto autobiografico del 19304. Alla luce delle difficoltà di trovare una convergenza tra i numerosi scritti di Dewey e il desiderio di capire se in realtà ciò che il filosofo americano sostiene in questo saggio corrisponda esattamente a quanto è stato diffuso dai suoi studiosi, sarebbe imprudente non rivisitare il pensiero ab imis anche del giovane Dewey perché già lì si può trovare il senso del suo percorso filosofico. Nella sua vasta ma non dispersiva ricerca, infatti, lo studioso americano rischia di mettere in difficoltà l’interlocutore il quale, talvolta, ha l’impressione di trovarsi davanti un difensore delle anomalie delle scienze e delle filosofie imperfette, quando in realtà è l’analogia e il mettere in discussione costantemente i princìpi fondanti a prevalere in Dewey.

Twenty-First Century, Southern Illinois University Press, Carbondale 2009; Id., Studi deweyani, Fondazione Italiana John Dewey, Cosenza 2006. 3 Si vedano al riguardo A. Granese, Il giovane Dewey dallo spiritualismo al naturalismo, La Nuova Italia, Firenze 1966; cfr. J. McDermott, The Philosophy of John Dewey, 2 voll., G.P. Putnam’ Sons, New York, 1973; cfr. N. Coughlan, Young John Dewey. An Essay in American Intellectual History, University Chicago Press, Chicago 1975. 4 J. Dewey, From Absolutism to Experimentalism, in The Later Works, 1929-1930, vol. 5, pp. 147-160, ed. Jo A. Boydston, Southern Illinois Press, Carbondale and Edwardsville 1984. La prima pubblicazione venne fatta in Contemporary American Philosophy: Personal Statements, ed. George P. Adams e William P. Montague, vol. 2, George Allen e Unwin, London; MacMillan Co., New York 1930.

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Da grande intellettuale Dewey ha confrontato costantemente il suo pensiero con diverse correnti filosofiche (con il monismo epistemologico, con l’empirismo, con il razionalismo, etc.) che con i loro presupposti astratti e le loro mistificazioni avevano condotto la filosofia lontano dalla sua indagine, lontano dall’ἀλήθεια – alétheia – delle cose. Per Dewey, infatti, parlare di filosofia iuxta propria principia significava parlare di una filosofia etico-formativa. Ed è esattamente in questa ricerca che si concretizza il pensiero deweyano5. Un pensiero quello di John Dewey che proprio per la sua originalità ebbe in Italia, oltre ovviamente in America e in diversi paesi del mondo, una fortuna straordinaria nell’immediato secondo dopoguerra. Il filosofo statunitense, infatti, è stato un punto di riferimento per diversi autori come Aldo Visalberghi, Lamberto Borghi che hanno segnato un’epoca fondamentale per gli studi deweyani. E ancora, filosofi di primo piano italiani come Nicola Abbagnano, Ludovico Geymonat, Mario Dal Pra, Giulio Preti, Alberto Granese, Mario Alcaro e diversi altri hanno dato un contributo fondamentale nel considerare Dewey una “terza via” rispetto al cattolicesimo e al marxismo e un punto di riferimento fondamentale per comprendere il senso della filosofia all’indomani dell’esperienza neo-idealistica e della democrazia all’indomani della tragedia della guerra6. 5

Si veda T. Pezzano, Il giovane Dewey. Individuo Educazione Assoluto, Armando, Roma 2007. 6 J. Dewey, Logic: the Theory of Inquiry, trad. it. A. Visalberghi, Logica, teoria dell’indagine, Einaudi, Torino 1949; Id., John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1951 (quarta edizione, 1976). Cfr. L. Borghi, John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, La Nuova Italia, Firenze 1951; Id., L’ideale educativo di John Dewey, La Nuova Italia, Firenze 1955, cit., pp. 121-145; Id. (a cura di), Il mio credo pedagogico (antologia di scritti sull’educazione), La Nuova Italia, Firenze 1963. Tra i numerosissimi articoli su Dewey segnalo in particolare: L. Borghi, I fondamenti della concezione pedagogica di Dewey, in Rivista critica di storia della filosofia, a. VI, fasc. IV, ottobre-dicembre 1951, pp. 342-359; Id., John Dewey e la prima guerra mondiale, in Scuola e Città, a. 11, n. 3, marzo 1951, pp. 91-107; Id., Valori e ideali nel pensiero di John Dewey, in Prospettive storiche e problemi attuali dell’educazione. Studi in onore di Ernesto Codignola, La Nuova Italia, Firenze 1960. Cfr. N. Abbagnano, Verso un nuovo illuminismo: John Dewey, in Rivista di filosofia, 34 (1948), pp. 314-325; Id., Dewey, in Storia della filosofia, Utet, Torino 1948. Cfr. L. Geymonat, La logica di Dewey e il nuovo razionalismo, in M. Dal Pra (a cura di), Il pensiero di John Dewey, cit., pp. 67-75. Cfr. M. Dal Pra (a cura di), Il pensiero di John Dewey, Fratelli Bocca, Milano 1952; M. Alcaro, Filosofie democratiche: scienza e potere nel pensiero di J. Dewey, B. Russell, K. Popper, edizione Dedalo, Bari 1986; Id., John Dewey. Scienza, prassi, democrazia, Laterza, Bari 1997; Id. e R. Bufalo (a cura di), John Dewey oggi, Abramo, Catanzaro 1996; G. Preti, Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino 1957; N. Filograsso, C. Nisi (a cura di), Dewey ieri e oggi, Quattroventi,

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Nella riscoperta di Dewey un posto centrale tra gli accademici americani spetta a Richard Rorty, al quale va riconosciuto il merito di aver riportato in auge nella cultura contemporanea il pensiero deweyano che già verso la fine degli anni Quaranta aveva iniziato a perdere la centralità acquisita in precedenza a causa di nuovi pensatori sia “analitici che fondamentalisti” che si affacciavano sulla scena americana spostando l’attenzione su problematiche (quali ad esempio le indagini tecniche, la scuola e i modelli intellettuali) che ritenevano essere più essenziali e di aiuto al progresso scientifico e al bene del paese, problematiche sottovalutate da Dewey. Rorty, infatti, che si è interessato a diversi autori come Derrida, Hegel, Heidegger, Wittgenstein, ha riconosciuto a Dewey, in diversi scritti, il merito di aver avuto come oggetto della propria attenzione le problematiche relative al contesto socio-politico e di aver portato avanti una filosofia del set aside “del mettere da parte” gli assunti metafisici che hanno rappresentato il tessuto concettuale e paradigmatico di molte teorie filosofiche che oscuravano i fondamenti della conoscenza, proponendo una visione anti-fondazionalista7. La diffusione del pensiero deweyano è stata influenzata, oltre che dai suoi frequenti viaggi in Europa e dai suoi rapporti politici con molti uomini potenti di allora, soprattutto, come dicevamo, da una impostazione nuova dell’educazione che ha la funzione di tool, di strumento di valutazione intrinseca e non astratta della coscienza dell’individuo che deve operare a favore di una società democratica. Si esce, dunque, con Dewey da quello Urbino 1989. Tra i contributi più significativi sulla fortuna deweyana in Italia cfr. G. Federici Vescovini, La fortuna di Dewey in Italia, in Rivista di filosofia, 1961, LII, pp. 52-96; A. Granese, Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 1973 (quarta ed. 1999); AA.VV., La pedagogia laica e progressista da Dewey ai nostri giorni, in Riforma della scuola, 1976, nn. 8-9; G. Cives, La filosofia dell’educazione in Italia oggi, La Nuova Italia, Firenze 1978, pp. 85-97; F. Cambi, La scuola di Firenze (da Codignola a Laporta, 1950-1975), Liguori, Napoli 1982. 7 R. Rorty, Philosophy and The Mirror of Nature, Princeton University Press, Princeton 1980; Id., Objectivity, Relativism and Truth, Cambridge University Press, Cambridge 1991; Id., Truth and Progress, Cambridge University Press, Cambridge 1998. Inoltre, cfr. J. Gouinlock, John Dewey’s Philosophy of Value, Humanities Press, New York 1972, p. xi; B. Kuklick, The Rise of American Philosophy: Cambridge, Massachussetts, 1860-1930, Yale University Press, New Haven 1977, p. 572; H. Putnam, Pragmatism: An Open Question, Blackwell, Oxford 1995; Id., Enlightenment and Pragmatism, Koninklijke Van Gorcum, Assen 2001; David L. Hildebrand, Beyond realism and Anti-realism: John Dewey and Neopragmatists, Vanderbilt University Press, Nahville 2003; Larry A. Hickman, Pragmatism as Post-Postmodernism: Lessons from John Dewey, Fordham University Press, New York 2007; C. Koopman, Pragmatism as Transition: Historicity and Hope in James, Dewey, and Rorty, Columbia University Press, New York 2009.

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scialbo convenzionalismo filosofico e psicologico di uso comune, tanto da poter parlare intorno al 1980 di Dewey Renaissance. Dewey, grazie al suo desiderio di “ricostruire la filosofia”, grazie alla sua teoria logica come “asseribilità garantita”8, al nuovo modello di educazione progressiva e della comunità democratica, ha trovato nella contemporaneità un ruolo attivo per “rilassare” i tessuti di una società che è sempre più globalizzante e che, quindi, è sempre più asfissiata dai problemi etici e politici, e da falsità ideologiche. Tale valore costruttivo e ricostruttivo del pensiero deweyano in anni molto recenti è stato studiato e diffuso dallo studioso Giuseppe Spadafora che si è preoccupato di mettere in luce proprio questi aspetti deweyani non solo in Italia ma anche in America, grazie ai suoi scritti (espressione di una lunga e approfondita elaborazione di teorie relative, ad esempio, all’arco riflesso e alle scienze dell’educazione), alle numerose iniziative come la fondazione nel 2000 del Centro Dewey e ai diversi convegni internazionali, che hanno visto partecipi studiosi di rilievo di tutto il mondo9. Aspetti, questi, che sono stati e continuano ad essere oggetto di interesse anche da parte di studiosi come Luciana Bellatalla, Franco Cambi e Maura Striano10. 8 Sulla “warranted asseribility” con Russell cfr. T. Burke, Dewey’s New Logic: A Reply to Russell, The University Chicago Press, Chicago 1994; B. Russell, Warranted Assertibility (1940), in Jim E. Tiles, John Dewey: Critical Assessments, vol. IV, pp. 106-112. J. Dewey, The Essential Dewey: Ethics, Logic, Psychology, vol. 2, ed. Larry A. Hickman e Thomas M. Alexander, Indiana University Press, Bloomington, United States 1998, in particolare pp. 201-212. 9 Il testo dell’edizione critica a cui si fa riferimento e J. Dewey, The Reflex Arc Concept in Psychology, (1896), in The Early Works of John Dewey, 1882-1898, vol. 5, edited by Jo A. Boydston, Southern Illinois Press, Carbondale and Edwardsville 1969-1972; Id., The Sources of a Science of Education, (1929), in The Later Works, 1925-1953, vol. 5 (1929-1930), cit., pp. 1-40. Cfr. G. Spadafora, Studi deweyani…, cit., pp. 63-93; Id., The Problem of a Science of Education in John Dewey’s Thought, in Larry A. Hickman e G. Spadafora (eds.), John Dewey’s Educational Philosophy in International Perspective. A New Democracy for the Twenty-First Century…, cit., pp. 48-58; Id., John Dewey: nuove tendenze interpretative, in N. Filograsso e R. Travaglini (a cura di), Dewey e l’educazione della mente, cit., pp. 75-85. 10 L. Bellatalla, John Dewey e la cultura italiana del Novecento, Edizioni Ets, Pisa 1999; F. Cambi, L’educazione per la democrazia e la democrazia nell’educazione. Itinerari politico-pedagogici di Dewey – prima e dopo il New Deal, in G. Spadafora (a cura di), John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, Anicia, Roma 2003, pp. 167-176. M. Striano, John Dewey e l’educazione del pensiero: prospettive educative per la società di oggi e di domani, in Studi sulla formazione, VI (1), 2003, pp. 57-76. Inoltre, si veda John Dewey in Italia. La ricezione/ripresa pedagogica. Letture pedagogiche, F. Cambi e M. Striano (a cura di), Liguori, Napoli 2010.

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Le diverse biografie, l’edizione critica degli scritti deweyani, in 37 volumi curata dalla studiosa americana Jo Ann Boydston, e l’epistolario costituiscono un aiuto indispensabile per la ricostruzione interpretativa del significato della ricerca deweyana. L’edizione critica è legata al “Dewey Project”, un progetto nato nel 1961, nove anni dopo la morte di Dewey, da un suo ex allievo, George E. Axtelle, e da Jo Ann Boydston, la quale per organizzare l’edizione critica deweyana ha svolto un lavoro di recupero non solo di tutti gli scritti dell’autore americano, ma anche dei numerosi discorsi tenuti nelle conferenze sia in America che in diversi luoghi del mondo, in cui relazionò: riviste, bollettini universitari, epistolari che costituiscono un vero tesoro per gli studiosi di Dewey. Tale progetto venne istituzionalizzato in “The Center for Dewey Studies” situato presso la Southern Illinois University a Carbondale in Illinois, il cui direttore è Larry Hickman, punto di riferimento degli studiosi deweyani contemporanei. Il lavoro della Jo Ann Boydston e dei suoi collaboratori è durato per ben tre decenni (dal 1961 al 1991) e, pur rimanendo ancora fino ad oggi la sola edizione critica in assoluto, non è precisa in alcuni passaggi, col rischio di presentare il pensiero di Dewey come suddiviso in tre fasi nettamente differenti tra esse ed estranee le une alle altre. Studiando, infatti, la suddivisione ci si rende conto che la periodizzazione dell’edizione critica non risponde perfettamente all’unitarietà ricercata; una suddivisione che la Boydston definisce “probably wise”. Questa raccolta, infatti, consta di tre parti: The Early Works, dal 1882 al 1898, in cinque volumi; The Middle Works, dal 1899 al 1924, in quindici volumi; The Later Works, dal 1925 al 1953, in diciassette volumi; e un ultimo volume: l’indice. Ai Collected Works va affiancata anche la diffusione dell’epistolario in cd rom11 che, indubbiamente, rispetto al cartaceo, ha facilitato la lettura e la ricerca delle numerosissime lettere che Dewey scrisse e che ricevette durante la sua vita12. 11

T. Pezzano, L’assoluto in John Dewey. Alle origini della comunità democratica, Armando, Roma 2007; Id., La ragione tra ombra e verità. La teoria della conoscenza nel giovane Dewey, in G. Spadafora (a cura di), Verso l’emancipazione. Una pedagogia critica per la democrazia, Carocci, Roma 2010. 12 Jo A. Boydston (ed.), The Collected Works of John Dewey, 37 voll., Southern Illinois Press, Carbondale 1967-1991; B. Levine, Works about John Dewey, 1886-1995, Southern Illinois Press, Carbondale 1996; Larry A. Hickman (ed.), The Collected Works of John Dewey, 1882-1953: The Electronic Edition, Intelex Corp., Charlottesville, Va. 1996; Id., Reading Dewey: Interpretations for a Postmodern Generation, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 1998; Id., The Correspondence of John Dewey, 1871-1918, vol. 1, Intelex Corp., Charlottesville, Va. 1999.

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All’edizione critica e all’epistolario vanno affiancate anche l’autobiografia13 e le biografie14 su Dewey che hanno cercato di ricostruire l’intera sua opera, ma che però limitano o viziano la nostra visione dello studioso americano perché ciascuna di esse lo inserisce in un particolare filone, preoccupandosi di mettere in rilievo soprattutto quelle opere dalle quali si evince uno specifico aspetto (si pensi a Steven Rockfeller il quale offre al lettore un Dewey religioso; lo stesso Westbrook che, come si vedrà in queste pagine, parla di un Dewey prettamente politico, in cui la filosofia, la religione, l’educazione, sono dei passaggi “strumentali” alla politica democratica. La figlia Jane, che pur avendo nella sua Biography parlato della vita, anche privata, del padre e del relativo pensiero presentandolo come frutto delle sue vicende personali, non approfondisce alcuni eventi importanti della vita di Dewey così come ci si aspetta). E ancora, pur venendo riconosciuto a George Dykhuizen il merito di aver fornito al pubblico degli studiosi un quadro più completo della vita privata e intellettuale di Dewey, molti passaggi della sua vita così come anche l’esegesi di diversi scritti deweyani vengono appena accennati, col risultato di avere innanzi un puzzle di Dewey, più che un dipinto curato in ogni aspetto. La scelta di tradurre la biografia di Robert Westbrook è nata proprio dal fatto che tra tutte le biografie risulta essere quella più completa perché fornisce molti spunti di approfondimento futuri su differenti aspetti della vita del filosofo americano (dal pietismo emozionale congregazionalista della madre filantropa, e l’influenza che ha avuto sui figli e nello specifico su Dewey, alla figura del combattente Archibald, figura goliardica, altruista, affidabile, padre molto affettuoso e permissivo, ma non molto presente nei primi anni di vita dei figli perché arruolato nell’esercito du13

J. Dewey, From Absolutism to Experimentalism, in The Later Works, cit., pp. 147-

160.

14 Per

un discorso più completo e basato su fonti dirette è opportuno ricordare in ordine cronologico, oltre alla biografia di Robert B. Westbrook, John Dewey and American Democracy, del 1991 pubblicata dalla Cornell University Press, Ithaca, quella di G. Dykhuizen, The Life and Mind of John Dewey, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1973; quella della figlia di John Dewey, Jane M. Dewey, Biography of John Dewey, in Paul A. Schilpp e Lewis E. Hahn (eds.), The Philosophy of John Dewey, Southern Illinois Press, Carbondale 1989 (prima ed. 1939); S. Hook, John Dewey. An Intellectual Portrait, Prometheus Book, Amhrest, N.Y., 1995 (prima ed. 1939); Steven C. Rockfeller, John Dewey:Religious Faith and Democratic Humanism, Columbia University Press, New Norton, New York 1991; A. Ryan, John Dewey and High Tide of American Liberalism, W.W. Norton, New York 1995; J. Martin, The Education of John Dewey. A Biography, Columbia University Press, New York 2002; Thomas C. Dalton, Becoming John Dewey, Indiana University Press, Bloomington 2002.

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rante gli anni della Guerra civile. Dal carattere pragmatico e nello stesso tempo idealista della moglie Alice, che condizionò profondamente il marito, ad altre figure femminili come Jane Addams, Anzia Yerzerska, Roberta Grant Lowitz, etc. Da alcuni luoghi, come ovviamente Burlington, la sua città di origine, Baltimora, il Michigan, Chicago, New York alle esperienze all’estero – i suoi viaggi che diventano sempre più numerosi dal 1919 in poi – la così detta Travelling Theory. Dall’intreccio di numerosi personaggi di spicco che frequentò e che difese, e al complesso periodo della Guerra fredda, in cui Dewey stesso fu indagato dall’FBI). L’intero arco della vita di Dewey (1859-1952), infatti, ha contemplato numerose vicende storicopolitiche che, fuor da ogni dubbio, hanno disegnato il suo pensiero (si pensi, sebbene fosse ai suoi primi anni di vita, alla Guerra civile, 1861-1865, e alle due guerre mondiali, 1914-1918, 1939-1945; alla Guerra fredda, che mostrò a tutto il mondo, ma soprattutto agli Stati Uniti, la supremazia tecnologica dell’URSS sia con il lancio dello Sputnik 1 nell’ottobre del 1957, e il secondo il mese successivo [solo un anno dopo nel 1958, gli americani lanciarono il loro primo satellite: l’Explorer 1] sia con la bomba H, ovvero la bomba all’idrogeno, esplosa nel ’61. Davanti ad eventi di tale portata è indubbio che per conoscere Dewey bisogna conoscere la storia che attraversò la sua vita, metà della quale appartiene al secolo più intenso, più drammatico, che io definirei aporetico sia negli eventi che nei movimenti di pensiero nati, nonché, per usare una delle tante definizioni date da Hobsbawm “il secolo che ha visto morire tanti esseri umani quanto mai prima nella storia: il Novecento”15. Il suo pensiero, dunque, si è formato sulle basi di ciascuno di questi eventi, a tal punto da renderlo in alcuni momenti inafferrabile, contorto, ripetitivo e addirittura contraddittorio16. Westbrook, facendo riferimento ai Collected Works della Boydston, alle biografie di George Dykhuizen, soprattutto, e a quella di Jane Dewey, come sue fonti principali, ha cercato di ricostruire il sapere deweyano dando alla luce una biografia ben articolata. Per tale ragione, a mio parere, tra tutte le biografie finora scritte quella più completa, e che può essere la base per ripensare Dewey, è proprio John Dewey and American Democracy.

15

Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, 1914-1991, trad. it. B. Lotti [titolo or. Age of Extremes. Short Twentieth century 1914-1991], 3d. BUR, Milano 2009, p. 24. 16 McDermott definisce, infatti, il pensiero di Dewey a “ragnatela”, ovvero un pensiero vischioso, a volte senza via d’uscita. Un pensiero che invoglia a penetrarlo, ma che se non si è attrezzati filosoficamente, si rischia di rimanere catturati nelle sue reti sottili, a “spirale”. Si veda J. McDermott, Philosophy of John Dewey, cit., vol. 1.

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John Dewey and American Democracy: struttura dell’opera Tradurre un’opera così significativa come John Dewey and American Democracy investe di una forte responsabilità chi si accinge a fare questo delicato e impegnativo lavoro. Una responsabilità verso un particolare aspetto: trasmettere in maniera fedele non solo il pensiero del filosofo trattato, ma anche quello dell’autore. Un lavoro che deve essere accompagnato dall’entusiasmo e dalla passione di “acquisizione” prima e di “trasmissione” poi della cultura. Se la passione va di pari passo con la curiosità il lavoro di traduzione non solo ti permette di divulgare un pensiero che forse fino a quel momento era poco chiaro in alcuni passaggi, ma ti permette di penetrarlo in profondità e interpretarlo nel contempo. E in questo caso questo aspetto ha messo in campo un doppio sforzo perché oltre ad interpretare fedelmente il pensiero di colui che è l’oggetto del libro (in questo caso John Dewey) è stato importante e necessario comprendere e valutare anche il pensiero dell’autore del volume (nel caso specifico Robert B. Westbrook). Per tale ragione questo mio lavoro si propone di diffondere ulteriormente non solo la ricchezza contenutistica, lo stile metodologico e le fonti presenti in John Dewey and American Democracy di Robert Brett Westbrook17 (professore di Storia all’Università di Rochester in Monroe County, New York) ma, ovviamente, ancor di più il pensiero di colui che può essere visto come uno tra i teoretici di spicco della filosofia, della pedagogia e della politica del Novecento, John Dewey. Ciò nonostante questo importantissimo volume non è stato mai tradotto in Italia, paese che negli ultimi anni del secolo oramai trascorso ha abbracciato il pensiero deweyano e che anche nel secolo oramai avviato da più di un decennio, vede la figura di John Dewey sempre più centrale. Lo studioso americano Westbrook pubblica questo denso e compatto volume nel 1991 (due anni dopo la caduta del muro di Berlino e lo stesso anno della disgregazione dell’Unione Sovietica). Riceverà diverse e importantissime recensioni, così come riportato nella quarta di copertina del testo in lingua originale. Alcuni esempi per tutti: il Washington Post Book World, in cui Alan Wolf definirà questo libro “il più grande evento nella storia della letteratura americana. Un libro che va considerato come l’ultimo 17

Dei diversi scritti di Robert B. Westbrook, vorrei ricordare Democratic Hope: Pragmatism and the Politics of Truth, Cornell University Press, Ithaca, NY, 2005. In questo testo lo studioso compie un viaggio, attraverso la politica americana, nel pragmatismo vagliando, dunque, un aspetto che in John Dewey and American Democracy non trova un ampio approfondimento.

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e definitivo lavoro fatto su Dewey”. Il Kirkus Reviews la presenterà come “una biografia intellettuale del grande teorico e attivista democratico […] lo studio di Westbrook è definitivo, e difende il lavoro di Dewey contro la maggior parte dei suoi critici più importanti, ricordando a noi tutti che le preoccupazioni e le ambizioni di Dewey sono tutt’oggi rilevanti nel mondo”. In The Atlantic, David A. Hollinger dirà che “Westbrook fornisce una analisi convincente e interessante degli episodi più rilevanti della vita di Dewey, inclusi quei conflitti con altri intellettuali pubblici di spicco, quali Randolph Bourne, Walter Lippmann, Lewis Mumford, e Reinhold Niebuhr. Il filosofo Richard Rorty nel New Leader definirà questo lavoro “di gran lunga il migliore libro su Dewey. La biografia intellettuale di Westbrook […] è una combinazione molto insolita di vasta cultura, acume dialettico e letterario. Questo libro renderà Dewey più disponibile e convincente, sosterrà i suoi scritti e formerà l’immaginazione di una nuova generazione di americani”. E infine, Lewis Menand in New York Review of Books dirà che quest’opera “è eccezionalmente approfondita, rigorosa e intelligente. L’invito di Westbrook ad un rinnovato apprezzamento dell’importanza di Dewey è rafforzato dalla grande conoscenza e convinzione”. Diffusosi subito negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone subito dopo, il volume si presenta come una sorta di “manuale” su Dewey, più che una introduzione su Dewey. In esso, infatti, si delineano aspetti della vita sia privata che pubblica del filosofo americano. In 570 pagine suddivise in quattro parti (in cui la ricostruzione graduale del pensiero viene scandita cronologicamente, ossia: 1882-1904 la prima parte – A Social Gospel; 1904-1918 la seconda parte – Progressive Democracy; 1918-1929 la terza parte – Toward the Great Community; 1929-1952 la quarta parte – Democrat Emeritus), ovviamente precedute da una prefazione e da un prologo e coronate da un epilogo, Robert Westbrook riesce a dare non un’idea ma la prova concreta di quanto il pensiero di John Dewey sia intriso di problemi di vario genere legati tanto alla natura etica del pensiero filosofico, tanto alla natura etica dell’educazione, tanto alla natura etica della democrazia partecipativa. Problemi a cui si affiancavano anche suggerimenti di soluzione che hanno condotto lo studioso americano a dibattiti di una certa rilevanza storico-politica. Westbrook mediante una raffinata metodologia riconduce le molteplici sfaccettature del pensiero deweyano all’interno di riferimenti storici, anche mondiali, che hanno visto sia direttamente che indirettamente coinvolto Dewey, e le note costituiscono le fondamenta di questo lavoro, testimoniando la matrice storica dell’autore e meritando, a parer mio, lo stesso rilievo del documento principale: un “testo nel testo”. 18


Si incontreranno così tanto le problematiche inerenti alla filosofia, tanto quelle legate al tema educativo e allo sviluppo della conoscenza, tanto quelle legate all’uguaglianza, alla fratellanza, alla democrazia, con sempre a fianco la cultura storica del momento. Il linguaggio notevolmente ricercato, raffinato, colto, austero in alcuni punti, ma in altri anche molto familiare, rende questa opera particolarmente complessa e affascinante. Gli scritti di Dewey e lo studio fatto su di essi hanno aperto un dibattito per indagare le origini di quello che è attualmente il destino del suo pensiero scisso in tre filoni: il suo pensiero era filosofia, era pedagogia o era politica? Westbrook in queste pagine ci fornisce una sua opinione al riguardo. Trattando i diversi aspetti della vita e del pensiero di Dewey, ha scelto di soffermarsi, ritenendoli fondamentali, sugli aspetti ideologici che la società americana portava avanti e sugli aspetti legati all’economia. Ovvero, ha mostrato Dewey come un attivista politico. Una politica, però, non pregna di letteratura socialista, o di marxismo, una politica contro ogni tipo di dittatura del tempo e contro le distorsioni della democrazia statunitense. Alla base del pensiero politico deweyano, la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza erano i cardini, e, ovviamente, accettare passivamente e con impotenza di vivere laddove le prepotenze facevano da padrone significava soffocare la società e, dunque, l’individualità collettiva tesa all’universale democratico. L’individualismo quando fa da padrone perde il suo tono positivo colorandosi di egoismo minando i valori democratici almeno quanto il liberalismo corporativo18. Westbrook mostra come l’anticomunismo di Dewey sia stato nondimeno un elemento importante nel suo pensiero democratico. Nell’attaccare lo stalinismo ed il marxismo ortodosso Dewey aveva fornito una buona descrizione di ciò che per lui significava una democrazia “scientifica” e le sue politiche anticomuniste avevano anche illustrato una volta ancora le frustrazioni di un attivismo democratico privato di potere, col risultato di recepire correttamente che il marxismo ortodosso e le politiche comuniste erano una minaccia per quello che era il fine a lui più caro: la comunità democratica a partecipazione diretta.

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Sul problema dell’inevitabilità della violenza e della lotta di classe in Dewey si veda anche Liberalism and Social Action, 1935, vol. 11 (1935-1937), in The Later Works, cit..

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La natura umana tra self-realization e comunità democratica Nell’interrogarci sulla ricostruzione filosofica messa in atto da Dewey ci imbattiamo necessariamente nell’aspetto pedagogico-educativo, da intendersi come sintesi tra il progresso e la dinamicità; un aspetto nuovo questo operato da Dewey segnato da un ripensamento dell’individuo, il quale abbandona quell’astratta figura metafisica di cui era rivestito, per divenire figura sostanziale e soggettiva, volta all’educazione come elemento fondante la società. Un valore che deve enfatizzare la finalità educativa e formativa della società attuale, che apre una prospettiva su alcuni aspetti essenziali della pedagogia deweyana, quali l’omogeneità e l’organicità, che qualificano la società come fondamento sempre più articolato e unitario per la democrazia. L’impegno ben visibile di Westbrook di ricostruire il pensiero deweyano basandosi su una critica politica, impone nel medesimo tempo anche una critica filologica di diversi aspetti chiave precorritori del pensiero politico deweyano, quali ad esempio: 1. Il rapporto tra la filosofia deweyana e quella hegeliana. 2. L’organismo sociale. 3. La psicologia. 1. Nei primi due capitoli Westbrook mostra il pensiero del giovane Dewey poliedrico e discontinuo, e con l’incisiva metafora del “bacillus hegeliano” mette in rilievo il problema dell’idealismo assoluto, sostenendo che già nei primi saggi Dewey ha mostrato il suo legame col pensiero idealista, il solo in grado di fornirgli delle risposte che altre filosofie non riuscivano a fare. Un lavoro, però, quello deweyano che tanto nella psicologia quanto nella filosofia si lega, vincolandosi, alla scienza (e questo è ciò che distingue il suo neo-hegelismo da quello di Morris). Inoltre, secondo Westbrook dal 1894 l’attenzione di Dewey si sposta dalla metafisica all’etica, cessando di costruire liberamente ipotesi e passando ad esaminare da vicino gli aspetti più materiali della coscienza e dell’azione. Per Westbrook, dunque, il pensiero di Dewey presenta un taglio, una certa discontinuità a livello teoretico, in cui l’aspetto relativo all’assoluto e l’esistenza di un’iniziale adesione alla filosofia hegeliana, esistono. Westbrook, quindi riconosce nel giovane Dewey sia la funzione assolutistica della metafisica che la funzione logica della filosofia hegeliana. Aspetti, questi, che si legano allo sviluppo della teoria etica deweyana. Uno sviluppo avvenuto grazie a T.H. Green, il quale pur essendo morto nel 1882, influenzò il giovane filosofo americano su alcuni aspetti quali l’idea della metafisica legata alle credenze religiose, come anche la comprensione che la sua metafisica e la sua fede si univano 20


ad una vita di servizio pubblico. E anche pensare all’idealismo assoluto e, soprattutto, ad una filosofia della cittadinanza. Relativamente a ciò, però, Westbrook accenna alla presenza, se pur breve, dell’idealismo assoluto nel giovane Dewey, sostenendo che non vi fosse alcun legame tra il progetto della democrazia e le questioni legate alla metafisica. Lo studioso, quindi, dà per scontato che la filosofia del giovane Dewey sia stata permeata da un totale idealismo assoluto, tanto che la sua analisi ripercorre appena le primissime opere giovanili delineando una iniziale prospettiva intuitiva, che non rende propriamente chiara la posizione del giovane filosofo americano riguardo alla metafisica. L’autore, infatti, non si sofferma molto sui primi scritti deweyani contrariamente a quanto fa per gli scritti politici e sociali successivi a Democracy and Education (1916), The Public and Its Problems (1927), Experience and Nature, (1929), Art as Experience (1934), Liberalism and Social Action (1935), etc. L’analisi che viene fatta non è strettamente filologica, e percorre strettamente il filone politico, nel quale si intersecano l’aspetto pedagogico e l’aspetto filosofico. Secondo Westbrook Dewey era alla ricerca di una filosofia che lo sganciasse dal pietismo inculcatogli dalla madre, e lo aiutasse a ricercare quel sentimento di unità con l’universo. Una lacerazione (così come dice Dewey stesso), ci tiene a ribadire Westbrook più volte, lenita dalla influenza esercitata da George S. Morris19 per la filosofia hegeliana. Un’influenza filosofica e nel contempo religiosa, che per Dewey erano una cosa sola, e che secondo Westbrook continua fino al saggio su Leibniz. Questa analisi di Westbrook intende sottolineare l’influenza non solo filosofica ma anche religiosa di Morris su Dewey, focalizzando la sua attenzione nell’arco di tempo che abbraccia i primi anni Ottanta, anni in cui Dewey pubblicava nelle riviste dell’ortodossia progressiva come l’Andover Review, e non solo. 19 Per ulteriori informazioni sulla vita e sul pensiero di George Sylvester Morris si veda

il testo di Robert M. Wenley, The Life and Works of George Sylvester Morris: A Chapter in the History of American Thought in the Nineteenth Century, Macmillan, New York 1917. È interessante riportare quanto Morris alla fine del libro del 1887 dal titolo Hegel’s Philosophy of the State and History, dice: “[…] La presunzione del pensiero è che tutti gli oggetti possibili si trovano dentro e non fuori il proprio regno, o dentro la sfera […] del sé razionale del pensatore. O, più chiaramente, il pensiero presuppone che le cose sono pensabili; che esso e i suoi oggetti hanno una natura comune; che una ragione comune permea e costituisce il soggetto pensante e gli oggetti del pensiero; che nel pensare veramente e conoscere le cose è proprio come sviluppare realmente e realizzare la potenzialità della natura del suo oggetto, o pensarlo e conoscerlo”. Ivi, pp. 292-293.

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2. Il secondo punto che, a parer mio va interpretato in maniera consequenziale alla questione se il giovane Dewey fosse o no un idealista assoluto e che merita un rigore ecdotico, è il concetto di “organismo sociale” che non nasce nel 1916 con Democracy and Education o nel 1925 con Experience and Nature o nel 1927 con The Public and its Problems, o nel 1929 con The Sources of a Science of Education, o nel 1930 con Individualism Old and New, o nel 1938 con Logic: the Theory of Inquiry, o nel 1949 con The Knowing and the Known (scritto insieme ad Arthur Bentley), in parole povere in tutte quelle opere appartenenti più alla maturità che sono state maggiormente studiate e tradotte dagli studiosi di tutto il mondo. Il concetto di “organismo sociale”20 nasce agli albori del pensiero deweyano, ancor prima del 1888 con The Ethics of Democracy, precisamente nel 1886 in Soul and Body, proseguendo gradualmente nei saggi successivi, per poi trovare la sua affermazione in The Reflex Arc Concept in Psychology del 1896. Questo aspetto merita un’attenzione notevole perché sarà il fil rouge dell’intero pensiero e perché indica un fortissimo legame deweyano con la filosofia antica e soprattutto a Socrate, Platone e Aristotele. È ovvio, dunque, che quando si parla di “organismo sociale” in Dewey non si può caratterizzarlo come un elemento politico-pedagogico. Sarebbe problematico. L’organismo sociale nasce nella filosofia e nella filosofia troverà una sua affermazione. Le parole del giovane Dewey, infatti, fin dal suo primo saggio del 1882 The Metaphysical Assumptions of Materialism, sono chiare: ricercare la natura dell’individuo. E l’invito dell’oracolo di Delfi, gnosci te ipsum, è l’emblema del soggetto che iniziando a interrogare se stesso sulle proprie capacità e sulle proprie potenzialità diviene individuo, un individuo che rappresenta implicitamente, quindi potenzialmente, un organismo sociale, perché ha un ruolo effettivo, reale nella società. Questo aspetto di matrice classica diventa in Dewey il fondamento da cui partire e su cui ritornare. E in questa naturale ricerca che l’individuo fa su e di se stesso, prima, e degli altri, poi, la democrazia può trovare un’applicazione di senso, ma prima ancora una spiegazione etico-sociale, perché in Dewey il soggetto e l’individuo sono due cose differenti. Questa asserzione, ovviamente se trascurati filologicamente i saggi deweyani e nello specifico i primi saggi, viene occultata, così come vengono occultate le riflessioni implicite che Dewey compie sulle difficoltà che vive l’uomo, la persona, nel bilanciarsi tra la perfettibilità e la stabilità dell’universale, dell’intangibile, dell’infinito, e l’imperfezione e la mutevolezza dell’individuale, del 20

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T. Pezzano, L’organismo sociale nel giovane Dewey, Periferia, Cosenza 2010.


materiale, del finito. Questo lavoro continuo di equilibrista che l’individuo deve costantemente compiere lo porta ad essere un agente che fa uso di una propria intelligenza e che lo rende individuo, non più un soggetto passivo incapace di fare uso della propria intelligenza. 3. L’aspetto relativo alla teoria psicologica in Dewey rientra in Westbrook in una visione d’assieme, rimanendo, dunque, nell’ombra. Questa, infatti, è un altro aspetto che dimostra la relativa attenzione mostrata agli scritti giovanili deweyani. Dewey, infatti, elabora la sua teoria psicologica prestissimo, nel 1884 in The New Psychology21, portando avanti l’asserzione che l’individuo è un essere innanzitutto biologico che si adatta all’ambiente e che deve imparare a gestire i propri istinti mediante l’intelligenza (che più avanti definirà creativa) al fine di raggiungere un sano equilibrio teso alla felicità. Per spiegare ciò Dewey si è interessato agli aspetti molteplici e intrinseci della mente umana, che si intrecciano agli aspetti fisici dell’organismo e alla vita sociale degli altri, portando avanti una concezione non materialista né organicistica della realtà umana. Un’altra conseguenza non irrilevante del riconoscimento che il pensiero del giovane Dewey non fosse radicato in quello hegeliano. Dewey vuole riappropriarsi della realtà. Vuole rivendicare l’individuo per renderlo artefice della tanto agognata comunità democratica. Dewey dice: “Siamo a conoscenza della spiegazione che la psicologia ci fornisce, che la vita umana è l’oggetto più difficile e complicato che l’uomo possa investigare […] l’uomo è qualche cosa di più di una macchina psichica perfettamente incastrata a coda di rondine che può essere considerata come un individuo isolato, steso sul tavolo da dissezione per essere analizzato e debitamente anatomizzato. Sappiamo che la sua vita è collegata alla vita della società, della nazione mediante l’ethos e il nomos; sappiamo che educazione, tradizione ed eredità lo collegano strettamente al suo passato; sappiamo, inoltre, che l’uomo è realmente il microcosmo che raccoglie in sé le ricchezze del mondo, sia dello spazio che del tempo, sia del mondo fisico che del mondo psichico”22. Questi aspetti costituiscono l’impostazione metodologica deweyana non solo della politica, ma ancora prima della filosofia tout court, delle scienze biologiche perché l’individuo è un organismo biologico, delle scienze sociali perché l’individuo è un organismo sociale, della religiosità che, insieme alla filosofia, può fornire spiegazioni del perché dell’esisten21 22

J. Dewey, The New Psychology, 1884, in The Early Works, cit., pp. 48-60, vol. 1. Ivi, pp. 48-49. Si veda, inoltre, T. Pezzano, Il giovane Dewey…, cit., pp. 37-43.

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za. Tutti questi aspetti si coniugano nel concetto che fu il fine e il mezzo per Dewey: l’educazione. E Westbrook fa “intravedere” questi aspetti mostrandoli come punti di congiunzione per arrivare alla politica democratica. Nei capitoli centrali e finali, infatti, lo studioso americano si sofferma sul rapporto individuo-ambiente e sul ruolo dell’individuo nella società in relazione all’attivismo politico, considerando i concetti di coscienza del sé, di azione, di “funzione”, termine, quest’ultimo, che non necessariamente descriveva come un particolare individuo si collocasse o quale funzione avesse in una data società ma, a livello normativo, come un particolare individuo dovesse collocarsi in quella società in modo da massimizzare lo sviluppo delle sue capacità. Per Dewey il rapporto tra le capacità individuali e ambientali era di reciproco incontro, non una questione di un’univoca sistemazione dei bisogni individuali e dei poteri all’interno di un ambiente stabilito e la scuola di Dewey doveva essere un esperimento di educazione per la democrazia23. La scuola doveva incoraggiare lo spirito sociale nei bambini e sviluppare il carattere democratico, doveva essere essa stessa organizzata come una comunità cooperativa. Per educare alla democrazia, la scuola doveva diventare un’istituzione nella quale il bambino era un membro della vita di comunità in cui non solo viveva ma contribuiva attivamente, curando la natura sociale del proprio sé e degli altri24. La convinzione deweyana negli ideali democratici lo ha portato a credere vivamente che ogni individuo, quindi ogni cittadino, rappresentando lo stato debba avere una forte responsabilità verso se stesso e verso gli altri, e deve, quindi, poter avere un ruolo nel processo decisionale della vita dello stato. L’individuo deve dar voce al proprio sé e lo stato, solo nel permettere che ciò avvenga, può divenire un buon governo. Risulta chiaro come l’indagine inerente all’individuo e all’ambiente non poteva che estendersi alle implicazioni etico-politiche. I cambiamenti dell’individuo vanno, dunque, visti in relazione all’ambito etico-politico. Il lavoro di Westbrook, ribadisco, intende mettere in evidenza questo aspetto e mediante il concetto di self-realization in Dewey aiuta a comprendere l’autorealizzazione individuale e la soggettività trascendentale. In questa analisi lo studioso ritiene che l’aspetto religioso materno sia la chiave per spiegare la nascita dell’idea etica che è l’essenza della democrazia. E ripercorrendo e ricostruendo il 23

J. Dewey, The Dewey School: Appendix 2, (1936), in The Later Works, cit., vol. 11, p. 205. 24 Per l’influenza della pedagogia deweyana nella contemporaneità cfr. M. Baldacci, F. Frabboni, La controriforma della scuola. Il trionfo del mercato e del mediatico, Franco Angeli, Milano 2009.

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pensiero di Dewey possiamo valutare anche la situazione della cultura americana, che diventa un ulteriore supporto per la comprensione del concetto deweyano di azione connesso alla teoria sociale e all’attivismo politico. Ovviamente, la teoria sociale e l’attivismo politico si dispiegano nell’esperienza umana; per tale ragione Westbrook mette in rilievo l’analisi antropologica del pensiero di Dewey il quale elaborava una teoria legata al processo di evoluzione della natura umana in virtù della democrazia, una teoria che divenne presto un progetto con la Hull House (che si rifaceva ad un modello di Hull House fondata nel 1885 a Londra) fondata da Jane Adams e da Ellen Gates Starr il 18 settembre del 1889 a Chicago e finanziata da John Dewey. La Hull House, che nasceva sul prototipo del settlment movement in relazione all’immigrazione europea, era un movimento sociale riformista che accoglieva persone in difficoltà ma anche persone ricche, donne, bambini, e aveva come unica finalità quella di rappresentare una società embrionale strutturata democraticamente25. La natura umana e la condotta umana sociale, rilevabili soprattutto nelle pagine in cui si dà ampio spazio alla concezione politica della guerra e della pace, sono elementi intrinseci all’azione deweyana. E Westbrook, fondendo tutte le forme della filosofia deweyana nell’idea di democrazia, costruisce un impianto in cui l’idea di organismo deweyano si libera di ogni aspetto riduttivo solo reimpostando la ricerca sulle questioni politiche che lo legano alla democrazia. Le idee politiche, che aiutano a sviluppare il pensiero filosofico deweyano, strutturando l’intelligenza sociale, dimostrano la valenza ideologica del liberalismo moderno. Nel quadro di questa ricostruzione Westbrook va in un certo qual modo contro a quanto affermato da uomini illustri come Henry Steel Commager, Alfred North Whitehead, Lyndon Johnson, che attribuirono a Dewey poteri non secondi a nessuno. Egli, infatti, pur prendendo le mosse da questa prospettiva dimostra che in realtà, purtroppo, Dewey va visto come una minoranza, poiché la sua visione democratica non riesce a trovare un ruolo sicuro nell’ideologia liberale. Ciò è ricondotto a quelle riflessioni che spiegano gli ostacoli che la teoria democratica deweyana ha trovato nel liberalismo. Una prospettiva che per Westbrook fu salutare allo sviluppo della società moderna americana. Per lo studioso la teoria democratica deweyana, a causa dei diversi contesti storico-politici, si è sviluppata in tono minore per potere realizzare l’adattamento democratico alla società, nonostante essa sia la sola visione in grado da fare da contraltare all’elitarismo democratico. 25

M. Hamington, The Social Philosophy of Jane Addams, University of Illinois Press, Champaign 2009.

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La travelling theory nella ricerca della democrazia La frase che Westbrook sceglie per spiegare il suo libro è incisiva: “Un libro ‘deweyano’ su Dewey che esamina la carriera di Dewey come un difensore della democrazia”. Una frase che sintetizza benissimo quella che è la storia di questa biografia: Dewey teorico politico, Dewey attivista politico, il Dewey della democrazia americana. Un Dewey attento, dunque, ai problemi della vita sociale, alle problematiche antropologiche e filosofiche dell’esperienza umana. Le simpatie di Westbrook per gli ideali democratici di Dewey sono senza dubbio evidenti in ogni parte di questo libro. Nella sua prefazione Westbrook in poche pagine riesce a presentare al lettore sia John Dewey che il suo pensiero. Lui stesso sostiene che questo libro, sebbene sia biografico e storico nel metodo, non offre un ritratto psicologico di John Dewey, risultando una biografia non totalmente esaustiva, perché in essa non troveremo approfondimenti di carattere psicologico, filosofico, intimo. Forse più che un’auto-critica è un invito che Westbrook rivolge agli studiosi deweyani di andare ancora oltre a questo suo lavoro. Westbrook, infatti, non nasconde il filo conduttore dell’opera: Dewey è stato un liberale fermamente radicalizzato nella democrazia americana che, come si evince costantemente dai suoi scritti, cerca una soluzione per ovviare e annullare definitivamente gli ostacoli che la teoria e la pratica della democrazia devono affrontare nelle società moderne. Per questo l’oggetto dell’indagine è proprio lo sviluppo della teoria democratica deweyana e le relative difficoltà che essa ha incontrato nel contesto con “l’elitarismo democratico”. Westbrook ritiene che proprio questo sia l’aspetto chiarificatore della tensione tra il liberalismo e la democrazia nello sviluppo della società moderna americana. Cioè, questa tensione ha formato la sua teoria sociale e l’attivismo politico, aiutando, talvolta, coloro i quali hanno costruito la posizione dominante liberal-realista, ma per Dewey era sempre il liberalismo che doveva incontrare le domande della democrazia, non la democrazia che doveva rispondere al liberalismo26. Per Westbrook, dunque, Dewey è un filosofo sociale del quale la visione democratica non riesce a trovare un posto sicuro nell’ideologia liberale. Difensore di spicco della democrazia partecipativa, cioè, di quella 26

A. Wolfe, The Limits of Legitimacy: Political Contradictions of Contemporary Capitalism, Free Press, New York 1977, cit., p. 7.

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democrazia che deve essere un ideale etico per tutti i cittadini i quali devono formare delle comunità dove la fratellanza e l’uguaglianza diventino i valori per ricavare le risorse necessarie ad ogni individuo. Nel fare ciò l’individuo realizzerà se stesso attraverso la partecipazione alla vita politica, sociale, e culturale. Secondo Westbrook gran parte della storia della teoria moderna americana liberal-democratica ha tradito questo ideale deweyano perché dai primi anni del secolo la maggior parte dei teorici sociali liberali in America ha considerato questo ideale di partecipazione diretta come irrimediabilmente utopico e potenzialmente minaccioso alla stabilità sociale. In questo senso, Westbrook sostiene che Dewey riesce a fornire un metodo che qualifica l’individuo nella sua interezza, ossia l’etica, che permette a ogni individuo di confrontarsi costantemente con la realtà e di fare in modo che la propria individualità risulti unica e irripetibile. L’interesse di classificare John Dewey come un attivista politico porta l’autore ad interessarsi, oltre ovviamente agli scritti democratici, anche ai rapporti con diversi personaggi che hanno avuto direttamente e indirettamente scambi col filosofo, il quale, Westbrook sottolinea più volte, impegnandosi per una democrazia partecipativa, tanto da essere marchiato come socialista libertario, dovette interessarsi anche se non in maniera approfondita, ma critica, al marxismo e allo stalinismo. In effetti, Westbrook scrive molto su questo aspetto perché secondo l’autore la teoria democratica deweyana non può trovare una completa spiegazione e comprensione senza un riferimento all’ideologia e alle politiche dell’anti-comunismo di sinistra. Aspetto questo che lo porta a distinguersi dai progressisti e dai liberali a cui egli viene a volte associato, e a lottare contro le ideologie capitaliste che propagandavano valori democratici. Portare avanti una politica radicale democratica per ricostruire la società americana; una battaglia che comunque fu meno fitta nei suoi ultimi anni. E all’interno della travelling theory – filosofia viaggiante – (trattata nel capitolo 8) che si origina dal 1919 in poi, Dewey, secondo l’interpretazione di Westbrook, confronta il suo modello di democrazia con la possibilità di applicarlo in numerosi paesi europei e asiatici. I suoi viaggi fondamentali in Cina, Giappone, Unione Sovietica, Europa, Turchia, Messico sono espressione di un’ intensa attività di intellettuale globale sempre in giro per il mondo; un mondo meno “globale” – rispetto a quello contemporaneo – per quanto concerne la possibilità delle comunicazioni, ma reso “globale” dal desiderio di Dewey di comprendere le possibilità di costruzione della democrazia in differenti civiltà. L’impegno politico, testimoniato dai suoi scritti, che teorizzano un “nuovo individualismo” sociale, la sua costante 27


fede in una forma di democrazia sociale diversa dal liberismo individualistico e dal comunismo staliniano come dalle dittature nazifasciste, il suo tentativo fallito di creare un terzo partito negli Stati Uniti, la sua presidenza nel 1937 della Commissione d’inchiesta su Leon Trockji, denunciando le colpe dei processi staliniani, il suo intervento nel 1940 in difesa di B. Russell, a cui era stato negato di insegnare all’Università di New York per le sue idee in materia di morale sessuale, di educazione e di religione, dimostrano la centralità morale e politica della sua figura nell’ambito della cultura americana e internazionale del Novecento. E in questo un ex-studente di Dewey, Sidney Hook, un giovane radicale, ha avuto un ruolo significativo nello sviluppo dell’anticomunismo di Dewey, come la metafora usata da Westbrook dimostra: “Hook fu per Dewey ciò che Virgilio fu per Dante”. In realtà la cosa fu reciproca. Ritengo, infatti, che Dewey sia stato costantemente la guida di Hook nonostante le sue ricerche si rivolgevano a pensatori che non rientravano direttamente nella sfera di ricerca deweyana: ad esempio Marx. Paradossalmente proprio trovando nella filosofia marxista punti deboli, questi sarebbero diventati nel pensiero filosofico-politico deweyano, al contrario, punti forti (e aggiungo e sottolineo anche e soprattutto nel pensiero filosofico). La complessa e lunga ricerca effettuata da Robert Westbrook che identifica Dewey come un attivista politico, il cui pensiero tende alla costruzione di una comunità democratica, trova approfondimenti in alcuni scritti sulla scienza sociale e sulla teoria democratica americana degli anni Venti, come, ad esempio, Edward A. Purcell, Jr., The Crisis of Democratic Theory: Scientific Naturalism and the Problem of Value, del 1973; Leon Trotsky, Their Morals and Ours, del 1938, in Their Morals and Ours: Marxist versus Liberal Views on Morality, del 1984; David M. Ricci, The Tragedy of Political Science: Politics, Scholarship, and Democracy, del 1984 e Richard Rorty, Contingency, Irony, Solidarity, del 1989.

Conclusioni A quasi cinquantanove anni dalla scomparsa di Dewey il suo pensiero continua, anche se ancora non nella misura che merita, a segnare il percorso del sapere non solo degli Stati Uniti e degli altri paesi del mondo, ma anche dell’Italia, laddove le sue considerazioni, i suoi punti di arrivo, le sue teorie hanno sempre più un ruolo attivo nel dibattito culturale contemporaneo. 28


Pur nella difficoltà interpretativa della critica soprattutto italiana, John Dewey è uno dei più grandi filosofi del XX secolo, e ha significato tanto ieri quanto oggi, perché con il suo straordinario sapere è stato in grado di ri-elaborare tanto la teoria quanto la pratica della filosofia; tanto la teoria quanto la pratica della pedagogia; tanto la teoria quanto la pratica politica. Il suo pensiero, infatti, non può considerarsi o filosofico o pedagogico o politico poiché esso si organizza su tre grandi assi. Il primo riguarda la filosofia e l’etica, il secondo la pedagogia e il terzo la politica da non interpretare come desiderio o ambizione di potere, ma come benessere comune e sociale, come libertà, responsabilità. La filosofia, però, rimane la disciplina costante sul “tavolo di lavoro deweyano”. Ad essa si ricollega la pedagogia e la sua educazione progressiva; ad essa si ricollega la società democratica, il suo attivismo politico. La filosofia come anche la pedagogia, pur non rivestendo un ruolo centrale nella biografia di Westbrook, fanno emergere sostanzialmente alcuni problemi: a) capire quale sia il metodo deweyano e se si può parlare di un unico metodo; b) quale sia il ruolo del processo educativo in tutto questo; c) quale sia l’uso tecnologico della scienza; d) quale sia stato l’ostacolo all’applicazione della teoria politica deweyana. In tutto questo la verità è centrale ed è protetta, secondo Dewey, dalla scienza, dall’etica, dalla religiosità, dall’intelligenza, elementi, questi, che strutturano la coscienza individuale e che la guidano. Essi non possono che appartenere ad una visione filosofica radicata tra un aspetto isomorfico e una tormentata ricerca del sé e dell’altro. In questo, Dewey ricerca la tensione del particolare verso l’universale anche come valore democratico. Nel tentativo di approfondimento di questi aspetti, come di altri menzionati nelle pagine precedenti, va tenuto presente che Dewey, a mio avviso, è stato non solo, ovviamente, il filosofo della contemporaneità ma anche, in un certo senso, il filosofo dell’antichità, perché pur essendo la sua conoscenza entrata in contatto con la filosofia moderna e contemporanea, egli non ha mai abbandonato le radici classiche ma, al contrario, ha cercato di riprenderle per realizzare quanto di più utopico sia stato idealizzato da Platone e da Aristotele. In questo senso, dunque, il lungo e faticoso lavoro compiuto da Westbrook deve essere una spinta, un invito a sviluppare il discorso deweyano in maniera ecdotica.

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